Scarica appunti biologia molecolare applicata e più Sbobinature in PDF di Biologia Applicata solo su Docsity! Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 1 ~ -Per questa registrazione riferirsi al file PDF “A1-Epigenetica-PTMistoni”- RIPASSO GENERALE BIOLOGIA MOLECOLARE. La struttura della cromatina. Il DNA di qualsiasi genoma e di qualsiasi organismo è estremamente più lungo del “contenitore” nel quale si trova, sia esso un virus, un batterio o il nucleo di una cellula eucariotica. La struttura terziaria di questo acido nucleico a doppio filamento è estremamente regolata e in tutti gli eucarioti segue essenzialmente le stesse regole. L’unita base della cromatina è il nucleosoma ossia all’incirca 200 paia di basi, che compiono due giri e mezzo attorno a un ottetto proteico, costituito da due copie di quattro proteine, che sono date dalle quattro proteine istoniche, H2A, H2B, H3 e H4. Il grado di avvolgimento del DNA attorno all’ottetto istonico influenza la sua accessibilità ai fattori di trascrizione e si definisce eucromatina quelle regioni del genoma particolarmente deconvolute, ovvero non eccessivamente compattate, in cui i fattori di trascrizione riescono in qualche modo a legare il DNA; tutto il resto del DNA viene definita eterocromatina, che può essere costitutiva o facoltativa. L’eterocromatina è data da tutte quelle regioni del genoma, che in genere non contengono sequenze geniche e che svolgono una funzione più strutturale, come le regioni centromeriche, le regioni telomeriche e come le regioni di ancoraggio alla matrice nucleare. Tutte queste regioni del genoma appaiono al microscopio elettronico più elettrondense, ovvero più scure (nere, e vengono considerate trascrizionalmente inattive. Esistono poi una ampia porzione del genoma che può presentarsi sia come eucromatina che come eterocromatina, ossia quelle regioni in cui il grado di compattamento cambia a seconda della fisiologia della cellula in quel determinato momento, e questo tipo di cromatina viene chiamata eterocromatina facoltativa, ossia delle regioni del genoma che possono presentarsi sotto forma di eucromatina o di eterocromatina. Il prototipo dell’eterocromatina facoltativa è il cromosoma X. In molti eucarioti c’è uno sbilanciamento nel tipo di cromosoma sessuali, infatti le femmine presentano un corredo cromosomico con due X, mentre i maschi un corredo cromosomico X Y: a seconda dell’organismo che si sta osservando, onde evitare fenomeni di sovradosaggio genico, visto la presenza di due cromosomi X nella femmina, l’espressione genica a partire dal cromosoma X viene regolata in vari modi, infatti in alcuni organismi il livello di espressione a partire dai due cromosomi X femminili è la metà rispetto al livello di espressione genica del cromosoma X maschile, ovvero i geni sul cromosoma X del maschio vengono trascritti con il doppio dell’intensità rispetto a quello che avviene sui due cromosomi X femminile; in altri organismi come l’uomo, nel sesso femminile avviene una inattivazione di un cromosoma X a livello di singola cellula, inattivazione che avviene attraverso un meccanismo che rende la scelta del cromosoma X da inattivare assolutamente casuale, ovvero un cromosoma X viene inattivato casualmente in ogni tipo cellulare. Ecco perché in questo caso si tratta di eterocromatina di tipo facoltativo, perché può essere tanto eterocromatina che eucromatina in quel determinato cromosoma. (vedi slide n°67) In questa immagine si può vedere un nucleo eucariotico in interfase, in cui le regioni più scura sono quelle eterocromatiche, mentre quelle più chiare meno elettrondense quelle eucromatiche. All’interno del nucleo si possono individuare dei distretti e in particolar modo c’è una regione o più regioni che appaiono sempre particolarmente chiare e che sono nucleoli. I nucleoli sono le regioni del Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 2 ~ nucleo, che contengono i geni che codificano per l’RNA ribosomiale. I geni che codificano per gli RNA ribosomiali sono geni mediamente ripetuti, ovvero si hanno copie geniche nell’ordine delle migliaia che codificano per gli RNA ribosomiali, che sono sempre intensamente trascritti in tutti i tipi cellulari, quindi qualsiasi tipo cellulare, anche le cellule post-mitotiche fanno una traduzione molto attiva. Per cui, in maniera riassuntiva, i nucleoli rappresentano quella regione del nucleo in cui la cromatina appare particolarmente deconvoluta. Tra il DNA interfasico, che è presente all’interno del nucleolo e rappresenta la situazione di massima distensione della molecola di acido nucleico, e il cromosoma metafasico, che rappresenta invece il massimo grado di compattamento del DNA nella cellula, ci sono livelli multipli di impacchettamento, gerarchici uno rispetto all’altro. L’unità base dell’impacchettamento del DNA è il nucleosoma. Il nucleosoma è costituito da circa 200 paia di basi che compiono 1.89 giri attorno all’ottetto istonico; di queste 200 paia di basi, 46 sono quelle più saldamente legate al core proteico del nucleosoma, e le altre fanno parte del DNA linker. Le proteine istoniche, come detto in precedenza, sono quattro, H2A, H2B, H3 e H4: H3 e H4 formano un tetramero, mentre H2A e H2B formano due dimeri, che sono quelli che possono essere rimossi più facilmente dalla struttura. In questa immagine (vedi slide n°69) è rappresentata la struttura secondaria delle proteine istoniche, in cui si può notare il fatto che sono caratterizzate da strutture ad α-elica e il dominio tipico con cui si piegano queste proteine, che si chiama histone-fold (composta da 3 alfa eliche separate da 2 loop non strutturati) o dominio di ripiegamento tipico delle proteine istoniche; oltre a questo histone-fold ci sono anche delle regioni destrutturate, che costituiscono la porzione ammino-terminale delle proteine. Le porzioni ammino-terminali sono quelle che in qualche modo riescono ad insinuarsi più facilmente, attraverso la doppia elica del DNA, che sta girando attorno al core proteico, e costituiscono la porzione dell’istone che è più accessibile all’ambiente esterno. Gli istoni hanno delle caratteristiche comuni dal punto di vista della loro struttura primaria: sono proteina basiche di peso molecolare abbastanza contenuto e sono tra le proteine più conservate nel corso dell’evoluzione, cioè tra gli istoni della Drosophila e quelli dell’uomo esiste una conservazione a livello amminoacidico superiore al 98%. Oltre alle quattro proteine istoniche che costituiscono il core istonico, esistono altri istoni, ad esempio l’istone H1, che è l’istone che lega il DNA linker e che serve a compattare ulteriormente la struttura del nucleosoma; esistono anche altri istoni, come l’istone H5, che è presente solo in alcune cellule che sono trascrizionalmente inattive in alcune specie. Come detto in precedenza, queste sono delle proteine fortemente basiche, per cui c’è una forte presenza di arginine e di lisine all’interno di queste proteine, che sono dei residui amminoacidici, che possono accettare gruppi acetile (CH3CO-) e gruppi metile (-CH3). Il nucleosoma rappresenta il primo grado di compattamento della cromatina e corrisponde a una struttura che ha una dimensione di circa 10 nm, la cosiddetta “collana di perle” o fibra di 10 nm: in questa conformazione il DNA è trascrizionalmente attivo, il che vuol dire che può legare i fattori di trascrizione. Il passaggio successivo della compattazione del DNA prevede l’aggiunta dell’istone H1, che lega il DNA linker e trasforma la fibra da 10 nm in fibra da 30 nm, per cui si passa da una struttura più o meno rilassata a una fibra che ha uno spessore di 30 nm, in cui la collana di perle è ripiegata con modalità differenti. La fibra di 30 nm consiste in un grado di compattamento in cui il DNA è già trascrizionalmente inattivo, il che vuol dire che l’RNA polimerasi non è in grado di trascrivere quel tipo di struttura, infatti bisogna allontanare per lo meno l’istone H1 per far sì che l’RNA polimerasi possa svolgere il suo compito. Le code ammino-terminali sono molto Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 5 ~ I° PARTE DEL PROGRAMMA: EPIGENETICA ED ESPRESSIONE GENETICA. Struttura cromatinica ed espressione genica. La maggior parte degli esperimenti che verranno presentati da qui in avanti è stato fatto utilizzando una ranocchia tropicale (vedi slide n°81), chiamata Xenopus laevis. Il vantaggio principale di questo anfibio è quello di possedere degli oociti particolarmente grandi e, avendo come tutti gli anfibi una fecondazione esterna, le uova sono facilmente accessibili, e, avendo queste un diametro di 1 mm, sono facilmente manipolabili. Per cui si immagini di avere una cellula enorme da cui si può estrarre la cromatina abbastanza facilmente e in cui si può seguire facilmente un processo biologico. (vedi slide n°82) In questa slide si possono osservare le uova di questa rana, e a riguardo sono stati scoperti sei stadi dell’oogenesi: quello che succede all’interno di queste cellule uovo che stanno maturando è una amplificazione dei geni che codificano per l’RNA ribosomiale 5S. Durante le prime fasi di sviluppo di quasi tutti gli organismi, in genere subito dopo la fecondazione e durante le prime divisioni cellulari, non avviene il fenomeno della trascrizione a partire dal genoma dello zigote neo- formato, ma l’espressione genica necessarie per le prime fasi dello sviluppo viene assicurata dalla traduzione di RNA messaggeri accumulati nell’oocita e tradotti dai ribosomi che si trovano all’interno dell’oocita stesso. Questo fenomeno è particolarmente evidente in questa ranocchia: al momento della fecondazione, lo zigote incomincia a dividersi, l’embrione si accresce e per le prime 24 h dello sviluppo, quindi per un numero abbastanza consistente di divisioni cellulari, non avviene trascrizione; se non avviene trascrizione, non vengono prodotti nuovi ribosomi, perché per produrre nuovi ribosomi che assicurino la traduzione degli RNA messaggeri stoccati all’interno dell’oocita, c’è bisogno che avvenga la trascrizione dei geni per la prodizione di tali strutture cellulari. Questi ribosomi vengono accumulati in grandissima quantità nella cellula uovo durante l’oogenesi, per cui nel genoma di questa ranocchia ci sono all’incirca 20.000 geni che codificano per l’RNA ribosomiale 5S; di questi 20.000 geni il 98% è attivo solo ed esclusivamente durante l’oogenesi, quando poi l’individuo è adulto, per cui ci si trova davanti a una cellula somatica, questo 98% dei geni viene inattivato da un punto di vista trascrizionale e il restante 2% dei geni, che comunque su 20.000 geni rappresenta un numero abbastanza di copie geniche, rimane attivo da un punto di vista trascrizionale. Per cui il genoma è sempre lo stesso, tanto nelle cellule somatiche quanto nelle cellule embrionali, però nelle prime fasi durante l’oogenesi tutte le 2000 copie sono attive, perché la cellula uovo accumula una quantità enorme di ribosomi funzionanti al suo interno (ecco perché l’oocita è così grande), e al momento della fecondazione, quando questo zigote inizia a dividersi, il patrimonio di ribosomi viene diviso tra le diverse cellule figlie che costituiscono l’embrione, che sono in grado di tradurre i messaggeri materni che sono stati accumulati al suo interno senza aver bisogno di trascrivere né i geni dell’RNA ribosomiale né i geni che codificano per le proteine ribosomiali. Per cui nelle prime fasi di sviluppo, la sintesi proteica necessaria per completare le prime fasi dello sviluppo di questa rana è a carico di ribosomi che sono stati accumulati durante l’oogenesi. Una volta che inizia la trascrizione all’interno delle cellule di questo embrione, i geni che codificano per l’RNA ribosomiale non servono più, per cui vengono silenziati, perché a ciascuna cellula somatica basta un numero estremamente ridotto di geni attivi. Questo silenziamento prevede la formazione di strutture di tipo eterocromatico. Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 6 ~ Quando è stato notato questo fenomeno, si pensava all’inizio che questi 20.000 geni fossero differenti gli uni dagli altri, ovvero che ci fosse una differenza nell’organizzazione dei promotori tra i geni somatici e i geni attivi all’interno della linea germinale degli oociti. In questi anni, si pensava ancora che chi comandava all’interno della trascrizione fossero i fattori di trascrizione, ovvero erano visti come gli unici regolatori dell’evento trascrizionale, per cui l’idea poteva essere quella in cui negli oociti ci fossero dei fattori di trascrizione in grado di riconoscere il promotore dei geni oocitari, che magari era differente dal promotore dei geni della linea somatica, il che vuol dire che, essendo questi due promotori differenti, solo la presenza del fattore di trascrizione consentiva l’attivazione trascrizionale negli oociti, per cui nelle cellule della linea somatica questi geni non venivano attivati, perché non avevano un fattore di trascrizione, di conseguenza “niente fattore di trascrizione = niente evento trascrizionale”. In realtà, questa situazione proposta non è reale, perché i due promotori, quelli attivi solo negli oociti e quelli attivi solo nella linea somatica, sono assolutamente identici, per cui sono potenzialmente trascrivibili anche nella linea somatica quelli che sono attivi e trascritti solo negli oociti. Per cui ci si è chiesti il perché il 98% dei geni si comporta in un determinato modo negli oociti e il 2% in un modo differente nelle cellule somatiche. L’avere così tante copie genetiche ha consentito, in una fase in cui la biologia molecolare era agli esordi, di avere tantissimo materiale da studiare e di poter seguire facilmente il prodotto proteico di quell’evento trascrizionale. Quello che è emerso è che il fattore discriminante per l’attivazione di questi geni era il legame agli istoni: se in questi promotori si legavano più saldamente le proteine istoniche, non avveniva l’evento trascrizionale; se invece si legavano più saldamente i fattori di trascrizione indispensabili per l’inizio della trascrizione, l’evento trascrizionale poteva iniziare. Quanto l’istone si lega al promotore rende il gene, in cui è presente quel promotore, trascrizionalmente inattivo, perché gli istoni si organizzano nell’ottetto istonico, si avvolgono attorno al DNA, si passa da una fibra da 10 nm, accessibile ai fattori di trascrizione, a una struttura più compatta, che consiste nella fibra da 30 nm, in cui la trascrizione è silente. Per cui durante l’oogenesi, quando la cellula ha bisogno di accumulare tutti i ribosomi necessari a sostenere tutte le fasi dello sviluppo, aderiscono al promotore sempre i fattori di trascrizione e i promotori di tutti i 20.000 geni sono deconvoluti; quando poi, però non c’è più bisogno di accumulare ribosomi, allora una quota consistente di quei 20.000 promotori viene inattivata trascrizionalmente aggiungendo le proteine istoniche. A questo punto si è dimostrato in vitro che aggiungendo gli istoni a un promotore, riconosciuto dall’RNA polimerasi III, la trascrizione veniva inibita. Ovviamente, dato i tempi bisognava far riconoscere tale scoperta alla comunità scientifica, strettamente attaccata alle sue vecchie conoscenze sugli istoni e sulla loro funzione. Gli istoni, infatti, sono stati considerati per lunghissimo tempo come materiale inerte, cioè si pensava servissero come proteine strutturali, che poco avevano a che fare con gli eventi di espressione genica; per cui questo primo esperimento, condotto sulla RNA polimerasi III, prima di essere accettato completamente, ha avuto bisogno di dimostrazioni aggiuntive, per cui alcuni ricercatori hanno cercato di dimostrare che questo meccanismo, per cui gli istoni hanno un effetto inibitorio sulla trascrizione, non è ascrivibile soltanto all’RNA polimerasi III, ma può anche essere un concetto generalizzato e che coinvolge anche l’RNA polimerasi II, che è, come detto in precedenza, quella che sostiene la maggior parte della trascrizione. Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 7 ~ Esperimento di Laybourn e Kadonaga. I ricercatori Laybourn e Kadonaga, agli inizi degli anni ’90, utilizzarono un gene, che si chiama kruppel, che è coinvolto nello sviluppo della Drosophila e di cui era stato isolato il suo promotore. Per effettuare una trascrizione in vitro esistono due modalità: il primo è quello di utilizzare delle RNA polimerasi fagiche, che sono delle RNA polimerasi monosubunità, il che vuol dire che possono essere prodotte come proteine ricombinanti in vitro, aggiunte a un DNA che contiene una sequenza bersaglio, ed essere trascritte dopo l’adesione dell’RNA polimerasi. La trascrizione in un eucariote è più complicata, per cui al posto di avere le singole componenti proteiche, il che sarebbe estremamente complesso da produrre in vitro, si utilizzano degli estratti nucleari, ovvero si prendono delle cellule, si isolano i nuclei, si estraggono le proteine e all’interno di quell’estratto proteico ci saranno tutte le componenti proteiche, che sono coinvolte nella trascrizione. Per cui per fare una trascrizione in un tubo da provetta si ha un DNA sintetico, che in questo caso è rappresentato dal promotore del gene kruppel, che viene incubato con un estratto nucleare, a cui magari si aggiungono ad esempio dei nucleotidi nuovi, e da cui si andrà a produrre RNA messaggeri; a questo punto si andrà a valutare la quantità di RNA messaggero prodotto. Odiernamente per fare ciò si utilizza la PCR, mentre ai tempi di questi due ricercatori si utilizzavano altre tecniche, tra cui quella della PRIMER EXTENSION. La primer extension è una tecnica che si basa sull’utilizzo di una retrotrascrittasi e di un oligonucleotide marcato radioattivamente. (vedi slide n°84-85) Il principio è il seguente: si ha un substrato costituito da un DNA, in cui è presente una regione promotrice; questo DNA viene fatto incubare con un estratto nucleare arricchito con nucleotidi, topoisomerasi e altre proteine istoniche, e si fa avvenire la trascrizione. A questo punto viene prodotto un RNA messaggero, che viene fatto ibridare con un oligonucleotide al 5’, marcato radioattivamente all’estremità, del quale la porzione terminale 3’ OH è messa in evidenza dalla freccia riportata nella slide. Questo diventa un complesso innesco-stampo per una retrotrascrittasi, ossia per una DNA polimerasi che utilizza come templato l’RNA; per cui la retrotrascrittasi lega questo complesso innesco-stampo, estende il trascritto, partendo da questo terminale 3’ OH e sintetizzando DNA. Più RNA è stato trascritto in quel determinato esperimento, ovvero maggiore è la quantità di RNA che gli oligonucleotidi marcati, che sono stati aggiunti, riescono a trovare come substrato, maggiore sarà l’intensità della banda radioattiva che si ottiene, ovvero maggiore sarà la quantità di prodotto radioattivo che si ottiene al termine della trascrizione (vedi slide n°86). Questa è una tecnica, che non prevedendo amplificazione, è più quantificativa rispetto alla PCR. Il prodotto della retrotrascrizione viene fatto correre su un gel di poliacrilamide denaturante e la diversa quantità di prodotto, che appare più intenso, è indice di una quantità maggiore di templato all’inizio, tendendo costante tutte le altre condizioni, quale tempo di estensione, quantità di oligonucleotidi marcati e quantità di reagenti vari. Per cui i ricercatori Laybourn e Kadonaga possiedono un loro gene sintetico, in cui fanno avvenire la trascrizione in presenza o in assenza di istoni; a questo punto vanno a misurare quale sia l’efficienza con cui quel determinato templato viene trascritto. (vedi slide n°86) Ciò che si ottiene è quello che viene riportato in questa slide: Kr sta per kruppel, la lunghezza del prodotto di estensione è variabile, il che non sorprende perché il sito di inizio della trascrizione, soprattutto in vitro, può subire delle modificazioni di più uno o più due nucleotidi. Il risultato è che se si aggiungono quantità crescenti di istoni alla miscela, in presenza di un Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 10 ~ (vedi slide n°88), possono essere veri allo stesso momento. In questa slide vengono descritte le modalità con cui un certo promotore diventa competente all’inizio della trascrizione. Il raggiungimento di questa competenza trascrizionale può dipendere da fattori proteici differenti. Nell’esempio (b) viene semplicemente rimosso l’istone H1, il DNA si distende, si passa dalla fibra da 30 nm a quella da 10 nm e viene rese disponibile nella sequenza linker tra un cromosoma e l’altro la sequenza che poi può essere riconosciuta da un fattore di trascrizione che è sequenza-specifico. Nel caso (c), la semplice rimozione dell’istone H1 non è sufficiente a rendere questa regione competente per l’inizio della trascrizione, perché quello che deve succedere è che un intero nucleosoma venga in qualche modo spostato. Quindi promotori differenti possono avere requisiti differenti per l’inizio della trascrizione e tutti questi modelli sono compatibili l’uno con l’altro, anzi, addirittura, in alcuni casi possono essere anche nello stesso promotore e dipende dal fattore di trascrizione, che è il motore primario di quella attivazione trascrizionale. Ciò che è sicuro è che l’ottetto istonico interferisce con l’evento trascrizionale e che in qualche modo bisogna rendere spesso disponibili le sequenze all’interazione con il fattore proteico, perché anche all’interno della fibra da 10 nm, che è potenzialmente trascrivibile, può essere trascrizionalmente inattiva, poiché la sequenza bersaglio per quel certo fattore proteico può essere resa inaccessibile dall’interazione con le proteine istoniche. (vedi slide n°89) Come si può notare in questa slide è presente un nucleosoma con una sequenza rossa e una sequenza blu: la faccia del DNA che viene legata dal fattore di trascrizione è rivolta verso l’interno. Se il nucleosoma non viene spostato verso destra o verso sinistra, quelle sequenze, sia quella rossa che quella blu, non sono disponibili per il legame con il fattore proteico: in ogni caso, che il nucleosoma venga spostato a destra o a sinistra, questa rimane una fibra da 10 nm, in quanto il DNA è sempre avvolto attorno a un ottetto istonico, quello che però cambia è la sequenza del DNA che si viene a trovare nella sequenza linker che è disponibile a legare il fattore di trascrizione; più la sequenza è verso la parte centrale di questi 46 nucleotidi, più sarà difficile spostare il nucleosoma a sufficienza per renderla disponibile. Meccanismi molecolari coinvolti nell’attivazione e nella repressione trascrizionale. La prima delle modalità di regolazione dell’espressione genetica, che verrà presa in considerazione, ha a che fare con il posizionamento dei nucleosomi. Le domande introduttive a questo argomento sono le seguenti: 1) nelle prime 200 paia di basi del cromosoma 1 di tutte le cellule c’è sempre un nucleosoma localizzato proprio in queste basi, che si avvolge in quelle 200 paia di basi, oppure il primo nucleosoma può occupare rispetto all’inizio di un cromosoma le basi oltre le prima 50 non strutturate, quindi essere posizionato un po’ più in là rispetto all’inizio vero e proprio?; 2) tutte le regioni che sono identiche nelle cellule dell’organismo hanno sempre il nucleosoma messo nello stesso punto oppure c’è una differenza per cui a seconda della cellula dell’organismo che si sta prendendo in considerazione si hanno i nucleosomi disposti in posizioni differenti? Se il nucleosoma viene posto sempre nello stesso punto vuol dire che c’è un meccanismo che determina il posizionamento in quella determinata zona del cromosoma; non è presente un riconoscimento sequenza- specifico ma allo stesso tempo ci deve essere un meccanismo che regola il posizionamento del nucleosoma in Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 11 ~ quel determinato punto. L’altra cosa che può essere cambiata e la faccia del DNA che si avvolge attorno all’ottetto istonico. Per cui si parla di posizionamento con una componente traslazionale, come ad esempio una perla che scorre su un filo o a destra o a sinistra; oppure può avere una componente rotazionale, in cui la faccia del DNA che è esposta verso il solvente può essere differente e ciò determina il cambiamento della sequenza, in quanto i filamenti sono complementari e quindi non presentano esattamente le stesse paia di basi. Questo posizionamento può essere, inoltre, in fase o casuale, per cui le prime 200 paia di basi di un cromosoma hanno tutte un nucleosoma oppure no; e può essere un posizionamento intrinseco alla sequenza oppure forzato dall’esterno. Posizionamento con componente traslazionale. Nella traslazione c’è un cambio di posizione senza rotazione, come nel caso di una perla su un filo o come in un pallottoliere, in cui quindi il nucleosoma si può spostare o verso destra o verso sinistra, ma in questo caso non si viene a cambiare la faccia del DNA che è rivolta verso l’ottetto istonico, e quindi neanche la faccia che è rivolta, invece, verso il solvente. (vedi slide n°96) In questa slide sono rappresentati dei nucleosomi che presentano dei numeri: nel movimento traslazionale si fa scorrere il DNA lungo questi quattro nucleosomi, per cui nel primo caso, nella regione linker, si hanno le regione 3 e 4 di questa sequenza di DNA; se si opera, a questo punto, un movimento traslazionale, si andranno a trovare nella zona linker, che è quella più esposta ai fattori proteici e quindi più facilmente accessibile a un ipotetico fattore di trascrizione, le regioni 2 e 3. Per cui semplicemente spostando questi nucleosomi verso destra o verso sinistra, si possono andare a esporre sequenze differenti, che sono bersaglio di fattori di trascrizione. Posizionamento con una componente rotazionale. Il movimento in questo caso può essere di tipo rotazionale, ovvero in questo caso cambia la faccia del DNA che viene rivolta o all’ottetto istonico o al solvente: quella che inizialmente era esposta verso l’ottetto istonico, con un movimento di tipo rotazionale, si viene a ritrovare esposta verso il solvente; e viceversa per la faccia che invece era inizialmente rivolta verso il solvente, che a questo punto si viene a ritrovare rivolta verso l’ottetto istonico. Di conseguenza in questo caso si sta cambiando l’angolo ma non si sta cambiando la posizione. (vedi slide n°97) in questa slide, in arancione viene riportata la porzione proteica dell’ottetto istonico e colorate di blu e azzurro ci sono le due eliche del DNA. Nella porzione alta della diapositiva, i numeri da 1 a 5, che corrispondo a un tratto di sequenza, sono verso l’esterno, quindi una proteina può interagire in maniera sequenza-specifica con quel tratto di DNA; se il DNA viene girato, la porzione esposta verso il solvente cambia la sequenza, per cui la sequenza da 1 a 5 la si ritrova nella parte interna, quindi verso l’ottetto istonico, e di conseguenza cambia la sequenza esposta all’esterno, per cui una proteina non può più avere accesso alla sua sequenza bersaglio. Per cui tanto i fattori di trascrizione quanto le nucleasi hanno accesso in genere solo a una delle due eliche. Posizionamento in fase. Il posizionamento in fase è quando, rispetto a un punto di riferimento, che può essere un determinato promotore, in tutte le cellule di quell’organismo o di quel determinato tessuto, il nucleosoma si trova sempre in una determinata posizione rispetto a una sequenza definita. (vedi slide n°98) In questa slide il posizionamento in fase è descritto come un trattino rosso che occupa sempre la stessa posizione all’interno di diversi nucleosomi, contenuti presumibilmente in diversi cromosomi di differenti cellule: se quel trattino rosse fosse il punto di legame per un fattore di trascrizione necessario per l’inizio dell’evento trascrizionale, Prof.ssa Crosio Biologia Molecolare Applicata 8 CFU ~ 12 ~ l’avere ingaggiato quella determinata sequenza a diretto contatto con il nucleosoma, può voler dire l’assenza di trascrizione. Posizionamento casuale. (vedi slide n°98) Se si tratta invece di posizionamento casuale, il trattino rosso in cellule differenti dello stesso organismo si trova in una posizione relativa differente rispetto al nucleosoma. Per cui la modalità con cui quella stessa sequenza interagisce con lo stesso identico ottetto istonico può cambiare i livelli di espressione genica. Questo tipo di regolazione non è molto frequente, ma sono stati descritti dei casi, in particolare in geni che codificano per il tRNA. Per studiare se i nucleosomi sono i fase oppure sono posizionati in modo casuale si utilizza una tecnica che si serve di DNAsi, come la DNAsi micrococcica, che è una DNAsi che digerisce in genere il DNA linker, in quanto non ha accesso al DNA avvolto intorno al core. Quindi il trattamento con DNAsi, come ma DNAsi micrococcica determina la formazione di frammenti in genere multipli di 200 paia di basi, perché taglia tra un nucleosoma e l’altro all’interno della fibra da 10 nm. Se si estrae la cromatina da una popolazione cellulare, la si taglia con la DNAsi micrococcica e si va a seguire una sequenza di interesse, se il nucleosoma è posizionato sempre nello stesso punto rispetto alla sequenza di interesse, si otterranno dei frammenti tutti della stessa lunghezza. (vedi slide n°100) In questa slide si vede il DNA avvolto attorno all’ottetto istonico e il frammento di interesse evidenziato in rosso: si prende questa cromatina, quindi DNA e istoni, si va a digerire con la DNAsi micrococcica in modo parziale e si ottengono dei frammenti di circa 200 paia di basi. Questo tratto di DNA di interesse sarà sempre nello stesso punto all’interno di queste 200 paia di basi, perché in tutte le cellule del campione da cui è stata estratta la cromatina i nucleosomi sono in fase. Se si conosce la sequenza di un enzima di restrizione che taglia in prossimità della sequenza di interesse, si può andare a digerire il DNA con questo enzima di restrizione, andare a fare una analisi tramite southern blot e si otterranno dei frammenti tutti della stessa taglia, che saranno visibile dopo southern blot in un’unica banda. In questo caso quindi si parlerà di posizionamento in fase del nucleosoma rispetto a quella determinata sequenza di interesse. Se, invece, si procede con lo stesso esperimento e non si ottiene dopo southern blot un’unica banda corrispondente a un unico peso molecolare, ma si ottengono bande corrispondenti a pesi molecolari differenti, vuol dire che la sequenza di interesse è posizionata, rispetto al nucleosoma, in modo differente, per cui quando si digeriscono frammenti ottenuti tramite l’utilizzo di DNAsi micrococcica e si vanno a vedere i frammenti che contengono la sequenza di interesse, si ottengono frammenti differenti, perché la sequenza di interesse si può trovare all’interno del frammento di 200 paia di basi in posizione diversa all’interno di questo frammento, proprio a causa della sua diversa posizione rispetto al nucleosoma. Per cui se i nucleosomi sono in fase nel southern blot si ottiene una banda unica, quindi un frammento identico da tutte le cellule da cui si è estratta la cromatina; se invece i nucleosomi sono posizionati in maniera casuale, si otterranno dei frammenti di lunghezza variabile, che corrisponderanno nel southern blot a bande differenti (vedi slide n°101). Alcuni geni che codificano per tRNA possono essere regolati in questo modo; negli eritrociti non ci deve essere espressione genica di questi tRNA e i nucleosomi vengono posizionati tutti nello stesso punto all’interno degli eritrociti, in modo tale da impedire l’attivazione trascrizionale. Nel fegato, invece, dove questi geni sono espressi, i nucleosomi vengono posizionati in modo casuale e questo consente nei vari tipi cellulari