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Dispensa riassunto di diritto della previdenza sociale (Ferrante-Tranquillo) - 2018, Dispense di Diritto della Previdenza Sociale

La dispensa ripercorre sotto forma di riassunto il testo "Nozioni di diritto della previdenza sociale" di Ferrante-Tranquillo. Il testo è aggiornato al 2018. L'indice si trova in fondo.

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 14/06/2020

theangel1974
theangel1974 🇮🇹

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Scarica Dispensa riassunto di diritto della previdenza sociale (Ferrante-Tranquillo) - 2018 e più Dispense in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! Dispensa di Diritto della previdenza sociale Tratta dal testo di V.Ferrante e T.Tranquillo – realizzata da Davide Angelini Cap. 1) ORIGINI E PRINCIPI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE Nelle società antiche era all’interno del nucleo familiare che l’individuo poteva trovare sostegno morale e materiale in caso di necessità. Più figli si avevano, e più si poteva sperare in qualcuno che provvedesse al mantenimento dei genitori (da cui il termine “proletario”, riferito a colui che aveva nella prole l’unica ricchezza). L’industrializzazione avvenuta tra la fine del diciottesimo e il diciannovesimo secolo ha imposto l’abbandono delle campagne e l’urbanizzazione di grandi masse di soggetti costretti ad abbandonare le famiglie. Si interrompe così il vincolo solidaristico all’interno delle stesse. Se non fossero intervenuti enti caritatevoli, religiosi o filantropici, la massa di invalidi, vedove o orfani sarebbe stata abbandonata a sé stessa. Solo in alcuni casi gruppi di lavoratori rinunciavano a parte dei propri guadagni per costituire un fondo comune da cui attingere per pagare rendite o un capitale in caso di inabilità o vecchiaia: nascono così le prime società di mutuo soccorso. In caso di incidenti sul lavoro, la disciplina generale di legge in tema di responsabilità civile forniva sì una tutela ai lavoratori, ma essendo una responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, la stessa imponeva un gravoso onere della prova a carico del lavoratore (che doveva provare oltre al fatto dannoso anche la colpa del datore di lavoro). A partire dalla fine del diciannovesimo secolo si propose a livello legislativo un nuovo criterio di imputazione della responsabilità civile da affiancare a quello tradizionale della colpa, affermando per questi casi la responsabilità da rischio professionale in capo a quanti esercitassero attività pericolosa, per il solo fatto che il soggetto traeva un profitto da tale attività (responsabilità oggettiva). Rimaneva tuttavia l’eventualità, tutt'altro che remota, che quand’anche il lavoratore (o la 1 sua vedova) avesse ottenuto una sentenza favorevole, l’imprenditore poteva essere sprovvisto del patrimonio necessario per risarcire i danni. Nel 1898 fu pertanto emanata la legge n.80/1898 in tema di infortuni sul lavoro di operai dell’industria che imponeva agli imprenditori di assicurarsi contro i rischi derivanti dall’esercizio dell’impresa, dietro pagamento di un premio periodico. Il sistema, tuttavia, assicurava non il pieno ristoro della perdita subita, ma solo un indennizzo, calcolato sulla base della retribuzione percepita dal lavoratore, e si fondava su una reciproca rinuncia delle parti alle proprie pretese (sistema transattivo) Sempre nel 1898 fu istituita anche la prima Cassa nazionale di previdenza (poi divenuta INPS) per la gestione dell’assicurazione per invalidità e vecchiaia degli operai; questo costituiva un primo sistema di previdenza pensionistico, tuttavia, di tipo facoltativo (si basava su una contribuzione volontaria). I) Il sistema assicurativo-previdenziale nel codice civile Nel codice civile (che precede nel tempo la Costituzione repubblicana) le assicurazioni sociali sono un sottotipo speciale del generale “contratto di assicurazione”. La specialità sta nella particolare solidarietà esistente tra assicurati, di modo che ciò che viene pagato quale premio potrebbe non servire a sè stessi, ma agli altri. Il pagamento dei contributi è effettuato dai datori di lavoro. Tuttavia, è previsto per gli assicurati (articolo 2116 c.c.) il principio di automaticità, in forza del quale le prestazioni sociali (ad esempio in caso di infortunio) sono sempre dovute, anche quando il datore di lavoro non ha versato i contributi (o il lavoro è già di per sé “in nero”). Il sistema di tipo assicurativo, nell’ambito degli infortuni sul lavoro, si basa sul “meccanismo attuariale”, tipicamente assicurativo, basato sulla legge dei grandi numeri: l’ammontare complessivo dei premi raccolti in un dato periodo deve corrispondere all’importo di quanto pagato a titolo di indennizzo per lo stesso periodo, ripartendo così il rischio fra tutti gli assicurati (in ciò sta la solidarietà fra assicurati). 2 Il sistema vigente in Italia consiste pertanto, nel suo complesso, in un misto tra prestazioni universalistiche e prestazioni ancorate al principio della corrispettività, anche se è ben chiaro che i contributi versati oggi non mirano a pagare la propria pensione di domani, ma a fornire le coperture finanziarie per le pensioni da erogarsi oggi (regime di solidarietà tra assicurati e “patto generazionale”). Si può così dire che vi sia un vincolo stabilito dalla Costituzione nei confronti del legislatore sull’an delle prestazioni (cioè se sono dovute o meno), mentre rimane nella discrezionalità del legislatore il quantum. Come spiegato dalla Corte costituzionale, la situazione è però più sfumata di quanto appaia, in quanto da un lato il concetto di adeguatezza delle prestazioni in favore dei lavoratori (art. 38, comma 2 cost.) impone la fissazione delle stesse in un punto intermedio tra il minimo vitale (garantito invece come assistenza sociale ai non lavoratori impossibilitati al lavoro) e i mezzi idonei a garantire il tenore di vita raggiunto dal lavoratore. Dall’altro lato, nell’ottica del principio di solidarietà, il mancato riconoscimento della prestazione previdenziale si può giustificare solo quando a fronte di elevati costi sociali necessari per erogare la prestazione il singolo assicurato conseguirebbe un’utilità minima (da qui ad esempio, la previsione di un importo minimo della pensione, sotto il quale la stessa non viene riconosciuta, per lo meno sino a 70 anni di età, dopo la quale viene riconosciuta qualsiasi somma). IV) Fonti internazionali ed europee in tema di previdenza A livello internazionale abbiamo la Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) del 1952, che prevede norme minime di sicurezza sociale, in special modo su vecchiaia, famiglia e maternità. Con riferimento all’Unione Europea, l’articolo 153 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE) prevede che l’Unione sostenga e completi l’azione degli Stati membri anche nel campo della sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori. 5 Cap. 2) I SOGGETTI DEL DIRITTO PREVIDENZIALE I) Assicuranti e assicurati Il diritto della previdenza sociale ha per oggetto lo studio dei rapporti che intercorrono tra l’assicurante e l’istituto assicuratore con riferimento all’aspetto contributivo (rapporto contributivo), e tra l'assicurato e l’istituto medesimo per l’aspetto delle prestazioni (rapporto previdenziale). L'ASSICURANTE è il soggetto che per legge è tenuto a versare i contributi in favore del lavoratore assicurato. È ogni datore di lavoro, non per forza imprenditore, a prescindere dall’effettiva corresponsione di una retribuzione o dall'effettivo versamento dei contributi; ciò significa che anche in mancanza di versamento di contributi il lavoratore ha diritto ugualmente alla prestazione previdenziale (ad esempio in caso di infortunio). È pertanto irrilevante, ai fini del rapporto contributivo, che la prestazione lavorativa sia resa in nero. L’istituto assicuratore riconosce in ogni caso al lavoratore infortunato un indennizzo in forza del principio di automaticità (art. 2116 cod. civ.), solo in via di anticipazione e con riserva di rivalersi sul datore di lavoro. Anche la costituzione di rapporti di lavoro invalidi (ad esempio nel caso di minori di 16 anni) non dispensa comunque il datore di lavoro dall’obbligo contributivo; la stessa regola vale per i lavoratori stranieri irregolari. Gli ASSICURATI sono principalmente i lavoratori subordinati, ma anche certi lavoratori autonomi, parasubordinati, soci di cooperativa, volontari di organizzazioni di volontariato. Il lavoratore subordinato rappresenta certamente il “tipo” di base su cui è stata storicamente elaborata la figura dell’assicurato in tema previdenziale. La subordinazione consiste nella soggezione del lavoratore al potere del datore di lavoro di organizzare la prestazione lavorativa, di impartire direttive sul modo di eseguire le prestazioni, di controllare il lavoro ed il lavoratore, di esercitare l'azione disciplinare, di stabilire e far rispettare un orario di lavoro, di inserire il lavoratore nell’organizzazione aziendale. 6 La disciplina previdenziale tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, non solo quelle subordinate, ampliando pertanto il numero dei soggetti protetti. Recentemente, tuttavia, si è riscontrata una battuta d’arresto a tale tendenza, in quanto con il jobs act del 2015 è stato abolito, per esempio, il lavoro a progetto andando così a restringere l’ambito di tutela del settore cd “parasubordinato”. Vediamo che tipo di tutela viene oggi riconosicuta a varie categorie di rapporti di lavoro diverse da quella classica del lavoratore subordinato. L’assicurazione previdenziale del lavoratore subordinato ricorre anche in caso di appalto e somministrazione di manodopera. In tali casi l’obbligazione contributiva è responsabilità sia del datore di lavoro “ufficiale” (cioè di colui che assume il lavoratore) che del committente (nell’appalto) o dell’impresa utilizzatrice (nella somministrazione). Si tratta, pertanto, di responsabilità solidale, ma esiste il beneficio di preventiva escussione: per il pagamento dei contributi si chiederà prima all’appaltatore o al somministratore, e solo in caso di esito negativo la richiesta verrà avanzata al committente o all’utilizzatore. Con riferimento ai rapporti di lavoro cosiddetto parasubordinato, prima del jobs act vi rientravano le collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co). Queste sono caratterizzate da una prestazione d’opera (collaborazione) resa da un soggetto in modo prevalentemente, ma non esclusivamente, personale e che, a differenza del lavoro autonomo, può essere chiesta anche da un solo committente, affinché sia stabilmente inserita nell’ambito del proprio ciclo produttivo (coordinamento). Tale attività costituisce fonte di reddito pressoché esclusiva del lavoratore (continuatività). Rispetto al lavoro subordinato, la fattispecie in esame si caratterizza per la mancanza di un controllo da parte del committente sull’organizzazione e sull’orario nella fase di esecuzione della prestazione lavorativa (cd autorganizzazione). Prima del 2003 per tali tipi di lavoro parasubordinato non sussisteva alcun obbligo contributivo a carico del committente (era il lavoratore che si iscriveva presso la gestione separata INPS). 7 Quanto alla pensione di reversibilità, in passato la stessa veniva riconosciuta alla moglie in caso di morte del marito, mentre il caso inverso era ammesso solo se il marito fosse risultato invalido almeno al 66%. Questa disparità è stata eliminata. Con riferimento all’accesso alla pensione in generale, il codice delle pari opportunità sancisce che le donne lavoratici hanno diritto a proseguire il rapporto di lavoro fino al raggiungimento degli stessi limiti di età previsti per gli uomini. Ad oggi alle donne spetta una facoltà di opzione su quanto tempo proseguire il lavoro, opzione sulla quale il datore di lavoro non può interferire. È da aggiungersi, peraltro, che a fronte della riforma pensionistica del 2011 (riforma Fornero), nel 2021 vi sarà equiparazione tra le età pensionabili. È stato altresì previsto dalla stessa riforma un progressivo innalzamento dell’età pensionabile delle donne anche nel settore del pubblico impiego (ma qui rimane sempre una ingiustificata differenza di età tra uomini e donne). - divieto di discriminazione per età L’articolo 37 della ostituzione vieta ogni discriminazione in quanto a retribuzione anche con riferimento al lavoro minorile. I cosiddetti salari minimi di ingresso (cioè quelli previsti per introdurre nel mondo del lavoro i minori) sono vietati in quanto costituiscono discriminazione in entrata nel mondo del lavoro; sono invece consentiti nel caso di contratti con finalità formative o di apprendistato (perchè in questo caso è prevista una contribuzione integrativa a carico dell’INPS). È ancora oggi ammessa, invece, una discriminazione per età in tema di uscita dal mondo del lavoro, nel caso di automatica risoluzione del rapporto di lavoro per il neo pensionato (questa cosa avviene soprattutto nel settore del pubblico impiego). La corte di giustizia UE ha infatti ritenuto che non debba applicarsi il divieto di discriminazione per età nel caso del neo pensionato uscito dal lavoro, dovendosi bilanciare l’interesse individuale del lavoratore con quello generale del ricambio generazionale. Il sistema attuale prevede diverse opzioni per i lavoratori in età pensionabile, che possono decidere di posticipare il momento di entrata della pensione oppure di percepire la pensione potendo (entro alcuni limiti) cumularla con redditi da lavoro. 10 - divieto di discriminazione per nazionalità Per quanto attiene alla nazionalità del lavoratore, occorre differenziare i casi a seconda che il lavoro venga svolto da italiani all'estero o, viceversa, da stranieri in Italia. Nel primo caso c'è un differente regime assicurativo a seconda che l'attività sia svolta: I. in paesi UE; II. in paesi extra UE convenzionati con l’Italia; III. in paesi extra UE senza convenzioni con l'Italia. Per quanto attiene, invece, ai trattamenti previdenziali riservati ai cittadini stranieri provenienti da paesi che non siano legati all'Italia da alcun trattato internazionale, occorre un apposito “visto di ingresso”, oppure il rilascio della “carta blu” per i soggiornanti di lungo periodo. Per tutti costoro vige il principio di territorialità, di modo che il lavoro svolto in Italia sia soggetto alla normativa italiana, compreso l’obbligo contributivo all’INPS. Il diritto alla pensione sorge al compimento del 65° anno di età anche in deroga ai requisiti contributivi previsti. Agli stranieri (extra UE) sono anche garantite prestazioni assistenziali, a prescindere dalla previa corresponsione dei contributi. La legislazione, in linea con quanto indicato dall'OIL, si era orientata alla concessione di tali prestazioni assistenziali solo ai soggiornanti di lungo periodo, ma tale presupposto è stato dichiarato illegittimo sia dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che dalla nostra Corte Costituzionale. III) Gli istituti assicuratori A partire dagli ultimi anni del secolo scorso, in conseguenza di varie operazioni di concentrazione, è venuto meno il cosiddetto pluralismo previdenziale. Oggi è così concentrata in capo all’INPS la gestione dell’assicurazione generale obbligatoria, e in capo all’INAIL la gestione dell’assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro. Prima di tale concentrazione, la più importante divisione dei sistemi previdenziali si aveva tra i dipendenti privati (assicurati presso l’INPS) e i dipendenti pubblici, che venivano raggruppati in svariate casse (alcune istituite e gestite presso il Ministero del Tesoro), oppure legati direttamente al Ministero del Tesoro. 11 Le casse dei dipendenti pubblici erano denominate, nel loro insieme, “forme di previdenza esclusiva” perchè escludevano la gestione dell'INPS. Con la riforma del pubblico impiego avvenuta nel 1993 tutte queste casse dei dipendenti pubblici sono state riunite nell’INPDAP. Accanto a forme esclusive di previdenza erano previste (per i privati) forme sostitutive dell’INPS, sostitutive (ossia facoltative) in quanto prevedevano un trattamento più favorevole rispetto all’INPS (ad esempio l’ENPALS per i lavoratori nel mondo dello spettacolo). L’opera di concentrazione è proseguita facendo confluire infine anche l’INPDAP in una gestione dell’INPS, la quale ha poi da ultimo assorbito pure l’ENPALS. È sopravvissuta all’opera di concentrazione solo l’INPGI cui rimangono oggi assicurati i giornalisti professionisti iscritti all’albo professionale. L'Inpgi non è più però un istituto pubblico, in quanto è stato trasformato in una fondazione di diritto privato. Ricordiamo che per i liberi professionisti iscritti ad un albo continuano ad esistere le casse professionali. In definitiva, l’INPS rappresenta oggi il principale ente collettore di soggetti assicurati, ed è ad esso che si fa rinvio con particolare riferimento all’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS) dei lavoratori dipendenti pubblici e privati. La concentrazione in capo all’INPS non ha fatto venire meno la disciplina specifica che si applicava ai singoli gruppi confluiti nel corso del tempo nell’INPS, di modo che si può continuare a parlare di fondi o regimi sostitutivi, esclusivi e integrativi, oggi incardinati presso le gestioni INPS. Oltre alla previdenza obbligatoria si hanno varie forme di previdenza complementare, la quale può essere pubblica (presso l’INPS), oppure privata in quanto gestita da enti privati assicurativi. Cap. 3) LE PRESTAZIONI: IL SISTEMA DELLE PENSIONI Nella sua più antica origine il sistema pensionistico era di tipo contributivo e limitato ai soli lavoratori che, per il ridotto reddito, non potevano contare su risparmi individuali come mezzo di sostentamento per il momento in cui fosse cessata la loro attività lavorativa. 12 Sistema retributivo e contributivo, nella lunga fase transitoria prevista dalla riforma, erano destinati a coesistere sino alla riforma del 2011, che ha generalizzato per tutti il metodo contributivo. Nel sistema contributivo l’assegno mensile della pensione risulta dalla somma dei contributi versati nell’arco dell’intera carriera lavorativa, opportunamente rivalutati (montante). Al montante si applica poi un coefficiente di trasformazione basato sulla speranza di vita (SDV); tale coefficiente è tanto più elevato quanto più elevata è l'età del pensionato; in tal modo chi è più giovane gode di un assegno di misura inferiore a chi ha prolungato la propria attività lavorativa. I coefficienti sono aggiornati con provvedimento ministeriale e sono riferiti sino all’età massima di 70 anni. Un’altra area di intervento della riforma del '95 è stata quella di progressiva armonizzazione dei sistemi pensionistici per dipendenti pubblici e privati, per uomini e donne, per lavoratori dipendenti e autonomi. Una terza area di intervento ha riguardato il riordino dei vari istituti di previdenza e assistenza e del tema della previdenza complementare. Le nuove disposizioni della riforma Dini trovavano applicazione integrale solo per i neo assunti in data successiva 1/1/96 (sistema contrubutivo puro). Per coloro che a tale data potevano vantare 18 anni o più di contribuzione si continuava ad usare il sistema retributivo, basato sulla media delle retribuzioni (sistema retributivo puro). Per chi invece poteva vantare meno di 18 anni di contribuzione si sarebbe applicato il sistema retributivo sino al 31/12/95 e poi, dal primo gennaio, si sarebbe passati al contributivo (sistema misto). Dal 1.1.2012 il sistema della pensione contributiva è stato esteso a tutti, e dunque anche a quanti avevano conservato il diritto a vedersi applicato il sistema retributivo puro perchè avevano maturato almeno 18 anni di anzianità contributiva all’entrata in vigore della legge nel ’95. Per costoro si parla ora di sistema misto, in quanto si applica il retributivo sino al 31/12/2011 e dal 1/1/2012 il contributivo. La pensione di anzianità, cancellata per i neo assunti, permaneva per coloro che fossero stati già assicurati alla data di entrata in vigore della L. 335 /1995. Era previsto per costoro un lungo 15 periodo transitorio (sino al 2008) durante il quale potevano ottenere la pensione di anzianità con 35 anni di contributi e un'età anagrafica dapprima di 52 anni, poi elevata progressivamente sino ad arrivare, a partire dal 2008, a 57 anni. Dal 2008 dovevano scomparire del tutto le pensioni di anziantià, accorpate in un unico trattamento pensionistico, ma così non è stato per gli interventi avvenuti a partire dal 2004 che hanno modificato la diciplina. IV) La riforma “Maroni” del 2004 Nel 2004 la riforma “Maroni”, che avrebbe dovuto avere effetto dal 1.1.2008, interveniva sul diritto alla pensione di anzianità, stabilendo che questa sarebbe scattata, a partire dal 2008, con 35 anni di contributi e un'età anagrafica elevata in un sol colpo da 57 a 60 anni (cd “scalone”), oppure con 40 anni di contributi, a prescindere dall'età anagrafica. La riforma, in realtà, non è mai entrata in vigore, perchè prima del 2008 subì delle modifiche nel 2007. Unica parte sopravissuta è stata l'”opzione donna” che consentiva alle donne l'accesso alla pensione con 35 anni di contributi e 57 di età, ma a patto che la pensione venisse interamente calcolata col sistema contributivo. V) Le riforme tra 2007 e 2010 La riforma del 2007 prevedeva un innalzamento dell'età anagrafica per l'ottenimento della pensione di anzianità, innalazamento non brusco come nel caso dello “scalone” della riforma Maroni, bensì graduale, secondo il sistema delle quote . Si sommavano i due requisiti dell'anzianità contributiva e dell'età anagrafica, realizzando in maniera più graduale la transizione alla soglia dei 60 anni di età pensionabile. Ad esempio, nel 2009 si poteva andare in pensione con almeno 35 anni di contributi, purchè la somma con l'età anagrafica desse almeno la quota 95 (le opzioni erano minimo 59 anni di età e 36 di contributi, oppure 60 anni di età e minimo 35 di contributi); nel biennio 2011-2012 con quota 96 (minimo 60 anni di età e 36 di contributi, oppure 61 anni di età e minimo 35 di contributi). Rimaneva il diritto al pensionamento a qualsiasi età con 40 anni di contributi. 16 Nel 2010 si assiste a interventi non sostanziali, bensì “tampone”. Si introduceva il posticipo di un anno alla pensione per tutti i lavoratori, attraverso la previsione di una “finestra mobile”, cioè di un intervallo fra il momento di maturazione del diritto (e di presentazione della domanda) e l'effettivo pagamento della prima mensilità di pensione. Oltre a questo venne stabilito un adeguamento alle speranze di vita, che posticipava ulteriomente il momento di pagamento, e da aggiornare con decreto ministeriale ogni 3 anni (all'epoca il posticipo era di 3 mesi, oggi è di 7 mesi). VI) La riforma “Fornero” del 2011 Nel 2011 viene emanata l'ultima (per ora) riforma che attualmente disciplina il sistema pensionistico nel suo complesso. La Legge n. 214 / 2011 (cd legge “Fornero”) unifica i trattamenti pensionistici dal punto di vista del metodo di calcolo e dell'innalzamento dell'età di accesso. Viene mantenuto il trattamento di pensione di anzianità (ora denominata pensione anticipata), reso ancor più rigoroso che in passato (si ricorda che sono chiesti al momento 41 anni e 10 mesi di contribuzione per le donne, e 42 anni e 10 mesi per gli uomini). - La pensione di vecchiaia Nel sistema attuale, a seguito della riforma del 2011, il diritto alla pensione di vecchiaia sorge sul presupposto che l'assicurato, previa risoluzione del rapporto di lavoro, possa vantare almeno 20 anni di contribuzione ed un'età minima di 66 anni per gli uomini e 65 per le donne (ricordiamo che il periodo transitorio terminerà nel 2021 allorchè per uomini e donne l'età sarà di 67 anni + i 7 mesi di sdv). Ulteriore requisito di ordine negativo è che l'ammontare della pensione risultante non sia inferiore a 1,5 volte l'importo della pensione sociale, a meno che l'assicurato abbia compiuto 70 anni (+ il solito posticipo per la sdv) e abbia almeno 5 anni di contribuzione: in tal caso la pensione di vecchiaia verrà liquidata per qualsiasi importo. L'alternativa è la pensione sociale. Anticipiamo che la pensione sociale (oggi chiamata assegno sociale) viene corrisposta generalmente nella somma di circa € 440 raggiunta l'età di 65 anni (+ 7 mesi di sdv) e in caso di indigenza o comunque bassi redditi. 17 un albo professionale, fossero privi di una specifica disciplina contributiva (cioè lavoratori autonomi senza cassa professionale), sia quanti fossero parte di un rapporto di lavoro che si concretasse in una collaborazione coordinata e continuativa (cd parasubordinazione) Ricordiamo che già esistevano (ed esistono tuttora) 3 gestioni speciali per lavoratori autonomi e per coloro che effettuano la loro prestazione al di fuori di un vincolo di subordinazione. Diciamo che la quarta gestione rappresenta un po' una gestione residuale nella quale confluiscono figure professionali che non trovano diversa collocazione. Riassumendo:  la prima gestione speciale è riservata a imprenditori agricoli;  la seconda gestione speciale è riservata agli artigiani;  la terza gestione speciale è riservata a quanti esercitano attività commerciale, turistica o un'altra delle attività del settore terziario;  la quarta gestione speciale è riservata a quanti svolgano per professione abituale attività di lavoro autonomo, senza avere titolo per l'iscrizione ad alcuna delle casse istituite per i liberi professionisti (come per avvocati, commercialisti, geometri, ingegneri e architetti, medici e odontoiatri, etc.), per i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) e per gli incaricati alla vendita a domicilio. L'obbligo di iscrizione alla gestione separata sorge per i lavoratori autonomi in caso di prestazioni non continuative, allorchè il reddito annuo sia superioe a € 5.000. I parasubordinati devono invece iscriversi indipendentemente dal reddito conseguito. Attraverso l'insieme delle estensioni realizzate nella legislazione più recente, dunque, ogni attività non occasionale di lavoro (a meno sia di lavoro autonomo occasionale ma comporti un reddito superiore a € 5.000) resta assoggettata all'obbligo contributivo. La riforma del 1995 ha introdotto anche per tali categorie di lavoratori il metodo contributivo, per coloro che si sono iscritti dopo l'entrata in vigore della riforma. A seguito della riforma Fornero tali lavoratori, con 20 anni di contributi, possono beneficiare della pensione di vecchiaia (oggi all'età di 66 anni e 7 mesi per gli uomini e 66 anni e 1 mese per le donne; dall'1.1.2019 66 anni e 7 mesi per tutti; dal 2021 67 e 7 mesi per tutti). 20 La pensione di anzianità (pensione anticipata), spetta agli uomini con 42 anni e 10 mesi di contribuzione, alle donne con 41 anni e 10 mesi. IX) I dipendenti delle pubbliche amministrazioni Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è stato lungamente disciplinato da una normativa diversa rispetto a quella applicata ai lavoratori privati, non solo per quanto attiene gli aspetti previdenziali, ma altresì in relazione alle posizioni soggettive delle parti nella fase di esecuzione del rapporto di lavoro (e le cause giudiziarie di lavoro si facevano avanti il giudice amministrativo, mentre quelle dei dipendenti privati avanti il giudice ordinario). Il vasto disegno di riforma avvenuto tra il 1992 e il 1995 (compresa la privatizzazione del pubblico impiego del 1993) ha condotto alla progressiva omogeneizzazione delle regole, sia con riferimento al rapporto di lavoro che per quanto riguarda gli aspetti previdenziali (anche di previdenza complementare). È rimasta solo la cognizione della Corte dei Conti in materia di pensioni pubbliche. Prima del 1992 la pensione di vecchiaia spettava al dipendente pubblico che avesse raggiunto 65 anni con 15 anni di servizio effettivo. Aveva invece diritto alla pensione di anzianità, a qualunque età, con 20 anni di servizio. La maturazione di quest’ultimo diritto, a partire dal 1992, è stato spostata in avanti elevando a 35 gli anni di contribuzioni richiesti. La riforma Dini del 1995 ha istituito una gestione separata in seno all’INPDAP per i trattamenti pensionistici dei dipendenti dello stato. La base contributiva e pensionabile veniva allineata a quanto previsto per il settore privato. Veniva realizzata una parificazione pressoché totale fra il regime dei dipendenti pubblici e di quelli privati, applicando anche ai primi il metodo contributivo (ma solo per i neoassunti dal 1/1/96). Le successive riforme hanno reintrodotto delle differenze relative al settore pubblico, differenze stigmatizzate dalla Corte di Giustizia UE nel 2008. In forza dell'ultima riforma del 2011, l’età pensionabile è attualmente fissata per i dipendenti pubblici a 66 anni e 7 mesi (e 20 anni di contribuzione) che diventerà, a partire dal 2021, e tanto per il settore privato quanto per quello pubblico, 67 anni e 7 mesi. 21 Il raggiungimento del limite anzidetto comporta per il pubblico dipendente l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro. Per i trattamenti di anzianità le regole sono le medesime già viste per il settore privato (41 anni e 10 mesi per le donne e 42 e 10 mesi per gli uomini). X) Cumulo tra pensione e reddito da lavoro Nella legge del 1969 era previsto un divieto assoluto di cumulo tra la pensione di anzianità con redditi da lavoro dipendente. Una disciplina più permissiva era dettata per quanti avessero raggiunto l’età della pensione di vecchiaia, con il massimo di anni di contribuzione. Secondo la normativa attualmente vigente, già dal 2001 i titolari di pensioni di vecchiaia, indipendentemente dall’anzianità contributiva, possono cumulare i redditi da lavoro autonomo e, dal 2009, anche da lavoro dipendente. Le pensioni di anzianità, liquidate interamente con il sistema contributivo e contribuzione di almeno 40 anni, sono cumulabili, sempre dal 2009, con i redditi da lavoro, sia autonomo che dipendente. L’attività di lavoro subordinato svolta dal pensionato viene assoggettata alla medesima contribuzione prevista per tutti gli altri lavoratori, di modo che questi verrà a maturare in forza dei contributi così versati il diritto a un supplemento di pensione, decorsi però due anni dal superamento dell’età pensionabile. XI) L'assegno di invalidità e la pensione di inabilità Il lavoratore può venirsi a trovare in situazioni di bisogno costituzionalmente protetto, non solo in ragione del venire meno delle forze conseguente all’età (che giustifica le pensioni di vecchiaia e di anzianità), ma anche a causa del sopraggiungere di una malattia o di un infortunio che limiti o annulli, in parte o del tutto, la sua capacità di provvedere al sostentamento proprio e dei propri familiari, attraverso il suo lavoro. Nei casi di riduzione della capacità a svolgere un'attività confacente con le proprie attitudini si riconosce un assegno di invalidità (già chiamata pensione di invalidità), mentre per i casi di mancanza di ogni capacità lavorativa viene liquidata una pensione di inabilità. 22 La pensione spetta anche al coniuge separato cui non è stata addebitata la separazione e che era già titolare dell’assegno di mantenimento (stessa cosa in caso di divorzio). Tali diritti permangono sino a che il coniuge superstite non sia passato a nuove nozze. 2. I figli minorenni; i figli studenti sino a 26 anni per universitari (ma “in corso” con gli studi) a carico e senza attività lavorativa alla data del decesso; i figli di qualunque età se inabili. Il figlio, se è il solo superstite, ha diritto al 70%; se i figli sono due la quota complessiva è 80%; 100% se i figli sono più di 2. 3. In mancanza delle persone suddette, del trattamento beneficiano i genitori dell’assicurato deceduto che abbiano compiuto 65 anni e non godano di trattamenti pensionistici; in mancanza anche di questi, sono beneficiari per una quota del 15% i fratelli e le sorelle non sposati, purché inabili e a carico. Gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili coi redditi del beneficiario, ma solo entro certi limiti. Non vengono tuttavia operate riduzioni quando nel nucleo familiare siano presenti figli minori, studenti o inabili. XIII) La perequazione automatica delle pensioni Con la perequazione il legislatore ha inteso far fronte alla diminuzione del potere d’acquisto delle pensioni, stabilendo un adeguamento automatico annuale dell'importo delle pensioni sulla base del costo della vita secondo gli indici ISTAT. Con la legge 153/1969 l’aumento avveniva in maniera fissa uguale per tutti in relazione alla scala mobile annuale. Nel 1986 la perequazione avveniva semestralmente. Dal 1992 si è tornati all’aumento annuale che viene calcolato sull’effettivo incremento del costo della vita e non sul tasso di inflazione programmato. XIV) Il minimale di prestazione e la quota sociale Il minimale di prestazione è l’importo minimo che si ritiene adeguato a garantire una capacità di sostentamento dell’assicurato in conformità al parametro costituzionale dell’adeguatezza. La cosiddetta integrazione al trattamento minimo altro non è che l’integrazione fino alla 25 concorrenza di un certo ammontare (nel 2015 pari a € 501,89 mensili). L'onere economico è a carico delle singole gestioni pensionistiche. Dal 1988 è previsto in favore dei titolari di trattamenti integrati al minimo, che siano sprovvisti di un reddito annuo sopra un certo limite, la concessione di una ulteriore maggiorazione detta quota sociale. L’onere economico della quota sociale è a carico della GIAS. Tale prestazione, però, non è più prevista a beneficio delle pensioni calcolate con il sistema contributivo (oggi praticamente tutte). Per quanti non riescono a maturare al momento del raggiungimento dell’età massima per la pensione l’importo minimo previsto per quel sistema non resta che l’intervento dell’assegno sociale. L’integrazione alle minime non spetta ai soggetti che percepiscono un reddito superiore a certe soglie. XV) L’assegno sociale La pensione sociale costituisce attuazione dell’articolo 38, comma primo, della Costituzione, concretizzandosi in un trattamento avente natura strettamente assistenziale, riconosciuto in caso di bisogno del singolo e indipendentemente da ogni requisito contributivo. La legge 335/1995 regola ora l’istituto modificando anche la denominazione (da pensione sociale ad assegno sociale). Il diritto all’assegno sociale spetta ai cittadini italiani residenti in Italia che abbiano compiuto 65 anni e 7 mesi. L’erogazione della prestazione è subordinata alla condizione che l’interessato non sia titolare di reddito, o lo sia per un ammontare inferiore alla pensione sociale. Alla formazione del reddito non concorrono: il TFR, il proprio assegno sociale, il reddito della casa di abitazione, la pensione contributiva che non superi un terzo della pensione sociale. L’onere dell’assegno sociale è a carico della GIAS, il cui finanziamento è totalmente assicurato dallo Stato. L’assegno sociale è esente da imposizione tributaria, non è reversibile né cedibile, sequestrabile o pignorabile. L’assegno è però temporaneo e non permanente, ovvero segue la permanenza dei requisiti. 26 XVI) Le pensioni estere Quanto alla tutela dei lavoratori dei paesi UE, i principi comunitari in tema di previdenza sociale sono: I. Parità di trattamento fra lavoratori dei paesi comunitari all’interno dell’Unione. II. Assoggettamento del lavoratore alla legislazione previdenziale dello Stato in cui svolge la prestazione, e non di quello in cui si trova la sede del datore di lavoro, o in cui è stato assunto il lavoratore. III. Possibilità di cumulare (congiungere), ma non di sovrapporre, i periodi contributivi ovunque localizzati all’interno dell’unione (cd totalizzazione). Ad esempio, per raggiungere in Italia i 20 anni di contribuzione per la pensione di vecchiaia il lavoratore può congiungere 14 anni di contributi in Italia e 6 in Francia, purché non siano periodi di lavoro sovrapposti. La prestazione pensionistica viene equamente divisa tra i diversi enti assicuratori comunitari pro quota a seconda dei relativi periodi di contribuzione. Per il pensionando è sufficiente la presentazione della domanda presso uno solo degli enti assicuratori. La tutela previdenziale del lavoratore italiano nei paesi extra UE può essere regolata da apposite convenzioni bilaterali, la cui disciplina è spesso analoga a quella sopra vista (vedi convenzioni con Argentina, Brasile, Canada, Svizzera, Stati Uniti). Peraltro una diversa ed ulteriore convenzione con gli USA lascia liberi i lavoratori di scegliere uno dei due sistemi previdenziali (nazionale e USA). Per quanto riguarda la tutela previdenziale del lavoratore italiano nei paesi extra UE privi di convenzioni, un tempo era prevista la facoltà per il datore di lavoro di assicurare i suoi dipendenti presentando apposita domanda al Ministero del Lavoro. Dopo vari interventi della Cassazione e della Corte Costituzionale è stata emanata la legge numero 398 del 1987. Ai sensi di tale normativa il lavoratore italiano deve essere assicurato presso l’INPS per invalidità, vecchiaia e superstiti, per disoccupazione involontaria e maternità, mentre per gli infortuni e le malattie professionali deve essere assicurato presso l’INAIL. I contributi che il datore di lavoro deve versare non sono però i medesimi che pagano i lavoratori che lavorano in italia, ma costituiscono un importo convenzionale, determinato ogni anno con decreto ministeriale. 27 L’accesso alla prestazione è consentita in caso di disoccupazione involontaria (o anche nel caso di risoluzione consensuale per accordo davanti alla Direzione Territoriale del Lavoro) e per dimissioni per giusta causa. Nel caso di licenziamento in tronco (ossia per giusta causa) la prestazione viene ugualmente erogata, ma trascorsi 37 giorni (e non 7). È prevista la decadenza dal trattamento: - in caso di inizio di un’attività lavorativa non comunicata; - in caso di maturazione del diritto alla pensione; - In caso di diritto all’assegno di invalidità. Qualora il lavoratore inizi un’attività lavorativa e lo comunichi all’INPS, continuerà ad avere diritto alla NASPI, purché la retribuzione percepita non superi annualmente il limite previsto per l’esenzione dall’imposizione fiscale. L’indennità viene ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto per il nuovo lavoro, che deve svolgersi presso un datore di lavoro diverso non collegato al primo. Il beneficiario può chiedere la liquidazione anticipata dell'indennità in un'unica soluzione per avviare un’attività di impresa o di lavoro autonomo. Il Jobs Act prevede altresì una prestazione di disoccupazione anche per i collaboratori coordinati e continuativi, i lavoratori autonomi e gli occasionali (DIS-COLL) che possono vantare 3 mesi di contribuzione tra la cessazione del rapporto di lavoro e il primo gennaio dell’anno precedente la cessazione stessa, e un mese di contribuzione nell’anno in cui si verifica la disoccupazione. L’erogazione del trattamento di DIS-COLL avviene come per la NASPI. La prestazione viene riconosciuta per un massimo di 6 mesi. Per i percettori di NASPI che abbiano esaurito il periodo di sostegno senza trovare occupazione, e siano in stato di bisogno, il Jobs Act ha introdotto in via sperimentale un assegno di disoccupazione (ASDI) della durata massima di 6 mesi e di importo pari al 75% dell’ultima indennità NASPI percepita (mai comunque superiore all’assegno sociale). 30 II) La tutela in caso di sospensione dell’attività: la CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI La cassa integrazione guadagni trova origine negli anni '40 e si riferiva esclusivamente agli operai del settore industriale. La legge n. 164/1975 dispone ora sulla materia in generale. Una successiva legge del 1991 ha esteso il trattamento della cassa integrazione cosiddetta “ordinaria” anche a impiegati e quadri, lasciandone esclusi solo i dirigenti e i lavoratori a domicilio. Già negli anni '80 il sistema riguardava non più solo i lavoratori del settore industriale, ma anche quello del commercio e agricoltura, purché riferite ad attività connesse a quelle industriali o in virtù delle dimensioni dell’impresa. L’integrazione salariale è dovuta nella misura dell’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata ai dipendenti per le ore di lavoro non prestate comprese fra le 0 ore e il limite massimo fissato nei contratti collettivi. Nei periodi di cassa integrazione il lavoratore ha diritto alla contribuzione figurativa per tutto il periodo di integrazione salariale, se si tratta di zero ore. Devono essere invece pagati i contributi effettivi in caso di integrazione ad orario ridotto, sulla base della retribuzione erogata per le ore effettivamente prestate. Però, così facendo, chi lavorava era sfavorito rispetto a chi non lavorava, perché si vedeva accreditare una contribuzione inferiore rispetto a chi si trovava a zero ore lavorate. Per ovviare a tale disparità si è disposta la possibilità di un eccezionale cumulo tra contributi effettivi e contributi figurativi. Il Jobs Act stabilisce ora una durata massima complessiva di ricorso alla cassa integrazione di 24 mesi (36 mesi in caso di contratti di solidarietà connessi al trattamento di cassa integrazione straordinaria, o CIGS) in un quinquennio mobile. Durante il periodo di cassa vige il divieto di svolgere attività di lavoro autonomo o suborninato. L’intervento di integrazione salariale può rivestire carattere ordinario (CIGO) o straordinario (CIGS), a seconda di distinti presupposti, ed avere durata diversa. In relazione al diverso tipo di intervento mutano anche le imprese ammesse al beneficio e i correlativi oneri contributivi. 31 La CIGO presenta un campo di azione più vasto rispetto alla CIGS, che è limitata alle imprese con più di 15 dipendenti del settore industria ed edilizia. Quanto ai presupposti, l’intervento della CIGO trovava in origine applicazione solo a fronte di situazioni temporanee non imputabili al datore di lavoro, e occorreva altresì che l’impresa non avesse operai in sovrannumero. In seguito è stato esteso l’intervento della cassa anche per l’ipotesi di crisi temporanee di mercato. La CIGO è finanziata da lavoratori e datori di lavoro, mentre la CIGS è a carico della GIAS. La CIGS era originariamente concessa in caso di crisi economiche settoriali o locali, oppure per ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale. Con il Jobs Act le cause di intervento della CIGS sono: - riorganizzazione aziendale (l’impresa deve presentare un piano di interventi finalizzato al mantenimento occupazionale); - crisi aziendale (l’impresa deve presentare un piano di risanamento; non è ammessa in caso di procedure concorsuali, quali il fallimento); - contratti di solidarietà. Non può essere chiesta la CIGS per unità produttive per le quali sia stata richiesta, con riferimento agli stessi periodi e per le stesse causali, la CIGO. Diversa è anche la durata dell’intervento delle due casse: per la CIGO 3 mesi prorogabili fino ad un massimo di 12; per la CIGS 12 mesi in caso di crisi aziendale, 24 mesi in caso di riorganizzazione aziendale. In seguito al Jobs Act sono ammesse nuove richieste dopo aver già usufruito di interventi della cassa, sempre nel quinquennio mobile, ma solo se è trascorso un periodo di ripresa dell’attività lavorativa uguale a quello di sospensione, per la CIGO, e pari a 2/3 per la CIGS. Sul piano della procedura, l’intervento ordinario di cassa integrazione postula una delibera dell’INPS, mentre l’intervento straordinario richiede, dopo la delibera dell'INPS, un decreto del Ministero del Lavoro a conclusione di un complesso Iter procedurale. Nello specifico, oggi per la CIGO è previsto che l’impresa comunichi alle RSA/RSU e alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale le cause 32 Una misura alternativa alla mobilità è stata per lungo tempo il prepensionamento. Il suo presupposto, ai sensi della L. 223/91, era costituito dalla risoluzione del rapporto di lavoro con un’uscita “morbida”, previsto per coloro che vantavano un’anzianità contributiva di almeno 15 anni e un’età inferiore di non più di 5 anni rispetto a quella prevista per la pensione di vecchiaia. Il grande uso che si è fatto dell’istituto ha progressivamente visto ridursi l’intervento a carico dello stato in modo che il costo è stato sempre più posto a carico del datore di lavoro. III) Fondi bilaterali per il sostegno al reddito Un certo numero di imprese rimaneva comunque al di fuori dell’orbita di applicazione della cassa integrazione, in ragione della particolare attività esercitata (ad es. credito e assicurazione), delle dimensioni più piccole dell’impresa o dell’inquadramento dei lavoratori (ad es. ne sono esclusi i dirigenti). La funzione di sostegno ai lavoratori è stata così affidata ad una misura nata nel 1996, poi ripresa dalla legge Fornero e quindi modificata, come vedremo, dal Jobs Act. Il modello è costituito dai fondi di solidarietà usati soprattutto nel settore del credito e per i quali il legislatore rimette alla contrattazione collettiva l’iniziativa per la costituzione, poi disposta con decreto ministeriale. In alternativa a questo modello viene valorizzata l’esperienza dei fondi bilaterali usati nel settore dell’edilizia e dell’artigianato, costituiti presso associazioni o fondazioni aventi personalità giuridica, anche in questo caso su iniziativa della contrattazione collettiva, ma con adesione spontanea delle singole imprese. La riforma del 2015 promuove i fondi di solidarietà presso l’INPS prevedendo, nello specifico, i seguenti modelli: I. Fondi di solidarietà bilaterali; II. Fondi di solidarietà alternativi; III.Fondo residuale o di integrazione salariale. 35 I primi sono nell’ambito del bilancio INPS e vengono costituiti, sulla base di accordi e contratti collettivi, con decreto del Ministero del Lavoro. L’istituzione di tali fondi è obbligatorio per tutti i settori non coperti dalla normativa sull’integrazione salariale in relazione alle imprese che occupano più di 5 dipendenti. Il trattamento è erogato dal fondo per un massimo di 13 settimane in un biennio. I secondi sono previsti per settori quali l’artigianato e la somministrazione di lavoro, nei quali siano già operanti consolidati sistemi di bilateralità. Anche in tal caso la prestazione viene erogata per 13 settimane in un biennio. In caso di inerzia delle parti sociali, una volta decorso il tempo assegnato (e l’impresa abbia più di 15 dipendenti), provvede il terzo tipo di fondo, cioè quello residuale, che opera per un massimo di 26 settimane in un biennio. Tale fondo, dal 1/1/2016, viene denominato fondo di integrazione salariale. IV) Il fondo di garanzia del TFR Nell’ambito delle tutele previste dall’ordinamento per l’ipotesi della crisi dell’impresa, esiste una speciale assicurazione sociale, denominata fondo di garanzia del TFR, diretta ad attribuire al lavoratore la garanzia del pagamento del TFR. Il rischio per il lavoratore starebbe nel fatto che nel caso in cui il datore di lavoro subisse una procedura concorsuale, il lavoratore sarebbe costretto ad attendere l’esito incerto della procedura per sperare di veder soddisfatto il proprio credito. Il sistema assicurativo, nato sulla scorta di una direttiva comunitaria, garantisce al lavoratore subordinato l’importo del TFR maturato ogni qualvolta il relativo debito sia stato accertato con l’inserimento nello stato passivo della procedura concorsuale, o quando sia stata inutilmente intrapresa l’esecuzione forzata nei confronti di datori di lavoro non soggetti alle procedure concorsuali (ad esempio le piccole imprese). Il trattamento si estende anche alle ultime 3 mensilità di retribuzione, ove anch’esse non corrisposte. 36 Il fondo di garanzia, istituito presso l’INPS, è finanziato dai datori di lavoro (nella misura dello 0,20% della retribuzione). Il fondo, dopo aver erogato il trattamento al lavoratore, si sostituisce a questo nell’esercizio dei diritti in sede concorsuale. V) Prestazioni a tutela della famiglia L’esigenza di corrispondere un più elevato trattamento economico agli assicurati con familiari a carico costituisce il fondamento dell'assegno unico per nucleo familiare. A partire dal 1988, al posto dell’assegno in misura fissa per ciascun familiare a carico è previsto un assegno unico per nucleo familiare unitariamente considerato. Per la determinazione della misura dell’assegno si tiene conto del numero dei componenti della famiglia e del reddito complessivo della stessa. L’assegno viene erogato dal datore di lavoro per conto dell’INPS, cui spetta la gestione. L’onere contributivo grava sul datore di lavoro in percentuale sulla retribuzione corrisposta a tutti i lavoratori dell’azienda, anche se privi di familiari a carico. Nel nucleo familiare sono compresi il coniuge e i figli minori (oltre quelli, pur maggiorenni, affetti da infermità fisica o mentale con assoluta e permanente impossibilità di lavorare). Ad ulteriori condizioni possono ricomprendersi anche i genitori e gli altri ascendenti in linea retta. Non hanno diritto all’assegno il coniuge e i figli del datore di lavoro, essendo questi già tenuto al loro mantenimento, nonché coloro che fan parte dell’impresa familiare, i lavoratori autonomi e i pensionati da lavoro autonomo. L’assegno viene corrisposto in costanza di retribuzione e spetta anche nei periodi di cassa integrazione a zero ore, nonchè durante la malattia. Con riferimento alla tutela della maternità e della paternità, il d. lgs n. 151/2001 prevede il diritto del lavoratore di astenersi dalla prestazione in relazione a tre distinte ipotesi: I. Congedo di maternità: viene riconosciuto alla lavoratrice nei 2 mesi precedenti la data prevista del parto e nei 3 mesi successivi alla nascita. 37 Cap. 5) LE PRESTAZIONI: LA TUTELA CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI I) Soggetti e attività protette La tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali mette capo principalmente all’INAIL, eccezion fatta per gli impiegati e i dirigenti delle imprese agricole che sono assicurati presso l’ENPAIA (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza nelle Imprese Agricole). L’attività dell’INAIL, che si estende anche agli impiegati pubblici, è integralmente regolata dal d.p.r. 1124/1965, nonché dal d. lgs. 38/2000. I soggetti assicuranti sono i datori di lavoro privati e pubblici che occupano dipendenti per i quali sussiste il rischio di infortunio, e per i quali non sussiste obbligo di assicurazione presso altro ente previdenziale. Sono considerati datori di lavoro anche le società cooperative e altri tipi di società nei confronti dei propri soci che prestino opera manuale, o sovrintendano all'altrui lavoro manuale. Sono considerati datori di lavoro nei confronti di quanti svolgano lavori manuali, o sovrintendano a lavoro manuale altrui, anche:  le scuole e gli istituti di istruzione che attendano ad esperienze tecnico-scientifiche o esercitazioni pratiche;  le case di cura, gli ospizi ed ospedali, gli stabilimenti di detenzione e di pena. Il contributo assicurativo prende il nome di premio e viene calcolato sulla retribzione dei soli lavoratori aventi diritto alle prestazioni in caso di realizzazione dell'evento lesivo. La tariffa dei premi viene ordinata secondo una classificazione tecnica di lavorazioni (industria, artigianato, terziario, altre attività). Il datore di lavoro, prima di iniziare l'attività, deve effettuare una denuncia all'INAIL. Circa il quantum dell'obbligo contributivo, esso varia non solo in relazione alla lavorazione svolta, ma è altresì suscettibile di aumento o diminuzione in relazione all'effettiva situazione dell'azienda per quanto riguarda il rispetto delle norme di prevenzione degli infortuni e dell'igiene sul lavoro e, soprattutto, in considerazione dell'andamento degli infortuni e delle malattie verificatesi in azienda. 40 Il diritto al riconoscimento dei premi in favore degli enti assicuratori si prescrive in 5 anni da quando il datore di lavoro è tenuto ad eseguire il versamento. Per quanto concerne la sfera soggettiva della tutela, la legge ricorre alla combinazione di due criteri: il primo si riferisce alle attività protette, distinte a seconda che il pericolo di infortunio discenda dalla pericolosità dell'ambiente in cui si svolge l'attività tutelata, oppure dalla natura stessa del lavoro; il secondo criterio si riferisce direttamente alla tipologia delle persone protette. In particolar modo, ai sensi dell'art. 1 del d.p.r. del 1965 la pericolosità ambientale è determinata dalla presenza di macchine, comunque azionate. La pericolosità per la natura dell'attività riguarda: le attività di costruzione, manutenzione e demolizione di opere edili, di trasporto, di carico e scarico, di scavo, attività di estinzione di incendi (eccetto i vigili del fuoco, che sono assicurati presso il Ministero dell'Interno), il servizio di vigilanza privata, portieri di stabili se addetti agli ascensori o alle caldaie, le esperienze tecnico-scientifiche o esercitazioni pratiche svolte da insegnanti ed alunni di scuole anche private. Ai sensi dell'art. 4 del d.p.r. del 1965, sono persone protette, se non rientrano nelle precedenti disposizioni, coloro che: 1) prestano alle dipendenze altrui opere manuali retribuite; 2) coloro che anche senza partecipare materialmente al lavoro manuale, sovrintendono il lavoro manuale altrui (cd assistenza a contrario); 3) gli artigiani che prestano opera manuale; 4) gli apprendisti; 5) i soci di cooperativa e di altre società che prestino opera manuale; 6) i ricoverati in case di cura e i detenuti in stablimenti di pena che svolgano lavoro manuale e coloro che sovrintendono. Il D. lgs 38 / 2000 ha infine esteso la tutela contro gli infortuni sul lavoro anche ai lavoratori dell'area dirigenziale, a quelli parasubordinati adibiti alle attività sopra viste, agli sportivi professionisti dipendenti. 41 II) Oggetto dell'assicurazione: gli infortuni sul lavoro L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione del lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di 3 giorni. Per occasione del lavoro si intende tutto ciò che è avvenuto in ragione del lavoro e/o nei luoghi di lavoro. Il problema ha riguardato il cosidetto infortunio in itinere , ossia l'infortunio che colpisce l'assicurato nel corso di spostamenti che trovano motivazione nel rapporto di lavoro. Dapprima è stata la giurisprudenza a riconoscere tutela al lavoratore infortunatosi in itinere, poi è intervenuto il d.lgs 38 / 2000 che prevede ora la tutela nel caso degli infortuni occorsi agli assicurati durante il normale percorso di andata e ritorno dai luoghi di abitazione a quelli di lavoro, nonché durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L'occasione del lavoro deve escludersi, invece, quando l'infortunio consegua ad un comportamento doloso del lavoratore. Parimenti, nel caso di sua colpa, qualora la stessa non sia connessa all'adempimento della prestazione lavorativa, ma sia del tutto estranea, non verrà riconosciuto l'infortunio sul lavoro. Qualora la lesione sia sotto il 10%, non sussiste il diritto alla tutela indennitaria. Nessuna indennità spetta altresì in caso di inabilità temporanea parziale. In caso di infortunio, l'infortunato (o chi per lui in caso di impossibilità) deve comunicare l'evento immediatamente (entro 15 giorni se si tratta di malattia professionale) al datore di lavoro, che inoltrerà poi la denuncia alla Polizia di Stato entro 2 giorni (5 giorni in caso di malattia professionale), con allegato certificato medico. La Polizia informerà poi la Direzione Territoriale del Lavoro che procederà all'inchiesta sull'accaduto (ma oggi anche il lavoratore, un superstite o l'INAIL potranno autonomamente informare la DTL). L'erogazione delle prestazioni ha carattere indennitario e avviene per tutta la durata dell'inabilità, ma solo a partire dal quarto giorno dall'infortunio (o da quando si è manifestata la malattia 42 Con una serie di sentenze la Corte Costituzionale ha ampliato l'ambito di operatività della responsabilità civile del datore di lavoro comprendendo, per esempio, tutti i casi in cui il danno sia causato da un comportamento costituente reato perseguibile d’ufficio, anche se commesso da ogni tipo di dipendente, e non solo da quelli addetti alla sorveglianza. L’accertamento del fatto/reato può essere compiuto anche dal giudice civile in via incidentale, e dunque a prescindere da una condanna penale. In più, l’INAIL può agire in regresso anche se non è stato posto in condizione di partecipare al processo penale (questo è un esempio di come il fatto/reato può essere conosciuto dal giudice in sede civile in via incidentale). Un problema in più è sempre stato rappresentato, a partire dagli anni '70, dal danno biologico, il quale, ledendo la salute in quanto tale a prescindere dall’incidenza sulla capacità a produrre reddito, non era compresa nel d.p.r. del 1965; il risarcimento del danno biologico seguiva allora le normali regole di responsabilità civile. Vi erano sostanzialmente due tipi di danno: uno rientrante nella disciplina INAIL (quello incidente sulla capacità di produrre reddito del danneggiato), e l'altro (qiello biologico) risarcibile a prescindere dalla capacità lavorativa tramite il sistema di responsabilità civile. La Corte Costituzionale ha poi dichiarato che il danno biologico e il danno coperto dall’INAIL sono parzialmente coincidenti, consentendo in tal modo al danneggiato di chiedere al responsabile civile l’intero danno biologico e non solo la quota eccedente la somma già indennizzata dall’INAIL. Dopo queste sentenze della Corte, la giurisprudenza ha avuto un atteggiamento schizofrenico: c’erano giudici che riconoscevano al danneggiato la facoltà di agire contro il danneggiante per due/terzi del danno biologico, mentre l’altro terzo era coperto dall’INAIL (che per tale importo poteva rivalersi sul responsabile civile). Per altra parte della giurisprudenza il danneggiato poteva pretendere dal responsabile civile l’intero risarcimento del danno biologico e l’INAIL non poteva agire in regresso su questo. Per correggere queste distorsioni il d. lgs. 38/2000 ha ricompreso espressamente il danno biologico nell’ambito dell’assicurazione INAIL, il quale fa uso di una tabella delle menomazioni secondo la quale menomazioni di grado compreso tra il 6 e il 15% sono coperte una tantum, mentre per menomazioni pari o superiori al 16% è prevista una rendita in base al sesso e all’età 45 dell’assicurato (e una parte anche sulla base della retribuzione). Si è così consentito all’assicurato di ricevere indennità dall’INAIL evitando che egli agisse anche contro il responsabile civile, ed evitando in tal modo duplicazioni risarcitorie. Le tabelle INAIL, però, presentano l'inconveniente di prevedere percentuali di menomazione con importi più bassi rispetto a quelle usate nei tribunali per la responsabilità civile. Si discute se il danneggiato possa agire, per la differenza tra le due percentuali, contro il responsabile civile, il che contrasterebbe col carattere transattivo, e quindi sattisfattivo, del sistema indennitario di cui al d.lgs. 38/2000. L’INAIL, qualora eroghi delle prestazioni a favore dell’assicurato per danni prodotti da un terzo che non sia il datore di lavoro-assicurante (ad es. nel caso di incidente stradale), subentra nel diritto al risarcimento del danno dell’assicurato nei confronti del terzo responsabile civile. Quest’azione di surroga si differenzia dall’azione di regresso che spetta solitamente all’INAIL nei confronti del datore di lavoro-assicurante; inoltre si va davanti al giudice civile, mentre l'azione di regresso viene svolta davanti al giudice del lavoro. Cap. 6) LE PRESTAZIONI: MISURE DI CARATTERE ASSISTENZIALE I) Il Servizio Sanitario Nazionale e l'assistenza sanitaria Il prototipo di tutela universale indicato dall’articolo 38 della Costituzione è al momento attuato, al di là dell’assegno sociale, dal Servizio Sanitario Nazionale, che assicura cure a tutti i cittadini in forma tendenzialmente gratuita, in modo da favorire gli interventi assistenziali a favore dei soggetti affetti da disabilità fisica o psichica. In forza dell’articolo 32 Cost, la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Un tempo i servizi sanitari erano assicurati, da numerosi enti pubblici chiamate casse mutue, ai soli lavoratori e ai loro familiari. La tutela veniva assicurata in riferimento a determinate malattie, e con un carattere di intervento meramente curativo. 46 Il legislatore, con la legge 833 / 1978, ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale in un’ottica che abbandonava la logica assicurativa tipica delle casse mutue, per sposare un criterio di tipo universalistico. Il servizio non coinvolge solo lo Stato, ma anche le Regioni, e si apre alla collaborazione con soggetti privati tramite il cosiddetto accreditamento. Peraltro, l’articolo 117 Cost., come modificato nel 2001, attribuisce alla legislazione concorrente di Stato (leggi di principio) e Regioni (leggi di dettaglio) il tema della salute. I soggetti protetti dal SSN sono tutti i cittadini. La tutela viene estesa agli stranieri residenti che lo richiedono nonché, a particolari condizioni, ai cittadini stranieri comunque presenti nel territorio italiano. Originariamente il servizio era alimentato dal fondo sanitario nazionale, finanziato e ripartito in sede di bilancio dallo Stato, e dalla tassa sulla salute, versata da tutti coloro che presentavano la dichiarazione dei redditi. Il fondo era anche alimentato dalle somme corrisposte dai cittadini per avere accesso a certe prestazioni sanitarie (cd ticket). Successivamente, il fondo è stato soppresso per essere sostituito dall’IRAP, sistema di imposizione fiscale che grava su imprese e lavoratori autonomi. La spesa sanitaria è inoltre coperta dal ticket nonché anche da prelievi sull’IVA e sulle accise sulla benzina. L’evento generatore del bisogno dell'assistenza sanitaria è il pericolo della malattia in senso soggettivo, cioè il bisogno di cure individualmente avvertito dal soggetto. Le prestazioni originate dall’evento sono sia di carattere economico che sanitario. Le prime sono fornite dall’INPS e anticipate dal datore di lavoro in caso di malattia. Le prestazioni di carattere sanitario sono erogate per mezzo delle varie ASL disseminate sul territorio nazionale, oppure da medici e strutture convenzionate con le ASL stesse. Per garantire un grado di uniformità su tutto il territorio nazionale, lo Stato individua i livelli essenziali di assistenza (LEA) come prestazioni minime da assicurare. Un primo gruppo di prestazioni è finalizzato alla prevenzione. Un secondo gruppo è preordinato a garantire un’attività di cure attraverso prestazioni mediche di tipo generico (mediante il medico di base liberamente scelto dal cittadino, ma convenzionato con il 47 frequenza continua o periodica di centri ambulatoriali oppure di scuole pubbliche o private (anche materne). Il procedimento amministrativo per il riconoscimento delle varie prestazioni di invalidità civile prevede una prima fase finalizzata all’accertamento medico legale dei presupposti (a cura delle ASL), e una seconda fase che prevede la gestione e la corresponsione delle prestazioni da parte dell’INPS. Quest’ultima può procedere ad accertare la permanenza dei requisiti sanitari convocando il beneficiario per una nuova visita medica. Cap. 7) LA CONTRIBUZIONE I) La retribuzione imponibile Come vengono calcolati i contributi previdenziali (denominati “premi” nell'ambito dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali)? Annualmente vengono rese note dall'INPS apposite tabelle, all'interno delle quali si espongono, a seconda del settore merceologico di attività del datore (es. industria, commercio, credito, etc.), le aliquote vigenti, in varie voci, a seconda delle diverse gestioni (es. per assegni familiari, tubercolosi, indennità di disoccupazione, etc.). La base imponibile su cui applicare le aliquote è data dalla retribuzione che, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 153/1969, nella sua prima versione, era da considerarsi tutto ciò che il lavoratore riceveva dal datore di lavoro in denaro o in natura...in dipendenza del rapporto di lavoro. Problema di non poco conto era lo stabilire se i contributi dovessero calcolarsi sulla somma effettivamente corrisposta al lavoratore o su quella dovutagli per legge o per contratto collettivo. La legge n. 389/1989 ha optato per questa seconda ipotesi. In tal senso appare pacifico che i contributi vadano versati anche in assenza di un effettivo pagamento al lavoratore. Vi erano nella prima versione della l. 153/1969 alcune voci, di natura risarcitoria o indennitaria per spese, escluse dalla base imponibile. 50 Così era, ad esempio, per i rimborsi “a piè di lista” (somme rimborsate per spese di viaggio, vitto e alloggio), per l'indennità di cassa (che si era soliti corrispondere al lavoratore che aveva maneggio di denaro del datore e fosse nei suoi confronti responsabile) e per l'indennità di trasferta (per spese che il lavoratore sosteneva in trasferta, ossia temporaneamente fuori dalla sede abituale di lavoro), ma in tale ultimo caso l'esclusione dall'imponibile era al 50%. In forza dell'art. 12, 1° comma, della l. 153/1969, nel testo novellato nel 1997 e attualmente vigente, si prevede che costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli rilevanti ai fini dell'imposta sui redditi di cui all'art. 49 del d.p.r. n. 917/1986 (cd TUIR), ossia i redditi di lavoro dipendente che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze sotto la direzione altrui e maturati nel periodo di riferimento. Il secondo comma dell'art. 12 sancisce poi che per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale si applicano le disposizioni di cui all'art. 51 del TUIR, in base al quale costituiscono reddito da lavoro tutte le somme e valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Il 4° comma del novellato art. 12 l. 153/1969 individua ipotesi specifiche e tassative nelle quali non sorge l'obbligo del versamento dei contributi (eslcusioni): a) le somme corrisposte a titolo di TFR (che ha già di per sé natura previdenziale); b) le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, fatta salva l'imponibilità dell'indennità sostituiva del preavviso; c) i proventi e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento danni; d) le somme provenienti da gestioni e fondi previdenziali obbligatori, nonché da polizze assicurative; e) le erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali qualora le relative somme siano incerte nella loro corresponsione e ammontare, in quanto legate a incrementi di produttività (norma ed esenzione peraltro abrogate nel 2007); f) le somme a carico del datore di lavoro destinate al finanziamento della previdenza complementare. 51 Per quanto riguarda i lavoratori autonomi ed i professionisti iscritti ad una propria cassa di previdenza, la contribuzione viene generalmente calcolata sia sulla base del reddito annuo dichiarato ai fini fiscali, sia sulla base del volume di affari complessivo fatturato ai fini IVA. Tale quota viene di fatto a gravare sul committente, mediante l'esposizione della voce nella fattura). II) Il calcolo dei contributi Determinata la retribuzione imponibile, per il calcolo dei contributi dovuti si utilizzano le apposite tabelle indicanti le diverse aliquote contributive, in relazione ai macro settori omogenei di attività del datore di lavoro: 1. industria (che raccoglie le attività: manifatturiere, estrattive, impiantistiche; di produzione e distribuzione di energia, gas e acqua; dell'edilizia; dei trasporti e delle comunicazioni; della pesca; dello spettacolo); 2. artigianato; 3. agricoltura; 4. terziario (che comprende le attività: commerciali, ivi comprese quelle turistiche; di produzione, intermediazione e prestazione servizi; per le attività artistiche; 5. credito, assicurazioni e tributi. Le aliquote possono variare all'interno del medesimo settore e categoria produttiva, ad esempio in relazione al numero dei dipendenti e alle loro qualifiche. Le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti devono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne che a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro (art. 2 d.l. n. 463/1983, convertito nella legge n. 389/1989). Ciò consente al datore di lavoro di versare mensilmente all'INPS solo quanto risulti dall'esito delle compensazioni operate fra le diverse partite. 52 iscritti all'AGO o a forme sostituive ed esclusive; è altresì consentito, alle medesime condizioni, in favore di quanti svolgano attività di lavoro dipendente in forma stagionale, temporanea o discontinua, in relazione a periodi non coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa. Un'ulteriore ipotesi di riscatto è prevista poi dalla l. n. 388/2000 che istituisce un apposito fondo a favore dei lavoratori discontinui e lo estende ai lavoratori parasubordinati di cui alla “quarta” gestione separata INPS. L'accresciuta frammentazione dell'attività lavorativa richiede la previsione di strumenti atti a consentire il sommarsi dei vari periodi di contribuzione presso gestioni diverse. Viene in rilievo a tal fine la ricongiunzione, disciplinata dalla legge. n. 29/1979, che prevede a favore del lavoratore dipendente (pubblico o privato) la possibilità su domanda di ricongiungere presso l'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS i contributi (effettivi, volontari e figurativi) accreditati presso forme di previdenza esclusive (es. INPDAP), esonerative (es. Fondo dipendenti Cariplo) o sostituive (es. INPDAI). Questa ricongiunzione avviene ai fini del diritto e della misura di un'unica pensione. Fino al 2010 l'ozione era gratuita, ma a decorrere dal 1° luglio 2010 la l. 122/2010 ha stabilito che alle ricongiunzioni venga posto a carico dei richiedenti l'onere di sostenere i costi economici dell'operazione. L'art. 2 della citata l. 29/1979 contempla la facoltà, analoga e simmetrica, di trasferire periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria e figurativa ovunque maturati presso una qualunque gestione diversa dall'assicurazione obbligatoria INPS; anche in tal caso si è tenuti al pagamento di una somma. In caso di mancato pagamento degli oneri di cui sopra, la ricongiunzione non si attua (ma può essere ripresentata la domanda, art. 5). Le norme per la determinazione del diritto e della misura della pensione unica derivante dalla ricongiunzione sono quelle in vigore nella gestione presso cui si accentra la posizione assicurativa (art. 7). La facoltà di ricongiunzione può essere operata anche dagli aventi diritto alla pensione di reversibilità (art. 10). 55 La legge. n. 45/1990 prevede norme in materia di ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per il liberi professionisti (avvocati, ingegneri, architetti, commercialisti), il cui contenuto non è dissimile dalla normtiva sopra esaminata. VI) La totalizzazione La ricongiunzione consente di ricostituire un'unica posizione assicurativa per mezzo del trasferimento dei contributi da una gestionte all'altra, susistendone alcuni requisiti e il pagamento di oneri finalizzati a compensare il trattamento più favorevole determinato dalla ricongiunzione presso la singola gestione, di solito la più favorevole. La Corte costituzionale, per ovviare ai limiti della ricongiunzione, ha sollecitato il legislatore a provvedere affinchè l'assicurato che non sia in grado di operare la ricongiunzione a causa della sua eccessiva onerosità, possa comunque avvalersi dei diversi periodi contributivi, ovunque maturati (Corte cost., 5 marzo 1999, n. 61). Viene quindi in rilievo il diverso istituto della totalizzazione, disciplinato dapprima dalla legge. n. 388/2000, e poi dal d.lgs. n. 42/2006. Il legislatore, analogamente al principio vigente nell'ipotesi di assicurato che abbia maturato i contributi previdenziali in diversi paesi dell'Unione europea, ha previsto un'identica soluzione operante in ambito nazionale, anche se nei soli casi tassativamente previsti. In questi casi è consentito all'assicurato, che non sia già titolare di un trattamento pensionistico autonomo presso una gestione previdenziale, di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti al fine del conseguimento di un'unica pensione. La totalizzazione vale non solo ai fini della pensione di vecchiaia, ma anche di quelle di anzianità. É richiesto il requisito dei 65 anni di età dell'assicurato, e un'anzianità contribuitiva di almeno 20 anni (oppure, qualsiasi sia l'età dell'assicurato, 40 anni di anzianità contributiva). La totalizzazione è subordinata al presupposto che l'assicurato non abbia presentato domanda di ricongiunzione. La domanda per la totalizzazione va presentata dall''interessato presso l'ultimo ente previdenziale al quale l'assicurato risulta o è risultato iscritto. L'onere economico della prestazione resta ripartito tra ciascuna delle gestioni interessate, sulla base dei rispettivi periodi di contribuzione. 56 Il pagamento degli importi al richiedente è effettuato dall'INPS, che tipula con gli enti interessati apposite convenzioni. Cap. 8) LE OMISSIONI CONTRIBUTIVE I) L'obbligo contributivo: adempimento, prescrizione e automaticità Il versamento dei contributi avviene mediante accredito bancario o postale (tramite il modello F24), mentre mensilmente vengono denunziati all'INPS, in via telematica, i dati retirbutivi e contributivi del personale dipendente cui si riferisce la contribuzione. Per assicurare un più stretto coordinamento fra tutte le attività vigilanza coivolte, è stato istituito col d.lgs. n. 149/2015 l'Ispettorato nazionale del lavoro, facendo confluire in un'unica agenzia i servizi ispettivi degli istituti previdenziali e quelli che già mettevano capo alle Direzioni Territoriali del lavoro, che permangono in vita, private, però, di tutte le funzioni ispettive. Con l'istituto introdotto si consente che nelle ipotesi di intervento dei servizi ispettivi su richiesta di un lavoratore, l'ente preposto alla vigilanza possa, mediante un proprio funzionario, farsi parte attiva per definire una conciliazione, attraverso il pagamento della retribuzione omessa. Non è tuttavia chiaro se, al momento di definire in via transattiva la retribuzione dovuta al lavoratore, il legislatore abbia accettato di quantificare anche la contribuzione in misura ridotta rispetto alle retribuzioni originariamente dovute. Un controllo indiretto in ordine al rispetto delle norme in tema di contribuzione si ricava dalla istituzione del documento unico di regolarità contributiva (DURC) che attesta l'assenza di ogni pendenza e che viene obbligatoriamente richiesto alle imprese e ai singoli quale condizione necessaria ai fini del pagamento di debiti che gravano in capo alle pubbliche amministrazioni. Ai sensi dell'art. 2946 c.c. “salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”. Il debitore potrà spontaneamente adempiere lo stesso, ma in questo caso non potrà richiedere indietro quanto pagato adducendo l'avvenuta prescrizione (cd soluti retentio, art. 2034 c.c.). 57 L'assicurato può esperire in alternativa due azioni: una contro l'INPS, l'altra contro il datore di lavoro assicurante. 1) Nel primo caso agisce in sostanza per attuare il principio di automaticità ; a tal fine, l'assicurato dovrà dimostrare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, l'effettivo pagamento della retribuzione e la mancata intervenuta prescrizione del credito contributivo. In caso di soccombenza, l'INPS si rivarrà nei confronti del datore di lavoro inadempiente. 2) Nel secondo caso, l'assicurato agirà per ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi evasi in favore dell'ente previdenziale, per la regolarizzazione della posizione assicurativa. Con riferimento al periodo contributivo prescritto, l'ente previdenziale non è più titolare del credito contributivo, tanto che un eventuale pagamento da parte dell'assicurante non verrebbe acettato. Permane però in capo all'assicurato il diritto al risarcimento del danno derivante dall'omissione contributiva. Il risarcimento danni può avvenire: a) condannando il datore assicurante, oppure b) tramite costituzione di una rendita sostitutiva della perdita del trattamento per effetto dell'omissione sudetta. Il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria è decennale, secondo la regola generale dell'art. 2946 c.c. Quanto al dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione, è stato accolto il criterio che lo fissa nelmomento in cui l'assicuato matura i requisiti di età, contribuzione ed assicurazione necessari per il sorgere del diritto, poiché è solo in tale momento che il danno (perdita del trattamento pensionistico, oppure percepimento di un trattamento pensionistico inferiore a quello che gli sarebbe spettato) ha modo di verificarsi . Questo criterio è stato ulteriormente corretto, facendosi riferimento al momento in cui l'INPS, o l'ente previdenziale di riferimento, comunica all'assicurato il rifiuto di erogare la prestazione, o eroga una prestazione minore. É da tale momento che l'interessato ha coscienza dell'omissione. 60 Nel caso della costituzione di una rendita, tale rendita, pari alla pensione o alla quota di pensione che spetterebbe al lavoratore, deve essere costituita dall'assicurante presso l'INPS. La somma da versare all'INPS, una volta accertato l'importo pensionistico che l'assicurato avrebbe prercepito in caso di regolare pagamento dei contributi, viene calcolata in ragione dell'età dell'assicurato, capitalizzando quindi i ratei della prestazione che sarebbe stata erogata senza le omissioni. Il lavoratore stesso può versare la relativa somma all'INPS: ciò costituisce per lui un vantaggio, sia perchè ottiene subito la corresponsione mensile della prestazione pensionistica, sia perchè il datore di lavoro può in ipotesi essere venuto meno. Ovviamente, per esperire il rimedio in esame occorre che vi sia la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro, della sua durata e della relativa retribuzione. Il lavoratore può costituire anche direttamente la rendita presso l'INPS, e poi agire per la restituzione o il risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro. Il lavoratore, infine, può agire direttamente nei confronti dell'INPS al fine di vedersi riconosciuto il diritto alla costituzione della rendita da parte dell'ente previdenziale in sostituzione del datore di lavoro, ma la giurisprudenza subordina l'esperibilità di tale azione alla prova da parte del lavoratore dell'impossibilità di ottenere la rendita da parte dello stesso datore di lavoro. Dunque, riassumendo, la rendita può essere costituita presso l'INPS: - dal datore di lavoro ; il lavoratore può coprire l'importo non versato dal datore; - dal lavoratore, che poi potrà agire contro il datore di lavoro; - dall'ente previdenziale, in sostituzione del datore impossibilitato a costituirla. Un'ulteriore tutela compete nel caso in cui l'ente previdenziale, nonostante la denuncia per raccomandata sporta dall'assicurato dell'omissione contributiva da parte del datore, abbia lasciato cadere in prescrizione il debito contributivo dell'assicurante; in questi casi l'enta resta obbligato al risarcimento del danno nei confronti dell'assicurato. 61 III) Le sanzioni Oltre alla responsabilità risarcitoria nei confronti del lavoratore assicurato, in capo al datore assicurante che abbia omnesso il pagamento dei contributi sono previste una serie di sanzioni, aventi natura civile, amministrativa e penale. Le sanzioni civili consistono (art. 116 legge n. 388/2000) nel pagamento di una somma aggiuntiva rispetto ai contributi omessi e variabile tra il 40% e il 60% della somma non versata, a seconda che si tratti di omissione in senso stretto (ossia il solo mancato pagamento dei contributi, in presenza di tutte le denunce e le registrazioni obbligatorie), oppure di evasione contributiva (ossia quando a monte dell'omissione vi è l'omessa o l'infedele registrazione). Le somme in questione (comprese le more per ritardato pagamento delle sanzioni) possono essere ridotte fino alla misura degli interessi legali, in ragione di oggettive e gravi ragioni di incertezza sull'obbligo contributivo per contrastatnti o sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali, oppure nel caso di aziende in crisi, riconversione o ristrutturazione di particolare rilevanza sociale o economica a fini occupazionali, oppure ancora nel caso di enti non aventi scopo di lucro. In passato la natura di tali sanzioni era discussa, poiché secondo alcuni autori le stesse avevano natura amministrativa. La giurisprudenza ribadisce però costantemente come tali sanzioni servano a rafforzare l'obbligazione principale, al tempo stesso predeterminando l'importo del risarcimento (sono simili alla clausola penale ex art. 1382 c.c.). Sanzioni amministrative effettivamente ci sono, ma sono ulteriori e sono previste all'art. 35 della legge n. 689/1981. Trattasi di sanzioni derivanti non tanto per l'evasione contributiva in sé e per sé, quanto per l'irregolare tenuta dei libri obbligatori. Ove risultino inadempimenti in tal senso, gli ispettori provvedono a diffidare il datore di lavoro a regolarizzare le inosservanze, qualora sanabili, fissando a tale fine un termine. Se il datore regolarizza la situazione, se la cava col pagamento della sanzione amministrativa determinata in misura ridotta (art. 13 d.lgs. 124/2004), oltre ad eseguire gli ulteriori adempimenti specifici indicati dagli ispettori per riparare l'illecito. Nel caso in cui le violazioni costituiscano anche contravvenzione penale (non delitto, come invece nei casi che vedremo sotto), una volta eseguito 62 somme dovute e la causa delle stesse, nonché gli estremi del soggetti creditore e le modalità di pagamento. Nella cartella è contenuto anche l'avvertimento che in caso di mancato pagamento entro 60 giorni dalla notifica si procederà ad esecuzione forzata (e matureranno gli interessi di mora sulle somme non pagate). La notifica della cartella deve avvenire entro l'ultimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello della consegna del ruolo al concessionario. Il debitore può contestare nel merito il credito vantato dall'ente previdenziale proponendo ricorso avverso l'iscrizione a ruolo, entro 40 giorni dalla notifica della cartella, davanti al giudice del lavoro del luogo ove si trova l'ufficio preposto ad esaminare la posizione assicurativa e previdenziale dl lavoratore. Cap. 9) RICORSI AMMINISTRATIVI E GIURISDIZIONALI I) I ricorsi amministrativi I ricorsi amministrativi, regolati in via generale dal d.p.r. 1199/1971, vengono presentati da chi si ritiene leso di una situazione giuridica soggettiva da un provvedimento amministrativo, all'autorità amministrativa stessa, affinchè riveda ex auctoritate sua, il proprio operato (secondo il princìpio dell'autotutela). Ciò per evitare di far sorgere una controversia giudiziale. Il problema dei ricorsi amministrativi si pone in quanto in caso di controversia con l'ente previdenziale l'esperimento dei ricorsi in esame si pone come condizione necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale. I ricorsi amministrativi in esame hanno ad oggetto più che le prestazioni in favore degli assicurati gli atti con i quali l'istituto previdenziale nega il diritto alle prestazioni. Ma se l'ente previdenziale non si pronuncia sulle istanze dell'assicurato, questi non può ottenere una sentenza di merito da parte della giurisdizione ordinaria posto che, senza il previo ricorso amministrativo, la domanda giudiziale sarebbe improponibile. 65 Il legislatore ha quindi disposto che l'ente previdenziale, in caso di domanda di prestazione previdenziale abbia l'obbligo di provvedere: la domanda si intende respinta trascorsi 120 dalla data della domanda senza che l'ente si sia pronunciato (art. 7 legge n. 533/1973); é la cd procedura del silenzio-rigetto, equiparato ad un provvedimento amministrativo di diniego. Contro tale diniego è ammesso il ricorso amministrativo prodromico all'eventuale ricorso giudiziale. Una volta presentato il ricorso amministrativo, l'azione giudiziaria diviene proponibile decorsi 180 giorni dalla presentazione del ricorso (art. 443 c.p.c.). Se il giudice rileva entro la prima udienza di discussione l'improcedibilità della domanda, sospende il processo e fissa un termine perentorio di 60 giorni per la presentazione del ricorso amministrativo. Oltre tale udienza, l'eccezione di improcedibilità non è più proponibile. Avverso gli atti di accertamento, le ordinanze-ingiunzioni e i verbali di accertamento degli istituti previdenziali e assicurativi che abbiano ad oggetto la sussistenza o la qualificazione dei rapporti di lavoro, la competenza per i ricorsi amministrativi spetta all'Ispettorato del lavoro. Negli altri casi permane la competenza dell'INPS ex l. 88/1989. II) La tutela davanti all'autorità giudiziaria ordinaria Esperiti i ricorsi di carattere amministrativo, le controversie in materia previdenziale possono sfociare innanzi all'ordinaria giurisdizione civile. In tale sede il giudice valuterà non già il provvedimento di rigetto emesso dall'ente previdenziale, bensì il diritto dell'assicurato alla prestazione. Per le prestazioni pensionistiche il termine per proprorre azione giudiziale è 3 anni, mentre per prestazioni non pensionistiche (es. indennità di disoccupazione e trattamenti di malattia) il termine è di 1 anno. Per le prestazioni in caso di infortunio sul lavoro o malattie professionali vale un termine speciale di prescrizione pari a 3 anni. La tutela giurisdizionale è regolata dalla legge n. 533/1973, la quale ha innovato il codice di procedura civile ed ha introdotto un processo informato ai canoni dell'oralità e della speditezza (è il cd “rito del lavoro”, per via del rinvio operato dall'art. 442 c.p.c.). Nel rito del lavoro ricadono: 66 – le controversie tra l'ente di previdenza e gli assicurati per quanto concerne le prestazioni; – tra l'ente e i datori di lavoro per quanto concerne il rapporto contributivo; – le controversie tra l'INAIL e i congiunti dell'assicurato laddove voglia farsi valere il maggior danno subito rispetto a quello liquidato dall'istituto. Nel caso in cui il giudice rilevi l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del ricorso amministrativo, sospende il giudizio e fissa un termine di 60 giorni per la presentazione del ricorso amministrativo. Sarà poi onere del ricorrente medesimo riassumere il processo avanti lo stesso giudice entro 180 giorni dalla cessazione della causa di sospensione, a pena di estinzione del processo stesso. Il ricorso introduttivo del giudizio deve essere notificato, a pena di nullità, presso la struttura territoriale dell'ente prevdenziale nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati, e contenere i dati anagrafici, il codice fiscale e il domicilio dell'interessato. La competenza, ai sensi dell'art. 444 c.p.c., spetta in primo grado al tribunale in funzione di giudice del lavoro, in composizione monocratica (ossia giudice unico). Il tribunale territorialmente competente è individuato a seconda del tipo di controversia. La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva e, come nelle cause di lavoro tout court , il lavoratore-assicurato può iniziare l'esecuzione sulla base della sola copia del dispositivo , in pendenza del termine per il deposito della sentenza integrale (con motivazioni). Contro le sentenze rese nelle materie di cui all'art. 442 c.p.c. è ora previsto l'appello alla sezione lavoro della corte d'appello. L'art. 149 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. dispone che nelle controversie in materia di invalidità pensionabile, deve essere valutato dal giudice anche l'aggravamento della malattia, nonché tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate nel corso del procedimento amministrativo e del processo giudiziario (eccezione al regime delle preclusioni, secondo cui l'oggetto della controversia deve essere cristallizato alla prima udienza). L'art, 152 disp. att. c.p.c. dispone che il lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali non è assoggettato al pagamento di spese, competenze ed onorari in favore degli enti di previdenza e assistenza, a meno che non si tratti di lite temeraria, oppure che il 67 I fondi pensione non possono gestire direttamente le risorse affidate, ma devono individuare un soggetto dotato di specifica professionalità nel settore degli investimenti col quale stipulare una apposita convenzione. Tale soggetto (ente gestore) può essere una società di intermediazione mobiliare, un'impresa di assicurazioni, una società di gestione del risparmio. Gli enti gestori devono operare secondo le linee di indirizzo fissate nella convenzione e sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla legge o dalla COVIP. I fondi pensione restano comunque titolari dei valori conferiti in gestione, che vanno a costituire patrimonio autonomo degli enti gestori: tale patrimonio non può formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'ente gestore, né può essere coinvolto nelle procedure concorsuali che riguardano l'ente gestore medesimo. Le risorse dei fondi date in gestione devono essere depositate presso una banca distinta dal gestore. II) Finanziamento, portabilità e prestazioni Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari sia attua, per i lavoratori subordinati, mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore e del datore di lavoro. Il contributo è oggi dovuto in importo fisso. Già a partire dal 1993 si mirava ad utilizzare il TFR quale principale strumento di finanziamento della previdenza complementare, disponendo uno speciale regime contributivo. Il d. lgs 252/2005, al fine di incentivare il ricorso al TFR come fonte di finanziamento della previdenza privata, ha stabilito un meccanismo del cd silenzio-assenso, in forza del quale ove i lavoratori omettano di manifestare una espressa volontà contraria entro 6 mesi dall'assunzione, le quote del TFR verranno destinate a finanziamento della previdenza complementare. Tale disposizione richiede tuttavia la previa istituzione di un fondo presso il quale convogliare i ratei di TFR. Una volta intervenuta l'adesione al fondo da parte dell'assicurato, questi deve sottostare a quanto stabilito nelle fonti istitutive in relazione ad ogni aspetto della relazione previdenziale (che ha un evidente carattere contrattuale), anche al fine di poter eventualmente trasferire la propria posizione individuale. Prima del 2005 era ammesso il recesso dal fondo, ma solo decorsi 3 anni. 70 Con il d. lgs 252/2005 è ora previsto che l'aderente al fondo abbia facoltà di trasferire l'intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica (cd portabilità ). A garanzia della libertà di trasferire la posizione individuale, si è riconosciuta l'inefficacia di eventuali disposizioni limitative contenute nelle fonti istitutive, ponendosi il diritto alla portabilità come principio inderogabile anche per l'autonomia negoziale collettiva (ossia quella sindacale). Quanto alle prestazioni, i piani pensionistici perseguti dai fondi pensione possono essere: 1) a contribuzione oppure 2) a prestazione definita. Nel primo caso il valore certo è rappresentato dall'ammontare dell'onere contributivo, mentre vi è incertezza sul versante delle prestazioni; nel secondo caso la fattispecie è completamente ribaltata, in quanto la fissazione della prestazione in un quantum non modificabile comporta necessariamente la possibilità che nel corso degli anni venga a variare l'onere contributivo. Esiste anche un terzo tipo di programma pensionistico, dalle caratteristiche intermedie rispetto ai modelli suddetti, consistente nel garantire all'assicurato un tasso minimo di rendimento finanziario garantito a fronte del suo investimento contributivo. I lavoratori dipendenti possono aderire esclusivamente a fondi pensione a contribuzione definita o a tasso di rendimento garantito, mentre i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti possono aderire anche ai fondi a prestazione definita. È in facoltà dell'assicurato chiedere la liquidazione della prestazione pensionistica complementare in capitale (una tantum) anziché in rate (rendita), secondo il valore attuale e per un importo non superiore al 50% del montante finale accumulato, il che avviene soprattutto quando la rendita altrimenti spettante sarebbe particolarmente modesta nel suo importo. ///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// Anno 2018 - Davide Angelini 71 INDICE Cap. 1 – ORIGINI E PRINCIPI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE 1 I. Il sistema previdenziale-assicurativo nel codice civile 2 II. Il sistema previdenziale-assicurativo nella Costituzione del '48 3 III. Evoluzione del sistema pensionistico 4 IV. Fonti internazionali ed europee in tema di previdenza 5 Cap. 2 – I SOGGETTI DEL DIRITTO PREVIDENZIALE 6 I. Assicuranti e assicurati 6 II. Divieti di discriminazione 9 III. Gli istituti assicuratori 11 Cap. 3 – LE PRESTAZIONI: IL SISTEMA DELLE PENSIONI 12 I. La riforma del 1969 13 II. La riforma “Amato” del 1992 14 III. La riforma “Dini” del 1995 14 IV. La riforma “Maroni” del 2004 16 V. Le riforme tra 2007 e 2010 16 VI. La riforma “Fornero” del 2011 17 VII. Regole previste per lavori usuranti 19 VIII. Il regime previdenziale per lavoratori non subordinati 19 IX. I dipendenti delle pubbliche amministrazioni 21 X. Cumulo tra pensione e reddito da lavoro 22 XI. L'assegno di invalidità e la pensione di inabilità 22 XII. La pensione ai superstiti 24 XIII. La perequazione automatica delle pensioni 25 XIV. Il minimale di prestazione e la quota sociale 25 XV. L'assegno sociale 26 XVI. Le pensioni estere 27 Cap. 4 – LE PRESTAZIONI: INTERVENTI DI SOSTEGNO AL REDDITO E A TUTELA DEL LAVORO 28 I. La tutela in caso di disoccupazione: la NASPI 29 II. La tutela in caso di sospensione dell'attività: la CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI 31 III. Fondi bilaterali per il sostegno al reddito 35 IV. Il fondo di garanzia del TFR 36 V. Prestazioni a tutela della famiglia 37 VI. La tutela della salute 38 72