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Analisi del testo: Marino, Adone, Canto VIII, 1-6; 116; 119; 147, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Analisi del testo delle ottave 1-6, 116, 119, 147 dell?ottavo Canto dell'Adone di Giovan Battista Marino, comprendente di spiegazione, contesto, analisi linguistica e strutturale, interpretazione

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022
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Caricato il 16/04/2022

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giuls01_ 🇮🇹

4.6

(40)

27 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi del testo: Marino, Adone, Canto VIII, 1-6; 116; 119; 147 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Giovan Battista Marino, Adone Canto VIII, 1-6; 116; 119; 147 “I trastulli”: è questo il titolo dell’ottavo canto dell’Adone; si comprende subito quale sia il tema centrale e il messaggio che l’autore vuole veicolare. È il canto in cui Adone e Venere, nel giardino del tatto, l’ultima tappa nel giardino del piacere, vengono uniti in matrimonio da Mercurio e, in maniera del tutto rivoluzionaria, per la prima volta nella letteratura italiana si assiste ad un amplesso; Marino in queste ottave descrive l’unione di due anime, ma anche di due corpi, in tutta la loro fisicità, e avvisa il lettore fin dall’inizio. Le prime sei ottave, infatti, costituiscono il proemio del canto, che si configura come un’avvertenza, in cui l’autore esplicita i destinatari del canto, che sono i giovani, i quali possono godere pienamente della bellezza dell’amore. Ottave 1-6 Come per ogni canto, questo è preceduto dall’allegoria, che espone il significato morale del canto, e dall’argomento. L’allegoria è posta in termini ironici, poiché dice l’esatto contrario di quello che Marino fa nel poema. L’insegnamento morale che Marino vorrebbe proporre, in linea con la morale cristiana, una morale repressiva, è che il piacere porta alla perdizione e al dolore e per questo il piacere è presentato in termini negativi: è “scelerata opinione” quella “di coloro che posero il sommo bene ne’ diletti sensuali” e Adone, spogliandosi dei propri vestiti, si spoglia anche “degli abiti buoni e virtuosi”, restando privo di qualunque costruzione sociale, incapace di distinguere il bene dal male. L’autore sembra guardare con disprezzo e, di conseguenza, presentare al lettore in un’ottica negativa “ le lusinghe della carne licenziosa e sfacciata”. In realtà, sappiamo bene che non è così e lo si capisce già dal titolo del canto e dalle prime ottave. La morale che, invece, Marino propone è un invito al piacere, al godimento delle sensazioni. L’autore si rivolge ai “giovani amanti e donne innamorate”. In soli due versi ricorre per ben tre volte l’idea dell’amore, proposta in anastrofe nei termini amanti, innamorate, amor. L’intento di Marino è chiaro: vuole presentare immediatamente la materia del canto, che è il canto dell’amore, il canto in cui trionfa il desiderio amoroso e viene portato a compimento l’incontro tra i due amanti. Dopo aver dichiarato a chi si rivolge, adesso nella seconda ottava l’autore specifica a chi non si rivolge. Il canto non è indirizzato ai vecchi, che provano invidia nei confronti dei giovani, in grado di godere dell’amore, al contrario loro. Incapaci ormai di provare questa esperienza, la negano agli altri. Inoltre, non è opportuno che proseguano la lettura coloro che si ritengono onesti e incorruttibili. Marino sta avvisando il lettore del fatto che la materia esposta è licenziosa e non vuole ricevere nessuna accusa o censura, dal momento che egli ha avvertito fin dall’inizio il suo pubblico. L’autore non si rivolge nemmeno agli ipocriti che vedono nel bene solo i difetti, che vedono solo le spine della rosa, ignorando la rosa, quindi rifiutando di comprendere il valore del piacere. Chi, invece, è innamorato saprà trarre godimento da questa lettura “senza incendio o ferita”, cioè senza subire alcun effetto negativo. Tale concetto è esposto, poi, nell’ottava 5 in forma di metafora: l’ “ape benigna” e la “vipera crudele” si nutrono allo stesso modo, ma la prima produce il miele, mentre la seconda il veleno. Il prodotto non dipende dal nutrimento, bensì da “gl’instinti o buoni o rei”. Marino sta narrando la realtà, il mondo così com’è, sta poi al lettore saper interpretare l’oggetto del suo canto e ricavarne o miele o veleno. A sublimare la difesa della “molle e lusinghiera musa” è Marziale, che Marino cita a conclusione del proemio, prima di iniziare la narrazione: “ché, s’oscena è la penna, è casto il core”. Ottava 116 È il momento in cui “due alme un’alma e son duo cori un core”. La potenza descrittiva del brano consiste nella straordinaria arguzia di Marino, che illustra l’episodio attraverso la contrapposizione di due piani descrittivi opposti e complementari: l’unione di Venere e Adone è narrata contemporaneamente dal punto