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Analisi del testo: Marino, Adone, Canto VII, 32-39, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Analisi del testo delle ottave 32-39 del Settimo Canto dell'Adone di Giovan Battista Marino, comprendente di spiegazione, contesto, analisi linguistica e strutturale, interpretazione

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022
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Caricato il 16/04/2022

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giuls01_ 🇮🇹

4.5

(42)

27 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi del testo: Marino, Adone, Canto VII, 32-39 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Giovan Battista Marino, Adone Canto VII, 32-39 Le ottave tratte dal settimo canto dell’Adone sono un elogio pronunciato da Mercurio per la “sirena de’ boschi”, una delle numerose metafore con cui l’autore definisce l’usignolo, che si appresta a lodare per il suo canto. Venere sta conducendo Adone nel giardino del piacere per giungere fino al suo pianeta, con lo scopo di iniziarlo alla conoscenza dei piaceri attraverso la sperimentazione di essi e quindi attraverso i cinque sensi. Il giardino del piacere è, infatti, costruito secondo l’anatomia umana. Dopo aver attraversato il giardino della vista e il giardino dell’olfatto, Adone giunge nel giardino dell’udito, in cui saprà apprezzare la bellezza della poesia e della musica. Ovviamente la musica, e il canto in particolare, è personificato dall’uccello che più di tutti si distingue per il suo canto variegato e delicato. Sarà Mercurio a prendere la parola e ad intessere una lode per questo “lascivetto cantor”, in cui si imbatte Adone nel suo percorso. Come ci aspetteremmo da un poeta barocco, dal “poeta dell’ekphrasis”, Marino si sofferma in un’attenta ed articolata descrizione dell’usignolo, che si apre con un’aggettivazione sovrabbondante, proposta in coppie collocate nello stesso luogo del verso (vago e gentile, tremulo e sottile). Nell’ottava 32 troviamo la prima grande metafora con cui Marino definisce quest’uccellino e con cui fa sfoggio dell’ingegno barocco, “ sirena de’ boschi”: l’elemento che congiunge i due elementi della metafora – a primo impatto oscura, come prevede lo stile barocco – è la seduzione, che accomuna le sirene – soprattutto per memoria omerica – e l’usignolo, il cui canto seduce e incanta. L’usignolo è colui che è capace di trasformare una lingua in mille: questa potrebbe essere definita una “reificazione della metafora”, cioè la metafora viene trasfigurata in un dato concreto e reale, come se l’usignolo avesse realmente all’interno del proprio becco mille lingue. L’ottava 33 si apre con un’allitterazione (musico, mostro, meraviglia); infatti, l’autore inizia a descrivere il canto dell’usignolo e propone una descrizione visiva, che quasi vuole riprodurre la varietà della modulazione del canto, servendosi di un procedimento per accumulazione (or tronca, or la ripiglia, or la ferma, ora la torce, or la scema, or piena, or la mormora, or l’assottiglia). Ma questa varietà viene poi ricondotta tutta all’interno di una melodia, il caos viene riportato all’interno del cosmos. Le ottave 34 e 35 sono intrise di tecnicismi attinti dalla poesia e dalla musica, con cui Marino esibisce la propria erudizione. L’uccellino, infatti, viene descritto come se fosse un poeta o un musicista e sembra un imitatore dei suoni di tutti gli strumenti; in realtà, viceversa è l’usignolo ad aver dato l’origine a questi strumenti (“cetra flauto liuto organo e lira”, elencati per accumulazione) ed è come se nel suo canto li possegga tutti. In linea con l’invito ad abbandonarsi totalmente al piacere e alle sensazioni – uno dei fili rossi del poema – anche l’usignolo prova piacere nel cantare e, pertanto, viene definito “ lascivetto cantor”, dedito a quello che sta facendo fino ad abbandonarsi del tutto a ciò. L’ottava 35 rappresenta anche visivamente questo saliscendi nella modulazione della voce dell’usignolo con un parallelismo tra il quarto e il sesto verso (“in alto essala […] a piombo alfin si cala”). Oltre all’uso di tecnicismi e di un lessico specialistico, in quest’ottava sono presenti termini di quel tempo: molce (che significa “addolcisce”), laura (“l’aria”), folce (“nutre”). L’ottava 36 è il trionfo della metafora barocca, che viene esplicitata attraverso una similitudine ( “par ch’…”), che gira attorno a due concetti, il movimento e l’energia: la lingua dell’usignolo sembra, infatti, “rapida rota o turbine veloce” oppure “spada di schermidor destro e feroce”. Più avanti, viene definito anche “spirto del ciel”, quindi spirito celeste. È il trionfo della metafora barocca perché Marino sta confluendo attorno alla figura dell’usignolo l’intero mondo sensibile, perché l’usignolo è metafora del mondo intero e di conseguenza metafora della condizione umana, della molteplicità dell’essere. Ecco che nell’ottava 37 la presenza del barocco si fa ancora più intensa ed è centrale l’idea che il piccolo contiene il grande: l’usignolo è “animetta sì piccola” e “atomo sonante”, due elementi estremamente piccoli, quasi impercettibili, che però posseggono una forza immane. Nell’ottava si ravvisa anche una