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DIVINA COMMEDIA, background e sintesi dei canti, Appunti di Letteratura Italiana

Si tratta di appunti presi durante la lezione del prof con aggiunta di analisi e spiegazioni dei canti della Divina Commedia.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 17/05/2023

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Scarica DIVINA COMMEDIA, background e sintesi dei canti e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! DIVINA COMMEDIA Dante è:  Agens è colui che compie il viaggio dall’Inferno al Paradiso, attraversando i tre regni ultraterreni nell’ottica di un percorso di redenzione. È sottomesso al tempo della storia, che è il tempo passato.  Auctor è soggetto della scrittura e narratore dell’intera vicenda. Avendola già vissuta (la sta, infatti, raccontando a posteriori), egli possiede già la verità e si dimostra quindi sicuro e saggio. Ad egli compete il tempo della narrazione, che è il tempo presente. Differenze tra:  Viaggio: ha una meta  Pellegrinaggio: con le caratteristiche del viaggio, ma con ostacoli (buio, caverne, dolore) Personaggio: persona che recita, che imita Persona- in teatro significa maschera Accezione di sacralità: Il cristianesimo ha detto che l’uomo è essenza sacra; Si è uomo in quanto materia e spirito. Dante: essendo l’uomo un essere limitato (cioè razionale con delle potenzialità) si deve esplicare ed ha bisogno di tempo e di spazio. Per capire la persona bisogna togliere la maschera. Dante capisce che significa essere una persona elevandosi, parte dall’inferno, si fa male e inizia la salita. Il personaggio è colui il quale durante questo processo di INVERAMENTO, prima raggiunge il fondo e poi sale. Accade a tutti noi durante il viaggio dell’esistenza siamo dei personaggi, Dante ci propone di seguirlo perché siamo simili a lui come persona ma siamo coinvolti tutti come personaggi. INVERAMENTO: il fatto, il processo di acquistare realtà e concretezza. Quindi il personaggio è la maschera dell’uomo, è in sé tante persone. 1° canto dell’Inferno, Dante e Virgilio di trovano davanti ad una porta La strada di immersione nel peccato stesso è quella dove Dante deve entrare per purificarsi. Esempio principale per Dante è Cristo egli si mette alla sequela di Cristo, segue quindi il vero pellegrino che è Dio Atto di HUMILITAS Scopo di Dante: scrivere un poema che riprende la Bibbia, si fa figura Cristo. Fine della Divina Commedia: convertire completamente l’uomo La struttura: i poemi danteschi si basano su un dato storico: LA BIBBIA; Dante si serve del Fantasy su fatti storicamente reali per far capire la differenza. POEMA DANTESCO: OPERA ARTISTICA DI FONDAMENTO STORICO Dato imprescindibile su cui si basa la fede cristiana è la resurrezione nonostante non ci siano testimonianze, su questo evento si basa la nostra cultura. Perché non è stato perseguitato? Perché dice di raccontare una sua esperienza (“mi risvegliai”) e nel frattempo inserisce dati storici. Dante cerca di imitare il Cristo e propone il viaggio ai lettori. Lui stesso dice di aver creato la “bella menzogna”: ha inventato qualcosa per parlare di Cristo Favola e mito si basano su elementi storici ma poi trasposti. Dante parla di anime, mostri, favole. C'è una differenza tra l’Eneide e la Divina Commedia: nella cultura occidentale c'è un fatto alla base assunto come storico, ad esempio se Enea è sceso negli inferi può essere una metafora. L'uomo per paragonare e spiegare deve usare una metafora, iperbole... Si parte da un fatto accreditato ormai come fonte, poi l'elemento personale. Virgilio per raccontare la storia, usa le favole. Dante invece utilizza le strutture che condivide come storie profonde per lui (storia personale) e storie comunitarie. In mezzo alla storia personale e quella comunitaria c'è il personaggio di Cristo, se esistito o meno, che ha assunto come elemento di unione, perché sennò la storia non avrebbe senso. Ad esempio: Storia personale di due persone che sono nate dopo Cristo. Quindi Virgilio si basa su favole, Dante fa veicolare storie con base storica e veritiera. La storia di Dante attiene al proprio vissuto. Il Vangelo ha una base storica sotto l'impero di Augusto. La storia da cui attiene Dante ha già fatto storico di suo, il Vangelo. 1. PEREGRINATIO favola rielaborazione del mito quindi della storia 2. CAMMINO mito muein(in greco) : silenzio// parola(racconto) 3. PELLEGRINO storia veridicità NUMEROLOGIA IN DANTE: I numeri importanti nella numerologia cristiana sono: • L’1 che rappresenta la divinità, l’origine di tutte le cose • Il 3 che rappresenta la Trinità Cristiana e la perfezione divina • Il 7 che rappresenta la perfezione umana. • Il 9 che è il quadrato di 3, quindi un rafforzativo dei significati del 3. • Il 10 che richiama il numero dei comandamenti che Dio ha dato a Mosè sul Sinai La Divina Commedia richiama questi numeri in più punti, infatti è suddivisa in 3 parti dette “cantiche” ed ogni cantica è composta da 33 “canti” (l’Inferno ne ha uno in più, ma la prima cantica viene considerata il proemio all’opera). Ogni canto contiene un numero di versi endecasillabi da un minimo di 115 a un massimo di 160. Inoltre, Dante attraversa 3 differenti regni: Inferno, Purgatorio e Paradiso; nel suo viaggio è accompagnato da 3 diverse guide: Virgilio, Stazio e infine, Beatrice. L’Inferno è diviso in 9 cerchi; qui Dante incontra 3 fiere e attraversa 3 fiumi. Anche Lucifero non ha una sola faccia, ma ben 3. Si arriva al Purgatorio, alla cui porta sia accede dopo 3 scalini, formato da 7 cornici, ma aggiungendo l’Antipurgatorio e il Paradiso Terrestre si arriva a 9 zone. Si tratta di FIGURE A META’ hanno perso la loro identità costitutiva, sono solo anime, l’ombra è la proiezione della persona. Dante descrive le ombre nell’aspetto corporale, sono persone (maschere) in tutto e per tutto. Nella realtà le ombre non lo sono. Dante è il personaggio- figura storica: colui che scrive, figura completa. Non è un’ombra e lo sappiamo perché più volte dice che si sveglia e svolge questo percorso completo. L’UNICA FIGURA COMPLETA NELLA DIVINA COMMEDIA È DANTE Secondo la concezione cristiana le uniche due figure complete sono Dante e la Madonna. Se Dio si è incarnato è diventato figura parziale come noi e Dante. È una parziale verità che noi e Dante siamo figure complete: il fine di ogni uomo è scoprire sé stesso. Dante dice che noi siamo parziali: ci manca la perfezione con la cacciata dall’Eden. Beatrice è una figura reale e parziale perché non è né Cristo né la Madonna, è un medium per arrivare a Dio. Dante dice che Beatrice dà la vita nuova, è portatrice di luce ed è cristofora portatrice di Cristo Charles Singleton dice che Beatrice si rivela a metà del Purgatorio e diventa, non solo, metafora di Cristo ma analogia. Beatrice non è Cristo, è nella figurazione di Cristo. L’analogia Beatrice-Cristo varca i confini della Vita Nuova, estendendosi negli ultimi canti del Purgatorio. La trama ordita dell’amore rinnovato e del suo soggetto-oggetto Beatrice, si ripresenta come novità prodotta dal cambiamento, promemoria per Dante che ne richiama la storia e il suo cominciamento. Il riferimento a Cristo si manifesta con Benedetta. Vita nuova perché fa il salto dalla filosofia alla teologia. Per Dante la filosofia è importante (nella prima parte della sua vita) ma non basta (lascia il convivio incompleto), poi passa alla teologia con Beatrice, colei che gli fa intraprendere il viaggio. In Dante, Beatrice non è donna-angelo ma cristofora . INFERNO  34 CANTI (uno è l’introduzione della D.C.)  Ogni canto è diviso in terzine composte da tre endecasillabi e rima incatenata  struttura concentrica che assume la forma di una sorta di cono.  Virgilio è la sua guida Perché la scelta di guida ricade proprio su Virgilio? La prima è Dante stesso a suggerircela quando, ai versi 85-87 del Canto I dell’Inferno, elogia il poeta latino come suo «maestro» e suo «autore», colui dal quale ha appreso «lo bello stilo» che lo ha reso celebre. Virgilio viene quindi scelto innanzitutto in quanto poeta ideale, indicato come più alto esempio di stile sublime e di perfezione formale. Oltre a ciò, Virgilio era anche riconosciuto come «famoso saggio» (v. 89) e sapiente filosofo. Egli diviene quindi, nella Commedia, allegoria della ragione, ingrediente indispensabile per riuscire a distinguere il bene dal male. Il poeta latino rappresenta perciò il più alto grado di perfezione morale raggiungibile da un essere umano senza la luce divina. L’ INFERNO DANTESCO SELVA OSCURA COLLE DELLA GRAZIA GERUSALEMME N a ren —____ Golosi Li o \racondi e accidiosi Eretici conto il prossimo: Omicidi 6 pre, o contro se Sessi | SUICIAI e scia Tae genti ioeati scontro Dio, Tee, ce De stem mar Agati DE j x coscesa ay VIII CERCHIO ISigleri frauaoenp Malebolgie 4 _ TEMA IX CERCHIO Cocito L CENTRO della TERRA CARRARA ARIANNA MO PRIMO CANTO (PG.31) DA FARE TUTTO:  Funzione introduttiva dell’intero poema A partire dal v. 31 del primo Canto dell’Inferno, il cammino di Dante è ostacolato dall’apparizione in sequenza delle tre fiere, tre belve che non permettono a Dante di proseguire e, anzi lo spingono a tornare indietro, verso la terribile selva.  la lonza, rappresentante la lussuria;  il leone, sinonimo di superbia  la lupa, simbolo di avarizia.  LUOGO : La «selva» è, per il poeta, allegoria del peccato in cui un uomo può cadere nel corso della propria vita; essa è «oscura» perché non vi batte la luce divina. Versi 1-27. All’età di trentacinque anni, Dante si ritrova smarrito in una foresta oscura e intricata, il cui pensiero ancora lo turba. Non è in grado di dire come vi sia entrato. Al mattino, però, riesce ad uscire da essa, ritrovandosi ai piedi di un colle la cui sommità è illuminata dai primi raggi dell’alba; è un’immagine che riesce un poco ad acquietare la sua paura e a ridonargli speranza. Versi 28-60. Dopo essersi riposato, Dante riprende il cammino su un pendìo che conduce al colle ma, non appena iniziata la salita, gli si presenta davanti una minacciosa lonza dal manto maculato. La luce del sole e la stagione primaverile gli donano la speranza di riuscire ad oltrepassare quel primo ostacolo, ma ecco comparire di fronte a lui un leone affamato che gli sbarra il cammino. Dopodiché compare anche una lupa, magra e vorace, che lo spinge a indietreggiare verso la foresta. Versi 61-90. Mentre torna sui suoi passi, Dante vede una figura umana nella penombra e chiede aiuto. Questa si presenta: dice di essere un’anima e fornisce ulteriori dettagli sulla sua persona, come di aver avuto genitori lombardi, di aver vissuto all’epoca di Giulio Cesare e sotto l’imperatore Augusto e di aver cantato le gesta di Enea. Dopodiché chiede a Dante perché non stia proseguendo il suo cammino verso la vetta del colle. Dante, a questo punto, lo riconosce: si tratta di Virgilio, poeta latino che definisce suo maestro di alto stile poetico e a cui dichiara tutta la sua devozione artistica. Infine, spiega a Virgilio il motivo del suo indietreggiare indicandogli la lupa. Versi 91-136. Virgilio suggerisce a Dante di prendere un altro percorso dal momento che la lupa costituisce, per ora, un ostacolo insormontabile. Contro di essa però, spiega ancora il poeta latino, si batterà un giorno un Veltro – modello di sapienza, amore e virtù – che la sconfiggerà e la ricaccerà all’Inferno, luogo da cui era uscita. Virgilio, a questo punto, si offre come guida di Dante: lo condurrà nei luoghi dell’Inferno e del Purgatorio, per poi affidarlo in Paradiso a un’anima più degna. Dante, allora, lo prega di guidarlo e inizia a seguirlo. sono state suddivise le profezie della Commedia in due diverse tipologie:  Le profezie post eventum: si tratta di quelle “predizioni” che si riferiscono a momenti compresi tra la primavera del 1300 e la loro scrittura e che giocano quindi sull’espediente della retrodatazione dantesca.  Le profezie ante eventum: si tratta di pochi ed isolati casi in cui le predizioni fanno riferimento a fatti che, al momento della scrittura dell’opera, devono ancora accadere. Versi 1-21. Dante e Virgilio arrivano davanti la porta dell’Inferno che, sulla sommità reca un’iscrizione minacciosa in caratteri scuri: viene messo in guardia chi la varca, spiegando che sul luogo in cui sta per entrare regna l’eterna sofferenza e che non vi è speranza di uscirvi. Dante, tentennante, viene condotto da Virgilio attraverso la porta. Le pene dei dannati dell'Inferno: Versi 22-69. Varcata la soglia, Dante è travolto da un terribile mescolarsi di pianti, voci, lamenti, urla; Virgilio gli spiega che ad emettere quei suoni sono gli ignavi, le anime di coloro che in vita hanno peccato di viltà, non schierandosi mai né dalla parte del bene né da quella del male. La loro punizione è quella di correre continuamente dietro a un’insegna senza significato ed essere punzecchiati senza sosta da vespe e mosconi: il sangue che esce dai loro volti viene raccolto da orripilanti vermi. Tra queste anime, Dante scorge quella di «colui che fece per viltade il gran rifiuto». Viene introdotta la figura di Caronte: Versi 70-120. Dante scorge poi altre anime, ammassate sulla riva di un fiume: si tratta delle anime dannate che, disposte lungo l’Acheronte, aspettano di essere portate verso l’altra sponda, laddove comincia l’Inferno. A traghettarle c’è Caronte, il nocchiero che appare a Dante in tutta la sua vecchiaia e che intima il poeta di andar via, rivolgendogli parole ingiuriose. È Virgilio a zittire il demone, ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio; tanto basta a calmare Caronte. Le anime, accalcate lungo la sponda, si gettano dalla riva alla barca e, quando il nocchiero ancora non è arrivato alla meta opposta, sulla riva si è formata una nuova schiera. Virgilio spiega a Dante la reazione di Caronte: Versi 121-136. Virgilio spiega a Dante che non deve prendersela per le parole di Caronte, anzi: nessuna anima in Grazia di Dio può essere traghettata all’altra riva, e quindi la rabbia del nocchiero significa che l’anima del poeta è salva. Improvvisamente, il suolo infernale è scosso da uno spaventoso terremoto accompagnato da un lampo rossastro: Dante perde i sensi e sviene a terra. QUARTO CANTO vv.1-13, vv.31-45, vv.81-151  LUOGO : Dante si trova nel primo cerchio, il limbo dei non battezzati. Ci sono uomini, donne e bambini non battezzati e le grandi anime del mondo pagano. Non ci sono pene da scontare: chi si trova nel limbo avrà per sempre il desiderio irrealizzabile di vedere Dio. Suddivisione in due sezioni de Limbo: 1) il Limbo degli infanti e della folla anonima di uomini e donne in difetto delle oggettive condizioni necessarie alla salvazione; 2) il Limbo (castello) degli illustri (Limbus famae) suddivisibile a sua volta in due sezioni: -Illustri per vari titoli e meriti, elencati quasi alla rinfusa secondo il sincretismo proprio della cultura medievale, personaggi di varia provenienza e molti già nominati nell’Eneide; -Sapienti veri e propri. Nell’ambiente-castello, infine, Dante ha «contaminato» la descrizione virgiliana dei Campi Elisi, dei quali è fatta anche rivivere l'atmosfera di ombrosa quiete, cui si unisce il motivo medievale del castello, dimora per eccellenza della nobiltà d’animo e potremmo dire dell’aristocrazia intellettuale.  Dante si domanda quale sia il fine della sapienza e dello studio, della poesia e della filosofia. Non c’è niente di drammatico, nessun avvenimento incalzante, solo un lento scorrere e camminare sulle terzine mentre si dipana il paesaggio intorno a noi che ricorda i Campi Elisi descritti da Virgilio.  Pietà e angoscia dominano la scena ed è in questo clima che si svolge il dialogo tra discepolo e maestro sulla sorte delle anime destinate a questo luogo.  Le anime del limbo sono in uno stato di quiete che contrasta con le anime degli ignavi del canto precedente, sono anime buone, addirittura ci sono anche i magnanimi (i sapienti appunto), dalla grande anima. Essi hanno fatto il massimo che potevano nella loro vita. Sono tristi, anche se non soffrono; sono in quiete, ma non beate. Sospirano, ma sono tranquille nel loro stato di apparente imperturbabilità.  Nel prosieguo del canto Dante incontra la grande scuola poetica che l’aveva proceduto ed è l’occasione di glorificare il suo maestro, “l’altissimo poeta”.  Dopo questo interludio, ci si avvia al Castello dei Sapienti che viene descritto con un numero simbolico: sette mura, sette porte. Perché il castello? Dante pensa in modo medievale e per lui il segno di forza e di impero si concretizza nel castello. Qui i sapienti riposano e riflettono sul mondo e sulla bellezza; tra questi Dante colloca anche il suo adorato maestro. E qui c’è luce, sebbene non sia la luce di Dio, ma la luce della loro stessa sapienza che irradia il suo bagliore. Il limbo è come un purgatorio che non prelude l’incontro con Dio, un’attesa che è destinata a restare frustrata per l’eternità. SINTESI: vv. 1-12. Un gran tuono risveglia il poeta. Il quale si guarda intorno e si accorge di essere aldilà dell’Acheronte, sull’orlo della voragine infernale buia e nebulosa. vv. 13-45. Virgilio spiega che è il momento di proseguire; è pallido, perché conosce bene il tormento del luogo in cui si trovano. Il pallore di Virgilio è simbolo di pietà. Lentamente si avverte la presenza delle anime attraverso i loro sospiri che echeggiano in modo spettrale attraverso la nebbia. Virgilio spiega a Dante dove si trovano, sorpreso che non sia stato il discepolo per primo a porgere la domanda. vv. 64-105. Entrano in scena i grandi poeti dell’antichità: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano. Virgilio si accosta a loro e discorre amabilmente. I poeti invitano Dante a intrattenersi con loro e a discorrere. Dante si avvicina “sesto” poeta del gruppo e dice che non dirà quel che si sono detti. vv. 106-114. Descrizione del nobile castello. vv. 114-151. L’ingresso nel Castello dei Sapienti dove vengono mostrate a Dante tutte le grandi personalità del passato. Tutte sono serene, ma dal volto austero. Qui incontriamo filosofi e politici, ma anche personaggi della mitologia. Usciti dal Castello, la compagnia di poeti si separa e Dante e Virgilio proseguono oltre. QUINTO CANTO- TUTTO  Luogo : secondo girone  Dannati : i lussuriosi  Personaggi : Minosse, Paolo e Francesca Dante e Virgilio si lasciano alle spalle il Limbo, Primo Cerchio della voragine infernale e luogo di cui il Poeta ci ha parlato nel quarto canto, e si avviano verso il secondo Cerchio, dove ha inizio il vero e proprio Inferno. All’ingresso di questa zona fa la sua comparsa un personaggio mostruoso: Minosse. Terrorizzate dal suo aspetto, e soprattutto dal suo giudizio, le anime dei dannati si presentano al suo cospetto per essere giudicate. A Minosse basta guardarle per sapere quale pena infliggere, e comunica la sua sentenza arrotolando la coda tante volte quanti sono i cerchi dell’Inferno a cui l’anima è destinata. Non c’è luce, l’aria è tenebrosa e scossa da una fortissima tempesta di vento dentro la quale sono sbattute e percosse le anime dei dannati. Il vento rappresenta la mancanza di lucidità e di ordine, l’assenza di razionalità e l’abbandono del corpo agli istinti corporali e alla passione sessuale: in questo cerchio sono puniti i lussuriosi. Le anime, in questa tempesta, non vagano alla rinfusa ma sono suddivise in schiere in base al tipo di amore che condussero. La schiera che attira l’attenzione di Dante è quella di quei dannati che morirono per amore. il Poeta è attratto da due amanti in particolare che, a differenza degli altri, sono scossi dalla tempesta restando abbracciati e saldi uno all’altra. Sono le anime di Paolo e Francesca. Paolo Malatesta e Francesca da Polenta che l'autore inserisce nel V canto dell'Inferno sono personaggi che fanno parte della storia contemporanea di Dante, potremmo dire della cronaca nera del suo tempo. Si tratta di due cognati uccisi dal marito di lei (e quindi dal fratello di lui) solo pochi anni prima della discesa di Dante nell’Inferno. Sappiamo infatti, dalle parole di Francesca, che suo marito, Gianciotto Malatesta, è ancora vivo e che la zona dell’Inferno detta Caina - una delle quattro zone del 9° cerchio dantesco - sta aspettando che lui muoia per accoglierlo e fargli scontare la sua pena. Nella Caina i dannati sono sepolti nel ghiaccio, con la testa all'ingiu'. Gianciotto ha ucciso i suoi familiari (Paolo era il fratello), e nella Caina sono puniti i traditori dei parenti. L’amore non è solo un sentimento, viene presentato attraverso una prosopopea ed è visto quindi come un vero e proprio personaggio che agisce con la sua volontà sui cuori di chi ha deciso di far innamorare. Come si legge nel testo del canto V dell'Inferno, infatti, Francesca non dice “l’amore” ma “Amore” (con la maiuscola). Dante prova sentimenti di vario tipo verso i dannati, si mette nei loro panni, li biasima o prova empatia. Per Paolo e Francesca sopraggiunge una profonda pietà, sentimento raro all’Inferno dove, generalmente, dovrebbe essere una sensazione di condanna quella che si prova verso i dannati. Certo Dante non perdona i loro peccati, perché sa bene che Paolo e Francesca hanno commesso un atto che va contro i principi della morale, ma allo stesso tempo sente compassione. C’è un contrasto drammatico fra la dolcezza di Francesca, il suo amore per Paolo, e le grida, le bestemmie dei dannati, il vento che ulula in sottofondo. Dante è commosso, capisce quanto amore e quanta sofferenza li ha uniti, quanto viscerale desiderio li tenga ancora stretti, in eterno, uno all’altra, ed è talmente scosso dai suoi sentimenti contrastanti e dalla visione del loro dolore, che sviene, ponendo fine al canto V. SESTO CANTO, VV.1-19; VV.34-FINE  LUOGO: Terzo cerchio dell’inferno. Si tratta di un luogo colpito da un’incessante pioggia sporca e gelida che, mischiandosi con il terreno, crea una disgustosa fanghiglia maleodorante.  Dannati : i golosi  Personaggi: il Cerbero, Ciacco Custode di questo luogo è Cerbero, personaggio tratto dalla mitologia pagana che ha le sembianze di un cane a tre teste, egli è una belva feroce che presenta però diversi tratti umani (come, ad esempio, la barba). I suoi terribili latrati riecheggiano nell’aria, assordando gli spiriti. Egli è privo, inoltre, di una qualsiasi autorevolezza. L’unica anima con cui Dante e Virgilio si fermano a parlare è Ciacco, un cittadino fiorentino contemporaneo dell’autore al quale è affidata una delle profezie contenute nella Commedia: quella inerente al futuro prossimo della città di Firenze. Tre tematiche: Ulisse incarna non più soltanto l’astuto ingannatore, bensì l’uomo di ogni tempo che dedica l’intera propria vita alla conoscenza. L’eroe acheo trova la morte proprio nel momento in cui sta cercando di oltrepassare i limiti posti al sapere umano, raffigurati nelle Colonne d’Ercole. ULISSE: Personaggio appartenente alla mitologia classica, figlio di Laerte e di Anticlea, egli è uno dei personaggi più importanti dei poemi omerici e, nello specifico, dell'Odissea in cui viene narrato il suo viaggio di ritorno a casa dopo la guerra di Troia e di cui si configura, quindi, come protagonista indiscusso. Valoroso guerriero, esperto navigatore ma anche astuto orditore di inganni, Ulisse è un personaggio dai molteplici volti e che – oltrepassando la tradizione omerica – è divenuto protagonista di diverse opere successive, latine e medievali. Versi 1-12. Il Canto si apre con una pungente invettiva di Dante nei confronti di Firenze. Egli, infatti, nella settima Bolgia – dov’è punita la colpa del furto – ha incontrato ben cinque anime di ladri fiorentini. L’autore preannuncia quindi un terribile futuro per la sua città natale. Tra i consiglieri fraudolenti, Dante e Virgilio trovano Ulisse e Diomede. Versi 13-75. Dante e Virgilio riprendono il cammino e si imbattono in uno spettacolo il cui ricordo scatena ancora nel poeta una terribile sofferenza. Il fondo buio dell’ottava Bolgia è illuminato da tante fiammelle vive: sono le anime dei consiglieri fraudolenti, imprigionate all’interno di lingue di fuoco. L’attenzione dell’autore è rivolta, in particolar modo, ad una fiammella con la punta biforcuta: all’interno di essa sono nascoste le anime di Ulisse e Diomede, eroi achei che a più riprese si sono macchiati della colpa dell’inganno. Dante chiede allora a Virgilio di avvicinarsi a dialogare con esse; la guida acconsente ma gli suggerisce di lasciar parlare lui. Ulisse racconta perché si trova lì. Versi 76-102. La fiammella dalla punta biforcuta si avvicina ai due; al che, Virgilio chiede di sapere come sia morta almeno una delle due anime intrappolate al suo interno. A rispondere è la più grande delle due punte, Ulisse: egli racconta che, una volta liberatosi dalla prigionia della maga Circe, non bastarono gli affetti a frenarlo e decise di partire, insieme ad un gruppo di fedeli amici, per soddisfare finalmente la sua sete di conoscenza. Ulisse racconta di come convinse i suoi compagni a varcare il limite. Versi 103-142. Ulisse e i suoi compagni si spinsero allora nel Mediterraneo, verso ovest, fino a raggiungere lo stretto di Gibilterra – le colonne d’Ercole. Dopo aver esortato e convinto i suoi compagni, attraverso un piccolo ma convincete discorso, a varcare quel limite, Ulisse proseguì verso sud fino a raggiungere la montagna del Purgatorio. In quel momento una tempesta si alzò dal mare e colpì la prua della nave, facendola ruotare tre volte su sé stessa e, infine, inabissare. TRENTATREESIMO CANTO- TUTTO Canto 33 In questo canto Dante si rivolge al potere politico, che disumanizza l’uomo rendendolo simile ad una belva e a causa del quale a rimetterci sono gli innocenti.  Luogo : In due delle quattro zone del nono Cerchio: Antenòra e Tolomea -l’Antenòra, che punisce i traditori della patria o del partito e che fa da sfondo al tragico racconto del conte Ugolino -la Tolomea, che punisce i traditori degli ospiti e degli amici, e all’interno della quale Dante si ritrova a parlare con frate Alberigo.  Pena delle anime : Le anime dei traditori sono sottoposte ad una simile pena: esse sono tutte immerse nel Cocito, il lago ghiacciato che ricopre il nono Cerchio dell’Inferno. La condanna richiama la colpa: il tradimento si configura infatti come manifestazione più grande della perdita di umanità, raggelamento dell’agire umano che ha completamente perso il necessario calore della carità. Siamo quindi di fronte ad un contrappasso per analogia. Diversa è la posizione delle anime: mentre i dannati dell’Antenòra sono immersi fino al collo con la testa dritta, quelli della Tolomea sono in posizione supina, con il volto rivolto all’insù. Questo ne aumenta pena: le loro lacrime, infatti, si solidificano immediatamente nelle orbite, impedendo alle altre di fuoriuscire e amplificando il dolore. Dante, che si scaglia prima contro Pisa (ai versi 79-90) e poi contro Genova (ai versi 151-157). Nello specifico, l’invettiva di Dante – in una sorta di continuazione con quanto accaduto in occasione degli incontri con Ciacco, Farinata degli Uberti e Pier della Vigna – si rivolge al potere politico, che disumanizza l’uomo rendendolo simile ad una belva e a causa del quale a rimetterci sono gli innocenti. -Ugolino della Gherardesca fu un nobile pisano, nato da un’antica famiglia feudale ghibellina intorno al 1210. Legato da un'amicizia profonda e filiale col ramo pisano dei Visconti, si avvicinò al partito guelfo, abbandonando la linea politica della famiglia. Nel 1284 partecipò alla battaglia navale della Meloria, nella quale Pisa venne sconfitta da Genova, allora alleata di Firenze e Lucca. Alcune testimonianze vogliono che Ugolino avesse provato a fuggire durante la battaglia, generando il sospetto che fosse un codardo e disertore. Nonostante queste accuse, nello stesso anno egli venne nominato podestà e, due anni dopo, capitano del popolo di Pisa; avere un capo guelfo in una città ghibellina avrebbe reso più semplici le trattative di pace con le città di Firenze e Lucca. Fu così che, per tentare di garantire un periodo di pace alla città, il conte Ugolino cedette alle due città toscane alcuni castelli del territorio pisano. Rotta l’alleanza col nipote Nino Visconti, egli si avvicinò all’arcivescovo Ruggieri, capo dei Ghibellini pisani. Ruggieri, però, insieme ad alcune potenti famiglie ghibelline, aizzò il popolo contro Ugolino. L’arcivescovo Ruggieri lo tradì e lo fece incarcerare nella torre della Muda con due figli e due nipoti. Qui i cinque morirono di fame, probabilmente nel marzo 1289. Il conte Ugolino è collocato da Dante nell’Antenòra, tra i traditori della patria e del partito: il riferimento potrebbe essere alla cessione dei castelli pisani alle città nemiche di Firenze e Lucca o al tentativo di fuga durante la battaglia della Meloria, ma è più probabile che il poeta si riferisca all’abbandono, da parte del conte, dei Ghibellini per allearsi con i Guelfi. Il conte Ugolino ci appare nella sua doppia sfaccettatura: -da una parte uomo politico feroce e brutale, sopraffatto dal desiderio di potere e – per questo – punito; -dall’altra padre straziato, tenero e impotente di fronte all’ingiusta morte dei figli e dei nipoti della quale si sente, anche se indirettamente, responsabile. La condanna di Dante per questo personaggio è perciò dura, ma lontana dal disprezzo: al conte Ugolino è affidato il monologo più lungo dell’Inferno, permettendo quindi la diffusione della verità su tale vicenda e, in un certo senso, la riabilitazione della figura di questo personaggio. Versi 1-78. Il peccatore che Dante ha incontrato al termine del Canto precedente, intento ad addentare il cranio del suo compagno di pena, si presenta: è il conte Ugolino, mentre il suo avversario è l’arcivescovo Ruggieri. Fu quest’ultimo ad attirarlo in trappola e, attraverso l’inganno, a rinchiuderlo nella torre pisana della Muda con i suoi due figli e i suoi due nipoti. Fu qui che i cinque, uno dopo l’altro, morirono di fame. Non appena terminato il suo racconto, il conte Ugolino storce gli occhi e riprende a rodere il cranio dell’arcivescovo Ruggieri. Dante si scaglia contro i pisani. Versi 79-90. A questo punto, Dante si abbandona ad una dura invettiva contro Pisa, città che fa da sfondo alla tragedia del conte Ugolino: il poeta si augura che le isole di Capraia e Gorgona si muovano arrivando a chiudere la foce dell’Arno, in modo tale da annegare tutti i pisani. Infatti, sebbene il conte Ugolino si fosse macchiato della colpa del tradimento della Patria avendo ceduto alcuni castelli a Firenze e Lucca, i suoi giovani familiari erano innocenti e non meritavano una così cruda morte. Dante e Virgilio si spostano nella Tolomea. Versi 91-108. Dante e Virgilio abbandonano l’Antenòra e si avviano verso la zona successiva del Cocito, la Tolomea. Qui le anime dannate sono imprigionate nel ghiaccio e, pur volendo piangere, non possono: le lacrime si congelano nelle orbite degli occhi, aumentando il dolore della pena. Dante sente soffiare il vento e ne chiede spiegazione a Virgilio, il quale gli risponde che presto giungerà là dove potrà constatare con i propri occhi l’origine di quell’evento atmosferico. Dante si lancia in una invettiva contro i genovesi. Versi 109-157. Uno dei dannati della Tolomea si rivolge a Dante e Virgilio, pregandoli di essere liberato dalle lacrime ghiacciate. Dante risponde che lo farà (sebbene, poi, non manterrà la sua promessa), a patto che egli riveli la propria identità. Il dannato dice di essere frate Alberigo(ha fatto uccidere due parenti), e questo suscita lo stupore di Dante che lo crede ancora vivo. Il peccatore allora spiega che spesso avviene che l’anima di chi tradisce gli ospiti giunge alla Tolomea prima di aver cessato il naturale corso della vita, mentre un diavolo ne governa il corpo sulla Terra. Gli mostra allora l’anima di un altro traditore che risulta ancora essere vivo: si tratta di Branca Doria, il genovese che fece uccidere Michele Zanche. Alberigo invita allora Dante a mantenere la sua promessa, ma il poeta decide di non togliergli dagli occhi le lacrime ghiacciate. Si lancia quindi in un’invettiva contro i genovesi, uomini pieni di vizi. TRENTAQUATTRESIMO CANTO- TUTTO Canto 34  LUOGO : nono cerchio, nella Giudecca, la 4° zona del Cocito  DANNATI : coloro che hanno tradito i benefattori, dell’autorità divina (Chiesa) e umana (Impero). # Antipurgatorio Limite della sfera Limite della sfera "yi CORNICE: Golosi ccm del fuoco smi er y co NICE: Avari e prodighi } R ce mie W CORNICE: Accidiosj ciare W CORNICE: Iracondi csi W CORNICE: Invidiosi cercai vii dilm_ 1 CORNICE: Superbi dell'aria gii n SCHIERA: i negligenti a pentirsi morti di morte violenta secondo balzo Me 37 Mimi ns CHIERA: i negligenti a pentirsi fino alla fine della vit, Primo balzo i - SCHIERA: i negligenti a pentirsi morti scomunicati E Spiaggia sul mare PURGATORIO: 33 CANTI Anche per il Purgatorio abbiamo nove zone diverse da oltrepassare:  una zona detta Antipurgatorio, sette “cornici”, su ciascuna delle quali viene espiato un peccato  infine, il Giardino dell’Eden in cima. Da questo Giardino Virgilio lascia Dante che ascende al Paradiso, appunto, con Beatrice attraverso una transumanazione Stile: toni generalmente elegiaci ed elevati Mentre l’Inferno era caratterizzato dalla profondità e inizia dal peccato più lieve (lussuria), alle pene più gravi, il Purgatorio è inversamente strutturato, ovvero parte dalle pene più gravi (superbia) alle più lievi (lussuria). Le anime si purificano attraverso 7 cornici, in ogni cornice c’è un angelo che rappresenta la virtù opposta al peccato punito. Il purgatorio si trova agli antipodi di Gerusalemme, rappresentando così la deviazione e il riscatto. Quest’ultimo rappresenta l’espiazione del peccato e terminava con l’Eden, ovvero il paradiso terrestre. Nel purgatorio, quindi, è il simbolo della liberazione dai peccati. Anche nel purgatorio ritornò la simbologia numerica:  L’antipurgatorio è diviso in tre (trinità) luoghi, la spiaggia, la I e la II balza.  Le cornici del purgatorio situate al di fuori dell’orbita terrestre sono sette e all’interno vengono puniti i sette (2 volte la trinità + l’unità di Dio) peccati capitali. Nel purgatorio non viene punito il peccato concreto ma la tendenza peccaminosa, il peccato in senso generico. Tutte le pareti del Purgatorio, essendo una montagna, sono rocciose. Alla fine della settima cornice vi è una scala che offre il passaggio dal Purgatorio al Paradiso. Alla scala, Dante venne abbandonato da Virgilio, dalla ragione, per essere aiutato da Beatrice, ovvero dalla fede. Virgilio lo affidò alla donna Mateldua, probabile custode del Paradiso, rappresentazione della donna per eccellenza, allegoria di colei che doveva affidare Dante a Beatrice. Prima di attraversare il Paradiso, Dante, dovette immergersi in due fiumi, l’Ete che faceva dimenticare i peccati ed il male compiuto e l’Enoè, per vivificare il ricordo del bene compiuto. Incontrata Beatrice, lo rimproverò aspramente poiché Dante era caduto nel peccato dopo la sua morte. Grazie alla luce che identificò negli occhi di Beatrice trovò la forza propulsiva per attraversare la sfera del fuoco e giungere al primo cielo del paradiso, la luna. I peccatori venivano punti sempre con la legge del contrappasso per contrasto o per analogia. PRIMO CANTO PURGATORIO- tutto  Caratteristiche: Dante e Virgilio abbandonano l'Inferno per approdare al Purgatorio. È la domenica di Pasqua, giorno di resurrezione ed è questo il tema centrale del canto: la resurrezione delle anime, il percorso di purificazione per approdare al Paradiso.  Luogo: Siamo nel secondo regno dell’Oltretomba, il Purgatorio  Guardiano: Catone l’Uticense Nato a Roma nel 95 a.C., prese parte alla vita politica di Roma, diventando prima questore, poi tribuno della plebe ed infine pretore nel 54 a.C. Estremo difensore delle libertà politiche e repubblicane, si oppose fermamente al primo triumvirato di Crasso, Cesare, Pompeo. Quando però scoppiò la guerra civile tra questi due ultimi, si schierò dalla parte di Pompeo, riconoscendo nelle mire dittatoriali di Cesare un aperto attacco agli ideali repubblicani; per questo motivo, dopo la sconfitta di Pompeo a Tapso nel 46 a.C., Catone decise di togliersi la vita a Utica, città africana a nord di Cartagine. Perché, Dante, ne fa il custode del Purgatorio, regno nel quale le anime sono destinate a salvarsi? Il suo suicidio è, secondo Dante, un gesto giustificabile, perché compiuto con il fine di salvaguardare la libertà civile, precorritrice della libertà interiore cui tutte le anime del Purgatorio aspirano e necessitano per poter ascendere al Paradiso. DANTE invoca l’aiuto delle muse Versi 1-12. Dopo aver lasciato il terribile mare dell’Inferno, Dante è pronto a cantare con più tranquillità il secondo regno dell’Oltretomba, il Purgatorio, nel quale l’anima si purifica per poter accedere al Paradiso. Il poeta invoca l’aiuto delle Muse e in particolar modo di Calliope, chiedendole di assisterlo con lo stesso canto col quale sconfisse le Piche. Catone scambia Dante e Virgilio per due dannati in fuga dall'Inferno Versi 13-48. Dante gioisce nell’osservare l’azzurro del cielo: ad illuminarlo c’è Venere, che si trova nella costellazione dei Pesci. Voltandosi verso il cielo australe, il poeta riesce a scorgere quattro stelle la cui luce è stata visibile solo a due esseri umani: Adamo ed Eva. Non appena distoglie lo sguardo da esse, scorge un vecchio venerando accanto a sé: si tratta di Catone Uticense il quale, credendo Dante e Virgilio due dannati in fuga dall’Inferno, chiede loro chi siano e come mai si trovino lì. Dante e Virgilio si presentano a Catone. Versi 49-108. Virgilio, allora, fa inginocchiare Dante di fronte a Catone e prende parola, rispondendo ai dubbi dell’anima veneranda. Gli spiega, quindi, che egli è stato incaricato da una donna beata a soccorrere Dante e a guidarlo attraverso l’Oltretomba. Aggiunge, inoltre, che Catone dovrebbe gradire la sua venuta: il poeta fiorentino cerca la libertà, che è qualcosa di assai prezioso, come sa bene chi per essa arriva a rinunciare alla propria vita. Conclude, infine, dicendo che i due sono svincolati dalle leggi infernali – Virgilio è un’anima del Limbo, Dante è un vivente – e di farli passare in nome di Marzia, moglie di Catone. L’uomo risponde che concederà loro il passaggio non per Marzia ma grazie alla donna del cielo che li ha messi in viaggio; prima, però, Virgilio dovrà lavare il volto di Dante e cingere la sua vita con un giunco. Virgilio compie le azioni richieste da Catone. Versi 109-136. Al termine del suo discorso, Catone scompare. Dante e Virgilio, tornando sui loro passi, giungono in un punto della spiaggia dove l’erba è bagnata dalla rugiada. Con questa, Virgilio lava le guance di Dante. Dopodiché, giunti nella parte bassa della spiaggia, il maestro si china a cogliere un giunco – che, una volta strappato, subito ricresce vigoroso – con il quale cinge i fianchi di Dante. SECONDO CANTO-tutto Luogo: Spiaggia del Purgatorio Personaggi: Dante, Virgilio, Casella L’amicizia è un valore chiave che Dante rimpiange nella solitudine dell’esilio: Nostalgia di Dante per i suoi amici: Quanto Dante soffrì l’esilio, lo scopriamo proprio dai canti del Purgatorio dove lui colloca tutti i suoi amici che ha il piacere di incontrare. E sì, nell’Inferno avevamo incontrato soprattutto i suoi nemici (politici e non), ma nel Purgatorio nella gioia della salvezza ormai vicina Dante immagina una riunione ideale con quelle persone che ha dovuto lasciare a causa della sua condanna. QUINTO CANTO- tutto Luogo: Siamo nell'Antipurgatorio Penitenti: anime negligenti morte di morte violenta Pena: devono attendere nell’antipurgatorio tanto tempo quanto vissero, correndo senza sosta lungo le pendici del monte. Versi 1-63. Una delle anime dei negligenti si accorge meravigliato che Dante proietta la sua ombra; il poeta rallenta il passo e Virgilio, allora, lo esorta ad essere perseverante e saldo e a continuare il proprio cammino senza lasciarsi distrarre. I due poeti si imbattono così in una schiera di anime che cantano il Miserere. Una volta confermato ad esse che Dante è un essere vivente, e che quindi può essergli d’aiuto rimembrandoli ai vivi, gli spiriti si avvicinano al fiorentino, affermando di essere morte violentemente pentendosi in fin di vita. Versi 64-84. La prima anima a prendere parola è quella di Jacopo del Cassero, il quale prega Dante di raccontare la verità sulla sua sorte ai suoi parenti e racconta la propria vicenda: perseguitato dai sicari di Azzo VIII d’Este, fu raggiunto e ucciso in una palude nel territorio di Padova. Versi 85-129. La seconda anima a parlare è quella di Bonconte da Montefeltro. Dante chiede lui che fine abbia fatto il suo corpo, scomparso dopo la Battaglia di Campaldino; lo spirito racconta di essersi trascinato alla foce del fiume Archiano e di essersi pentito. A quel punto, sottratta l’anima al demonio per una lacrima in fin di vita, questo si sarebbe vendicato suscitando una tempesta che, provocando la piena dell’Archiano, spinse il corpo di Bonconte in balia delle acque, dove venne sepolto dai detriti. Versi 130-136. La terza e ultima anima a prendere parola è quella di Pia, una donna senese che morì in Maremma per mano del marito. SESTO CANTO, tutto Luogo: Purgatorio Dante si concentra qui, nello specifico, sull’Italia e sul suo disordine politico e sociale. L'unica anima di questo canto è il poeta e giullare Sordello da Goito. Penitenti: anime negligenti morte di morte violenta Pena: devono attendere nell’antipurgatorio tanto tempo quanto vissero, correndo senza sosta lungo le pendici del monte. Versi 1-57. Dante si allontana dalle anime dei morti di morte violenta, che lo circondano chiedendogli suffragi. Una volta liberatosi dalla pressa, sottopone a Virgilio un dubbio che lo attanaglia: nell’Eneide, infatti, è chiaramente scritto che le preghiere non possono piegare la Volontà divina; è quindi vana la speranza delle anime che chiedono a Dante proprio questo? Virgilio spiega al poeta fiorentino che le preghiere, pronunciate con ardore di carità, possono abbreviare il tempo della pena ma non cambiano la sentenza di Dio. Aggiunge, inoltre, che nell’Eneide la colpa non poteva essere lavata dalla preghiera perché a pronunciare questa era un’anima pagana, quindi lontana da Dio. Infine, esorta Dante a porre questa questione anche a Beatrice, che incontrerà sulla vetta del monte del Purgatorio. Versi 58-75. Virgilio indica a Dante un'anima solitaria, che potrà loro indicare la via più rapida per salire. Lo spirito, però, non risponde alla domanda dei poeti, ma chiede loro chi siano e da dove vengano. Non appena Virgilio pronuncia il nome «Mantova», l’anima – che si presenta come Sordello da Goito, anch’esso mantovano – si slancia per abbracciare l’autore dell’Eneide. Versi 76-126. Al ricordo di questa scena, di questo affetto mosso solo dall’essere concittadini, Dante autore pronuncia un’indignata invettiva contro la mancanza di pace dell’Italia, resa schiava e abbandonata da chi dovrebbe prendersi cura di lei. L’accusa di Dante è rivolta ad Alberto d’Austria, che non si è curato del Bel Paese, e agli ecclesiastici, che ne hanno approfittato per ottenere il potere temporale, che invece non appartiene loro. Versi 127-151. Dante autore si rivolge infine a Firenze: ironicamente, osserva come la città può sentirsi fiera del non essere toccata da questa digressione. In realtà, l’apostrofe ironica è utile al poeta per elencare i mali che attanagliano Firenze, come la mancanza di giustizia e i continui mutamenti politico-sociali. DECIMO CANTO; cornici ed Humilitas Luogo: Purgatorio, prima cornice Penitenti: i superbi (non hanno avuto un atteggiamento umile verso Dio) Pena: dal momento che in vita si innalzarono troppo adesso camminano schiacciati sotto il peso di enormi massi Nella prima cornice: i bassorilievi Virgilio e Dante oltrepassano la porta del Purgatorio e, attraverso un lungo e stretto budello roccioso, giungono faticosamente sulla prima cornice della montagna. Stanchi e incerti sulla direzione da prendere, si fermano a osservare. Sulla parete di marmo bianco sono scolpiti alcuni bassorilievi di perfetta fattura. L'Annunciazione Quello posto di fronte ai due poeti rappresenta l'Annunciazione, nell'attimo in cui l'Angelo disse Ave e Maria rispose Ecco l'ancella di Dio. Sollecitato da Virgilio, spostando lo sguardo verso sinistra, Dante vede intagliata nel marmo della parete una seconda scena. L'Arca della Santa Alleanza Si tratta della rappresentazione di un carro tirato da buoi che trasporta l'Arca della Santa Alleanza. Davanti al carro ci sono numerose persone, raggruppate in sette cori, precedute dal salmista Davide che danza umile tra i vapori dell'incenso, in onore del Signore, sotto lo sguardo sprezzante della moglie Micol. Traiano e l'atto di giustizia Il poeta si avvicina alla parete marmorea per osservare la potenza espressiva di un terzo gruppo di figure scolpite. Il bassorilievo rappresenta la scena in cui Traiano, che voleva rimandare al suo ritorno dalla guerra un atto di giustizia verso una vedova, esortato dalla donna, scende da cavallo e lo compie. Virgilio suggerisce sottovoce a Dante di chiedere la strada a un gruppo di anime che camminano lentamente verso di loro. Il poeta, dopo aver esortato il lettore a non abbandonare il proposito della purificazione, replica alla sua guida di non riuscire a scorgerne nessuna. Le anime dei superbi Virgilio mostra allora al suo discepolo le anime dei superbi che, oppresse da enormi massi, alcune persino al punto da esserne quasi schiacciate per terra, si battono il petto in segno di pentimento. Dante, infine, con un'apostrofe ammonisce i superbi e la vanità delle loro aspirazioni. VENTUNESIMO CANTO, VV.121-136 Penitenti: anime degli avari e dei prodighi, colpevoli cioè, in maniera contraria ma ugualmente estrema , di essere stati eccessivamente attaccati ai beni terreni. Pena: esse sono sdraiate a terra, con il volto rivolto verso il pavimento della Cornice, e hanno mani e piedi legati. Personaggi: Stazio Stazio fu alla corte dell’imperatore Domiziano e si distinse come uno dei più importanti poeti dell’età dei Flavi. La sua opera principale è la Tebaide, un poema epico terminato intorno al 92 d.C. e modellato sulla struttura dell’Eneide virgiliana. La figura di Stazio viene introdotta da Dante all’interno del Canto XXI del Purgatorio e costituirà una presenza costante fino al Canto XXXIII, ovvero fino alla fine della cantica. Il motivo è semplice: Stazio ha portato a termine l’espiazione dei propri peccati ed è quindi pronto ad ascendere al Paradiso, laddove anche Dante è diretto. Versi 103-136. Virgilio allora si volge verso Dante e gli fa cenno con lo sguardo di tacere, ma l’emozione per l’involontaria dichiarazione di Stazio è così grande che il poeta fiorentino fa trapelare dal volto le proprie emozioni. Stazio se ne accorge, e gliene chiede il motivo; Dante, sotto approvazione di Virgilio, svela quindi all’anima che il poeta verso cui prova una così infinita gratitudine è proprio la sua guida. Stazio si getta così ad abbracciare i piedi di Virgilio, il quale gli ricorda che entrambe sono anime senza corpo. VENTISEIESIMO CANTO Canto 26 Luogo: settima e ultima cornice Penitenti: i lussuriosi, che furono travolti dalla passione carnale Pena: camminano tra le fiamme divisi in due schiere-lussuriosi secondo e contro natura- che avanzano in direzioni opposte; quando si incontrano si baciano fraternamente e gridano esempi di castità premiata e lussuria punita. Personaggi: Guido Guinizelli (stilnovista), Arnaldo Daniel (viene considerato uno dei più grandi poeti della sua epoca nonostante di lui si conservino soltanto 18 componimenti.) L’intero canto può essere quindi suddiviso in tre momenti: (vv. 1-24) Un’introduzione in cui Dante informa indirettamente il lettore che anche il secondo giorno di viaggio sta volgendo al termine, ed in cui si comincia il dialogo con il Guinizzelli. (vv. 25-51) L’interruzione del dialogo tra i due poeti a causa dell’arrivo del gruppo dei sodomiti. (vv. 52-148) Una lunga terza parte segnata dai dialoghi di Dante con il Guinizzelli ed il Daniel. VENTISETTESIMO CANTO, VV.58-FINE CANTO 27 LUOGO: 7 CORNICE PENITENTI: LUSSURIOSI  i due vecchi dietro il carro: gli Atti degli Apostoli e le Epistole di S. Paolo;  i quattro vecchi di umile aspetto: le Epistole canoniche di S. Pietro, S. Giacomo, S. Giovanni e S. Giuda;  il vecchio solo e addormentato: l’Apocalisse di S. Giovanni. Dante si rivolge alle Muse e ne invoca l'assistenza in nome dei sacrifici spesi per dedicarsi alla poesia, dal momento che si accinge a descrivere cose difficili da pensare e avrà bisogno in particolare dell'aiuto di Urania. TRENTESIMO CANTO, VV.63-FINE Luogo: paradiso terrestre Personaggi: Dante, Virgilio, Beatrice La Cantica, quindi, può essere suddivisa in cinque differenti momenti: Prima parte (vv. 1-21): introduce il canto agganciandosi alla fine del canto precedente. Questa parte prepara l'arrivo di Beatrice. Seconda parte (vv. 22-54): tra canti ed una pioggia di fiori appare Beatrice. Dante, smarrito, cerca Virgilio, lo chiama 3 volte ma è sparito, egli è tornato nel Limbo. Terza parte (vv. 55-81): Beatrice ammonisce Dante duramente Quarta parte (vv. 82-99): gli angeli intercedono per Dante presso Beatrice. Dante scoppia in lacrime. Quinta parte (vv. 100-145): Beatrice spiega che il motivo della sua severità è che, dopo la sua morte, Dante , avrebbe potuto compiere mirabili cose ma dopo la sua morte si è perso nella strada della perdizione, ha smarrito la strada della salvezza, al punto da rendere necessario il viaggio che sta compiendo. Deve manifestare il suo pentimento. TRENTADUESIMO CANTO, VV.100-FINE Canto 32 LUOGO: Nella foresta del Paradiso terrestre, tra il fiume Letè ed Eunoè PERSONAGGI: Dante, Beatrice, Matelda, Stazio. Personaggi nominati: Adamo; Pietro, Giovanni, Iacopo; Mosè ed Elia. Beatrice siede presso l’albero. Missione di Dante Vv. 85-108: Beatrice è seduta ai piedi dell’albero, attorniata dalle sette donne-virtù e dai sette candelabri; il resto della processione intanto fa ritorno al cielo. Beatrice invita Dante a osservare attentamente le vicende del carro che seguiranno e a raccontare sulla terra ciò che avrà visto per salvare l’umanità traviata dal peccato. Dante nel Purgatorio Allegoria dell’Aquila Vv. 109-129: Un’aquila scende veloce dall’albero e attacca il carro, facendolo vacillare come una nave in tempesta. Quindi una volpe magrissima si lancia contro il fondo del carro, ma Beatrice la rimprovera e la mette in fuga. L’aquila scende di nuovo sul carro, questa volta senza danneggiare la pianta. Sul carro lascia cadere una parte delle proprie penne. Allegoria del Drago Vv. 130-141: Un drago emerge dalla terra, conficca la coda nel carro e ne strappa una parte, mentre le penne dell’aquila si moltiplicano ricoprendo le ruote e il timone. Poi il carro si trasforma: compaiono sul timone tre teste con due corna ciascuna e, ai quattro angoli, quattro teste con un corno. Allegoria della meretrice e del gigante Vv 142-160: Sul carro appare una puttana dallo sguardo lascivo e un gigante si avvicina a lei baciandola. La meretrice punta ammiccante lo sguardo su Dante e allora il gigante, infuriato, prima la frusta da capo a piedi, poi slega il carro dall’albero e lo trascina nella selva insieme alla meretrice. TRENTATReESIMO CANTO, TUTTO Canto 33 LUOGO: Paradiso terrestre Personaggi: Dante, Beatrice, Stazio, Matelda Vv. 1-12: Canto delle sette donne e sospiro di Beatrice. Finita la processione e viste le trasformazioni del carro e il suo rapimento da parte del gigante, le sette donne intonano piangendo il salmo Deus, venerunt gentes, e Beatrice, addolorata e pietosa, muta colore in volto quasi quanto Maria sotto la croce. Quando poi le donne le danno la possibilità di parlare, si infervora e dice solennemente: "Tra poco non mi vedrete, e poi di nuovo, dopo poco, mi vedrete". Vv. 13-51: Profezia di Beatrice Beatrice invita Dante a starle vicino. Beatrice fa muovere tutte e sette le donne davanti a lei, e si fa seguire da Dante, da Matelda e da Stazio. Invita Dante ad affrettarsi e a starle vicino per poterla ascoltare bene; lo esorta a non esitare e a porle tutte le domande che desidera: Dante risponde che domandare è superfluo, poiché ella sa già bene quel che lui vuole apprendere e quel che gli serve per apprendere. Beatrice gli spiega che dev’essere libero da timore e vergogna. Deve parlare apertamente. La profezia di Beatrice. Spiega, inoltre, che il carro danneggiato dal drago (la Chiesa) ebbe esistenza autentica e ora non l'ha più; ma chi ne è responsabile deve sapere che la giustizia divina non teme alcun ostacolo e arriverà presto. L’aquila che ha lasciato le penne sul carro (l'impero), e ne ha provocato la trasformazione in mostro e il rapimento da parte del gigante, non rimarrà per sempre senza eredi; già è vicino un momento favorevole del cielo, nel quale un inviato da Dio ucciderà la meretrice insieme con il gigante: questo per Dante è ora un enigma incomprensibile, ma i fatti lo renderanno chiaro assai presto. Vv. 52-78: la missione di Dante e le parole oscure di Beatrice Beatrice invita Dante a prendere nota delle sue parole. Beatrice dice a Dante di prendere nota delle sue parole e le riporti ai vivi nel mondo terreno e non taccia di dire tutto ciò che ha visto dell'albero che è stato due volte spogliato. Chiunque deruba quell’albero offende Dio che lo creo solo per sé; esso e l'albero del bene e del male, per aver morso il frutto del quale Adamo penò più di cinquemila anni prima che Cristo lo redimesse. Dunque, se non comprende che l'albero è così alto e capovolto in quel modo per una ragione speciale, vuol dire che il suo intelletto dorme e che è stato incrostato o abbagliato da falsità (similitudine con acqua d’Elsa e sangue di Piramo). Ma poi ché ella vede che il suo intelletto è indurito e oscurato, cosicché la luce delle parole di lei lo abbaglia, vuole che Dante porti con sé almeno un'immagine del suo discorso, come si porta il bastone ornato con la palma in ricordo del pellegrinaggio. Vv. 79-102: l’insufficienza dottrinale di Dante Dante non comprende le parole di Beatrice. Il suo intelletto, risponde Dante, è segnato dalle parole di Beatrice come la cera porta l'impronta del sigillo; ma queste parole vanno al di là della sua comprensione. Perché? Risponde Beatrice che questo accade per far sì che egli si renda conto di quanto poco la scienza umana sia in grado di seguire le parole della scienza divina, e comprenda che la scienza divina dista da quella umana quanto dista dalla terra il Primo Mobile. Dante dice allora di non ricordarsi di essersi mai allontanato da Beatrice, e di non sentire rimorso per un fatto del genere: ciò avviene, risponde Beatrice, perché egli ha bevuto l'acqua del Lete, e, come il fumo è segno del fuoco, questa stessa dimenticanza è segno dell’esistenza della sua colpa. D'ora in poi ella gli parlerà in modo più semplice e diretto. Vv. 103-135: Matelda conduce Dante e Stazio a bere l’acqua dell’Eunoè Una sorgente comune a due fiumi. Intanto è mezzogiorno; le sette donne si fermano dove l’ombra al margine della foresta è divenuta simile a quella che si stende sui fiumi di montagna sotto fronde verdi e rami scuri. Davanti alle donne pare a Dante di veder uscire l'Eufrate e il Tigri da una stessa sorgente, e separarsi lentamente fra loro. Matelda conduce Dante e Stazio all’Eunoè. Chiede a Beatrice di quali fiumi si tratti. Matelda, incaricata da Beatrice, afferma, come per discolparsi, di averglielo già spiegato, e di non credere che l'acqua del fiume Letè glielo abbia potuto far dimenticare. Forse, dice Beatrice, Dante se ne è dimenticato perché altre cose più pressanti hanno distolto la sua attenzione, ma ecco Eunoè che esce dalla sorgente. Beatrice ordina a Matelda di condurre Dante ad esso e di fargli bere l'acqua che ravvivi in lui la memoria del bene. Sollecitamente, con nobile grazia, Matelda prende per mano Dante, e invita anche Stazio a seguirli. Vv. 136-145: Dante puro e disposto a salire alle stelle Dante beve l’acqua dell'Eunoè Dante racconterebbe la dolcezza che gli dette il bere quell’acqua, di cui non si sarebbe mai saziato; ma ormai ha scritto tutto quanto richiedeva la struttura della seconda cantica, e il senso delle proporzioni artistiche non gli permette di andare oltre. Dice solo che ritornò indietro dall'Eunoè rinnovato come una pianta rivestita di nuove fronde a primavera, puro e pronto a salire alle stelle.
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