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Appunti corso sociologia della comunicazione - Vittadini, Appunti di Sociologia Della Comunicazione

Appunti completi presi a lezione del corso di sociologia della comunicazione. Prof. Nicoletta Vittadini

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 22/06/2022

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Scarica Appunti corso sociologia della comunicazione - Vittadini e più Appunti in PDF di Sociologia Della Comunicazione solo su Docsity! 5/10 Opinione pubblica Premesse: i media digitali oggi in Italia È uno dei temi che è stato maggiormente studiato, come i media contribuiscono al processo di formazione di opinione pubblica. Ma di quali media stiamo parlando? Oggi ci troviamo all’interno di un sistema dei media che è fortemente digitalizzato; ce lo racconta il CENSIS= istituto italiano specializzato nei temi di comunicazione, di sondaggi e studi sui media, che ogni anno fa delle indagini quantitative rilasciando un rapporto riguardo l’evoluzione della digitalizzazione dei media. Il sistema è dominato dalle piattaforme digitali ma veniamo da un anno e mezzo in cui la digitalizzazione è stata spinta in maniera forzata. Questa ha investito anche nelle attività non necessariamente scolastiche, come per esempio attività commerciali (e- commerce, Esselunga, Carrefour…), pubbliche e private. Questa digitalizzazione ha generato nuove abitudini nella vita quotidiana di ognuno di noi. I dati che ci dà il CENSIS sull’Italia: su 60 milioni di italiani, 46 milioni sono dotati di una connessione internet, ma questa digitalizzazione a tappe forzate ha portato anche conseguenze dal punto di vista del vissuto. La maggior parte degli italiani per esempio ha sviluppato l’idea che l’accesso a internet sia un vero e proprio diritto, che debba essere garantita a tutti (=opinione pubblica per cui lo stato deve garantire a tutti una connessine internet). Un altro grande cambiamento è che quasi l’80% degli italiani usa internet per questioni legate alla salute, il 60% lo usa per amministrazione pubblica (es: pagare bollette), più del 60% lo usa per informazioni culturali, e il 70% lo utilizza per fare acquisti. Un altro effetto è che vi è una spinta a continuare a migliorare la propria connessione internet, a potenziarla, e dunque si sta formando attorno alla rete un’opinione dominante che ne coglie tanti aspetti positivi, ma altri su cui si concentrano dei timori quali truffe, l’accesso da parte dei minori, la dipendenza dai social network, e la paura degli haters. Il sistema dei media di cui parliamo è quindi un sistema in cui la rete ha un ruolo fondamentale che contribuisce a formare un’opinione che noi abbiamo sulla rete stessa. Ma cos’è l’opinione pubblica? 1. COLLETTIVA: È il giudizio e il modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini. È un giudizio, riguarda la sfera della valutazione: non è la questione è vera o falsa, ma proprio il giudizio che do IO. 2. CREDENZE: È l’insieme delle idee che un determinato agglomerato umano (di una città, nazione, etc..) ritiene giusto in un determinato momento. Dunque è situata perché riguarda un certo gruppo, ma è situata anche storicamente, perché cambia nel tempo. 3. DETERMINATA: È un sistema di credenze sulla questione pubblica, non riguarda la mia vita privata ma è un giudizio su questioni pubbliche (politiche, etiche, sociali…). 4. NON UNITARIA: Non è mai qualcosa di unitario, esiste l’opinione pubblica collettiva, ma esistono e hanno dignità d’opinione pubblica anche posizioni contrastanti; quindi è l’insieme delle correnti di opinioni anche opposte dominanti in una società. Il rapporto tra i media e la formazione pubblica è stato studiato fin da subito perché si fonda sull’idea che quello che io comunico attraverso i media abbia una funzione nel mettere in comune nella società non solo dei contenuti ma anche dei valori che contribuiscono alla formazione pubblica. Si è cominciato a pensare che i media forniscono una serie di valori e di significati sociali che contribuiscono a formare l’opinione pubblica e che quindi ciò che veicolano i media contribuisce a raccontarmi ciò che pensa la gente, ma anche a fornirmi dei modelli. Es.: Con queste olimpiadi, i media hanno iniziato a presentare i corpi degli atleti olimpici con molta trasparenza, soprattutto nelle paraolimpiadi. Questo è uno degli esempi attraverso cui i media si fanno strada nella formazione pubblica mostrando un modello della disabilità che è decisamente inclusivo. Lo fanno attraverso l’insistenza della rappresentazione ma anche l’atteggiamento di acclamazione al di là della disabilità. Vediamo quindi come i media vengono utilizzati per promuovere un’opinione pubblica. Altre volte però i fenomeni nascono in modo più spontaneo e i significati che vogliono passare i media non sono così guidati ma contribuiscono semplicemente. Modelli Uno dei primi studiosi dell’opinione pubblica è Walter Lippman che è vissuto all’inizio del ‘900. “Ciò che l’individuo fa si basa non su una conoscenza diretta e certa, ma su immagini che egli forma e che gli vengono date” Dice che la formazione dell’opinione pubblica è importante in quanto non possiamo conoscere tutto. Ci dice che la formazione dell’opinione pubblica è tanto più importante quanto è complicata la società in cui viviamo. L’idea che l’opinione pubblica sia importante nasce quando nascono le società moderne. Comincia a complessificarsi il modo di vivere e quindi ad essere necessario che sulle questioni pubbliche ci si faccia un’opinione. Questa comincia a nascere anche perché le persone conquistano la libertà d’espressione, cominciano a leggere, cominciano a circolare i giornali, e cosi comincia a formarsi un’opinione pubblica collettiva. I media dunque sono importanti perché sono lo strumento attraverso cui si forma l’opinione pubblica. Qualche decennio dopo, anni ’40 e ’50, un altro studioso, Deutsch, comincia a ragionare sul come si forma l’opinione pubblica: elabora un modello a cascata. importanti ma intervistando le persone e chiedendo come fossero arrivati a votare una determinata persona, scoprono che esiste un mondo di discussioni politiche quotidiane che influenzano le scelte di voto. Queste discussioni che si svolgono all’interno delle reti famigliari e tra amici, conoscenti, colleghi, sono importanti perché creano una grande omogeneità di opinioni all’interno di questi gruppi. Ad un certo punto scrivono all’interno di “The people’s choice” che quelli che avevano cambiato le loro intenzioni di voto erano caratterizzati da un elemento comune, erano partiti da un disaccordo dal loro gruppo di riferimento. Questa è una rivoluzione determinante. Ciò che ulteriormente rende importante questa teoria è che scoprono che dentro questa rete sociale, ci sono delle persone più influenti di altre, ci sono persone che hanno la capacità di condizionare le scelte degli altri. Queste persone le chiamano “opinion leader” e sono le più esposte ai media. Non tutti sono uguali all’interno della famiglia, gruppo di amici etc., ma ci sono alcuni che trascinano gli altri verso alcune posizioni e queste hanno in comune il fatto di essere più informate. Dopo aver pubblicato questo libro, cambia il contesto sociale, le possibilità economiche delle famiglie diventano più importanti e, quindi, consapevoli dell’esistenza della figura dell’opinion leader, vanno ad indagare cosa orienta le scelte di consumo delle persone che vivono a Decatur. Vanno cercando come si compone il rapporto tra media, persone, e opinion leader. Ritrovano in questa ricerca una grande influenza da parte dei media, ma questa influenza passa attraverso le discussioni quotidiane sui temi della moda, del cinema, degli strumenti e anche all’interno di queste discussioni esistono dei leader. Quello che questa ricerca mette maggiormente a fuoco è che esistono dei leader per diversi temi: quello che è l’opinion leader per la moda, non è lo stesso per la gestione della casa. Quindi gli opinion leader diventano figure che hanno competenze specifiche su dati temi. Allora vediamo che siamo abbastanza vicino alla definizione del Business Dictionary. Nella stessa comunità di donne ci sono quindi tanti leader d’opinione legati a diverse tematiche. Il modello I due studiosi non si fermano qui: la teoria dei two step flow of communication cerca di rendere chiaro cosa succede nel rapporto tra i media e le persone, quindi elaborano un modello. Il leader d’opinione, che è l’attore più disponibile all’esposizione ai media e più competente nell’uso dei media, ha due funzioni importanti: • Gatekeeping= fa da filtro, riporta alla sua rete sociale delle informazioni a discapito di altre. • Framing= modellizzazione, mette le informazioni più importanti all’interno di una narrazione, gli dà un senso. Ciò che dicono Paul Lazarsfel e Elihu Katz dunque è che le idee spesso fruiscono dai media agli opinion leader e questi poi portano il messaggio a persone che sono meno attive nella popolazione. Si smette dunque di pensare che il pubblico dei media sia una massa indistinta ma si inizia a pensare che il pubblico sia una rete di individui interconnessi attraverso la quale la comunicazione di massa viene veicolata. I due studiosi arrivano a sistematizzare le caratteristiche degli opinion leader: ❑ LITERACY= elevata esposizione ai media; un opinion leader non è tale se non riesce a trovare più informazioni rispetto agli altri. È quello più informato. ❑ COMMITMENT= elevato coinvolgimento ed interesse per determinati argomenti. Sono caratterizzati dalla passione. ❑ SOCIEVOLEZZA= capacità di trasferimento di informazioni a gruppi di individui che appartengono allo stesso gruppo sociale. ❑ LEADERSHIP= riconoscimento, dal basso, del possesso di maggiori informazioni. Deve essere riconosciuto tale da tutto il gruppo dei pari. Altrimenti rimane una persona particolarmente informata. Proseguendo con gli studi definiscono altre due caratteristiche degli opinion leader: → VERTICALI= soggetti che hanno le caratteristiche degli opinion leader e comunicano attraverso i media. → ORIZZONTALI= soggetti che hanno le caratteristiche degli opinion leader ma agiscono all’interno di reti sociali più o meno ampie, e sono tali all’interno del loro gruppo di riferimento. Un' ulteriore distinzione tra opinion leader: • MONOMORFI= hanno rilevanza in un solo o in un numero limitato di campi. (cinema, moda, food, marketing…). Hanno visibilità mediatica, hanno una specifica area d’influenza, sono punto di riferimento per gruppi sociali/culturali. • POLIMORFI= hanno rilevanza in svariati campi. Gli studi sugli opinion leader vanno avanti e chiaramente nel momento in cui accanto ai media tradizionali si sviluppano i social, la figura dell’opinion leader torna ad essere importante perché all’interno di queste piattaforme si parla di qualsiasi tematica. Quindi riemerge in modo ancora più significativo la rilevanza dell’opinion leader e ci sono tanti studi che rimettono in gioco ciò che avevano detto i due sociologi e cercano di inserirli all’interno della contemporaneità. Una questione che è tornata ad essere importante nella contemporaneità è riconoscere e classificare gli opinion leader. Le diverse tipologie di opinion leader vengono classificate attraverso 4 chiavi: 1. Obiettivo dell’influenza (locale/globale) 2. Area della conoscenza (monomorfi/polimorfi) 3. Orizzonte temporale (lungo-termine/breve-termine) 4. Comportamento: (leader costruttivi/distruttivi): - Distruttivi= hanno una personalità egocentrica e tendono a indurre i followers a modificare le loro opinioni anche in una direzione che può danneggiare loro o l’organizzazione a cui appartengono. - Costruttivi= volti a indurre la popolazione verso un’influenza positiva. Opinion leader digitale - Instagram Un altro filone di studi rispetto all’opinion leader digitale ha cercato di metterne a fuoco le caratteristiche. L’opinion leader digitale (in questo caso si parla di Instagram) deve essere: ▪ considerato esperto di un prodotto o servizio (LITERACY) ▪ un membro attivo di una comunità online (SOCIEVOLEZZA) ▪ partecipare con alta frequenza e dare un contributo sostanziale (COMMITMENT) ▪ essere considerato da altri utenti come soggetto che ha buon gusto in relazione alle decisioni di acquisto (LEADERSHIP) Facendo un’analisi più precisa sui contenuti che vengono pubblicati sui social, questi dovrebbero essere caratterizzati da: • Originalità: l’essere capaci di portare elementi innovativi e non convenzionali • Unicità: distinzione rispetto agli altri ma allo stesso modo rimanere vicini ai propri followers. Non allontanarsi dalla comunità a cui si dirige. Es: Chiara Ferragni= processo di costruzione di rilevanza con i followers; mettere foto struccata, mettere foto dei figli, mettere foto della moda. Sono momenti che creano risonanza con i followers. • Qualità: cura dei contenuti e della forma, attrattività, funzionalità alla creazione della reputazione, comprensibilità ed assertività. • Quantità: quantità dei messaggi postati; frequenza di pubblicazione. Almeno un giorno sì e uno no devono esserci contenuti. Indubbiamente l’OL digitale funziona bene se incontra degli utenti di Instagram per esempio che siano propensi all’interazione online anche con chi non si conosce e che siano congrui con i loro interessi, gusti, personalità. Accanto a ciò che pubblicizzano, cercano di esprimere anche qual è l’orizzonte di valori in cui si riconoscono, perché questo contribuisce a farli diventare OL in modo che i followers si possano riconoscere in ciò che condividono. Quello che ci vuole raccontare questo schema è che la leadership d’opinione all’ interno di Instagram si compone di due aspetti: le caratteristiche dell’account instagram + le intenzioni di comportamento dei followers. Questo perché anche all’interno dei social network come all’interno delle altre tipologie di leadership, questi due poli costruiscono la reciprocità di riconoscimento su cui si basa la leadership d’opinione. Gli opinion leader e twitter: terzo tipo di studi Punta ad individuare più tipologie di OL sui social (in particolare su twitter). Questo studio nasce in un filone di studi sulle piattaforme digitali che studia un fenomeno molto toccato negli anni ’10 → la viralità. Si è persa un po’ perché su Instagram (maggiormente diffuso) oggi c’è meno questo fenomeno per la mancanza di ricondivisione, ma negli anni di diffusione assoluta di Twitter e Facebook era molto studiato. ⤵︎ The tipping point di Michael Gladwell → si concentra sull’identificare il contenuto virale, quali sono le caratteristiche di quel momento cruciale in cui un contenuto normale che circola in rete diventa virale. All’interno di questo tipping point (punto di svolta) c’entrano dei soggetti che intercettano questo contenuto (OL), che sono in grado di far esplodere la viralità dei contenuti. A differenza degli altri studiosi non dice quali sono in generale le caratteristiche degli OL ma individua 3 tipologie di OL: 1. Connettori → hanno un’ampia rete di connessioni e il loro ruolo è quello di far stare insieme le persone. Diffonde contenuti comunitari, identitari (es. un meme con un contenuto in cui le persone si riconoscono e poi lo ricondividono). 2. Esperti → un contenuto può diventare virale attraverso esperti che sono interessati a informazioni che forniscono risposte, risolvono problemi ecc. (es. quello che risolve un problema informatico o spiega come funziona il green pass) (es.: Salvatore Aranzulla, ad esempio, è un OL dal punto di vista informatico perché è un esperto che propone la soluzione informatica). 3. Persuasori → non connettono ne sono esperti, ma sono leader carismatici che catalizzano consenso anche senza essere esperti di un settore o rappresentanti di un gruppo/punto di vista. (es. per il movimento 5 stelle Beppe Grillo è stato un leader carismatico: i tweet venivano ricondivisi perché postati da lui) Spirale del silenzio Un secondo punto di vista rispetto a quello di Katz e Lazarsfel è quello di Elizabeth Noelle Neuman negli anni 70 in Germania → la spirale del silenzio Parte da una domanda sulla formazione dell’opinione politica. Nel 1972 ci furono delle elezioni politiche in Germania i cui risultati non hanno seguito i risultati dei sondaggi pre-elettorali. Perché? Cosa ha interferito? Potremmo farci la stessa domanda sulle elezioni negli USA di Trump contro la Clinton. Sviluppa quindi questa teoria della spirale del silenzio, che mette un tassello in più su come funziona l’opinione pubblica. Punti di partenza Lei è anche una psicologa sociale, quindi attenta alla dimensione psicologica che influisce sul contesto sociale. Parte dal fatto che l’esistenza della OP (opinione pubblica) ha un’utilità, ha una funzione integrativa, rende più facile vivere in una società, una società coesa → visione positiva (non manipolativa) della OP, crea una coesione sociale. “L’opinione pubblica è il frutto di un lavoro sociale teso all’allineamento” → lei vede una cooperazione di tutti i soggetti che si allineano. Si arriva a giudizi comuni che aiutano ad essere persone sociali (che vivono in società) ed è un lavoro che tutti fanno. Questo lavoro mette in campo tanti soggetti. L'opinione pubblica si forma all’intersezione di: ▪ I media: i media dicono che è giusto soccorrere una persona in difficolta in strada. ▪ Comunicazione interpersonale e rapporti sociali Aggiunge due cose (rispetto a K. e L.) ▪ Manifestazioni individuali di opinione: dico cosa penso pubblicamente ▪ Percezione dei climi di opinione nel proprio ambiente sociale: percepiamo quello che le altre persone pensano, quindi se c’è accordo su alcune opinioni dominanti. L’OP quindi si forma anche come effetto di quello che gli altri pensano, immaginandoci quello che altri pensano e sulla base di ciò orientiamo il nostro comportamento. Intuito ciò, recupera uno studio precedente del 1950, su cui fonda questa intuizione, sulla base di qualcosa di più solido e concreto. Riprende un libro di David Riesman ovvero “The lonely crowd study of the the changing American Character”. Perché gli serve? Perché qui c’è uno studio su come diversi tipi di società (che si sono susseguite nel tempo) siano caratterizzate da un modo diverso in cui viene organizzata la coerenza dei comportamenti delle persone → devono esserci strumenti per organizzare la conformità dei comportamenti delle persone. C’è questo punto di congiunzione con il suo pensiero quindi. Anche Riesman parte dal fatto che c’è un meccanismo di integrazione e di conseguenza attraverso la socializzazione (media, famiglia, organizzazioni sociali/culturali ecc.) si diffondono modelli di comportamento conformi → socializzazione sono tutti i luoghi da cui questi modelli vengono diffusi. Ma non avviene nello stesso modo, dipende dal tipo di società in cui si è. Perciò lui divide le fasi dell’evoluzione della società in tre momenti: 1. Premoderna: basata su un’organizzazione sociale di piccoli gruppi sganciati da altri gruppi con cui hanno relazioni occasionali e l’organizzazione della vita sociale quindi ruota attorno a questi piccoli gruppi → si fa riferimento alla tradizione per individuare i comportamenti conformi. 2. Moderna → questi forti nuclei di gruppi di famiglie si spezzano, perché le persone si spostano e vanno nelle grandi città senza avere quindi legami di luogo o di famiglia, e quindi si è diretti da un personale e individuale sistema di valori che possono mutare il proprio status sociale. Attraverso mezzi di comunicazione (stampa, istituzioni), ciascuno si allinea a quei modelli di comportamento sociali in modo individuale. Qui i media hanno un grande ruolo di guida, perché gli individui si trovano da soli → Questo contesto è più mutevole rispetto a quello premoderno che è più statico. 3. Postmoderna → ancora + complessa. La mobilità delle persone è più differenziata e costante (non è più solo un passaggio da piccola comunità a società moderna, ma si cambiano anche nazioni, continenti), e i media non bastano più a fornire una bussola come nella società moderna, perché cambiando anche nazioni, cambiano i media di riferimento. L’individuo postmoderno vede comune il fatto di essere inserito in una rete sociale, strumento di accoglienza e Media degli anni 20 (adesso) Hanno ancora una funzione di orientamento, sono consonanti anche se sono diventati tanti. Forniscono contenuti che vengono messi in circolazione anche nelle piattaforme digitali. Lei dice che i media ci possono proporre un’opinione dominante che quantitativamente non lo è e questo può creare un effetto di allineamento sociale. Es.: se i media dicessero che la maggior parte delle persone sono contrarie al vaccino, le persone contrarie al vaccino avrebbero più entusiasmo nell’esprimersi, e chi è a favore meno perché si sentirebbe in una situazione minoritaria. Esistono però minoranze rumorose, che riescono ad avere voce all’interno dell’opinione pubblica, secondo Elihu Katz → minoranze che per delle loro caratteristiche riescono a farsi sentire. 13/10 Le minoranze rumorose Sono state studiate da Elihu Katz il quale mette a fuoco la possibilità di un riemergere delle opinioni minoritarie. Lui sostiene che anche i gruppi minoritari possono generare un effetto a spirale. Negli anni 70 difatti emergono posizioni che non rappresentano la maggioranza (es.: movimento ambientalista, la sensibilità dell’ambiente non è ancora così sentita). Non sempre risultano così silenziosi i movimenti minoritari. Tuttavia, ci devono essere delle condizioni affinché questo avvenga. Quali sono le caratteristiche che permettono ai movimenti d’opinione minoritari di emergere? - L'accesso ai media (evidentemente lui pensa ancora alla tv e alla radio, oggi si può pensare anche ai social) - Coerenza e difesa ad oltranza di alcune posizioni: hanno più facilità che la loro opinione riemerga in quanto focalizzati su un tema preciso, che difendono fortemente. Es.: black lives matter → si è rifatta sentire all’interno del popolo americano ed è un tema molto preciso. Movimenti oppositivi come no tav che in Italia ha avuto tanta visibilità mediale. I movimenti che riescono a riemergere nella sfera pubblica spesso sono identificati oggi anche dagli hashtag. Oggi abbiamo anche movimenti che aldilà di queste caratteristiche riescono ad emergere soprattutto per il modo con cui si propongono, suscitando clamore (es. Manifestazioni in piazza). Questo è legato anche al fatto che i media tendono a dare visibilità ad elementi più vistosi, performativi (es.: manifestazione Hong kong, ombrelli gialli). Per capire meglio le minoranze rumorose, è utile fare l’analisi di un caso. I movimenti ambientalisti Tema oggi molto importante, che incide sull’opinione pubblica e sui nostri comportamenti. Sono nati tempo fa in realtà, in un contesto in cui non era al centro dell’opinione pubblica. Al centro dell’opinione pubblica c’era invece lo sviluppo industriale, delle grandi imprese, del nucleare.. Nel 1971 nasce il primo movimento ambientalista, allora minoritario, Green peace. Nasce per opera di poche persone che manifestano la necessità di iniziare a porre attenzione sul tema (Jim Bohlen fondatore). Il primo elemento su cui si focalizzano sono gli esperimenti nucleari che venivano svolti in Alaska, poco abitata ma molto ricca dal punto di vista ambientale. Così decidono di prendere una barca, mettersi sopra insieme a dei giornalisti e andare in Alaska dove avvengono gli esperimenti nucleari (rischiando quindi anche la vita) → hanno ottenuto accesso ai media, è un’azione vistosa, di un modello narrativo facilmente proponibile dai media. Hanno ottenuto grande risonanza mediatica facendo vedere che questo punto di vista esisteva. La notiziabilità si basa quindi su un gesto quasi eroico, che diventa un modello costante. Nell'arco di qualche anno il loro obiettivo si espande, dalla metà degli anni 70 iniziano ad opporsi alla caccia delle balene. Il modello narrativo è sempre lo stesso: ‘Davide contro Golia’, scelgono appositamente delle imbarcazioni piccole rispetto alle baleniere. Ottengono anche qui risonanza mediatica basandosi sul modello del gesto eroico. Questo topos va avanti per una ventina di anni e pian piano evolve e diventa complessivamente la tutela dell’ambiente nel suo complesso. Negli anni 2000 Green Peace smette di essere un movimento minoritario. Nel 2006 espongono dei banner su monumenti conosciuti in tutto il mondo. Il modello narrativo qui cambia: non è più uno scontro tra piccoli e giganti, siamo entrati in una logica performativa, si appoggiano alla notorietà dei luoghi. Cosa resta? Resta il gesto eroico (rischio la vita per appendere il banner). Diventa prevalente il modo rispetto al contenuto. Nel 2011 il tema torna ad essere il nucleare, la performance non si basa più su grandi monumenti ma su grandi eventi → attenzione mediatica diretta. Nel 2014 a Milano in occasione della fashion week viene esposto un cartellone in Vittorio Emanuele. Stessa narrazione. Sensibilizzazione rispetto alla produzione dei capi alla moda (movimento già dentro l’opinione pubblica). Flash mob del 2014 → attività performativa sul territorio, bisogna far evolvere la strategia comunicativa per non perdere l’attenzione. La dimensione performativa si trova sempre di più in uno spazio reale, si è perso l’elemento eroico. Flash mob contro l’inquinamento del petrolio nel mare del nord a tutela degli orsi. Altro Flash mob del 2014 Don’t play with the Arctic → travestimento da omini della Lego, si oppongono al brand. Questo suggerimento di Gerbner allarga tanto lo sguardo, e potrebbe arrivare a dire che persino nelle scelte di voto questi storytelling incidono nella formazione dell’opinione pubblica. In che senso si parla di Storytelling? Quello che vuole dirci Gerbner è che le storie proposte dai media si riflettono sul nostro modo di vedere e di interpretare il mondo → visione del mondo sempre più omogenea e mainstream. Il concetto chiave che però Gerbner in realtà introduce e che ci porta ad una considerazione diacronica è l’idea che le cose vadano ripetute: non basta dire una volta qualcosa, ma deve essere ripetuto trasversalmente e con costanza. Questa idea che ha Gerbner lo porta a riconoscere ai media una funzione particolare all’interno del contenuto sociale, che lui chiama “funzione bardica”= queste storie che i media ci raccontano e ripetono, funzionano come nelle società medievali, come se fossero “menestrelli” e “bardi” che se andavano in giro per le corti a raccontare le storie che tutti dovevano conoscere e dovevano diffondersi in una cultura (aspetti vita quotidiana, eventi storici ecc.. trasformati in una storia, esattamente come fanno oggi i media attraverso fiction, narrazioni ecc..). Es.: “Gomorra” o “Narcos” mostrano un fenomeno rappresentato molte volte, ma con un punto di vista particolare, innovativo (come la criminalità̀ si interseca nella società), per poi arrivare al coinvolgimento emotivo nei confronti dei personaggi. Le funzioni dei media Fiske e Hartley sviluppano ulteriormente la teoria della coltivazione (1978). Vanno avanti a partire dall’idea di Gerbner sulla funzione bardica. Sistematizzano e articolano meglio questo ruolo che i media hanno nel contesto sociale. Le funzioni dei media che ne conseguono sono: • Articolare l’interpretazione della realtà → ci forniscono modelli di interpretazione della realtà (“Gomorra”) • Proporre un sistema di valori → cosa va bene e cosa no (va bene l’accettazione della diversità, non va bene la marginalizzazione...) • Spiegare cosa motiva certe azioni → rapporti causa-effetto in una società Tutti questi 3 aspetti: servono a rassicurarci (l’inclusione va bene ecc) ≠ mettono in luce elementi di criticità (non siamo abbastanza attenti alle situazioni marginali e devianti ecc) suggerendo punti d’attenzione che mirano a far evolvere la società. ⤷ Questa rassicurazione avviene anche rispetto ai singoli individui → ripetendo e confermando alcuni ruoli sociali (es: ruoli pubblici come forze dell’ordine). Rassicurazione dei valori che animano queste categorie, ma rassicurare anche queste stesse categorie dello status che ricoprono ⤷ Tutto questo genera un senso di appartenenza culturale → condivisione sistema di valori, conferma che questi aspetti sono condivisi da molti Gli indicatori culturali Fiske, Hartley e Gerbner lavorano in parallelo a sviluppare le caratteristiche di questo processo di coltivazione. Gerbner individua alcuni temi cruciali in questo processo, aggiungendo che ci sono alcuni temi su cui i media generano più facilmente un effetto di coltivazione dell’opzione condivisa e sono quelli più legati alla dimensione dello stereotipo, e fa un elenco. I media agiscono in modo più significativo nel processo di coltivazione, quando trattano stereotipi legati a: ▪ Genere/età → giovani/ anziani, come affrontare differenze di genere ▪ Salute → tema su cui la rappresentazione mediale incide sulla creazione dell’opinione pubblica ▪ Scienza → dobbiamo fidarci o no? ▪ Famiglia → com’è composta, come si articola... ▪ L’educazione → in cosa consiste l’educazione dei giovani? ▪ Politica → posizionamento della nostra opinione: è onesta o disonesta la politica? ▪ Religione → serve o non serve? Personale o collettiva? ▪ Violenza → dimensione della devianza precedentemente citata Non su tutto i media contribuiscono alla formazione dell’opinione pubblica, ma di più su certi aspetti rispetto ad altri. Per verificare quello che è stato detto finora viene fatta una ricerca su uno di questi temi suggeriti da Gerbner: la violenza. A un certo punto si prendono quasi 20 anni (1967-1985) di programmi che hanno messo a tema contenuti violenti e viene fatto una survey sulle persone che hanno visto questi programmi per capire se la visione di questi contenuti a lungo andare ha avuto effetti sulla percezione del mondo, cioè se le persone cambiano il loro modo di rappresentare la realtà. Dal 1980 si va anche a verificare se il livello di sfiducia e depressione può essere associato alla rappresentazione costante di violenza. Dal sondaggio emerge che: • Esistono forti, medi e deboli consumatori di media e quindi di esposizione ai contenuti violenti (differenziale di coltivazione) • Coloro che fruiscono molto questi programmi violenti hanno un livello di sfiducia più alto rispetto agli altri, incrementato molto spesso dai canali tematici, perché a volte vengono proposti solo questi contenuti. Il sistema mediale Fondamentale è non focalizzarci sul singolo prodotto mediale o su un singolo genere di prodotti mediali, ma sui cosiddetti patterns stabili di significato= quadri interpretativi della realtà ripetuti dai media. La coltivazione si ha quando noi viviamo in un ambiente simbolico (tutte le rappresentazioni che noi fruiamo nella vita), circondati da un insieme di rappresentazioni, in cui le istituzioni che le producono creano dei messaggi costanti ripetuti nel tempo che nutrono e sostengono certi tipi di coscienza collettiva (formazione dell’opinione pubblica). Nel proseguire della ricerca emergono altri elementi che favoriscono la coltivazione, ad esempio: 1) Le relazioni sociali dei pubblici • Chi vive in contesti sociali omogenei è più esposto ai fenomeni di coltivazione, soprattutto se sono forti consumatori. • Questi sono consumatori mainstream, che dedicano tanto tempo al consumo dei media, talmente immersi nei loro consumi mediali e in un ambiente omogeneo che tendono a tenere meno in considerazione alcuni punti di vista. Grafico utilizzato per raccontare quanto è alta la percezione del tasso di criminalità in rapporto alla quantità di frequenza di TV e anche alla ricchezza di relazioni sociali che caratterizza le persone • la percezione del tasso di criminalità è più bassa nei più bassi consumatori di TV • è più alta nei più alti consumatori di TV 2) Effetto di risonanza (esperienza diretta) Se ho già esperienza diretta dell’aspetto mostrato, sono più esposto all’effetto di risonanza (chi vive in zone con alto tasso di criminalità, è probabile che svilupperà quest’effetto di coltivazione). Tipi di effetti di coltivazione Escono anche altri libri di altri autori sugli effetti di coltivazione, distinguendo: ❑ Effetti di primo ordine → primo livello, effetti descritti fin’ora: tendiamo ad adottare delle letture/interpretazioni del mondo dettate dai media che distorcono la realtà enfatizzando alcuni aspetti ❑ Effetti di secondo ordine → secondo livello, il pubblico mutua dai media attitudini, sentimenti e valori Questo processo di selettività è il punto di partenza di un fenomeno tipico della rete → echo chambers Noi finiamo attraverso questo processo di selettività per circondarci di contenuti che confermano il nostro modo di pensare. Questa conferma costante non viene mai messa in discussione, queste echo chambers in cui ci collocano i media digitali non mettono mai in discussione il nostro punto di vista. Questo succede anche perché i social media favoriscono la circolazione di tante fonti disintermediate, difficili da distinguere e spesso non affidabili e di conseguenza si mischiano con le fonti affidabili, si assomigliano, perché appartenenti allo stesso flusso. Conseguentemente, l’opinione pubblica fa fatica a strutturarsi perché molto più frammentata. Le echo chambers sono il risultato della nostra selezione, tuttavia il funzionamento del sistema dei media digitali favorisce la costruzione delle camere dell’eco in quanto ripropone contenuti simili a quelli che ho selezionato. Nei social, ad esempio, gli algoritmi che governano i feed, ci ripropongono con maggiore frequenza non solo i contenuti a cui messo like o con cui interagisco ma anche quelle fonti (es.: se metto like sui profili dei terrapiattisti avrò una restituzione nel feed di una grande quantità di contenuti di questo tipo ma anche dei profili, di conseguenza a lungo andare avrò la percezione che ci siano tantissime persone che sostengono questa teoria). Es.: alcuni flussi di comunicazione che hanno caratterizzato il lockdown dicevano che non era vero che le persone uscivano nonostante le restrizioni, mostrando foto di strade vuote. Mettendo like a post analoghi, questi ultimi venivano continuamente riproposti fino a pensare che fosse realmente così. Echo chambers: quali sono i rischi? Le e.c. favoriscono anche lo sviluppo di campagne d’odio comunicative verso “nemici” (cyber cascade) → questo perché cominciano a circolare contenuti marcati da hashtag come #idioti #covid ecc. che inizialmente vengono proposti intenzionalmente, promuovendoli e sponsorizzandoli, poi man mano, mettendo like a post che hanno una visione sintonica rispetto alla nostra, si diffondono. Le echo chamber sono profondamente divisive perché quando siamo racchiusi nella nostra camera dell’eco in cui ci convinciamo che la nostra opinione sia condivisa dai più, il dialogo con le persone che la pensano diversamente è più difficile, innanzitutto perché poco visibile e poi perché visto come assurdo. Questa auto segregazione ha forme di espressione spesso molto conflittuali (quelli che hanno visione opposta vengono percepiti come minaccia), generando un effetto sul dibattito pubblico e sulle decisioni delle istituzioni pubbliche, le quali cercano un dialogo. Si genera così un’opinione pubblica non solo frammentata ma anche polarizzata, tanto da influire sulle dinamiche sociali (es.: assunzioni, non ti assumo se la pensi così). Filter bubble Le echo chambers sono potenziate dalla presenza delle filter bubble che ripropongono contenuti simili a quelli che abbiamo selezionato. Alcune ricerche hanno dimostrato come funzionano e a partire da una ricerca: ✓ Se noi prendiamo un numero ampio di utenti delle piattaforme social ✓ Di diverso orientamento politico Cosa differenzia la loro esposizione alle social news? ✓ La tipologia di amici in quanto la rete sociale che io mi sono costruito nella piattaforma social fa sì che abbia una fruizione di news omogenea ✓ I tipi di news condivisi da me perché l’algoritmo me li ripropone ✓ Le modalità di interazione con il feed (la frequenza di connessione, l’interazione con amici, click su link, like a pagine) Tutti questi nostri comportamenti contribuiscono alla costruzione della nostra filter bubble. Possiamo dire quindi che la nostra bolla filtrata è determinata da tre elementi: 1. Algoritmo 2. Rete sociale connessa (che tipo) 3. Pratiche quotidiane di uso dei social media Possiamo inoltre dire che le filter bubble sono “meccanismi online di polarizzazione dell’informazione prodotti dalle logiche degli algoritmi nei social media e dai motori di ricerca come Google”. Gli esiti delle filter bubble: • Si crea un contesto iper-personalizzato • La selettività è invisibile (perché operata dall’algoritmo e perché gli utenti ne sono spesso inconsapevoli) • Gli utenti sono passivi perché le logiche di filtraggio non sono note Misinformation Tutti questi fenomeni si legano alla misinformation: Circolazione (intenzionale o non) di “voci non confermate” che contribuiscono alla costruzione di una credibilità collettiva e, alle volte, di una verità credibile e condivisa. La differenza tra misinformation ≠ fake news → queste ultime sono notizie false. La misinformation è un meccanismo più sottile, può essere non intenzionale, può essere un’informazione non confermata (es.: rumors). I fenomeni della filter bubble e delle echo chambers favoriscono la misinformation che a sua volta contribuisce alla formazione dell’opinione pubblica. Tutti i meccanismi spiegati finora contribuiscono alla diffusione della misinformation, ma non solo. Sui nostri feed circolano con lo stesso peso un articolo sulla politica, un meme satirico, un commento di una persona famosa, l’opinione di un politico… Questi sono tutti post con le stesse caratteristiche quindi è più difficile per chi li segue e li legge, distinguere i due livelli. L’articolo prodotto dai media e la foto fatta da un mio amico di un certo luogo, hanno lo stesso status, solo che non sono stati fatti con lo stesso criterio. Il mio amico ha fatto la foto quando passava di lì per caso, e chi produce le informazioni attraverso i media ha studiato come farlo. Tutto però viene appiattito sullo stesso livello, sono tutti apparentemente uguali, quindi si assomigliano. Nel 2016, l’Oxford dictionary ha introdotto la parola “post-truth”, e intendeva dire ciò che stiamo cercando di raccontare noi: = è la condizione in cui ci troviamo quando, piuttosto che basare la costruzione dell’opinione pubblica su fatti obbiettivi, lo facciamo sull’emotività o su convinzioni personali, o su quello che la nostra rete sociale ci comunica. La misinformation include anche la circolazione delle fake news, che sono a volte coerenti con il nostro punto di vista o con alcune nostre visioni; quello che succede però è che, quando si entra in relazione con le fake news che confermano il nostro punto di vista, noi ci coinvolgiamo in questi meccanismi di proattitudinal information= la ricerca di informazioni che confermano quello che noi pensiamo, e che contribuisce a confermare le convinzioni innescate dalle fake news. Es: sui social media la percentuale più alta di utenti è data dalla fascia tra i 18 e i 25 anni. Questa può essere una notizia che conferma un percepito, ma si innescano dei meccanismi di proattitudinal information, che mi portano ad andare a cercare se ci saranno effettivamente altre fonti che vadano a confermare che gli utenti più attivi sono davvero quelli che vanno dai 18 ai 25 anni. Quindi vado a confermare un’insieme di fake news perchè siamo abituati a vivere in un mondo in cui dominano le echo chambers, le filter bubbles… questo meccanismo di proattitudinal information dunque vuole confermare ciò che io già sperimento nella mia vita quotidiana. Polarizzazione un’estensione da parte dei media dell’accesso al backstage delle altre fasi della vita: alcune parti della vita degli adulti erano nascoste alla vista dei bambini. I bambini vengono consapevoli di alcuni aspetti del monod adulto prima di quello che è il tempo in cui loro hanno le capacità di elaborare certi aspetti. Es: family series, che mettono in scena genitori che sono incapaci di “fare i genitori” 2. I RUOLI DELL’AUTORITA’= siamo davanti ad una questione di spostamento del confine del backstage, ci siamo abituati a vedere personaggi che ricoprono ruoli d’autorità anche in situazioni di backstage (vediamo i ministri, in costume al mare con i bambini, o vediamo un presidente d’azienda in giro in bicicletta, etc…). ciò che ha riconfigurato i ruoli dell’autorità è che i media hanno messo a disposizione delle persone comuni, informazioni e conoscenze che sono tipiche e caratteristiche di questi ruoli. Anni fa, o avevo studiato medicina, o ascoltavo il medico. Poi i media hanno permesso la diffusione di conoscenze nel campo medico. Quindi abbiamo la diminuzione dello status e una riduzione dell’autorità (rappresentazioni di ruolo potenzialmente messe in crisi), Es: political series Immagine emblematica di un momento di backstage della campagna elettorale del 2008, ci dice che il backstage viene costruito come rappresentabile. Tanta è la necessità di raccontare il backstage, che viene addirittura costruito. Quello che era il retroscena, è diventato poi il profondo retroscena, quindi lo sguardo sul mondo che ci circonda è cambiato. Abbiamo capito che la rete ha un peso importante perché ci mette a disposizione competenze che sono tipiche dei ruoli dell’autorità però internet ci fa considerare in modo diverso ancora le situazioni sociali. I media digitali ci chiedono di prendere delle decisioni su quello che sono e quello che sto facendo; ci mette in una condizione in cui lo spazio pubblico può diventare spazio privato e viceversa, ed è una situazione che ci impone di continuare a rinegoziare le regole. L’avvento delle piattaforme digitali ha messo in gioco un tipo di piattaforme nuove che ha rivoluzionato gli assetti della società. Il primo ad occuparsene ha iniziato a studiare la: Network society Negli anni 80 qualcosa era cambiato, la rete arrivava su un sistema mediale diverso da quello tipico degli anni precedenti. Le audience diventano sempre più segmentate e lo sviluppo dei canali telematici porta a degli sviluppi più digitalizzati, iniziano ad esistere dispositivi mobili come videoregistratori, walkman ecc. Dentro questo contesto già in mutazione, si innesta la comunicazione digitale, che avviene in sinergia con lo sviluppo dei media di rete. Verso la fine degli anni 80 (1989) arriva il web, in un contesto in cui spunti di personalizzazione già c’erano. Osservando tutto questo Manuel Castells (studioso portoghese) comincia a studiare la Network Society. Scrive 3 libri (The information age, The rise of the network society, L’era dell’individualismo) Ci invita ad osservare come lo sviluppo di internet cambi diversi aspetti della società, vedeva già alcune cose, una di queste era che questo modello avrebbe caratterizzato il mondo per diversi decenni. Internet è il modello su cui si basano scambi comunicativi, tecnologie, produzione e circolazione della cultura. Prima del modello di rete, il modello comunicativo dominante era quello di broadcast, da uno a molti, da pochi centri di produzione a moltissimi destinatari. Quello che è “lungimirante” di Castells è riconoscere che questo sarebbe diventato un modello dominante, che ad oggi ci sembra scontato, ma che non era ovvio per il tempo. Riconosce che al broadcast si sostituirà il modello di rete= da molti a molti. Egli inoltre sostiene che questo passaggio dai modelli di broadcast a quelli a rete, andrà a toccare anche i modelli economici. Quello che egli comprende è la connessione tra modello di rete e assetti economici. Tanti piccoli centri di produzione per pubblici circoscritti e di nicchia. Viviamo a cavallo tra produzioni di massa e piccoli “artigiani”. La terza cosa che lui comincia a vedere alla fine degli anni 80 è che questo modello di rete avrebbe favorito movimenti culturali portatori di valori sociali che nel sistema broadcast facevano fatica ad affermarsi. Questo noi l’abbiamo già precedentemente visto guardando le teorie precedenti nei giorni nostri, ma Castells è il primo a dirlo. In un quarto libro chiamato “The End of Millennium”, egli definisce la NS come “una nuova struttura sociale dominante, la società in rete; una nuova economia, l’economia informazionale/globale; e una nuova cultura, la cultura della virtualità reale” Quest’ultima frase ora appare un po' datata, ma si riferisce ad ambienti come realtà virtuali che andavano molto di moda a fine anni 90, ma che sono tramontati per ovvie ragioni nonostante i loro periodici ritorni. Quello che resta di queste idee di Castells è che noi ci muoviamo in maniera trasversale tra ambiente digitale e quello reale. Prova a spiegare la sua definizione mettendo a fuoco alcuni punti: 1. L’informazione è centrale nella nuova società, diventa un motore dell’economia. Il mondo finanziario oggi è una conferma di ciò che affermava Castells, per mondo finanziario si intende investimenti ecc. Quel mondo si basa sul fatto che in origine c’è un'impresa che funziona, vende azioni agli azionisti che lo pagano ecc. Questo mondo finanziario ha iniziato a funzionare anche su un altro livello: la circolazione di informazioni sulle varie imprese tra i vari operatori. C’è come uno strato sopra, tutto questo avviene attraverso mezzi tradizionali: scambi di informazioni tra persone, telefonate, fax, gente che sta al telefono di notte (questo negli anni 80) con lo sviluppo della rete si aggiungono le informazioni che circolano costantemente in rete, anche senza la mediazione di persone. I computer si scambiano informazioni sulla base di comandi prestabiliti, e sono loro a fare i prospetti ecc. 2. Techno – socialità: La NS è caratterizzata da una socialità che si appoggia in maniera sempre più significativa sulle tecnologie. Noi oggi lo diamo per scontato, ma nel ‘97 non lo era affatto. 3. Network logic: la rete è dinamica, il paradigma della società contemporanea, ed è un modello che porta alla convergenza, la convergenza di tutti i sistemi dei media verso la rete. 3. Cambiamento: Tutti i media si sono diretti verso la rete, un esempio recente può essere il calcio, per la prima volta i diritti sono stati comprati da una piattaforma che trasmette in streaming e non da un canale televisivo (es.: Dazon). 4. Convergenza: Tutte le tecnologie convergono in un sistema integrato. Castells guarda all’impatto della rete sul sistema economico e sociale in modo molto ampio. Si percepisce e si intuisce che il mondo della rete porta con sé una trasformazione destinata a lasciare una traccia importante in tutta la società. Quindi è chiaro che Castells pensa a degli effetti, pensa anche a cominciare e ad identificare effetti di questa predominanza del sistema di rete. Sostiene che inevitabilmente la società sarà frammentata, nel consumo, nell’offerta di contenuti e prodotti sempre più personalizzati. Questo genera anche una frammentazione culturale. I prodotti che fruiamo sono sempre meno di massa, sempre più di nicchia, sempre più adatti a noi come persone. Il secondo effetto che Castells ci descrive è una nuova diseguaglianza sociale, non basata sul potere economico o sul titolo di studio, ma sulla possibilità di accesso alla tecnologia. La prima forma di technology divide è legata alla dotazione di tecnologie digitali, lo vediamo esplodere durante la pandemia. Le diseguaglianze restano anzi, aumentano. Si distinguono anche in competenti e non competenti, gli anziani hanno magari smartphone ecc, ma comunque non riescono ad usarli. Quello che dice Castells “Non esiste ambito sociale che non sia comunicabile in modo istantaneo all’interno delle reti al punto che i vissuti quotidiani tendono a essere tematizzabili come fatti pubblici.” Se già Meyrowitz negli anni ’80 riprendeva Goffman con la metafora del palcoscenico, nella connective society il confine rimane spostato verso la visibilità, per cui la vita quotidiana ha effettivamente acquisito cittadinanza all’interno dello spazio pubblico. Tuttavia, tutta questa visibilità arriva anche a chi non dovrebbe, per cui si verifica il fenomeno del collasso dei contesti, descritto alla fine del 2008 da degli studiosi di social media, in particolare da Danah Boyd. Si tratta di un fenomeno secondo cui noi non governiamo i destinatari del nostro contenuto, per cui, alle volte, i nostri post arrivano a soggetti che non ricordiamo essere nelle nostre reti. Ci sono delle tecnologie e dei loro aspetti che sostengono la connective society e i suoi effetti, ovvero: ▪ Tecnologie di produzione diffuse: (videocamere) in modo qualitativamente significativo, che ci permette di produrre contenuti. ▪ Tecnologie di disintermediazione: capaci di produrre contenuti ma anche di metterci in connessione con figure istituzionali e famose, facendoci sentire protagonisti del discorso pubblico. La connective society è caratterizzata dalla cultura della connessione, ovvero una cultura in cui le strutture dei social media sono entrate gradualmente al centro delle nostre routine e pratiche quotidiane. Platform society La studiosa Josè Van Dijck afferma che l’elemento che caratterizza la società contemporanea è l’infrastruttura di piattaforme. Piattaforma= un’architettura digitale programmabile, progettata per organizzare interazioni tra utenti; non solo utilizzatori finali (utenti individuali) ma anche imprese commerciali e istituzioni pubbliche (non è necessariamente un social, può essere anche ad es. Amazon). La p.s. Poggia su un sistema di piattaforme inseparabili, che sono dipendenti tra di loro → ecosistema di piattaforme= un assemblaggio di piattaforme interconnesse, governate da un particolare insieme di meccanismi che modellano le pratiche quotidiane. La studiosa afferma che nell’ecosistema di piattaforme coesistono due tipi di piattaforme: 1. le piattaforme infrastruttura e 2. le piattaforme di settore. 1. Big five (FAMGA): 1. Facebook: non è un social network bensì un’azienda che media la comunicazione interpersonale della maggioranza delle persone che comprende WhatsApp, Facebook e Messenger. ▪ 80% dei servizi di social network nel mondo ▪ 60 % della pubblicità online ▪ Servizi di identificazione online (accedi con Facebook) ▪ Controllo sul traffico dei dati mobili degli individui (app) 2. Amazon: è in ascesa, è una rete digitale di vendita che distribuisce contenuti ▪ Leader di mercato nel campo dei server per il cloud quindi moltissimi servizi che hanno bisogno di spazio per i loro contenuti si servono di Amazon (es. Netflix) 3. Microsoft: company store ▪ Monopolio di computer e software tecnologici ▪ Social network (LinkedIn e Skype) ▪ Microsoft store ▪ Contenuti per gaming 4. Google: colonna portante delle big Five. Fornisce risorse chiave per tutto l’ecosistema, è il principale gatekeeper delle ricerche online. ▪ L’infrastruttura di ricerca è data da Google Search ▪ Browser principale è Google Chrome ▪ Google play ▪ Sistema operativo Android ▪ Servizi di pagamento (Android Pay, Google Wallet), ▪ Programmazione pubblicitaria AdSense ▪ Youtube ▪ Google Earth, Google Meet, Google Drive... 5. Apple: leader della produzione di hardware. ▪ Gestisce il secondo app store (primo google play) ▪ Streaming (apple tv), ▪ Apple pay ▪ Identificazione (accedi con Apple) Funzionano da online gatekeeper (filtro), gestendo il flusso di dati che circola in rete. 2.Piattaforme di settore (es. Airbnb) Sono incorporate nell’ecosistema complessivo ma agiscono all’interno di settori specifici (alloggi, news, istruzione ecc). Nella maggior parte dei casi dipendono dalle Big Five (es.: i sistemi di geolocalizzazione dipendono da Google Maps). Hanno il ruolo di ritagliare spazi di connessione tra utenti e fornitori; dove non arrivano le Big Five, arriva la piattaforma di settore. Abbiamo due tipi di connettori: ▪ Tra utenti e microimprenditori (es. Uber) persone comuni che avviano piccole attività ▪ Tra utenti e fornitori (es. Booking) imprese complementari internazionali 3/11 Il punto di approfondimento di oggi si basa sugli elementi costitutivi (tratti comuni delle piattaforme) e gli “effetti sociali” delle piattaforme: dagli elementi costitutivi derivano degli effetti sociali sul contesto. Elementi costitutivi: i dati Le piattaforme si basano sulla raccolta di grandi quantità di dati, relativi ai contenuti prodotti e ai comportamenti degli utenti → capitale o data capitalism o capitalismo dei dati → all’interno del funzionamento delle piattaforme di settore e delle Big Five, i dati costituiscono un elemento di scambio. Il data capitalism significa che quanti più dati una piattaforma è in grado di raccogliere, tanto più è in grado di spenderli in una relazione con altri soggetti (imprese) ed è in grado di guadagnare denaro e potere all’interno delle piattaforme. Es.: Google è in grado di raccogliere moltissimi dati grazie al comportamento degli utenti, ma sappiamo che per Google non ci si limita solo al motore di ricerca, ma a tante altre piattaforme grazie cui l’azienda può accumulare dati molto ingenti. Questo capitale non spendibile sul mercato in termini di investimenti deve essere convertito in denaro: si fa pagare alle aziende la possibilità di far arrivare i loro messaggi precisi ai vari utenti + l’azienda vende i propri dati (geolocalizzazione, come per AirBnB) a dei fornitori di servizi. La raccolta di dati è consentita e modellata da hardware e software: → Device: utilizzati per accedere, che incorporano software e app che raccolgono dati; → Click del mouse: indirizzi, geolocalizzazione, interessi, ecc.; → Social buttons e i pixel: i social buttons sono tutte quelle attività che siamo incoraggiati a fare, ovvero condividere un contenuto. Noi lasciamo traccia del nostro avvicinarci ai format e ai contenuti online (meccanismo di retargeting): man mano che ci avviciniamo a spazi di siti web di aziende o di commerce, Dopo la crisi, Facebook mette a disposizione una pagina dove controllare se le proprie informazioni erano state condivise con Cambridge Analytica. Inoltre, Facebook mette a disposizione degli strumenti per monitorare quali app accedono al profilo e raccolgono dati sul nostro profilo Facebook. In particolare, altri due meccanismi si attivano: 1. Ci si domanda se Facebook debba tutelare i propri utenti e Zuckerberg dice di no, in quanto Facebook è una tech company, non una media company, che producono loro i contenuti e sono parzialmente responsabili (oggi la situazione è cambiata). 2. Il GDPR: un sistema di tutela e controllo dei dati raccolti sulle singole persone che navigano in rete, che devono essere tracciabili. Inoltre, deve dare ai singoli la possibilità in ogni momento di cancellare i dati, quindi genera una serie di autorizzazioni e controlli che noi oggi conosciamo. Oggi, il GDPR vale per i dati raccolti sui cittadini europei anche da aziende americane e in altri paesi extraeuropei. Negli USA è stato recepito con più difficoltà, ma Facebook si sta lentamente abituando a questa posizione centrale. Ecco perché oggi ci viene chiesta l’autorizzazione al trattamento dei dati. Elementi costitutivi: gli algoritmi Le piattaforme utilizzano gli algoritmi per filtrare automaticamente l’enorme quantità di dati raccolti e per connettere utenti, contenuti e pubblicità. Algoritmi= l’insieme di istruzioni automatizzate per trasformare i dati di input in output. Ad esempio, prendiamo la page rank di Google: ▪ Per input s’intende il numero di link e descrittori della pagina ▪ Per output s’intende la rilevanza della pagina web nella ricerca Gli algoritmi non sono trasparenti e noti, sono considerati “segreti industriali” al pari dei brevetti, soggetti a continui mutamenti. Elementi costitutivi: le interfacce Le interfacce rendono visibili e accessibili i contenuti. Orientano la produzione, la connessione e l’accesso ai contenuti. Agiscono secondo una logica predittiva, ovvero favoriscono alcune azioni/interazioni e ne disincentivano altre (icona dello shopping). Es.: nell’app di Instagram, il simbolo di creare contenuti è stato spostato verso destra, in posizione più centrale, rispetto a prima (in un angolo a sinistra), aggiungendolo altre tre azioni in cui veniamo chiamati ad essere costantemente attivi: “aggiungi”, “metti like”, “manda messaggi”. Elementi costitutivi: lo status proprietario Ogni piattaforma ha un suo status proprietario giuridico ed economico: ▪ Proprietà: è di qualcuno ▪ Scopo: lucro o no profit ▪ Luogo: è legalmente situata in un luogo Es.: AirBnB ha uno status proprietario preciso: è di proprietà di un’azienda statunitense e di una serie di azionisti, tra cui diversi venture capitalists, che hanno contribuito a farla diventare importante e interessante anche da un punto di vista economico. Fa riferimento ai sistemi di regolamentazione americani rispetto alle transazioni economiche e alla tassazione → dobbiamo sapere che parliamo di cose situate nel mondo e nello spazio, di puro business e non in modo astratto. Certamente, è una piattaforma che supporta il movimento sul territorio, ma si tratta di realtà concrete e situate. 10/11 Elementi costitutivi: modello di business Ogni piattaforma ha un suo modello di business. Tutte le piattaforme degli anni 90/2000 che hanno cercato di sopravvivere senza un business sono fallite. Nella maggior parte dei casi questo modello è basato su una connessione iper-profilata tra utenti, contenuti, dati e pubblicità. Il caso di Facebook Possiamo spiegare questa definizione risalendo alla storia di Facebook → quando nasce c’è un grande conflitto tra Zuckerberg e gli altri soci per divergenza di idee nel campo economico. Quello che porta avanti Facebook alla fine è Zuckerberg che sin dall’inizio vuole dare una dimensione economica alla piattaforma. Siamo nel 2005, dove Facebook è in fase embrionale e ancora utilizzato da studenti di Harvard, però egli pensa che alle aziende faccia piacere farsi pubblicità sulla piattaforma, per cui apre degli spazi di comunicazione pubblicitaria all’interno della piattaforma, facendo comparire dei banner all’interno di Facebook. Questa è la svolta, perché la pubblicità entra subito nel mondo tecnologico. Il valore aggiunto che Facebook dà è quello di avere un target preciso: gli studenti di Harvard. Qualche anno dopo Zuckerberg ha un’altra idea: si inventa un sistema chiamato Beacon, ovvero un accordo con le aziende che fanno pubblicità mettendo in comune dei dati di navigazione sul loro sito così Facebook può far comparire dei messaggi come “Giulia Rossi oggi ha visitato il sito di Nike”. Per la prima volta si usano i dati per creare una pubblicità nuova. Qual è il problema? La privacy. Questi messaggi sono pubblicati senza l’autorizzazione degli utenti. Così il modello Beacon viene tolto dopo un paio di anni. Capiscono che le info che le piattaforme hanno assieme a quelle che hanno le aziende gli permettono di offrire comunicazioni pubblicitarie mirate (es.: le inserzioni) senza violare la privacy. Ma non è solo questo il modello di business su cui si basano le piattaforme. Ci sono altre declinazioni di questo modello di business: • Richiesta di commissioni → pagare per avere i dati di altre piattaforme • Estrazione di valore da dati (pubblicità, la forma base) • Proposte di sottoscrizione ai dati → società che si abbona ad una piattaforma per avere dati aggiuntivi relativi al comportamento degli utenti • Cessione a pagamento ad altre aziende/governi dei dati di profilazione l’azienda nell’immaginario, che ha una determinata vision e posizionandosi come imprenditore visionario (al pari di Elon Musk e Steve Jobs, ad esempio). Dentro Meta, inteso come social network, troviamo Instagram, WhatsApp, Messenger e Oculus, una piattaforma di scambi. Questa idea di costruzione della realtà virtuale viene definita come “un insieme di spazi virtuali da creare ed esplorare con altre persone che non si trovano nel tuo stesso spazio fisico”. Guardando il video della presentazione sul profilo ufficiale di Zuckerberg, i concetti sono tre: 1. Immersione all’interno dello spazio virtuale 2. Incontrare persone da tutto il mondo senza muovermi da casa 3. Il target è quasi esclusivamente giovane, quindi è un’evoluzione pensata per intercettare qualcosa di nuovo mai offerto al pubblico giovanile. Questa idea del Metaverso si appoggia su due linee di sviluppo attive: ▪ Acquisizione e finanziamento di Oculus nelle interfacce per poter utilizzare il Metaverso ▪ Sviluppo e finanziamento di Horizon Workrooms, una piattaforma finalizzata all’utilizzo aziendale. La parola Metaverso appartiene alla letteratura fantascientifica degli anni 90, in particolare nel romanzo di fantascienza “Snow Crash” di Neal Stephenson del 1992, facendo riferimento ad un immaginario per i giovani che collega a questo decennio delle origini questa idea. Quindi, il Metaverso che Zuckerberg si immagina nasce già verso la fine degli anni ’80, quando è stato prodotto in modo funzionante il Dataglove, un guanto con fibre che tracciavano e riconducevano il movimento della mano per interagire e compiere azioni in uno spazio ricostruito all’interno del computer, tuttavia i costi esorbitanti ne hanno ridotto la produzione, finalizzandolo all’addestramento dei piloti della NASA per abituarli in anticipo. 16/11 Dataglove L'esperienza virtuale non finisce negli anni 80 ma continua. Negli anni 90 il primo mondo a cui viene applicato è quello del gaming. Non sono ancora interfacce utilizzabili a casa ma lo sono in delle sale che propongono strutture di cyber game. L'idea è che questi sistemi ci permettano di immergerci in uno spazio virtuale tridimensionale. Alla fine degli anni 90 c’è uno switch in quanto la qualità di queste interfacce è ancora molto semplificata. Ciò che si affianca alla realtà virtuale negli anni 2000 è l’enhanced reality (realtà aumentata). È il modello della Wii. In questo caso siamo noi che ci muoviamo in uno spazio reale, interagendo con quello virtuale; non c’è l’idea di uno spazio isolato all’interno di una realtà virtuale. Nel frattempo, mentre le tecnologie immersive vanno a svilupparsi in questa direzione, l’accento è messo anche sulla socialità. Così nel 2003 si cerca di creare un ambiente virtuale multiutente, ovvero uno spazio tridimensionale (con il computer) immersivo in cui mi posso muovere ma utilizzando un avatar → Second Life. Non è un gaming bensì un ambiente sociale (ci sono dei bar dove si comunica chattando, ci sono eventi, si può fare shopping ecc). Ci sono anche degli scambi economici, difatti è il primo luogo dove si sviluppa una moneta digitale, ovvero la linden dollar → con i soldi reali compro un pacchetto di linden dollar per fare diversi acquisti (accessori per gli avatar, corsi di formazione ecc). I Linden dollar avanzati vengono depositati nella banca di Second Life per poi rifare l’accredito vero e proprio nella vita reale. Riscuote talmente successo che alcune università costruiscono delle” isole” al suo interno, ovvero degli spazi che fungono come luogo di aggregazione o come erogazione di corsi. Con l’avvento dei social network il suo successo è diminuito, anche perché i social sono molto più immediati da gestire. Dopo la parabola di second life, nel 2010 ritorna all’attenzione la realtà immersiva, e in diversi ambienti come musei e cinema vengono utilizzati i visori. Il rendering è oggi di qualità elevata, quindi di nuovo interessante. È cresciuta anche la sperimentazione sull’enhanced reality → Google glass. Con i Google Glass si proiettavano sopra lo spazio reale ad esempio le mappe, le previsioni del tempo, oppure immagini fotografiche e riprese video. Era come una GoPro incorporata negli occhiali. Tutto ciò ha sollevato problemi di privacy: non si capisce quando si sta registrando o fotografando. Vedere lo spazio reale insieme a delle informazioni provenienti dal digitale implica però anche fatica visiva, bisogna quindi cogliere pienamente il valore aggiunto. Questi strumenti sono il frutto di grande studio, ma manca la cosiddetta “killer application”= la loro chiave applicativa: ad esempio, un video posso farlo benissimo con il cellulare anziché portare questi occhiali. Tutto il mondo a cui il Metaverso fa riferimento è il mix tra la realtà virtuale immersiva e l'ambiente virtuale multi utente. Da questo mix, sfruttando il fatto che possiede le piattaforme che supportano una socialità multiutente (che SecondLife non aveva ad esempio) sogna di portare dentro questa infrastruttura social il mondo dell’enhanced reality. 17/11 I meccanismi delle piattaforme: selezione L'attività di filtro dei contenuti di queste piattaforme viene chiamata selezione. In particolare, i contenuti a cui accediamo sono frutto di un processo di selezione a cui noi partecipiamo, in quanto questi algoritmi partono dalle nostre scelte, da un’analisi predittiva. Anche se non consapevoli, ne siamo partecipi. Per questo tutti i media che poggiano sulle piattaforme sono chiamati media alogritmici → sono una nuova tipologia di media. Sono tutti quei media che distribuiscono contenuti sulla base delle analisi predittive a partire dai nostri dati (data driven). Non sono indipendenti dalle azioni degli utenti, bensì si basano sulla capacità di filtrare le interfacce degli algoritmi in base agli utenti. Noi, da utenti, condizioniamo la disponibilità di determinati contenuti, non siamo passivi, ma attivi, anche volontariamente dal momento in cui diventiamo consapevoli di questi meccanismi. Noi forniamo gli input in termini di like, commenti e azioni → gli algoritmi li elaborano sulla base di logiche prefissate → e distribuiscono contenuti. Quindi questi algoritmi hanno un margine di imprevedibilità in quanto agiscono in combinazione con le azioni degli utenti. Es.: posso immaginare la scaletta del tg, sapendo che ci sono dei criteri come l’agenda setting, ma posso più difficilmente immaginare l’ordine di notizie dei feed all’interno delle piattaforme social perché in sinergia con le azioni degli utenti. Da qui nasce l’esigenza di riuscire ad intervenire per orientare la selezione algoritmica → operazioni di rete finalizzate a promuovere la visibilità → gruppi di persone significativi che mettono tanti like, tanti commenti ecc di modo tale che certe notizie restino in alto. È molto usato nella disinformazione ma può essere anche utilizzato a fini positivi. Questa selezione è apparentemente trasparente e bottom up, guidata dal basso. Ma in realtà non è così. Questo perché funziona come una sorta di “black box” → ne conosciamo il funzionamento in ingresso e in uscita ma non le logiche interne. Es.: non conosciamo tutti i criteri di funzionamento dell’algoritmo di Google. Conosciamo la logica della popolarità, la logica di quello che abbiamo già scelto, la logica SEO (qualità del sito), ma non sappiamo altro. Inoltre, ciclicamente questi criteri evolvono. Rispetto alla circolazione dell’informazione o della disinformazione, il fatto di privilegiare contenuti che non hanno link che rimandano all’esterno (che è stata per lungo tempo una caratteristica tipica delle piattaforme per mantenere le persone sui social) è un elemento problematico, soprattutto per la disinformazione, in quanto non posso verificare la fonte. Selezione degli algoritmi Nel cercare di dar conto di questi processi Van Dijck identifica tre processi nella selezione degli algoritmi: 1. PERSONALIZZAZIONE → sono quelli di cui abbiamo parlato fino ad ora, ovvero le analisi predittive, che sono finalizzate alla personalizzazione dei contenuti (es.: Netflix). Questo meccanismo però non si basa solo sulle nostre scelte ma anche su un’osservazione di quello che accade attorno a noi, nella nostra rete sociale (quello che hanno scelto le persone che seguiamo, le pagine che seguiamo o di cui facciamo parte). Quindi considera anche le preferenze di gruppi più ampi di cui io faccio parte. 2. REPUTAZIONE E TREND → nel funzionamento degli algoritmi viene tenuto conto anche della reazione che le piattaforme stesse hanno (trending topics su Twitter ma anche su tutte le altre piattaforme). Le piattaforme selezionano e offrono agli utenti contenuti che rappresentano dei trend tra gli utenti. Sono criteri che funzionano indipendentemente dalle nostre azioni. Questi criteri privilegiano contenuti con una “buona reputazione” (che hanno molte reaction). Questo da un lato genera una pressione a commentare, dall'altro genera l’effetto clickbating. Es.: la Repubblica che pubblicava articoli fortemente polarizzanti per generare molti commenti e quindi salire di visibilità. Ora ha calmierato questo processo in quanto era palese. L'effetto clickbating è dato dai titoli sensazionalistici. Un’altra operazione da parte delle testate giornalistiche è quella di prelevare contenuti che stanno già sviluppando una buona reputazione (es.: notizie virali degli influencer). Questa buona reputazione diventa uno strumento di attribuzione di fiducia agli altri o a prodotti/ servizi. La quantità di recensioni ad esempio, indipendentemente dal fatto che siano positive o meno, fa buona reputazione (es.: Tripadvisor). Quanto più si genera reazione tanto più si è affidabili. Ogni piattaforma ha dei propri criteri di ranking (es.: Amazon). 3. MODERAZIONE → riguarda il ruolo attivo che le piattaforme hanno nella selezione dei contenuti. Definiscono alcuni contenuti che ad esempio non sono adatti e li rimuovono. Ogni piattaforma definisce i propri criteri di accettabilità dei contenuti e ne privilegia alcuni → insieme dei valori. Es.: Facebook punta principalmente su due criteri → 1. la sicurezza (rimozione di post che minacciano le persone, post che limitano il diritto di espressione altrui) 2. l’autenticità (rappresentazione non fuorviante delle proprie attività, contenuti autentici → rimuove profili fake). I valori non sono solo questi. Ce ne sono altri come la violenza e la legalità, la sicurezza come tutela della persona, contenuti deplorevoli. Notiamo che manca però l’attenzione sulle fake news, sul concetto di verità, sul quale le piattaforme non prendono posizione. È difficile farlo, riconoscere la verità. Facebook a riguardo ha scelto recentemente di lavorare da moderatore, ovvero di implementare un pull di giornalisti per rintracciare i profili che diffondono fake news. Altre piattaforme invece, come Twitter, hanno fatto la scelta di orientare verso fonti affidabili, ovvero fare in modo che ogni qual volta qualcuno cercava “covid” all’interno di Twitter gli comparissero fonti come il Ministero della Sanità e le istituzioni sanitarie. Pinterest e TikTok invece, hanno messo degli avvisi che dicevano di verificare sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità o del Ministero della Salute del proprio paese che l’informazione fosse veritiera. Inoltre si è cercato di creare dei punti di informazione sul covid interni alle piattaforme. Es.: Facebook ha proposto un centro informazioni covid, che mira a correggere le informazioni non corrette sul covid. Indica quali sono le fonti autorevoli, dà le ultime notizie. Questo è un passo importante per le piattaforme perché per la prima volta hanno esplicitato il loro ruolo di moderazione, si propongono come ”editori di contenuti”, non li creano ma li selezionano secondo un’organizzazione che per la prima volta non mette più in gioco il criterio delle visualizzazioni ma mette in gioco il criterio dell’affidabilità. Ad un certo punto, questi flussi divergono l’11 novembre 2016: ▪ Il tweet originale continua a diffondersi sui social media e la comunicazione dei media continua con interviste ai protagonisti (il manager di Tableau Software), diffuse attraverso emittenti locali o siti web di quotidiani locali. ▪ Tucker e alcuni siti di confutazione di bufale online pubblicano rettifiche. Tucker condivide attraverso Twitter un link al suo blog, in cui descrive come si sono svolti realmente i fatti, condividendo anche il suo tweet. Tuttavia, la smentita va a livello locale, mentre la fake news circola, ormai, a livello globale. Ad un certo punto, il 12 novembre Tucker cancella il tweet, ma anche questa è un’operazione minima, perché ormai nessuno sa chi sia. Tucker è dispiaciuto, si rende conto di quanto ha causato. Tuttavia, non è colpa sua, ma dei meccanismi che si sono attivati all’interno della rete. Quello che è importante è proprio questo: un tweet che funzionava bene ironicamente viene ripreso grazie agli hashtags, dove si sono stratificati titoli e commenti, diventando una notizia di cui si è persa la fonte principale. Misinformation Da questa storia, impariamo che nel processo di misinformation ci sono tre questioni: 1.Flussi di condivisione Questi flussi vengono anche chiamati flussi di comunicazione a cascata, per cui nella vicenda di Tucker l’informazione arriva attraverso flussi diversi. Ad esempio, il tweet di Tucker si è diffuso attraverso 350.000 condivisioni. Questo è dovuto a tante diverse configurazioni di utenza, tra cui: ▪ Fonti interdipendenti; ▪ I membri del gruppo su Reddit, che sono anche ▪ Membri del gruppo Free Republic Dalle attività di social sharing da parte degli utenti, le cui bacheche sono state raggiunte da utenti di piattaforme diverse, condivisi da profili e pagine differenti oppure da amici, il tweet viene ricondiviso e raggiunge i flussi contemporaneamente, attribuendogli un valore di verità fortissimo. Lo studioso Kumpel, che si è dedicato a ricostruire questi flussi di comunicazione a cascata, afferma che i fenomeni di cascata all’interno delle reti social si attivano quando la condivisione avviene a partire dall’osservazione delle attività degli utenti connessi, di cui vengono ulteriormente distribuiti i contenuti. In Facebook – e in generale nei social media – l’informazione può diffondersi attraverso una sovrapposizione su larga scala di brevi catene di condivisione. Secondo Sun, “un turbinio di catene tutte iniziate da diverse persone che agiscono indipendentemente, spesso convergono su un gruppo di amici e conoscenti”: spesso veniamo raggiunti da flussi di comunicazione molto brevi, dunque questo effetto di verità e ridondanza del diffondersi delle notizie è potenziato dal fatto che si tratta di brevi catene di condivisione. In alcuni casi, la ri-condivisione avviene accreditando la fonte che ha condiviso il contenuto, mentre in altri casi no (secondo Dow, nel 2013): ▪ Nel primo caso, si condivide direttamente il post del contatto attraverso cui si è venuti a conoscenza del contenuto. ▪ Nel secondo caso, la fonte non viene accreditata e si recupera direttamente una fonte più lontana (un sito, un forum o un blog), anche se non si tratta necessariamente della fonte originale. Queste dinamiche rendono molto difficile arrestare la circolazione del tweet di partenza. Infatti, è molto difficile riprodurre le stesse dinamiche di attivazione multipla dei flussi di circolazione dei contenuti, nel momento in cui si voglia rendere nota una rettifica, fatta sulla stessa testata giornalistica. Davanti all’attivazione dei flussi a cascata, far arrivare una smentita è molto complicato. 2.Omofilia delle reti È “l’attrazione tra soggetti dovuta alla presenza di tratti comuni e la tendenza di questi ad associarsi e a stabilire legami con altri simili” (McPherson, L-Smith Lovin). L’omofilia esiste anche nei social media, dove molti autori hanno confermato il contributo nello strutturare le reti di relazioni degli individui, influendo sul loro comportamento comunicativo. In rete, questo gruppo di autori che ha studiato in forma omofila le reti sociali, ha sottolineato che l’omofilia di status (basata su caratteri come l’età, la religione e l’etnia) è molto meno influente. Tuttavia, online conta molto di più l’omofilia dei valori, basata su valori, attitudini, credenze. Tuttavia, l’omofilia ha degli effetti: ▪ Percezione di somiglianza incrementale. Più percepisco alcuni soggetti come simili, più io interagisco con loro (like, share, mention); più interagisco con loro, più evidente è la somiglianza ▪ Sviluppo di sistemi di significati condivisi: il circuito chiuso di relazioni tra soggetti che si percepiscono come simili genera sistemi simili di interpretazione dei fatti e degli eventi. Un’importante studiosa del mondo delle piattaforme social è Danah Boyd, che, per prima, ha alimentato la criticità del mondo delle reti e in un suo intervento ha affermato: “I contenuti diffusi all’interno di reti omofile acquistano particolare valore proprio in relazione al fatto che vengono ricevuti in modo selettivo, in quanto corrispondono a interessi, temi e valori propri di una specifica rete sociale.” 3.Logiche di credibilità I contenuti condivisi da un “contatto social”, che condivide le proprie posizioni culturali o narrazioni degli eventi acquisiscono un surplus di credibilità. Nel caso di Austin, la maggior parte delle condivisioni avviene all’interno di reti omofile ed è molto veloce. Il tweet di partenza viene rapidamente incluso in flussi di comunicazione, che coinvolgono individui impegnati politicamente, che filtrano più facilmente i messaggi, privilegiando fonti a loro vicine, evitando le informazioni che possono mettere in discussione le loro posizioni. 24/11/2021 Come si sviluppa la fiducia nei social media? Noi ci muoviamo in modo più o meno fiducioso quanto più ci aspettiamo che i contenuti all’interno del medium siano veri, credibili e degni di fiducia. All’interno dei media, questo sistema di fiducia è traballante sia nei confronti delle persone sia dei contenuti, perché noi non ci approcciamo al mondo social con l’ingenua credenza che tutto è vero. La fiducia è una precondizione della comunicazione, che mina la fiducia reciproca, quindi anche comunicare diventa più difficile in quanto ci troviamo di fronte a degli interlocutori che, di fronte ai media e ai social, hanno un atteggiamento sospettoso. Questa fiducia è stata chiamata in vari modi, tra cui principio di carità o principio di benevolenza interpretativa = indica l’atteggiamento di apertura nel riconoscere che l’altro si rivolge a noi con atteggiamento positivo. Il filosofo Gadamer l’ha chiamata anche accordo portante su cui si basa la relazione comunicativa. Senza di essa, noi mettiamo in atto una possibilità di scontro. Se ci guardiamo attorno, vediamo che siamo all’interno di un contesto sociale caratterizzato più dallo scontro che dalla comunicazione interpersonale, dato che la conflittualità si basa su relazioni che non sono caratterizzate da un principio di fiducia. Noi confidiamo nel fatto che: − L’altro possa ascoltarmi e capirmi − L’altro abbia qualcosa di significativo da comunicarmi (è l’aspetto più difficile e verso cui siamo più sospettosi) Devono esserci questi due atti di fiducia, altrimenti la comunicazione diventa conflittuale. Queste due condizioni e atti di fiducia sono la base pre-razionale della vita sociale, nel senso che la fiducia reciproca sta nel fatto che l’altro: ▪ Sia come appare ▪ Sia quel che dice e quello che dimostra Inoltre, ci sono atti pre-razionali all’interno della comunicazione, nel senso che bisogna confidare che: ▪ L’altro creda alla verità di quello che dico ▪ Alla verità della mia “faccia” Noi siamo disponibili a credere nel fatto che gli altri: ▪ Non manipoleranno la comunicazione ▪ Si porranno in modo cooperativo, rispettando gli impegni ▪ Saranno sinceri su di sé e sul mondo. Tuttavia, è necessario parlare della credibilità, che è un aspetto molto importante che si costruisce su due poli: 1. Credibilità proiettata: quello che io comunico perché mi ritengano credibile 2. Credibilità percepita: quello che gli altri riconoscono a me in termini di fiducia Un contributo arriva da Quandt, il quale afferma che, nella società contemporanea, abbiamo progressivamente perso fiducia nei grandi sistemi mediali come fonte di informazione (es.: CNN programma americano di spessore), per cui abbiamo attribuito maggiore fiducia alle reti e alle fonti comunitarie (emittenti locali e gruppi di ▪ Riaggregazione di notizie da parte di una piattaforma: per tutti gli anni 2000 cominciano a muoversi verso il fare informazione e il primo strumento attraverso cui le piattaforme cercano di prendere posizione viene da Facebook e sono gli instant articles (oggi quasi inesistenti). → Instant articles= articoli di testate giornalistiche pubblicate direttamente sulla piattaforma. Quando noi oggi vediamo una notizia pubblicata da una testata giornalistica, ci spostiamo dal feed per andare sul sito della testata. Questo processo alle piattaforme non conviene alle piattaforme perché i loro utenti lasciano la loro piattaforme per esplorare altri siti. Viceversa, per le testate è un grande vantaggio perché, oltre ad avere un vantaggio in termini di visibilità, più persone visitano il sito della testata e più la testata può vendere ad un prezzo elevato i suoi spazi pubblicitari. Il numero di follower/click di una notizia social sulla piattaforma (e non sul sito) non conta perché chi fa l’inserzione sulla pagina web gli importa che sia vista sul sito, non sulla pagina social dove non c’è. Dall'altro lato a Facebook questo non conviene e quindi fa questa proposta: pubblicare l’articolo direttamente sul social, senza dover andare sul sito, per avere anche più fluidità di lettura. Questo, tuttavia, alla testata interessa poco in quanto non vende spazi pubblicitari su Facebook. Difatti, dopo una prima parte di sperimentazione, gli instant articles sono rimasti un po’ in bilico perché appunto a Facebook conviene mentre alle testate no, le quali arrivano a chiedere un tornaconto economico. Facebook però non si arrende e propone le Facebook news. → Facebook news= sezione di Facebook dedicata alle news (riprende il modello delle Google news). Diventa un aggregatore, una piattaforma che aggrega notizie. Cerca di differenziarsi da Google news nel rapporto con gli editori e nella gerarchizzazione delle notizie. Innanzitutto si differenzia per la logica della personalizzazione dei trend e assume anche un team di giornalisti distribuiti a livello locale che selezionano le notizie del giorno più rilevanti (personalizzazione + selezione). Deve accordarsi quindi anche con una serie di editori che acconsentono che le notizie entrino nel flusso. Vengono selezionate testate affidabili che ovviamente ne traggono guadagno, principalmente dalla pubblicità che generano guadagni che vengono divisi tra Facebook e le testate (questo modello esiste oggi). La datification delle news È l’aspetto che incide di più sulla distribuzione delle notizie. Il punto di partenza di Van Dijck è che ormai la circolazione delle notizie attraverso i social media è sempre più tracciata, attraverso sistemi non specifici: • Panel meterizzati (Nielsen) • Dati che provengono dai web server (Google Analytics) • Dati che provengono dalle piattaforme (Facebook Analytics) Audiweb è il corrispettivo dell’Auditel per la rete e si è sviluppata in partnership con Nielsen. Misura l’audience dei siti web in base alla quantità di persone che visitano i siti web e recentemente anche i social. Audiweb panel è il sistema di rilevazione che misura l’audience nei social, si tratta di un panel meterizzato, un campione di persone con meter installato che acconsente, in maniera anonima, di registrare le loro attività sui social. Quindi Nielsen misura questo tipo di attività sui social. Van Dijck sottolinea quanto sia pesante il corredo di dati che ciascun articolo porta con sé e non si può fare a meno di questi dati perché servono a capire che cosa produrre. È un meccanismo sempre più data driven, sempre più guidato da questo pesante corredo di dati che ogni singolo articolo porta con sé e sempre meno guidato da decisioni editoriali basate su un’autonoma valutazione giornalistica. Quindi c’è una pressione data dai dati a produrre contenuti che generino engament. Quindi si prendono decisioni basate anche sulla richiesta di utenti quantificati, ovvero produco contenuti che mi permettono di ottenere un pacchetto significativo di utenti. La produzione dell’informazione e il nostro consumo dell’informazione sono influenzate dai dati raccolti sulla circolazione dei contenuti, privilegiando alcune notizie piuttosto che altre (più click, temi più sensibili). La conseguenza è che noi ci siamo abituati a considerare importanti quelle notizie, con l’effetto di silenziare una serie di temi che non sono in grado di attivare engagement (come gli esteri). La pubblicità L'ultimo aspetto che Van Dijk racconta a proposito dell’impatto che le piattaforme hanno sulla circolazione dell’informazione è che queste piattaforme hanno rimesso in discussione alcuni aspetti della comunicazione pubblicitaria. A noi interessa perché la vendita degli spazi pubblicitari è ciò su cui si regge il sistema delle informazioni (se non si vendono spazi pubblicitari le testate chiudono). Cos'è successo con lo sviluppo delle piattaforme digitali? • L'incremento dei canali attraverso cui si possono raggiungere gli utenti. È uno svantaggio dal punto di vista della vendita degli spazi pubblicitari perché il numero degli inserzionisti non si moltiplicano, più canali ci sono e più i loro investimenti si devono suddividere. Quindi: − Se ho un solo canale attraverso cui posso raggiungere molti utenti, quel canale costerà molto (testata giornalistica a stampa o radiotelevisiva) − Se ho molti canali attraverso cui posso raggiungere gli stessi utenti, ciascun canale sarà mento costoso (testate giornalistica su canali digitali) Questo è un altro elemento di disaggregazione ma anche di impoverimento per le testate giornalistiche. Native advertising Contemporaneamente però la moltiplicazione delle piattaforme ha fatto nascere nuovi tipi di pubblicità → native advertising. “Il Native Advertising fa riferimento ad annunci a pagamento coerenti con il contenuto della pagina, con il design e il comportamento della piattaforma in cui sono ospitatati, in modo che l’utente li percepisca semplicemente come parte di essa.” (IAB, Native Advertising Playbook, 2013) • La pubblicità è calata nel contesto dell’esperienza del fruitore → metodo pubblicitario contestuale • Contenuto e advertising si adattano reciprocamente I vantaggi sono: • Aumentare la reach del messaggio di fronte alla “banner blindness”= tendiamo a non far caso ai banner • Creare engagement con l’utente • Creare forme di “continuous campaign”= instaurare una relazione continua tra utenti e campagne Esempio di native advertising. In occasione del lancio di Orange Is The New Black Netflix ha deciso di non limitarsi alle forme di advertising tradizionali (trailer annunci ecc) ma di sponsorizzare una serie di articoli del New York Times (in particolare un’inchiesta sulle condizioni delle carceri femminili) che hanno in comune con la serie il fatto che parli delle donne nelle carceri americane. Il NYT fa un’inchiesta pagata da Netflix e in cambio vede il prodotto pubblicizzato. Possiede tutte le caratteristiche del native advertising (è coerente con design e contenuto, è contestuale) 1/12 Audiweb All’inizio degli anni 2000 non esisteva, in Italia, un sistema unificato di misurazione dell’audience della rete, c’erano varie ricerche che misuravano quanta gente usava internet ecc… ma non erano molto utili, perché circolavano dati e numeri diversi. C’è stato un cambiamento nei sistemi di rilevazioni di Audiweb quest’anno, sono stati adeguati al fatto che non possono più utilizzare i cookies, possono utilizzar il tag nelle pagine dei soggetti iscritti, ma non possono utilizzare i cookies di terze parti (dati che vengono rilevati nel momento in cui entriamo in un sito e che vengono concesse a terze parti, società di marketing). Cosa restituisce al mondo Audiweb? Il tipo che contenuto che restituisce sono i dati di navigazione degli utenti che hanno navigato, ci dice quanti sono gli utenti unici che hanno navigato da computer o mobile, ci fornisce una serie di dati che fanno riferimento al giorno medio e al mese.  Per utenti unici si conta il numero di individui che hanno visto un sito almeno una volta nel tempo considerato, non tiene conto che le persone sono tornate più volte nel sito.  Le pages view sono il numero totale di pagine viste.  La stream views misura il numero totali di avvii di contenuti video.  Troviamo la popolazione base, cioè la base della popolazione italiana.  Per App launches si intende quante volte un’ app è stata lanciata (es. app con successo, lanciata varie volte, non con il download).  Total session è il numero di volte in cui io sono andato sul contenuto e ci sono restato, cioè il numero di accessi e consultazione di quel contenuto. Ci restituisce, mettendo assieme tutti i dati, le persone che hanno effettuato gli accessi, in che proporzioni erano donne/uomini, età, computer/mobile. Dati che servono per capire, mese dopo mese, come sta evolvendo l’audience della rete. Ci fa anche un quadro della provenienza geografica. Anche dati del tempo speso nel giorno medio da computer e da mobile e anche delle categorie di contenuti visitati nel mese. Quello che non possiamo vedere è l’Audiweb Media View cioè il sistema che consente di visualizzare i dati di audience mensili di tutta l’offerta editoriale online e i dati giornalieri e settimanali di tutti quelli iscritti al Census, questo è quello che viene venduto come prodotto professionale alle agenzie di comunicazione e ai centri media. I social media di fronte al Covid-19 Tra febbraio e marzo 2020 si è cominciato a parlare di infodemia, cioè di una situazione in cui c’è una circolazione di quantità eccessiva di informazioni che, per la scarsità di fonti, spesso non erano vagliate con grande cura. Definita così dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS). Le piattaforme hanno iniziato a prendere posizione, hanno cominciato a sentirsi responsabili di dare un contributo per rallentare e contrastare questa infodemia. La prima piattaforma a prendere posizione è stata Twitter, che a livello mondiale è stata una delle piattaforme su cui sono circolate la gran maggioranza di queste informazioni. A febbraio 2020 prende un’iniziativa di accordarsi con il ministero della salute. Su cosa può agire? Sul suo motore di ricerca interno. Cosa compare quando le persone cercano Covid? La prima cosa che decide di fare è inserire un messaggio che rimanda alla pagina internet del ministero della salute. Però, non tutto riesce ad essere controllato, quindi è solo un limite parziale, perché continuano a comparire vari articoli sia istituzionali e non. Facebook al contrario non fa la stessa scelta, lo fa internamente attivando una squadra di fact-checker= persone che vanno a verificare la veridicità dei fatti che vengono comunicati, ma non vogliono indirizzare verso fonti istituzionali, ma solo revisione dei contenuti sulla propria piattaforma. Tik Tok si rivolge a tutti gli utenti considerati creator, intimandoli di controllare prima di condividere contenuti. Terza via attuata anche da Pinterest che si rivolge ai suoi clienti come creators, in questo caso responsabili di attività di content creation e sempre cercando “Corona virus” fuoriesce questo. In più Pinterest fornisce alcune fonti affidabili. Dopo il primo mese cosa succede? Tutti i social media prendono spunto dalle strategie di Twitter, Facebook, Tik Tok e Pinterest. Gli obiettivi sono uguali: ▪ Orientare i loro utenti verso un’informazione affidabile → contrastare l’infodemia sul piano della circolazione di informazioni non verificate ▪ Intervenire sul funzionamento degli algoritmi in modo da rendere più visibili le fonti affidabili. Iniziano, poi, le operazioni di riaggregazione dei contenuti, quindi le piattaforme cominciano a sviluppare una propria offerta editoriale sul tema COVID-19 e aggregano contenuti che provengono da fonti istituzionali (Ministero della Salute, OMS) o testate giornalistiche (quotidiani, canali all news). Twitter continua a far comparite “Informati” ma sotto compare “Aggiornamenti sulla situazione del Covid-19 in Italia che comprende una selezione di articoli, informazioni e guidelines delle principali istituzioni e testate. Facebook fa lo stesso e sviluppa la sua offerta editoriale, il centro informazioni sul Covid che viene definito come “elaborazione di una sezione specifica di Facebook News, ovvero dell’attività di un team di giornalisti esperti di diversi settori assunti da Facebook con l’obietti vo di fornire una panoramica di notizie pubblicate da quelle che vengono definite fonti affidabili” Anche Tik Tok aggiunge il suo aggregatore e crea questa pagina informativa che propone nozioni attendibili provenienti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) tra le quali risposte alle domande più comuni e consigli su come proteggersi e smentisce alcuni falsi miti sul Covid. 14/12 Le istituzioni e il covid-19 Le istituzioni hanno utilizzato le piattaforme social attraverso delle campagne. Facebook e Instagram sono stati uno spazio per utilizzare la parola e costruire una narrazione sulla pandemia. In Italia, i soggetti che hanno preso la parola sono stati: • Ministero della salute • Istituto superiore di Sanità • Dipartimento di protezione Civile • Croce Rossa Italiana • Presidenza del Consiglio dei Ministri Come le hanno usate? Attraverso la campagna: • Si tratta di micro-campagne che durano al massimo tre o quattro settimane • Si tratta di campagna spesso condivise e rilanciate tra diverse istituzioni • Costruiscono un racconto per grandi fasi della pandemia Gennaio → Tutto comincia con la fine di gennaio, con campagne rivolte ai viaggiatori a cui viene raccontato il comportamento da adottare per la quarantena, i sintomi ecc. Febbraio → Con il mese di febbraio, le campagne mirano a informare sul protocollo da seguire, un insieme di comportamenti per limitare il contagio. Informano quindi su procedure da seguire e numeri da chiamare, sostenendo la relazione tra malato e istituzione sanitaria e attivando i cittadini sulla prevenzione.