Scarica Dispensa parziale 2 Economia e Gestione della Banca e più Dispense in PDF di Economia e gestione della banca solo su Docsity! ECONOMIA E GESTIONE DELLA BANCA 2 I RISCHI DELL’ATTIVITÀ DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA L’assunzione, trasformazione e la gestione del rischio costituiscono l’essenza stessa dell’attività bancaria (“art. 10: La raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa”) ed è per questo che la Banca deve dotarsi di un adeguato sistema di risk management. Il Chief Risk Officer è il direttore: è la persona che sovraintende alla gestione di tutte le diverse tipologie di rischi che possono essere presenti all’interno dell’attività finanziaria. Questi sistemi di gestione dei rischi (risk management) contemplano: • strategie e politiche di gestione dei diversi rischi, nonché procedure per l'identificazione e la misurazione dei medesimi • adeguata organizzazione interna della banca • adeguati sistemi informativi e di controllo interno (internal audit) Il rischio, nell’attività finanziaria, potremmo farlo equivalere all’incertezza perché spesso alla parola rischio, si associa un costo o una minaccia ma, per l’attività di intermediazione finanziaria, il rischio è sì una minaccia ma anche una opportunità. La gestione dei rischi costituisce la base del processo di intermediazione. Prima di elencare l’esposizione al rischio, è importante ricordare che la banca ha carattere d’impresa → Dal Testo Unico bancario, al titolo II, capo I, articolo 10, ci viene detto che: “La raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa”. L’esposizione al rischio di un intermediario bancario dipende da diversi fattori come ad esempio: 1. Le scelte di composizione del portafoglio di attività e passività: la Banca, tipicamente, raccoglie fondi, con obbligo di rimborso dai depositanti a breve termine e impiega queste somme attraverso la concessione di prestiti a clienti a medio-lungo termine. 2. L’appetito per il rischio: è un elemento che concorre a identificare o a definire la propensione al rischio delle Banche. Vi sono una serie di fattori che stimolano l’appetito per il rischio, come il tipo di governo societario. Il RAF (risk appetite framework) definisce il livello massimo di rischio assumibile. 3. Forme di remunerazione che legano la remunerazione del management ai risultati reddituali di breve periodo conseguiti dalle Banche: questi, tendono a comportare l’assunzione di rischi sempre più elevati. 4. La normativa di vigilanza: la regolamentazione e la vigilanza sulle banche ha come finalità il mantenimento della Banca in condizione di sana e prudente gestione. Tuttavia, è possibile che in alcuni momenti storici, la regolamentazione sull’operatività delle Banche diventi meno stringente e questo favorisca l’assunzione di gradi di rischio sempre maggiori, o magari viceversa entrando in terreni di innovazione finanziaria nuovi. 5. La struttura e i presidi organizzativi adottati: all’aumentare della complessità operativa della banca e dell’esposizione a molteplicità di rischi, la struttura organizzativa della banca e le competenze tecniche di cui la stessa si dota, dovrebbero aumentare. 6. Dall’andamento del contesto macroeconomico: l’esposizione della banca a shock macroeconomici, che riguardano per esempio i prezzi delle commodities, i tassi di interesse, o l’instaurarsi di guerre commerciali che incidono sui traffici commerciali e sugli scambi commerciali a livello internazionale, può determinare un aumento dell’esposizione ai rischi, da parte delle banche. Gli intermediari hanno la possibilità di diminuire il rischio tramite alcune modalità: • Informazioni: riduzione del gap informativo, con benefici sia a livello individuale che a livello sistemico • Negoziabilità degli strumenti: possibilità di smobilizzo a prescindere dalla scadenza • Diversificazione: gestione professionale di portafogli di investimenti (ripartizione degli investimenti) • Trasformazione delle scadenze: tempi differenti tra raccolta e impieghi La negoziabilità degli strumenti e la diversificazione sono due modalità che vengono condivise con i mercati. TASSONOMIE (CRITERI DI VALUTAZIONE) DEL RISCHIO I rischi si possono classificare in base a: • Natura del rischio: o Rischi sistematici: nascono da situazioni generali (catastrofi naturali, innovazione tecnologica, regolamentazione, tassi di interesse e di cambio, prezzi, ecc.) → non sono “eliminabili”: non posso non evitare questo rischio perché è imprevedibile. o Rischi non sistematici: nascono da fenomeni relativi ai singoli intermediari (credito e regolamento, business e reputazione) → sono “eliminabili”: posso evitare di assumere questo tipo di rischio • Effetti dell’evento: o Rischi puri (o assicurativi): effetti negativi (la cui gestione è oggetto specifico dell’attività assicurativa); ↳ rischio di perdite per disfunzioni di procedure, personale e sistemi interni, eventi esogeni. Include il rischio giuridico, ma non quello strategico e di reputazione → rischio operativo ↳ altri rischi (compliance, legale, reputazionale, ecc.) o Rischi finanziari (o speculativi): effetti sia positivi sia negativi (esempio: variazione dei tassi di interesse): ↳ rischio di perdite nello svolgimento dell’attività creditizia (banking book) per incapacità della controparte di far fronte alle obbligazioni assunte (interessi e quota capitale) → rischio di credito ↳ rischio di perdita sul portafoglio di negoziazione (trading book) per variazioni avverse di tassi d’interesse, tassi di cambio, prezzi degli strumenti finanziari → rischio di mercato - rischio di tasso di interesse - rischio di cambio ❖ Sistemici (di natura macroeconomica): al peggiorare del quadro macroeconomico, le insolvenze possono aumentare. Con la crescita del PIL e del quadro economico, le insolvenze (sofferenze) possono diminuire. Questi non sono diversificabili, in quanto tali rischi colpiscono tutti i debitori e non solo alcuni di essi. COME VALUTARE IL RISCHIO DI CREDITO Per valutare il rischio di credito si vanno ad utilizzare diversi strumenti e metriche di valutazione: • Ruolo del rating (≠ da scoring): giudizio alfa-numerico (colore) sul relativo rischio di credito o allo strumento finanziario o direttamente il giudizio del debitore stesso(emittente). • Ruolo delle ECAI (external credit assessment institutions) o rating agencies • Tre big: Moody’s, Standard and Poor’s, Fitch (modelli che adottano lettere per graduare i rischi: A=migliore) I RISCHI DI MERCATO (MERCATI FINANZIARI) (RISCHIO FINANZIARIO) Come precedentemente detto i rischi di mercato (tipici del trading book) originano da diversi fattori che possono causare variazioni del valore di singole attività finanziarie o di portafogli di attività/ passività finanziarie a seguito di variazioni inattese delle condizioni di mercato. Tali condizioni di mercato possono essere rappresentate dal livello dei tassi di interesse, dei tassi di cambio, dei prezzi degli strumenti finanziari detenuti dalla banca e dalla volatilità dei prezzi o dei rendimenti degli strumenti finanziari. Quando si parla dei rischi di mercato, si intendono: ➢ Rischio di tasso di interesse: origina da variazioni (sfavorevoli) dei tassi di interesse. Le fluttuazioni dei tassi di interesse determinano una variazione sia dei risultati economici della banca, sia del valore di mercato delle attività e delle passività e quindi del valore economico del patrimonio netto. Volendo analizzare l’impatto che le variazioni dei tassi di interesse possono avere sulla redditività bancaria, andremo ad analizzare il cosiddetto rischio di rifinanziamento: L’innalzamento del tasso di interesse avrà un impatto sulla redditività della banca, in quanto il margine di interesse passerà dall’1% allo 0,75%. La banca avrebbe potuto risultare immunizzata o insensibile a variazione dei tassi di interesse qualora, ad esempio, avesse raccolto passività finanziarie, come obbligazioni, di durata esattamente equivalente a quella delle attività bancarie che è andata a finanziare. La banca, inoltre, avrebbe anche potuto decidere di perseguire una gestione, non tanto, orientata all’immunizzazione (gestione passiva) ma, al contrario, avrebbe potuto perseguire una gestione attiva (governare l’esposizione in base alle attese, per ottimizzare il livello assoluto della rischiosità), secondo la quale la banca avrebbe utilizzato a suo favore una trasformazione delle scadenze tra attivo e passivo, sostituendo le passività in scadenza con nuove passività ad un tasso inferiore. Un ulteriore impatto, sulla redditività bancaria, è rappresentato dal rischio di reinvestimento (repricing risk), il quale deriva dagli sfasamenti temporali nella scadenza e nella data di revisione del tasso delle attività: in questo caso, la scadenza delle passività è superiore a quella delle attività. Dunque, il rischio che corre la banca è che, al termine dell’anno, le attività finanziari vengano sostituite con altre, ma con tassi inferiori. Quindi, in questo caso, il rischio che si assume la Banca, legato allo sbilancio nelle scadenze, tra il passivo e l’attivo, è che i tassi di interesse diminuiscano. Infatti, se i tassi di interesse diminuiscono dello 0,25%, questo significa che il tasso sull’attivo non sarà più del 3%, ma del 2,75% → riduzione del margine di interesse. ➢ Rischio di prezzo: i cambiamenti nei tassi di interesse influenzano anche il valore di attività e passività, in quanto il valore attuale dei cash flow cambia al variare dei tassi di interesse. Il rischio di prezzo deriva dunque da variazioni dei prezzi dei titoli azionari e deriva da variazioni dei prezzi delle commodities (merci) a cui è collegato il rendimento di strumenti finanziari (aumenta il tasso di interesse → diminuisce il prezzo delle obbligazioni) ➢ Rischio di cambio: deriva da variazioni avverse dei tassi di cambio delle valute in cui sono denominate le attività e passività detenute dalla banca. Questo tipo di rischio insorge quando la banca presenta posizioni in valuta estera che possono essere influenzate negativamente da sfavorevoli modifiche nel rapporto di cambio con la valuta nazionale di conto. La copertura del rischio di cambio può essere realizzata tramite l’impiego di strumenti derivati o attraverso sostanziali pareggiamenti delle posizioni attive e passive in ciascuna valuta. ➢ Rischio di volatilità: è il rischio connesso a variazioni nello scostamento del prezzo (o del rendimento) rispetto al suo valore medio di un certo periodo. Statisticamente, la volatilità è approssimata dallo scarto quadratico medio (σ). Quindi, un aumento della volatilità o, meglio, dello scarto quadratico medio, può avere un effetto negativo sulla banca, nella misura in cui aumenta l’ampiezza delle perdite a cui la stessa può essere esposta. IMPATTO DEI RISCHI DI MERCATO SUL BILANCIO DELLA BANCA I rischi di mercato hanno un impatto notevole sul bilancio della banca tramite: • Portafoglio di strumenti finanziari detenuto dalla banca per negoziazione (trading book) • In senso più ampio, l’attivo e passivo finanziario della banca Le possibili politiche di gestione del rischio sono quelle di: • Minimizzare l’esposizione (gestione passiva) o strategie di immunizzazione dell’attivo-passivo o strumenti di copertura dei rischi di mercato (ad es. derivati) • Governare l’esposizione in base alle attese, per ottimizzare il livello assoluto della rischiosità (gestione attiva); Si cerca di prevedere quale sarà la direzione che le variabili in questione potranno prendere ed eventualmente conseguire risultati positivi I RISCHI DI LIQUIDITÀ (DATORI DI FONDI) (RISCHIO FINANZIARIO) Il rischio di liquidità è un ulteriore rischio finanziario a cui la Banca si espone, tipico dell’attività bancaria e intimamente legato sia ai rischi derivanti dalla trasformazione delle scadenze, sia al rischio di insolvenza. Il rischio di liquidità è un rischio esterno e deriva dai prestatori di fondi. Possiamo dire che il rischio di liquidità: • è il rischio che un intermediario non sia in grado di far fronte tempestivamente (tra il momento in cui il deposito mi viene richiesto e quello in cui lo concedo deve passare il minor tempo possibile) ed economicamente (avere la disponibilità economica) al rimborso delle proprie passività o alle richieste di utilizzo dei prestiti concessi (agli impegni di pagamento assunti). • l’esistenza di un mismatch temporale tra passività (prevalentemente a breve termine) e attività (maggiormente orientate al lungo termine) è causa tipica del rischio di liquidità. • rischio “tipico” (e ineliminabile…) dell’intermediazione finanziaria Tale rischio è stato, per molto tempo, non regolamentato dalle autorità di regolamentazione e di vigilanza: solo dopo il 2008 (fallimento/caduta di Lehman Brothers Holdings), periodo della grave crisi finanziaria internazionale, sono stati introdotti dei requisiti patrimoniali specifici, per fronteggiare l’esposizione il rischio di liquidità. Da ricordare Northern Rock del 2007 con l’effetto estremo che ha portato il rischio di liquidità: vi erano dei “rumors” che hanno portato la perdita della fiducia, con conseguenza della corsa agli sportelli. Si parla di funding liquidity risk quando l’intermediario non è in grado di far fronte in maniera efficiente, cioè in maniera economica, ad obbligazioni e flussi di cassa (attesi e inattesi) che riguardano, ad esempio, il rimborso di passività, o il rispetto di impegni ad erogare fondi, senza mettere a repentaglio la propria ordinaria operatività e il proprio equilibrio finanziario. Con il funding risk la banca, per far fronte a questi deflussi, è costretta a ricorrere a nuove passività con generalmente costi più alti e, quindi, con tassi di interessi elevati. Questo maggiore costo avrà un impatto sulla redditività della banca, espressa dal differenziale tra i tassi attivi e i tassi passivi. Il market liquidity risk, invece, è il rischio a cui si espone la banca quando, per far fronte ai propri impegni di pagamento, non si è in grado di smobilizzare, di liquidare in maniera conveniente delle attività finanziarie detenute. Questo può avvenire, ad esempio, quando si hanno dei mercati in cui non ci sono più molti scambi. Ciò porta la banca a liquidare/smobilizzare gli strumenti finanziari a dei prezzi particolarmente scontati. Lo sconto applicato potrebbe costituire per la banca una perdita che andrà ad impattare sulla sua redditività. PERCHÉ L’ATTIVITÀ BANCARIA DEVE ESSERE REGOLAMENTATA? L’AF deve essere regolamentata per: • Ruolo degli intermediari finanziari - Funzione allocativa (capacità degli intermediari di scegliere i soggetti meritevoli di credito) - Funzione monetaria (creazione di mezzi di pagamento alternativi alla moneta legale; “moneta fiduciaria”) • Importanza macroeconomica degli intermediari finanziari all’interno di un sistema economico • Obiettivo: evitare i market failures (evitare che l’autoregolamentazione così decantata del mercato, non sia in realtà in grado di regolamentare adeguatamente l’attività finanziaria) • Questa regolamentazione deve assumere “natura pubblica” • Regolamentazione adeguata, ma non assoluta (se si pongono troppe regole, troppo dettagliate, troppo specifiche e troppo stringenti, si impedisce all’attività di svolgersi in maniera efficiente ed efficace; occorre calibrare le regole) Gli obiettivi della regolamentazione: ✓ Obiettivo finale → mantenere la fiducia del pubblico e in particolare dei risparmiatori. Per farlo bisogna evitare le situazioni di dissesto (dei singoli intermediari; le origini di un dissesto sono antiche e derivano da politiche di gestione errate a lungo termine). ✓ Obiettivo intermedio (più facilmente monitorabili e strettamente legati all’obiettivo finale) → la stabilità degli intermediari (banche). - A livello micro (singolo intermediario) → possibilmente, perché per poter perseguire l’obiettivo a livello macro, potrei dover sacrificare qualche intermediario togliendolo dal sistema per evitare che la crisi si propaghi. - A livello macro (sistema finanziario) ✓ Questi obiettivi si perseguono attraverso (strumenti): - Contenimento del rischio (fissazione di limiti minimi o massimi, per fare in modo che il grado di rischio assunto dalla banca non vada oltre determinati livelli) - Capitale minimo (norme specifiche in materia di capitale; fondi propri/patrimonio ai fini di vigilanza; avere un patrimonio sufficiente e di buona qualità non elimina la possibilità di un fallimento bancario, ma attenua le conseguenze) ✓ Regolamentazione e vigilanza → Regolamentazione = predisposizione di norme e regole che gli intermediari bancari devono osservare nello svolgimento della loro attività (prima). Vigilanza = controllo che gli intermediari bancari effettivamente osservino queste regole (dopo). NB: la differenza tra i risparmiatori e gli investitori dipende dalla consapevolezza del soggetto. Il risparmiatore è considerato un soggetto inconsapevole (dei rischi a cui può andare incontro nel momento in cui acquista un’AF). L’investitore è invece considerato un soggetto consapevole dei rischi. Assodato che entrambe le categorie hanno diritto ad essere tutelate, è chiaro che la prima (soggetti inconsapevoli) ha diritto ad una maggiore tutela. Ex. I depositanti, che sono la categoria che fornisce la maggior parte delle risorse finanziarie alle banche, sono considerati soggetti inconsapevoli (meritevoli di tutela). La tutela, tuttavia, non si ferma ai depositanti, ma riguarda il pubblico in generale. La regolamentazione è necessaria in quanto l’attività finanziaria è caratterizzata da forte instabilità, e lo scopo è di limitare questo difetto per garantire stabilità in primis al sistema finanziario e in seguito anche al sistema economico. AF instabile: • attività di trasformazione → è di sua natura instabile (passaggio di risorse da unità in surplus ad unità in deficit) • elevato uso del leverage (rapporto che esiste tra il capitale di terzi e capitale proprio) → la regola aurea della finanza dice che questo rapporto dovrebbe essere pari a 1; tuttavia, una certa leva finanziaria (rapporto >1) in molte circostanze può favorire la redditività dell’impresa e quindi il suo sviluppo (ci devono essere determinate condizioni). Spesso questo rapporto è decisamente troppo elevato e per quanto capitale una banca possa avere non sarà mai pari o vicino ai suoi depositi (alla sua raccolta in generale) e quindi questa caratteristica rende comunque la banca instabile. • asimmetrie informative → per quanto gli intermediari abbiano il compito di ridurle, non le possono eliminare. Rimane quindi sempre un divario tra il datore di fondi e il prenditore, che rende il rischio assunto dalla banca “opaco” (non facilmente misurabile) e quindi costituire un elemento di forte instabilità. Le banche, in condizioni di assoluta normalità, operano secondo un regime di Fractional Reserve Banking → detengono riserve liquide che sono solo una frazione dei loro depositi (dipende da n° fattori la cifra esatta). Questa caratteristica è un elemento di forte instabilità perché se tutti i depositanti si presentassero un giorno a richiedere il rimborso di tutti il loro depositi, nessuna banca sarebbe in grado di rimborsare immediatamente l’intera cifra di ciascuno (se fosse possibile non sarebbe una banca ma un istituto di deposito). Queste sono riserve libere e si suddividono in: • Riserve di prima linea → costituite da AF per loro natura liquide, disponibili immediatamente e senza costi (cassa, depositi a vista presso BCE o altre banche) • Riserve di seconda linea → AF che hanno un grado leggermente inferiore di liquidità, quindi possono essere trasformate in moneta legale nel giro di poco tempo e con qualche costo (bot, titoli di Stato) Secondo molte teorie economiche si sostiene che da solo il mercato possa eliminare le inefficienze. Tuttavia, perché il mercato funzioni correttamente occorre che ci sia la cosiddetta disciplina di mercato: ✓ Trasparenza informativa elevata (soprattutto sul debito!) → se il mercato percepisce come più rischioso un determinato soggetto gli chiede un tasso di interesse più elevato sul suo debito ✓ Correttezza e razionalità degli operatori ✓ Contendibilità ed efficienza dei mercati → spesso ciò non accade perché sono manovrati ✓ Assenza di meccanismi automatici di salvataggio in caso di dissesto (se la banca fallisce sono fatti suoi) Quando parliamo di regolamentazione bisogna tenere presente i cosiddetti rumors (pettegolezzi) → elemento ineliminabile dal mercato a cui bisogna prestare attenzione alla veridicità, perché può determinare una crisi potenzialmente irreversibile ↳ La “crisi” dell’interbancario (crisi del 2008) ↳ Corsa agli sportelli (bank runs) ↳ Crisi a livello sistemico Ex. Caso banca Northern Rock (2007) → raccoglieva a vista e concedeva mutui (prevalentemente residenziali) a lunghissimo termine (mis-matching delle scadenze, errore gestionale clamoroso). Ad un certo punto la banca va in crisi e si comincia a dire (rumors) che non sia più in grado di rimborsare i suoi depositi e questo causa la corsa agli sportelli. La Bank of England interviene dicendo che garantirà il rimborso totale di tutti i depositi, e questo causò code più lunghe agli sportelli (irrazionalità caratteristica dell’investitore). Per prevenire una crisi di questa portata bisogna: ➢ Distinguere Illiquidità (fenomeno temporaneo e risolubile) ≠ Insolvenza (fenomeno permanente e irreversibile, certifica l’incapacità di rimborsare i propri debiti anche dopo aver liquidato tutte le attività disponibili) ➢ Ruolo dell’informazione ➢ Educazione finanziaria A questo punto, avendo stabilito che il mercato non può autoregolamentarsi, dobbiamo quindi stabilire a chi affidare la regolamentazione. La regolamentazione ha un bisogno continuo di informazioni, che tuttavia possono essere: - Costose (in termini di reperimento, sia tempisticamente che economicamente) - Difficile - “Cattiva” (manipolazione) Occorre quindi un soggetto che sia in grado di comprendere queste situazioni, quindi chi monitora? ↳ Stato ↳ Soggetto di natura pubblica ✓ non abbia interesse particolare nel mercato → Vigilanza istituzionale = stabilire tante autorità di vigilanza quante sono le categorie istituzionali di intermediari finanziari. I problemi sono due: × Se una determinata categoria di istituzione è particolarmente regolamentata, si cerca di svolgere un’attività che sia molto simile ad essa ma con una forma istituzionale diversa (ex. Shadow banking system). Grazie a questo escamotage sono assoggettati a regole molto meno stringenti (arbitraggio regolamentare). × “Cattura del regolatore”, ovvero istituzioni di grandissime dimensioni possono influenzare il regolatore con norme a loro vantaggio. → Vigilanza per attività = level the playing field; non importa chi faccia cosa, quello che conta è dare regole per tutti gli operatori che svolgono quella determinata attività (non importa che si chiami banca, società di leasing, fondo comune di investimento, investitore istituzionale, ecc..). Problemi: × Non riesce a stare al passo con la creazione di nuove attività. × Se un’attività è molto simile ad un’altra, si differenzia per taluni aspetti grazie ai quali non ricade nella norma del soggetto regolamentato. → Vigilanza per finalità = modello più implementato e più utilizzato in Italia; identifica alcune finalità e obiettivi ben precisi e attribuisce a determinate autorità il perseguimento di ciascuno di essi, le quali possono rivolgersi a tutte le tipologie di intermediari, qualsiasi siano le attività svolte da essi. → Vigilanza per funzioni = è la migliore ma la più difficile da realizzare; si tratta di definire delle regole in base alle funzioni svolte (ex. banche, svolgono innumerevoli funzioni e quindi si ritroverebbero vigilate da innumerevoli autorità). • Modelli ibridi (caso italiano) → in Italia abbiamo: → Vigilanza per finalità (3+1) ↳ Stabilità (BCE/Banca d’Italia) ↳ Efficienza (Antitrust/AGCM) ↳ Trasparenza delle info e correttezza degli operatori (CONSOB) → Vigilanza per soggetti ↳ Compagnie di assicurazione (IVASS) ↳ Fondi pensione (COVIP) → Ruolo del CICR e del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) = possono dare regole persino di livello superiore, ovvero danno determinate disposizione a cui le cinque precedenti autorità devono adeguarsi. CLASSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI DI VIGILANZA I cosiddetti interventi di vigilanza sono classificabili attraverso tre criteri principali: 1. Finalità della norma (obiettivo al quale la norma deve rispondere) ↳ Strutturale = insieme di tutte quelle regole che servono per definire l’articolazione del sistema (ex. definiscano quali e quanti intermediari possono essere presenti, quale rete distributiva possono avere, quale tipologia di attività possono svolgere, quali livelli di partecipazione possono esistere, ecc..). ↳ Prudenziale = tutte le regole che vengono date alle banche per evitare che il livello di rischio assunto dalla banca nel complesso della sua gestione sia eccessivo. ↳ In caso di crisi = non si può escludere che si manifesti l’evento dannoso - Early warning (primi segnali di crisi, in una situazione di crisi risolubile) - Resolution (regole che entrano in gioco in caso di crisi non risolubile, atte ad eliminare l’intermediario dal sistema) 2. Cronologia temporale ↳ Ex-ante = regole necessarie prima della manifestazione della crisi (strutturale, prudenziale ed Early warning) ↳ Ex-post = regole necessarie in caso di Resolution 3. Attività svolta ↳ Regolamentare = si occupa della definizione delle norme e regole che gli intermediari devono osservare. ↳ Informativa (o conoscitiva) = una volta definite le regole, bisogna verificare che queste vengano osservate attraverso una serie di informazioni che gli intermediari devono fornire, grazie alle quali le autorità vengono a conoscenza della situazione della banca stessa. Questa attività si svolge a distanza. ↳ Ispettiva = le informazioni pervenute devono poi essere verificate sul campo dall’autorità di vigilanza (presso l’intermediario; se le informazioni fornite sono corrette oppure no). → ESRB viene assegnata la vigilanza di tipo macroprudenziale EBA = da regole comuni per l’attività bancaria EIOPA = da regole comuni per le assicurazioni e i fondi pensione ESMA = da regole comuni per i mercati finanziari Valgono per tutti i paesi dell’UE, affidando alle singole autorità nazionali la verifica. LA CREAZIONE DELL’UNIONE BANCARIA EUROPEA Se la crisi finanziaria lascia in eredità all’UE questo nuovo sistema di autorità di regolamentazione e vigilanza, questo però dimostra fin da subito alcune crepe di funzionamento. Cioè nonostante le regole vengano definite a livello sovranazionale, in realtà c’è molta vischiosità nell’attuazione di queste regole a livello nazionale. Nel giro di poco tempo si passa ad un’azione più incidente “creando” un nuovo sistema di regolamentazione e vigilanza: l’Unione Bancaria Europea (4 novembre 2014). L’obiettivo finale è sempre quello di: • Garantire la solidità delle banche a fronte di nuove crisi finanziarie • Evitare che si verifichino situazioni di crisi, ma soprattutto evitare che i costi di queste eventuali crisi si riflettano sulla collettività (trovare una soluzione tale per cui i costi di questa crisi vengano pagati da chi l’ha provocata e non da chi la subisce) • Avere regole uniformi → ridurre la frammentazione del mercato • Rafforzare la stabilità finanziaria dell’area euro e UE → ridare all’Europa una posizione di rilievo a livello finanziario e internazionale e una stabilità finanziaria che la crisi del 2008 aveva fortemente compromesso Nell’Unione Bancaria Europea non ci sono solo i paesi dell’area euro (Unione monetaria europea), ma anche eventualmente su richiesta, paesi che non appartengono all’area euro. UBE si fonda su tre pilastri: ➢ Meccanismo unico di vigilanza ➢ Meccanismo unico di risoluzione ➢ Disciplina armonizzata per i sistemi di garanzia dei depositi I primi due vengono definiti e applicati fin da subito, mentre il terzo è ancora in fase di costruzione. Questa Unione bancaria europea, oltre che fondarsi su questi tre pilastri, si fonda anche su regole comuni → regole uniche di vigilanza. Quindi regolamentazione e vigilanza sono uguali per tutti i paesi che appartengono all’Unione bancaria europea → manuale unico di vigilanza. • Interventi distinti a seconda che ci si riferisca a: ↳ risanamento di una banca in difficoltà (recovery) ↳ risoluzione di una situazione di crisi (resolution) Il MRU prevede due livelli: ➢ Strumenti di recovery → strumenti e piani che vengono utilizzati quando la crisi non è definitiva; ci sono evidenze di difficolta da parte di una banca, ma questa situazione è considerata risolubile (può consentire alla banca di ritornare in attività) stabilizzare la situazione finanziaria dell’ente. ➢ Strumenti di resolution → interviene quando la crisi è irreversibile, e la banca deve essere eliminata dal sistema correttivi da adottare in caso di dissesto (o qualora il dissesto risulti altamente probabile). Possibili soluzioni: ↳ vendita dell’attività d’impresa (attività, diritti, passività, ma anche azioni o altri titoli di proprietà) → vendita della banca nel suo complesso oppure di una parte di essa (quella più sana) ↳ ente-ponte (bridge bank): può essere cessionario di azioni o altri titoli di proprietà, attività, diritti, passività (in mancanza di soluzioni di mercato) → creo una nuova banca all’interno della quale faccio confluire la parte “sana”, mentre la parte “malata” la mando in liquidazione coatta amministrativa. ↳ separazione delle attività → Quasi sempre questo ente-ponte viene creato ex-novo e la parte marcia o viene mandata in liquidazione oppure togliamo le attività tossiche e li cediamo ad un organismo creato apposta per la gestione di questi asset (cessione a bad bank = intermediario finanziario che ha il compito di cercare di estrarre il maggior valore possibile da questi asset tossici) ↳ svalutazione o conversione in capitale delle passività (bail in) → bail in = “salvataggio da dentro”; ovvero salvataggio il cui costo viene sostenuto da categorie che stanno dentro la banca. Consiste nell’imputare il costo del salvataggio a determinate categorie di stakeholder interni alla banca gli strumenti sono utilizzabili in via coattiva: non è necessario il consenso né degli azionisti né dei creditori (cioè dei depositanti). Quindi l’autorità di risoluzione (sia essa la Single resolution o la National authority) può decidere quali strumenti utilizzare, può usarli anche insieme, ma soprattutto non è necessario nessun consenso. BAIL IN → banca in cui il tot del passivo è maggiore del tot dell’attivo, per togliere di mezzo queste perdite le differenziamo in passività escluse dal bail in (non cambiano) e passività assoggettabili al bail in (diminuite). Se utilizzo il bail in, oltre a svalutare il capitale integralmente, svaluto anche una quota a parte di passività (cancello una parte dei debiti). Alcune tipologie di passività possono essere ridotte mentre altre sono escluse (irriducibili). Le categorie escluse (in verde) non possono in alcun modo essere assoggettati a bail in. La perdita che si è venuta a creare si va a “tappare” partendo svalutando le categorie riducibili (in rosso). Le più rosse sono le categorie di poste più a rischio in assoluto, a scendere abbiamo le passività della banca. Il bail in può agire anche nei confronti dei creditori, cioè può agire anche sui debiti. Gerarchicamente si inizia a ridurre dal giallo a salire. 3. DISCIPLINA ARMONIZZATA PER I SISTEMI DI GARANZIA DEI DEPOSITI (DGS) Attualmente questo pilastro è in fase di lavorazione → “problema” del debito sovrano di alcuni paesi membri (Italia). Ad oggi, abbiamo in tutti i paesi dell’Unione bancaria europea un sistema di garanzia dei depositi, il problema è che questi sistemi di garanzia sono uno diverso dall’altro → armonizzazione dei sistemi nazionali - Livelli di protezione - Modalità di intervento La regola dovrebbe essere quella di prevedere per tutti i depositanti un limite massimo di 100.000 euro di rimborso entro 7 giorni dalla data in cui la banca vene risolta (questo è l’obiettivo). Tra incontri e consultazioni, ad oggi ancora non è stato fatto. Il problema per cui questo pilastro non riesce ad essere implementato sono alcuni paesi (l’Italia e il Belgio) nell’Unione bancaria europea, le cui banche hanno in bilancio grandissime quantità di titoli di Stato. Se lo Stato sovrano dovesse dichiarare default, anche le banche dovrebbero farlo, e quindi l’intero fondo a livello europeo non solo non basterebbe, ma verrebbe integralmente assorbito da quell’unico paese. L’ATTIVITÀ DI REGOLAMENTAZIONE E VIGILANZA IN ITALIA Nel nostro paese, la base normativa è costituita da una normativa primaria e una normativa secondaria. La normativa primaria è tipicamente l’ambito del legislatore, mentre la secondaria è tipicamente l’ambito del regolatore tecnico. La normativa primaria è costituita sostanzialmente da tre leggi: • Testo Unico Bancario (TUB): regolamenta l’attività di intermediazione svolta da banche e altri intermediari finanziari; • Testo Unico della Finanza (TUF): detta disposizioni in materia di attività di intermediazione mobiliare, prestazione dei servizi di investimento e funzionamento dei mercati mobiliari; • Codice delle Assicurazioni Private: disciplina l’attività assicurativa sia nel ramo vita sia nel ramo danni; • la normativa in materia di forme pensionistiche complementari, che regolamenta i fondi pensione. Questi provvedimenti sono continuamente innervati dai cambiamenti indotti dalla legislazione comunitaria. La normativa comunitaria ha obbligo di recepimento all’interno del nostro paese. Mentre le direttive hanno bisogno di un provvedimento legislativo ad hoc per il recepimento, i regolamenti entrano immediatamente in vigore. La normativa secondaria è principalmente il campo della Banca d’Italia nel nostro caso, ma a seguito dell’Unione bancaria europea anche BCE, o meglio EBA. Quello qui riportato è uno screenshot della pagina della normativa della Banca d’Italia. Gli organi di regolamentazione e vigilanza sono gli organismi a cui compete l’onere di definire le regole, e quindi di controllare che queste regole siano osservate: ➢ Livello politico: Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), Ministero per l’Economia e le Finanze (MEF) → non intervengono con particolare frequenza; si occupano di regolamentazione ➢ Livello tecnico: Banca d’Italia/BCE, Consob, AGCM + Ivass e Covip → hanno un duplice compito, sia di regolamentazione (definizione delle regole che gli intermediari devono seguire) sia di controllo (verificare che le regole siano effettivamente osservate) gli esponenti ai massimi livelli delle autorità di vigilanza fanno in occasioni pubbliche riguardanti determinati aspetti, che ancora non sono normati in maniera specifica. Quello che presentano non è la loro opinione, ma l’opinione dell’istituto di appartenenza. Se il cambiamento annunciato in queste occasioni non viene in qualche modo recepito in maniera autonoma e determina un cambiamento operativo da parte della banca, l’autorità di regolamentazione interviene con una norma specifica. VIGILANZA STRUTTURALE Le norme racchiuse in questa macroarea riguardando principalmente: ↳ cosa è attività bancaria (condizioni per l’esercizio) → chi la può esercitare e a quali condizioni ↳ assetti proprietari e organizzativi → con quale struttura organizzativa e con quale modello societario si può svolgere l’attività bancaria ↳ partecipazioni (IN/OUT) → criteri di acquisizione o cessione in ambito bancario (ciò che si vuole assolutamente evitare è la captive bank ovvero la banca asservita alle esigenze del suo e dei suoi azionisti principali; gestione sana e prudente) ↳ operazioni straordinarie → le operazioni di fusione e di acquisizione riguardano la possibilità che si vengano a creare situazioni di eccessiva concentrazione; quando alcune banche acquisiscono altre banche e sono di grandi dimensioni, interviene l’Antitrust imponendo la vendita di qualche attività per evitare l’eccessiva concentrazione del mercato ↳ attività bancaria fuori sede e all’estero → l’attività bancaria non è svolta solamente all’interno dei locali della banca, ma può essere svolta anche fuorisede e all’estero; quindi, occorrono regole ben precise in quanto comporta delle conseguenze giuridiche molto diverse. Le norme sono definite dalla BCE, la quale ha l’ultima parola su determinati provvedimenti, situazioni e operazioni. Le misure di vigilanza strutturale più importanti sono: ↳ raccolta del risparmio presso il pubblico ed esercizio del credito ↳ altre attività finanziarie (art. 1, f TUB) – no riserva di legge (SGR e assicurazioni) → a discrezione della banca, non obbligatorie Condizioni per una nuova banca: ➢ Forma giuridica → quelle ammesse sono solo due: - S.p.a. (tante azioni, tanti voti) - Cooperativa per azioni a responsabilità limitata (un voto a testa) → la banca può costituirsi ↳ In forma di banca popolare (non può andare oltre gli 8 miliardi come tot dell’attivo, se no diventa S.p.a.) ↳ In forma di banca di credito cooperativo (a condizione che aderisca obbligatoriamente a un gruppo bancario cooperativo; “contratto di coesione”) ➢ Capitale sociale minimo → 10 milioni se si deve costituire in forma di S.p.a. o di popolare; 5 milioni se si deve costituire in forma di BCC ➢ Programma di attività (linee di sviluppo dell’attività, profili di adeguatezza e sostenibilità patrimoniale, struttura organizzativa e corporate governance, stress test, …) → punto più soggettivo tra tutte le condizioni ➢ Requisiti di onorabilità, professionalità ed esperienza (fit & proper assesment) → per tutti i soggetti che ricoprono ruoli di supervisione strategica, gestione e controllo della banca (consiglio di amministrazione, collegio sindacale e tutta la prima linea del management) VIGILANZA PRUDENZIALE La vigilanza per eccellenza è diventata quella di tipo prudenziale, che ha l’obiettivo di fissare un livello massimo di rischio della gestione bancaria. Essa opera attraverso il suo patrimonio, che è il primo presidio a fronte dei rischi. In questo caso però il concetto di patrimonio e di fondi propri non è lo stesso che insegna l’economia aziendale. La vigilanza prudenziale si articola su 3+1 macro-temi: ↳ i coefficienti patrimoniali sui rischi → Accordi di Basilea (sede della banca dei regolamenti internazionali); costituisce il luogo dove vengono definite quelle regole che poi dovrebbero essere implementate in tutti i paesi, non ha potere impositivo (ciascun paese deve fare dei provvedimenti di legge per recepire queste disposizioni) ↳ i limiti alla concentrazione dei rischi ↳ l’assunzione di partecipazioni ↳ i sistemi di controlli interni Accordi di Basilea → Gli interventi sono stati molteplici, a volte necessari dall’innovazione finanziaria coì rapida che si sussegue (rischio di credito intaccato in particolare). Basilea ha introdotto il principio del Processo di controllo prudenziale, che si articola in due fasi: ↳ I primi soggetti che devono essere in grado di valutare la rischiosità dell’attività bancaria, ovvero la dotazione patrimoniale (ICAAP) e la dotazione di liquidità (ILAAP), sono le banche stesse in base a quelle che sono le scelte gestionali e strategiche che la banca stessa ha assunto, e in base a quello è il grado di rischio deve avere una dotazione patrimoniale e di liquidità minima ↳ Questi due processi di controllo prudenziale saranno poi revisionati, ed eventualmente modificati o confermati, attraverso lo SREP (Supervisory Review and Evalutation Process) da parte dell’autorità di vigilanza (BCE/ANC). Questo processo viene effettuato tutti gli anni. LA COMPOSIZIONE DEI FONDI PROPRI Il patrimonio di vigilanza, i fondi propri (TC = T1+T2 = Patrimonio totale), sono costituiti da due aggregati: ↳ T1 (Tier one) = Patrimonio di base → serve per assorbire le perdite in continuità operativa (qualora la banca dovesse registrare delle perdite, queste devono essere assorbite dal patrimonio di base; going concern); minimo 6% ATT ponderate per il grado di rischio (RWA). Esso è a sua volta composto da due grandi aggregati: ↳ CET1 = Patrimonio di qualità primaria → patrimonio come lo abbiamo sempre studiato dall’economia aziendale; minimo 4,5% ATT ponderate per il rischio (RWA) ( deve essere più della metà del patrimonio) - azioni ordinarie (capitale sociale) - sovrapprezzo azioni - riserve di utili - altre riserve palesi - aggiustamenti regolamentari nel calcolo del CET1 ↳ AT1 = Tier 1 aggiuntivo → questi strumenti giuridicamente sono comunque rappresentativi di un debito della banca, ultima categoria dei creditori → Modello base → di norma si ha quasi sempre il Capital conservation buffer che ammonta al 2,5% (richiesta di ulteriore patrimonio che le autorità fanno per garantire che il capitale di qualità primaria si conservi). Se introdotto si somma al requisito minimo (4,5 + 2,5 = 7), ergo T1 = 8,5 e TCR = 10,5. Altri buffer: • Countercyclical buffer (fissato dalle autorità; oggi pari allo 0%, ogni tre mesi le autorità comunicano a quanto devono ammontare) • Systemic risk buffer (fissato dal consiglio europeo per il rischio sistemico; ad oggi non c’è) • G-SII/O-SII risk buffer (buffer per le istituzioni sistemiche, viene fissato in maniera individuale, cioè viene definito per ciascuna banche che ha il requisito della sistemicità) Banca d’Italia individua ogni anno a novembre le banche sistemiche sulla base di quattro criteri: dimensione, importanza, complessità e grado di interconnessione. La BCE individua alcune classi, e in base al punteggio complessivo definisce il buffer per la sistemicità della banca. Questa è l’ultima comunicazione che la Banca d’Italia ha emanato. Esempio: Banca Alpha Se una banca è al di sotto dei minimi regolamentari bisogna risolvere la situazione lavorando sul rapporto tra le varie configurazioni di capitale e la RWA. La definizione dei requisiti patrimoniali nel processo SREP: Requisito minimo patrimoniale primo pilastro = 4,5% CET1, 6% T1, 8% TCR Requisiti obbligatori secondo pilastro = quando BCE/Banca d’Italia revisiona i requisiti patrimoniali di una banca può imporre requisiti patrimoniali obbligatori di secondo pilastro e può aumentare il requisito minimo di primo pilastro Requisiti aggiuntivi secondo pilastro = fanno parte della capital guidance; la banca deve avere i requisiti minimi, rispettare i buffer fissati e sarebbe opportuno che avesse anche i requisiti aggiuntivi per far fronte al meglio a quella che è la rischiosità dell’attività di gestione come è emerso dallo SREP. Questi requisiti aggiuntivi fanno parte della Moral suasion. Questi requisiti, che diventano obbligatori per la banca, sono fissati dallo SREP e prendono il nome di TSCR. A questi requisiti obbligatori dati dallo SREP si sommano i vari buffer esaminati; dal totale ricaviamo il OCR, ovvero i requisiti patrimoniali minimi obbligatori. ‼NB: i pilastri in questione sono i pilastri di Basilea 2 (NON quelli dell’Unione bancaria europea) MREL Minimum Requirements for own funds and Eligible Liabilities. Ad alcune banche (soprattutto di grandi dimensioni, che al momento sono assoggettate a eventuali procedure di liquidazione; le banche significative) viene richiesto questo ulteriore requisito particolare, fissato dalla Single Resolution Authority, per il miglior funzionamento del bail in. Esso prevede che le banche si debbano dotare di un quantitativo minimo costituito da due particolari entità: ↳ Fondi propri (patrimonio TC) ↳ Eligible liabilities (particolari passività considerate riconosciute come valide ai fini MREL) MREL costituisce una sorta di “cuscinetto” che viene utilizzato per assorbire le perdite in caso di bail in (esso comporta o l’azzeramento di tutto il patrimonio o la riduzione di alcune passività, quelle non garantite, le eligible liabilities) → senior non preferred (passività usate per prime per poter assorbire le perdite) ↳ Introdotte dalla legge di bilancio 2018 ↳ Durata minima 12 mesi ↳ Valore nominale unitario min 250mila € ↳ Solo a investitori istituzionali (non persone fisiche) ↳ Non possono essere collegati a strumenti derivati ↳ Leverage: 𝑇1 𝑇𝑜𝑡 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒 𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 (tot “generale” dell’attivo = on&off balance ovvero tutti gli impegni e rischi che una banca si è assunta, ex. crediti di firma) → almeno pari al 3% IL RISCHIO DI CREDITO Può essere scomposto in due grandi categorie: 1. Rischi di regolamento (legati al trading book) 2. Rischi di credito (legati al banking book) → si può manifestare attraverso una serie di rischi ↳ insolvenza (alle scadenze pattuite il debitore non sia in grado di restituire le somme in linea capitale e in linea interessi) ↳ downgrading (se il mio debitore subisce downgrading dalla società che certifica il suo rating si innalza il tasso di interesse, il costo del debito per il debitore aumenta e quindi aumenta il rischio che non possa ripagarlo) ↳ recupero (se le garanzie sul credito si svalutano aumenta il rischio di recupero) ↳ pre-regolamento (spesso viene concesso un prestito che poi verrà restituito nel momento in cui viene erogato il prestito definitivo) ↳ paese ↳ sovrano ↳ concentrazione (non sempre è possibile diversificare, soprattutto le banche di piccole dimensioni, o che operano in aree geografiche mono settoriali si possono trovare di fronte ad un rischio di concentrazione molto elevato) Tenuto conto di questi rischi, un ulteriore elemento che dobbiamo prendere in considerazione è la distinzione tra: ➢ Perdita attesa → perdita che attraverso una serie di valutazioni oggettive posso ragionevolmente aspettarmi; la fronteggio realizzando degli appositi accantonamenti, realizzo una rettifica dei crediti (loan loss provisions – CE) ➢ Perdita inattesa → perdita che non sono stata in alcun modo capace di prevedere, eventi che hanno modificato radicalmente tutte le previsioni; non è possibile fronteggiarla, quindi è possibile coprirla unicamente con il patrimonio (fondi propri) È possibile calcolare la perdita attesa sulla base di alcuni elementi: ↳ Probabilità di default → probabilità che l’impresa entro un determinato arco temporale stabilito si riveli inadempiente; molto legata all’attività dell’impresa e la capacità dell’imprenditore ↳ Esposizione al momento del default → importo per il quale il debitore risulta ancora tale nel momento in cui si verifica l’insolvenza conclamata (situazione di default). È importante stimare quella che sarà la perdita effettiva che subirò per effetto del default; se il prestito è assistito da garanzie posso escutere la garanzia e soddisfarmi sul ricavato, riducendo così le perdite subite ↳ Loss given default → così come l’esposizione al momento del default, dipende dalle caratteristiche del prestito erogato, dalla possibilità più o meno elevata di recuperare il valore nel momento in cui vado ad escutere la garanzia ↳ Maturity Esistono due metodi per calcolare il rischio di credito: 1. Metodo standard → si prende l’esposizione al momento del default (in genere il valore del credito), moltiplicarlo per un coefficiente di ponderazione (fornito dalle agenzie di rating), e l’importo ottenuto lo moltiplico per l’8% (valore minimo per il TCR al di sotto del quale la banca non può scendere) All’aumentare della percentuale di ponderazione, aumenterà il livello di patrimonio minimo richiesto. Se la diminuisco, diminuirà la quantità di patrimonio richiesto. Queste ponderazioni valgono per tutte le imprese considerate grandi. Per le piccole/medie imprese c’è un unico coefficiente di ponderazione che è il 75%. 2. Metodo IRB (internal rate base) → parte dal presupposto che la banca calcoli per ciascun cliente una serie storica che le consenta di avere la Probabilità di default, Loss given default e la Maturity. È un enorme lavoro da parte della banca per la ricerca di dati attendibili che possano costituire la base per determinare questi fattori; una volta fatto prima di poterli utilizzare devo avere la approvazione da parte delle autorità di vigilanza (il modello di calcolo deve essere approvato e mediamente ci vogliono un paio di anni). Questo calcolo così complesso mi determina la cosiddetta perdita attesa, cioè quella che devo accantonare a fronte del rischio di credito (rettifica in dare CE). Se copro la perdita attesa con un accantonamento, non ho bisogno di avere patrimonio a fronte di quella perdita. Avere un metodo IRB, in realtà, risulta di gran lunga più conveniente in termini di patrimonio minimo rispetto all’utilizzo del metodo standard. Questa procedura, tuttavia, è molto costosa e soprattutto il modello deve essere validato dalle autorità di vigilanza (in un arco temporale significativo). Il metodo standard prevede dei coefficienti di ponderazione che sono legati sia alle singole tipologie di clienti, sia a quelle che sono le macro-voci dell’attivo di una banca. Gli RWA sono al denominatore dei coefficienti patrimoniali. RWA (Risk-Weighted Assets) → metodo standard Coefficienti standard → Quando vado a calcolare il coefficiente sul rischio di credito usando il metodo standard, suddividerò le categorie di attività, valuterò il livello di rischio e applicherò una determinata percentuale. Nelle prime due categorie nonostante il rischio sia basso, potrebbe aumentare in maniera significativa a seconda della situazione in cui si trova la banca con la quale intrattengo un rapporto di credito (per questo 0-100%). Tutti questi coefficienti servono a calcolare le cosiddette Risk Waited Asset (RWA), ovvero quelle che dovrò poi inserire a denominatore dei tre rapporti principali (ratios patrimoniali) che sono: ↳ CET1 ratio → 𝐶𝐸𝑇1 Σ 𝑅𝑊𝐴 (min 4,5%) ↳ T1 ratio → 𝑇1 Σ 𝑅𝑊𝐴 (min 6%) ↳ TCR → 𝑇𝐶 Σ 𝑅𝑊𝐴 (min 8%) ∑ RWA = sommatoria delle attività ponderate per il rischio Esempio → nel caso del TCR la percentuale non arriva all’8%, per sistemarla bisogna aumentare il numeratore o diminuire il denominatore. VIGILANZA PROTETTIVA (in caso di crisi) Bisogna avere in primis delle soluzioni gestionali, ma anche delle norme che in primo luogo cerchino di evitare il verificare di questa situazione, e se non fosse evitabile che cerchino almeno di arginarne gli effetti negativi. Le due grandi categorie di attività che vengono svolte per arginare gli effetti negativi sono: ↳ Early warning system → l’emergere di segnali di crisi anticipatori che devono mettere la banca in allarme. Sono dati tipicamente dal disallineamento della situazione con il RAF (Risk appetite framework; questo identifica gli obiettivi che una banca si pone, la situazione in cui la banca si trova, e i livelli minimi (risk capacity) che la banca si è fissata); quando alla Banca d’Italia giunge un RAF che ha questi coefficienti pericolosamente vicini alla risk capacity questi fanno parte dell’Early warning system. ↳ Piani di risanamento (Recovery plans) → quando la crisi si spinge troppo avanti, tutte le banche sono obbligate a predisporre questi piani. Questi devono essere sempre aggiornati (ogni anno) e comunicati alle autorità di controllo, e hanno l’obiettivo di ripristinare l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale della banca stessa. Essi prevedono una serie di attività che le banche devono porre in essere per ritornare in situazione di normalità (ex. ricapitalizzazione, cessione di attività, modifiche nella struttura, ingresso di nuovi soci, ecc.). Se la crisi si rivela inevitabile ci sono vari strumenti, di cui noi ne abbiamo due previsti dal TUB: ➢ Amministrazione straordinaria (crisi risolubile) → vengono sollevati dall’incarico gli amministratori, e viene assunto un commissario straordinario che ha tempo normalmente 12-18 mesi per trovare un compratore o riportare in sicurezza la banca, se non ci riesce si procede con la liquidazione ➢ Liquidazione coatta amministrativa (crisi non risolubile) → deve fare i conti con le procedure di liquidazione che sono attualmente previste dalla BRRD (stanno per essere modificate). È effettuata da commissari liquidatori e da un comitato di sorveglianza. 28/04 – INTERVENTO FABRIZIO CRESPI F. Crespi insegna all’Università di Cagliari, ed è un divulgatore in tema di finanza sostenibile. Ha creato una sua società di formazione di marchio “conTEmplata”, che ad oggi opera attraverso un sito e un canale YouTube. Finanza sostenibile → è un vero e proprio cambiamento di paradigma. Trae le sue origini dallo sviluppo sostenibile = quello che consente di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri (patto intergenerazionale). La finanza sostenibile è quindi tutto ciò che nel mondo finanziario dovrebbe far progredire verso lo sviluppo sostenibile strumenti e servizi finanziari, bancari e assicurativi, strategie di investimento che mirano a progredire vero lo sviluppo sostenibile. La finanza sostenibile non è filantropia, faccio degli investimenti per un rendimento finanziario e qualcosa in più. Gli elementi centrali della finanza sostenibile sono: ↳ Orizzonte di lungo periodo (gli investimenti si fanno nel lungo periodo per lasciare un mondo migliore a chi verrà in futuro) ↳ Compresenza rendimento finanziario e non finanziario (investo sia per avere un rendimento che per avere anche un rendimento non finanziario, voglio avere un impatto positivo sul mondo → shared value) ↳ Fattori ambientali, sociali e di buon governo Shared value → rientra nel dibattito tra i concetti di “shareholder value” (valore degli azionisti) e “stakeholder value” (valore degli stakeholder). La logica di base è generare profitto, se in America è più diffuso il pensiero del massimizzare il valore degli azionisti, in Europa invece siamo più favorevoli al valore degli stakeholders, ovvero coloro che hanno un interesse nell’azienda (azionisti, dipendenti, fornitori, clienti, Stato…). Per questo motivo, in Europa molto più che in America, si è diffusa l’idea che l’impresa debba considerare non solo l’interesse nel profitto degli azionisti, ma anche l’interesse di tutti gli altri stakeholders. Genesi e sviluppo: ↳ 1992 nasce lo United Nations Environment Programme Finance Initiative: è una partnership tra l'UNEP e il settore finanziario globale per mobilitare i finanziamenti del settore privato per lo sviluppo sostenibile. ↳ Nel 1999 nascono gli Indici Dow Jones Sustainability, nel 2001 la Borsa di Londra crea il FTSE-4Good. ↳ Nel 1999 nasce il Global Compact (World Economic Forum) ↳ Principles for Responsible Investment (PRI) 2006 → le case di investimento, le società che creano i fondi comuni si mettono d’accordo tra loro e fissano i principi per capire come si può investire in maniera sostenibile ↳ Principles for Sustainable Insurance (PSI) 2012 ↳ Principles for Responsible Banking (PRB) 2019 → introdotti principi per capire come fare attività bancaria in maniera sostenibile ↳ Accordo di Parigi 2015 ↳ 2015 Agenda 2030 ONU - 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGS) → ci sono anche i 160 sotto obiettivi ↳ Action plan EU 2018 → piano di azione per sviluppare la finanza sostenibile, vengono indicate dieci azioni, ma soprattutto viene esplicitato che per progredire verso lo sviluppo sostenibile bisogna canalizzare i risparmi privati verso gli investimenti sostenibili ↳ Green deal europeo 2019 ↳ Normativa europea 2019 e 2020 Definizione europea di ESG → Strategie di investimento sostenibile → possono essere distinte in queste tre macro-accezioni: 1. ESG exclusionary (per investire in maniera sostenibile decido di escludere dai miei investimenti le società che in qualche modo possono avere un impatto negativo sul mondo; queste esclusioni derivano dalla finanza etica, ovvero non investo nelle attività che considero “peccaminose” ≠ finanza sostenibile) 2. ESG inclusionary (screening positivo e strategie di engagement; non escludo nessuno ma va a cercare invece quelle imprese che hanno delle caratteristiche ESG più interessanti, in questi anni si è particolarmente sviluppato il rating ESG; le case di investimento cercano sempre di più di fare engagement, ovvero cercano di spingere le società in cui investono ad essere più sostenibili, Proxy Advisor avvisano le società di investimento a scandagliare gli ordini del giorno di tutte le assemblee di tutte le società quotate) 3. Impact investing (investimenti mirati ad avere un impatto ambientale e sociale) Il CdA prende le decisioni sia di natura straordinaria che strategica, ma anche di gestione ordinaria. Il Collegio sindacale controlla che queste decisioni siano conformi alle norme vigenti (non entra in merito). ↳ Principio di proporzionalità (controlli complessi in proporzione alla dimensione e complessità operativa) - B di maggiori dimensioni o complessità operativa elevata: B significant e B quotate (a prescindere dalla dimensione, basta che sia quotata) - B intermedie: 30 miliardi € ≤ TotATT ≥ 5 miliardi € (a seconda della collocazione viene diversamente articolato le richieste in termini di vigilanza, se è più vicina ai 5 miliardi o ai 30 miliardi) - B di minori dimensioni o complessità operativa ridotta: TotATT ≤ 5 miliardi € (vige il criterio di proporzionalità) Avere un buon sistema di controlli interni serve per avere: ↳ efficacia/efficienza dei processi aziendali (perseguimento degli obiettivi al minor costo possibile) ↳ contenimento del rischio entro RAF (documento che fissa i livelli massimi di rischio che la banca ha deciso di assumere) ↳ protezione dalle perdite (per limitare o contenerle) ↳ affidabilità delle informazioni ↳ conformità (compliance) a leggi & regolamenti (non solo nella forma ma anche nella sostanza) Questi controlli vengono articolati in tre livelli: ↳ Primo livello → controlli in linea (esercitati sulle strutture operative, ex. filiali) - compliance (controllo che le regole siano osservate anche nella sostanza, non solo nella forma) ↳ Secondo livello → controlli su rischi e conformità (≠ da strutture operative) - compliance & risk management ↳ Terzo livello → revisione interna - internal audit (va a verificare su tutte le strutture operative che effettivamente le norme e le procedure siano state rispettate e svolte in maniera corretta, fanno il lavoro delle autorità di vigilanza prima che queste stesse arrivino (ispettorato interno); funzione talmente delicata che risponde gerarchicamente direttamente al consiglio di amministrazione; sono dei report molto complessi e analitici che si chiudono normalmente con un giudizio articolato in genere su quattro livelli: soddisfacente, parzialmente soddisfacente, parzialmente insoddisfacente, insoddisfacente). Dilemma bis del “banchiere centrale” → la regolamentazione deve “normare” ma non ostacolare l’esercizio dell’attività bancaria (metto le regole o non le metto? E se sì, quale livello di regolamentazione? Dilemma). Il secondo dilemma è quello della prociclicità → “insieme dei meccanismi attraverso i quali il sistema finanziario contribuisce ad amplificare le fluttuazioni cicliche in entrambe le direzioni (dell’economia)”. Il sistema finanziario contribuisce ad aumentare rapidamente i cicli positivi dell’economia, ciò significa che nel momento in cui il ciclo economico comincia a vivere momenti negativi, la prociclicità determina un ampliamento di questo effetto. BASILEA 2 E PROCICLICITÀ Basilea 1 aveva introdotto i coefficienti di ponderazione del rischio sul credito, Basilea 2 li ha rivisti e ha introdotto i modelli interni di valutazione. Queste norme dicono che più patrimonio si ha e maggiore è l’operatività che si può svolgere, la seconda invece dice che peggiore è la qualità del credito erogato, maggiore sarà la quantità del patrimonio che verrà richiesto. Basilea 2 entra in vigore “pienamente” il 1° gennaio 2008, poiché introdotta dal 2004 e successivamente soggetta a phase in. Questa norma dice che se si hanno crediti di buona qualità, serve meno patrimonio e si possono fare molti più crediti. Settembre 2008 → “scoppia” la crisi finanziaria a livello globale (dei mutui sub-prime). La crisi si estende all’economia reale; quindi, anche le imprese produttive entrano in crisi → non sono più in grado di restituire i finanziamenti; quindi, diventano “sofferenze” (crediti bancari per i quali è ragionevole attendere che la banca non riuscirà a incassare nulla). Nel momento in cui le banche scendono al di sotto dei minimi previsti dall’autorità di vigilanza, queste le bloccano → Bank runs La banca dei Regolamenti Internazionali (banca delle banche centrali, organismo dove viene decisa la regolamentazione a livello internazionale; il Comitato di Basilea è un suo organo che si occupa di regolamentazione bancaria) nella sua relazione del 2010 si accorge subito di questo fenomeno di prociclicità → La prociclicità agisce come la leva finanziaria, quindi l’indebitamento può essere positivo ai fini del conseguimento di una maggiore redditività, ma solo a determinate situazioni, perché poi in realtà causa l’effetto opposto (la leva può risolvere un problema ma se è troppo forte si rischia di fare danno). Dopo il 2010 ci furono delle “correzioni” di Basilea 2, dove le caratteristiche procicliche erano più evidenti, si va a “pulire” i bilanci delle banche e al tempo stesso rinforzare il patrimonio. Il 2017/2018 sono considerati gli anni della ripartenza, quindi i nuovi flussi, nuovo credito sano (nonostante i tassi zero) che comunque contribuisce a migliorare le condizioni economiche delle banche. NB: maggiori problemi della crisi del 2008 → assenza di coordinamento nelle risposte date dalle autorità e lentezza nella definizione delle risposte. Comunicato stampa con cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara la pandemia → L’11 marzo è stata dichiarata la pandemia e il giorno immediatamente successivo gli organismi regolatori cominciano a ridurre, o addirittura a togliere, tutta una serie di vincoli regolamentari che gli intermediari devono osservare, per poter permettere in particolare alle banche di affrontare e superare il periodo pandemico: ↳ possibilità di operare al di sotto del livello di taluni ratios/buffer regolamentari ↳ utilizzo di strumenti di “minore qualità” per soddisfare requisiti Pillar 2 Requirements - P2R (di norma, utilizzabili solo strumenti di CET1) → possibilità di non soddisfare i requisiti minimi del Pillar 2 Requirements ↳ riprogrammazione ispezioni on site e analisi sui modelli IRB ↳ rinvio stress test al 2021 ↳ revisione piani di continuità operativa (e RAF) Appreso il concetto di prociclicità, bisogna comunque tenere conto quello della proporzionalità alla dimensione, influenza e potere dell’intermediario in questione. I MODELLI ORGANIZZATIVI DELLE BANCHE Soprattutto in Italia, abbiamo una linea netta che divide i periodi tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, si passa da banca-istituzione a banca-impresa. Fino alla metà degli anni 80 il nostro sistema bancario è considerato uno dei sistemi più stabili al mondo, dove la banca non è un’impresa (controsenso), un sistema fortemente specializzato e parcellizzato (ognuno faceva operatività in una nicchia di mercato). A partire dalla seconda meta degli anni 80, viene liberalizzata l’attività bancaria, il mercato bancario diventa un economia di mercato in senso stretto (se un soggetto deve fallire fallisce, cercando di evitare il più possibile le esternalità negative per la società), comincia l’internazionalizzazione e liberalizzazione dei movimenti di capitale, c’è l’innovazione tecnologica (big bang, le contrattazioni di borsa cominciano a passare sul sistema telematico) e infine si passa alla nozione di banca-impresa (TUB). • età e dimensione dell’impresa (le banche di grandi dimensioni possono fare grandi cose, quelle di piccole dimensioni, magari appena create hanno meno possibilità) • livello della tecnologia (alti livelli di tecnologia, ma anche alti costi) • vincoli regolamentari (si comincia a fare strada il partito dell’innalzamento del Liquidity Cover Regulation, cioè invece che fare attività disponibile entro 30 gg su passività esigibili entro 30 gg uguali almeno a 100%; ci sono diverse correnti di pensiero, ovvero si riduce a 7gg oppure si aumenta a 150/180% del Liquidity Coverage Ratio = raddoppio riserve liquide) • mercato/i di riferimento Oltre a questo, c’è tutta una serie di cambiamenti per cui oggi si parla di strutturazione e organizzazione a geometria variabile = organizzazione che possa consentire nel minor tempo possibile e con i minori costi possibili di adattarsi al cambiamento. I modelli organizzativi cambiano a causa di: • crescente competizione e tendenza all’aumento delle dimensioni (M&A – ruolo della BCE) • presenza internazionale (poche grandi banche italiane…) • inserimento in segmenti di mercato specialistici • razionalizzazione della struttura • organizzativa (semplificazione societaria) • distributiva (chiusura filiali) • sviluppo delle fintech A questo punto bisogna decidere come organizzare la banca, ma prima ancora bisogna decidere che tipo di attività la banca deve svolgere. Esiste una sorta di contrapposizione nelle diverse tipologie di attività bancaria che prendono in considerazione taluni aspetti. • Commercial banking → banca tradizionale, che raccoglie risparmio verso il pubblico ed eroga finanziamenti, e una serie di altre attività. Si chiama commerciale perché storicamente quando nasce la banca ciò che la finanzia è l’attività commerciale (sconto/anticipo di crediti commerciali). Accanto alla raccolta di depositi, c’è lo sviluppo di strumenti di pagamento alternativi alla moneta (utili per l’attività commerciale dei propri clienti); tradizionalmente, la banca commercial svolge attività di retail banking. ↳ Retail banking → operazioni di piccole dimensioni, fortemente standardizzate, rivolte ad una clientela indifferenziata. - Mass Banking = tutte quelle operazioni rivolte a soggetti che hanno un patrimonio di modesta entità (soglia > 50/100mila €); Affluent Market = soggetti che non hanno un grande patrimonio finanziario ma hanno ottime prospettive di incremento di questo. • Investment banking → svolge un’attività più sofisticata, di gestione e assistenza finanziaria dell’impresa; assiste l’impresa nel reperimento del capitale, che non necessariamente deve essere capitale di debito (può svolgere le attività tradizionali da banca, ma più spesso svolge attività di assistenza e consulenza finanziaria, di organizzazione delle operazioni di reperimento del capitale di debito e di rischio sul mercato; ex. Mediobanca). ↳ Wholesale banking → operazioni di importo elevato con caratteristiche peculiari che le differenziano le une dalle altre, rivolte a soggetti che hanno esigenze finanziarie importanti. • Private banking → insieme di servizi bancari e finanziari molto più sofisticato e personalizzato, che spesso contempla anche servizi di altro genere (giuridici, assicurativi, natura successoria), ovvero tutto ciò che serve per gestire un grande patrimonio (patrimonio almeno pari 500.000mila € o 5milioni €, a seconda delle banche); c’è un forte rapporto di fidelizzazione. ↳ Wealth management → evoluzione del Private banking e che riguarda la gestione della ricchezza complessiva (anche patrimonio non finanziario); con questo tipo di management parliamo di patrimoni molto più elevati, alcune banche dai 10milioni in su altre dai 100milioni in poi. Mass, Affluent, Private, Wealth riguardano tutte il patrimonio del singolo individuo, oppure della famiglia intesa come somma di singoli individui. Diverso è il ragionamento che viene fatto per il segmento delle imprese, in cui distinguiamo SME (Small Medium Entreprise) e Corporate (suddiviso in Large corporate e Adar corporate) → il riferimento è il volume d’affari (fatturato dell’impresa), alcune banche dividono le SME dalle Corporate dai 100.000mila/1milione/5milioni € dipende dalla banca e le sue dimensioni, e dalle dimensioni della clientela (non esiste un criterio univoco, se non quella comunitaria, ma in realtà se applicata nel nostro paese sarebbe troppo grande come limite). Queste attività spesso coesistono all’interno di un unico gruppo bancario. Se guardassimo i gruppi bancari significativi (quelli su cui la BCE esercita la sua vigilanza) ci troviamo facilmente tutte queste attività svolte dalla banca; che poi siano effettivamente svolte da un’unica società (banca con molteplici divisioni), oppure siano svolte da società specializzate, questa è una scelta che viene fatta dalle banche. Il fatto di affidare una determinata attività a unità specialistiche definite è una scelta compiuta dalle banche (di grandi dimensioni). Due attività discusse ad oggi nel Private banking → fare investire i clienti o nelle Cripto cavency (aumentano di valore significativamente nel tempo) o nei Private markets (finanziamenti erogati a imprese non attraverso i tradizionali circuiti, quindi ne attraverso gli intermediari tradizionali ne attraverso il mercato, ma creando delle società che hanno come scopo il finanziamento). BANCA UNIVERSALE E GRUPPO BANCARIO Una volta visti gli elementi che vanno ad influenzare la scelta del modello organizzativo, ora quindi bisogna esaminare i principali modelli organizzativi → banca universale e gruppo bancario (nella loro accezione “pura” spesso non esistono perché i modelli teorici sono sempre in qualche modo ibridati nella realtà). Nel 1990 viene introdotto nel nostro paese il modello del gruppo bancario, con la legge Amato Carli, che consente alle banche di svolgere attraverso la forma del gruppo una pluralità di attività (ar.1 comma f), ma ancora sotto la forma di società specializzate. Tre anni dopo, viene introdotta dal TUB la possibilità per le banche di svolgere tutte queste attività assumendo il modello della Banca Universale: • Può operare su tutto lo spettro temporale delle scadenze • Possibilità di offrire un’ampia gamma di prodotti e servizi (art. 1 comma f) • Può assumere partecipazioni nelle imprese non finanziarie (era vietato prima) • Suddivisa in divisioni, unità specializzate interne (svolgono una determinata attività finanziaria tra quelle previste) • Operatività in titoli ampia • Di grandi dimensioni È un’impresa unica che può svolgere tutte le attività consentite ad una banca del TUB ad eccezione delle attività che, per riserva di legge, competono ad altri intermediari finanziari. È un intermediario: ↳ Multibusiness ↳ Multiclient ↳ Multiprodotto I vantaggi sono numerosi: ✓ Possibilità di sfruttare economie di o diversificazione, sia globali sia di prodotto specifico → maggiore efficienza operativa o costo, dal punto di vista informativo, per effetto dell’esercizio congiunto dell’attività creditizia e finanziaria ✓ Offerta completa di prodotti e servizi alla clientela (relazione più stabile e duratura) o relationship banking o maggiore grado di conoscenza della clientela ✓ Stabilizzazione dei profitti della banca (ciò che non otterrò da un lato lo posso ottenere attraverso un altro prodotto e servizio) Problemi: × Gestione e controllo di queste divisioni (meccanismi di controllo necessari devono esistere ed essere efficaci) × Evitare le potenziali spinte centrifughe (alcune divisioni cominciano a pensare di fare la banca nella banca; sistema di controlli interni, sia a livello gestionale che strategico) Organigramma sintetico di Intesa Sanpaolo → NB: la divisione Audit risponde direttamente all’organi di supervisione e gestione. Le divisioni in verde sono per prodotto, quelle in rosso sono per area geografica. In questo scema si vede bene il modello federale. Intesa Sanpaolo mantiene le strutture giuridiche perché occorre del tempo per integrarle all’interno del gruppo. Al completamento del processo (2020) il risultato è quello dello schema sopra, ovvero la Banca dei territori governa Intesa Sanpaolo e una serie di banche specializzate. GRUPPO BANCARIO VS BANCA UNIVERSALE Ci sono vantaggi e svantaggi per entrambi i modelli, e spesso quelli che sono svantaggi per uno sono vantaggi per l’altro, quindi la scelta è strategica. Sbagliare l’impostazione organizzativa può generare costi enormi e rischi rilevanti, perché la prima cosa che il gruppo deve essere in grado di assicurare è che tutte le società da esso controllate siano all’interno del profilo di rischio RAF dell’intero gruppo. CONGLOMERATI FINANZIARI I conglomerati finanziari sono una figura di matrice internazionale, di natura comunitaria, che nel nostro Paese sono scarsamente presenti. Essi sono un gruppo di imprese al cui interno ritroviamo società che svolgono attività in maniera significativa in tre campi: • Assicurativo • Bancario • Servizi di investimento Ad oggi in Italia ne abbiamo solo uno, ovvero Generali, questo perché in realtà ci sono delle soglie quantitative per identificare il conglomerato finanziario → le tre categorie di attività vengono pesate e misurate nell’attività complessiva del gruppo, e se superano determinate soglie il gruppo si considera conglomerato, altrimenti è un gruppo normale. I conglomerati hanno al vertice un’impresa regolamentata oppure svolgono principalmente attività nel settore finanziario. Si presentano diversi problemi: × Chi vigila? Ogni campo ha la sua autorità (assicurativo = IVASS, bancario = BCE/Banca d’Italia, investimento = Consob) ma come si decide chi gestisce in presenza di tutte e tre? Chi è l’autorità coordinatrice? (nel caso dei Generali quella che pesa di più è l’autorità assicurativa → IVASS) × Possibili arbitraggi cross border in materia di regolamentazione I “NUOVI” MODELLI DI BANCA I modelli visti finora sono modelli di banche di grandi dimensioni, ma queste non sono così diffuse in Italia. Per le banche che sono di minori dimensioni esistono altri modelli adatti. LA BANCA SPECIALIZZATA → art.1 TUB elenca una serie di attività esercitabili da una banca; la banca specializzata scegli di esercitarne una sola, e può essere una specializzazione per • Prodotto/servizi • Area geografica (ex. BCC Carate Brianza) • Canali distributivi (banche che non hanno sportelli, ma lavorano con i consulenti finanziari) • Segmento di clientela (ex. clientela con una soglia di patrimonio almeno pari a una soglia molto elevata) Le BCC hanno una loro storia bicentenaria e sono nate con l’obiettivo di servire aree non servite, segmenti di clientela tradizionalmente esclusi dalle banche di grandi dimensioni (microimprese e persone con risparmi modesti). Altre banche sono nate invece da una precedente storia di società finanziaria specializzata. I SISTEMI A RETE (NETWORK) Per ottenere gli stessi benefici che hanno i grandi gruppi, ma senza formarne uno (mancanza di materia prima, dimensioni insufficienti, no volontà di fusione). Il Network consisteva in una serie di accordi di natura commerciale tra banche piccole che si univano per mettere a disposizione le une delle altre i servizi nei quali eccellevano. Questo sistema funziona bene quando sono presenti due condizioni fondamentali: • Le banche devono avere dimensioni paritarie (simili) • Ciascuna aderente al Network deve avere una competenza importante da offrire agli altri componenti L’unico network italiano che c’è stato non ha funzionato a causa di banche asimmetriche in termini dimensionali (le grandi hanno iniziato a spadroneggiare), e soprattutto alcune banche non hanno offerto nulla alle altre. Caso particolare delle BCC e dei Gruppi Bancari Cooperativi → ICCREA La capogruppo ICCREA banca ha il controllo diretto su una serie di società strumentali al gruppo; per scelta strategica o per obbligo di legge queste attività sono demandate a unità specializzate. Il gruppo bancario cooperativo in generale è governato da un patto di coesione, che è accompagnato da partecipazioni che le singole BCC hanno nella capogruppo (oltre 130 banche hanno partecipazioni in ICCREA e sono contrattualmente coese con essa). La capogruppo si occupa di definire le strategie del gruppo e il contenimento del rischio complessivo del gruppo assegnando i singoli obiettivi alle singole BCC (oltre 130) e società governate (quelle in azzurro), ciascuna BCC e società ne beneficerà in termini di dividenti da parte della capogruppo stessa in cui hanno partecipazioni. Quelle in verde sono partecipazioni ma non di perimetro diretto (non strategiche). DUE SFIDE PER IL PROSSIMO FUTURO: CANALI DISTRIBUTIVI E FINTECH Prima sfida → Scelta dei canali distributivi. Per entrare in contatto con la clientela occorre scegliere attraverso quali canali distributivi farlo; esistono una serie di fattori che influiscono sulla scelta dei canali distributivi. NB: evitare la cannibalizzazione tra canali distributivi! (evitare che il nuovo danneggi il vecchio). GESTIONE DELLA BANCA L’attività della banca: • La banca può svolgere sia attività di asset transformer (attività tipica) sia attività di asset broker • L’output (produzione) è estremamente diversificato ↳ Servizi di finanziamento ↳ Servizi di investimento ↳ Servizi di pagamento • La banca è un’impresa che fa servizi → ha caratteristiche analoghe alle altre imprese di servizi, ma ha anche delle differenze molto marcate Output bancario: • servizi tangibili e intangibili (nel caso dell’attività bancaria, la distanza tra produzione ed erogazione del servizio si è allungata) • stretta congiunzione tra produzione & erogazione MA - ruolo della tecnologia - “separazione” delle attività • partecipazione importante da parte del cliente per taluni servizi • elevata componente fiduciaria Se l’output è molto diversificato, l’input non è da meno. Nella banca troviamo dei fattori della produzione analoghi a quelli delle altre imprese, ma con un peso diverso ➢ Capitale proprio (tutte le imprese hanno bisogno di un capitale, ma spesso nelle imprese rimane abbastanza statico; nel caso della banca non basta averne il minimo, gioca un ruolo molto importante) - Disposizioni normative - Copertura rischi - Operatività ➢ IT → tecnologia; elemento di estrema vulnerabilità a causa ad esempio degli attacchi informatici ➢ Human Resources: competenze e professionalità (coloro che gestiscono il rapporto con la clientela) ➢ Informazioni → insieme alle risorse umane sono i due asset fondamentali di cui non si trova traccia nel bilancio, ma di fatto sono la ricchezza, il vero valore di una banca (il vero problema è come usare queste informazioni; sta qui la rivalità con le Big Tech) Quindi, la banca: ➢ Ha un output diversificato e diverso (dalle altre imprese) ➢ È un’impresa - Multiprodotto - Multicliente - Multimercato ➢ È fortemente integrata verticalmente ➢ Presenta un elevato livello di personalizzazione del servizio ➢ Assume una propria posizione di rischio ➢ Utilizza hard & soft information ➢ Svolge un’attività di tipo fiduciario ➢ È (fortemente) regolamentata e vigilata nello svolgimento della sua attività La banca come tutte le imprese deve creare valore per tutti gli stakeholders, questi sono molteplici per una banca, sicuramente in misura maggiore rispetto a quelli di un’impresa. Generare valore significa sicuramente generare un reddito che consenta, non solo di remunerare i fattori produttivi, il capitale investito, accrescere progressivamente i fondi propri, ma anche creare un valore da distribuire (qui può avere delle conseguenze negative più veloci). Alla banca non basta generare redditività, deve anche essere in grado di assicurare sempre liquidità e solvibilità; le tensioni di liquidità di un’impresa non finanziaria hanno peso e conseguenze diverse da quelle che possono avere invece tensioni di liquidità di un’impresa bancaria. L’EQUILIBRIO (DIFFICILE) DELLA BANCA → modello di business → core business della banca, è l’attività principale ma non l’unica. Posso analizzare se la banca è in equilibrio o meno attraverso diversi indicatori: ➢ Equilibrio reddituale → il margine di interesse è il primo indicatore della sua capacità di produrre reddito, è dato dalla differenza tra gli interessi attivi e gli interessi passivi ➢ Equilibrio finanziario → matching tra le scadenze dell’attivo e quelle del passivo, sincronia tra i depositi e gli impieghi; un altro elemento che aiuta molto la banca a garantire questo equilibrio finanziario è la chiusura del circuito dei pagamenti, poiché per una banca avere il controllo complessivo di tutto il circuito è una condizione fondamentale per assicurare l’equilibrio finanziario di una banca ➢ Equilibrio patrimoniale → quando i fondi propri a disposizione sono, non solo pienamente rispondenti alle richieste delle autorità di vigilanza, ma sono anche superiori; e quando, attraverso questa dotazione patrimoniale, la banca riesce a minimizzare il rischio a cui è sottoposta la sua attività Se una banca decide di adottare un modello di asset broker (soggetto che può assumersi il rischio, ma il suo obiettivo principale è di mettere a contatto le parti senza entrare nella trasformazione degli importi delle risorse), allora il modello più tipico a cui è riconducibile questa figura è quello dell’investment banking → fa la banca (eroga finanziamenti) ma l’attività principale è quella di organizzazione dei finanziamenti, reperimento delle risorse finanziarie delle imprese attraverso altri soggetti diversi dalla banca (almeno in parte). ➢ Equilibrio reddituale → Per una banca di tipo investment, il margine di riferimento per andare a misurare la sua capacità reddituale è il margine di intermediazione ➢ Equilibrio finanziario → non ha particolari problemi in questo ambito, perché congiunge le esigenze degli uni con quelle degli altri, non entra di suo nella operatività; a volte comunque deve partecipare alle operazioni, quindi, ci possono essere dei temi legati all’attività di funding, cioè di reperimento delle risorse per conto proprio (il funding a condizioni economiche soddisfacenti, si collega ad un rischio reputazionale) ➢ Equilibrio patrimoniale → meno interessante è il ruolo del patrimonio perché in realtà non ha rischi di credito in senso stretto; ha un grosso problema oltre ai rischi reputazionali e operativi, ed è quello legato ai conflitti di interesse → corre il pericolo di trasformarsi anch’essa in banca mista quando la partecipazione assunta in un’impresa in difficoltà o il finanziamento erogato si trasforma in un’ulteriore partecipazione per mettere a disposizione ulteriore capitale che non è detto che contribuiscano a risanare l’ente. LE AREE GESTIONALI DELLA BANCA La parte in rosa è la rappresentazione stilizzata di un bilancio bancario: ❖ Attivo ↳ Riserve di liquidità ↳ Prestiti ↳ Titoli ↳ Immobilizzazioni ❖ Passivo ↳ Raccolta diretta (depositi; godono di tutela) ↳ Raccolta diretta (obbligazioni) ↳ Gestione del patrimonio Ci sono inoltre delle aree di gestione che riguardano in maniera trasversale l’intero bilancio: ❖ Risk management → gestione dei rischi complessivamente assunti dalla banca, possono posizionarsi in qualunque area rosa dello schema ❖ Gestione integrata dell’attivo e del passivo → attività che gestisce al meglio il matching tra le scadenze e la remunerazione delle diverse operazioni ❖ Gestione della tesoreria e delle liquidità → ad esempio il liquidity coverage ratio (uno dei due indicatori da rispettare) prende in considerazione sia elementi dell’attivo che del passivo LA NATURA DEL BILANCIO BANCARIO La banca deve rispondere ad una serie di stakeholders (Autorità di Vigilanza, risparmiatori, dipendenti, fornitori, comunità sociale, ecc.), oltre che agli azionisti e al mercato. Il bilancio costituisce il documento per eccellenza con il quale la banca fa conoscere a tutti i sui stakeholders quelli che sono i suoi risultati; esso viene messo a disposizione con alcuni documenti che lo accompagnano: ➢ Relazione degli organi di controllo (soggetti che hanno effettivamente gestito la banca) ↳ Collegio sindacale ↳ Consiglio di sorveglianza ↳ Consiglio di amministrazione (a seconda del modello di governance scelto) ➢ Relazione dei soggetti incaricati del controllo sull’operato degli amministratori ↳ Società di revisione (per le banche quotate deve trasformarsi poi in relazione di certificazione) L’obiettivo del bilancio è quello di restituire una conoscenza appropriata dell’impresa e dei risultati dell’impresa (sia dal punto di vista economico, che finanziario e patrimoniale). Inoltre, il bilancio deve seguire un determinato schema, che è identico a livello europeo (normativa europea implementata dalla normativa nazionale). PRINCIPI DEL BILANCIO ❖ Rispetto delle norme del Codice civile ❖ Norme specifiche date dalle autorità di settore → Consob e Ivass (se la banca agli sportelli vende polizze ed espone in bilancio la sua raccolta attraverso strumenti assicurativi, Ivass dice come vanno esposti) ❖ Rispetto dei principi contabili internazionali IAS/IFRS → ‼ IFRS9 = ha cambiato radicalmente il modo di classificare e valutare le attività finanziarie (crediti e portafoglio di titoli) ❖ Obiettivi che deve perseguire - Significatività - Comprensibilità - Attendibilità - Comparabilità, no variazione dei criteri (in caso: spiegazione degli effetti) STRUTTURA DEL BILANCIO ➢ Stato patrimoniale: poste classificate con riguardo alla controparte - ATT: liquidità decrescente - PASS: esigibilità decrescente ➢ Conto economico: in forma scalare - Risultati intermedi - Proventi e oneri operativi - Proventi e oneri valutativi ➢ Prospetto della redditività complessiva ➢ Prospetto delle variazioni del patrimonio netto ➢ Rendiconto finanziario ➢ Nota integrativa ➢ Relazione sulla gestione ➢ Relazione del collegio sindacale - Attività di controllo e Relazione all’assemblea - Osservazioni e proposte su bilancio e approvazione ➢ Relazione della società di revisione ➢ Revisione legale dei conti - Conformità con principi contabili - Chiarezza, veridicità e correttezza della situazione economico, finanziaria e patrimoniale e del risultato economico Dichiarazione non finanziaria = da conto di come la banca opera a favore dei suoi stakeholder (il bilancio serve agli shareholder), dove nel corso degli anni assumerà sempre più importanza la normativa (vincoli informativi) legati alle questioni ISG. RICLASSIFICAZIONE DEL BILANCIO Per avere delle informazioni interessanti chiunque approcci un bilancio bancario effettua delle riclassificazioni, queste servono sia per confrontare la banca nel tempo (livello micro), sia per confrontare la banca nel sistema (livello macro). Questa riclassificazione prevede aggregati nelle voci patrimoniali, e la creazione di margini nel conto economico ((e/o risultati intermedi). Attività fruttifere → quelle che generano proventi, quindi tutte le attività tranne le immobilizzazioni (che poi genererebbero anch’esse frutti, ad esempio le partecipazioni, ma sono considerate non fruttifere perché l’obiettivo di detenzione non è quello di avere un rendimento, l’interesse è strategico). Passività onerose → tutte quelle che generano un costo a carico della banca, quindi tipicamente tutte le passività di natura finanziaria (quelle di funzionamento sono considerate non onerose). Patrimonio netto → dal punto di vista contabile (non fondi propri). Il conto economico invece viene normalmente predisposto effettuando una riclassificazione che mi consente di evidenziare margini progressivi (margini che si ottengono l’uno dall’altro). Prodotto bancario lordo = raccolta diretta + raccolta indiretta + impieghi Azzurro = ROE (↓) IL CONTO ECONOMICO SCALARE Lo schema civilistico del conto economico ha sicuramente un valore dal punto di vista normativo, ma dal punto di vista interpretativo ha un valore pari a zero. Le informazioni immediate che ottengo da un conto economico redatto in formato civilistico sono se è chiuso in utile o perdita, ma questi derivano sia da fattori oggettivi, sia da valutazioni. Nel corso degli anni si è cominciato ad introdurre questi conti economici scalari, i quali sono tutti caratterizzati dalla evidenziazione progressiva di risultati significativi (immediata), questo risultato intermedio è diverso a seconda del tipo di attività economica svolta dall’impresa considerata. Per la banca è stato adattato la redazione del conto economico scalare a quella che è l’attività tipica dell’intermediario bancario. ➢ Margine di interesse (MINT) → dato dalla differenza tra interessi attivi (sia sui crediti, ma anche sui titoli che la banca ha in portafoglio) e interessi passivi (interessi pagati dalla banca, principalmente sui depositi e le obbligazioni). Nell’ultimo hanno gli interessi attivi non aumentati esponenzialmente mentre quelli passivi no, questo sta determinando utili esponenziali. Il margine di interesse è considerato la vera produzione di ricchezza di una banca (risultato della raccolta del risparmio ed erogazione di finanziamenti). ➢ Margine di intermediazione (MINTM) → margine di interesse + commissioni (+ attive e – passive) + utili/perdite derivanti da attività di negoziazione (soprattutto portafoglio titoli) tutto ciò che è risultato economico delle attività svolte dalla banca (diverse da quelle che fruttano interessi) confluiscono qui. Questo è il risultato più importante (insieme al margine di interesse) che gli analisti vanno a verificare, perché è equiparabile al valore della produzione (ricchezza prodotta dalla banca), tutto ciò che viene dopo va a ridurre questa ricchezza. ➢ Risultato lordo di gestione (RLG) → margine di intermediazione – costi operativi; è assimilabile al margine operativo lordo delle imprese industriali, ed è di fatto la ricchezza avanzata dalla banca dopo che ha remunerato i suoi fattori produttivi (spese di funzionamento). ➢ Risultato di gestione (RG) → risultato lordo di gestione – rettifiche su attività finanziarie (IFRS9); risulto economico prodotto dalla gestione ordinaria della banca, è il dato che viene osservato di più per capire se la banca è in grado di produrre reddito attraverso la sua normale attività. ➢ Reddito ante imposte (RPI) Esempio: Per questa banca ci sono costi operativi molto elevati e rettifiche molto elevate; quindi, i margini che possono apparire molto significativi, in realtà non lo sono. Il conto economico scalare, riclassificato è una sorta di tappa intermedia, perché in realtà quello che poi rileva per un investitore, un analista, un soggetto che deve valutare la solidità e la redditività della banca sono una serie di indicatori di redditività. NB: In ambito bancario il ROI diventa ROA ma il calcolo è lo stesso. Il ROE e ROA sono usati anche a livello internazionale, perché il patrimonio netto e capitale netto hanno criteri di determinazione uguali anche internazionalmente. Quindi, per effettuare un confronto in termini di redditività devo usare questi primi due indici. Gli altri, invece, sono più specifici: ➢ RoRWA → utile netto/attività pesate per il rischio (RWA); viene usato perché in realtà l’attivo, che può essere uguale in termini nominali, è molto diverso in termini di grado di rischio. Spesso si predilige al ROA, perché in questo modo ho una redditività corretta per il rischio; tuttavia, per calcolare il RoRWA occorrono le RWA che non sono un dato facile da ottenere (a meno che la banca non lo comunichi espressamente). ➢ RoTE → patrimonio netto al netto dei intangible (tutte le attività immateriali che sono in bilancio); viene calcolato per ottenere il patrimonio effettivo, al netto di tutte quelle attività intangibili che potrebbero avere un valore pari a zero (ex. avviamento senza valore). ➢ Cost/income → costi operativi/margine di intermediazione; rappresenta quanto è costoso far funzionale la banca (indicatore di efficienza operativa), è importante che sia piuttosto contenuto (mai al di sopra del 60/65%) perché la banca oltre a funzionare correttamente deve anche tenere una quota a parte della ricchezza per assorbire le potenziali perdite che possono generarsi dalla sua attività. ➢ MINT/MINTM → margine di interesse/margine di intermediazione; ci dice quant’è l’incidenza dell’attività tradizionale I PRINCIPALI RATIOS DI BILANCIO Il compito degli analisti è quello di verificare le diverse dimensioni della banca, i risultati conseguiti in queste diverse dimensioni e arrivare ad un giudizio di sintesi. Tutti i report degli analisti finiscono con questi quattro verbi → Buy, Accumulate, Hold, Sell. Questi quattro giudizi di sintesi sono solitamente accompagnati da un’indicazione di prezzo (target price = quello che ragionevolmente l’analista ipotizza che sarà il prezzo dell’azione tra sei mesi). I ratios vengono fatti perché sono semplici nel loro calcolo e danno una percezione immediata del fenomeno che sto indagando, mi permettono un confronto nel tempo e nello spazio a livello intersettoriale, infrasettoriale e temporale, inoltre, alcuni mi consentono di verificare anche taluni fenomeni più “complessi” a causa dell’utilizzo anche dei dati extracontabili. Questi indicatori sono di norma suddivisi in aree tematiche, che sono le principali aree indagate quando si parla di banche: ➢ Struttura ➢ Liquidità ➢ Patrimonializzazione ➢ Redditività ➢ Produttività ➢ Qualità dell’attivo (rischiosità) Con l’avvento e con la maggiore implementazione delle norme di vigilanza prudenziale, a quelli che sono gli indicatori gestionali (fatti unicamente con finalità conoscitive interne o esterne) si sono sovrapposti anche i coefficienti di vigilanza (rapporti che vengono calcolati da parte delle autorità di vigilanza per verificare il rispetto delle regole prudenziali). ➢ Coverage → quanta parte del credito problematico è già stata accantonata in appositi fondi in modo che nel momento in cui si dichiarerà l’effettiva inesigibilità del credito la perdita registrata sarà inferiore ➢ Texas ratio → sofferenze/patrimonio netto; indica la percentuale di patrimonio che servirà per riuscire a coprire le perdite che ragionevolmente si verificheranno ➢ Costo del rischio → accantonamenti prudenziali + rettifiche/risultato lordo di gestione; otterrò la quota a parte di credito che sono ragionevolmente certo di perdere rispetto a risultato lordo (ciò che avanzo dopo aver retribuito l’impresa basta per fronteggiare il rischio assunto?) Questi sono indicatori tradizionali, che sono variamente composti. I primi due sono abbastanza complementari, prendono entrambi il totale dell’attivo e al numero pongono o i crediti verso clientela o i crediti verso banche, e ci dicono se la banca in questione è più attiva verso la clientela o le banche. Il terzo invece è composto da crediti verso cliente/raccolta diretta, e dice se la banca è autosufficiente (se la banca riesce attraverso le somme che raccoglie, a finanziare la sua attività principale); tipicamente questo rapporto nelle banche piccole è <1 o <100 (a seconda di come lo calcolo), in quelle di grandi dimensioni invece tipicamente è >1 o >100. Infine, c’è un altro indicatore di struttura importante (in quanto coefficiente patrimoniale obbligatorio) che è il leverage → T1/somma delle attività on e off balance; ha un valore minimo pari ad almeno il 3%. Questa è la categoria più discussa in questo periodo, questo perché l’importanza della filiale si sta ormai riducendo drasticamente, così come il numero dei dipendenti in quanto molte operazioni sono ormai gestite in maniera completamente automatizzata. Ha ancora senso parametrare la produttività alla “forza fisica” solo in riferimento a determinate tipologie di attività, ad esempio nella gestione patrimoniale; quest’area parametra alcuni valori di produzione (raccolta e impieghi) a quelle che sono le risorse della banca. Questa ultima categoria di indicatori non compare mai nei bilanci di una banca, perché sono due indicatori tipici degli analisti (vengono calcolati su tutte le azioni quotate, di norma al 31/12): ➢ Price/book value → prezzo di mercato/patrimonio netto per azione (book value = valore che deriva dalla contabilità); ci dice qual è il valore che il mercato attribuisce alla banca. Atteso che il valore contabile dell’azienda in questione è dato dal patrimonio netto, il mercato ritiene che il valore effettivo di questa sia pari/inferiore/superiore al suo patrimonio netto. ➢ Price/earning → prezzo/utile per azione (earning = prendo l’utile di esercizio e lo divido per il numero delle azioni); nell’interpretazione di questo dato si ipotizza che gli earning rimangano costanti, quindi l’indicatore ci dice quanti anni occorrono a parità di utili perché io torni in possesso di quanto sto spendendo oggi per comprare una determinata azione. Per questi indicatori bisogna usare cautela interpretativa perché in taluni mesi dell’anno si calcola un price earning, con il price di un giorno e l’earning del 31/12 dell’anno prima. Ex. Fintech = società molto smart fondate da giovani che fanno grande affidamento sulla tecnologia, ma che non hanno una storia di clienti e dati. Banche = hanno una grandissima storia di relazione con i propri clienti, ma non sono ancora così smart da estrarre valore da questa storia. La convergenza tra le due cose porterà utilità, che le banche si uniscano, collaborino e si integrino con le Fintech per far si che questa grande mole di dati che dispongono possano essere tradotta in valore aggiunto per le banche. Tutte le aziende saranno aziende tecnologiche (Tech Companies) o “non saranno”. Apple ha introdotto un nuovo servizio di depositi e in 4 giorni ha raccolto più di un miliardo di dollari, questo non la rende diversa da una banca. ESEMPI DI ESERCIZI TIPO Esempio 1 1. Si, la banca rispetta i coefficienti patrimoniali minimi regolamentari (T1=6%; TCR=8%). 2. No, perché 4/5 della sua ricchezza vengono assorbiti dai costi operativi. Rimane solo 1/5 alla banca per poter coprire le rettifiche sui rischi di credito e per tutti gli oneri straordinari che si possono verificare. 3. Non possiamo dare un giudizio assoluto su questo numero, perché un buon livello di redditività lo si definisce tale solo se lo rapportiamo a quello che è il livello di redditività medio del settore. In questo caso ci viene fornito il ROE medio del settore bancario e possiamo stabilire che non ha un buon livello perché è inferiore di due punti percentuali rispetto alla redditività media. 4. Si, perché il minimo regolamentare è del 3%. 5. Si, questa banca non solo svolge in prevalenza, ma quasi esclusivamente attività di tipo tradizionale (raccolta del risparmio su cui paga interessi passivi, ed erogazione di finanziamenti o sottoscrizione di titoli su cui consegue interessi attivi). Esempio 2 Per migliorare i coefficienti patrimoniali possiamo aumentando il numeratore (capitale sociale), e in questo caso il calcolo delle RWA rimane identico (15.000), ciò che cambia è il calcolo del CET1 (1.200+300 di aumento di capitale sociale) → ottengo un miglioramento di 2 punti dei coefficienti patrimoniali. L’alternativa è quella di andare a modificare la composizione dell’attivo, ovvero riduciamo i prestiti chirografari di 2.000, e aumentiamo i prestiti alle piccole/medie imprese di 500. In questo caso vanno rifatti i calcoli delle RWA ottenendo 14.125, e mettendoli in relazione con i dati della situazione iniziale si può notare un miglioramento, ma inferiore a quello ottenuto con la prima modalità. ↳ Selezione (modalità) - Progetti con migliore rischio/rendimento - Livello di perdita attesa PORTFOLIO MANAGEMENT Ci sono diverse variabili in gioco: ➢ Di natura micro (relative alla banca, tecnico-operative e strategiche) ➢ Di natura macro (relative all’ambiente, al sistema, istituzionali) Queste variabili vanno poi ad influenzare: ➢ Volume dei prestiti (quanto vogliamo erogare, quanto decidiamo di avere) - Fattori endogeni - Fattori esogeni ➢ Composizione dei prestiti (se una banca ha problema di rispetto dei coefficienti patrimoniali, può o aumentare il numeratore o diminuire il denominatore, cambiando quindi la composizione) Interazione tra fattori macro e domanda e offerta di prestiti bancari: Questi fattori, in giallo, devono interagire con alcuni elementi dati: crescita dei prestiti, condizioni di prestito (tassi di interesse), la crescita attesa del prodotto interno lordo e il tasso di inflazione (in blu). Oltre al debito pubblico, esiste anche il debito privato (somma del debito delle imprese e delle famiglie). Le nostre imprese e famiglie non hanno ancora raggiunto livelli di indebitamento preoccupanti, a differenza di altri Paesi dell’area euro. Nel momento in cui i tassi sono impennati, la domanda di prestito è scesa diventando negativa. Gestire il portafoglio crediti significa prendere delle decisioni sia in materia di volume dei prestiti, sia in termini di composizione. Nel momento in cui devo definire il volume dei prestiti, devo prendere in considerazione sia fattori che riguardano l’interno della banca (fattori endogeni): ➢ Caratteristiche della raccolta ➢ Livello di patrimonializzazione (se sono molto al di sopra dei coefficienti minimi patrimoniali, e a tutti i buffer e richieste ulteriori della BCE in termini di SREP, posso decidere di ampliare il portafoglio prestiti in termini di volume) ➢ Accesso al mercato dei capitali ➢ Competenze e know how delle HR ➢ Capacità commerciale e struttura distributiva ➢ Ruolo delle asimmetrie informative (selezione avversa) Oltre a questi bisogna tenere in considerazione i fattori esogeni: ➢ Ciclo economico (“il cavallo non beve”) → non c’è domanda di prestiti, nonostante ci sia la disponibilità ➢ Regolamentazione (linee guida EBA 2021) → nel 2021 sono usciti degli “orientamenti” abbastanza stringenti (molto poco facoltativo) ➢ Decisioni di politica monetaria (QE & Tapering) → denaro a prezzi accessibili che ad oggi ha generato un tasso di inflazione elevato ➢ Struttura del mercato bancario e livello di concorrenza Per quanto riguarda la composizione dei prestiti, parliamo di: ➢ Diversificazione del portafoglio ↳ area geografica ↳ settore produttivo ↳ valuta di denominazione ↳ forma tecnica/scadenza ➢ Concentrazione del portafoglio e frazionamento del rischio → granularità del portafoglio (in passato logica “assicurativa” → erogavano finanziamenti di importo inferiore alla richiesta quando erano già in presenza di altri finanziamenti già ottenuti dall’impresa, ma senza esercitare alcuna valutazione sull’impresa) = evitare che ci siano pochi prestiti di grande importo erogati a determinati nominativi. Più è granulare il portafoglio crediti, meno è concentrato, minori sono le possibilità che il rischio di credito possa avere conseguenze negative sul portafoglio crediti della banca. Mentre nel passato le autorità di vigilanza si limitavano a dare misure quantitative alle limitazioni sull’attività di concessione del credito, qui invece si entra nel qualitativo, nei criteri di concessione dei finanziamenti (approccio “olistico”). CENTRALE DEI RISCHI La Centrale dei rischi è un grande database dove vengono segnalati mensilmente tutti i finanziamenti di importo ≥ 30mila € e tutte le sofferenze ≥ 250 € alla Banca d’Italia → sistema informativo sull'indebitamento della clientela verso le banche e le società finanziarie (intermediari). Questo database riporta la posizione di ciascun soggetto economico e ritorna a tutte le banche che fanno interrogazione alla Centrale dei rischi, quella che è la posizione del singolo soggetto nei confronti dell’intero sistema, distinguendo le linee di credito in base ad alcuni elementi: ➢ Accordato vs Utilizzato ➢ Sconfinamento (andare oltre la linea di credito concesso) ➢ Breve vs Medio/lungo termine (nel breve termine, quella che è apertura di credito vs altre forme) ➢ Numero di enti segnalanti (quanti sono gli intermediari che hanno già finanziato quel determinato nominativo Sulla base di queste indicazioni, la banca ha un elemento in più in materia di affidamento o meno. Accanto alla Centrale dei rischi gestito dalla Banca d’Italia, esistono altre istituzioni che svolgono servizi analoghi: ↳ CRIF → nata su iniziativa di un gruppo di banche come servizio a pagamento, con l’obiettivo di censire tutti i crediti al di sotto dei 30mila €, in modo da avere una panoramica complessiva del potenziale mutuatario. ↳ CAI → centrale allarme interbancaria, vengono registrati i mancati pagamenti derivanti da carte di credito, assegni e strumenti di pagamento in generale. MISURAZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO ↳ Rating e Credit scoring → il Rating (modo di riassumere attraverso un numero o combinazione alpha numerica o attraverso un colore, quello che è il giudizio di merito di un soggetto) comporta sempre una procedura di valutazione a differenza dello Scoring (intervento di un algoritmo che giudica determinate situazioni secondo parametri definiti) che invece è una procedura automatizzata ↳ Rating esterno (metodo standard – ECAI: external credit assessment institution) e Rating interno (metodo IRB) ↳ Due fasi nel processo interno (attribuzione del rating) o Rating assignment ✓ analisi della qualità creditizia - debitore (Probabilità di Default) - operazione (LGD, Esposizione al momento del Default, seniority, tasso di recupero, perdita massima, ecc.) ✓ metodologie di determinazione del rating o Rating quantification ✓ stima PD per ogni classe di rating ↳ Rating “modello” e override (risultato della procedura) → override = possibilità di aumentare o diminuire di uno o al massimo due notch (livelli) il rating assegnato dal rating modello sulla base di informazioni circostanziate (forzature del risultato per far salire/scendere di livello il rating) L’assegnazione del rating può avvenire secondo due diverse modalità: ➢ Statistical based → famiglie e consumatori vengono divisi in classi, a ciascuno di essi viene attribuito un grado di rischio. Logica bottom up = parto dalla situazione d’impresa e la valuto, dopodiché salgo fino ad analizzarla nel contesto macro ➢ Judgement based → formulo un giudizio che può partire o da rating esterni o da rating interni (a seconda del modello di valutazione del rischio di credito utilizzato) ma che comporta sempre un’analisi di tipo analitico. Logica top down = parto da un’analisi di tipo macro e scendo fino ad arrivare al caso considerato, la singola realtà. ↳ Diversificazione & frazionamento ↳ Entità complessiva portafoglio prestiti 2. A livello di singola esposizione (verifico che il profilo definito al momento della concessione non si sia modificato) ↳ Dinamica del profilo di rischio ↳ Rispetto obblighi contrattuali ↳ Evitare comportamenti opportunistici da parte del debitore ↳ Variazioni del rating (variazione del profilo di rischio) → determinazione fair value del credito (prestito ≅ obbligazione). Se varia il profilo di rischio, aumenta il tasso di interesse dell’obbligazione; se aumenta il tasso di interesse, il prezzo scende. Monitoraggio significa quindi: ➢ Aggiornamento dati (bilanci, relazioni periodiche, business plan, ecc.) ➢ Verifica flussi finanziari (main bank e hausbank; sono il principale interlocutore bancario per il cliente che sto considerando) ➢ Controlli banche dati e Centrale Rischi (per verificare periodicamente i dati per prendere decisioni sul cliente) ➢ Valore garanzie e LTV (loan to value) = identifica il rapporto tra il valore del prestito e il valore della garanzia, ex. 65% corrisponde alla percentuale di prestito erogato sul totale del bene dato in garanzia (ci sono alcuni contratti che prevedono che questo rapporto debba oscillare obbligatoriamente entro una determinata fascia) ➢ Rispetto covenants Questo monitoraggio va fatto con una periodicità proporzionale alla dimensione del prestito, alla rischiosità del debitore e all’andamento del contesto all’interno del quale questo soggetto è inserito (andamento ciclo economico/settore/area geografica). Il monitoraggio è fondamentale perché i crediti possono trasformarsi in: • Crediti performing (in bonis) • Crediti deteriorati o non performing (NPLs = non performing loans oppure NPEs = non performing exposures) o scaduti/sconfinati da oltre 90 gg (past due): diverse da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili, che sono scadute e/o sconfinanti da oltre 90 giorni o inadempienze probabili (unlikely to pay): le esposizioni creditizie per le quali la banca giudichi improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie o sofferenze (bad loans): il complesso delle esposizioni per cassa e fuori bilancio (garanzie rilasciate, impegni irrevocabili e revocabili a erogare fondi) nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca Quando parliamo di credito performing e non performing, non dobbiamo confonderli con i crediti forborne = tutti quei crediti per i quali la banca ha usato una procedura di forbearance, cioè di concessione → la banca attraverso queste azioni modifica alcune condizioni contrattuali per agevolare la restituzione del finanziamento da parte del cliente Le condizioni che normalmente i verificano quando si fanno azioni di forbearance sono una difficoltà finanziaria ad affrontare gli impegni in scadenza o in futuro che viene agevolata dalla rinegoziazione/rifinanziamento del debito (NON per motivi commerciali, promozionali; solo per casi di oggettiva difficoltà). Le azioni di forbearance possono essere: ↳ allungamento scadenza del prestito (in modo da ridurre la rata periodica) ↳ riduzione del tasso di interesse ↳ … Queste azioni si pongono al di sopra della classificazione dei crediti fatta precedentemente; infatti, possono essere fatte sia per i crediti performing che per i non performing. Il fatto che un credito sia stato oggetto di forbearance o meno comporta per la banca un trattamento contabile diverso (valutazione IFRS diversa). Queste azioni sono molto utili per la banca per cercare di ridurre le sue perdite, ma hanno poi degli impatti negativi in termini di valutazione del credito (possono determinare un aumento significativo delle rettifiche → riduzione dell’utile). NUOVA DEFINIZIONE DI DEFAULT → (1° gennaio 2021) Superate entrambe le soglie, prende avvio il conteggio dei 90 (o 180) giorni consecutivi di scaduto, oltre i quali il debitore è classificato in stato di default. Tutte le esposizioni vengono in qualche modo rettificate a fine anno dalla banca, la differenza sta nella misura della rettifica. Queste rettifiche sulle esposizioni sono quelle che poi vengono utilizzare per calcolare il Coverage ratio. Queste rettifiche sono degli accantonamenti contabilmente, e servono per coprire le perdite che potrebbero verificarsi. Si ritiene un buon coverage per i crediti non deteriorati una percentuale attorno al 2%, mentre per i deteriorati una percentuale almeno intorno al 70%. Per capire realmente la qualità del credito bisogna guardare nella sezione “Info sui rischi e sulle relative politiche di copertura” in cui le banche sono obbligate a riportare la situazione reale.