Scarica Ambrosini Sociologia delle migrazioni e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! RIASSUNTO DEL M. Ambrosini Sociologia delle migrazioni, seconda ed. il Mulino, Bologna, 2011 SOCIOLOIA DELLE IMGRAZIONI INTRODUZIONE: • INTEGRAZIONE = intesa come un integrazione positiva, basata sulla parità di trattamento e sull’apertura reciproca tra società ricevente e cittadini immigrati. [divenire una parte accettata della società] • INTERAZIONE = intende porre l’accento sulla pari dignità delle culture . CAPITOLO 1 MIGRAZIONI E MIGRANTI: 1. l’oggetto di studio e le sue caratteristiche • le migrazioni possono essere viste come una forma di mobilità territoriale della specie umana, soprattutto volontaria. (mosè e gli ebrei verso la terra promessa) • una tipologia particolare di migrante è quella del rifugiato • MIGRANTE (definizione proposta dalle nazioni unite) = una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno • La definizione include 3 elementi : A) l’attraversamento di un confine nazionale e lo spostamento in un altro paese. B) il fatto che questo paese sia diverso da quello in qui il soggetto è nato o ha vissuto abitualmente nel periodo precedente il trasferimento. C) una permanenza prolungata nel nuovo paese. (almeno un anno) • N.b. questa definizione non tiene conto delle migrazioni interne, né degli spostamenti di durata inferiore a un anno, né di diverse visioni giuridiche di chi siano gli immigrati e i cittadini. • Difficoltà di individuare con precisione chi siano gli immigrati • Nel l linguaggio comune immigrato/extracomunitario ( non appartenente all’unione europea) implica una implicita valenza peggiorativa ( consideriamo questi paesi come poveri) • I progressivi allargamenti dell’ UE e lo sviluppo economico hanno avvicinato le condizioni di vita di questi paesi a quelle dei partner europei. • “la ricchezza sbianca” = • • Immigrato doppia alterità: una nazionalità straniera e stato di povertà. • Le migrazioni vanno inquadrate come processi, in quanto dotate di una dinamica evolutiva che comporta una serie di adattamenti e di modificazioni nel tempo, e come sistemi di relazioni che riguardano le aree di partenza, quelle di transito e quelle di destinazione, coinvolgendo una pluralità di attori e istuzioni. • EMIGRAZIONE (emigrante) V.S. IMMIGRAZIONE ( immigrato) • Negli ultimi anni si è sviluppata una visione transnazionale che si sforza di tener conto sia del luogo di provenienza sia del luogo di partenza. • MIGRAZIONI INTERNE = spostamenti da una regione all’altra dello stesso paese. • Questa tipologia di migrazione presenta aspetti simili alle migrazioni internazionali ( i migranti possono essere percepiti come diversi) e aspetti diversi ( gli immigrati interni sono cittadini, hanno diritto di voto e • di accesso ai benefici spettanti ai residenti.) • Migrazioni = costruzioni sociali complesse in cui agiscono 3 principali gruppi di attori: 1. Le società di origine ( con la loro capacità di offrire benessere libertà e diritti ai propri cittadini e con politiche più o meno favorevoli all’espatrio per ragioni di lavoro da parte della popolazione). 2. Migranti attuali e potenziali (con le loro aspirazioni, progetti e legami sociali) 3. Società riceventi ( sotto il duplice profilo della domanda di lavoro di importazione e delle modalità di accoglienza, istituzionale e non, dei nuovi arrivati.) • La formazione di minoranze etniche riflette questa interazione tra dinamiche autopropulsive delle popolazioni immigrate e processi di inclusione da parte delle società riceventi • Minoranze etniche = 1) sono gruppi subordinati all’interno di società complesse 2) presentano aspetti fisici o culturali soggetti a valutazione negativa … 3) acquistano un autocoscienza di gruppo (medesima lingua,cultura,storia) 4) possono trasmettere alle generazioni future le loro tradizioni • Dopo la seconda guerra mondiale le migrazioni sono aumentate in volume e destinazioni • ES: dal 1960 al 2000 le stime disponibili mostrano un aumento della popolazione migrante da 76 a 175 milioni circa. • Non esiste una soglia statistica al di là della quale l’immigrazione risulterebbe ingovernabile • Un aspetto importante delle migrazioni contemporanee è il superamento dell’identificazione dell’ immigrato soltanto con la figura del lavoratore manuale, generalmente maschio, inizialmente solo. • Si cominciano quindi a distinguere diversi tipi di immigrato: 1. Immigrati per lavoro : ( caso particolare della donna: “doppia discriminazione” xkè donne, xkè immigrate. 2. Immigrati stagionali o lavoratori a contratto = in alcuni paesi sono sottoposti ad una regolamentazione ben precisa, che ne autorizza l’ingresso per periodi limitati. ( es: lavoro stagionale in agricoltura) questo tipo di immigrazione, riclassificata con il nome di “migrazione circolare” e tende ad essere preferita dalle politiche governative. 3. Terza fase = l’immigrazione comincia a stabilizzarsi = diminuisce la popolazione attiva. Nel frattempo partono nuovi emigranti dalle aree meno sviluppate del paese d’origine [iniziando nuovamente dai giovani maschi celibi, ma dotati di livelli di qualificazione mediamente più bassi dei precedenti. 4. Quarta fase = l’immigrazione giunge a maturità. La permanenza si allunga aumentando i ricongiungimenti familiari. Sorgono a poco a poco istituzioni etniche. Il soggiorno, inizialmente concepito come temporaneo, tende a prolungarsi e spesso diventa permanente. • Le critiche a questo schema riguardano la sua rigidità (si concentra sull’immigrazione per lavoro di manodopera salariata non si concentra abbastanza su altri tipi di flussi, come quelli dei rifugiati.) • Una altro modello è stato proposto da castles e miller. ( + sensibile di quello precedente all’azione delle reti sociali): 1. Primo stadio = migrazioni temporanee per lavoro da parte di giovani con l’invio dei guadagni in patria e un orientamento protratto verso il luogo di origine. 2. Secondo stadio = prolungamento del soggiorno e sviluppo di reti sociali, basate sulla parentela e sulla provenienza, motivate dal bisogno di aiuto reciproco nel nuovo contesto. 3. Terzo stadio = ricongiungimento familiare, coscienza crescente di un insediamento di lungo termine, progressivo orientamento verso la società ricevente, emergere di comunità etniche con le proprie istituzioni. 4. Quarto stadio = insediamento permanente che, in relazione alle politiche pubbliche e ai comportamenti sociali della popolazione nativa, può condurre sia a uno status legale consolidato e d eventualmente all’acquisto della cittadinanza, sia alla marginalizzazione socioeconomica e alla formazione di minoranze etrniche. • Un terzo approccio porta al concetto di “ ciclo migratorio” (3 momenti): 1. Marginalità salariale = condizione di lavoro dipendente e inserimento nella classe operaia (lavoratore straniero) 2. Seconda fase = compresa tra i 5 e i 15 anni dal momento dell’arrivo, in cui avvengono nuovi ingressi. Quindi l’immigrazione sviluppa una funzione demografica, compaiono così nuovi attori. 3. Un terzo momento = la popolazione di origine si stabilizza, le parti in causa sono chiamate a sviluppare processi di reciproca coinclusione ( considerare gli altri come elementi significativi dell’ambiente in cui si trovano.) • Anche in quest’ultimo approccio le migrazioni per lavoro rappresentano il momento iniziale, e le donne entrano in scena solo in un secondo momento, in relazione ai ricongiungimenti familiari. • progressivo radicamento nelle società riceventi. CAP 2 ALLA RICERCA DELLE CAUSE: • Lo sforzo di spiegare le migrazioni costruendo modelli teorici è piuttosto recente: seconda metà del novecento. • La visione dei fenomeni migratori più diffusa è quella che li connette con cause strutturali operanti a livello mondiale e in modo particolare nei paesi di provenienza: la povertà; la mancanza di lavoro; la sovrappopolazione. • A questa visione i demografi hanno dato una forma teorica attraverso la distinzione tra fattori di spinta ( push factor) e fattori di attrazione ( pull factors) • Si distinguono due fasi storiche: 1. Periodo a cavallo tra 800 900. Nel quale prevalevano i fattori di attrazione ( da parte di sistemi economici più sviluppati). 2. Fase attuale. Nella quale prevalgono i fattori di spinta. ( i migranti oggi si muoverebbero principalmente per effetto della forza dei fattori espulsivi operanti nei luoghi di origine.) • Mediante concetti come quello di “ pressione migratoria”, arrivano alla conclusione che un travaso di popolazione dalla sponda sud verso la sponda nord del mediterraneo è la conseguenza logica degli squilibri che si verificano. • Teoria neomarxista della dipendenza = le migrazioni per lavoro discendono dalle disuguaglianze geografiche nei processi di sviluppo, indotte dalle relazioni coloniali e neocoloniali che riproducono lo sfruttamento del terzo mondo attraverso rapporti di scambio ineguali. • Brain drain = “ drenaggio” dei soggetti più attivi ed istruiti • Teorie del sistema mondo ( wallerstein) = la crescente globalizzazione delle comunicazioni e degli scambi incrementa i legami tra diverse aree del pianeta. • Wallerstein ha ripreso l’idea della divisione internazionale del lavoro e degli scambi ineguali, classificando i paesi in base al loro grado di dipendenza dalla dominazione capitalistica occidentale. Le migrazioni vengono viste quindi come un effetto della dominazione esercitata dai paesi del centro su quelli della periferia dello sviluppo capitalistico. • A partire da considerazioni analoghe, diversi studiosi della globalizzazione hanno posto in rilievo la contraddizione tra libera circolazione di capitali, delle merci, delle informazioni e la chiusura delle frontiere rispetto alla mobilità dei lavoratori. • Alla prospettiva sistema mondo si collega anche l’idea secondo cui le migrazioni, in particolare per lavoro, si caratterizzano come processi di costruzione e incessante rielaborazione di relazioni tra aree di origine e aree di destinazione dei flussi. • TEORIA SISTEMICA DELLE MIGRAZIONI = le migrazioni sono collocate nel contesto degli scambi e dei rapporti di varia natura ( economica, politica, culturale,linguistica) che legano i paesi e le aree geografiche. • “ sistema migratorio” = sottolinea che le migrazioni sono solo una delle componenti dei sistemi di legami che pongono in relazione paesi diversi, e andrebbero sempre analizzate nel contesto complessivo in cui sono collocate. • In altri termini: LE PERSONE EMIGRANO DA UN CERTO PAESE VERSO UN ALTRO, PERCHè TRAI DUE ESISTE Già UNA SERIE DI LEGAMI. (pg38) • A queste letture del fenomeno si può obiettare che le migrazioni sono certamente legate a differenze economiche profonde tra aree di partenza e aree di destinazione; ma questo fattore, benchè influente, non è tuttavia sufficiente a produrre movimenti di popolazione da un paese all’altro. È contestabile in modo particolare il legame diretto tra povertà e migrazioni. [ i poveri solitamente arrivano non dai paesi più poveri ma da quelli mediamente poveri] • [per esempio nel caso italiano le componenti maggiori componenti di immigrati arrivano in ordine da: Romaia,Albania, Marocco • Gli immigrati inoltre non provengono generalmente dagli stati più poveri del paese d’origine ma semmai prevalentemente dalle classi medie. • Essere poveri e oppressi non basta occorrono risorse, conoscenze e capacità • Nelle visioni fino a qui analizzate i migranti rischiano di essere considerati soggetti passivi, • Lo schema Push-Pull (impiegato ancora in spesso in italia) enfatizza sui fattori di spinta ed è considerato insoddisfacente a livello internazionale. Non tiene conto della dimensione politico-istituzionale, con la regolazione stringente degli ingressi legali e il ruolo delle politiche di ammissione. • Le teorie macrosociologiche si rivelano invece utili per quanto riguarda il ricostruire gli scenari di fondo: ci danno un’idea sui contesti in cui è più probabile che le migrazioni avvengano e una prima indicizzazione circa la selezione circa la selezione l’ammissione dei collettivi di migranti. • Ci sono delle teorie che pongono al centro della spiegazione delle migrazioni la domanda di lavoro povero da parte dei sistemi economici dei paesi sviluppati. • Teoria marxiana dell’esercito industriale di riserva = l’ingresso nel mercato del lavoro di manodopera immigrata sarebbe voluto dal sistema capitalistico, nel momento in cui i lavoratori cominciano ad organizzarsi e ad avanzare rivendicazioni. In periodi di sviluppo in cui aumenta la domanda di manodopera. Se il numero di lavoratori che si propone sul mercato resta costante. Il loro potere contrattuale si innalza. • Per contrastare questo rischio i datori di lavoro possono favorire l’ingresso nel mercato di nuovi lavoratori, meno organizzati. • La mobilità geografica della manodopera ed eventualmente l’apertura delle frontiere sono il metodo più agevole e rapido per ampliare l’offerta di lavoro. • Ino ai giorni nostri i datori di lavoro sono favorevoli all’immigrazione di lavoratori soprattutto se regolari. • TEORIA DUALISTICA DEL MERCATO DEL LAVORO= [piore] collega il fabbisogno di manodopera con il funzionamento dei sistemi economici occidentali. In essi si produce una divaricazione tra la richiesta dei lavoratori in posizione di forza e l’instabilità di molte occupazioni che restano tuttavia ineliminabili. [es. lavoro agricolo stagionale, l’edilizia, il lavoro domestico, le attività del decentramento produttivo] • Per piore la necessità politico-sociale fi porre una parte della popolazione lavorativa al riparo dalle fluttuazioni del sistema capitalistico impone l’esigenza di scaricare un’altra componente del sistema e quindi su altri lavoratori, il peso delle incertezze. • Un’evoluzione della teoria dei network è rappresentata dall’approccio transnazionale ( la principale innovazione teorica degli ultimi decenni.) • TRANSNAZIONALIMSO = pone l’accento sui processi mediante i quali gli immigrati costruiscono relazioni sociali che connettono la loro società d’origine e di insediamento questo approccio cerca di considerare congiuntamente i due versanti dei flussi migratori, nelle loro relazioni reciproche e negli effetti di retroazione che le migrazioni comportano. • I movimenti migratori formano “campi sociali” attraverso le frontiere nazionali. • Le identità culturali fluide… • Propongono una nuova figura di migrante come attore sociale capace di iniziativa e promotore di mutamenti economici, culturali e sociali, e suggeriscono una visione in cui, se molti miranti continuano a mantenere un’appartenenza e a svolgere un ruolo attivo nei contesti d’origine, o vi fanno ritorno, altri si mobilitano e , approfittando dei molteplici legami instaurati, possono intraprendere a loro volta la strada dell’immigrazione. • Obiezioni alla teoria dei network: 1. L’idea di una fluidità nell’attraversamento dei confini risulta alla fine eccessiva e fuorviante, se confrontata con i comportamenti effettivi della grande maggioranza delle popolazioni migranti. 2. La realtà del grosso dell’immigrazione è quella di una progressiva integrazione nelle società riceventi, anche se spesso marginale e tormentata. 3. Secondo alcuni le teorie dei network sono più efficaci nello spiegare la direzione dei movimenti che il loro volume complessivo, e non riescono a chiarire che cosa esattamente succede nei network, in modo da indurre le persone a stare, muovere ritornare [faist] 4. Un altro limite è il funzionalismo implicito = le teorie dei network tendono infatti solitamente a enfatizzare le valenze positive delle reti sociali, trascurando la possibilità che producano effetti di intrappolamento in attività marginali, o addirittura devianti. • Alcuni hanno proposto un ampliamento della prospettiva dei network nel senso di una più ampia teoria delle istituzioni migratorie, le diverse strutture che mediano tra le aspirazioni individuali all’emigrazione e la concreta possibilità di trasferirsi all’estero per inserirsi nel sistema socio economico della società ricevente. • Si possono così individuare dei processi di strutturazione delle migrazioni, in cui azioni individuali si incontrano con le risorse fornite dalle istituzioni migratorie, contribuiscono a modificarle. • In seguito i lavoratori immigrati cercheranno di farsi seguire dalle famiglie, in tal modo favoriranno la nascita di appositi servizi legali o illegali. • istituzioni solidaristiche e umanitarie • advocacy coalition • una latro ampliamento delle teorie meso consiste nella costruzione di modelli articolati, in cui il livello intermedio è collocato tra quello macro e quello micro [ tentativo di Fast. 1. Livello macrostrutturale = fornisce opportunità strutturali in ambito politico, economico, culturale, 2. Livello meso o relazionale = in cui operano i network e si forma il capitale sociale di cui i migranti possono avvalersi 3. Livello micro o individuale = dove si enfatizzano i valori, le aspettative e le risorse degli attori. [ 5 incidenza e conseguenze inattese della regolazione formativa] • A un livello intermedio tra le scelte individuali o familiari e le grandi determinanti strutturali occorre collocare anche la grande regolazione statuale delle migrazioni, che esercita una specifica influenza selettiva sui flussi. • Potremmo parlare di un livello meso-macro, la cui scala normalmente coincide con l’ambito nazionale, in cui si producono le più importanti decisioni relative all’ingresso e al soggiorno degli immigrati. • Alcuni fenomeni rilevanti: 1. Nell’ambito dell’ UE si è inasprita la contrapposizione tra i cittadini dei paesi membri insigniti del diritto alla libera circolazione e i cittadini esterni, le cui possibilità di ingresso sono severamente disciplinate. 2. Le migrazioni autorizzate all’ingresso nei paesi poveri che hanno mantenuto la possibilità di immigrazione legale per motivi di lavoro si sono caratterizzate molto più marcatamente del passato come skilled migration ( migrazioni di lavoratori istruiti e professionalmente qualificati). 3. Sono stati indirettamente favoriti i flussi migratori non collegati in modo esplicito ai fabbisogni del mercato del lavoro, come quelli derivanti da ricongiungimenti familiari. 4. Dopo la chiusura delle frontiere nei confronti dell’immigrazione per lavoro, migrazioni progettate come temporanee o stagionali sono diventate permanenti. 5. I migranti sono andati alla ricerca di nuove destinazioni, dopo che le precedenti si erano chiuse, in tal modo , i paesi dell’Europa meridionale, dotati di legislazioni meno restrittive e miranti a favorire gli ingressi per ragioni turistiche, oltre che meno preparati istituzionalmente e caratterizzati da mercati del lavoro ambiguamente ricettivi, hanno cominciato a diventare mete rilevanti dei flussi migratori esterni, sostituendo in parte i tradizionali paesi riceventi dell’europa settentrionale. 6. Ora in Europa, nuovamente, sull’esempio tedesco, a un rilancio delle migrazioni temporanee o stagionali, ridefinite migrazioni circolari ( con l’intento non dichiarato di evitare l’insediamento stabile.) 7. Si è aggravato il fenomeno dell’immigrazione irregolare. 8. I provvedimenti di sanatoria, miranti a rimediare agli effetti perversi della chiusura ufficiale delle frontiere e della formazione di sacche di lavoro irregolare, esercitavano a loro volta effetti di retroazione sui flussi migratori, generando l’idea che una volta entrati in un paese sviluppato in un modo o nell’altro sarà possibile i seguito regolarizzare il proprio status 9. Il quadro istituzionale e anche il portato storico degli stati-nazione esercitano un influsso profondo sui fenomeni migratori anche in un altro senso, quando definiscono i criteri di appartenenza alla comunità nazionale di accesso allo status di cittadino. • Si può concludere che la regolazione nazionale dei movimenti migratori è una variabile influente nel mediare tra aspirazioni dei potenziali migranti e concrete possibilità di inserimento nei paesi sviluppati. • In definitiva per spiegare adeguatamente le migrazioni sempre necessario adottare un approccio multicasuale. • Il pensiero sociologico degli ultimi due decenni ha cercato di mostrare che i migranti non rispondono meccanicamente ai differenziali economici e occupazionali, non sono omogenei per orientamenti e motivazioni, e non prendono le decisioni nel medesimo contesto. • Di qui scaturisce un nuovo interesse per i processi decisionali • In questa prospettiva ha acquisito rilievo l’analisi dei network e delle istituzioni migratorie. • Se un enfasi è oggi posta sui migranti come agenti attivi, questo non avviene trascurando le forze economiche e sociali che condizionano e incanalano le azioni individuali • Una spiegazione soddisfacente delle cause delle migrazioni deve tener conto dell’intreccio ei fattori che le diverse teorie hanno posto in luce. CAP 3 PERCHE’ NE ABBIAMO BISOGNO: L’INSERIMENTO NEL MERCATO DEL LAVORO. • Il fabbisogno di manodopera è stato un fattore determinante per la promozione o almeno per l’accettazione dell’immigrazione nell’epoca dello sviluppo industriale. • Vari approcci: APPROCCIO LIBERALE E ASSIMILAZIONISTA • Sviluppato in america a partire dagli anni venti con la scuola di chicago • Punto di vista ottimistico • Concetto secondo cui l’avanzamento dei gruppi già arrivati da un certo tempo, e quindi in via di assimilazione, apre dei vuoti alla base della piramide occupazionale, che devono essere colmati da nuovi ingressi, in un incessante successione. • Un itinerario tipico vede attraverso le generazioni un’evoluzione dalla condizione di peddler (venditore ambulante) a quella di plumber (operaio qualificato) fino all’approdo nelle fila dei professionals • Concetto di assimilazione = un processo di interpretazione e fusione in cui persone e gruppi acquisiscono le memorie, i sentimenti e gli • Il capitale sociale = insieme dei contatti e rapporti interpersonali utilizzabili dagli individui per perseguire le proprie strategie di inserimento e promozione. • La nuova sociologia economica offre i contributi nell’analisi dei comportamenti dell’offerta di lavoro, valorizzando l’autonomia e la capacità di iniziativa dei migranti. • In questa prospettiva l’avvio d attività imprenditoriali da parte degli immigrati è stato analizzato come un prodotto di iniziative individuali e familiari favorite, incanalate e modellate dal capitale sociale rappresentato dalle relazioni interpersonali basate sulla comune appartenenza etnica. [2 le migrazioni nei sistemi produttivi contemporanei] • L’immigrazione è stata descritta in base alle seguenti caratteristiche: 1. Evoluzione improvvisa e spontanea dei flussi di ingresso a partire dalla metà degli anni settanta, che si incontra con l’impreparazione dei paesi riceventi ad assumere il loro nuovo ruolo di società ospitanti. 2. Grande diversità dei paesi d’origine, specialmente per quanto riguarda Italia e Spagna 3. Marcate asimmetrie di genere 4. Alta incidenza di forme di soggiorni irregolare. 5. Marginalità sociale della maggior parte dei gruppi immigrati, dovuta alla carenza di politiche di integrazione e alla formazione di stereotipi stigmatizzanti. 6. Concentrazione in occupazioni precarie, sottopagate e non desiderabili. • si può argomentare che nell’europa del sud una serie di trasformazioni dei sistemi occupazionali si sono saldate con strutture economiche tradizionali, come l’estesa e ramificata presenza del lavoro autonomi e delle piccolissime imprese. • Pugliese ha parlato di un “modello mediterraneo” di immigrazione. A riguardo facciamo due specificazioni: 1. Il lavoro degli immigrati in italia assume connotazioni diverse a seconda dei contesti locali 2. Le economie del nord europa sono tutt’altro che esenti da trasformazioni analoghe. • I lavori delle 5 p: pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzanti socialmente. • I fattori di richiamo sono oggi puntuali e circoscritti, si situano in un quadro complessivo contraddistinto, a livello aggregato, da un’eccedenza di offerta di lavoro disponibile, e sono la conseguenza di squilibri localizzati, a loro volta derivanti da crescenti processi di segmentazione territoriale e settoriale del mercato del lavoro. • Il paradosso del mercato del lavoro immigrato di questi anni è stato quello del contrasto tra la negazione ufficiale del fabbisogno di manodopera aggiuntiva e un utilizzo endemico e diffuso di questo lavoro in varie nicchie dell’economia informale, e negli ambiti più sgraditi e sacrificati dell’economia ufficiale. • Seguendo rea si può parlare di “due mani destre” degli stati occidentali con una hanno liberalizzato i mercati, favorito i processi di esternalizzazione. • In mancanza di politiche esplicite di reclutamento, ci pensano gli immigrati stessi, attraverso le reti di relazione che li collegano alla madrepatria, a promuovere l’arrivo di una nuova manodopera, disposta almeno inizialmente a inserirsi a qualunque condizione venga offerta. • Le caratteristiche istituzionali dei diversi paesi influenzano notevolmente i processi di incorporazione degli immigrati. • Il fatto degli statuti giuridici e i titoli di soggiorni degli immigrati sono sempre più diversificati. • Nel caso dei migranti in condizione irregolare: è stato introdotto in proposito il concetto di stratificazione civica • Le determinanti sociali della domanda di immigrazione. Un fattore esplicativo è quello demografico. • Un’offerta di lavoro più istruita del passato ha imparato a coltivare aspirazioni più elevate. • I sistemi di welfare e la protezione familiare, fornendo qualche forma di tutela a buona parte delle persone prive di occupazione, contribuiscono ad innalzarne la selettività e le aspettative. • Le visioni americane di una struttura “ a clessidra” del mercato del lavoro, diviso tra occupazioni ben remunerate e uno stuolo di lavoratori a basso reddito, con la scomparsa dei livelli intermedi, non sono trasferibili meccanicamente nel contesto europeo, in cui le classi medie restano numerose e ben radicate. • Le fabbriche inoltre sono cambiate, sono soggette a processi di decentramento molto spinti, con l’organizzazione di catene di subfornitura di vari componenti, mentre all’interno molte attività sono soggette a processi di “terzizzazione”, ossia affidate a fornitori esterni, spesso posti in concorrenza tra loro. • Le critiche si concentrano sul crescente dualismo e la divisione sistematica della forza lavoro nelle imprese lean and mean (snelle e grette) • Molto più difficile l’eliminazione del lavoro manuale povero in altri ambiti occupazionali. • “la precarizzazione del lavoro e la crescita del lavoro immigrato illegale sono caratteristici attributi delle città globali”. • L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento della domanda di lavoro di cura. [3 il caso italiano] • L’italia si è trasformata da paese di emigranti in meta dei flussi migratori. • In certi casi il ricorso agli immigrati permette di mantenere in Italia produzioni che scomparirebbero o verrebbero delocalizzate • L’immigrazione è diventata una componente imprescindibile per il funzionamento di diversi settori: 1. Una struttura industriale ancora consistente, ma basata in larga misura su piccole e medie imprese, ( operanti spesso in settori dell’industria leggera che in altri paesi sviluppati hanno subito un declino) 2. Edilizia, servizi turistici e alberghieri, raccolta di prodotti agricoli 3. Attività del settore terziario 4. Le donne immigrate che vengono assunte come domestiche o per assistere gli anziani. • La disoccupazione italiana ha una composizione sociale che l’ha resa di fatto fino ad ora sopportabile. • La domanda di lavoro immigrato affonda le sue radici in alcune caratteristiche profonde della società italiana. Il lavoro immigrato può essere considerato incorporato (embedded) nella società italiana e ne svela alcuni aspetti peculiari. • La regola generale: operaio generico per gli uomini, collaboratrice familiare per le donne. [4 una pluralità di modelli territoriali] altre opportunità di lavoro a disposizione o che evadono dagli obblighi amministrativi e fiscali. In Italia si esplica soprattutto attraverso il commercio ambulante abusivo o semiabusivo. Tale lavoro irregolare indipendente è finalizzato a un progetto di attività autonoma, in cui la situazione irregolare è concepita come una fase provvisoria, che dovrebbe portare ad un’impresa regolarmente operante sul mercato. 3. il lavoro coatto: Lavoro coatto in azienda: in questa categoria comprendiamo le prestazioni di lavoro dipendente a cui gli immigrati sono costretti, in genere da loro connazionali, a motivo dei debiti contratti al momento dell’ingresso in Italia e garantite dal ritiro del passaporto, o da altre forme di ricatto. La speranza fondamentale dell’immigrato è quella di poter estinguere il debito contratto e iniziare a guadagnare, fino a riuscire a mettersi in proprio. Lavoro coatto nella prostituzione: solo apparentemente questa attività è esercitata liberamente. In realtà, in genere dietro alla donna che si prostituisce c’è una rete di sfruttamento e di costrizione, che parte dal paese di origine e si organizza in Italia. Il funzionamento del mercato del lavoro immigrato La costruzione dell’incontro tra domanda di lavoro italiano e lavoro immigrato dipende dall’interazione tra disposizioni normative, fabbisogni e modalità di reclutamento da parte dei datori di lavoro, autorganizzazione dell’offerta attraverso reti di relazioni interpersonali, appoggio fornito da attori e istituzioni solidaristiche. La domanda di lavoro incontra l’offerta immigrata attraverso due canali:le reti informali create dagli stessi immigrati, e l’azione di istituzioni solidaristiche e servizi specializzati. Di matrice privato-sociale o pubblica che, intrattenendo vari rapporti con le reti sociali autoctone, favoriscono l’incontro tra domanda e offerta. Le disposizioni normative intervengono in questi scambi, favorendo, bloccando, selezionando le possibilità di ricorrere al lavoro immigrato. Ne consegue che il reclutamento avviene soprattutto attraverso conoscenze personali, a cui l’imprenditore si affida nella ricerca dei requisiti meta-professionali che gli interessano, come l’affidabilità, il senso di responsabilità, la dedizione al lavoro. Capitolo 4: Sul versante dei migranti le funzioni delle reti sociali LE SPECIALIZZAZIONI ETNICHE • specializzazione etnica = la concentrazione di lavoratori immigrati in determinati ambiti occupazionali. Scelta che è caratterizzata dai legami sociali che producono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, i rapporti interpersonali che diffondono informazioni sui posti disponibili o anche l’appoggio di amici e parenti. • Quasi sempre gli ambiti lavorativi in cui gli immigrati si inseriscono sono quelli in cui lavorano già dei connazionali. • Network o rete sociale = sono complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso i vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origine. • Si parla frequentemente di reti etniche per intendere le reti di persone che condividono una comune origine nazionale, come sinonimo di reti migratorie; • si parla poi di specializzazioni etniche quando le reti di connazionali si insediano in maniera significativa in una determinata nicchia del mercato del lavoro, determinando quell’associazione tra provenienza e lavoro svolto. • Nell’ambito americano ha avuto una certa diffusione il termine di “enclave etnica” = una peculiare concentrazione residenziale di una popolazione immigrata, capace di dar vita ad imprese e istituzioni proprie. (scuole, chiese, giornali, banche ecc) UN CASO DI COSTRUZIONE SOCIALE DEI PROCESSI ECONOMICI • Lo studio delle reti degli immigrati è quindi un modo privilegiato per osservare come le relazioni sociali intervengono a strutturare l’azione economica. • Nei contesti economici contemporanei l’influenza delle reti sociali svolge un ruolo determinante perché teoricamente le assunzioni operate attraverso le reti di contatti sociali riducono l’effetto del mercato nel realizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma allo stesso tempo, le reti riducono i costi della raccolta di informazioni da ambo i lati, accelerano la circolazione di notizie riguardo alle nuove opportunità espandono la conoscenza tacita condivisa dai compagni di lavoro, permettono scambi di favori che torneranno utili in futuro, forniscono garanzie a entrambe le parti circa il rispetto degli impegni assunti. • Ogni mercato del lavoro reale è quindi radicalmente segmentato, e ogni impresa ha un effettivo accesso soltanto ad una frazione dei lavoratori che in astratto potrebbero occupare i posti di lavoro offerti. • L’azione delle reti sociali costruite dai migranti è stata studiata in proposito come una delle più notevoli forme di costruzione sociale di processi economici • Attraverso un approccio interattivo e dinamico possiamo avanzare 3 ipotesi: A. L’azione delle reti migratorie volte a favorire l’inserimento al lavoro e l’insediamento sul territorio degli immigrati è tanto più importante quanto meno incide la regolazione pubblica e specialmente statuale B. Allargando lo sguardo alla prospettiva storica e alla comparazione internazionale, l’intervento di questi fattori sociali segue una specie di curva a U C. Un processo di inclusione degli immigrati affidato all’azione di forze di mercato, da un lato, e delle risorse delle reti , dall’altro, ha aspetti positivi, ma presenta anche rischi di ghettizzazione e di confinamento degli immigrati in nichhie occupazionali. • le reti si strutturano e operano a un livello semisommerso, particolaristico, frammentario. GLI ELEMENTI DISTINTIVI DELLE RETI MIGRATORIE • I tratti specifici delle reti migratorie, rispetto ad altre reti sociali, possono essere ricondotti a due aspetti: A. Reti concentrate ed esclusive al contrario degli autoctoni gli immigrati non frequentano diverse cerchie sociali; B. Presenza di legami forti sono basati su vincoli familiari o di stretta amicizia mentre sono assai più tenui i legami deboli come le conoscenze o le frequentazioni • Il capitale sociale (in questo caso definito “specializzato”) posto a loro disposizione dai reticoli a base familiare è infatti di solito alquanto specializzato ossia utilizzabile in ambiti ristretti. • Più precisamente il capitale sociale di solidarietà, che produce mutuo sostegno, è in molti casi cospicuo, mentre il capitale sociale di reciprocità, derivante dai rapporti che si formano al di fuori del gruppo di appartenenza e utile per perseguire la mobilità sociale, è carente. • Capitale sociale etnico = capitale sociale specifico, la cui utilizzabilità dipende dall’esistenza di una “comunità etnica” insediata nella società ricevente o di un network transnazionale • Questo tipo di capitale specifico risulta meno efficace del capitale generalizzato. • le reti sociali degli immigrati sono una combinazione di fragilità e di forza: si tratta di reti deboli perché sono formate da soggetti che nelle gerarchie sociali occupano una posizione subalterna e in molti casi hanno poche risorse 1. Dimensione della numerosità i gruppi troppo piccoli o troppo numerosi sembrano incontrare maggiori difficoltà nel formare reti etniche funzionali perché i primi rischiano di trovarsi dispersi e soli i secondi invece di non riuscire a conoscere e filtrare i connazionali immigrati e di dover far fronte a una moltiplicazione di domande di aiuto; 2. Dimensione della concentrazione ossia l’addensamento territoriale che condiziona la frequenza e l’intensità dei rapporti sociali tra i partecipanti. Occorre però distinguere la concentrazione spaziale (del luogo) e la concentrazione occupazionale( del settore lavorativo); 3. Dimensione della composizione che influenza la dotazione di risorse e quindi il capitale sociale che la rete può mettere a disposizione dei membri. Una rete formata da persone scarsamente istruite e neo arrivate e collocate nelle posizioni marginali del mercato del lavoro ha certamente una capacità di sostegno ben diversa da una rete formata da persone istruite da tempo insediate, collocate in posizioni vantaggiose del sistema economico ed in grado di esercitare un’influenza politica. 4. Dimensione della coesione interna ossia la forza dei legami che tengono insieme i partecipanti e li vincolano al sostegno reciproco; (la concentrazione occupazionale può essere effetto della coesione interna. I rapporti tra coesione e composizione sono più controversi: si osserva solitamente una tendenza alla fuoriuscita della rete o all’allentamento dei legami da parte dei soggetti che hanno conquistato posizioni migliori) 5. Dimensione della capacità di controllo sociale quando le reti fanno capo ad istituzioni dotate di autorevolezza morale e hanno leader riconosciuti essendo così capaci di influenzare i comportamenti dei membri. • ci sono poi alcuni fattori che influenzano le variabili sopracitate: 1. DISTANZA GEOGRAFICA = influenzano la coesione interna e la disponibilità al mutuo aiuto 2. FATTORE TEMPO = i gruppi arrivati prima tendono ad occupare gli spazi disponibili nel mercato del lavoro e ad attivare catene di richiamo a vantaggio dei connazionali, attuando strategie di chiusura nei confronti di altri gruppi di immigrati. 3. RICEZIONE SOCIETALE = l’azione della società ricevente, che si traduce in gradi diversi di accettazione sociale e di apertura, derivante dalle rappresentazioni delle collettività a base etnico-nazionale. LIMITI E RISORSE DELLE RETI MIGRATORIE • Le reti tendono a rafforzare la segregazione occupazionale, giacchè la sponsorizzazione di parenti e connazionali si riferisce alle nicchie di mercato in cui un gruppo è riuscito ad insediarsi. • Le reti, soprattutto quelle particolarmente coese, producono forme di controllo sociale che tengono a freno comportamenti devianti o socialmente disapprovati, ma esercitano anche una pressione di conformità che può condizionare la libertà individuale. • Un caso estremo è la formazione di reti devianti • Niche upgrading • Un contributo fornito dalle reti è quello nel mantenimento di riferimenti identitari, nell’alimentazione della diversità culturale, nell’organizzazione collettiva ed eventualmente nell’azione politica. Capitolo 5: Il Passaggio al lavoro indipendente IL VERSANTE DELL’OFFERTA DI LAVORO AUTONOMO Il ruolo storico delle minoranza intermediarie, ossia di gruppi etnici o religiosi affermati in società ad economia premoderna, come agenti di connessione, commerciali o creditizi, tra èlite e masse, può essere visto come una cerniera tra l’imprenditoria straniera che interessò alcuni dei padri fondatori della sociologia. Processi simili si ripropongono nelle società contemporanee: gruppi minoritari, socialmente marginali, esclusi da molte opportunità di vita migliore che spinti dal bisogno sviluppano una propensione al lavoro in proprio e alla micro-imprenditorialità. Se nell’America settentrionale il fenomeno ha tradizioni e dimensioni molto consistenti in Europa assume un importanza crescente, infatti il tasso di lavoro autonomo degli immigrati è cresciuto più di quello degli autoctoni. Anche in Italia il fenomeno sta cominciando ad acquisire una consistenza significativa anche se i valori registrati non danno ragione alle differenze. L’analisi di tali diversità e l’approfondimento delle ragioni della maggiore o minore partecipazione al lavoro autonomo degli immigrati ha diverse spiegazioni: • Spiegazioni di tipo culturale ovvero religiose, professionali, socioculturali di alcuni gruppi etnici che li renderebbero più propensi di altri alle attività commerciali e al lavoro autonomo (Cinesi) • per quanto riguarda l’etnicità, è sempre più condivisa l’idea che essa sia “fabbricata” a contatto con la società ricevente, più che importata e trapiantata integralmente dall’estero. • Spiegazione data dalla teoria dello svantaggio in cui la scelta del lavoro autonomo è data come risposta alle difficoltà di inserimento sociale e alla disoccupazione; • Le tradizionali nicchie di insediamento degli operatori economici immigrati sono sempre più minacciate dall’estensione della distribuzione moderna. • Sia dal versante dell’offerta che da quello della domanda provengono pressioni che conducono alla contrazione del fenomeno dell’ethnic business. • Spiegazione data dall’ipotesi della mobilità bloccata meno pessimista della teoria dello svantaggio ipotizza che gli immigrati tenderebbero a passare al lavoro indipendente perché nel mercato del lavoro dipendente e nelle organizzazioni gerarchiche non riescono ad avanzare in misura corrispondente alle loro credenziali educative; • Spiegazione dell’imprenditoria immigrata tipica di quei gruppi in cui il tasso di lavoratori autonomi supera nettamente quello della media della popolazione; • Spiegazione della successione ecologica ovvero la piccola borghesia impegnata in attività indipendenti non è in grado di autoriprodursi in misura sufficiente e sopravvive solo grazie al reclutamento di piccoli imprenditori di classi sociali più basse; • Spiegazione dell’economia di enclave sono aree in cui si realizza un’elevata concentrazione di imprese fondate e dirette da stranieri; • Spiegazione dell’integrazione fra la teoria culturale e quella dello svantaggio per cui il ruolo delle risorse etniche è fondamentale, infatti alcuni gruppi immigrati hanno sviluppato tassi di imprenditorialità più elevati della media perché hanno potuto disporre di particolari risorse, di cui la popolazione nativa mancava. IL VERSANTE DELLA DOMANDA E I TENTATIVI DI INTEGRAZIONE Da alcuni anni si rileva maggiore consapevolezza delle connessioni tra imprenditoria immigrata e sistemi economici delle società ospitanti. L’approfondimento della domanda di piccola imprenditoria, nelle sue interazioni con l’offerta di lavoro indipendente, si sta rilevando essenziale per comprendere le ragioni e le forme dello sviluppo di imprese etniche. Come abbiamo visto nelle metropoli rigenerate dalla globalizzazione economica, il lavoro ricco degli strati professionali privilegiati genera una diffusa domanda di lavoro povero, sia nei servizi alle imprese, sia nelle attività di manutenzione, sia nei servizi alle persone e alle unità familiari quindi questi sistemi economici manifestano l’esigenza di operatori in grado di organizzare il lavoro e di produrre in maniera efficiente i servizi richiesti. La penetrazione degli immigrati in questi ambiti è anche favorita dalla diminuzione di offerta imprenditoriale da parte dei nativi in cerca di occupazioni più sicure, gratificanti e socialmente considerate. È stata quindi avanzata per il caso Americano l’ipotesi di una tripartizione delle economie metropolitane: 1. Area Centrale composta da industrie ad alta intensità di capitale in cui proprietari e lavoratori sono per lo più i nativi; 2. Area Semiperiferica economie etniche promosse da gruppi specifici di immigrati; 3. Area Periferica in cui altri gruppi etnici, i più deboli o i nuovi arrivati competono alla ricerca di occupazioni dipendenti. Waldinger ha tentato di collegare in modo organico lo sviluppo dell’imprenditoria etnica tramite il modello della Struttura delle Opportunità in cui l’attività economica degli immigrati viene studiata come la conseguenza interattiva del perseguimento di opportunità attraverso una mobilitazione di risorse mediate dai reticoli in condizioni storiche uniche. Le analisi di Waldinger insistono sugli spazi di mercato in cui le imprese etniche si inseriscono, tipicamente il primo mercato si svilupperebbe proprio all’interno della comunità immigrata, ma essendo esso ristretto vi sarà una successiva spinta verso mercati più aperti. L’emergere dei nuovi arrivati come gruppo di rimpiazzo nelle attività indipendenti viene ricondotto a fattori socioculturali ovvero predisposizione al commercio o selezione di individui più preparati a correre rischi. Il punto chiave del contributo di Waldinger, quello dell’interazione tra opportunità offerte dai mercati e offerta di imprenditorialità da parte degli immigrati, è stato successivamente ripreso in cui vengono distinte le risorse etniche specifiche e le risorse etniche di utilità generale dove le prime forniscono a chi le possiede un vantaggio peculiare in un particolare contesto di mercato, e le seconde si • Operatori informali non registrati, inseriti in erti etniche, operanti ai margini dei mercati e delle attività formalizzate (muratori “in nero”, venditori ambulanti senza licenza). • Nuovi entranti personale che si inserisce in attività indipendenti, in genere dotato di una certa esperienza, cominciano spesso da attività faticose e poco redditizie. • Operatori indipendenti personale a capo di piccole imprese (tendenzialmente nelle costruzioni) • Imprenditori relativamente autonomi guidano imprese relativamente grandi e strutturate, in cui danno lavoro a collaboratori e dipendenti (tendenzialmente reclutati nelle reti parentali ed etniche) • Leader economici occupano le posizioni di vertice, hanno dipendenti e legami con imprese più piccole Inoltre è possibile analizzare diverse tipologie di attività economiche transnazionali: (tipologie di transnazionalismo imprenditoriale) • TRANSNAZIONALISMO CIRCOLATORIO = attività che comportano uno spostamento fisico frequente attraverso i confini. I casi limite sono quegli degli immigrati che partecipano a due diversi campi sociali, viaggiando avanti e indietro tra i due poli del movimento migratorio. • TRANSNAZIONALISMO CONNETTIVO = attività economiche che non implicano uno spostamento fisico degli operatori ma fanno viaggiare denaro e messaggi • TRANSNAZIONALISMO MERCANTILE = si genera attraverso le merci comprate e vendute • TRANSNAZIONALISMO SIMBOLICO = non importa merci, se non in modo accessorio, al fine di ricostruire atmosfere, ambienti, significati. N.B. il transnazionalismo commerciale e quello simbolico tendono a sovrapporsi e a confondersi: le merci comprate e vendute incorporano contenuti simbolici, e le attività simboliche richiedono spesso un supporto materiale che diventa oggetto di uno scambio commerciale. IMMIGRATI E LAVORO AUTONOMO: UN FENOMENO CHE SCOMPAGINA GLI SCHEMI Partendo da alcune riflessioni di portata generale si giunge alla necessità di considerare congiuntamente domanda, offerta e condizioni istituzionali per comprendere lo sviluppo di attività indipendenti nelle popolazioni immigrate. Un rischio ricorrente in alcuni testi è dato dall’enfasi sull’etnicità delle iniziative imprenditoriali prodotte da immigrati. Soprattutto se si colloca in una prospettiva europea, è possibile sottolineare che il passaggio dal lavoro autonomo non necessariamente avviene nell’ambito di comunità. È importante considerare l’influenza delle reti sociali sui comportamenti economici. Si riscontrano poi casi di ibridazione e ricomposizione tra retaggi culturali e pratiche sociali tradizionali con stimoli e stili di comportamento appresi nel nuovo ambiente delle società riceventi. CAP 6 DONNE MIGRANTI E FAMIGLIE TRANSNAZIONALI L’APPROCCIO DI GENERE NELLO STUDIO DELLE MIGRAZIONI: negli ultimi anni l’attenzione degli studiosi verso le migrazioni femminili è molto cresciuta. È aumentato il numero di donne che emigrano, e che emigrano da sole per diventare “breadwinner” procurando le risorse economiche necessarie per provvedere alla famiglia. Oggi si stima che nel mondo circa la metà dei migranti siano donne ( 49,6 % secondo l’organizzazione internazionale del lavoro). Si va così delineando un nuovo fenomeno denominato FEMMINILIZZAZIONE che porta ad un aumento del numero di donne nei processi di migrazione. In questo processo è cambiato anche lo sguardo dei ricercatori, grazie al contributo di alcune studiose che hanno proposto una prospettiva di genere negli studi sulle migrazioni. Nella prospettiva di genere, l’aspetto che ha maggiormente catalizzato l’attenzione degli studiosi è stato quello dei processi discriminatori di cui le donne migranti sono vittime. A riguardo si parla di DOPPIA/TRIPLA DISCRIMINAZIONE. ( in quanto donne, immigrate, nel caso peggiore si aggiunge la razza/classe differenti). Tutte le stratificazioni che si vengono a creare sono abbastanza mobili e fluide, variabili non solo da un paese all’altro, ma anche da una città all’altra. Le analisi centrate sui processi di discriminazione si collocano in genere, sotto il profilo teorico, nella prospettiva strutturalista, in quanto condividono l’orientamento a far discendere i comportamenti individuali da cause macro sociali e a vedere le persone come soggette a pressioni che le sovrastano e determinano il loro destino. IL LAVORO DI CURA: PROFILI PROFESSIONALI E COMPITI RICHIESTI L’impiego di donne immigrate in attività domestiche è sempre più comune nel mondo sviluppato. Si parla di “tendenza all’importazione di accudimento e amore dai paesi poveri verso quelli ricchi”. Le donne immigrate appaiono come la parte più accettata dell’universo dei migranti [clichè iperfunzionalistico]. Una domanda di lavoro femminile caratterizzata in campo domestico assistenziale si rivela molto congruente con il modello familistico di welfare, tipico del nostro come degli altri paesi mediterranei una simile architettura del welfare riflette un assetto sociale tradizionale, in cui gli uomini lavorano fuori casa, assumendo il ruolo di breadwinner, mentre le donne si occupano dei compiti afferenti alla sfera domestica. Ora questo assetto sembra svanire sempre più. Queste tipologie di occupazioni comportano una richiesta di coinvolgimento affettivo. Si distinguono TRE PROFILI PROFESSIONALI del lavoro domestico assistenziale: ASSISTENTE A DOMICILIO = fondamentale è la coresidenza. In questo segmento sono impiegate molte donne immigrate in condizione irregolare, per la convergenza di diversi fattori: la pesantezza delle condizioni occupazionali; perché la domanda interessa anziani e famiglie che non potrebbero permettersi di ricorrere a personale in regola. Tra gli aspetti positivi vi sono la possibilità di domicilio (avere una casa) e la possibilità di enfatizzare la dimensione sanitaria dell’attività svolta. COLLABORATRICE FAMILIARE FISSA = coresidente, in questo caso si varia dal contratto in regola a quello non in regola, è frequente anche in questo caso la domanda di coinvolgimento emotivo e relazionale. COLF A ORE = rappresenta spesso un’evoluzione dei primi due. Il vantaggio è quello di svincolarsi dalla convivenza, di acquisire autonomia personale, di poter organizzare una propria abitazione. Ciò implica una certa capacità di muoversi nella società ricevente. Per le immigrate che sono passate attraverso l’impiego fisso, il lavoro a ore rappresenta una sorta di “promozione orizzontale” essendo preclusi sbocchi più qualificati. Diminuisce la convenienza economica perché l’autonomia abitativa comporta costi maggiori. Allo stesso tempo il lavoro è spesso più faticoso fisicamente, dato che i compiti lasciati alla colf a ore sono normalmente quelli più gravosi. Approfondendo le differenze tra le donne impegnate nelle attività domestiche e di cura, in termini di condizioni biografiche, vincoli derivanti dalla distanza e dalla nazionalità orientamenti progettuali e risorse personali; si individuano i seguenti profili: PROFILO ESPLORATIVO Donne molto giovani Senza carichi familiari Occupate nel settore in modo casuale Interessate a riprendere gli studi e a partecipare alle forme di socialità dei coetanei. PROFILO UTILITARISTA Donne ( dai 45 in su) Provenienti specialmente dall’europa orientale Grazie a studi condotti in una prospettiva antropologica, sono stati posti in luce il protagonismo, lo spirito di iniziativa, la capacità strategica e progettuale delle donne che partecipano ai processi migratori. Si fa strada la possibilità che loro dimostrano di essere capaci di un’autonomia e di un’identità che non è quella del loro passato. PROTAGONISMO FEMMINILE In prospettiva storica e con riferimento ai contesti di emigrazione, è stato notato che le stesse migrazioni temporanee maschili comportavano un aumento di autonomia delle componenti femminili. Le migrazioni femminili sono più dipendenti da ragioni familiari di quelle maschili. (le rimesse rimandate in patria mostrano l’attaccamento verso i familiari). Nel legame tra donne migranti e famiglie si possono riflettere relazioni improntate a visioni patriarcali; ma , proprio il fatto di procurare le risorse necessarie al mantenimento innalza lo status delle donne migranti e ne aumenta il potere decisionale. Così le donne migranti diventano il perno delle strategie di MOBILITà SOCIALE. In alcuni casi l’emigrazione può essere conseguenza della rottura di un matrimonio ecc. in ogni caso per la donna migrante contiene un POTENZIALE EMANCIPATIVO. Nel mercato del lavoro, non sempre le donne immigrate sono penalizzate rispetto ai loro partner. Anzi, spesso accade che riescano ad accrescere il loro status attraverso l’ottenimento di un lavoro. Secondo certi aspetti delle migrazioni, sono proprio le donne , quando ne hanno possibilità, a gestire importanti funzioni di MEDIAZIONE CULTURALE, soprattutto sotto il profilo della conservazione di abitudini e rituali. (il trasferimento delle categorie culturali non è automatico,: rituali e categorie di appartenenza devono essere riadattati e ridefiniti. Anche nei rapporti con la società ospitante, le donne sono state viste come tessitrici di rapporti e promotrici di PROCESSI DI INTEGRAZIONE. Vari contributi recenti tentano di superare la dicotomia tra approcci strutturalisti (macro) e approcci basati sull’azione individuale e familiare (micro). L’attenzione rivolta alle reti migratorie come fattore di connessione tra livello micro e livello macro, e all’interno di esse al ruolo svolto dalle donne, tende a integrare le due prospettive. LE FAMIGLIE IN EMIGRAZIONE OLTRE GLI STEREOTIPI Un tema ricorrente riguarda il ruolo delle famiglie come protagoniste delle strategie di sopravvivenza e di accompagnamento nel processo di inserimento, di fornitura di risorse per l’avanzamento sociale, di luogo di protezione dell’integrità personale. La famiglia rappresenta un fattore di “normalizzazione” delle condizioni di vita dei migranti, che attraverso la formazione e la ricostruzione di una compagine familiare accrescono i rapporti con le istituzioni e con la società locale e assumono pratiche sociali e stili di vita più simili a quelli della popolazione autoctona. Molta della letteratura sull’argomento ha oscillato tra i due poli delle storie sventurate di “disorganizzazione sociale”, da un lato, e della nostalgia per tradizioni familiari idealizzate, dall’altro. La famiglia immigrata è stata vista come un luogo in cui si realizza un’INTERAZIONE DINAMICA tra dimensioni strutturali, aspetti culturali e scelte soggettive, e prende forma un’elaborazione culturale creativa. I vincoli strutturali e le condizioni in cui avviene l’insediamento nella società ricevente modellano le forme di adattamento delle strutture familiari. Di contro, codici culturali e simbolici che gli immigrati portano con sé dalla madrepatria continuano ad influenzare valori familiari, norme e comportamenti. Tre osservazioni pongono in discussione le visioni convenzionali delle migrazioni familiari: 1. Il CONCETTO DI FAMIGLIA che viene applicato agli immigrati è definito dai paesi riceventi. [l’oggetto “ famiglia immigrata” di cui discutiamo è quello definito, inquadrato e selezionato dalle nostre visioni. 2. Una maggiore cautela nell’associare la famiglia immigrata con assetti sociali e valori tradizionali, rispetto ai quali le società riceventi rappresentano il polo della modernità. 3. Viene posta in discussione l’idea che le donne siano costantemente sacrificate nelle migrazioni familiari e registrino un regresso generalizzato nelle condizioni di vita. Sotto questa particolare ottica gli immigrati sono soggetti ATTIVI nella definizione della vita familiare. Molti studi hanno mostrato che l’idea di una famiglia immigrata coesa e organizzata secondo modelli tradizionali rappresenta un’idealizzazione stereotipata. Si viene a delineare un processo che passa dalle famiglie tradizionali, nel paese di origine, alle famiglie sradicate e spezzate, alle famiglie ricostruite nella società ricevente. LE FAMIGLIE TRANSNAZIONALI: LA CENTRALITà DEL CARING Un aspetto emergente delle dinamiche familiari è quello delle “ FAMIGLIE TRANSNAZIONALI”, in cui i membri dell’unità familiare, in modo particolare gli adulti, vivono in paesi diversi rispetto ai figli. In questi casi i figli tendono a ricevere dalle madri regali costosi e denaro, in luogo di presenza fisica, cura diretta e affetto tangibile. PARRENAS PARLA DI DISLOCAZIONE DELLE RELAZIONI AFFETTIVE, che diventa un elemento costitutivo dell’identità delle donne migranti. L’amore per i figli si traduce nell’allontanarsi da loro e nel cercare di guadagnare il più possibile per loro. All’altro polo della relazione, i figli vivono a loro volta sentimenti di solitudine, insicurezza e vulnerabilità. [il conseguimento della sicurezza finanziaria per amore dei figli va mano nella mano con una crescita dell’insicurezza affettiva] Alle madri transnazionali, l’emigrazione preclude la possibilità di interpretare i ruoli di genere, secondo i canoni culturalmente prescritti: l’emigrazione si situa in un’opposizione diretta con i ruoli di fornitrici di cure e di custodi dei legami parentali nelle famiglie e nelle comunità di provenienza. Alle pratiche di cura a distanza si aggiunge il flusso di risorse economiche garantito dalle rimesse, che assicurano la sopravvivenza ed eventualmente gli studi o le possibilità di iniziativa economica dei congiunti rimasti in patria, questi sono aspetti salienti del TRANSNAZIONALISMO DAL BASSO. Il mantenimento dei rapporti familiari in condizioni di lontananza fisica è analizzato anche da un contributo europeo, che ha messo a fuoco due strategie attraverso cui le famiglie transnazionali si sforzano di rispondere alla sparizione fisica: 1. FRONTIERING (gestione delle frontiere) = denota mezzi usati membri delle famiglie transnazionali per creare spazi familiari e legami relazionali in situazioni in cui i rapporti di parentela sono dispersi dall’emigrazione all’estero. 2. RELATIVISING (gestione delle parentele) = si riferisce ai vari modi in cui gli individui stabiliscono, mantengono o troncano i rapporti con altri membri della famiglia. (nelle famiglie transnazionali si riduce la convivenza fisica mentre si espandono le relazioni a distanza) Secondo questi concetti si innesca una dinamica in cui i fattori obiettivi del distacco, della lontananza, della necessità di riorganizzare la vita quotidiana in forme nuove, entrano in contrasto con le visioni soggettive della comunità e dell’intensità dei legami affettivi, nonché delle responsabilità di accudimento. [alcuni studiosi parlano in merito di “ comunità immaginata”]. I risultati delle ricerche ci dicono che al centro dei legami familiari, specialmente per le madri, si attesta un nucleo duro, quello del rapporto con i figli e della volontà di prendersene cura, anche se a distanza, definibile con il termine CARING. Attorno ad esso si articolano strategie e investimenti delle famiglie migranti. In questo senso il caring viene affiancato al frontiering e al relativising. TAB 6.1 2. PERCORSO AL FEMMINILE = protagonista è la moglie madre che parte per prima. In questo caso avviene un rovesciamento dei ruoli 3. PERCORSO NEO COSTITUITO = la formazione del nucleo coniugale avviene nel paese ricevente 4. PERCORSO SIMULTANEO = contraddistinto dall’arrivo contemporaneo o molto ravvicinato di entrambi i coniugi 5. PERCORSO MONOPARENTALE = uno solo dei genitori emigra, seguito da uno o più figli. 6. PERCORSO DELLE FAMIGLIE MISTE = formate da partner di origine diversa. 7. CASO PARTICOLARE = in cui l’esperienza migratoria provoca una crisi del legame coniugale e il partner immigrato allaccia una NUOV UNIONE nel paese ricevente con una persona della stessa origine o anche nazionalità diversa. Il ricongiungimento va considerato come un FATTORE DI NORMALIZZAZIONE della presenza degli immigrati. Per quanto riguarda il versante della spesa pubblica e in modo particolare la domanda di servizi alle persona: è indubbio che, rispetto ad individui celibi, in giovane età, inseriti nel mercato del lavoro, i cui sosti di socializzazione sono stati sostenuti dal paese di origine, la presenza di donne e bambini aumenta la domanda id servizi sanitari, scolastici ecc.. [ COSTI DELL’INTEGRAZIONE SOCIALE] Si viene a creare un paradosso: l’immigrazione più accettata, quella familiare, è più costosa per le società riceventi sotto il profilo economico, rispetto a quella dei soli lavoratori adulti; ma questa, l’immigrazione più conveniente, è invece meno accettata socialmente, specialmente quando si declina al maschile. LA PRODUZIONE DI NUOVE IDENTITà FAMILIARI: MATRIMONI E COPPIE MISTE Un altro argomento da non sottovalutare è quello dei MATRIMONI e delle COPPIE MISTE. Fin dai primi studi, queste unioni sono state viste come il simbolo della fusione tra vecchi residenti e nuovi arrivati. Qualche cautela in più scaturisce nelle analisi più recenti attraverso cui emerge un fenomeno di vendita/acquisto di mogli. La giovane moglie straniera rischia di collocarsi in una categoria intermedia tra le due figure femminili più diffuse della colf e della prostituta. Lo stesso concetto di matrimonio misto ha tuttavia attraversato accentuazioni e versioni differenti. Gli studiosi si interessano soprattutto dei matrimoni interetnici, o a mescolanza multipla, in cui la diversità di razza, di religione e di nazionalità si presentano spesso simultaneamente. In questo senso si può dire che la mixitè è un concetto relativo. Perché si possa parlare di Mixitè bisogna che venga percepita una diversità tra i partner. Gli studi pongono in rilievo la difficoltà derivante dalla creazione di unioni miste. CAP 7 I FIGLI DELL’IMMIGRAZIONE LA SOCIALIZZAZIONE DEI FIGLI DEI MIGRANTI [in italia nel giro di nove anni i minori di origine immigrata sono passati da 295.000 a 941.000, più della metà dei quali sono nati nel nostro paese.] Un importante problema è quello del PASSAGGIO DA IMIGRAZIONI TEMPORANEE A INSEDIAMENTI DUREVOLI con la trasformazione delle immigrazioni per lavoro in immigrazioni di popolamento. La nascita della seconda generazione ha sconvolto i taciti meccanismi di precaria accettazione dell’immigrazione basati sul presupposto della sua provvisorietà. Bastenier e Dassetto fanno notare che ricongiungimenti familiari, nascita dei figli, scolarizzazione, incrementano i rapporti tra gli immigrati e le istituzioni della società ricevente, producendo un processo dii progressiva CITTADINIZZAZIONE. Dunque la nascita e la socializzazione dei figli dei migranti producono uno SVILUPPO DELLE INTERAZIONI, degli scambi, a volte dei conflitti tra popolazioni immigrate e società ospitante, rappresentando un PUNTO DI SVOLTA DEI RAPPORTI INTERETNICI. Ne deriva una preoccupazione riguardante il grado, le forme degli esiti dei percorsi di incorporazione delle popolazioni immigrate nella società ricevente. Esiste anche una prospettiva ( ispirata ai CULTURAL STUDIES e al postmodernismo) in cui i giovani di seconda generazione diventano promotori della costruzione di NUOVE IDENTITà SOCIALI. In questo caso, l’invenzione di inedite forme di identificazione, (italo-ispanici; italo-nigeriani ecc.) individua come risorsa la possibilità di riferirsi contemporaneamente a due mondi percepiti come distinti. Così la questione delle seconde generazioni diventa la cartina tornasole degli esiti dell’integrazione di popolazioni alloctone. La socializzazione di una nuova generazione rappresenta un momento decisivo per LA PRESA DI COSCIENZA DEL PROPRIO STATUS DI MINORANZE ormai insediate in un contesto diverso da quello della società d’origine. Nella definizione delle SECONDE GENERAZIONI esistono diverse sfaccettature che rendono questa definizione a volte ardua da applicare. Alcuni ad esempio preferiscono parlare di MINORI IMMIGRATI. Si può inoltre parlare di PERSONE DI ORIGINE IMMIGRATA ma prevale nella letteratura internazionale il concetto di seconde generazioni. Un altro nodo problematico è rappresentato dal MOMENTO DELL’ARRIVO: fino a che età è lecito parlare di seconda generazione? RUMBAUT introduce una visione graduata, decimale: 1. GENERAZIONE 1,5 = quella che comincia il processo di socializzazione e la scuola primaria nel paese d’origine, ma completa l’educazione scolastica all’estero. 2. GENERAZIONE 1,25 = quella che emigra tra i 13 e i 17 anni 3. GENERAZIONE 1,75 = si trasferisce all’estero in età prescolare ( 0 – 5 anni). Con riferimento al caso italiano: [ Favaro 2010] 1. Minori nati in italia 2. Minori ricongiunti 3. Minori giunti soli 4. Minori rifugiati 5. Minori arrivati per adozione internazionale 6. Figli di coppie miste Lo stesso concetto di GENERAZIONE non è privo di ambiguità: può riferirsi infatti alla discendenza, alle classi di età, alle coorti demografiche, ai periodi storici. SECONDE GENERAZIONI, COESIONE SOCIALE E PROCESSI DI INTEGRAZIONE. Alcuni studiosi parlano di ANSIETà DI ASSIMILAZIONE e sottopongono a critica l’idealizzazione del MELTING POT del passato: l’americanizzazione era allora considerata il progetto politico da perseguire, più che un processo da studiare, e l’assimilazione nella società americana era vista come desiderabile e inevitabile allo stesso tempo. Il caso delle seconde generazioni immigrate, inoltre, rimanda alla tensione tra l’IMMAGINE SOCIALE MARGINALE e collegata a occupazioni umili dei loro genitori, e l’ACCULTURAZIONE AGLI STILI DI VITA e alle rappresentazioni delle gerarchie occupazionali acquisite attraverso la socializzazione nel contesto delle società riceventi. Da questo punto di vista, il problema delle seconde generazioni si pone non perché i giovani di origine immigrata siano culturalmente poco integrati, ma perché hanno assimilato gusti, aspirazioni, modelli di consumo propri dei loro coetanei autoctoni. Se i figli di immigrati non hanno successo nella scuola, e se non riescono a trovare spazio nel mercato del lavoro qualificato, i figli di immigrati rischiano di alimentare un potenziale SERBATOIO DI ESCLUSIONE SOCIALE. Molti studiosi parlano dell’esistenza di una DISSONANZA TRA SOCIALIZZAZIONE E OPPORTUNITà. In proposito si parla di una situazione in cui “un’assimilazione culturale si coniuga con una forte dose di non-integrazione sociale”. Analizzando le bande di giovani maghrebini Roy parla di “etnia inventata” e di “Islam immaginario”. In altre parole i giovani “arabi” e “musulmani” delle periferie difficili, si definiscono così perché sono etichettati come tali dalla società francese e poiché questa IDENTITà SIMBOLICA assume una funzione aggregante e una CARICA OPPOSITIVA nei confronti di una società escludente. influenza l’integrazione dei figli nella società ricevente con azioni di sostegno e di controllo. Nella maggior parte dei casi la seconda generazione ha superato la prima per risultati scolastici ecc. La ricerca suggerisce inoltre un ruolo centrale dell’ISTRUZIONE DEI GENITORI come fattore esplicativo. In soldoni: “ lo scopo dell’acculturazione selettiva non è la perpetuazione della comunità immigrata, bensi l’uso del suo capitale sociale per migliorare le opportunità dei figli di immigrati in ordine al successo educativo e professionale nella società ricevente. TAB 7.1 LE ISTITUZIONI MEDIATRICI: LA FMIGLIA Esistono diverse istituzioni sociali La prima delle quali è LA FAMIGLIA, in cui i processi educativi sono intrisi dell’ambivalenza tra mantenimento di codici culturali tradizionali e desiderio di integrazione e ascesa sociale nel contesto della società ospitante. Isolamento e perdita di controllo educativo sono conseguenze diffuse di precarie condizioni familiari. Sul versante dei genitori, la crescita dei figli, il loro inserimento nella scuola e nella società ricevente sollevano la questione dei valori e dei riferimenti normativi che si considerano irrinunciabili. Sorge quindi il problema di definire e tramandare una propria IDENTITà CULTURALE. In questo contesto possiamo ricordare i seguenti aspetti: 1. Il fenomeno del ROVESCIAMENTO DEI RUOLI = i figli, grazie ad una migliore conoscenza della lingua, assumono precocemente responsabilità adulte. (si diventa “genitori dei genitori”) 2. La precoce PERDITA DI AUTOREVOLEZZA e capacità educativa da parte dei genitori, non supportati da una rete di prossimità e di collaborazione informale. 3. Le tendenze già richiamate dai figli a FUORIUSCIRE DALLE FORME DI INTEGRAZIONE SUBALTERNA accettate dai padri 4. La tensione nei confronti della trasmissione di MODELLI CULTURALI ispirati alla società d’origine. 5. Il conflitto può esplodere anche per ragioni diverse, come la ribellione contro le aspettative di mobilità sociale. Zhou parla di DISSONANZA GENERAZIONALE, quando i figli non si collocano sui livelli di aspirazioni dei genitori e non si conformano alla loro guida. 6. LE PROBLEMATICHE DI GENERE e di equilibri interni alle famiglie. 7. Le questioni culturali che si intrecciano con PROBLEMI STRUTTURALI: precarietà economica, sistemazioni abitative provvisorie ecc. 8. Per i ragazzi ricongiunti non piccolissimi, l’arrivo nella società ricevente si tradurrebbe in un ARRETTRAMENTO DELLE POSSIBILITà DI CONSUMO e dello status sociale. (in patria, grazie alle rimesse potevano godere di uno standard di vita superiore a quello ottenuto col ricongiungimento). Incrociando i tipi di identificazione individuati con i tipi di rapporti tra genitori e figli, si ottiene una tipologia particolare: 1. GLI ADOLESCENZIALI = i giovani, per lo più di sesso femminile e di età compresa tra i 14 e i 16 anni, sono prevalentemente nati in Italia. 2. GLI INTEGRATI = di età più avanzata, senza rilevanti differenze tra maschi e femmine, tra nati in Italia e nati all’estero. 3. I RIBELLI = giovani che esprimono un’identificazione etnica di tipo conflittuale, sono per lo più maschi e nati all’estero, senza differenze di età. In particolare, giovani maschi che, arrivati in età adolescenziale non hanno ancora rielaborato la separazione e il successivo ricongiungimento. 4. I CONSERVATORI: A. Giovani nati in Italia da genitori di origine straniera, che hanno interiorizzato il modello educativo dei genitori e che si fanno ambasciatori della cultura d’origine. B. Giovani emigrati nella preadolescenza e che, essendo da un tempo relativamente lungo in Italia, hanno ormai superato il trauma del distacco e rielaborato la migrazione. LE ISTITUZIONI MEDIATRICI: LA SCUOLA La seconda istituzione è la scuola = istituzione sociale in cui si determinano le premesse per il confinamento dei figli degli immigrati ai margini della buona occupazione e delle opportunità di effettiva integrazione nelle società ospitanti. Esistono due poli della questione: 1. LE RISORSE E STRATEGIE DELLE FAMIGLIE, la loro capacità e determinazione nel favorire la carriera scolastica dei figli; si può affermare che il livello di istruzione dei genitori, anche per i figli di immigrati rappresenta il più importante predittore del successo scolastico. 2. IL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI SCOLASTICI delle società riceventi, dal loro grado di apertura nei confronti di alunni con un background diverso 3. Un terzo fattore influente è IL CONTESTO DI RICEZIONE DELL’IMMIGRAZIONE = la possibilità di entrare legalmente, il riconoscimento delle credenziali educative acquisite in patria, le modalità di inserimento nel mercato del lavoro. [ricerche in Italia e relativi risultati]. SOCIALITà E PROCESSI DI IDENTIFICAZIONE: IL CASO DELLE BANDE Per affrontare i problemi relativi all’ingresso nella società esistono diverse STRATEGIE IDENTITARIE, che possono spaziare dal cosmopolitismo, all’isolamento, al ritorno alle origini, al mimetismo. La questione più aperta è quella che riguarda le aggregazioni di strada a carattere etnico, note come bande o gang. Attraverso alcuni studi si giunge alla conclusione che il soggetto attua un lavoro incessante di RIELABORAZIONE DELL’IMMAGINE DI Sé E DI RIDEFINIZIONE DELLA PROPRIA IDENTITà, che attinge ad un repertorio di riferimenti tradizionali più o meno fedelmente recuperati. Alle organizzazioni di strada vengono attribuite TRE FUNZIONI: 1. La recovery = la fuoriuscita da esperienze di vita traumatiche e la reintroduzione in uno spazio collettivo che offre autostima e benessere b. I risultati o l’efficacia delle misure di controllo dell’immigrazione c. Le politiche di integrazione sociale d. Le razioni dell’opinione pubblica nei confronti dei movimenti migratori 2. La seconda tendenza è definibile come IPOTESI DEL DIVARIO, consiste nell’idea che in tutti i maggiori paesi industrializzati si stia allargando la forbice tra gli scopi delle politiche migratorie e i risultati ottenuti, provocando una crescente ostilità pubblica nei confronti della generalità degli immigrati. Per queste ragioni la regolazione politica delle migrazione resta una questione prioritaria per quanto riguarda il contesto europeo. Sciortino distingue due filoni di pensiero: 1. Situa le politiche migratorie attuate dagli stati in relazione alla loro posizione nella mappa nel contesto del sistema-mondo. In quest’ottica le politiche di controllo delle migrazioni sono considerate il luogo di mediazione tra FORZE DI MERCATO, che spingono nel senso dell’apertura delle frontiere all’offerta di lavoro straniera, e LOGICHE POLITICHE, che tendono a chiudere i confini e a limitare la distribuzione di servizi e diritti di protezione sociale ai soli cittadini. 2. Il secondo filone si concentra sullo studio delle differenze tra i paesi nel mediare tra queste spinte divergenti; dato che le politiche di controllo assumono profili diversi tra una nazione e l’altra. È possibile distinguere tra due modelli interpretativi, secondo una classificazione proposta da MEYERS: 1. APPROCCIO MARXISTA E NEOMARXISTA = secondo i quali i fattori economici e i processi politici determinano le politiche migratorie. Agli immigrati si applica la categoria marxiana di “esercito industriale di riserva”: forza lavoro debole e pronta ad accettare qualunque condizione di lavoro. Secondo quest’ottica IL CAPITALISMO, influenzando l’azione dei governi, RICHIAMA, RIDIMENSIONA O ESPELLE GLI IMMIGRATI IN RELAZIONE AGLI ANDAMENTI ECONOMICI. L’immigrazione, inoltre, trovandosi al livello più basso del sistema occupazionale, innalza il livello dei lavoratori autoctoni. 2. APPROCCIO DI IDENTITà NAZIONALE = sostiene che la storia particolare di ogni paese, la sua concezione della cittadinanza e della nazionalità, plasmano le politiche migratorie. Vanno considerati anche i problemi della coesione della società. Infatti i paesi europei tendono a respingere la DIVERSITà ETNICA e vedere l’immigrazione come una minaccia all’unità nazionale. 3. Esiste un terzo approccio, interpretabile come INCENTRATO SULLA SOCIETà = assume che lo stato serva come arena neutrale per il confronto tra gruppi di interesse e partiti: le scelte politiche diventano, quindi, il risultato di negoziazioni e compromessi tra questi interessi. 4. Una prospettiva che considera lo stato come attore è quella ISTITUZIONALE = si pone in rilievo il ruolo dell’amministrazione, intesa come apparato burocratico, nell’elaborazione delle politiche nei confronti di immigrati e rifugiati. 5. Un quinto approccio è classificabile come REALISTICO = articolato in “realismo classico” e “neorealismo”, vede lo stato come attore principale e lo considera come un attore unitario e razionale, con la principale preoccupazione della sicurezza nazionale. 6. APPROCCIO LIBERALE/NEOLIBERALE = ha una visione ottimistica della crescente interdipendenza internazionale e dello sviluppo di istituzioni sovranazionali. Sotto questo approccio si parla della TEORIA DELLA GLOBALIZZAZIONE = secondo cui la sovranità degli stati e la loro autonomia stanno indebolendosi. Un’altra classificazione importante è quella fatta da Brochmann definita basata sull’ORGANIZZAZIONE DEI CONTROLLI applicati ai migranti: A. CONTROLLI ESTERNI ESPLICITI = sistemi dei visti, dei permessi di soggiorno, delle regole per l’ingresso e la permanenza B. CONTROLLI INTERNI ESPLICITI = controlli atti all’intercettazione degli immigrati che soggiornano illegalmente sul territorio. (il caso degli overstayers) C. CONTROLLI ESTERNI IMPLICITI = forme di regolazione non dichiarata o indiretta in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini stranieri D. CONTROLLI ESTERNI IMPLICITI = processi di chiusura sociale che assumono la forma di batterie non dichiarate nei confronti dell’accesso degli immigrati a determinati ambiti; ponendoli così ai margini della società. Ad oggi si è giunti a considerare che le soluzioni attuate sono endemicamente instabili, continuamente sfidate dai comportamenti effettivi degli attori sociali. GLI SFORZI DI CHIUSURA DELLE FRONTIERE E I LORO LIMITI L’allargamento dell’unione europea verso Est ha comportato la formazione di un’area di libera circolazione di lavoratori notevolmente più ampia. Si è cercato di raggiungere una politica comune in materia di visti, l’incremento dell’efficacia delle procedure di espulsione, il coordinamento dei controlli di frontiera, la repressione del traffico di persone e del favoreggiamento dell’ingresso clandestino. In questa prospettiva nel 2005 è stato varato il sistema Frontex. La lotta all’immigrazione irregolare può essere vista come un esempio di TRANSNAZIONALIZZAZIONE DELLE POLITCHE MIGRATORIE. Si viene a creare un’attenzione particolare per quelli che sono i controlli esterni. Mentre, invece, si crea un inasprimento dei controlli interni: distinguibili in: a. Esclusione da una gamma di servizi pubblici b. Controlli di polizia c. Misure di identificazione d. Detenzione ed espulsione Alcune analisi effettuate negli ultimi ani portano alla luce una generale carenza di volontà politica nel combattere economia sommersa e lavoro nero. [ caso regno unito/ caso tedesco pg 208/209] Si comincia a contestare il concetto di FORTEZZA EUROPA, alcuni studiosi analizzando la tensione tra mercati e politica ella regolazione dei movimenti migratori nell’ambito europeo, sostengono che le spinte all’apertura delle frontiere determinate dalle esigenze economiche finiscono per imporsi. Altri contributi si concentrano su dei limiti strutturali degli sforzi governativi per controllare le migrazioni, chiamando in causa il ruolo delle strutture intermediarie che favoriscono i trasferimenti. Pennix e Doomernik analizzano le ragioni del limitato successo degli sforzi politici per regolare le migrazioni: a. Solo eccezionalmente i governi dei paesi riceventi intervengono sul complesso di variabili che operano nei paesi d’origine favorendo l’emigrazione. b. La regolazione dell’immigrazione è spesso una risposta a breve termine. c. Gli strumenti politici, anche nelle società riceventi, si focalizzano solo una parte dei movimenti migratori e su un numero limitato di variabili. d. Le regole scontano una tensione tra il riconoscimento di diritti individuali e la gestione dei flussi migratori. e. Le popolazioni immigrate insediate stabilmente rappresentano a loro volta un importante fattore nei processi migratori complessivi. Una difficoltà difficilmente superabile per quanto riguarda il chiudere le porte all’immigrazione è confermata dal fatto che tutti i paesi europei ammettono qualche forma di immigrazione per lavoro. Migrazioni circolari = Alcune restrizioni si sono abbattute sul diritto d’asilo e sulla possibilità di ingresso per ragioni umanitarie. Nell’ultimo decennio sono state varate misure volte a ostacolare l’ingresso ne paesi europei tradizionalmente più generosi con i rifugiati; tra queste è stata introdotta la responsabilizzazione dei paesi di transito o di primo ingresso. MOBILITà GLOBALE CONTRO ORTODOSSIA RESTRITTIVA, OVVERO LE RAGIONI DELLE SANATORIE. Nel mercato del lavoro, la visione dei rapporti interetnici ha favorito l’adozione di AZIONI POSITIVE per porre rimedio al problema della discriminazione degli immigrati, tra le quali l’espressione più ambiziosa consiste nel controverso SISTEMA DELLE QUOTE ETNICHE per l’accesso a determinati benefici. Nel caso particolare del modello multiculturale si parla di formazione di comunità separate e non comunicanti con la società più ampia, sorvolando con i fattori strutturali che producono fenomeni di ghettizzazione urbana ed esclusione sociale. In alcuni paesi si può parlare di TENDENZA ASSIMILAZIONISTA nelle politiche pubbliche degli ultimi anni. Gli stati riceventi tendono a chiedere di più ai nuovi arrivati, in termini di requisiti e prove di integrazione, ricodificando la cittadinanza come una relazione contrattuale. Rispetto alla posizione liberale si torna verso una concezione più conservatrice e restrittiva della cittadinanza come PREMIO ALL’INTEGRAZIONE. Il modello Italiano si è formato su: a. Arrivo e insediamento spontaneistico b. Scarsa regolazione istituzionale c. Ricezione contrastata d. Inserimento nel lavoro e. Evoluzione piuttosto rapida verso fasi più mature del ciclo migratorio f. Diffuso attivismo di reti spontanee di mutuo aiuto tra connazionali. Si può parlare di un MODELLO IMPLICITO DI INCLUSIONE degli immigrati, a lungo ignorati dalle politiche ufficiali o soggetti a misure parziali Legge turco-Napolitano (40/1998) Legge Bossi-Fini (189/2002) no ha abrogato la turco-napolitano, ma ha introdotto una regolamentazione più restrittiva degli ingressi e delle possibilità di soggiorno degli immigrati. I vincoli introdotti rendono complesso e difficoltoso per i datori di lavoro il reclutamento di nuovi lavoratori immigrati Il governo di centrodestra eletto nel 2008 ha accentuato il collegamento immigrazione-ordine pubblico, adottando una serie di provvedimenti ispirati alla volontà di controllo dell’immigrazione come potenziale MINACCIA ALLA SICUREZZA dei cittadini. CITTADINANZA E DIRITTI Nell’esaminare i modelli di politica si incontrano tre diversi criteri di attribuzione della cittadinanza, ossia dell’appartenenza a un certo stato: 1. DIRITTO DI SANGUE (IUS SANGUINIS) = 2. DIRITTO DI SUOLO (IUS SOLI) = pone come principio di base la nascita sul territorio nazionale 3. DIRITTO DI RESIDENZA (IUS DOMICILI) = costituisce il criterio più liberale, per cui alcuni anni di residenza, sono sufficienti per poter diventare cittadini Secondo il filosofo americano Walzer esistono 3 concezioni della CITTADINANZA: 1. cittadinanza come FAMIGLIA, di cui si diventa membri solo per nascita o per matrimonio 2. cittadinanza come CIRCOLI O CLUB, dei quali si può entrare a far parte se si è ammessi da chi è già membro di diritto 3. cittadinanza come QUARTIERE, in cui ci si può trasferire e risiedere a piacere [zincone parla del rafforzamento, di fronte all’immigrazione, di UNA CONCEZIONE ETNICA, FAMILIARE DELL’APPARTENENZA.] A livello europeo fino a qualche anno fa si poteva affermare che il criterio del diritto di sangue stesse perdendo terreno a vantaggio del diritto di suolo, che si può solo in parte comparare al “CIRCOLO “ di Walzer. Alcuni autori parlano di una tendenza alla RIETNICIZZAZIONE DELLA CITTADINANZA, con un indebolimento del criterio moderno della territorialità in favore di una concezione semifeudale di rapporto personale, derivante da vincoli di sangue, tra gli stati e i loro cittadini. Anche la tendenza verso l’idea della cittadinanza come QUARTIERE, mediante la naturalizzazione per diritto di residenza (ius domicili) appare oggi meno netta che nel recente passato. Anche quando no accedono alla naturalizzazione gli immigrati residenti a lungo tempo sono in genere destinatari di un pacchetto di garanzie e di diritti più consistente di quelli dei nuovi arrivati. Più complicata e improbabile appare la concessione del diritto di voto alle elezioni politiche nazionali. Marshall tratta il tema della CITTADINANZA SOCIALE. Storicamente i tre elementi della cittadinanza marshalliana sono stati acquisiti in una sequenza che parte dai DIRITTI CIVILI, si estende ai DIRITTI POLITICI, per includere infine I DIRITTI SOCIALI. Per gli immigrati questa sequenza si inverte: i diritti sociali, almeno quelli collegati al lavoro indipendente, sono stati i primi a essere concessi. Nel corso del tempo si assiste ad una maggiore tolleranza nei confronti della DOPPIA CITTADINANZA. Si parla, inoltre, di CITTADINANZA SOVRAPPOSTA (nested citizenship) che non rinnega la cittadinanza nazionale, ma vi aggiunge una cittadinanza sovranazionale nell’ambito dell’ unione eurpea, che conferisce alcuni diritti esercitabili al di fuori dei confini del proprio paese. Ne deriva una STRATIFICAZIONE CIVICA, con la formazione gerarchica che vede al livello più basso gli immigrati irregolari, poi nell’ordine quanti dispongono di un permesso di soggiorni limitato nel tempo, i lungoresidenti con uno statuto stabile, i migranti interni all’unione europea, infine i cittadini a pieno titolo. Nash distingue a sua volta i SUPERCITTADINI ( le èlite cosmopolite) i CITTADINI MARGINALI ( in quanto deprivati economicamente dalla povertà, o socialmente dal razzismo) I QUASI CITTADINI (gli immigrati lungoresidenti). I SUB CITTADINI (immigrati senza occupazione o senza titoli per accedere ai benefici sociali). I NON CITTADINI (immigrati non autorizzati e soggetti a deportazione). La cittadinanza appare un concetto mobile e fluido, il cui significato convenzionale è soggetto a continui conflitti e negoziazioni. In questa prospettiva si parla di CITTADINANZA FLESSIBILE. Si può notare che due delle componenti fondamentali della cittadinanza, ossia i diritti individuali e l’identità collettiva, si sono progressivamente divaricate negli ultimi decenni. si cominciano a formare quelle che vengono definite IDENTITà MISTE ( col trattino: italo-americano). Il paese d’origine diventa fonte di identità, quello ricevente diventa fonte di diritti Bosniak, introducendo concetti come quello di CITTADINANZA TRANSNAZIONIONALE o CITTADINANZA GLOBALE, distingue 4 significati della cittadinanza: 1. LEGALE = designa lo status formale di membro di una comunità politica 2. Collegamento tra cittadinanza e il godimento di determinati DIRITTI 3. Cittadinanza come PARTEIPAZIONE alla vita politica 4. Cittadinanza come esperienza di IDENTIFICAZIONE E SOLIDARIETA’ che una persona manifesta nella vita collettiva e pubblica. Una forma di cittadinanza transnazionale è data dalla possibilità di votare all’estero. Secondo Baubock le politiche inerenti alla cittadinanza rispondono a 3 aspettative: a. Alimentare il senso di appartenenza alla patria b. Mantenere vivo l’impegno dell’invio di rimesse ( coltivando il mito del ritorno in patria) c. Poter contare sulla mobilitazione dei connazionali nei paesi riceventi come strumento di politica estera. La constatazione dell’esclusione dai diritti politici ha indotto ad individuare e valorizzare alcune possibili FORME DI PARTECIPAZIONE POLITICA INDIRETTA, attuate per il tramite di associazioni e delle organizzazioni sindacali. Col passare del tempo l’ASSOCIAZIONISMO IMMIGRATO ha assunto una crescente importanza e svariate funzioni, che spaziano dalla rappresentanza politica all’animazione culturale, alla fornitura di servizi. RIVENDICATIVO, ASSOCIAZIONISMO IMPRENDITIVO, ASSOCIAZIONISMO PROMOSSO DAGLI IMMIGRATI. L’inserimento in questi contesti comporta per gli immigrati una perdita di status. Le ATTIVITA’ CREATIVE TRADIZIONALI manifestano capacità di ripensamento, riorientamento e innovazione dei servizi rivolti ai nuovi beneficiari. L’attività assistenziale continua ad essere erogata, anche in forme meno semplici e con un ampio coinvolgimento di volontari, ma con alcune tendenze innovative: a. Si tende ad ampliare il pacchetto dei servizi offerti, b. Si sono avviati processi di specializzazione, concentrazione e professionalizzazione dei servizi, nonché forme di collaborazione con le istituzioni pubbliche. c. Si verifica un riposizionamento dei servizi in risposta all’evoluzione d. Si richiede maggiore responsabilizzazione e coinvolgimento dei beneficiari. CAP 10 DEVIANTI E VITTIME, TRAFFICANTI E TRAFFICATI COINVOLGIMENTO IN ATTIVITA’ DEVIANTI Il tasso di delittuosità per gli immigrati regolari è leggermente superiore a quello degli italiani; molto più elevato per gli immigrati in condizione irregolare. Ancora più grave appare il quadro della POPOLAZIONE CARCERARIA. Alcune caratteristiche del fenomeno della devianza degli immigrati: a. Si realizza una concentrazione prevalente degli immigrati in alcune categorie di reati. b. Gli immigrati rappresentano target specifico per l’azione penale quando sono individuati come soggiornanti irregolari sul territorio. Ma incorrono anche in vari reati comuni, connessi però alla loro condizione di stranieri, specialmente se sono privi di documenti che consentono di soggiornare regolarmente in Italia. c. Fattori ambientale influenzano notevolmente l’incidenza nelle statistiche giudiziarie degli immigrati e di singole collettività nazionali. d. Gli immigrati commettono in molti casi reati ad alta visibilità e. Spesso si constatano forme di specializzazione di alcune nazionalità nella realizzazione di certe forme di illecito. Va notato che si riscontrano infatti profonde differenze nel grado di coinvolgimento delle diverse nazionalità nelle attività illegali. Se combiniamo la frequenza quantitativa con la specializzazione in alcune fattispecie di reati, possiamo disporre di elementi per immaginare che le reti migratorie talvolta concorrano a produrre un inserimento dei connazionali in attività devianti. Barbagli parla di RETI VIZIOSE, osservando che anch’esse, al pari delle RETI VIRTUOSE svolgono una funzione cruciale. Come conseguenza della formazione di reti di immigrati coinvolti in determinati reati, diverse componenti nazionali presentano un’incidenza sul complesso dei denunciati più che proporzionale in confronto al rispettivo peso sul totale degli immigrati soggiornati. Molto influente risulta la variabile relativa al GENERE. Le componenti femminili dell’immigrazione manifestano un basso grado di coinvolgimento in attività devianti. Si può affermare che complessivamente le donne immigrate sono vittime di reati, piuttosto che soggetti attivi di reati. Un problema che rientra nella questione della VITTIMIZZAZIONE. La categorizzazione degli immigrati come protagonisti di reati colpisce ingiustamente queste componenti poco coinvolte in fenomeni devianti. Una parte dei reati ascritti agli immigrati dipende dalla loro condizione di stranieri dallo status incerto, soggetti a controlli e limitazioni della libertà di movimento. IMMIGRATI E DEVIANZA: LE INTERPRETAZIONI È possibile distinguere a proposito della devianza degli immigrati due scuole di pensiero: 1. SCUOLA CLASSICA = osserva che gli immigrati sono sovrarappresentati tra i denunciati, i condannati e i carcerati. Secondo questo filone di pensiero gli immigrati restano un gruppo sociale più coinvolto della media in varie attività illegali. Secondo alcuni studi in Europa e in America negli anni 60 gli stranieri immigrati non commettevano più reati degli autoctoni. Questo fatto si spiega con due diversi fattori. Sono aumentati i reati commessi da persone prive di un titolo di soggiorno valido; è cresciuta la devianza degli immigrati regolari, specialmente delle seconde generazioni. La varianza del fenomeno smentirebbe la tesi secondo cui gli immigrati sono vittime di discriminazione sistematiche da parte delle istituzioni preposte alla tutela dell’ordine pubblico. Nel caso dell’Italia contemporanea, il fattore che sembra maggiormente incidere sulla devianza è individuato nel SOGGIORNO IRREGOLARE. I reati più frequentemente ascritti agli immigrati sono collegabili con l’indigenza e con l’esclusione dai normali circuiti del mercato del lavoro. 2. SCUOLA CRITICA = considera la devianza degli immigrati come l’effetto di una costruzione sociale della realtà che assume le caratteristiche di una profezia che si autoadempie. ( gli immigrati vengono considerati a priori come potenziali devianti) Secondo Pallida: le forme di inserimento degliimmigrati dipendono dal contesto in cui avviene la migrazione. La produzione e la riproduzione di comportamenti devianti tra gli immigrati, di conseguenza, si correla con TRE FATTORI MACROSOCIALI: 1. IL DEGRADO DELLE SOCIETA’ DI ORIGINE E LA DIFFUSIONE DI MODELLI DEVIANTI 2. POLITICHE MIGRATORIE PROIBIZIONISTE 3. AFFERMAZIONE DI UN MODELLO SOCIALE, nel paese ricevente, CHE PRODUCE L’ESCLUSIONE SOCIALE E LA CRIMINALIZZAZIONE. Si parla inoltre dei PROCESSI DI ETICHETTATURA, per i quali l’immigrato che commette un reato è più facilmente riconoscibile di un autoctono. PRODUZIONE ISTITUZIONALE della devianza: la responsabilità della condizione viene attribuita alle società riceventi e alle loro politiche migratorie. STIGMATIZZAZIONE degli immigrati = la società ricevente individua gli immigrati come una categoria sociale minacciosa, da tenere sotto controllo. 3. L’azione di contrasto ha prodotto dapprima un innalzamento dei livelli dei prezzi, in un secondo tempo una diversificazione sempre più accentuata delle attività illecite da parte di alcuni gruppi (soprattutto albanesi). 4. Il declino della rotta adriatica ha prodotto una sorta di effetto domino sui trasporti illegali di migranti nel bacino del mediterraneo. Si viene a creare una specie di “gioco a tre” nello spazio mediterraneo, tra stati che cercano di controllare gli ingressi clandestini, organizzazioni di trafficanti e aspiranti all’immigrazione. Oltre a rafforzare le strategie repressive occorre incanalare l’aspirazione a emigrare verso forme di mobilità legale dell’attraversamento delle frontiere. TRAFFICO DI ESSERI UMANI E SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE Analizzando in modo approfondito il terzo stadio del trafficking si denotano alcune analogie con aspetti dei fenomeni migratori già incontrati: A. L’ingresso e la rapida espansione di un’offerta straniera nell’ambito di scambi economici trova un evidente riscontro in una domanda interna molto ampia e insoddisfatta B. Il rapporto tra l’emancipazione delle donne italiane e la loro sostituzione con donne straniere C. L’incidenza di forme di specializzazione etnica [ caso niegeriano: non viene superata una dimensione organizzativa “etnica”,poco strutturata, intrisa di elementi tradizionali, ma a suo modo efficace di gestione del traffico. Si analizza il ruolo delle Maman, che “acquistano” le ragazze facendole venire in Italia e vantano poi il diritto di rivalersi dei costi sostenuti vincolando la libertà delle ragazze al pagamento di un debito esoso. Gli uomini restano in posizione defilata, con il compito di presidiare il territorio. Una volta pagato il loro debito, le ragazze nigeriane sono formalmente libere, e molte decidono di mettersi in proprio per poi acquistare altre ragazze che lavorino per loro. Secondo una prospettiva sociologica si pongono in luce i processi che concorrono alla COSTRUZIONE SOCIALE DELL’OFFERTA DI PROSTITUZIONE. Uno spunto a riguardo è offerto da Cespi che classifica 4 fattori che garantiscono la colaborazione delle persone oggetto del traffico: A. Elementi cooperativi B. Il ricorso alla violenza C. L’uso del ricatto D. L’uso dell’inganno È dunque necessario domandarsi come si sia giunti al consenso e quali vincoli lo sostengono: A. Lo squilibrio tra le possibilità d’ingresso nei paesi avanzati e l’aspirazione a partire genera un grande mercato per coloro che sono pronti a soddisfare l speranza di imprimere una svolta alla propria vita emigrando. La soggezione ai trafficanti parte dall’esposizione dei costi necessari. B. Alla costruzione del consenso contribuiscono i dispositivi di pressione psicologica che spaziano dalle minacce alle promesse. C. Manipolazione affettiva ( forme più sottili di condizionamento della libertà personale.) D. Asimmetria informativa ( le uniche informazioni derivano dagli sfruttatori). CAP 11 PREGIUDIZIO, DISCRIMINAZIONE, RAZZISMO PREGIUDIZI E STEREOTIPI: I PROCESSI DI ETICHETTATURA Alla base del pregiudizio stanno meccanismi operativi tipici dei processi cognitivi della mente umana: la conoscenza richiede classificazione, ossia distinzione e ordinamento degli “oggetti” in categorie in una certa misura precostituite. Tendiamo quindi a conoscere generalizzando, ossia costruendo categorie collettive e riconducendo a esse i casi individuali che ci sembrano riconducibili alle categorie con cui abbiamo già familiarità. Il problema nasce quando i PROCESSI DI CATEGORIZZAZIONE danno luogo a forme di generalizzazione indebita, che consistono nell’attribuire a tutti i membri di un determinato gruppo sociale alcuni comportamenti o caratteristiche rilevate o sperimentate, o anche solo attribuite a uno o ad alcuni individui di quel gruppo. Dai pregiudizi nascono gli stereotipi, ossia rappresentazioni rigide, standardizzate, intrise di valutazioni stigmatizzanti, che si applicano a gruppi sociali considerati collettivamente, appiattendo le differenze tra i casi individuali e semplificando la definizione della realtà. STEREOTIPI A BASE ETNICA: per il fatto di presentare certi caratteri somatici ai singoli individui vengono attribuite determinate caratteristiche e attitudini. ETNOCENTRISMO = tendenza a distinguere il proprio gruppo (in-group) dagli altri gruppi (out-group) e a conferire una preferenza sistematica agli interni nei confronti degli esterni. Un derivato del pregiudizio etnico è la XENOFOBIA = atteggiamento di rifiuto o di paura nei confronti degli stranieri, che viene talvolta espresso con ostilità nei confronti degli immigrati LE DERIVE RAZZISTE: PRATICHE E IDEOLOGIE PENSIERO RAZZIOSTA ORDINARIO = razzismo diffuso, vago, non tematizzato, che consiste nell’interpretare la distinzione tra noi e loro, o tra noi e gli altri, come una distinzione tra due specie umane. Max weber: l’ostilita razziale tende ad acutizzarsi in determinati frangenti e in certi gruppi sociali: si collega ai processi di mutamento sociale che innescano in alcune componenti della società la paura di un declassamento e si manifesta in forme più acute in quelle che si sentono più minacciate dai nuovi arrivati. Da un certo punto di vista non è la distanza o l’ignoranza a generare il razzismo, ma la vicinanza che genera la paura del contatto, della mescolanza. In alcuni casi prevale un sentimento di INVASIONE degli spazi pubblici e degli spazi commerciali, da cui discende la percezione di un abuso e una crescente insofferenza verso l’utilizzo ritenuto improprio degli spazi. La complessità del fenomeno ha dato luogo a diversi tentativi di spiegare le RAGIONI per cui si sviluppano XENOFOBIA E RAZZISMO: 1. TEORIE DELLA SCELTA RAZIONALE = Xen. E raZ. Derivano dalla rivalità competitiva tra immigrati e popolazione autoctona per l’accesso alle risorse. 2. TEORIE FUNZIONALISTE = riconducono la Xen. Alla differenza culturale e all’incapacità di assimilarsi degli immigrati, in quanto provenienti da società arretrate, che non hanno conosciuto la riforma protestante e l’illuminismo; oppure in quanto sprovvisti di adeguati livelli di istruzione e qualificazione professionale. 3. TEORIE DELLA COMUNICAZIONE DISCORSIVA = la distanza culturale o l’incapacità di assimilarsi sono elementi di una costruzione sociale dell’alterità degli immigrati, basata su pratiche discorsive categorizzanti e stigmatizzanti. 4. TEORIE FENOMENOLOGICHE = legano i fenomeni xenofobi a una trasformazione sociale in cui certe promesse politiche non possono più essere mantenute e si diffondono tensioni anomiche in ampi strati della società. Il razzismo conosce una variabilità nel tempo in quanto a bersagli dell’ostilità, e può spostarsi su diversi gruppi etnici o nazionali; solitamente i nuovi arrivati. Alcune ricerche storiche hanno dimostrato che persino la percezione delle differenze fisiche, razziali, dipende dall’accettazione sociale. In alcuni casi si parla di RAZZA COME STATUS ACQUISITO (meridionali in Italia) A volte le società riceventi costruiscono la figura dell’immigrato, inquadrandolo in modo da produrre nella sua collocazione sociale una PERDITA DI STATUS identificando come svalutativi gli elementi che più lo identificano come estraneo. Un ordine di considerazioni riguarda l’evoluzione del razzismo intellettualmente elaborato, talvolta definito come razzismo in senso proprio o in senso stretto. 1. DISCRIMINAZIONE NELLA GERARCHIA OCCUPAZIONALE ESISTENTE = i lavori meno attraenti, + pericolosi e dannosi sono attribuiti in larga misura a lavoratori di origine immigrata 2. DISCRIMINAZIONE AL DI FUORI DELLA GERARCHIA OCCUPAZIONALE = collocare i lavoratori immigrati al di fuori della struttura organizzativa, come il ricorso a contratti breve termine. 3. DISCRIMINAZIONE ATTRAVERSO IL TRATTAMENTO EGUALITARIO = applicazione di regole universalistiche a casi e situazioni che meriterebbero una maggiore flessibilità e considerazione delle diversità. 4. DISCRIMINAZIONE NELLE RELAZIONI DI LAVORO QUOTIDIANE = alle vessazioni informali e ricorrenti, inflitte dai compagni e dagli immediati superiori ai lavoratori immigrati. Una classificazione più analitica consente di individuare 6 tipi di discriminazione: 1. NELL’ACCESSO ALL’IMPIEGO = gli immigrati sono colpiti da più alti livelli di disoccupazione 2. MODALITA’ DI ASSUNZIONE = 3. CONCENTRAZIONE SETTORIALE E OCCUPAZIONALE = 4. OPPORTUNITA’ DI CARRIERA 5. ESPOSIZIONE AI RISCHI INFORTUNISTICI E MALATTIE PROFESSIONALI 6. NELLA POSSIBILITA’ DI ACCEDERE AL LAVORO AUTONOMO UN’IPOTECA SUL FUTURO Due aspetti fondamentali: a. IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI PUBBLICHE = superamento delle forme ingiustificate di discriminazione istituzionale e di esclusione degli immigrati stranieri da opportunità e benefici. (Si parla anche di DISCRIMINAZIONE POSITIVA = in alcuni paesi sono introdotti dei correttivi, come quote di posti riservati o punteggi aggiuntivi nelle valutazioni per i candidati provenienti da minoranze) b. Processi di inclusione/esclusione che si producono nelle INTERAZIONI SOCIALI QUOTIDIANE . le azioni antidiscriminatorie possono erigere barriere contro le forme più esplicite di discriminazione, come quelle riferite al linguaggio; ma no possono obbligare i cittadini nazionali a sviluppare relazioni di buon vicinato o di amicizia con i residenti stranieri. CAP 12 RIFUGIATI, MIGRANTI FORZATI, MINORANZE ROM E SINTE. I RIFUGIATI: UNA CATEGORIA SEMPRE PIU’ ETEROGENEA E SEMPRE PIU’ STIGMATIZZATA. Gli spostamenti di rifugiati e richiedenti asilo per loro natura no possono essere calcolati e previsti. L’obbligo di accoglienza, sancito solennemente dal diritto internazionale, è un elemento cardine della nostra civiltà giuridica. IL RIFUGIATO IN SENSO STRETTO = definito dalla convenzione di Ginevra del 1951 come una persona che risiede al di fuori del suo paese di origine, e che non può o non vuole ritornare a causa di un “ben fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale, opinione politica”. Negli anni 90’ è stata introdotta la figura PROTEZIONE TEMPORANEA per i profughi di guerre e violenze etniche, prevedendo una durata di tre anni, o fino alla cessazione del conflitto e un successivo ritorno in patria. Figura della PROTEZIONE UMANITARIA = riferita agli sfollati e ad altre persone in condizione di pericolo simile a quella dei rifugiati, ma che dà accesso ad una tutela di grado inferiore e di incerta durata, in quanto provvisoria e reversibile. La direttiva comunitaria 83 del 2004 parla di “ PROTEZIONE SUSSIDIARIA”. La protezione umanitaria, in Italia come in altri paesi, viene concessa su basi strettamente individuali, caso per caso, tenendo in considerazione le conseguenze di un eventuale rimpatrio. Si comincia a riconoscere i diritti di protezione degli sfollati. Il legame fattori ambientali e migrazioni forzate è però materia di discussione: benchè il deterioramento dell’ambiente possa influire sulla decisione di partire, in genere si associa con altri fattori. Un’altra situazione riguarda LE SITUAZIONI DI RIFUGIO PROTRATTE. L’unhcr, ha introdotto questa nuova categoria, per identificare le persone sradicate da cinque o più, mentre altri parlano di “rifugiati dimenticati” RIFUGIATI DI RITORNO = La maggior parte di quelle che nel complesso vengono identificate come MIGRAZIONE FORZATE avvengono tra paesi confinanti, generalmente nell’ambito di quello che chiamiamo Terzo Mondo.è vero che le diminuite opportunità di immigrazioni per lavoro hanno provocato idnirettamente un maggiore ricorso alla strada del rigugio politico o umanitario come porta di ingresso nei paesi a sviluppo avanzato. Sotto il profilo teorico esiste la possibilità che i rifugiati possono elaborare delle strategie e utilizzare la loro situazione come una risorse per cercare migliori condizioni di vita all’estero. Bisogna riconoscere che le motivazioni di chi si sposta sono molteplici. LE POLITICHE DI ACCOGLIENZA E DI GESTIONE DEI RIFUGIATI I paesi riceventi più interessati dai flussi migratori hanno reagito inasprendo i criteri di accesso. Zetter osserva che la questione dei rifugiati è stata spinta in primo piano nell’agenda europea dall’aumento delle richieste d’asilo presentate in Europa tra la fine degli anni 80 e il 1992. Va ricordato l’accordo di SCHEGEN del 1985 e la Convenzione di Dublino del 1990. Questi accordi hanno abbassato la qualità della sicurezza garantita ai richiedenti asilo, proibendo le domande multiple e limitando il diritto a richiedere lo status in un solo stato. Dell’ UE. TRATTATO DI AMSTERDAM 1997 = tratta congiuntamente immigrazione e asilo politico e fornisce un quadro più organico e coerente alle politiche in materia. Purtroppo ha avuto l’effetto di diminuire la sicurezza umana dei rifugiati richiedenti asilo. SCHIAVONE riconduce le strategie a tre assi principali: 1. Una progressiva precarietà della protezione offerta a chi approda sul territorio europeo 2. Il ricorso sempre più esteso a forme di internamento, anche per periodi molto lunghi 3. Tentativi di esternalizzare le procedure di accoglienza e di esame delle domande di asilo al di fuori dei confini dell’UE. La formazione di una popolazione dallo status precario, incerto e reversibile, soggetta all’eventualità del rimpatrio forzato oppure del passaggio ad una condizione di permanenza irregolare sul territorio. Si vengono a creare misure come IL CONFINAMENTO nei campi che tendono a separare i rifugiati dalle società ospitanti. Sono molti i casi in cui il rifugiato subisce una declassamento sociale. Dove non ha funzionato l’accoglienza istituzionale, sono state le sanatorie per i lavoratori immigrati a risolvere il problema del permesso di soggiorno. In questo ambito è possibile distinguere tre modalità delle politiche volte a fronteggiare la questione dei migranti forzati.: 1. La chiusura senza alternative = 2. L’accoglienza senza interazione = scelta più praticabile quando non è possibile respingere i richiedenti asilo. 3. L’integrazione senza accoglienza = percorso riservato ai migranti forzati. 4. Saldatura tra accoglienza umanitaria e percorsi di integrazione = i rifugiati arrivati come richiedenti protezione diventano soggetti in gradi di provvedere alle proprie esigenze.