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A. WENIN - Da Adamo ad Abramo o l'errare uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. I. Gen 1,1-12,4, Sintesi del corso di Teologia II

Riassunto accurato di ogni capitolo del libro.

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 12/09/2017

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4.4

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Scarica A. WENIN - Da Adamo ad Abramo o l'errare uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. I. Gen 1,1-12,4 e più Sintesi del corso in PDF di Teologia II solo su Docsity! CAPITOLO 1 – UN MONDO SECONDO DIO (1,1-2,4). Siamo alla prima pagina della genesi, ecco lo schema: Introduzione. Terra: tenebra, abisso, vento giorno opera Separazione-immobili Il quadro Ornamentazione-mobili Il popolamento opera giorno I 1 Luce-tenebra: separazione giorno-notte Luminari: separazione giorno- notte (sole, luna) + calendario 5 IV II 2 Acque in alto-in basso: volta del cielo Animali del cielo e d’acqua: pesci- uccelli 6 V III 3 4 Terra secca-mari Piante della terra (terra) Animali terrestri Umanità Piante= cibo 7 8 VI Conclusione. Giorno VII- Dio compie la sua opera (riposo) Non c’è nessuna negazione nel testo, tutto ciò che c’è, è positivo. Dio sembra esser presente dappertutto ma rimane tuttavia invisibile, nascosto dietro le parole che pronuncia e le azioni che realizza. (nel testo ebraico, dio viene chiamato Elohim). Ovviamente la genesi non ha alcuna pretesa scientifica, quindi è inutile cercare di far concordare i dati dei testo con ciò che la scienza ci insegna circa l’origine del mondo e dei viventi. Notiamo nel testo numerose ripetizioni, ma le più evidenti sono 2: “E fu sera e fu mattino. Giorno X.”, che scandisce il tempo che scorre, e per 10 volte abbiamo “E Elohim disse”. Guardando la tabella, ci accorgiamo delle simmetrie: • Leggendola in verticale. La prima colonna corrisponde ai primi 3 giorni – in essi Dio opera per messo di separazioni (distingue luce e tenebre, separa prima verticalmente cioè alto-baso e poi orizzontalmente acqua-terra). A sx abbiamo gli immobili, mentre a sx, con gli esseri viventi, abbiamo i mobili. Infatti nella colonna di destra, abbiamo tutto il popolato – gli astri, il mondo animale e l’umanità > quanto appare qui è mobile (anche le stelle). In realtà è così: tutto è ordinato e tale ordinamento è invariabile, però ciò non significa che non ci siano dei mobili. Cioè i mobili si muovono e riescono a rispettare tale ordinamento. • Leggendola in orizzontale. • Il quarto giorno corrisponde al primo: la creazione dei luminari rimanda infatti alla separazione delle luca + si tratta di scandire il tempo. • Il quinto giorno corrisponde al secondo: dio popola aria e acque, due spazi preparati nel secondo giorno con la sistemazione della volta dei cieli. • Il terzo giorno corrisponde al sesto: perché hanno in comune il fatto che dio realizza due opere, non una. Inoltre nel sesto giorno vengono dati n cibo ai viventi i vegetali, che sono opera del terzo giorno. L’equilibrio di questa struttura è il segno dell’equilibrio e della stabilità dell’universo descritto. Il settimo giorno invece opera una rottura molto netta. Innanzitutto dobbiamo tener conto delle ripetizioni dell’espressione “il settimo giorno” e “tutta la sua opera che aveva fatta” + l’insistenza sul fatto del riposo, quasi a voler sottolineare la singolarità di questo giorno. Il riposo di dio, consacra un ritmo settimanale e nella versione originale si gioca sulle parole shabat (riposarsi) e sheba (sette). Questo ritmo non viene dettato dagli astri, ma lo dà il Creatore stesso. Detto questo, la sistematizzazione del materiale letterario in 6 giorni + 1 non è perfetta: possiamo notare 3 cose irregolari: 1 • I mari appaiono solo il terzo giorno (quando dio li nomina), ma se è così, allora il suo popolamento avviene con un giorno in anticipo. • Le due opere del sesto giorno, gli animali e l’umanità, corrispondono alla prima opera del terzo giorno, ovvero la separazione della terra. • Inoltre, la creazione degli astri non potrebbe essere anch’essa un’opera di separazione? Qui poi si parla di numeri di parole, ecc.. cosa che non ho capito molto bene, ma il succo è questo: quando si tratta del mondo dei viventi, non si può fare a meno del brulichio, ovvero di una certo disordine caratteristico della vita. Poi la formula “e così fu” torna 6 volte, spesso con la descrizione di quello che fa dio. Non viene usata laddove si dice che “crea” > a quest’atto di creare è legata la parola di benedizione (barak), di cui beneficiano le bestie del mare, dei cieli e gli uomini. Ci sono poi 2 benedizioni del testo: la prima quando elohim benedice i pesci e gli uccelli e la seconda agli uomini – e lo capiamo perché non si usa solo “elohim disse”, ma “elohim disse loro” > questo loro è come se aggiungesse la benedizione. Per il lettore della Torah, tale organizzazione in dieci parole divine produce un eco teologico significativo > ad esempio si può far riferimento al decalogo. Dal testo ci sorgono poi nuove domande: cos’è questa luce che esiste senza gli astri? Perché gli animali della terra non sono benedetti? Perché mail il cibo dei viventi è solo vegetariano? Il settimo giorno, elohim conclude la sua opera o si riposa semplicemente? ELOHIM Un inizio sconcertante. “Quando Elohim iniziò a creare cieli e la terra – ora la terra era tohu e bohu (caos inimitabile) (fine versetto 1) e tenebre sulla faccia di un abisso, e vento di Elohim muovendosi sulla faccia delle acque”. È la prima frase della genesi. Ci sono 3 interpretazioni: • La prima è l’interpretazione più accettata fin dalle versioni antiche della Bibbia: che tutto ciò sta a dire che la creazione è avvenuta ex nihilo. Quindi all’inizio dio crea cielo e terra, ovvero l’universo > tuttavia il problema arriva dopo, ovvero quando dice che l’universo era caos > ma il caos è poco compatibile con “cielo e terra” che invece stanno in un preciso ordinamento. Inoltre il cielo appare solo al secondo giorno e la terra al terza. Quindi questa interpretazione non è soddisfacente. • La seconda interpretazione legge il versetto 1 come il titolo che annuncia il tema dell’insieme del poema. Così sembra che la creazione sia l’atto unico collocato come inizio assoluto. • La terza interpretazione pensa che l’inizio evocato sia relativo al momento in cui dio prende l’iniziativa di creare l’universo, mentre questa appare come un ingresso nel tempo. Per le ultime due interpretazioni, la creazione non è ex nihilo, ma intendono la creazione come una sorta di vittoria sul caos, in altri termini, un atto di salvezza. Il narratore non ci dice da dove viene il caos, ma le due parole in ebraico che lo esprimono rimandano ad una deserto lugubre, inabitato, in cui regna la morte – quindi uno stato che è al contrario di un mondo creato. A maggior ragione, le acque abissali spesso nella Bibbia rappresentano qualcosa di minaccioso, quindi ancora mondo della morte. E poi c’è il vento di Elohim che si agita sulla superficie delle acque – il vento forte è simbolo della sua potenza. Però si dice che soffia sulla faccia dell’abisso, come a dire che se anche sarebbe una potenza irrompente, dio riesce a mantenersi calmo. Nel testo originale si gioca poi sulle aspirazioni e con le vocali si danno colori, prima che l’espirazione del soffio venga a spegnersi in un tremolio. E poi abbiamo la luce. Luce! Si tratta di una metafora evolutiva – il respiro di elohim riesce a calmare il caos, le tenebre e dal suo respiro nasce la luce. Ultima considerazione: il primo verbo che usa Elohim nel testo, è il verbo essere coniugato in una forma che esprime la volontà – Sia! Si tratta della volontà divina. Dobbiamo anche notare che YHWH (che si legge Adonai) è il nome che elohim rivelerà a Mosè come il suo nome proprio – e YHWH è strettamente collegato al verbo essere (hyh). UHWH potrebbe significare “egli è” o “egli fa essere” – qui, sembra che l’autore della genesi voglia dirci che la parola creatrice sgorga dallo stesso nome divino. 2 (quindi non si mangia gli animali) tranne dall’albero della conoscenza del bene e del male (pena la morte). Perché? Perché dio pone un limite da rispettare all’uomo che è diventato dominatore di quel mondo – egli infatti dovrà custodire e curare quel luogo, ma con la stessa mitezza con cui governa dio (auto-ponendosi dei limiti > per l’uomo il limite è di non mangiare da quell’albero). Riuscendo a rispettare il limite, l’uomo riuscirà a contenere la sua animalità. Si dice che l’umano sarà responsabile del giardino (sarà come un custode e un coltivatore amorevole) e questo si allaccia al fatto che dio al settimo giorno si riposa, lasciando che l’uomo si assuma le proprie responsabilità. Ricorda: ha’adam= uomo – ricorda “Adamo”. Ecco lo schema del racconto del secondo capitolo: 1. Preludio: non-creazione a. Non c’è ancora vegetazione nei capi poiché: b. Non c’è acqua per la terra c. Non c’è umano per lavorare l’humus 2. Primo tempo di creazione: apparizione b. Acqua: un flutto dalla terra annaffia l’humus c. Umano: modellato dall’humus, posto nel giardino piantato in Eden a. Vegetazione: alberi buoni da mangiare e albero della vita e albero della conoscenza del bene e male 3. Secondo tempo di creazione: interrelazioni b. Acqua: un fiume esce da eden per annaffiare il giardino, poi la terra in quattro braccia c. Umano: nel giardino di Eden per lavorarlo e custodirlo a. Vegetazione: alberi dati da mangiare all’uomo (= vita) e albero del conoscere bene e male che è però un pericolo di morte A proposito dei 4 fiumi: Tigri ed Eufrate ci sono davvero, mentre Pison e Gihon non sembrano esistere – tuttavia, si dice che dove scorre Pison ci sia oro e onice, che si trovano sempre sulla veste liturgica del sommo sacerdote di Gerusalemme, quindi non possiamo escludere che le regioni toccate dai quattro fiumi (e quindi legate dal giardino Eden) siano Gerusalemme e la Mesopotamia. Narrativamente, questa descrizione die fiumi fa sì che il giardino sia una realtà del mondo noto al lettore, anche se la sua precisa collocazione gli sfugge. L’umano e l’humus. Ha’adam (umano) c’entra con humus, le due parole hanno un collegamento. L’humus ci fa capire ancor meglio come l’uomo sia la creatura fra i viventi della terra e dio. L’umano condivide con gli animali e i vegetali (ovvero le altre due creature sulla terra) di esser stato tratto dal suolo – quindi tutti i viventi della terra sono usciti fuori dall’humus. Tuttavia ci sono delle differenze: • Differenza uomo-vegetale. A differenza dei vegetali, che non fanno altro che germogliare e crescere, l’essere umano viene “plasmato” dalle mani del creatore. Esattamente come l’artigiano modella un oggetto. La stessa cosa per gli animali: sono tutti stati plasmati dalle mani divine, mentre i vegetali no. • Differenza uomo-animale. • Prima differenza: entrambi sono nati dall’humus, che si potrebbe intendere come la polvere (infatti nel terzo capitolo verrà detto “polvere sei e polvere ritornerai”) > e la polvere nell’antico testamento è sempre sinonimo di morte. Quindi sia gli animali che l’uomo, essendo stati creati dall’humus, prima o poi dovranno morire come termine naturale della propria vita – quindi non 5 c’entra niente il peccato. Ma ecco la differenza: gli animali non lo sanno che devono morire, l’uomo sì/ è consapevole (infatti più avanti glielo dirà dio stesso che è nato dalla polvere e polvere tornerà). • Seconda differenza: gli animali sono nati sì dall’humus, ma non anche grazie all’alito di vita di dio soffiato nelle loro narici > l’uomo sì. Questo sta ancora a significare che l’uomo è il dominatore mite – perché sappiamo dal primo capitolo che tale soffio (quello che scorreva sulla superficie degli abissi e dai poi è partita la creazione) corrisponde alla parola di dio. Infatti l’uomo, a differenza degli animali, sa parlare/ è dotato della parola > e questa componente lo aiuta ad essere un mite governatore del mondo, esattamente come dio vorrebbe. Quindi tutto torna. L’uomo deve esercitare il suo mite dominio tramite la parola, esattamente come fa dio. Inoltre gan, giardino, è derivato dal verbo ganam= proteggere, ma allo stesso tempo c’è un collegamento con il servire > quindi l’uomo custodisce e governa (coltiva) il giardino, ma come il ministro fedele di un padrone (che è dio). Infine, da un lato l’umano mette le proprie forze al servizio del giardino, coltivandolo e lavorandolo; di rimando, il giardino lo rallegra e lo nutre offrendogli i propri alberi belli da vedere e buoni da mangiare. Il desiderio di dio è quello che si stabilisca un’alleanza fra umanità e natura, una relazione armoniosa in cui il bene dell’uno raggiunge il bene dell’altro. Ma affinché questo rapporto rimanga equilibrato e felice dipende dall’umano e dal suo modo di compiere la missione che gli spetta. Un precetto per l’umano. ora, quando dio dice all’uomo che può mangiare da ogni albero del giardino, tranne che dall’albero della conoscenza del bene e del male, si sta riferendo a lui con la seconda persona, quindi dio ha instaurato una relazione diretta fra sé stesso e l’uomo. quindi adonai Elohim raccomanda all’umano di godere di quanto stato detto, quindi sembra essere tutto positivo fino a quando si innesta questa proibizione riguardo un albero preciso – il limite del godimento. Quando dice che se lo mangerà, morirà, possiamo intendere ciò in due modi: la morte come punizione o la morte come conseguenza dell’aver mangiato qualcosa di nocivo. E per quanto riguarda la conoscenza del bene e del male? Tutti gli indizi non ci portano a dire che dio vuole l’esclusività della conoscenza e quindi cerca di spaventare con la pena della morte l’uomo che la vorrebbe possedere. Sembra piuttosto questo. Elohim sta mettendo in guardia, lungi dal minacciarlo, che quell’albero lo porterebbe all’infelicità e alla morte, suggerendogli così di evitarlo. Il fatto che venga posto un limite al godimento dell’uomo non è contrario alla vita, anzi, imponendolo Elohim sta mettendo in guardia l’umano contro la bramosia che potrebbe portarlo a cedere alla tentazione, rifiutando il limite e conducendolo all’infelicità – sciupando così la relazione instaurata fra lui e dio e fra lui e il resto del mondo vivente. La bramosia (in questo caso del conoscere o del voler mangiare a tutti i costi dall’albero proibito) consiste nel voler accaparrare qualcosa per goderne in modo esclusivo > ciò conduce a non riconoscere un partner di scambio e quindi a distruggere le relazioni > e questo diventa poi mortifero: senza i rapporti giusti nella propria vita, l’umano è destinano a morire. Quindi il senso “se mangi da lì muori”, è proprio questo. Inoltre la menzogna non è mai lontana dalla bramosia – la menzogna è luogo di dissimulazione senza la quale le manovre, consapevoli o meno, rischierebbero il fallimento. Insomma, letta in questo modo, la parola divina mette in guardia l’uomo contro un pericolo mortale > dio dona all’umano tutti gli alberi la cui vista sveglia il desiderio, manche un limite che educa questo desiderio in modo che non diventi invadente. L’uomo incontra la morte quando si distruggono le relazioni che tiene e si lascia troppo trasportare dal desiderio (no autocontrollo > conseguenza, menzogna nella parola, che invece era potenza mite). Tutto questo è ancora una volta un segno discreto dell’amore che Elohim ha per l’essere umano > certo, a primo impatto la sua frase (non mangiare lì perché muori) sembra fredda, distaccata e sembra lasciare anche molti dubbi nell’umano che l’ascolta > ma forse questo distacco c’entra ancora con il fatto che dio al settimo giorno si è ritirato e ha lasciato fare all’uomo, quindi non gli vuole imporre alcun imperativo categorico e lasciarlo fare, quindi sempre con amore. per poter percepire questo amore, l’umano dovrà abbandonare la volontà di afferrare, di sapere e abbandonarsi alla parola, avere fiducia in chi parla – rinunciando quindi alla bramosia per il rapporto. È il serpente invece che cerca di mettere in dubbio la bontà 6 di dio, cioè ipotizzando che invece Elohim si voglia tenere la felicità e la saggezza (la conoscenza del bene e del male) tutta per sé. questo però instaurerà nell’uomo un vuoto da colmare e dei dubbi. Ma perché dio ha messo nel giardino un tale albero? • Perché è un test. Egli ha donato all’uomo tutto ciò che gli serve per campare e ha deciso, con amore, di lasciarlo libero (dominio sul giardino). Però vuole testare se egli ha ricevuto il dono senza riguardo o se l’uomo riconosce del dono un segno che il donatore vuole inaugurare con lui una relazione (infatti se uno mi fa un dono inaspettato, io non è che lo prendo e me ne vado, ma cerco in qualche modo di conoscerlo/di instaurare un rapporto col donatore). Inoltre se l’uomo mangerà comunque dall’albero, significa che on ha fiducia in dio e nella sua parola. • Perché in realtà nemmeno Elohim conosce tutto il bene e tutto il male, quindi quell’albero è inedito anche per lui. Questo perché se Elohim ha bisogno di testare la fiducia e il desiderio di relazione nell’uomo attraverso l’albero, significa che non sa se l’uomo sia bene o mal disposto nei suoi confronti > e questo è un limite di Elohim che non ci può sorprendere se pensiamo appunto che ha lasciato l’uomo libero al settimo giorno, ha lasciato che agisse di testa sua. Quindi se Elohim non conosce davvero bene l’uomo, che è una conseguenza della sua benevolenza e del suo amore per lui, significa che non conosce bene nemmeno l’albero e ne sta alla larga perché probabilmente gli farebbe male > e cerca di mettere in guardia anche l’uomo. Prima scienza del racconto: l’umano in relazione. Elohim constata “non bene che l’umano sia nella sua solitudine” (ed è la prima volta che dice non bene, mentre prima diceva molto bene) quindi cerca di riparare o meglio, “farò di lui un soccorso come di fronte a lui” > soccorso in arabo è ezer, che può voler dire che salvare qualcuno da un pericolo mortale (e di solito nella bibbia è solo dio a salvare dalla morte). A questo proposito, ecco cosa succede nel racconto: Introduzione: discorso di adonai Elohim, ovvero: a. Constatazione di una mancanza: non bene, l’umano alla sua solitudine b. Decisione di fare un soccorso come di fornte a lui c. PRIMO TEMPO: gli animali (modella gli animali, li presenza all’uomo e la reazione dell’umano è quella di nominare i loro nomi) Intermezzo: non c’è soccorso come di fronte a lui a. SECONDO TEMPO: UOMO E DONNA b. Azione divina: torpore nell’uomo, si addormenta, gli prende un LATO (non la costola > la costola è una traduzione errata cattolica, perché qui si parla solo di un lato, non di un dato osso) c. Reazione dell’umano: nomina la donna (e l’uomo) Conclusione: discorso del narratore a. Possibilità di vivere bene la mancanza: essere una sola carna b. Constatazione finale: “loro due…l’umano e la sua donna” Quindi la scena comincia con una mancanza, la solitudine dell’uomo (che non è buona) > a questo proposito possiamo capire meglio la relazione di cui stavamo parlando prima. Prima abbiamo ipotizzato che l’uomo dovesse tenere la relazione con dio, ma non è esattamente così, poiché dio al settimo giorno si è ritirato, quindi ci vuole all’uomo qualcuno con cui tenere una relazione in terra. La creazione degli animali, a questo 7 A proposito del terzo ci chiediamo: in tutto questo, mentre fra lui e lei si instaurava un rapporto sbagliato, dov’è Elohim? Elohim non c’è perché il rapporto, o meglio, la fusione che è appena stata fatta dalle parole di adamo, non concede la presenza/lo spazio di un terzo, quindi nemmeno di dio. L’uomo ha dimenticato che la donna è un dono, non ha neppure rilevato l’azione divina – anzi, l’ha rifiutata, cercando di cancellare la separazione (il lato, la cicatrice) e riassorbire la differenziazione (non si vergognano della nudità perché non si sono accorti delle loro differenze). CAPITOLO 3. IL SERPENTE, IL FRUTTO E UNA SVENTURA (3,1-24) Abbiamo un nuovo personaggio, il serpente, che ritira in ballo la questione dell’albero proibito. Il terzo racconto della genesi, dopo i primi due che raccontavano della creazione, segna un momento di caduta che si concluderà con l’evocazione dei discendenti di Caino > o meglio, questa accade dopo, perché il racconto in questione finisce con Adonai Elohim che manda via l’uomo dal giardino e pone dei nuovi custodi (i cherubini e la fiamma della spada vorticosa) a difendere l’albero della vita. Organizzazione letteraria. Ecco la prima struttura A. Il serpente e la donna • Introduzione narrativa: il serpente • Dialogo (tentazione): la donna mangerà o no? B. La donna e il suo uomo • Ella vede il frutto, lo mangia, ne dà ad egli e ne mangia • Entrambi vedono la loro nudità e la coprono facendo un perizoma di foglie di fico C. Adonai Elohim e la coppia • Introduzione narrativa: adonai Elohim chiede ad adamo “dove sei?” • Dialogo (confessione-accusa): perché mai hanno mangiato? Ecco la seconda struttura: a. Il serpente seduce la donna ed ella mangiò b. Ella dette al suo uomo ed egli mangiò c. E riconobbero che erano nudi d. Sentirono la voce di Adonai Elohim nel giardino ed egli si nascose (abramo) X e Adonai Elohim chiamò…e disse:”Dove sei?” d’ Abramo:“Ho sentito la tua voce nel giardino e mi sono nascosto” c’ “chi ti ha raccontato che sei nudo? … hai mangiato?” b’ “la donna mi ha dato…e ho mangiato” a’ “il serpente mi ha sedotta…e ho mangiato” la corrispondenza fra, da un lato, il racconto della tentazione e le sue conseguenze (a- d) e, dall’altro, le domande e risposte nella conversazione durante la quale Adonai 10 Elohim e gli umani tornano su quanto è accaduto (d’-a’). I personaggi ai quali dio si rivolge successivamente, appaiono nell’ordine del racconto della trasgressione e nell’ordine inverso del dialogo: la denuncia del serpente porta Elohim a interpellare per primo l’animale; la menzione della donna alla fine della parola rivolta al serpente prepara la transizione verso la seconda sentenza; allo stesso modo, l’uomo viene introdotto nella seconda parte del discorso rivolto alla donna. L’insieme presenta un equilibrio. La prima e la terza parola vengono formulate in 3 tempi, con una motivazione e una maledizione la cui esplicazione unisce 3 temi: la polvere, il cibo e la perennità. Per quanto riguarda le pene che ognuno dei 3 personaggi conoscerà, sono duplici e colpiscono le funzioni vitali e le relazioni: A. Parola per il serpente x. “perché tu..” y. “maledetto tu!” z. duplice pena: funzioni vitali: locomozione/cibo, relazioni: opposizione alla donna B. Parola per la donna z. duplice pena: funzioni vitali: gravidanza/maternità, relazioni: seduzione/dominazione da parte dell’uomo C. Parola per l’uomo x. “perché tu..” y. “maledetto l’humus a casa tua!” z. duplice pena: funzioni vitali: cibo/lavoro, relazioni: humus improduttivo (e a questo punto gli dice che polvere era e polvere tornerai. Il potere dell’uomo sulla donna era già stato messo in atto quando egli nomina in modo unilaterale la sua compagna. Dio, dato che ormai l’uomo ha mangiato dall’albero della conoscenza b/m, deve difendere ora l’albero della vita dalla bramosia dell’uomo – quindi lo scaccia dal giardino e pone dei nuovi custodi. Un profonda continuità: il serpente. La prima frase del terzo capitolo, pone in continuità in 2 con il 3 > infatti si dice che il serpente è un animale furbo/astuto e che è il più nudo di tutti (non ha né pelliccia né piume) > la nudità è l’elemento che attacca il nuovo racconto con quello precedente. Perché il serpente si rivolge alla donna e non all’uomo? perché l’uomo, da quanto è stata creata la donna, non sente più alcuna mancanza da colmare – ma la stessa cosa non vale per la donna, la quale soffre della stessa duplice mancanza dell’uomo e che non ha ancora colmato come invece ha fatto il suo compagno. L’umano si crede senza mancanza, mentre la sua donna no, la percepisce ancora. Di fronte a questa mancanza, l’albero della conoscenza b/m potrebbe essere qualcosa che possa riempire quel suo vuoto. Infatti è la donna che per prima ne mangia i frutti > ciò significa che la reazione della donna di fronte al limite, è simile a quella dell’uomo, ovvero entrambi cercano di colmare le proprie mancanza. L’uomo cercò di colmare la propria mancanza credendo di conoscere già la donna ed impossessandosene come un oggetto, mentre 11 la donna, per colmare la sua mancanza di conoscenza, cercò di abolire il limite posto da dio (mangiando il frutto). E come la donna è stata in silenzio mentre l’uomo decideva di darle un nome e possederla, anche l’uomo resta in silenzio e di lascia dare da lei, mangiando dalla sua mano il frutto che le offre. Questa simmetria di atteggiamenti indica una complementarietà fra i due. Detto questo, la scena con il serpente non fa altro che sviluppare narrativamente il consenso della donna alla logica del suo uomo. Le prime parole del serpente. Il serpente comincia dicendo alla donna: “Elohim ha detto:”Non mangerete di ogni albero del giardino”. Il serpente sta dicendo il vero, gli umani non mangiano da ogni albero del giardino, ma con le sue parole fa pesare alla donna il divieto > questo semplicemente perché ha invertito le parole di Elohim, usando però sempre quelle > Elohim infatti aveva detto “di ogni albero del giardino mangerai, ma dell’albero della conoscenza del b/m non ne mangerai” > il serpente inverte le parole: Elohim ha detto “non mangerete di ogni albero del giardino”. Insomma, pur dicendo il vero, il serpente gioca sulla facoltà del linguaggio di creare l’ambiguità, il dubbio a proposito di quanto dio abbia detto e cerca di riportare solo la parte negativa dell’ordine di adonai Elohim, ovvero quella che pone il limite. Non fa quindi nessuna allusione al dono iniziale (possono mangiare da ogni albero del giardino). In questo modo, l’albero proibito finisce per occupare un posto centrale, oscurando tutti gli altri doni > così il serpente fa sparire l’elemento che invita ad interpretare il precetto come segno dell’amore discreto di un dio bene intenzionato. Infatti il serpente parla solo di Elohim (=Divinità) e non aggiunge prima anche Adonai (YHWH) che significa donatore. Il serpente suggerisce quindi alla donna che il limite posto da Elohim impedisce loro di vivere pienamente e che dovrebbero impadronirsi di ciò che li priva > l0animale formula così un logica di bramosia che ritorna + semina confusione a proposito di quanto stato detto. Inoltre, mentre adonai Elohim si rivolge con il “tu”, il serpente si rivolge con il “voi”, il che da una parte è giusto perché prima c’era solo l’uomo, mentre ora sono in 2 (uomo e donna) > però con quel voi intende in realtà opporre gli umani a dio. È come se il serpente si insinuasse fra il rapporto che gli uomini hanno con dio e intenda staccarli. Il dialogo fra la donna e il serpente. Mentre risponde al serpente, la donna è già caduta nella trappola. Leggiamo che in primo luogo ella cerca di rettificare quello che ha detto il serpente, ovvero dice “noi mangiamo dagli alberi del giardino ma non il frutto dell’albero che è in mezzo al giardino perché Elohim ha detto che lo mangeremo o toccheremo con il timore di morire”. Tuttavia, quando dice ciò, per lei mangiare questi frutti, è una specie di dato di fatto > cioè non si riferisce alla parola di dio o al suo dono. Quindi il modo di vedere della donna e del serpente, sono lo stesso: hanno fatto sparire il dono di adonai Elohim e lo stanno accostando ad un frustrante legislatore. Inoltre sappiamo che in mezzo al giardino c’è l’albero della vita, mentre qui lei dice che al centro c’è l’albero della conoscenza b/m > quindi probabilmente, agli occhi della donna, al centro del giardino non c’è la vita, ma il divieto ed è la sola cosa su cui riesce a focalizzarsi, non sui doni e su tutto ciò che c’è di buono intorno. Inoltre, dalla frase “con il timore che moriate” sta a significare che dio non ha messo in guardia gli uomini da una minaccia, ma ha minacciato di far morire chiunque trasgredisca al suo ordine > con un divieto del genere, dio non può che essere un avversario degli umani. 12 vulnerabilità implica che ci si nasconda, che ci si protegga > fare questo però implica una distanza se non addirittura una rottura > Elohim se ne accorgerà e porrà le tuniche di pelle per convalidarlo. Ma la prima divisione che effettivamente avviene a questo punto è quella fra adamo ed eva > infatti Elohim chiede prima ad adamo perché si sta nascondendo e se per caso ha mangiato il frutto dell’albero proibito > adamo non risponde subito, ma si tira indietro, attribuendo la responsabilità del suo atto alla donna > l’uomo così ha rotto la propria solidarietà con colei di cui aveva affermato che era un altro sé stesso, le sue ossa e la sua carne. Un’altra rottura di relazioni è questa: dio si arrabbia e dice che la funzione della donna sarà la maternità e di essere sottomessa all’uomo. L’uomo sente questo e chiama la donna, Eva (il nome compare qui per la prima volta) che significa “vivente” > perché si sono rotti i rapporti? • Perché l’uomo non riconosce la donna per la sua persona, ma solo per la funzione che svolge, ovvero dare la vita > e ad egli importa solo perché la vede come il mezzo con cui potrà egli attraversare la morte, creando cioè un erede. • Decidendo di darle il nome, continua come ha fatto finora: ovvero a sottometterla e governarla senza avere considerazione di ella. Ma la diffidenza di insidia anche nei confronti di adonai Elohim: apparentemente, alla prima lettura, sembra subito che Elohim si ponga come un giudice istruttore che indaga su un crimine, che poi si trasforma nel magistrato che proclama la pena ed infine l’ufficiale giudiziario che fa applicare tale pena > ma in realtà non è così, interpretare la scena solo come un giudizio, è sbagliato. Vediamo perché. Deriva dell’immagine di Elohim. All’inizio della scena, adonai Elohim sta passeggiando tranquillamente nel giardino > ma gli umani, quando lo sentono arrivare, si impauriscono e si nascondono, come se la sua presenza fosse una minaccia. Non trovandoli, Elohim chiama l’uomo > il quale salta fuori con una scusa che fa sentire la puzza di bruciato ad Elohim, ovvero dice che si è nascosto perché erano nudi (non perché avevano paura). A questo punto Elohim lo interroga e i due confessano > o meglio, l’uomo, che parla per primo, dà la colpa alla donna, la quale a sua volta dà la colpa al serpente. Dopo la confessione, simmetricamente vengono puniti il serpente, la donna e l’uomo > il serpente viene dichiarato subito colpevole, mentre l’umano dal canto suo, viene punito perché preferendo la parola della donna che a dio, ha deciso di mangiare il frutto. Si tratta di pene pesanti che colpiscono gli attori nella loro vita quotidiana e sono 2 per ciascuno e tutte porranno fra serpente-donna-uomo delle relazioni amare > perché: al serpente verrà schiacciata la testa e cercherà di difendersi mordendo il calcagno (quindi fra di lui e gli uomini non correrà buon sangue), mentre la donna avrà in lei la seduzione, ma seducendo l’uomo rimarrà incinta e partorirà con dolore + verrà da lui dominata. Per quanto riguarda l’uomo, il lavoro e la produzione del cibo necessario per sopravvivere gli saranno penosi a causa del rapporto conflittuale con l’humus maledetto a causa sua. A questo punto è ovvio che l’uomo e la donna saranno espulsi dal giardino, dove invece l’humus non è maledetto, ecc.. anzi, a questo proposito sembra che Elohim abbia fretta di cacciarli da quel paradiso, come se avesse paura che lo potessero intaccare. Quando lo butta fuori, dio pronuncia una frase ironica, infatti dice: “Ecco: l’uomo è diventato come uno di noi, conoscendo bene e male..”. sono davvero diventati come 15 Elohim tanto da diventare altri dei (noi) – esattamente come il serpente pretendeva anch’esso di diventare un dio? In apparenza, ma solo in apparenza, l’immagine di dio si degrada ancora un po’ di più: cioè sembra che la sua fredda ironia e la fretta di cacciarlo dal giardino confermassero la sua gelosa vendetta e questa immagine è accentuata se vediamo Elohim come un dio-giudice/magistrato/ufficiale giudiziario, ma come già detto, non è proprio così. Una scena istruttoria? Nel racconto Elohim non viene presentato come un giudice, anzi lui sta tranquillamente passeggiando per il giardino. Siamo noi a dire che è un giudice se adottiamo il punto di vista di adamo ed eva. Questi infatti, senza che Elohim abbia fatto niente, si nascondono e hanno paura, pensano sia un minaccia. Questo anche perché la presa di coscienza del loro esser nudi fa veder loro che non sono diventati come l’Elohim superiore di cui parlava il serpente – ma avendo creduto a quest’ultimo, ormai vedono Elohim come un avversario che li minaccia di morte perché hanno trasgredito ad un suo ordine. Adonai Elohim domanda “dove sei?” > ed è una domanda normale, una domanda amichevole (se io non vedo un amico, gli chiedo dov’è) > la domanda è naturale, ma la risposta un po’ meno: al posto di segnalare semplicemente dove si trova o di andargli incontro, l’uomo agisce in maniera strana, infatti egli risponde come se dio gli avesse chiesto non “dove sei” ma “perché ti stai nascondendo” (infatti risponde che si sentiva nudo – cioè: dove sei? Mi sento nudo .. wtf). Infatti l’uomo reagisce alla domanda tranquilla “dove sei” come se percepisse in quelle parole un significato velato ed inquisitorio che in realtà non c’è. A questo punto dio domanda chi gli ha detto di esser nudo e se ha mangiato dall’albero proibito > ma il tono con cui glielo chiede, non è assolutamente da moralista o giudice, ma continua con un tono tranquillo. La sua parola quindi rimane quella di un amico. Queste domande di dio sorgono anche perché, come avevamo già detto, egli non conosce tutto, contrariamente a quello che pensa l’umano manipolato dal serpente. Di nuovo l’umano non risponde alla domanda, non racconta ciò che è successo perché pensa che Elohim lo sappia già (appunto, lo crede un sommo conoscente). A questo punto adamo non racconta tutto, ma cerca di minimizzare “ho mangiato” e si presenta come una vittima > infatti dà la colpa alla donna, però dando implicitamente anche la colpa a dio, infatti dice “è stata la donna che tu mi hai dato”. Insomma, la donna che gli ha creato, ha dato a lui un regalo avvelenato (il frutto dell’albero). In questo modo, l’uomo si sta comportando come il serpente, ovvero insinua, dice mezze verità e vede dio in modo malevolo. L’uomo ha adottato la logica dell’animale e pensa che Elohim sia un giudice. Il castigo, conseguenza che rivela la verità della colpa. Ora, un giudice è temibile solo per chi ha un peso sulla coscienza > infatti per una vittima o per la società, il suo ruolo è del tutto positivo e consiste primariamente nello stabilire la verità: che cosa è successo esattamente? Chi è il colpevole? In che misura lo è? Poi, per primo rimedia il torto subito (subire) tramite compensazioni che, comunque sia, servono ad indicare che quel tizio è la vittima. Per il secondo, pronuncia una pena adeguata, destinata a fargli prendere coscienza della gravità del delitto e delle sue conseguenze. Dio comincia ad agire come vero giudice solo quando interroga la donna dopo le parole di abramo e quando stabilire le pene per tutti e tre – fino ad allora però si era comportato da amico. 16 A dio basta una domanda un po’ da giudice, che la donna, sentendosi imputata confessa con poche parole: “è stato il serpente che mi ha ingannato” > come l’umano, sta cercando di minimizzare la propria responsabilità, ma a differenza di lui, non adotta la logica del serpente; piuttosto lo incrimina e tre parole bastano per dire la nuda verità (ovvero che il serpente è ingannevole). La donna, anche se prima aveva creduto alla sua menzogna, ha smascherato il serpente > a questo punto, se il serpente ha detto il falso, allora adonai Elohim non è quel dio di cui l’animale ne ha parlato, quindi Elohim è nel vero. Venuta alla luce la verità, ora Elohim può fare giustizia – ogni pena ha il suo aspetto positivo e ogni castigo dice qualcosa sulla colpa da esso sanzionata. Far sorgere la verità ora è importantissimo, per togliere gli umani dalla menzogna in cui sono immersi a causa del serpente. Per questo, Elohim se la prende prima con il serpente e non gli lascia nemmeno la possibilità di spiegarsi: inutile discutere con un essere perverso. Ma se abbiamo detto che il serpente rappresenta la bramosia, che senso ha punire un animale immaginario/ una disposizione interiore? Dio maledice il serpente, quindi maledice la bramosia da esso raffigurata. Le sentenze possono far male, ma hanno un fine buono: ovvero quello di fare emergere la verità e far capire agli umani che devono scacciare la propria bramosia. Custodire il cammino dell’albero della vita. L’umano era davvero destinato a conoscere, ma non in modo immediato (mangiando) senza rispetto per l’altro e il suo mistero. L’umano ha cercato di impadronirsi della conoscenza, l’unica qualità in grado di insegnargli una giusta relazione con il dono e l’altro. La bramosia ha vinto su di lui. A questo punto dio pone un altro limite, ovvero i cherubini che custodiscono il perimetro del giardino, per far sì che gli umani non tornino. Spinto dall’umano, Elohim sembra indossare l’abito del giudice, che conduce il colpevole ad esprimere la verità della sua colpa, poi fare la verità sulla bramosia (il serpente) dichiarandola portatrice di morte e impegnandosi a combatterla. Le dure sentenze fan sì che i colpevoli percepiscano bene la gravità di quel che è successo. Infine egli cerca di rendere giustizia facendo in modo che l’umano non distrugga ogni possibilità di vita e preservando le sue opportunità di ottenerla, nella speranza che un giorno cambi e possa rientrare nel giardino. Conclusione. Il cuore dell’interpretazione qui proposta non è nuovo, infatti lo ritroviamo: 1. Nella Sapienza: si parla dell’invidia o gelosia del diavolo, che vorrebbe ledere all’alleanza fra adonai Elohim e l’uomo > infatti, diaballo in greco vuol dire dividere. 2. La Lettera ai Romani di Paolo: Paolo denuncia la bramosia del peccato (è come se il peccato prendesse il posto del serpente). Il peccato inganna l’uomo per trascinarlo nella bramosia che uccide > per Paolo, la legge di dio che mette in guardia contro la bramosia è buona, mira alla vita – mentre la bramosia, ovvero il peccato, mira alla morte. 3. La Lettere di Giacomo: nessuno che viene tentato deve dire che la sua tentazione proviene da dio, perché dio non tenta nessuno, tantomeno al male. Giacomo non parla né di peccato né di diavolo, ma parla di una bramosia 17 rapporto insoddisfacente col marito, con l’umano. insomma, eva sta sostituendo un uomo che la possiede con un uomo che può possedere lei. così, si verifica la prima sentenza di adonai verso eva, ovvero che sarà avida verso il suo uomo (cioè è diventata avida verso suo figlio, possessiva). Ma in realtà suo marito, per la punizione di adonai, continua a dominare su eva. Comunque eva si è comportata come si era comportato suo marito, con la stessa bramosia/avidità e desiderio di colmare mancanze. Per questo si dice nella traduzione giudaica che Caino è figlio del serpente, cioè è figlio della bramosia. Ben presto, Caino avrà un fratello > su quest’ultimo Eva non dice niente, anzi, si parla della sua nascita quasi come fosse un’insignificante “aggiunta”. Il suo nome ha poca importanza, infatti Abele significa fumo, vapore, vanità. Quindi da un lato abbiamo un figlio portato alle stelle, che colma il desiderio di sua madre (la quale lo vede come un semidio) e dall’altro c’è un fratello che esiste appena, che non è all’altezza. C’è qui una duplice ingiustizia di Eva nei confronti dei suoi figli: eccesso d’amore per Caino, mancanza di considerazione per Abele. La poca importanza concessa ad Abele, non è priva di conseguenze per caino: infatti, l’arrivo del fratello minore, non intacca il rapporto fusionale nel quale Eva lo ha trascinato. Caino quindi finisce per essere legato alla madre, dal suo amore possessivo e strozzante, all’interno del quale non riesce a porsi nessuno > questa è una sorta di violenza che quindi caino subisce sin da quando è nato, è prigioniero di questo legame. A questo punto il narratore va velocemente avanti nel tempo, suggerendoci che i fratelli fino ad allora si sono ignorati l’uno con l’altro, questo perché Abele non ha mai avuto la possibilità di avere un rapporto con il fratello perché quest’ultimo era intrappolato nel rapporto esclusivo e unico con Eva. Il lavoro che svolgono, rimarca ancora che Caino, quello che coltiva l’humus (quindi è il custode e coltivatore della terra, come quando adamo aveva un ruolo rilevante nell’eden), è più importante del fratello insignificante che si limita a far pascolare le bestie (ovvero il lavoro che fa adamo dopo esser stato espulso dal giardino). L’ingiustizia di Adonai. Adonai sembra apprezzare il dono di Abele e non quello di Caino, senza un motivo apparente. Il narratore inoltre, con un sottile gioco narrativo (usando la freddezza al punto giusto), fa sì che il lettore si immedesimi e prenda le parti di Caino – quindi che veda Adonai come ingiusto. Ma ovviamente così non può essere. In realtà qui Adonai, dato che la donna, per rinnegare il ruolo di genitore di Abramo dice di aver avuto il bambino da dio, ecco allora che si prende le sue “responsabilità di padre” per ristabilire equilibrio fra i fratelli e cercare che essi instaurino fra loro un vero rapporto: • Accettando il dono di Abele, fa sì che quest’ultimi si senta apprezzato e considerato per la prima volta in vita sua. • Non accettando il dono di Caino, cerca di porgli un limite in una vita senza limiti (a causa dell’amore illimitato della madre) > ponendo tal limite, spera che Caino trovo modo di parlare con suo fratello per la prima volta e che fra i due nasca un vero rapporti. Se così fosse, cioè se i due fratelli avessero cominciato un rapporto, ecco che Elohim sarebbe riuscito a liberare Caino dalla prigionia della madre e di aprire entrambi i fratelli ad avere rapporti con il mondo. Insomma non rimanere chiusi nella situazione malata che c’è stata fino adesso – perché Abele non si è mai sentito all’altezza per niente e 20 Caino incapace di staccarsi dall’unico suo rapporto, quello con la madre (se vogliamo, incestuoso). È come se Elohim, ponendo il limite, ora si sia posto fra caino e sua madre, per spezzare il rapporto soffocante. Caino viene così messo alla prova, una prova che assomiglia a quella dei genitori in eden: si tratta della prova di ogni umano, ovvero assumere un limite per aprirsi a dei rapporti in cui la vita potrà svilupparsi felicemente. Tuttavia, caino non riesce ad accettare questo limite e ottiene l’effetto contrario, ovvero non si apre a nessuna relazione faccia a faccia, anzi, il testo dice che diventa incapace di guardare avanti perché troppo bruciato interiormente e abbattuto (d’altronde non ha mai provato tutto ciò). Attagliato da questa sofferenza, caino è come murato in sé stesso, senza relazioni e senza prospettiva > quel che fa soffrire caino è la gelosia, una forma relazionale della bramosia > egli non sopporta la mancanza e il fatto che suo fratello goda di ciò che invece a lui manca. L’omicidio. Adonai però non lascia Caino solo nella sua sofferenza, ma comincia un dialogo con lui per farlo aprire > infatti egli non gli fa la paternale, ma gli porge delle domande che dovrebbero far scattare una risposta: “perché c’è un bruciore per te e perché la tua faccia è caduta? Non è forse, se farai bene, alzare? Ma se non farai bene, all’apertura, fallimento (peccato) è accovacciata e verso di te la sua avidità, ma tu, non la dominerai?”. Quindi dio cerca di farlo parlare, cerca di farlo parlare su ciò che lo addolora e gli suggerisce di alzare la testa, cioè di pensare di nuovo al futuro e guardare gli altri in faccia. Espone a caino un’alternativa: o fare bene o non fare bene > ciò sta a significare che la sua sofferenza non è un vincolo cieco, ma anzi, è per lui il luogo della scelta, di una responsabilità da prendere nei confronti di sé stesso, della propria vita. Non gli dice qual è la soluzione in modo implicito perché sarebbe così manterrebbe caino in un infantilismo. In tutto questo, spera che nasca un’amicizia fra lui e suo fratello, usando la parola (quella mite dominatrice). Ma se caino ascolta la propria sofferenza ed invidia, precipiterà nel fallimento, cadrà senza raggiungere ciò che aspira. Diventerà come un bestia accovacciata, un uomo murato dalla propria bramosia e gelosia – e si aprirà in maniera sbagliata al mondo, non riuscendo a esprimere emozioni, ecc.. al mondo esterno. La bestia accovacciata > la bestia è il serpente che è insito in caino sin dalla sua nascita, perché i suoi genitori lo hanno cresciuto nell’avidità e nella bramosia, nell’assenza infatti di relazioni. Da notare la simmetria fra il racconto precedente e questo: 1. “Verso il tuo uomo, la tua avidità e lui dominerà su di te” 2. (ora) “Verso di te la sua avidità (dell’animale) e tu dominerai in lui” Adonai sa che dentro a caino è cresciuto il serpente, ma ha fiducia ancora in lui e gli chiede se può dominare la bestia accovacciata in lui > insomma, anche se eredita il fallimento dei suoi genitori ed è stato segnato dalla loro avidità, che ha contaminato il suo rapporto con il desiderio, per dio, nulla è irreversibile e caino può ancora dominare il serpente che è in lui. La vera responsabilità di caino è dunque questa: non trasformare ciecamente il male che lo rode in effettiva violenza al di fuori di lui > ma sarà capace di dominare la bramosia instillata in lui fin dal suo concepimento e dalla sua nascita? È questa la sfida di caino: dominare l’animale per realizzare in sé l’immagine di dio – e dio, per farglielo capire, cerca di dialogarci, cerca di umanizzarlo > e come se non con la parola, che è proprio il potere dell’uomo che lo distingue dall’animale/dal serpente? 21 Ma a questo punto il narratore dice “Caino disse verso suo fratello Abele”, quindi anche se dio voleva far scattare un dialogo fra lui (dio) e caino, non c’è riuscito, ma sembra lo stesso buono il fatto che voglia parlare con suo fratello > ma ci parla davvero alla fine? No, perché il narratore riporta i 3 puntini vuoti (…) che significano che caino non gli ha detto niente, o comunque qualcosa di molto futile (infatti alcune versioni antiche riportano che gli disse “dai, andiamo al campo”), quindi non ci fu un vero dialogo fra loro. Una volta al campo, caino si erge e uccide > poiché non parla, viene fuori la sua aggressività, si esprime con l’aggressività piuttosto che con la parola > ed uccide il fratello: caino impone ad Abele quel che lui stesso ha subito, ovvero lo nega come soggetto, gli vieta di vivere. Il suo desiderio, contrastato nella sua sete di totalità, ma abbandonato a sé stesso, genera la violenza. Il geloso ha sempre la sensazione di essere la vittima innocente di un’ingiustizia e ne soffre. Vince l’inumano, vince la “bestia senza parole” – e come una bestia, uccide e poi dimentica: “non so dov’è mio fratello, sono forse il suo custode?” Conseguenze della violenza. Subito dopo l’omicidio, adonai torna a parlare con l’assassino, senza accusarlo né rimproverarlo – probabilmente perché sa che, in fondo, caino è una vittima. Quindi lo invita ancora una volta a parlare, ma caino si rifiuta – a quel punto gli chiede dov’è suo fratello e caino risponde in maniera violenta e nega la memoria dell’assassinio > risulta anche violento nei confronti di adonai, al quale rifiuta di dare ascolto. Il rifiuto di entrare in dialogo non ferma adonai, che inizia l’interrogatorio a caino esattamente come fece con eva: “che cosa hai fatto?” e di nuovo diventa il giudice di un processo. Egli sente le grida di Abele provenire dalla terra chiedere giustizia – e giustizia, in qualità di giudice, dev’essere fatta. A quel punto maledice caino. Ricorda: ogni processo cerca di combattere la violenza, far affiorare la verità e rendere giustizia attraverso la parola > il rimedio alla violenza umana, è la parola. La maledizione che colpisce caino ha la stessa formulazione di quella data al serpente: 1. Perché hai fatto questo maledetto tu, più di (serpente) 2. Che cosa hai fatto? Maledetto tu, lontano da (caino) Caino conosce la maledizione dell’animale che non ha saputo dominare dentro di lui. Ora, dal momento in cui l’humus, la terra, che coltivava prima ora è diventata infeconda, caino è costretto a smettere di essere sedentario e diventare un errante – per cercare posti dove sopravvivere. In tal modo spezza una volta per tutte quel legame asfissiante con sua madre e a cercare nuove relazioni umane. egli sarà quindi smarrito per terre che non conosce > ma questo smarrimento, il fatto di essere titubante, è una conseguenza all’aver perso suo fratello, la cui relazione invece lo avrebbe fortificato. Accusato e punito, caino reagisce dicendo “Tu oggi mi cacci…” e queste parole hanno molto significato: Caino si lamenta del peso del proprio senso di colpa e della sanzione divina (la sanzione è molto pesante da sopportare), ma al tempo stesso riconosce il suo grande crimine e afferma che la sua gravità non lascia sperare la clemenza (dice infatti che è troppo grave per essere perdonata). In tal modo, per la prima volta, si assume le responsabilità che prima rifiutava. Non è impossibile però che caino, sempre con quelle parole, cerchi di impietosire adonai: caino ha capito quanto bruta è stata la sua violenza e ora che deve lasciare il territorio rassicurante in cui ha vissuto fino adesso, ha paura di incontrare un violento come lui che lo ammazzi (come lui ha fatto con suo fratello) > e il signore 22 Lignaggio di Set Lignaggio di Caino Qenan (qynn) Qayin (qyn) Maalaleel (mhll’l) Mecuiael (mhy’l) Iared (yrd) irad Enoch (hanokh) Enoch Matusalemme Metusael Lamech lamech Il figlio di caino è omonimo di Enoch, che in questo racconto il narratore precisa che cammina con Dio; il nome di lamech, che semina violenza, è uguale al nome del padre di Noè. Che osservazioni ne possiamo trarre? Che i buoni non sono tutti da una parte come i cattivi non sono tutti da un’altra – in ogni stirpe umana ci sono dei santi e dei mascalzoni, dentro ognuno di noi c’è un po’ di caino e un po’ di set; ognuno eredita da lamerch il bruto e da enoch il fedele. Poi, due peronaggi nella genealogia di adamo ricevono un trattamento particolare: Enoch e Noè > enoch vive 365 anni, è quello che vive meno degli altri ma raggiunge una perfezione a cui nessuno dei suoi parenti è arrivato. Poi, invece di dire che enoch visse, come vorrebbe la formula fissa usata altrove, il narratore precisa che “andò e venne” con Dio e quando muore, non dice che muore (come tutti gli altri), ma dice che dio se lo prese > sembra quasi che questo andare di enoch sia simile al passeggiare da amico nel giardino di Elohim quando quest’ultimo cercava gli umani. Questo potrebbe voler dire che chi si incammina sulla via di Dio non conosce la morte. Parlando invece di noè, il suo nome potrebbe voler dire “questo ci consolerà del nostre fare e della pena delle nostre mani a causa dell’humus che adonai ha maledetto”. Noè infatti, dopo il diluvio universale, torna a coltivare l’humus – in particolare i vigneti per fare il vino. È forse questo un modo per suggerire che colui che cammina con dio rende fecondo anche il suolo maledetto, offrendo consolazione e conforto agli umani? La maledizione verrebbe forse in parte neutralizzata dall’accordo ritrovato con dio? Il diluvio. Ecco lo schema: prologo – corruzione della terra e decisione di distruggerla | transizione – noè e i suoi figli, nota genealogica a. Violenza e corruzione: decisione divina di distruggere la terra b. Istruzioni divine per la sopravvivenza nell’arca c. Ingresso nell’arca: ordine ed esecuzione d. Inizio del diluvio e ingresso nell’arca e. Il diluvio si scatena e semina caos e morte – “E Elohim si ricordò di noè…” e’. acquietamento della acque e prima fase di abbassamento delle acque d’ abbassamento graduale delle acque fino al prosciugamento della terra c’ uscita dall’arca: ordine ed esecuzione b’ istruzioni divine riguardo al rinnovo della vita a’ dio rinuncia alla violenza: non distruggerà più la terra transizione – noè e i suoi figli: nota genealogica epilogo – nuova corruzione e maledizione c’è distruzione fino a quando Elohim si ricorda - a quel punto, interrompe la distruzione e dà inizio al suo rinnovamento, che culmina nella promessa divina di non ricorrere mai più alla soluzione radicale del diluvio universale. 25 Le cause del diluvio. L’inizio del racconto è strano: si parla di figli de(gli) Elohim che si prendono le donne per loro e che la vita dell’uomo viene accorciata a 120 anni > come la donna fu ispirata dal serpente, questi esseri vedono, prendono e consumano, riproducendo un atteggiamento di bramosia nell’immenso disordine di relazioni fra gli umani. Infatti, ai loro occhi, le figlie sono come oggetti attraenti che possono essere posseduti in modo esclusivo. Il comportamento di questi esseri crea confusione tra la realtà terrestre e il divino (infatti all’inizio non capiamo se questi esseri che si prendono le donne siano degli esseri divini o degli uomini). Adonai interviene: ai suoi occhi, questi esseri sono veramente degli umani che si sono smarriti, quindi nega un loro qualsiasi statuto celeste. Questi figli degli Elohim sono probabilmente uomini potenti avvolti da un’aura divina, esseri che si credono di essere il padreterno e che agiscono con le donne considerandole semplici mortali. Per questo motivo, adonai dichiara che, malgrado la loro potenza, questi esseri non sono altro che umani fatti di carne. Egli pone allora il limite alla loro vita (che prima era molto più lunga) a 120 anni nella speranza che l’uomo si lasci trascinare meno dalla bramosia e che crei meno confusione nel mondo. Forse insomma, imparerà a non sciupare le proprie potenzialità e fare un uso più saggio della propria vita > adonai spera quindi che l’umano, in tal modo (ponendo un nuovo limite), torni al progetto iniziale, ovvero quello di compiersi ad immagine di adonai. Tuttavia, possiamo leggerla in un altro modo: sappiamo che la bramosia e il disordine portano alla morte, la quale effettivamente ora arriva prima (a 120 anni). Si parla poi dell’era dei Nefilim, cioè di questi esseri bramosi che sono dei giganti. Sappiamo che per i greci i giganti sono frutto di un’unione ibrida (hybris= orgoglio, prepotenza, violenza) fra persone sedicenti divide e le figlie dell’umanità. Questi giganti sono visti dagli uomini comuni come degli eroi valorosi e godono di una certa fama, quando in realtà non sono altro che dei mostri, cioè errori viventi che testimoniano la confusione nella quale la bramosia ha trascinato i loro padri. Quindi sembra che gli uomini approvino positivamente ciò che dio disapprova > e si capisce allora come in queste condizioni dio arrivi a constatare che “il molteplice è il male dell’umano in questa terra”, ovvero che la moltiplicazione degli umani corrisponde alla moltiplicazione del male e della disavventura. Il male si sta sempre più espandendo, sin da abramo, caino, lamech ecc.. di fronte a tutto questo, adonai comincia a rimpiangere di aver creato l’umanità e se ne addolora così tanto fino a volerla cancellare. Tuttavia c’è un uomo che adonai apprezza, infatti se na parla come un uomo giusto ed integro in mezzo ad una generazione completamente traviata, ovvero Noè. Quindi se prima avevamo: ed Elohim vide che quello che era fatto era molto bene, ora abbiamo un ed Elohim vide la terra ed ecco: distrutta! La distruzione, che apporta Elohim tramite il diluvio universale, è frutto della violenza. Si parla poi di distruzione di un cammino > per tradizione, il cammino corrisponde all’atteggiamento morale. dio non ha mai lasciato gli umani senza punti di riferimento per intraprendere il proprio cammino morale, anzi ha fatto sì che gli animali fossero vegetariani, ecc.. e anche quando l’uomo stava per commettere degli errori (intraprendere il cammino sbagliato), egli ha cercato di riportarlo sulla vecchia via – es. ha cercato di far comprendere a caino che dentro di lui vi era una bestia accovacciata. Ma l’animalità selvaggia interna all’uomo, dando ascolto alla bramosia/gelosia/invidia/possesso, ha avuto la meglio, l’uomo non è riuscito a canalizzare le proprie forze vitali per dominare il mondo in maniera mite e costruire un ordine > quindi adonai, che ha veramente cercato di contrastare la violenza, ora non ce la fa più e trova una soluzione radicale: cancellare tutto e ricominciare da zero. Da notare che dio non dice subito a noè a cosa serve l’arca, ma prima gli spiega per filo e per segno come la deve costruire, con tutti i vari scompartimenti e divisioni dove si possono mettere gli animali: egli sta forse descrivendo l’universo ordinato e diviso (la creazione infatti è stata una vera separazione) – contrariamente al caos creatosi nel mondo a causa della bramosia umana, all’interno dell’arca deve regnare l’ordine. E dio descrive al meglio quanto spazio ci dev’essere a disposizione di ciascun essere all’interno dell’arca. Egli di ordina poi di prendere tutto quello che può esser mangiato, quindi cibo vegetale sia per gli umani che per gli animali (come annunciato nel primo racconto della genesi). Pertanto nell’arca, gli animali tornano ad essere vegetariani. È come se l’arca fosse uno spazio di salvezza mentre tutto viene distrutto – nell’arca entra una coppia di ogni specie + per gli animali puri entreranno 7 paia > non viene detto chi sono questi animali puri. L’obbedienza di noè è chiaramente oggetto dell’insistenza dei narratore, il quale si dilunga nel descriverla 26 con precisione – dice che, anche mentre il diluvio si abbatte sulla terra, ascolta la voce di Elohim. Gli animali entrano a due a due, maschio e femmina > progetto di vita. Durante il diluvio, un elemento della creazione rimane, ovvero la successione del giorno e della notte > senza questo, il narratore non potrebbe seguire la cronologia della catastrofe che situa nell’anno dei 600 anni di noè – abbiamo poi, in tutto il racconto, cifre regolari che ricordano la prima pagina della genesi: • 7 giorni prima del diluvio • 40 giorni di diluvio sulla terra • Durante 150 giorni, le acque gonfiano • Dopo i 150 giorni, le acque cessano • 40 giorni di attesa • 7 giorni prima del secondo lancio della colomba • 7 giorni prima del terzo lancio Quando Elohim si ricorda di noè, fa passare un vento, mentre la violenza della acque scatenate si placa. Il diluvio era iniziato con l’apertura delle sorgenti dell’abisso e delle finestre del cielo – a seguito, tramite il vento mandato da Elohim, queste sorgenti si richiudono. Nella scena finale abbiamo il sacrificio di noè e la reazione divina: noè costruisce un altare e vi fa bruciare vivi le specie di ogni bestiame e volatile puro. Adonai sento l’odore delle carcasse che bruciano e capisce che è tutto finito > prometto di non maledire mai più l’humus a causa dell’umano, ma afferma che il male è ancora presente nell’umanità perché è in essa fin dalla sua giovinezza > egli cercherà quindi di portalo sulla retta via senza togliere la libertà all’umano (è il discorso che fa a noè e ai suoi figli subito dopo il sacrificio). L’alleanza con noè. La benedizione di Elohim verso noè e la sua famiglia è quasi la stessa che egli rivolse all’umano dopo la creazione: 1. Ed Elohim li benedisse e disse loro: fruttificate e moltiplicate e riempite la terra e sottomettetela. E dominate il pesce del mare e il volatile dei cieli e ogni vivente strisciante sulla terra, ecc.. 2. (ora) ed Elohim li benedisse e disse loro: fruttificate e moltiplicate e riempite la terra. Timore di voi e terrore di voi saranno su ogni vivente della terra e su ogni volatile dei cieli, in tutto quello che striscia sull’humus e in tutti i pesci del mare. Nella vostra mano sono dati. Ecc.. Quindi Elohim pronuncia la stessa parola di vita, l’ampia fecondità e un possibile sviluppo pieno e felice > tuttavia cambia qualcosa: l’umano ispirerà timore e terrore agli animali, che saranno soggetti al suo dominio e alla sua violenza > quindi l’uomo inizia ad essere onnivoro e può mangiare gli animali > questo perché, nonostante tutti i tentativi, dio non è riuscito a far placare la violenza interiore dell’uomo, quindi ora cerca di accettarla ma di porle un limite: la violenza/l’animalità dell’uomo si può esprimere solo con l’uccisione di un animale che deve mangiare – e qui un secondo limite: l’uomo si ciberà della sua carne ma non del sangue dell’animale. Infatti, nella cultura ebraica, il sangue è il costituente vitale di ogni creatura, quindi sarebbe troppo violento bere la vitalità di un animale. In questo modo, spera di poter contenere una volta per tutte l’animalità/la violenza dell’uomo > tuttavia, verso la fine, capiamo che adonai ha ancora speranza nel vedere il progetto compiuto: se da una parte concede l’esercizio della violenza all’uomo, egli promette a noè di non usarla mai più (no diluvi universali) > quindi implicitamente sta cercando di dire a noè e alla sua famiglia: tu puoi utilizzare la violenza ed io no – ma se tu capisci che quindi, come me, è meglio non usarla, vuol dire che ti stai avvicinando a me e che stai iniziando a camminare nella direzione moralmente corretta per assomigliarmi. Infine, riprendendo la storia del sangue, adonai dice questa frase: chi sparge il sangue dell’umano// dall’umano il suo sangue verrà sparso > sembra quando un proverbio, che possiamo interpretare in due modi: 27 malta (più consistente ma anche più difficile da trovare) > insomma, è più facile costruire un muro di mattoni e bitume. I materiali scelti riflettono il modo di essere dei costruttori, i quali si iscrivono in una società senza alterità, formando un blocco compatto come il muro di mattoni. A questo punto il narratore continua e i personaggi rivelano che stanno costruendo una città ed una torre la cui testa è nei cieli > la costruzione della città non ha solo una dimensione urbanistica, ma soprattutto politica: è il progetto di una società, di un’organizzazione comune > in questo ambito, la torre è un punto sì di riferimento visibile (come detto prima), ma si tratta anche di un luogo d’incontro per gli umani e i loro dei. Ma la torre può anche indicare un’acropoli. O ancora, la torre è un segno di potenza affermata o della volontà di difesa rispetto all’esterno. E qui ritorna: sembra che le persona che la stanno costruendo, abbiano scelto la schiavitù per loro stesse e che hanno probabilmente un padrone – infatti, la parola testa rimanda a capo, capo politico (Nimrod il cacciatore ed eroe virile). Tutto ciò viene poi confermato dalla frase “che facciamo per noi un nome” > nel linguaggio biblico, fare un nome a qualcuno, vuol dire mettere sul trono qualcuno – quindi l’espressione ha di mira l’instaurazione della fame, della gloria di un re + l’unificazione del popolo intorno alla città/capitale, che diventa così il cuore di un potere centralizzato. Le persone che stanno costruendo la città e la torre si propongono quindi di rientrare nei ranghi per formare una massa uniforme di schiavi volontari sottomessi ad un re, del quale assicureranno reputazione e gloria > ma perché questo desiderio? Basta ascoltare le ultime parole del loro discorso “per timore di essere dispersi sulla faccia di tutta la terra”, quindi essi hanno paura di esporsi al rischio della dispersione e della fragilità che essa comporta. A questo rischio, preferiscono la schiavitù all’ombra di Nimord, guerriero leggendario di cui si sa che non è privo di argomenti per proteggere i suoi sudditi. Sotto costui però, essendo un guerriero cacciatore, instaurerà un regno di potenza arrogante centralizzato intorno alla città di babilonia (la capitale). Dio non può star fermo davanti a tale progetto politico e, percependo la minaccia, separa questa unità di uomini mandando ciascuno in un lato diverso della terra > e così inizia la dispersione e la nascita delle diverse nazioni. L’intervento di adonai. La creazione di adonai, fin al primo racconto della genesi, consiste nel distinguere e separare, in modo che si costruisca un’armoniosa ricca diversità, grazie anche ai legami di alleanza che rispettano le differenze. Quindi è la diversità ad essere essenziale per la vita > si capisce quindi perché adonai cerca di ostacolare il processo di unificazione, di d-creazione, di un progetto che avrebbe portato morte. Adonai dice poi, fra sé e sé: se questo è proprio quel che iniziano a fare, adesso, niente sarà impossibile di tutto quello che mediteranno di fare > niente infatti è impossibile al totalitarismo generato dalla paura della differenziazione e dal desiderio di uniformità, come anche dalla volontà di potenza del principe portato al potere da questa paura. Adonai non vuole questo, al contrario, desidera delle alleanza portatrici di vita > questa unità indistinguibile venutasi a creare, non è una vera alleanza. Quindi, per prima cosa adonai confonde il linguaggio usato dai costruttori, in modo che non si capiscano mentre lavorano allo stesso progetto – in questo modo, comincia a porre delle differenze fra quegli umani che hanno sacrificato un “noi” totalitario e gli umani cominceranno a capire che fra di loro non c’è un’uniformità, ma che c’è anche una loro singolarità. Il colpo di grazia è dato poi dal fatto che disperde gli umani sulla faccia della terra, mettendo una volta per tutte a termine il progetto totalitario > questa dispersione dell’umanità, che va di pari passo con la moltiplicazione delle lingue, sembra a prima vista negare il valore dell’unità, mentre spezza un desiderio di per sé legittimo degli umani. Ma osservando le cose con maggiore attenzione, in realtà adonai offre una nuova possibilità agli abitanti di babilonia, dato che consacra le differenze come indispensabili per la loro vita e il loro felice sviluppo. Quindi, lungi dal privarli dell’unità che desiderano, non fa altro che impedire loro di prendere una scorciatoia che li porterebbe a negare il valore che vogliono raggiungere, oppure a pervertirlo in un’uniformità riduttrice e soffocante. Adonai ha fatto esattamente come quando ha cacciato Adamo ed Eva dal giardino di eden. Non si tratta di un dio geloso che vuole impedire agli umani che questi lo caccino dal suo trono, ma si tratta di un dio appassionato alla vita e alla libertà degli uomini, che si prende cura di ostacolare qualsiasi deriva totalitaria che potrebbe minacciare questi valori insostituibili. L’uniformità (di babilonia) ha sempre 2 aspetti: da un lato, la vittoria della logica dell’uno solo, 30 mentre dall’altro l’adesione degli altri o la loro abdicazione > ma questo tipo di unità è un viclo cieco per l’umanità ed è contraria al desiderio del creatore. DA SEM A TERACH E I SUOI Genealogia di Sem. la lista dei discendenti di Sem fanno da transizione fra Babilonia e l’inizio del ciclo di Abramo. Come la genealogia di Adamo, la lista dei discendenti di Sem è composta da 10 generazioni e si conclude, come in quella di Noè, con i nomi dei 3 figli di Terakh: Abramo, Nakhor e Haran. Nella lista dei nomi discendenti da Sem, compare Peleg (che avevamo già incontrato) e casualmente dopo di lui la longevità della vita si abbassa (perché si diceva che con lui veniva divisa la terra). Terach e la sua famiglia. Come detto, terach ha 3 figli; abramo, nakhor e haran > si dice che: Haran fece generare Lot/ e morì Aran contro la faccia di Terach, suo padre. Cioè sembra che suo padre, ovvero Terach non voleva che suo figlio Haran diventasse padre, infatti appena costui lo diventa (e nasce Lot), egli muore (quasi, quindi per causa di suo padre Terach). Poi, nakhor decide di sposare una donna nata all’interno del suo parentado, mentre Abramo sceglie una donna che non proviene dalla sua famiglia, Sarai, che perà è sterile > quasi a dire che non vuol morire in caso abbia un figlio, come è successo a suo fratello. Colpito comunque da queste sventure, ovvero dalla morte del figlio e dal fatto che l’altro figlio non gli darà nipoti, Terach PRENDE: • Abramo suo figlio • Lot, figlio di Haran (quindi figlio di suo figlio) – che è quindi rimasto orfano • Sarai sua nuora (moglie di Abramo, suo figlio) E decide di portarli via da quel luogo che lui reputa maledetto, ovvero Ur Cadim – dove Abramo ci è nato e cresciuto. Ora, si pensa che Terach sia uno di quei costruttori di Babilonia dispersi dalla parola di Adonai – e che proprio lui abbia poi fondato la città di Ur Cadim. Terach decide di trasferirsi nella terra di Canaan, quindi del figlio di Noè maledetto. Tuttavia, ad un certo punto si fermano molto prima di raggiungere la meta e si accampano. Che cosa significa tutto questo? È tornata la bramosia: terach non voleva che suo figlio diventasse padre, probabilmente per paura di diventare un secondo/ cioè di non essere più così importante all’interno della famiglia e il verbo PRENDERE significa quasi che, anche per il loro bene, terach costringe i tre (abramo, lot e sarai) a spostarsi dalla terra natia. Abramo è per così dire paralizzato dalla figura del padre e forse lo capiamo anche dal fatto che sceglie una donna sterile per non volere diventar padre. Il fatto che sceglie la terra di Canaan, significa che, anche con la buona volontà, terach sta camminando nelle tenebre > perché c’è stato un lutto a Ur Cardim, ma comunque la bramosia ancora regna in lui, infatti si sta trasferendo nel posto di uno dei figli maledetti di Noè > probabilmente il fatto che si fermano è volere di Adonai, che li vuole salvare dalla morte che comporta sempre la bramosia. L’appello di Abram. A questo punto Adonai si rivolge ad Abramo: vattene dalla tua terra e dal tuo parto, dalla casa di tuo padre, verso a terra che ti farò vedere io, affinché io ti faccia in grande nazione e che benedica te e tutto il popolo che ti seguirà – e maledirò invece coloro che ti disprezzeranno. Adonai vuole quindi che abramo spezzi completamente/radicalmente con il padre e con la terra natia > gli sta chiedendo infatti di lasciare i propri possedimenti (bramosia) e ciò che conosce (conoscenza che ritorna), infatti dice la TUA terra, per qualcosa che non conosce > abramo quindi deve avere fiducia in adonai e seguire le sue parole, insomma, al contrario di quanto fecero adamo, eva e caino. Si deve fidare ed in cambi avrà la benedizione, quindi una vita felice e dell’humus fertile – e così anche il suo popolo. Quindi dio, anche dopo babilonia, non ha rinunciato all’unione degli esseri umani – ma le relazioni da loro instaurate devono essere sane, che rispettino le differenze e che rispettose del cammino morale che gli uomini devono intraprendere. Adonai spera che abramo sia uno di quegli uomini che aiuteranno l’umanità a compiere la missione, ovvero diventare ad immagine e somiglianza di dio seguendo le sue parole con totale fiducia. Lasciando la propria terra madre infatti, un po’ come caino, abramo si aprirà a nuove relazioni (e non soffocanti come quella con 31 il padre > altro elemento in comune con caino) e così nascerà una nazione in cui le differenze sono in armonia fra loro e moralmente giuste. Abramo, a differenza di caino, ha fiducia in adonai e segue la sua parola. 32