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2024 Paniere Aperte DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M, Panieri di Antropologia

2024 Paniere Aperte DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M. 27004) Docente Pesce Mario Risposte APERTE Ecampus

Tipologia: Panieri

2024/2025

In vendita dal 19/09/2024

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Scarica 2024 Paniere Aperte DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M e più Panieri in PDF di Antropologia solo su Docsity! Lezione 01 12. Cosa studia l'antropologia L’antropologia è la scienza che studia i tipi e gli aspetti umani soprattutto dal punto di vista morfologico, fisiologico, psicologico; di conseguenza l’antropologo è un professionista che studia l’uomo dal punto di vista sociale, culturale (antropologia culturale) e fisico (antropologia fisica), osservando la sua evoluzione, le caratteristiche del suo comportamento, la mentalità dei diversi gruppi sociali e delle differenti comunità etniche. 13. Commentare il racconto del cittadino americano medio Il testo fa riferimento alle azioni quotidiane che svolge un uomo al suo risveglio fino al momento della colazione. Nel testo sono citate le provenienze di vari oggetti comuni come il letto, la sedia, i vari tessuti e perfino il cucchiaio. Questa precisione vuole sottolineare come le oggetti e usanze di culture e secoli diversi si siano unite, mischiate e trasformate fino ai giorni nostri. E’ presente una evidente critica nei confronti del così detto “americano medio” che si crede in parte superiore e in parte coinventore di tutti gli oggetti menzionati, come se, senza di lui (i suoi predecessori) non ci sarebbero mai stati. Ecco che prende forma l’ideologia dell’americano come uomo invincibile ed essenziale. 14. Esporre il pensiero di James Frazer James Frazer nasce in Scozia nel 1854. Professore di antropologia sociale a Liverpool poi a Cambridge, è uno dei primi antropologi che si occuparono di elaborare approfondite analisi sugli usi, costumi e pratiche culturali e religioni delle culture delle popolazioni altre. Nel 1890 pubblica "Il ramo d'oro", un libro che viene ripetutamente ampliato fino alla stesura definitiva del 1915. E' considerato l'ultimo antropologo evoluzionista. Pensa il suo metodo di disamina antropologica come un tipo di analisi comparata. E’ anche lui figlio dell’evoluzionismo e del periodo vittoriano e coloniale, ritiene i fenomeni religiosi, dei popoli primitivi, retaggio, attestazione e analogia con un tipo di mentalità primitiva. L’argomento centrale del libro è il passaggio dalla magia alla religione alla scienza. In analogia con gli altri modelli evolutivi, sostiene che magia, religione e scienza sarebbero tappe dello sviluppo intellettuale dell'uomo: -la magia è tipica di uno stadio dominato dall'ignoranza; -la religione è tipica di uno stadio intermedio; -la scienza è la ricerca delle leggi che regolano i fenomeni  della natura. Mentre nasce la ricerca antropologica "sul campo", Frazer è considerato, dai suoi contemporanei, un antropologo "da tavolino". Lezione 02 05. Commentare il concetto di cultura di Edward Tylor Nell'opera Primitive culture (1871), vero fondamento teorico dell'antropologia evoluzionista, Tylor elaborò la prima definizione scientifica della nozione di Cultura. Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualunque altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”. Se la definizione classica di cultura privilegiava l’idea di erudizione, di acquisizione di un sapere “elevato”, espresso per lo più in forma scritta, da parte di un’élite, la definizione di Tylor estende la Cultura a tutta l’umanità. La Cultura consiste nell’insieme dei saperi, delle pratiche, delle abitudini che ogni uomo acquisisce in quanto membro di una particolare società. 06. Esporre il pensiero di Edward Tylor Nell’opera Primitive culture (1871), vero fondamento teorico dell’antropologia evoluzionista, Tylor elaborò la prima definizione scientifica della nozione di cultura. Inoltre Tylor diede avvio al campo della comparazione interculturale. Sempre in Primitive culture, Tylor    propose tre stadi dell’evoluzione sociale che intese come stadi evolutivi della religione, dall’animismo al politeismo e infine al monoteismo. Formulò anche il concetto di cultura in senso etnografico quale insieme di PANIERI VERIFICATI ECAMPUS LUISA BARRI 2024 . “conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi e qualsiasi altro prodotto e modo di vivere propri dell’uomo che vive in società”. Con il saggio On the method of investigating the development of institutions (1889) Tylor inaugurò e fondò teoricamente il metodo comparativo in antropologia. All’interno dell’evoluzionismo sociale, l’opera di Tylor si caratterizza per la centralità da lui attribuita alla dimensione culturale della storia evolutiva delle società umane, differenziandosi in questo da studiosi come L. H. Martino o H. Spencer, che privilegiarono invece l’evoluzione delle forme di organizzazione sociale. Lezione 03 08. Cosa è il Darwinismo sociale? La dottrina darwiniana ebbe un’influenza enorme su tutto lo sviluppo scientifico e filosofico del  secondo Ottocento  dando origine a quel filone del pensiero che si definisce appunto “darwinismo sociale”.Il darwinismo sociale è una teoria nata negli anni 1870-80, con intento peggiorativo secondo la quale ogni comunità funziona in base alle leggi naturali ,descritte da Charles Darwin , del mondo animale e naturale, quindi dominata dalla lotta per la vita, che assicura la sopravvivenza e il dominio al più forte. Un'idea estesa poi anche alla rivalità fra Stati nazionali. Il fatto che nella lotta per la sopravvivenza delle nazioni alla fine vincessero quelle più potenti fu sfruttato dall'imperialismo (Colonialismo) come una sorta di legittimazione biologistica, pensiero alla base del razzismo. 09. Parlare del pensiero di Charles Darwin Con le teoria dell'evoluzionismo, contenuta del celebre saggio del 1859, basata sulla selezione naturale, Charles Darwin rivoluzionò la concezione tradizionale dell’origine delle specie viventi. Egli sosteneva che tra i vari individui vi sia una continua lotta per la sopravvivenza, e che in questa lotta prevalgono i più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano, trasmettendo i loro caratteri ai discendenti. Il pensiero scientifico di Darwin poggia su due teorie. La prima è relativa alla lotta per l’esistenza: in natura non c’è posto per tutti e le risorse naturali non sono sufficienti a garantire l’esistenza degli esseri che si moltiplicano in una crescita vertiginosa. Essi devono, quindi, sostenere una guerra perenne gli uni contro gli altri per guadagnarsi uno spazio vitale e adeguati mezzi di sussistenza. La seconda teoria è quella che riguarda la selezione naturale: nella lotta per la vita, infatti, soltanto i più adatti sopravvivono, trasmettendo poi ereditariamente le loro qualità. In questo modo si tramandano solo le specie più resistenti, mentre quelle che presentano particolarità inadatte a reggere la lotta sono necessariamente destinate a scomparire. 10. Quale era il pensiero dei predecessori di Darwin I predecessori di Darwin arrivarono, con dubbi ed errori, a comprendere che l’uomo è frutto di un’evoluzione. Lamark svilupperà la teoria dell’adattamento dell’ambiente mentre Cuvier riteneva che la terra avesse vissuto nei millenni diverse catastrofi, le specie sopravvissute sarebbero quelle attualmente sulla terra. Lezione 04 07. Il colonialismo: come nasce e come si sviluppa Il colonialismo è definito come l’estensione della sovranità di una nazione sui territori e popoli all’esterno dei suoi confini, indica anche il dominio coloniale mantenuto da diversi Stati europei su altri territori extraeuropei lungo l’età moderna e indica quindi il corrispettivo periodo storico, cominciato nel XVI secolo, contemporaneamente alle esplorazioni geografiche europee e formalmente conclusosi nella seconda metà del XX secolo. Le grandi scoperte geografiche ebbero enormi conseguenze. Dal punto di vista geografico, le scoperte segnarono il passo decisivo verso l’ unificazione del mondo. I primi imperi coloniali furono quelli del Portogallo e della Spagna: il Portogallo sviluppò soprattutto una rete commerciale in Africa, in Asia, mentre la Spagna diede vita in America Centrale e Meridionale a un impero amministrato da un governo centralizzato, con una struttura burocratica e un esercito. comunità o dei soggetti studiati. E questo processo è possibile solamente attraverso la creazione di legami e relazioni tutt’altro che superficiale tra osservatore e intervistato, tra antropologo e oggetto della ricerca. Tuttavia, pur sottolineando l’estrema importanza della ricerca sul campo come punto centrale della pratica etnografica, è impensabile per l’antropologo attuare una completa immedesimazione all’interno del campo di ricerca. Attraverso la pratica dell’osservazione partecipante quindi cessa anche la separazione tra osservatore e oggetto osservato, poichè in questo modo i due soggetti interagiscono, instaurano una relazione, partendo entrambi dal legame che hanno con il proprio specifico universo culturale e di riconoscimento. Lezione 09 Lo studio della parentela di Bronislaw Malinowski La ricerca empirica, basata sull’esperienza e l’osservazione diretta e sulla partecipazione, ho bisogno di una preparazione profonda che Malinowski chiama “carta mentale“. Questa ad un certo punto della ricerca e con diverso materiale si trasforma in “carta reale”, che significa trasformare il materiale in forme grafiche esplicative. Le tavole genealogiche sono forme concrete di una costruzione dell’indagine parentale e di relazioni familiari. Il concetto di cultura di Malinowski prende in esame l’eredità culturale. Tutto quello che viene trasmesso può essere annoverato nel concetto di tradizione. L’antropologo compresi che le società sono pervase da un “sistema di funzioni“ che rappresentano la loro struttura. Lezione 10 Parlare del rito del Kula-ring È uno scambio simbolico di doni effettuato nell’arcipelago delle isole Trobriand, a est della Nuova Guinea, e studiato nel 1922 dall’antropologo Bronislaw Malinowski. Da oltre 2000 mila anni esiste in questo arcipelago un rituale basato sullo scambio di monili fatti di conchiglie. Da isola a isola, lungo una circonferenza di parecchie centinaia di chilometri, si osserva una continua circolazione di collane di conchiglie rosse in senso orario e di braccialetti di conchiglie bianche in senso antiorario. Coloro che possiedono questi monili possono organizzare una spedizione di canoe a un’isola vicina, per portarli in dono agli ospiti, i quali con cerimonie particolari ne doneranno in cambio del tipo diverso. Per un certo periodo, il braccialetto o la collana rimarrà presso il nuovo possessore, che potrà ammirarla e esibirla, fino a quando con una nuova spedizione rituale la trasferirà su un’isola successiva dell’anello, e così via. Un giorno lontano, compiuto un intero giro, il monile comparirà di nuovo nell’isola da dove era partito. Attraverso il Kula si mantengono i rapporti fra popolazioni distanti, confermando un’appartenenza culturale comune. C’è poi anche un altro aspetto “economico” importante: la cerimonia amichevole e disinteressata crea condizioni di fiducia reciproca per il commercio vero e proprio di altri beni non cerimoniali. Nei due o tre giorni in cui una spedizione è ospite su un’atra isola, si barattano infatti generi alimentari, vasellame, canoe e altri beni nella produzione dei quali sono specializzati gli abitanti di isole diverse. Lezione 11 Esporre il pensiero di Franz Boas Franz Boas è considerato il caposcuola dell’antropologia americana. Egli aveva origini tedesche, studiò in Germania e si avvicinò alle scienze umane solo dopo aver partecipato ad una spedizione in Canada. A fine Ottocento si trasferì negli Stati Uniti dove studiò principalmente i Pueblòs, gli indiani della costa Nord-Ovest. Boas operò in merito alle lingue dei nativi, delle quali ne parlava molte, e raccolse e poi pubblicò le regole grammaticali, di circa una decina di popolazioni. Boas è il rappresentante del Metodo induttivo. Le sue ricerche erano ispirate a quelle delle scienze naturali attraverso tre punti fondamentali: - Osservazione diretta di fatti concreti ; - Raccolta e analisi dei dati; - Elaborazione di teorie e leggi. Boas studiò le società degli Indiani dell’America Nord-ovest, sotto i vari aspetti, egli infatti identificò nel Potlach, una cerimonia tipica, significali sia economici che sociali. Secondo Boas ogni cultura ha caratteristiche proprie che non possono essere sintetizzate nei vari stati evolutivi. Questa visione è detta particolarismo culturale, un punto di vista secondo cui ogni cultura deve essere considerata singolarmente e studiata in base all’ambiente nel quale si sviluppa, e alle esigenze da affrontare. Da questa concezione, definita particolarista culturale, subentra il “Relativismo culturale”. Lezione 12 05. Il Potlatch consiste in una serie di rituali dal chiaro significato religioso nei quali un personaggio di prestigio offre doni in abbondanza ai membri del suo gruppo, distribuendo i beni secondo un criterio di proporzionalità commisurato al rango sociale. La pratica di distribuzione e consegna dei doni avviene secondo un cerimoniale ben preciso, trasmesso di generazione in generazione, e spesso il complesso rituale consiste nel momento in cui vengono tramandati racconti tradizionali. La cerimonia si svolge presso il villaggio della persona di maggior prestigio, che invita presso di sé anche i membri degli altri villaggi, generando così un complesso meccanismo di reciproco riconoscimento di prerogative e prestigio, tale da determinare un’articolata consuetudine la cui violazione sarebbe interpretata come offesa. Il Potlatch è anche una occasione di consumo catartico, finalizzato all’affermazione del prestigio personale, e può giungere a forme particolarmente esasperate come la distruzione di propri beni di fronte agli occhi degli altri capi villaggio, in modo da riaffermare prestigio e potere sugli altri. Il meccanismo connesso con il Potlatch è quello che possiamo definire un meccanismo psicologico, che stabilisce il principio della reciprocità obbligatoria e vincolante: chi riceve un dono deve restituire un altro dono, se non vuole restare “dominato” da colui che per primo ha generato il circuito di donazione. Donare corrisponde, infatti, a dare una parte di sé che deve per questo essere restituita. Gli studi sul Potlatch, così come formulati nel Saggio sul dono di Mauss, hanno influenzato a fondo molte generazioni di antropologi, tra i quali ricordiamo Radcliffe-Brown, Malinowski, Evans- Pritchard. Il termine Potlatch deriva dalla lingua di una popolazione nativa dell’America settentrionale. Il meccanismo della reciprocità studiato da Mauss nel 1923-24 è stato alla base delle ricerche di Claude Lévi-Strauss sulle strutture elementari della parentela e di Karl Polanyi per lo studio degli scambi commerciali. Analizzato in termini più generali, infatti, il meccanismo ha rapporto con un circuito di reciprocità entro il quale lo scambio di doni costituisce un momento essenziale, fino a poter essere definito prerequisito di ogni pratica di scambio. Ma ogni rapporto di ospitalità si fondava, prima di tutto, su uno scambio di doni che coinvolgeva sia colui che veniva ospitato sia colui che forniva ospitalità. Da questa breve disamina si può evidenziare la natura “sociale” del rapporto di scambio di doni, da cui ha origine poi un rapporto di tipo “economico” che risulta però essere sempre dipendente dal primo. Si possono riscontrare forti analogie culturali, sia nel tempo che nello spazio, legate alla pratica del consumo spropositato al fine di rinsaldare il prestigio personale. Tuttora sono ancora riscontrabili simili pratiche; non è chiaro però se sia solo un retaggio culturale o mantengano in se ancora il valore sociale. 06. Il particolarismo storico fu concepito dall'antropologo tedesco Franz Boas, deciso oppositore dell'evoluzionismo. Secondo questo autore ogni cultura ha una sua storia unica e una sua ben definita durata; per comprendere a fondo una civiltà è dunque indispensabile ricostruirne l'iter storico e particolare. Al particolarismo è collegata anche la convinzione che non esistano forme più o meno elevate di cultura. 07. Franz Boas e il Potlatch Boas studiò le società degli di individui dell’America Nord-ovest, sotto i vari aspetti, egli infatti identificò nel Potlach, una cerimonia tipica, significali sia economici che sociali. Secondo Boas ogni cultura ha caratteristiche proprie che non possono essere sintetizzate nei vari stati evolutivi. Questa visione è detta relativismo culturale, un punto di vista secondo cui ogni cultura deve essere considerata singolarmente e studiata in base all’ambiente nel quale si sviluppa, e alle esigenze da affrontare. Da questa concezione, definita particolarista culturale, subentra il “Relativismo culturale”. Lezione 13 06. cosa è il rito? Il rito attualizza la realtà perché se gli essere umani vogliono che il mondo continui a esistere e gli uomini a vivere c'è bisogno di un “dispositivo cultuale” (sinonimo di rito) che permetta al mondo e alle donne e agli uomini di continuare la loro esistenza. 07. Cosa è il Trickster? Il Trickster, è un figura interessante nelle storie sacre, studiato anche da Sigmund Freud e Karl Gustav Jung. Il Trickster è un “creatore per gioco”, un “briccone”, un “turlupinatore” a volte “turlupinato”, un Truffatore che alcune volte viene truffato, uno che può indicarti la via o fartela perdere, fortemente ambivalente, né buono né cattivo; nella cultura musulmana è rappresentato con quella figura attestata nel Corano chiamata Jinn (oppure D'jin, Jin, Jinh) ovvero un essere tra gli Angeli e gli Uomini, creati “da un fuoco di vento bruciante” (Corano, 15:26). 08. Cosa è il mito? Il mito, o storia sacra per utilizzare una definizione culturalmente corretta, fonda la realtà ovvero il mondo come lo conosciamo, quel mondo è formato in un certo modo perché una divinità, una entità extra-umana, un essere supremo, un signore o una signora degli animali, un dio unico ha creato un tipo di realtà o ha creato l'essere umano o ha dato vita agli animali con cui gli essere umani si cibano. 09. Il rito e il mito Mito e rito sono due elementi che spesso ritroviamo nella cultura di vari popoli e che, anche se apparentemente non sembrano avere niente in comune, in realtà si caratterizzano per il fatto di essere due prodotti culturali che presentano delle analogie, sia il mito che il rito sono elementi fondanti della realtà, che tendono a spiegare aspetti del reale in modo continuo, attraverso la riproposizione di racconti o di formule che si ripetono. Entrambi coinvolgono la collettività, nel senso che sono rivolti ad un’itera comunità che diventa protagonista di episodi ed azioni che la riguardano da vicino. Inoltre non bisogna dimenticare che sia il mito che il rito propongono alla riflessione una dimensione che per molti versi è al di fuori del tempo. Quella del mito sembrerebbe essere rivolta maggiormente al passato remoto, ma in realtà si tratta di un passato attualizzato, che colloca il flusso degli eventi in un corso continuo del tempo che viene presentato come esempio che vale anche nel presente e al di là di ogni limite di carattere temporale. Mito e rito si possono situare nello stesso asse culturale, in quanto prodotti culturali collettivi e il cui significato è atemporale. 10.Angelo Brelich è stato ordinario di storia delle religioni alla sapienza di Roma ed è uno dei maggiori rappresentanti della cosiddetta scuola romana di storia delle religioni. I punti fondamentali che caratterizzano la concezione che lo studioso ebbe della disciplina, e di conseguenza della “Scuola di Roma”,che ne seguì e cerca tuttora di seguirne l’insegnamento, sono fondamentalmente due: il primo è l’approccio prettamente storicistico, nel senso del «carattere irriducibilmente storico di ogni formazione religiosa»; il secondo l’impiego nella ricerca della comparazione storico-religiosa, sostenuta da un adeguato studio dell’etnologia. Come afferma B., la Storia delle religioni «non è la storia dell’inesauribile varietà di comportamenti, idee, reazioni, sentimenti, credenze, esperienze religiose». Ogni religione è composta infatti da un «complesso di istituzioni che (…) si conservano indipendentemente dalla sempre varia e mutevole religiosità degli individui» Lezione 14 06. Commentare le tre fasi dei riti di passaggio di Arnold Van Gennep Lo studioso di origine belga ritiene che i riti di passaggio si formino di tre fasi: la prima è il distacco o separazione (riti preliminari), dalla comunità di appartenenza, dallo stato sociale di Per Geertz i soggetti, più che gli oggetti di studio, sono gli individui e le modalità della vita quotidiana: il vissuto delle persone, i loro modelli di comportamento, le loro pratiche rituali, i loro valori che non possono essere ridotti a forme stereotipate di pratiche comportamentali o modelli cognitivi. Capire tutto questo per un antropologo, significa non solo viverle ma “scriverle e descriverle in un testo. Geertz afferma che la cultura va analizzata con nuovi metodi, distaccandosi dalle scienze quantitative che intendono trovare delle leggi o dei modelli, che devono andare nella direzione di comprendere il significato profondo dei fatti sociali attraverso l'interpretazione. Le persone, portatori di tratti culturali, si esprimono, e quindi la cultura si esprime, per simboli, che gli individui utilizzano nello vita quotidiana. Sono proprio i simboli, e i valori che si attribuiscono ad essi, che determinano la visione del mondo di un gruppo e il suoi modo di organizzare la vita di tutti i gironi. Naturalmente l'interpretazione è un processo delicato e complesso. Può risultare, anche, lungo e tortuoso. Geertz ritiene che per interpretare una cultura, partendo dai suoi simboli, bisogna prima di tutto isolare gli elementi fondamentali di una certa cultura, poi, come secondo step, si comprendono e si delineano le relazioni tra loro, interne ed esterne, poi, in ultimo, si passa ad una generalizzazione del sistema culturale, delimitando i tratti principali che lo delimitano prendendo come punti di raccordi i simboli più importanti di tale cultura. A questo punto i simboli prendono significato dalla loro funzione, o rappresentazione, che hanno all'interno delle cornici di comportamento. Lezione 18 06. Lamberto Loria (1855-1913) è stato il fondatore del Museo delle Tradizioni Popolari di Roma, oggi Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale e fu uno dei primi demologi italiani (da demo tradizione e logia discorso, dissertazione, quindi studio delle tradizioni popolari poi anche comunemente chiamato Folklore). Nato in Alessandria d'Egitto da genitori italiani ha viaggiato per ricerca e studio in Turkestan, nelle Isole Trobriand (Papua Nuova Guinea), in Lapponia e in Eritrea. In questi paesi raccolse molto materiale etnografico. Diversi oggetti della cultura materiali dei posti visitati che diventeranno il patrimonio dell'attuale Museo Etnografico Pigorini di Roma, uno dei più importanti e completi musei di antropologia del mondo, del Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze e del Museo Archeologia e Etnologia di Modena. Nel 1911 organizza, per il cinquantenario dell'Unità d'Italia, si ricordi che la dichiarazione dell'Unità d'Italia è del 1861 e non alla presa di Roma del 1870, una esposizione universale dove a fianco ai padiglioni delle nazioni che aderirono: Stati Uniti, Serbia, Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Russia, Ungheria, Spagna e Giappone, fu organizzata la mostra di Etnografia Italiana. Gli oggetti portati per la mostra, per lo più abiti tradizionali che lo stesso Loria dirà essere pieni Di toppe, con buchi e rattoppi, saranno sostituiti da copie fedeli all'originale che rappresentano “l'Identità Italiana”. La mostra viveva sull'ambivalenza di sue concetti: quello della “finzione” e quello della “autenticità”. La “politica della raccolta” e la ricostruzione degli abiti tradizionali permisero a Lamberto Loria di mettere in scena una mostra che dimostrava come la costruzione dell'identità era possibile attraverso la ricostruzione degli abiti tradizionali divennero, così, qualcosa di autentico. Lezione 19 07. La presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino (antropologo, etnologo, storico delle religioni e studioso delle tradizioni popolari e padre di quella Etnopsichiatria italiana) è intesa come la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica, partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci come persone dotate di senso, in un contesto dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito definita come "tradizione". 08. Il suo pensiero è caratterizzato dal costante richiamo alla filosofia di Benedetto Croce (1856-1952) dal quale ereditò l'indirizzo storicista. Egli pensa che non sia possibile ridurre l'esperienza umana ad un'indagine di tipo "scientifico": mentre le scienze sono "pseudo- conoscenze" destinate ad avere semplici applicazioni pratiche ed utilitaristiche, la vera conoscenza è solo ed esclusivamente storica, intendendo per "storia" una conquista di livelli di autoconsapevolezza sempre maggiori. De Martino difende lo storicismo crociano fino all'ultimo, sviluppandolo e integrandolo con altri aspetti: estende la filosofia crociana oltre il suo ambito tradizionale, ad esempio alla religione e all'etnologia ed è molto critico nei confronti del "naturalismo" dell'antropologia francese e britannica. Ciò che più rimprovera a questi due indirizzi è l'incapacità di rendere l'idea della dimensione storica dei fenomeni culturali tipici dei popoli primitivi: essi forniscono sì semplici descrizioni dei propri oggetti, ma non di quegli elementi che permettono una loro piena comprensione. De Martino pur seguendo Croce nella sua metodologia, se ne allontana per il progetto che intende realizzare: riguardo al problema della presunta o meno realtà dei poteri magici, egli presto si rende conto che una realtà storica come quella del mondo magico non può essere compresa "dall'esterno e dall'alto" ma soltanto "dall'interno". Appare allora centrale, al fine di comprendere l'universo magico, l'analisi della costruzione della realtà magica, la quale ruota intorno al concetto di presenza: questa, intesa come "esserci nel mondo", è uno stato che l'uomo si sforza di costituire per sfuggire all'idea insopportabile del non-esserci; si parla di crisi della presenza ed il riscatto dalla crisi è attuato attraverso il rituale magico-religioso che permette così il suo superamento. Lezione 20 Pensiero di Clause Lévi-Strauss 10. Claude Levi Strauss fu il massimo esponente dell’antropologia strutturale, ovvero teorie elaborate per identificare le strutture sociali, ma soprattutto gli elementi ricorrenti alla base della vita sociale inspirandosi allo strutturalismo di Saussure. Ne “Le strutture elementari di parentela” del 1949 Levi-Strauss analizza i rapporti di parentela nelle varie forme di società, arrivando al problema primario: la distinzione tra uomo e animale. Studiando i rapporti di parentela di varie popolazioni , Lévi-Strauss  trattò di questioni ampiamente dibattute dagli antropologi (come, ad esempio, la parentela, l’etnocentrismo e il contatto tra culture, il totemismo, la creazione dei miti), ma seppe innovarle profondamente giungendo a nuove definizioni e interpretazioni. Egli afferma che la differenza sta nei legami che subentrano dopo il matrimonio, a cui si aggiungono i legami di filiazione (tra genitori e figli) e di consanguineità (tra fratelli), che concorrono a costituire l’atomo di parentela (insieme dei legami). Studiando i rapporti di parentela di varie popolazioni , Lévi-Strauss individuò nel concetto di atomo parentale, la causa del passaggio da natura a cultura. Lo scambio matrimoniale rappresenta la trama essenziale del tessuto, che da forma alla società, principio fondamentale grazie al quale è possibile comprendere il funzionamento di parecchi tipi di sistema di parentela. Tali sistemi possono essere infatti interpretati come il risultati di diversi modi di combinare insieme alcuni ben definiti modelli elementari destinati a regolare la comunicazione fra i vari gruppi. L’antropologo concepisce l’organizzazione della vita sociale come un insieme di sistemi a carattere linguistico, basati su livelli di attuazione dei processi di scambio. Per lui il compito della sociologia è quello di indagare i codici sulla base di quelli si costruiscono delle norme sociali, come ad esempio l’utilizzo di una lingua comune a partire da fonti naturali. 11.L'atomo di parentela viene definito dall'antropologo Claude Levi-Strauss come l'insieme dei legami di "affinità" (cioè i vincoli conseguenti al matrimonio),dei legami naturali di "filiazione" (tra genitori e figli) e di "consanguineità" (tra fratelli). Questo concetto viene coniato da Levi-Strauss nella sua opera "Le strutture elementari della parentela" (1949) quando definisce la distinzione tra uomini e animali. 12. In tutte le culture , nonostante la varietà, esistono alcune medesime “ leggi universali” , la più importante è il “Tabù dell’incesto”, ovvero il divieto assoluto di unirsi sessualmente con parenti stretti; esso rende obbligatoria l’esogamia, una regola matrimoniale che impone di sposarsi con persone non appartenenti al proprio gruppo (Famiglia o Banda che sia) ; contrapposta all’endogamia, cioè una prescrizione che concede le unioni all’interno di un gruppo. Il matrimonio endogamico si è affermato in tutte le società perché favorisce rapporti di alleanza . Tylor afferma infatti che nella preistoria gli uomini se volevano liberarsi dal timore di venir uccisi da altri gruppi , dovevano instaurare legami attraverso il matrimonio; infatti Lévi – Strauss individua nell’incesto una “ mediazione” tra natura e cultura, poiché nonostante sia una creazione umana , rientra nell’ordine dell’obbligatorietà delle leggi di natura. La famiglia è uno dei principali argomenti di interesse per la maggior parte delle scienze sociali, che se ne occupano sotto diversi punti di vista.Un brano, Famiglia e società, tratto da uno scritto del celebre antropologo francese Claude Lévi-Strauss, critica la tesi secondo cui la famiglia coniugale sarebbe elemento costitutivo di ogni società. Contrariamente a questa concezione, essa sarebbe per Lévi-Strauss il frutto di un processo storico. Unico requisito «naturale» della famiglia umana è la regola dell’esogamia, il fatto che essa nasce dall’unione tra persone che originariamente appartengono a famiglie diverse. Lezione 21 05. Marvin Harris e il materialismo culturale Marvin Harris fu un antropologo statunitense e principale esponente del materialismo culturale, corrente di pensiero secondo cui ogni cultura si sviluppa e può essere comparata con altre diverse culture sulla base di tre strutture o principi: tecnologico, sociale e ideologico. Le pratiche socio-culturali, quindi, conseguono da queste tre strutture, strutture determinanti nell’evoluzione della cultura che agiscono come meccanismi regolatori del sistema. Marvin Harris ha ereditato il concetto di materialismo culturale a partire dai fondamenti teorici economici dettati da Karl Heinrich Marx e Friedrich Engels concentrandosi però su pratiche come la produzione e la riproduzione, le cui strategie determinerebbero la struttura politica di un gruppo e quindi influenzerebbero poi il modo di pensare e concepire idee per soddisfare specifici bisogni. Marvin Harris, in definitiva, considerava le diverse culture come sistemi che si sono sviluppati, caratterizzati e organizzati in risposta al loro modo di rispondere alle disponibilità delle risorse disponibili, nella perenne ricerca di un possibile equilibrio. A seguito di questo perenne adattamento le diverse culture avrebbero assunto la loro forma peculiare. Lezione 22 06. Il termine “transessualità” indica la condizione chi, pur essendo nato/a con un sesso anatomicamente certo, si considera appartenente all’altro sesso e aspira ad assumerne le caratteristiche fisiche tramite terapie ormonali e interventi chirurgici. L’identità di genere non va confusa con l’orientamento sessuale: la prima infatti si riferisce esclusivamente alla percezione di sé che ha la persona, mentre il secondo si riferisce all’attrazione verso uno, l’altro o entrambi i sessi. Il termine transgender include invece tutte quelle persone che hanno un’identità di genere diversa rispetto al proprio sesso biologico e in generale chi non riesce a identificarsi nel classico binarismo “maschile” e “femminile”. Il fenomeno delle persone transgender rientra nella problematica del genere. Per natura si pensava solo a due generi definiti. La realtà psicologica e sociale ha presentato anche altre ipotesi. Dagli anni settanta tutto ciò che si presentava in maniera definita con carattere di assolutezza è stato posto sotto il processo di decostruzione per comprendere come si erano costituite le differenze di genere intese come maniera assoluta. L’analisi ha condotto alla convinzione che il genere è una costruzione culturale. Il transgender rientra in questa decostruzione. I trans non appartengono ad un genere definito, maschio o femmina, quindi la loro presenza è un elemento di disturbo nel gruppo sociale: la discriminazione è totale. L’individuo trans è portatore di uno stigma sociale che la società gli attribuisce in relazione alle categorizzazioni che gli vengono assegnate dai membri della società che si definiscono normali. Il processo di marginalizzazione determinato dal non essere riconosciuti se non in termini negativi diviene più preoccupante a causa dell’assenza, nel paese di approdo, di legami di gruppo. Il loro essere ai margini della società già nel paese di origine porta una discriminazione, nel paese di approdo, dal gruppo di appartenenza. Così l’individuo trans si trova in completa solitudine. Escluso dal gruppo di appartenenza ed escluso da quello di approdo si ritrova in una situazione di doppia esclusione. continua; ad un certo punto i nostri dati sono saturi di informazioni il che vuol dire che non abbiamo nuovi dati ma si raccolgono sempre gli stessi. La saturazione determina la fine del campo e il ritorno a casa. Lezione 28 Commentare le ansie metodologiche nella ricerca multisituata Marcus , antropologo americano, indirizza le sue ricerche due direttrici principali: 1. La prima si focalizza la sua ricerca nel sistema globale e della politica economica capitalista. 2. La seconda prende in esame non un solo campo e un solo luogo ma è un etnografia mobile multisituata che mette in relazione vari siti e vari campi per sviluppare associazioni e collegamenti tra loro e alle trasformazioni delle produzioni culturali. E’ un tipo di ricerca che ha campi di studio non così delineati. Il passaggio a questo tipo di etnografia definita come multisituata potrebbe portare a quelle che G. Marcus chiama: ansie metodologiche dovute a: 1. Limiti dell’etnografia: l’etnografia è fondata sull’attenzione al quotidiano pertanto l’idea che possa valicare i confini per rappresentare un sistema più complesso e comprensibile solo attraverso termini e modelli astratti e aggregati statistici sembra contraddittorio. Il suo obiettivo infatti non è una rappresentazione olistica del sistema Mondo, ma ha come oggetto di ricerca la formazione culturale che si sviluppa in varie località. 2. Ridimensionamento del potere della ricerca sul campo (meno importanza al lavoro sul campo): 2- Si perde qualcosa della mistica e della realtà del lavoro sul campo. Molti sono i fattori che condizionano la qualità del lavoro sul campo nella ricerca multi-situata. In tale ricerca la valorizzazione del lavoro sul campo e di quello che esso offre rischia di essere attenuata. Quello che però viene sottolineata è la funzione di traduzione da un linguaggio culturale ad un altro perché non è più praticata nella cornice ‘noi-loro’. Di fatti l’attendibilità del campo più ampio che viene costruito da queste etnografie sta nella capacità di stabilire collegamenti attraverso traduzione e tracciati fra distinti discorsi da sito a sito. 3. Perdita del subalterno: abbandona la focalizzazione sul punto di vista del subalterno, disegna un oggetto di studio nuovo che vede un ampliamento del quadro di ricerca. Lezione 29 Le arene disciplinari rappresentano gli studi e le correnti teoriche non riconducibili in maniera diretta all’antropologia , ma che per diversi motivi posso risultare utili a livello etnografico. Possiamo citare un esempio : il concetto di “Rizoma” di Deleuze. Tre ambiti sono gli ambiti identificati dall’antropologo americano George E. Marcus: 1- lo studio dei media. Sotto questa categoria si possono ricondurre tutte le ricerche sulla televisione e sul cinema. Un vecchio film può diventare un punto di partenza per lo studio dei media locali e per comprendere la loro diffusione. 2- Lo studio culturale e sociale della Scienza e della tecnologia. Questioni biomediche che vanno a definire il corpo e la procreazione o le biotecnologie e i trapianti , i rischi e i disastri ambientali per analizzare le questioni diverse e mettere così in evidenza i modelli culturali in atto. 3- I nuovi studi sullo Sviluppo. Lo sviluppo si studia da una prospettiva mobile, multi-situata, si cercano di comprendere i movimenti sociali, le rotte migratorie per capire i vecchi modelli e per capire come attivarne di nuovi. Lezione 30 La ricerca multi-situata è disegnata intorno a: Catene, Percorsi, Filoni, Congiunzioni, Giustapposizioni di luoghi particolari. Le tecniche sono: -Seguire la gente. Rappresenta il modo dell'etnografo di partecipare ai loro riti quotidiani, ai loro riti, essere con loro mentre parlano, si accordano, litigano. Seguire le loro rotte migratorie, -Seguire la cosa. Significa seguire la circolazione di un certo tipo di oggetto materiale, un bene come il denaro, i doni o le opere d'arte nei vari contesti. È il concetto di “catena di merci” di Wallerstein (1994). -Seguire la metafora. Seguire la metafora significa seguire i segni, i simboli e le metafore. -Seguire la trama, la storia o l'allegoria. È un tipo di ricerca che segue la cosiddetta “memoria sociale” delle persone e delle comunità. -Seguire la vita, o la biografia. Seguire la vita o la biografia di una persona (Life History) significa raccogliere la storia di vita di un individuo, il suo vissuto, le sue narrazioni. -Seguire il conflitto. È un tipo di modalità etnografica che si utilizza principalmente per questioni di tipo medico, come le questioni intorno all'aborto o a questioni bioetiche, o questioni giuridiche, di antropologia giuridica, o anche su questioni dirette all'uso del copyright o all'uso di materiale genetico come il DNA in piccole comunità. Lezione 31 Cosa è la repatriation? Si tratta della restituzione delle collezioni museali alle comunità d’origine – repatriation, come la chiamano gli inglesi – che può riguardare opere d’arte, manufatti o resti umani. La questione, di rilevanza internazionale, della restituzione dei resti umani alle culture che ne fanno richiesta, principalmente aborigeni australiani e mahori in Nuova Zelanda, è entrata nel dibattito scientifico italiano dopo l’istanza di riconsegna avanzata dal governo australiano di alcuni resti umani conservati nella Sezione di Antropologia ed Etnologia del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. Lezione 32 Si sono individuati quattro aspetti che possono essere ricondotti al servizio sociale. Il primo parte dal concetto di conoscenza, in quanto permette l’acquisizione di saperi che possono rendere migliore il lavoro dell’assistente sociale. Il secondo parte dalle considerazioni fatte da Tullio Tentori nell’articolo apparso sulla Rivista del servizio sociale nel 1962 “...la scuola di servizio sociale non è solo un luogo dove si trasmettono e apprendono nozioni e tecniche, ma è anche e essenzialmente un centro di stimolo alla evoluzione culturale...” (1) e ancora “la possibilità di raggiungere un ragionevole distacco dall’egocentrismo e dall’etnocentrismo nel comprendere gli altri. Il terzo aspetto riguarda, da parte degli assistenti sociali, il cosiddetto aumento delle competenze culturali. L’ultimo aspetto è l’intervento dell’antropologia, di cui si può parlare quando le conoscenze di questa disciplina vengono utilizzate per “risolvere un problema” o rispondere ai bisogni di una comunità. Lezione 33 : Etica della ricerca e del ricercatore. La prima norma riprendeva, sottolineando la modernità di tale assunto, il primo imperativo dei precetti di Ippocrate: primo non nuocere. Non nuocere all’individuo o al gruppo che si intende studiare.
 La seconda chiedeva a tutti i medici, per poter sperimentare farmaci o cure su esseri umani, che chiedessero l’autorizzazione alla sperimentazione. La terza norma affermava che le conquiste in ambito medico fossero per tutta l’umanità e non solo per una parte di questa. Seguendo queste tre regole ho elaborato un codice deontologico che mi ha accompagnato durante la ricerca sulla comunità sikh della Provincia di Roma e che mi segue sempre quando faccio ricerca. Lezione 34 Commentare le tre fasi del termine Diaspora 1- La prima fase vede l'uso classico del termine, di solito in maiuscolo come diaspora e usato solo al singolare, era principalmente limitato allo studio dell’esperienza ebraica e alla loro dispersione nel mondo poiché costretti ad abbandonare il loro paese di origine.
 2- Nella seconda fase, negli anni '80 e in poi, William Safran, in particolare sosteneva che la diaspora si poteva spiegare come “a metaphoric designation” "una Struttura Metaforica” per descrivere diverse categorie di persone: "espatriati, espulsi, rifugiati politici, immigrati e minoranze etniche e razziali.
 3- La terza fase, dalla metà degli anni '90, è stata contrassegnata da una marcata critica sociale ai teorici della "seconda fase”. I teorici della terza fase sono stati influenzati dalle letture postmoderne cercando di deostruire e scomporre i due principali elementi costitutivi che delimitano l'idea diasporica, vale a dire "patria" e "Comunità etnica / religiosa". Nel mondo postmoderno, le identità sono diventate deterritorializzate, costruite e decostruite in modo flessibile e situazionale; di conseguenza il concetto di diaspora ha dovuto essere riordinata radicalmente in risposta a questa complessità. Domanda 35 5. La diaspora di William Safran La prima fase vede l'uso classico del termine, di solito in maiuscolo come diaspora e usato solo al singolare, era principalmente limitato allo studio dell’esperienza ebraica e alla loro dispersione nel mondo poiché costretti ad abbandonare il loro paese di origine.Nella seconda fase, negli anni '80 e in poi, William Safran, in particolare sosteneva che la diaspora si poteva spiegare come “a metaphoric designation” "una Struttura Metaforica” per descrivere diverse categorie di persone: "espatriati, espulsi, rifugiati politici, immigrati e minoranze etniche e razziali.La terza fase, dalla metà degli anni '90, è stata contrassegnata da una marcata critica sociale ai teorici della "seconda fase”. I teorici dell terza fase sono stati influenzati dalle letture postmoderne cercando di deostruire e scomporre i due principali elementi costitutivi che delimitano l'idea diasporica, vale a dire "patria" e "Comunità etnica / religiosa". Nel mondo postmoderno, le identità sono diventate deterritorializzate, costruite e decostruite in modo flessibile e situazionale; di conseguenza il concetto di diaspora ha dovuto essere riordinata radicalmente in risposta a questa complessità. 6. La diaspora di Robin Cohen
 Il concetto di diaspora può essere applicato quando i membri di una "comunità di minoranze espatriate" condividono diverse delle seguenti caratteristiche: • loro o i loro antenati sono stati dispersi da un "centro" originale a due o più regioni straniere; • mantengono una memoria, una visione o un mito collettivo sulla loro originale patria; • credono di non essere - e forse non potranno mai essere - pienamente accettati nelle loro società ospitanti e quindi rimangono parzialmente separati; •la loro casa ancestrale è idealizzata; •credono che tutti i membri della diaspora dovrebbero impegnarsi al mantenimento o al ripristino della patria originale e della sua sicurezza e prosperità; •continuano in vari modi a relazionarsi con quella patria e la loro coscienza etno-sociale e la solidarietà è un modo importante e ben definito dall'esistenza di tale relazione. 7. Il concetto di Diaspora: Robin Cohen Robin Cohen ha delineato cinque tipi di diaspora moderna: 1- Vittime di Diaspora: ebrei, africani, armeni. Molto si è discusso sull’includere anche irlandesi e palestinesi. Molti gruppi di rifugiati contemporanei sono vittime della diaspora, ma deve passare del tempo per vedere se tornano nelle loro terre d’origine o si assimilano nelle terre ospitanti, si creolizzano o si mobilitano come diasporici. 2- Diaspora Lavorativa: Indiani con contratto di lavoro. C’è un dibattito anche su: cinese e giapponese; Turchi, italiani, nordafricani. Molti altri potrebbero essere inclusi. Un'altra espressione sinonimo è "diaspora proletaria". 3- Diaspora dovuta all’imperialismo o alla conquista coloniale: russi, potenze coloniali diverse dalla Gran Bretagna. Altre espressioni sinonimi sono "colono" o diaspore "coloniali". all’analfabetizzazione. La diffusione dell’ideologia ufficiale dello sviluppo era tra i suoi obiettivi, al fine di rafforzare l’attuale modello di dominazione e modernizzazione.  Nel MOBRAL l’alfabetizzazione popolare era una pratica funzionale non di libertà bensì di assimilazione. Il MOVA infine è un’importante esperienza di alfabetizzazione popolare fondata da Paulo Freire che basa la sua azione su 4 livelli: rendere gli allievi capaci di una lettura critica della realtà, contribuire alla formazione della coscienza acritica di allievi e educatori, incentivare partecipazione popolare alla lotta dei diritti sociali e all’educazione pubblica e popolare, ampliare e rafforzare il lavoro dei gruppi civici. Lezione 42: 7. La Teologia della liberazione è una rivoluzione sociale. E’ una corrente di pensiero teologico cattolico che vede nella Chiesa il ruolo centrale nelle società contemporanea. La T. Della L. Si interessa di problemi fondamentali come il lavoro, la salute e il cibo e l’alloggio. C’è bisogno di una cittadinanza attiva formata dall’alfabetizzazione, creazione di un uomo solidale e creativo, un’educazione diffusa. Prende in considerazione la salvezza dell’uomo dal punto di vista cristiano e della sua dignità attraverso la rivendicazione della democrazia per l’eliminazione della povertà, dell’ingiustizia, per accedere ai servizi essenziali sanitari e previdenziali, e soprattutto per l’istruzione delle persone. La povertà non è un peccato sociale. 8. L'evoluzione del pensiero di Paulo Freire Freire è innanzitutto un cristiano : le sue prime opere sono caratterizzate da una visione spirituale , il suo cristianesimo si basa però su una concezione teologica liberatrice , concentrata sul problema della povertà e dell’ingiustizia sciale , del contrasto con la richezza. Freire unì la prospettiva fenomenologica ed esistenzialistica, con quella marxista e quella personalista cristiana, ma trasse linfa anche dal pragmatismo statunitense che, soprattutto nella sua “traduzione” pedagogica nell’attivismo deweyano, fornì a Freire numerosi spunti teorico/ metodologici. La teologia della liberazione è una corrente di pensiero teologico cattolico sviluppatasi nel 1968. L’educazione, per la Teologia della liberazione, e anche per Paulo Freire, è esperienza di libertà una vera e propria rivoluzione sociale che deve essere improntata principalmente all’amore per il prossimo e quindi alla carità, alla solidarietà, alla creazione di reti e di relazioni per la trasformazione dell’individuo e per indirizzarlo verso una vita dignitosa, all’accettazione della dottrina evangelica e in contrasto al pensiero capitalistico ovvero consumistico. Cosi come per la T. Della L, anche per il pedagogista Freire la cittadinanza è la forma essenziale di libertà, essa parte dall’alfabetizzazione e quindi da un’educazione diffusa che diventa una pratica di libertà chiamata “la pedagogia degli oppressi”, che significa una pedagogia della liberazione. Quindi si parla sempre di educazione per la libertà come forza trasformatrice che permette la coscientizzazione degli oppressi e quindi la formazione come soggetti protagonisti. RIVOLUZIONE SOCIALE IMPRONTATA ALL’AMORE PER IL PROSSIMO , CARITA’, SOLIDARIETÀ’ PER LA CREAZIONE DI CONDIZIONI DI VITA DIGNITOSE IN CONTRAPPOSIZIONE ALLA LOGICA DEL PROFITTO CAPITALISTA E ALLE POLITICHE OPPORTUNISTICHE. Lezione 43: la cultura pedagogica brasiliana Ripercorrendo l’evoluzione della cultura pedagogia brasiliana dobbiamo partire dal periodo che ha dato il via al colonialismo ovvero il XVI secolo. A metà del 500 la conquista dell’America sviluppa un grande interessa di Portogallo e Spagna per il Sudamerica. Nell’epoca coloniale l’educazione era nelle mani dei gesuiti che basavano il loro insegnamento su una ferrea disciplina , sulla evangelizzazione degli Indios, e sulla protezione degli Indios dallo schiavismo europeo. L’arrivo dei gesuiti con le prime missioni che si formano grazie a Padre Manuel de Nobrega si fondano scuole elementari , superiori e seminari. Nel 1759 vennero scacciati dal Marchese de Pombal che li riteneva un pericolo per mettere mano sull’educazione dei cittadini della colonia. Gli indios erano considerati cittadini di serie B ed essi non godevano di nessun diritto. I molteplici cambiamenti che hanno segnato inevitabilmente la storia del Brasile; i vari passaggi da corona unita fra Spagna e Portogallo, poi solo corona portoghese per poi passare ad impero e poi all’instaurazione della repubblica hanno avuto un impatto importantissimo, rivelando la grande debolezza e problematicità dell’educazione dei cittadini brasiliani nel tempo. Nel contesto storico sociale dei paesi latinoamericani degli anni 60, nello sviluppo fondato sull’industrializzazione Freire intravedeva rischi evidenti di massificazione, ai quali reagisce con una proposta educativa volta allo sviluppo delle coscienze critica e indirizzata verso la costruzione della democrazia. “Il passaggio da una coscienza prevalentemente transitiva e naturale ad una coscienza prevalentemente transitiva e critica, non poteva verificarsi automaticamente, ma soltanto in forza di un lavoro educativo critico che ne avesse lo scopo specifico, un lavoro educativo cioè cosciente del pericolo di massificazione intimamente connesso all’industrializzazione” . Lezione 44 La pedagogia degli oppressi La pedagogia degli oppressi fu scritta da P.F. nel 1968. È un opera complessa ed eterogenea. Il lavoro pedagogico di Freire è profondamente intrecciato agi eventi dell’America Latina, infatti si sviluppa in un Brasile  dove si sta scatenando la lotta dei contadini per la terra e dove l’analfabetizzazione, che mantiene le masse popolari schiacciate dall’ignoranza, permette alla classe dirigente uno status quo che sembra immodificabile.  La pedagogia degli oppressi, il suo lavoro più popolare, tradotto in numerose lingue. L’argomento centrale di Freire in questo testo è che l’educazione è sempre un atto politico, che può essere usato sia per mantenere lo status quo sia per promuovere il cambiamento sociale. Nel suo metodo pedagogico è la “coscientizzazione” dell’individuo che ha come scopo finale la presa di coscienza per coinvolgere il soggetto in un’azione che lo trasformerà. Essi, piano piano, si liberano dalla sottomissione esistenziale dell’oppressore, si allontanano dall’ombra lunga, sotto cui erano stati spinti dagli oppressori e cominciano ad umanizzare la realtà. Freire considera la curiosità un momento cruciale ed altamente pedagogico, un sentimento che permette a quella persona di sviluppare emozioni che lo porteranno a razionalizzare quella che è la sua presa di coscienza. Una coscienza sociale politica. La pedagogia degli oppressi è anche una pedagogia che esprime un mezzo di rifiuto di quella che è la forma pedagogica brasiliana dell’epoca che Paolo Freire chiama educazione bancaria, depositaria. Il pedagogista brasiliano mette in discussione l’autoritarismo dell’educazione tradizionale, a favore di un’educazione dinamica, dialogica, fatta con le persone e non sulle persone. Lezione 45 Analizzare la pedagogia degli oppressi in relazione alla vita di P. Freire Il lavoro pedagogico di Freire è profondamente intrecciato agi eventi dell’America Latina. Paulo Freire è stato profondamente influenzato nell’elaborazione della p. degli oppressi dal suo rapporto con il cristianesimo la concordanza con i principi fondamentali del marxismo infine l’appartenenza all’ambito delle pedagogie critiche come ad esempio la descolarizzazione l’autogestione. Il pedagogista considera l’educatore un modello, impegnato nei confronti dei poveri. La sua vita e il suo lavoro lo rendono un leader nella lotta per la liberazione degli umili, dei settori emarginati della popolazione che sono culturalmente messi a tacere in molte parti del mondo. L’alfabetizzazione degli adulti fu un preciso campo di riflessione e di intervento privilegiato, maturato all’interno di una vita travagliata sin dall’infanzia e della quale egli stesso ricorda:“Bambino ancora, mi sono trasformato in un uomo grazie al dolore e alla sofferenza, che tuttavia non mi hanno sommerso nelle ombre della disperazione” Nel 1961 fondò il Movimento di Cultura Popolare di Recife, ma nel ‘64, dopo il colpo di stato militare, venne imprigionato e quindi espulso in quanto oppositore politico del regime. Dal 1965 al 1970 collaborò a campagne di alfabetizzazione in Cile, Perù, Guinea Bissau, negli U.S.A. e in Svizzera dove fu assunto dal Consiglio mondiale delle Chiese come esperto di problemi educativi per il Terzo Mondo. La pedagogia degli oppressi fu scritta da P.F. nel 1968 Il lavoro pedagogico di Freire si sviluppa in un Brasile  dove si sta scatenando la lotta dei contadini per la terra e dove l’analfabetizzazione, che mantiene le masse popolari schiacciate dall’ignoranza, permette alla classe dirigente uno status quo che sembra immodificabile. Basandosi sulla sua esperienza si entra nella complessità , la pratica educativa ha storicamente coinvolto la figura dell’insegnante e dell’ apprendista/alunno. L’educazione è soprattutto relazione. Il mediatore tra i due soggetti è il contenuto, la conoscenza. Un elemento richiede quell’altro. L’oggetto (il contenuto) che è insegnato , rappresenta anche il mediatore di entrambi, è una conditione sine qua non. L’oggetto si da al professore che ne fa strumento di esperienza. L’oggetto si da all’alunno che si spaventa , poiché il docente deve scuotere l’apprendente epistemologicamente, non con autoritarismo. Tutti insieme (alunno, insegnante, metodo, tecniche , oggetto) indicano una direzione che è la finalità della pratica , è direttiva e mai neutra. L’educatore che non ha paura della libertà, ama la pratica la inventa e reinventa ogni giorno i metodi , creando dove sembra non esistere nulla. Nella scuola pubblica di San Paolo decisione politica , oltre decisioni politiche bisogna pagare giustamente l’insegnamento, formarlo. Non è possibile offrire tecniche pedagogiche , quello che è fondamentale è affascinare l’educatore. Lezione 46 I beni immateriali Una gran parte dei beni DEA (discipline demoetnoantropologiche) è infatti caratterizzata da immaterialità (canti, letteratura orale, riti, feste, saperi, ecc.), che è possibile cogliere soltanto in esecuzione, attraverso l’osservazione, il rilevamento e la documentazione audio-visiva in cui se ne fissa la memoria. I beni immateriali sono parte integrante delle tradizioni e delle feste popolari. I beni immateriali sono: «le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale» I beni immateriali essendo volatili vanno registrati. Lezione 47 5. Parlare dell'Etnia, dell'Etnicizzazione ed dell'Etnico facendo anche degli esempi Etnia: Il termine ha origine nel greco "ethnos", che indica un aggregato di individui distinto da proprie caratteristiche. In greco, ethnos è usato prevalentemente per indicare gruppi altri e diversi, in modo cioè sostanzialmente discriminatorio, nello stesso senso in cui gli stessi greci e i romani parlavano di barbari (coloro che balbettano, cioè non sanno parlare la lingua dominante). Etnico: un uso neutrale dei termini etnici, nel senso dell'etnologia (cioè descrizione e studio delle caratteristiche sociali e culturali di qualsiasi raggruppamento umano), si afferma progressivamente solo a partire dall'Ottocento. Nell'uso attuale del termine i due sensi si intrecciano strettamente. Tende a prevalere l'accezione antropologica, che in sostanza definisce come etnia un gruppo che condivide un insieme di elementi culturali, quali la lingua, la religione, certi usi e costumi. Tuttavia, questo uso neutrale e descrittivo si carica spesso di implicite connotazioni valutative e discriminatorie. Con etnicizzazione si intende il progressivo confinamento all’interno di un gruppo etnico. I rischi di «etnicizzazione» come ad esempio costringere gli extracomunitari a mestieri bassi, con i maschi che fanno gli operai e le donne che fanno le colf e le badanti sono più alti dei benefici e creano rancori. Quando un gruppo viene visto come un’etnia (etnicizzazione), non si percepiscono più le differenze interne (di classe, di genere, ecc…) e si generalizza (ad esempio: i rom, i somali, ecc..). Un caso di etnicizzazione dei conflitti politici è quello della ex Jugoslavia. Le numerose stragi di civili e la guerra fratricida è stata spiegata principalmente come uno scontro fra gruppi etnici. Le ragioni di quella catena di guerre si situano tuttavia altrove. 6. Parlare dell'Acculturazione e dell'Assimilazione facendo anche degli esempi precisione e consistenza: questo è sicuramente il dono di Fanon agli studiosi, ma più di questo è il suo dono a tutti coloro che sono impegnati nella lotta radicale contro l'oppressione razzializzata. La discriminazione è un fenomeno ubiquitario, che assume forme nuove e mutevoli nel corso del tempo, conducendo alla costruzione di altrettanto mutevoli categorie di soggetti, a cui di volta in volta vengono ingiustificatamente negate pari opportunità. Un individuo è stigmatizzato come membro di un gruppo, definito in base a categorie quali: età, etnia, handicap, orientamento sessuale. La discriminazione razziale dei neri , ma non solo (oppressi) è un tema assolutamente attuale. 2. Quali sono i malintesi dell’etnopsichiatria secondo Beneduce Beneduce (2007), sostiene che la psichiatria e l’entopsichiatria sono state palesemente complici del progetto coloniale dando luogo a molteplici malintesi che tuttora sopravvivono. Questo tipo di malintesi, ricorda Beneduce (2007), sembrano ripetersi con incredibile monotonia, quasi un’ossessione: laddove i colonizzati agivano, parlano, producevano tattiche contro il potere, le loro lotte, la violenza dei loro atti, i loro comportamenti, erano in buona parte interpretati attraverso matrici rituali o culturali, la loro opposizione “spiegata” a partire da tradizioni, costumi, o presunti conflitti psicologici derivanti dall’incontro con la modernità. Molto spesso l’incontro fra esperti della mente e popoli colonizzati è stato nel corso della storia segnato da incomprensioni, violenze e distorsioni. E la storia di questi ed altri analoghi malintesi è quanto mai lunga. È importante non dimenticare questa radice oscura dell’etnopsichiatria spiega non solo i problemi del presente, ma anche molto più semplicemente la diffidenza con la quale gli operatori, gli esperti, gli psichiatri, gli psicologi dei paesi che furono un tempo colonie, accolgono oggi il nome “etnopsichiatria”. Le procedure diagnostiche e le pratiche di cura della psichiatria stessa, b) le economie morali dentro cui si sviluppano le vicende cliniche e i conflitti degli immigrati, c) i fenomeni di cripto-razzismo, spesso ignorati sebbene determinanti tanto nell’origine di sofferenze psichiche quanto nella genesi di malintesi e mancati incontri fra utenti stranieri e servizi. Uno psichiatra nigeriano sottolineava come Carothers, che aveva lavorato in Kenya negli anni ’50, e come non avesse capito nulla della mente degli africani. Aveva intitolato il suo testo proprio così: La mente africana, uno studio in etnopsichiatria. Lo psichiatra nigeriano sottolineava il profondo razzismo, il profondo disprezzo che questo psichiatra di origine britannica aveva espresso in quel lavoro. 3 . Fanon e le radici dell'etnopsichiatria : relativamente l’etnopsichiatria di Fanon L’etnopsichiatria nasce nel contesto coloniale: è la psichiatria coloniale che guarda all’altro come a un folle, un folle gerarchizzato inchiodato ad una differenza etnico-razziale che lo squalifica, lo deumanizza (esclusione), lo ridicolizza, lo banalizza. Si parla di etnopsichiatria psichica che usa delle strategie terapeutiche in base alla dimensione culturale per dominare l’altro. Fu il professor Porot che nel 1918 tracciò ad Algeri il primo approccio psichiatrico del musulmano. Egli affermava che i nordafricani sono testardi ed hanno un infantilismo mentale.  Porot sosteneva che il musulmano fosse essere primitivo. È importante non dimenticare questa radice oscura che spiega non solo i problemi del presente, ma anche molto più semplicemente la diffidenza con la quale gli operatori, gli esperti, gli psichiatri, gli psicologi dei paesi che furono un tempo colonie, accolgono oggi il nome “etnopsichiatria”. Frantz Fanon è l’autore al quale l’etnopsichiatria guarda di rado, perché Frantz Fanon è non solo considerato, il più delle volte, come lo psichiatra martinicano che in Algeria si lascia coinvolgere dalla guerra di liberazione anticoloniale abbandonando, dopo qualche anno, la sua pratica di psichiatra nell’ospedale di Blidà, a qualche decina di chilometri da Algeri, ma è soprattutto visto come il teorico della violenza. Frantz Fanon non può non criticare l’etnopsichiatria coloniale, perché l’etnopsichiatria che ha di fronte è quella razziale, è quella della colonia, è quella che disumanizza i colonizzati, dunque noi non avremmo detto nulla di diverso se fossimo stati nel ’55 in Algeria. Frantz Fanon sa come è trattata in quel momento la cultura dell’altro, è una cultura scimmiottata; ad esempio Antoine Porot scriveva che gli Arabi-musulmani passano buona parte del tempo nei loro salamelecchi, ossia scambia il saluto consueto dei Musulmani “Salam Aleikum” (  “la pace sia su di voi”) come una sorta di inutile, noiosa, banale, infantile melopea, questo canto ritmico che scandisce spesso i riti, litania inutile a conferma di un pensiero piatto e infantile. A questo punto Fanon sottolinea che il modo culturalmente competente di lavorare con le persone di altre culture deve essere sviluppato attraverso una conoscenza di quella cultura e di conseguenza con parole, simbolo e significati propri a quella cultura e immediatamente riconoscibile. Gli anni in cui Fanon scrive sono, nelle colonie, all'apogèo della crisi. La repressione francese, dopo la sconfitta in Indocina, si fa durissima in Algeria. Alla violenza, alla coercizione, alla minaccia, si accompagnano l' occupazione dei luoghi e dei simboli, l' umiliazione della cultura e della storia, ma l' occupazione è in primo luogo dei corpi, dei loro ritmi vitali, del respiro. La sua riflessione ha, fra i molti meriti, quello di scrutare da vicino dove si esercita il dominio coloniale, gli interstizi nei quali si celano e si riproducono i suoi meccanismi profondi. L' analisi del potere di addomesticamento, delle strategie di seduzione e di morte, non dimentica tuttavia i luoghi in cui il colonizzato si rivela indocile, resistendo al flusso incessante di categorie diagnostiche, giudizi razziali o parole di disprezzo con le quali si stigmatizzano le sue credenze, i suoi costumi, i suoi valori. Fanon conosce in prima persona la violenza razzista, e per questo chiederà a Tosquelles di frequentare come interno la clinica di Saint-Alban, inducendolo ad analizzare ciò che si cela dietro al razzismo, le proiezioni persecutorie di chi disprezza e domina, la sessualizzazione del corpo nero. 4. La violenza in Fanon/Beneduce: esporre la questione coloniale tra Francia e Algeria Gli anni in cui Fanon scrive sono, nelle colonie, all'apogèo della crisi. La repressione francese, dopo la sconfitta in Indocina, si fa durissima in Algeria.  A fare da sfondo alla difficile situazione, vi era la Guerra in Algeria, storica colonia. Alla violenza, alla coercizione, alla minaccia, si accompagnano l' occupazione dei luoghi e dei simboli, l' umiliazione della cultura e della storia, ma l' occupazione è in primo luogo dei corpi, dei loro ritmi vitali, del respiro. Frantz Fanon nel 1952 accetta l’incarico propostogli all’ospedale di Blida a sud di Algeri. Qui può osservare gli effetti drammatici dell’oppressione coloniale, delle violenze e torture con lo scopo di inferiorizzazione il colonizzato. Di base vi è la dominazione, il meccanismo di subordinazione che colpisce i neri in quanto tali a cui segue l’accettazione volontaria. Qui la violenza sembra scomparire , ma in realtà è sullo sfondo presente e viva. Violenza strutturale , assoggettamento che genera alienazione. I corpi sono ridotti a cose , donne stuprate , la complicità dei medici e psichiatri nel corso di torture.La vita quotidiana degli algerini è immersa in un’atmosfera apocalittica che Fanon squarcia con ostinazione. Fanon scrive un saggio "La sindrome nordafricana", intitolato così per la vicenda di un paziente che lamenta dolori al ventre ma per il quale gli esami non rivelano nulla, quindi la clinica, che anche quando non comprende o non riesce ad ascoltare la sofferenza dell'altro non arretra né si mette in discussione riaffermando la violenza elementare della diagnosi e del potere di classificare, diagnostica al paziente la "sindrome nordafricana" (immigrati considerati fannulloni, pigri, infantili, sempre in cerca di un posto letto gratuito). Fanon in questo lavoro ci offre un analisi del mancato incontro fra il medico francese e l' immigrato algerino: vago nel suo discorso, i sintomi riferiti dal paziente si sottraggono ad ogni localizzazione generando nel medico una sorta di diffidenza. 5. Cosa intende Roberto Beneduce con la categoria corpo razziale? Per corpo razziale ci si riferisce al corpo colonizzato: un corpo perennemente incerto, nervoso, percorso dai fremiti del desiderio e della rivolta, segnato da invisibili scontri. Fanon studia medicina, analizzerà il rapporto tra medico e paziente , la relazione dialettica tra i due e il profondo razzismo di chi domina e disprezza il corpo nero. Questo poiché il corpo dei neri è fatto di pregiudizi, proiezioni a cui vengono attribuiti comportamenti fisici o psichici.
 Il colonizzato è quindi anche un “corpo sospetto", al quale vengono attribuiti presunti tratti comportamentali o caratteristiche psichiche a partire da una rozza clinica della differenza culturale. 6. La libertà in Freire e la libertà in Fanon Due figure che sono vissute in due paesi del cosiddetto Terzo Mondo (Freire in Brasile, Fanon in Algeria) e ambedue rapidamente svilupparono una teoria della liberazione dall’oppressione, Freire in campo educativo, Fanon in campo psicologico. Per Freire l’educazione viene vista come pratica della libertà grazie alla fiducia nell’uomo che è il soggetto dinamico e responsabile della propria crescita.Il pedagogo brasiliano ha delineato chiaramente e concretamente il vero significato di ciò che è un'educazione veramente democratica che può diventare un vero fattore di liberazione. Per Fanon la questione centrale è quella della capacità dell’oppresso, nella sua lotta di liberazione, di riappropriarsi della propria storia e quindi della propria personalità» . «Il processo di liberazione non avviene tramite la teoria prodotta dall’alto, ma dalla vita, dal riconoscimento della sua azione. Per Freire come per Fanon nessuno libera l’altro e nessuno si libera da solo; solo l’impegno dell’uomo nella relazione liberatrice con gli altri uomini può permettere a ciascuno di liberarsi insieme agli altri. 7.Comparare Il pensiero di Freire e di Fanon L’opera pedagogica di Paulo Freire fu influenzata dal pensiero dello psichiatra militante anticoloniale afro-martinichese Frantz Fanon. Nel 2011 si sono commemorati i cinquant’anni della scomparsa di quest’ultimo; vi sono stati molti convegni in diverse parti del mondo ma ben poco in Italia, eppure la sua opera rimane di una grandissima attualità per chi si occupa di esclusione sociale, di meccanismi di dominazione e di disumanizzazione ma anche di società multiculturale nonché di razzismo. Paulo Freire e Frantz Fanon erano quasi coetanei; il brasiliano Freire nasce nel 1921 mentre il creolo Fanon nasce nel 1925; il primo ebbe una lunga vita di esperienze e riflessioni, il secondo morì giovanissimo di una leucemia fulminante all’età di 36 anni, lasciando però un ricco e ancora attuale patrimonio di riflessioni e considerazioni sul rapporto tra lotta di liberazione, sviluppo psicologico e identità. Il lavoro di Freire fonda la pedagogia critica e contribuisce a una filosofia dell’educazione ispirata a Platone tanto quanto ai pensatori moderni marxisti e anticolonialisti. Di fatto, la “pedagogia degli oppressi” può essere letta come uno sviluppo de “I dannati della Terra” di Frantz Fanon, che poneva una forte enfasi sulla necessità di fornire ai popoli nativi un’educazione che non fosse semplicemente un’estensione della cultura del colonizzatore. Notiamo che queste due figure sono vissute in due paesi del cosiddetto Terzo Mondo (Freire in Brasile, Fanon in Algeria) e ambedue rapidamente svilupparono una teoria della liberazione dall’oppressione, Freire in campo educativo, Fanon in campo psicologico. Ambedue saranno militanti impegnati e schierati con i diseredati, i poveri, gli oppressi, cioè con i «dannati della terra». Pure nelle differenze di percorsi vi sono diversi punti di contatto; Freire studia filosofia e pratica la pedagogia critica nel suo paese, il Brasile, poi in molti paesi dell’America latina, mentre Fanon studia medicina, arriva alla psichiatria mediata dalla riflessione filosofica e dall’impegno politico, facendolo nel contesto coloniale dell’Algeria ancora occupata dai francesi. Ambedue si concentrano sui meccanismi dell’oppressione e sull’alienazione degli oppressi dipendenti in modo ambiguo e contraddittorio dai loro oppressori. Freire nella dialettica educativa tra educatore e educando e Fanon nella dialettica tra medico e paziente vedono il nocciolo del processo di alienazione; che sia nella relazione educativa o nella relazione terapeutica quello che tentano di evidenziare è proprio il meccanismo della dominazione, dal quale è possibile liberarsi se in qualche modo l’oppresso finisce per identificarsi con chi lo disumanizza, e anche la possibile emancipazione dalla struttura di dominio. Riprendendo quasi testualmente le analisi di democrazia, dei diritti dell’uomo e contro ogni forma d’oppressione. Nel filmato, tratto dal programma Dialoghi con Paulo Freire, del 1989, il grande pedagogo brasiliano, intervistato da alcuni docenti italiani, Freire parla di una pedagogia ed educazione liberatrice fondata sul dialogo tra discente ed apprendente, oppresso e oppressore in perfetta comunione e sull'unità tra azione e riflessione. Molto spesso le critiche a questo schema educativo, nascono dal fatto che non tenga conto della complessità che caratterizza la società contemporanea.
 Una delle critiche più diffuse nelle società industriali e post-industriali é infatti che questo tipo di schema “oppressi e oppressori” sia inadeguato, vecchio , non serva più. Non dobbiamo dimenticare però la natura del rapporto proposto dal pedagogista che nasce come tentativo di esprimere una proposta critica rispetto la società.
 14. La coscientizzazione nel pensiero di Freire Il concetto di coscientizzazione (atto che implica un coinvolgimento profondo) che elaborò Freire, e di cui parla nella sua opera del 1970 “la pedagogia degli oppressi”, consisteva nel portare poveri e diseredati a prendere coscienza dei meccanismi che li tenevano al margine della vita sociale, passo fondamentale per spezzare il loro vincolo con gli oppressori. La presa di coscienza (atto intellettuale) , può avvenire solo attraverso la formazione, permette agli “oppressi” di far morire la persona per farla rinascere libera. Questo processo fondamentale per la creazione di un uomo libero permette di farlo diventare un produttore di cultura ,sviluppa in lui curiosità, quella curiosità che Freire definisce “momento altamente pedagogico”. 15.Educazione come pratica di libertà
 Il pedagogo brasiliano ha delineato chiaramente e concretamente il vero significato di ciò che è un'educazione veramente democratica che può diventare un vero fattore di liberazione. La liberazione dallo stato di oppressione si raggiunge attraverso quella che Freire indica come prassi, un insieme di azione e riflessione, l’unica possibilità attraverso cui trasformare il mondo: la liberazione autentica, che è umanizzazione in processo, non è una cosa che si deposita negli uomini. Non è una parola in più, vuota, creatrice di miti. È una prassi educativa pratico-teorica, che comporta azione e riflessione degli uomini sul mondo, per trasformarlo.
 16. Il pensiero di Freire nel Brasile dei movimenti democratici Freire credeva molto nei movimenti sociali. Freire credeva nel partito dei lavoratori in Brasile e auspicava che il partito fosse disposto ad ascoltare i movimenti sociali e ad imparare da loro. I movimenti potevano dare un grande contributo al formarsi nei soggetti di una coscienza critica.
 L’attività pedagogica , politica e personale di Freire è infatti profondamente intrecciata agli eventi dell’America latina nella seconda metà del XX secolo. Il pensiero pedagogico di Paulo Freire, si rifà nei suoi contenuti alla teologia della liberazione. Alcuni dei pilastri di questa nuova teoria teologica, nata proprio in Sudamerica, sono alla base dell’operato teorico e pratico del pedagogista brasiliano. La sua opera sul campo si destina proprio alla classe operaia brasiliana, povera e analfabeta che, grazie al metodo educativo applicato dal metodo Freire, riesce a riconquistare i propri diritti.
 Dunque non solo la prassi educativa convenzionale, non la cultura come mezzo della democrazia, bensì come mezzo per il raggiungimento della libertà e della democrazia. Il movimento nasce per combattere i regimi dittatoriali che nel corso del XX secolo hanno oppresso le genti del Sudamerica, espressione diretta del passato coloniale che le potenze europee hanno esercitato sul continente, e che nel corso del ‘900 hanno trovato un terreno fertile per l’installazione di dittature oppressive che incontrassero il favore delle superpotenze economiche e militari del tempo. 17. Comparare i diversi movimenti di alfabetizzazione Tracciamo le tre principali esperienze di educazione ed alfabetizzazione popolare attuate negli anni Sessanta a oggi, basate su presupposti didattici simili , ma con impostazioni ideologiche diverse. Il Movimento Cultura Popolare, MCP, guidato dallo stesso Paulo Freire, ha avuto gli agricoltori come i primi studenti a vivere questa esperienza, alfabetizzati dall’interno verso l’esterno, attraverso il proprio lavoro. I risultati ottenuti in 45 giorni hanno ottenuto 300 lavoratori alfabetizzati, impressionando profondamente l’opinione pubblica. I temi principali discussi sono tre: l’adattamento dell’educazione alla cultura locale, il decentramento del sistema educativo e la regionalizzazione dell’insegnamento. Il MOBRAL, il Movimento di Alfabetizzazione Brasiliana, e la risposta da parte dello Stato all’analfabetizzazione. La diffusione dell’ideologia ufficiale dello sviluppo era tra i suoi obiettivi, al fine di rafforzare l’attuale modello di dominazione e modernizzazione.  Nel MOBRAL l’alfabetizzazione popolare era una pratica funzionale non di libertà bensì di assimilazione. In aggiunta al programma intensivo di formazione degli educatori, Paulo Freire iniziò un movimento di alfabetizzazione   in   associazione   con   i   movimenti   sociali,   attraverso l'ampliamento   dei   corsi   serali   e   di educazione integrativa. Il MOVA 1989 è un’importante esperienza di alfabetizzazione popolare fondata da Paulo Freire che basa la sua azione su 4 livelli: rendere gli allievi capaci di una lettura critica della realtà, contribuire alla formazione della coscienza acritica di allievi e educatori, incentivare partecipazione popolare alla lotta dei diritti sociali e all’educazione pubblica e popolare, ampliare e rafforzare il lavoro dei gruppi civici. Paulo Freire si mise a fianco di altri differenti movimenti e campagne contro l’analfabetismo per l’educazione popolare che esistevano nel nordest ed in altri stati del Brasile all’inizio degli anni 60.La metodologia che sviluppò fu usata intensamente nelle campagne di alfabetizzazione e fu considerata una tale minaccia al vecchio sistema  (old order) tanto che Freire fu incarcerato nel 1964. 18. I movimenti di alfabetizzazione in Brasile E’ importante ricordare che l’istruzione in Brasile ha subito molti cambiamenti. In primo luogo è iniziato con le missioni dei gesuiti, che hanno controllato l'istruzione per molto tempo. Quindi, duecento anni dopo il loro arrivo, i loro poteri furono limitati dal Marchese de Pombal. Freire si propose di fare dell’educazione uno strumento di cambiamento rivoluzionario per la liberazione delle masse oppresse. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, in un’epoca di forte mobilitazione politica, molti educatori riconoscono che la sola scolarizzazione non è capace di produrre un effettivo cambiamento delle condizioni di vita dei lavoratori che frequentavano la scuola  e per questo si sforzano di integrare impegno pedagogico e politico. Con il Movimento di Cultura Popolare (MCP) di Recife nel 1961, Freire sviluppa il suo particolare metodo di alfabetizzazione rivolto agli adulti. Paulo Freire è un riferimento nell'educazione dei giovani e degli adulti dell’epoca. Dal decennio di 60, molte altre campagne molti altri soggetti politici , oltre alle organizzazioni di sinistra intensificano il lavoro insieme alla classe popolare, cominciarono ad apparire diversi punti di vista di quelli passati, con la proposta di un’istruzione egualitaria per tutti con lo scopo di sradicare l'analfabetismo nel paese. 19. Riflettere sulla condizione brasiliana durante il colonialismo Il Brasile venne occupato dai portoghesi nel 1532, a quel tempo gli indigeni presenti nel territorio era più di quattro milioni. Rispetto ad altre colonie però il suolo brasiliano fu completamente spogliato di tutti i suoi averi, avendo i portoghesi maggior interesse a depredare il paese delle proprie ricchezze piuttosto che colonizzarlo in senso stretto. Il Portogallo era avverso ai cambiamenti conservando una posizione incentrata sullo studio della religione quale unica disciplina. Di conseguenza non vennero create sul territorio strutture di alcun tipo e le condizioni di lavoro degli indigeni furono pessime. In poco più di cent'anni di occupazione la popolazione indigena fu dimezzata ed i portoghesi cominciarono ad importare schiavi dall'Africa Nera. La Compagnia di Gesù, attraverso i gesuiti, iniziò il percorso di evangelizzazione nel 1549. L’azione pedagogica avvenne attraverso la costruzione di collegi (fondarono scuole elementari, secondarie e seminari) dove si catechizzavano gli Indios, si educavano i figli dei coloni ,si formavano i nuovi sacerdoti e ci si occupava della creazione di una élite culturale. Introdussero un sistema d’istruzione strutturato ed estremamente centralizzato con un accesso molto rigido. Per questi motivi l’accesso all’istruzione era elitario e la formazione era prevalentemente teorica piuttosto che pratica. Dopo 200 anni di queste istituzioni le stesse vennero abolite dal Marchese di Pombal. A seguito dell’esclusione dei gesuiti , il sistema educativo fu smantellato. A partire dall’800, avvennero dei cambiamenti epocali per il Brasile, ma nonostante ciò la situazione non migliorò nemmeno dopo il 1822, anno durante il quale il Brasile dichiarò la sua indipendenza dal Portogallo: il nuovo Stato indipendente, nuovamente padrone del proprio territorio e del proprio destino, continuò ad importare nuova forza lavoro schiavile per buona parte del XIX secolo. E la situazione di ingiustizia sociale continuò fino al 1888, allorché anche il Brasile, ultimo tra i paesi sudamericani, abolì la schiavitù. Solo nel 1930 in Brasile fu istituito un Ministero Federale per l'Educazione e la Cultura. I cambiamenti , le esperienze internazionali , l’avvento della società di massa hanno creato le premesse per una svolta storica che ha posto per la prima volta al centro la persona e la l’educazione come presa di coscienza. 20. Riflettere sul concetto di migrazione alla luce dei brevi articoli della lezione 48 I brevi articoli della lezione 48 raccolgono invettive indirizzate a noi italiani. A partire dal 1861 circa 30 milioni di italiani hanno cercato fortuna all’estero dove venivano accolti dal paese di approdo con gli stessi pregiudizi che oggi, sovente, riserviamo agli immigrati coloro, per fare un esempio, che raggiungono ,dopo lunghi viaggi , l’isola di Lampedusa. “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane”, è una delle testimonianze dell’epoca risalente il 1912 in un testo americano. Anche il presidente degli USA, Richard Nixon, intercettato nel 1973, non si allontanava molto da questo pensiero denigrante: "Non sono come noi. La differenza sta nell'odore diverso, nell'aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto”. Nei paesi in cui emigrarono gli italiani, principalmente America e Australia , ma non solo, furono spesso oggetto di razzismo e di pregiudizi che si sono radicati a partire dall’Ottocento fino agli anni Settanta del secolo scorso. Gravati da un paio di secoli di stereotipi il sentimento anti- italiano era piuttosto forte e diffuso nelle popolazioni locali, tanto da essere trattato senza censura dai giornali. 21. Commentare i nuovi dannati della terra secondo Beneduce Nel saggio introduttivo decolonizzare la follia, Beneduce ci fa riflettere sui nuovi dannati della terra. La situazione non sembra essere cambiata: la stessa superficialità e banalità dei giudizi, la stessa ipocrisia di chi si nasconde dietro i limiti delle leggi o di chi parla dei rischi che potrebbero provocare un'accoglienza sfrenata e l'impatto, le possibili conseguenze negative per la compagnia di sbarco. I nuovi condannati sono coloro per i quali non c'è posto dove stare clandestini, richiedenti asilo, rifugiati, minori stranieri, vittime di torture, gli sgomberati sono coloro che trascorrono mesi o anni nelle carceri di vari stati solo per essere privi di documenti. Lontanissimi dai dannati sulla terra di cui parlava Fanon cinquant'anni fa, condividono le sofferenze, i drammi causati dal capitalismo contemporaneo e dalla sua violenza. Sono evidenti anche le responsabilità dei paesi "sviluppati" nel contribuire alle cause della migrazione forzata e le loro politiche opportunistiche. La continua e attuale precarietà , violenza fanno si che gli immigrati e richiedenti asilo vivano una condizione di vulnerabilità e la loro richiesta di cura e di aiuto non è altro che l’esito di mesi e anni di sofferenze, incertezze , traumi, esperienze negative che hanno riconfigurato , ipotecato, come disse Fanon, la loro persona e la loro storia. Questo è un tratto che accomuna molti degli immigrati e richiedenti asilo. Spesso , una volta raggiunta l’Europa o l’Italia, i meccanismi dell’incertezza giuridica e dell’indifferenza istituzionale partecipano alla profusione della loro sofferenza.