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SOLO TRADUZIONE DEL PRIMO LIBRO DELL'ENEIDE, Traduzioni di Letteratura latina

QUESTO DOCUMENTO COMPRENDE LA SOLA TRADUZIONE DEL LIBRO I DELL'ENEIDE

Tipologia: Traduzioni

2021/2022

In vendita dal 09/01/2024

elena.muti
elena.muti 🇮🇹

5

(2)

31 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica SOLO TRADUZIONE DEL PRIMO LIBRO DELL'ENEIDE e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! ENEIDE LIBRO I PROTASI ED INVOCAZIONE (1-11) Canto le armi e l’uomo che per primo dalle spiagge di Troia, profugo per fato, venne in Italia e ai lidi lavinii, molto di terra in terra e per mare fu sbattuto da forze divine a causa dell’ira implacabile della spietata Giunone molto anche di guerra patì, purché fondasse una città e portasse gli dèi nel Lazio, onde la stirpe Latina e i padri albani e le mura della grande Roma. Musa, ricordami le cause, per quale divinità offesa o di che dolendosi la regina degli dèi abbia costretto un uomo, insigne per pietà, ad affrontare tante vicende, a subire tante fatiche. Così grandi le ire degli animi celesti? GIUNONE ADIRATA (12-80) Ci fu un’antica città, coloni di Tiro la occuparono, Cartagine, di fronte l’Italia e lontana dalle foci del Tevere, ricca di tesori e aggressiva nelle arti della guerra; che si dice Giunone abbia preferito lei sola fra tutte le terre posposta a Samo: qui le sue armi, qui il carro ci fu; già da allora la dea aspira e desidera che qui sia il regno sulle genti, se i fati lo permettano. Ma infatti aveva sentito che dal sangue troiano sarebbe nata una progenie che un giorno avrebbe scalzato le fortezze di Tiro; che un popolo dominatore, esteso e superbo nella guerra sarebbe venuto per la distruzione della Libia: così filavano le Parche. Saturnia temendo ciò e memore della guerra antica che per prima aveva combattuto a Troia in favore della cara Argo: non ancora erano scomparse dall’animo le cause di ire e i dolori aspri; rimane radicato nel profondo dell’animo il giudizio di Paride e l’ingiuria della bellezza disprezzata e la razza odiosa e gli onori del rapito Ganimede: infiammata da ciò, sbalzati su tutta la distesa marina i Troiani, superstiti dei Danai e del crudele Achille, li allontanava molto dal Lazio e per molti anni erravano, condotti dai destini, per tutti i mari. Fondare la stirpe romana era di grande fatica. Appena alla vista della terra siciliana, lieti spiegavano le vele verso l’alto mare e fondevano le onde spumose del mare col bronzo, quando Giunone conservando la ferita eterna dentro il cuore queste cose tra sé: “Che io sconfitta debba desistere dall’impresa, e non possa distogliere dall’Italia questo sovrano di Teucri? Certo ne sono impedita dai fati. Pallade poté incendiare la flotta degli Argivi e sommergere gli stessi nel mare per la colpa e la furia del solo Aiace Oileo? Ella stessa, scagliando dalle nubi il fulmine rapido di Giove disperse le navi e sconvolse i flutti con i venti, quello, esalando le fiamme trafitto dal petto, travolse con un turbine e infisse su uno scoglio acuto; e io, che incedo regina degli dèi, e di Giove sono la sorella e coniuge, faccio guerra con un popolo da tanti anni. E chi mai d’ora innanzi, onorerà la divinità di Giunone o supplichevole offrirà sacrifici agli altari? La dea volgendo tra sé tali pensieri nel cuore infiammato venne in Eolia, patria dei nembi, luoghi pieni di venti furenti. Qui il re Eolo, in un vasto antro, tiene in potere i venti che si oppongono E le tempeste sonore e li frena con catene e carcere. Quelli indignandosi, fremono con grande boato dal monte, intorno alle serrature; Eolo siede su una rocca elevata, tenendo lo scettro, e calma gli animi e tempera le ire. Se non facesse così, certamente rapidi porterebbero con sé e trascinerebbero per l’aria i mari e le terre e il cielo profondo. Ma il padre onnipotente, temendo ciò, rinchiuse in spelonche cupe e pose sopra una mole e di monti alti e diede un re che con legge sicura sapesse trattenere questi e lasciare allentate le briglie. Verso di lui allora Giunone supplichevole usò queste parole: e che una tempesta era stata scatenata e che le acque erano state sconvolte dai fondi più bassi, gravemente turbato; e rimirando intorno l’alto mare sollevò il placido capo sulla superficie delle onde. Vide la flotta di Enea dispersa per tutto il mare, i Troiani sopraffatti dai flutti e dal furore del cielo. Né gli inganni e le ire di Giunone rimasero ignoti al fratello. Chiama a sé Euro e Zefiro, dopo dice tali cose: “Voi possedete tanta fiducia della vostra razza? Già, o venti, osate sconvolgere il cielo e la terra, senza il mio volere, e sollevare grandi masse d’acqua? Che io…? Ma meglio calmare i flutti agitati. Dopo pagherete a me le colpe con pena non diversa. Affrettate la fuga, e dite al vostro re queste cose: “Non a lui fu dato l’impero del mare e il tridente terribile, ma a me. Egli possiede le rupi immense, le vostre case, o Euro! Eolo si agiti in quella reggia e regni nel chiuso carcere dei venti”. Così parla, e più presto del detto, placa i flutti agitati, e disperde le nubi ammassate e riconduce il sole. Cimotoe e Tritone insieme facendo grandi sforzi liberano le navi dallo scoglio aguzzo; egli stesso solleva con il tridente e apre le vaste sirti e calma il mare e sfiora la superficie delle onde con le ruote leggere. E, come spesso quando è scoppiata una rivolta in una gran folla, e la plebe ignobile inferocisce gli animi e già volano fiaccole e sassi, e il furore porge le armi; allora, se per caso videro un uomo insigne per pietà e per meriti, fanno silenzio e stanno con le orecchie tese; egli frena con le parole gli animi e placa i cuori: così tutto il frastuono del mare cessò, dopo che il dio guardando le acque e trasportato sotto un cielo rasserenato dirige i cavalli e rallenta le briglie, volando nel cocchio rapido. GLI ENEADI SULLE COSTE DELLA LIBIA (157-222) Gli Eneadi, stancati, si sforzano di raggiungere di corsa i lidi che sono più vicini e si volgono alle spiagge della Libia. Il luogo è in un ampio seno: un’isola forma un porto con l’ostacolo dei fianchi, contro i quali ogni onda dall’alto mare s’infrange e si rompe in seni respinti indietro. di qua e di là, vasti dirupi e due scogli si ergono minacciosi al cielo, sotto la cima dei quali i mari tranquilli tacciano per largo spazio; inoltre, in alto, sovrasta un luogo ombreggiato da alberi corruscanti, e un bosco nero per ombra orrida; sotto la faccia opposta, una grotta dai macigni pendenti, dentro acque dolci e sedili di pietra viva, soggiorno di ninfe. Qui nessun cordame trattiene le stanche navi, l’ancora non lega col morso adunco. Enea approda qui con sette navi raccolte e tutto il numero, i Troiani sbarcati con gran desiderio della terra occupando la spiaggia desiderata e sulla spiaggia adagiano le membra stillanti di salsedine. E dapprima Acate trasse la scintilla dalla selce e appiccò il fuoco alle foglie e diede intorno alimenti secchi e suscitò la fiamma nell’esca. Allora, stanchi per le sventure, sciolgono il frumento avariato dalle onde e gli utensili di Cerere, e si apprestano a bruciare con le fiamme e a macinare con la pietra le raccolte recuperate. Intanto Enea approda su uno scoglio e osserva sul mare per tutto l’orizzonte, se mai veda Anteo, sbattuto dal vento, e le frigie biremi o Capi o le armi di Caico sulle poppe alte. Scorge nessuna nave in vista, ma tre cervi erranti sul lido; interi branchi seguono questi da tergo e una lunga schiera pascola per le valli. Allora si fermò e afferrò con la mano l’arco e le saette rapide, armi che il fido Acate portava e, prima che i capi stessi che portavano alte le teste dalle corna ramose; allora abbatte il seguito e scompiglia tutto il branco cacciando con le frecce tra i boschi frondosi; né desiste prima che il vincitore stenda al suolo sette grandi corpi e ne eguagli il numero con quello delle navi. X------------------------------------------------------ Di là ritorna al porto e divide fra tutti i compagni. Dopo distribuisce i vini che il buon Aceste aveva caricato in anfore sul lido Trinacrio e che l’eroe aveva donato a coloro che partivano e conforta i cuori addolorati con tali parole: “O compagni (poiché non siamo avanti ignari delle sventure), o voi che avete sofferto mali più gravi, un dio porrà fine anche a questi. Voi avvicinaste e il furore di Scilla e gli scogli risuonanti nel profondo, voi conoscete anche le rupi dei Ciclopi: fate animo e cacciate il triste timore; forse un giorno il ricordare queste cose sarà gradito. Tra varie vicende, tra tanti pericoli miriamo al Lazio, dove i fati mostrano dimore tranquille; là è volere che i regni di Troia risorgano. Perseverate e mantenetevi per giorni migliori." Riferisce con la voce tali cose e oppresso per gli enormi affanni finge col volto fiducia, reprime nel cuore il forte dolore. Essi si accingono alla preda ed ai banchetti futuri: strappano le pelli dalle coste e mettono a nudo le carni, alcuni tagliano a pezzi e li infilano palpitanti negli spiedi, altri dispongono caldaie sulla spiaggia ed accendono il fuoco. Poi col cibo riprendono le forze, e stesi sull'erba si saziano di vecchio vino e di grassa selvaggina. Dopo che fu tolta la fame e sgombrate le mense Si domandavano, in un lungo ragionare, dei compagni perduti, tra la speranza e il timore, se debbano credere che vivano, o se che soffrano gli estremi mali e chiamati non più odano. Soprattutto il pio Enea ora piange tra sè la sorte del fiero Oronte, ora quella di Amico ed i crudeli destini che la famiglia di Assaraco opprimerà con la servitù Ftia e l’illustre Micene e dominerà sulla vinta Argo. Nascerà da bella stirpe il troiano Cesare, che limiterà l'impero all'Oceano e la fama con gli astri, Giulio, nome derivato dal grande Iulo. Un giorno tu accoglierai serena costui in cielo carico delle spoglie d'Oriente; anche questo sarà invocato con preghiere. Allora cessate le guerre, i tempi feroci si mitigheranno: la candida Fede e Vesta, Quirino insieme col fratello Remo daranno leggi; si chiuderanno col ferro e con stretti strumenti le porte della Guerra; la dentro il Furore empio sedendo sopra le armi crudeli e imprigionato da cento nodi bronzei dietro la schiena fremerà con la bocca insanguinata." Così dice e manda giù dall'alto il figlio di Maia, affinché le terre e le nuove rocche di Cartagine siano aperte per l'ospitalità ai Teucri, affinché Didone ignara del fato non li respingesse dai confini. Egli vola per l'ampia aria col remeggio delle ali e presto si fermò sulle spiagge di Libia. Ed ormai esegue gli ordini, ed i Puni lasciano le intenzioni feroci, volendolo il dio; anzitutto la regina accoglie uno spirito pacifico e una disposizione benigna verso i Teucri. VENERE ED ENEA (1.305-339) Ma il pio Enea meditando moltissimo durante la notte, appena fu data la luce vitale decise di uscire ed esplorare i luoghi nuovi, di cercare a quali spiagge si sia accostato col vento, quali esseri le occupino se uomini o belve, poiché le vede incolte, e di riferire esatte notizie ai compagni. Nasconde nella rientranza dei boschi sotto la rupe scavata la flotta chiusa attorno da alberi e da ombre oscure; egli stesso accompagnato dal solo Acate s’avanza agitando in mano due giavellotti dal largo ferro. Ma a lui la madre si fece incontro in mezzo al bosco, avendo aspetto e portamento di ragazza e le armi di una vergine spartana, o quale la tracia Arpalice stanca i cavalli e sorpassa in fuga il veloce Ebro. Infatti, secondo l'uso, la cacciatrice teneva appeso alle spalle il comodo arco e aveva lasciato sciogliere la chioma ai venti nuda il ginocchio e raccolte in un nodo i lembi ondeggianti. E per prima disse: "O, giovani, indicate se Per avventura avete veduto alcuna delle mie sorelle errante in questo luogo, cinta di faretra e della pelle di una lince maculata, o incalzante con grida la corsa d'un cinghiale spamante". Così Venere, e il figlio di Venere, in risposta incominciò a dire: "Nessuna delle tue sorelle fu da me vista né sentita, o, quale chiamerò io te, vergine? Poiché non a te volto mortale, né la voce suona umana, o dea davvero forse sorella di Febo oppure una del sangue delle Ninfe? Sii favorevole a noi, qualunque tu sia, e allevia il nostro travaglio e rivela finalmente sotto quale cielo, in quali lidi della terra siamo sbalzati: ignari sia delle persone che dei luoghi erriamo spinti qui dal vento e dai vasti flutti. Molte vittime cadranno per mano nostra, in tuo onore, dinanzi alle are”. Allora Venere: “Non mi degno di tale onore; per ragazze tirie è costume portar la faretra e cingere in alto le gambe con calzare purpureo. Vedi regni fenicii, i Tirii e la città di Agenore; ma il territorio dei libii, razza invincibile in guerra. LA STORIA DI DIDONE (1.340 - 417) Regge l’impero, Didone partita dalla città Tiro, fuggendo il fratello. L’ingiuria è lunga, lunghe le peripezie ma seguirò i punti principali degli avvenimenti. A costei era sposo Sicheo, il più ricco dei Fenici per territorio e amato dalla misera con grande amore, a lui il padre l'aveva data intatta e l'aveva unita con primi voti. Ma teneva il regno di Tiro, il fratello Pigmalione, più feroce di tutti gli altri per scelleratezza. Tra essi venne in mezzo il furore. Quell’empio E accecato dall’amore dell'oro, incurante degli amori della sorella, di nascosto, trapassa col ferro, davanti agli altari, Sicheo impreparato; e celò lungo tempo l’assassinio e il malvagio simulando molte cose ingannò l’amante addolorata con vana speranza. Ma l’immagine stesa del consorte insepolto venne a lei in sogno; sollevando il volto pallido in modo incredibile, mostrò gli empi altari e il petto squarciato dal ferro e svelò tutto l’occulto misfatto della casa. Allora esorta ad affrettare la fuga e ad uscire dalla patria e come aiuto per la via rivelò antichi tesori sottoterra, una massa ignorata d’argento e d’oro. Didone commossa da tali, preparava la fuga e i compagni. Convengono quelli che avevano o l’odio feroce o il timore greve del tiranno; s’impossessano delle navi che per caso eran pronte e le caricano d'oro. Le ricchezze dell'avaro Pigmalione sono trasportate per mare; una donna è capo dell'impresa. Giunsero nei luoghi, dove ora vedrai le grandi mura e la rocca che sorge della nuova Cartagine, e comprarono un suolo, Birsa dal nome del fatto, quanto potessero circondare con una pelle di toro. Ma finalmente voi chi siete? E da quali spiagge veniste? E dove dirigete il cammino? Egli sospirando E traendo la voce dal profondo del petto con tali parole: "O dea, se riferendomi dalla prima origine continuassi a narrare E tu attendessi ad ascoltare la storia delle nostre sventure Prima il Vespero porrebbe fine al giorno, l’Olimpo essendo stato chiuso. Una tempesta, per suo fatal volere, spinse alle spiagge esclama Enea e guarda i fastigi della città. Cinto dalla nube, mirabile cosa a dirsi, si avanza In mezzo e si frammischia agli abitanti e non è scorto da alcuno. IL TEMPIO DI GIUNONE A CARTAGINE (1.441- 493) Un bosco fu nel mezzo alla città, lietissimo d'ombra, nel qual luogo dapprima i fenicii, gettati dalle onde e dal turbine, scavarono un augurio che la regale Giunone aveva indicato, la testa di un cavallo focoso: poiché così che quel popolo sarebbe forte in guerra e di facile vita durante i secoli. Qui la sidonia Didone fabbricava un gran tempio a Giunone, ricco di doni e della protezione della dea, sui gradini del quale soglie di bronzo e stipiti fermati col bronzo sorgevano, il cardine strideva sotto porte di bronzo. Una nuova cosa offertasi in questo luogo, calmò per la prima volta il timore, qui per la prima volta Enea osò sperare salvezza e aver più fiducia nelle affizioni. Infatti, mentre aspettando la regina esamina ogni cosa nel Vasto tempio, mentre ammira tra sé quale Fortuna sia in città e le opere degli artisti e il lavoro Laborioso, vede per ordine le iliache battaglie E le guerre, già divulgate dalla fama per tutto il mondo, gli Atridi e Priamo e Achille funesto ad entrambi. Si fermò e piangendo disse "O Acate, quale luogo ormai, quale regione sulla terra non piena della nostra sventura? Ecco Priamo. Le ricompense dovute si rendono anche qui al merito. ci sono lacrime per le sventure e le disgrazie degli uomini toccano il cuore. Deponi il timore; questa fama ti porterà qualche salvezza”. Così dice e gemendo molto pasce l’anima Con la pittura vana e bagna il volto con largo fiume. Poiché vedeva come da un lato i Greci, combattenti intorno A Troia, fuggissero, la gioventù troiana incalzasse; dall’altro i Frigi Achille dall’elmo crestato inseguisse sul cocchio. Non lontano di qui piangendo ravvisa le tende di Reso Dalle bianche vele, che prese a tradimento nel primo sonno, il sanguinoso Tidide devastava con molta strage, e trascina via all’accampamento i cavalli ardenti, prima che avessero gustato i pascoli di Troia e bevuta l’acqua dello Xanto. Da un'altra parte Troilo, giovinetto infelice e con forze ineguali Azzuffandosi con Achille, perdute le armi, fuggendo è portato Dai cavalli e supino pende dal carro vuoto tenendo tuttavia Le briglie: a questi e il collo e le chiome son trascinati Per terra e la polvere è solcata dall’asta capovolta. Intanto le matrone d’Ilio coi capelli sciolti si recavano Al tempio di Pallade con favorevole e tristi in atto supplichevole E battendo il petto con le mani offrivano un peplo; la dea rivolta teneva gli occhi fissi al suolo. Achille tre volte aveva trascinato Ettore attorno alle mura d’ilio e vendeva il corpo esamine a prezzo d’oro. Allora poi manda un gran gemito dal più profondo del petto Quando scorse le spoglie e il carro e il cadavere stesso Dell’amico e Priamo tendente le mani inermi. Riconobbe pure sé stesso mischiato ai principi achei, e le schiere orientali e le armi del nero Memnone. Pentesilea furiosa guida le schiere delle Amazzonidi dagli lunati scudi e fermando l’aurea cintura sotto la mammella scoperta arde in mezzo a mille e vergine guerriera osa azzuffarsi coi prodi. L'ARRIVO DELLA REGINA DIDONE (1.494- 519) Mentre queste cose mirabili sono osservate dal dardanio Enea, mentre stupisce e rimane assorto in questa sola vista, la regina Didone, bellissima d'aspetto, si avanzò verso il tempio, una grande folla di giovani attorniandola. Quale Diana guida le danze sulle rive dell'Eurota O per i gioghi di Cinto, cui mille Oreadi Seguendola si adunano intorno da ogni parte; ella porta La faretra all’omero e camminando sopravanza le ninfe tutte (la gioia penetra nel segreto cuore di Latona): Didone era tale, lieta recarasi tale In mezzo, intenta alle opere e al regno futuro. Poi cinta d’armati e sostenuta alto da un trono Si assise davanti alla cella della dea, sotto la volta di mezzo del tempio. Dava giudizi e leggi agli uomini e distribuiva in parti Uguali o traeva in sorte la fatica dei lavori: quando Enea vede improvvisamente sopraggiungere in mezzo a gran folla Anteo o Sergesto e il forte Cloanto o altri dei Teucri, che l’altra procella aveva dispersi nel mare e aveva gettato lontano su altre spiagge. Ad un tempo egli stesso stupì, ad un tempo Acate preso E da gioia e da timore: ansiosi ardevano di stringer le destre, ma la situazione incerta turba animi. Dissimulano e avvolti dalla cava nube, osservano quale sorte a quegli uomini, su qual lido lascino la flotta, a che scopo vengano; poiché scelti da tutte le navi andavano ad implorare perdono e si dirigevano al tempio fra le grida. IL DISCORSO DI ILIONEO (1.520 - 560) Dopoché furono entrati e ottenuta la facoltà di parlare al cospetto (della regina) Ilioneo, il più autorevole cominciò così, con animo calmo: “O regina, cui Giove ha concesso di fondare una nuova Città e di tenere a freno colla giustizia popolazioni fiere, noi, miseri Troiani trasportati dai venti per tutti i mari, supplichiamo te: tieni lontani i fuochi orribili dalle navi, fa grazia ad un popolo pio, e guarda più da vicino le nostre cose. Noi non veniamo o a devastare colle armi i Penati Rifulse nella chiara luce; poiché la madre stessa aveva ispirato sul figlio una chioma bella e uno splendido lume di giovinezza e grazie soavi occhi, come le mani aggiungono decoro all’avorio, o come quando l’argento o il marmo Paro è circondato dall’oro biondo. Allora così subito si rivolge alla regina ed a tutti improvviso dice: "Enea troiano, che voi cercate, scampato dalle onde della Libia sono presente davanti a voi”. O tu sola che sola avesti pietà dei travagli indicibili di Troia, che accogli noi nella tua città, in casa tua noi resti dei Danai, esausti già da tanti rischi di terra e di mare bisognosi di tutto: renderti ringraziamenti degni non è in nostro potere, Didone, nè è in potere della stirpe dardania, il quale è sparso per il vasto mondo. Gli dèi, se qualche divinità guarda i pii, se qualche cosa di giustizia È in qualche luogo e un animo consapevole a sé stesso del bene, portino A te ricompense adeguate. Quale età felice produsse te? Quali genitori nobili ti generarono tale? Finchè i fiumi correranno al mare, finchè le ombre percorreranno I dorsi dei monti, finchè il cielo alimenterà le stelle, la tua grazia E il nome tuo e i tuoi meriti rimarranno sempre in me. Qualunque siano le terre che chiamano me”. Detto così, stringe l'amico Ilioneo con la destra e con la sinistra Seresto, poi gli altri, il forte Gia ed il forte Cloanto. ACCOGLIENZA OSPITALE DI DIDONE (1.612-636) La Sidonia Didone stupì dapprima al vederlo, poi a sì grande sventura dell'eroe, e parlò così: "Quale destino, figlio di dea, ti perseguita in mezzo a sì grandi pericoli? Quale potenza spingi a spiagge barbare? Tu, dunque, sei quell'Enea che l’alma Venere generò al dardanio Anchise presso l'onda del frigio Simoenta? E certo mi ricordo che Teucro venne a Sidone cacciato dalle terre paterne, cercando un nuovo regno coll'aiuto di Belo; allora il padre Belo saccheggiava la ricca Cipro e vincitore la teneva in potere. Già da quel tempo mi era nota la sorte della città troiana ed il tuo nome ed i re pelasgi. Lo stesso nemico innalzava i Teucri con grande lode e si voleva nato dall'antica stirpe dei Teucri. Perciò suvvia, o giovani, entrate nelle nostre case. Una sorte simile volle che io pure sbattuta tra tanti affanni mi fermarsi finalmente in questa terra; non ignara del male, so soccorrere i miseri". Così dice; nello stesso tempo guida Enea nelle regali palazzi, contemporaneamente indice lodi nei templi deli dei. Intanto invia, per i compagni, alla spiaggia, non di meno venti tori cento irsute schiene di grossi porci, cento grassi agnelli con le madri, regali e gioia del giorno. Intanto lo splendido palazzo interno è addobbato con lusso regale e preparano il banchetto nel centro della reggia: Tappeti lavorati con arte e con porpora magnifica, gran vasellame d’argento sulle mense e le imprese egregie dei padri cesellate su oro, serie lunghissima di azioni fatta da tanti eroi dall'antico inizio della stirpe. Enea, (poichè l'amore paterno non lasciò che l’animo Avesse pace), manda avanti veloce Acate, alle navi porti queste cose ad Ascanio e lo guidi alla città; ogni pensiero del caro padre è per Ascanio. Inoltre ordina di portare doni strappati alle rovine iliache, un manto rigido per oro e ricami ed un velo intessuto di croceo acanto, ornamenti dell'argiva Elena, che ella aveva portato da Micene dirigendosi a Pergamo ed alle nozze proibite, dono mirabile della madre Leda; inoltre, uno scettro che Ilione la maggiore delle figlie di Priamo, aveva portato un tempo, ed un monile per collo gemmato, ed una doppia corona di gemme ed oro. Così affrettando il cammino, Acate andava alle navi. VENERE PREPARA INGANNI (1.657- 696) Intanto Citerea medita in cuore nuovi artifici, nuovi piani, perchè Cupido cambiato l'aspetto ed il volto venga al posto del dolce Ascanio, e con doni accenda la furente regina ed avvolga il fuoco nelle ossa. Certamente teme la casa ambigua ed i Tirii falsi; brucia la crudele Giunone e la pena ritorna di notte. Perciò con queste parole parla ad Amore alato: "Figlio, mia forza, unico, tu solo mia grande potenza, figlio, che non curi i dardi tifei del sommo padre, mi rifugio in te e supplichevole invoco il tuo potere. Come tuo fratello Enea sia sbattuto in mare per tutti i lidi per gli odi della feroce Giunone, ti sono cose note, e spesso ti dolesti del mio dolore. La fenicia Didone lo ospita e lo trattiene con blande parole e temo dove le ospitalità di Giunone si volga: non cesserà in un momento sì grave. Per questo io penso di prendere prima con inganni e legare con fiamma la regina, affinché non si cambi per qualche divinità, ma sia presa con me dal grande amore per Enea. Ascolta ora il mio pensiero, in qual modo tu possa far ciò: il regale fanciullo, mia grandissima cura, per invito del diletto padre si appresta ad andare nella città sidonia portando doni scampati al mare e dalle fiamme di Troia; io nasconderò questi assopito nel sonno in un luogo sacro, sull’alta Citera o sul monte Idalio, affinché non possa conoscere