Scarica Appunti del corso Linguistica generale con la prof. Gatti e più Appunti in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! LINGUISTICA GENERALE PRIMO SEMESTRE 2021/2022 Lezione 1-2 ® La linguistica generale e il suo oggetto: In che cosa consiste la dimensione “generale” della linguistica? Noi tutti sappiamo che le lingue conosciute sono assai numerose, attualmente siamo a conoscenza di circa 6500 lingue. Queste si presentano nei nostri contesti comunicativi come presenti in alto numero. Ciascun parlante presenta una notevole poliglottia, ovvero un soggetto che utilizza più lingue. Sono rari i parlanti che parlano una sola lingua. Ognuno di noi ha la propria L1 (lingua materna). Le lingue sono sensibilmente diverse tra loro. Esempio: it. andare, ing. to go, fr. aller, sp. ir, invece il tedescofono distingue: gehen vs. fahren (due modi diversi di muoversi nello spazio). Le lingue sono osservatorie sulla realtà, che la mappano in modo diverso. Al di là di questi aspetti di diversità hanno degli elementi che le accomunano. Per questo si parla di linguistica generale. L'oggetto della linguistica generale è il linguaggio umano. Cioè, si interroga sugli eventi comunicativi, che si producono per comunicare e privilegiano come strumento una lingua storico-naturale. La comunicazione fa intervenire altri aspetti, ad esempio non linguistici, momenti di cui si occupa la cinesica (comunicazione legata ai movimenti del corpo, gestualità, più semplicemente di paralinguistica). Nella nostra comunicazione quotidiana la comunicazione verbale e la paralinguistica interagiscono. La comunicazione: pervasività e complessità: Spostandoci nei secoli, passando dall’agorà, dove i parlanti condividevano lo stesso spazio comunicativo, dove avveniva una comunicazione pubblica, alla nuova agorà senza frontiere fisiche e culturali di internet, ci accorgiamo di come la comunicazione sia diventata pervasiva. La comunicazione è complessa perché coinvolge una molteplicità di dimensioni: - Aspetti linguistici (dimensione linguistico-semiotiche), ovvero noi tutti per comunicare utilizziamo una lingua e dei segni; - Avviene tra parlanti, interagenti, tra soggetti umani (dimensione psicologiche, socioculturali e antropologiche); - Sono coinvolte anche le dimensioni di natura tecnologica. Tutte queste dimensioni sono approfondite da diverse scienze: scienze umane, scienze tecnologiche, scienze linguistico-semiotiche. Tutte queste scienze sono come prospettive diverse che guardano al fenomeno della comunicazione. La comunicazione e la buona salute della comunicazione: Comunicatore vs. comunicazionista Mentre il comunicatore è colui che utilizza la lingua per un discorso pubblico, il comunicazionista è un professionista che conosce in modo approfondito le dinamiche profonde della comunicazione, il quale saprà assumersi la responsabilità nella società civile della buona salute della comunicazione, la dove la comunicazione va in crisi. Sono molteplici i casi in cui la comunicazione può andare in crisi: - per ragioni di natura testuale crf. La strada di Fellini: “è arrivato Zampanò!” “Zampanò è arrivato!” Nei due messaggi è stato spostato il soggetto. Quest'operazione cambia completamente la funzione comunicativa del messaggio. Non si può costruire il testo a caso, ma l'informazione deve essere organizzata secondo determinati principi. Uno di questi principi è il concetto di rema, diverso dal concetto di tema, aspetti legati al testo. Quando noi organizziamo le parole in un testo le organizziamo attraverso la funzione comunicativa. Il primo messaggio ha come scopo quello di creare suspense (è arrivato chi?). L'italiano quando vuole segnalare che questa informazione non è già nota ma è nuova, considera questa informazione rema e la colloca in posizione rematica. (apporto informativo nuovo è su Zampanò) Cambiando l’ordine delle parole distruggiamo il testo precedente (Zampanò in prima sede diventa tema, ovvero come elemento già noto). Il soggetto in prima sede svolge funzione di tema, ovvero indica un’informazione già nota condivisa tra il mittente e il destinatario. (Zampanò che cosa ha fatto?) In questo caso abbiamo una ragione di natura testuale che mette in crisi la comunicazione verbale di Gelsomina. - per ragioni di natura semantica “mia moglie è un’ottima cuoca! (detto da uno scapolo) Emerge un fattore che deve essere rispettato perché la comunicazione funzioni. Lo scapolo, che è caratterizzato dall'assenza di relazioni stabili, parla di una non realtà come se fosse una realtà. Il suo messaggio viola un fondamento della sensatezza (il senso deve avere un nesso con la realtà) “mio cugino è farmacista” (detto da uno sconosciuto) È un messaggio irrilevante, fuori luogo, non pertinente. Emerge un altro fondamento perché i nostri messaggi siano sensati. Il senso che veicolano deve coinvolgere l'interlocutore, deve suscitare inter-esse (involvment). In questo caso è violata la pertinenza. La parola “responsabilità” deriva dal latino responsare, verbo intensivo di respondere. Colui che assume un atteggiamento costante di risposta a, diventa un atteggiamento stabile rispetto alla realtà, ovvero la posizione della responsabilità. Attraverso questo lavoro etimologico si riesce ad entrare maggiormente nel segreto della comunicazione. Lezione 4-5 Abbiamo scoperto che il processo comunicativo è uno scambio. C'è un nesso tra la comunicazione e il commercio, mercato. Questo è già adombrato nella teologia pagana di Mercurio ed Ermete: già nel mondo greco latino emergeva questo nesso. I greci chiamavano Mercurio Ermete, era il dio della comunicazione, colui che correva fra gli dèi e gli uomini, una sorta di mediatore (medius currit). Metteva in rapporto il mondo degli dèi con il mondo degli uomini. Fra considerato anche dio del commercio. Questo è attestato nel nostro repertorio lessicale: merx, merce, mercato, mercatus, marketing, etc. Ermete era il dio della comunicazione, intesa come interpretazione (hermeneia). Frmeneutica è quella disciplina che si occupa dell’interpretazione di determinati oggetti conoscitivi. Il termine interpretazione ha due accezioni: - La prima corrisponde al significato canonico ed immediato. Ricorriamo all’interpretazione quando dobbiamo riformulare un testo ad un linguaggio a noi più noto. Significa di fronte ad un messaggio criptico, ricostruire il senso rispetto a quel messaggio; dare un senso ad un testo, un messaggio. - Il secondo significato ha un altro significato, utilizzato in contesti dove ha significato complementare. Significa costruire un testo per un determinato significato. Da questo scavo vediamo che l’interpretazione è un processo di scambio. Se noi teniamo insieme questi due significati di interpretazione, vediamo che è uno scambio fra sensi e testi. Ermete è il dio della comunicazione, per loro intesa come scambio di messaggi. * Verso un modello della comunicazione verbale (CAPITOLO 2 + saggi “Verità e persuasione”, “La retorica classica come prima forma di teoria di comunicazione”) 1) Modello comunicativo della retorica classica, una prima forma della teoria di comunicazione; 2) Contributi venuti nel Novecento da: teoria dell’informazione, linguistica e pragmatica; 3) Modello della comunicazione verbale fondato sul rapporto tra comunicazione verbale e azione umana; 1) Modello comunicativo della retorica classica, una prima forma della teoria di comunicazione: La retorica era un'attività, descriveva l’attività che intraprende colui che costruisce un discorso persuasivo. Costruisce un discorso che ha come scopo quello di portare i destinatari ad un'adesione ragionevole. La retorica classica dava una serie di indicazioni all’oratore le fasi su come procedere: - Inventio: termine latino che dice “invenzione. Suggerisce di individuare gli argomenti da mettere a tema nel nostro discorso persuasivo; - Dispositio: indicava come disporre gli argomenti nei momenti del discorso. Ad esempio, a volte l'oratore anticipa gli argomenti a cui fa seguire la sua tesi; - Elocutio: fase in cui venivano date indicazioni rispetto alle strategie linguistiche da utilizzare nella formulazione del proprio discorso. Vengono descritte queste strategie, tra cui compaiono le figure retoriche: elementi che rendono la strategia comunicativa più efficace. - Memoria: l'oratore in pubblico doveva mandare a memoria il suo discorso da proferire. Dava indicazioni rispetto alle tecniche di memorizzazione, chiamate anche mnemotecniche. - Actio: ultima fase in cui vengono date indicazioni rispetto a come comportarsi nel momento in cui l'oratore deve formulare il discorso in pubblico. Vengono date indicazioni rispetto alla gestualità, la prossemica, le posture, il tono. La retorica classica nasce nel mondo greco antico in fase di democrazia. Questo perché la democrazia si fonda sul discorso che costruisce consenso. Le dinamiche di costruzione del consenso sono dinamiche di comunicazione persuasiva, ovvero far aderire in modo sano. Entrare in merito alla teoria della comunicazione della retorica classica, coincide con l’occuparsi del potere delle parole. Quando noi costruiamo un discorso persuasivo, non facciamo altro che esercitare il potere delle parole. Il compito della retorica è quello di far emergere le dinamiche della comunicazione persuasiva, che ha come scopo quello di proporre al destinatario una visione ragionevole. Definizione di “potere”: essere in grado di fare, grazie ad una serie di capacità e competenze. Ma non solo, anche essere in grado di far fare a un altro, portarlo a raggiungere un determinato scopo. Il termine potere deriva dal latino potestas, una parola che poteva assumere significati diversi a seconda del fondamento sul quale veniva esercitato (non aveva concezione né positiva né negativa). La potestas poteva essere esercitata fondandosi sulla violenza fisica o sull’inganno, per sopraffare l’altro. ma questo potere poteva essere esercitato fondandosi sull’auctoritas, la quale ha a che vedere con l'autorevolezza. Differenza tra autorevole e autorevolezza: entrambe derivano dal latino augeo, che ha come significato quello di far crescere. Colui che fa crescere veniva chiamato dai latini auctor. L'autorità autorevole è una figura che esercita il potere, per fare crescere l’altro. Nella storia romana gli imperatori venivano chiamati augustus. Si utilizzava questo appellativo per indicare colui che faceva crescere il bene nella vita consociata. Veniva guardato con una certa solennità. Vediamo il potere che esercitiamo quando utilizziamo le parole: possiamo fondarci sulla violenza o sull’auctoritas. Un esercizio del primo tipo mette capo ad una conversazione perversa. Ma la retorica aveva come scopo quell’esercizio del potere delle parole fondato sul bene, per far crescere la condivisione della ragionevolezza nella vita consociata. Sospetto nei confronti della persuasione Tutti noi siamo un po’ figli del Novecento, un secolo che ha guardato con sospetto alla persuasione. Proprio per questo approccio la persuasione tende ad essere eletta negativamente, come seduzione (bello che ti inganna). Questo pregiudizio è esplicitato anche in alcuni nostri proverbi popolari, ad esempio “fidarsi bene ma non fidarsi è meglio”. Questa lettura negativa della persuasione è molto antica. Ad esempio, nel vangelo di Matteo 27, 62-63 vediamo che Gesù fu accusato di essere seduttore. Egli aveva promesso la sua resurrezione nel terzo giorno, i sommi sacerdoti e i farisei non riuscendo a credere a questo messaggio positivo, lo leggono con sospetto. “Signore ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: dopo tre giorni risorgerò”. Un altro esempio di lettura negativa della persuasione è il mito di Ulisse e delle sirene. Nel mondo greco l’educazione avveniva attraverso miti, i quali erano dei racconti che contenevano una verità ultima rispetto all'esperienza umana. Canto XII: Ulisse sta navigando per tornare in patria, la maga Circe l’aveva messo in guardia per il canto delle sirene. Infatti, Ulisse mette la cera nelle orecchie nei compagni mentre lui si fa legare all’albero maestro della nave con una fune (desmos, termine greco che ha dentro la radice del verbo deo, che vuol dire legare). Poi leggiamo che Ulisse vede, mentre l'imbarcazione si sta avvicinando, su un prato verde biancheggiare le ossa dei marinai che si sono sfracellati perché hanno ceduto alla seduzione di queste sirene. Alla vista di queste ossa, Ulisse va con la sua mente alla moglie Penelope e il figlio Telemaco, che perderebbe se cedesse al canto delle sirene. La cera nelle orecchie vuol dire che i deboli devono essere tolti da una comunicazione perversa. Questa non è una soluzione perché al giorno d'oggi siamo tutti esposti. La vera soluzione viene dalla proposta di Omero rispetto al comportamento di Ulisse, con il suo gesto di legarsi all'albero con la fune. Questo legame che lo salva dal canto delle sirene è il legame familiare. In - Possiamo persuadere ricorrendo al discorso, su base discorsiva. - Possiamo persuadere anche mediante altro dal discorso, mediante la testimonianza. Il testimone è colui che testimonia, persuade rispetto a qualcosa, mediante il suo stesso vivere. (martys termine greco che significa “testimone”, è colui che è ricco di esperienza e testimonia un'esperienza di vita) Aristotele individua la parola chiave della dinamica della persuasione, ovvero pistis/fides. Si tratta di un termine polisemico (polisemia: una parola che ha più significati collegati fra di loro). Aristotele segnala che la comunicazione persuasiva è dominata da questo termine pistis: in un processo comunicativo noi abbiamo un mittente, un destinatario e un messaggio. La parola pistis interpella, nella comunicazione di tipo persuasivo, tutti e tre questi elementi. - In rapporto al mittente la parola pistis dice la sua credibilità, che si fonda sul suo comportamento. Il mittente deve essere credibile; - In rapporto al destinatario la parola pistis indica la sua benevolenza. Aristotele compie un’analogia con il giudice: il giudice che ama si comporta in modo più umano rispetto al giudice che odia. La comunicazione persuasiva ha come compito quello di suscitare nell’interlocutore la sua benevolenza; - In rapporto con il messaggio la parola pistis indica il legame e il nesso che il messaggio deve avere con la realtà nella sua verità. I Sofisti nella comunicazione persuasiva prescindevano da questa caratteristica che deve avere il messaggio. Riconoscevano i primi due punti ma eliminavano la pistis del logos, cioè il nesso che il messaggio deve avere con la verità. Così segnalavano che si poteva sopraffare l’altro mediante un discorso. Disancorano il messaggio nella comunicazione persuasiva dal nesso con il vero e lo piegano ad un criterio utilitaristico. Già Omero in sede poetica ci aveva detto che cosa salva l’uomo dalla manipolazione, ovvero la desmos che stava ad indicare metaforicamente il legame familiare. In retorica emerge questo concetto di legame con una veste teoretica. La comunicazione persuasiva apre un compito al destinatario che gli antichi chiamavano krités, deriva dal verbo greco krino, un verbo che indica l’atto del vagliare. Con il setaccio il contadino vagliava e separava il grano dalla pula. Setacciare e distinguere il bonum dalla pula. Il termine di destinatario in un processo argomentativo viene caratterizzato come krités, ovvero ha il compito dell'impegno critico. Noi in genere utilizziamo il termine “critico” per indicare una polemicità. Ma in realtà si apre il compito del vaglio, dobbiamo setacciare il contenuto della comunicazione che ci raggiunge, mediante la ragione. In questo modo manteniamo il bene e scartiamo il male. La comunicazione argomentativa si rivolge ad un decisore. Il destinatario deve decidere rispetto alla bontà o alla non bontà del messaggio che lo ha raggiunto. Deve decidere se il contenuto è ragionevole o meno. Il messaggio chiede di essere verificato. C'è anche un momento di adesione. La ragione umana ha due componenti, una purtroppo dopo il medioevo è stata dimenticata. La ragione umana nostra aderisce e giudica: - Aderisce e dunque l’adesione ha a che fare con la dimensione dell’affetto, l’affectus ci permette di aderire; - Intellectus è il secondo elemento costitutivo della ragione. Aspetto della ragione che si occupa dell’atto del vagliare che costituisce il contenuto dell'impegno critico. Anche la comunicazione persuasiva interpella una ragione non depotenziata. Questa vive di affectus e intellectus, aderisce e giudica. (due momenti costitutivi della ragione) Spesso l'affetto viene legato alla metafora del cuore. Che nella ragione ci sia una dimensione legata al cuore e all’affetto si vede in alcune nostre espressioni. Ad esempio, in inglese per indicare l'atto di imparare a memoria si utilizza l’espressione to learn by heart. La metafora del cuore viene usata per indicare un processo proprio della ragione. Aristotele non si limita ad individuare i fattori costitutivi della comunicazione persuasiva e quale sia la parola chiave che la interpella in tutti i suoi fattori, ma egli ci descrive quali sono i procedimenti che vengono usati in ambito persuasivo. Prenderemo in rassegna gli strumenti che la retorica mette a disposizione per poter comunicare in modo persuasivo sano. Aristotele segnala che questi procedimenti sono paralleli agli strumenti che ci mette a disposizione la logica. Lezione 7-8 Antistrofia fra procedimenti della logica e della argomentazione Quali sono i procedimenti che la retorica mette a disposizione per invitare il destinatario all'adesione? Questi procedimenti sono costituiti su uno schema, su un modo di usare la ragione che è analogo al modo con cui noi usiamo la ragione quando siamo in ambito non argomentativo, quando siamo in ambito logico. Antistrofia indica parallelismo, cioè un parallelismo fra i procedimenti che si usano in logica e i procedimenti che si usano in argomentazione. Il termine deriva dal greco, in particolare dal coro greco. Aristotele si rifà a quel parallelismo presente nel canto lirico del coro greco che rispondeva con una antistrofe (strofa che aveva un andamento ritmico parallelo alla strofé) ad una strofé (prima strofa che aveva un certo schema ritmico). Antistrofe si muoveva da ovest verso est per rispondere alla parte precedente alla strofa che veniva cantata con una danza che si muoveva da est verso ovest. Aristotele si ispira a questi due momenti del coro, ma usa questo termine proprio perché desidera sottolineare un aspetto molto rilevante, cioè: quando siamo in ambito persuasivo usa la stessa ragione che si usa quando si è nell’ambito della logica, della dimostrazione o delle scienze dure, ma essendo in ambito argomentativo i procedimenti dovranno avere una dimensione che lascia spazio all'adesione. La ragione procede o deduttivamente o induttivamente. Deduttivamente quando parte dall’universale e discende al particolare. Si muove induttivamente quando parte dal particolare e sale all’universale. Esempi: quando siamo in sede logica, in ambito dimostrativo, e la ragione si muove deduttivamente produce e utilizza sillogismi. Se invece si muove, sempre deduttivamente, ma in ambito argomentativo si ottiene un procedimento chiamato entimema che ha degli aspetti simili a quelli del sillogismo ma anche delle differenze. * Ilsillogismo: “Tutti i canidi sono carnivori. La volpe è un canide. La volpe è un camivoro.” Il sillogismo ha un procedimento di tipo logico, ha una struttura tripartita, costituita da: premessa maggiore, premessa minore e conclusione. La premessa maggiore contiene un principio incontrovertibile, cioè evidente a tutti. Si diceva essere anapodittica, ovvero non ha bisogno di essere dimostrata. In sede di premessa maggiore abbiamo un principio generale. È una legge generale. La ragione poi apre una premessa minore, la quale applica il principio universale a un caso particolare. Contiene l'applicazione della legge universale a un caso particolare. La terza parte del sillogismo consiste nella conclusione, a cui si arriva facendo intervenire le premesse precedenti. Il sillogismo è costituito da tre momenti espliciti. * L'entimema: La ragione introduce una strategia argomentativa, aprendo un percorso di adesione. Questa strategia è stata chiamata entimema. La radice thymos voleva dire “animo”. La strategia è strutturata in modo tale da smuovere l'animo, chiedendogli un’adesione. L’entimema è strutturato in modo simile a un sillogismo, presuppone un uso deduttivo della ragione, ma dovrà avere una specificità retorica. Es. Luigi è pazzo. Va a 100 km in centro città. allora guidati dal leader Arafat, a volte si rivolge agli stati arabi moderati, ai suoi leaders che erano favorevoli alla stipulazione di un accordo in questo conflitto, a volte ancora si rivolge ai fiancheggiatori del conflitto degli stati arabi, in questo caso si rivolge a Iran e Siria. A volte si rivolge ai cittadini americani, il suo elettorato, e ancora a tutte le potenze e tutto il mondo civile. Inoltre, poiché il mittente come principal apre dei compiti, il destinatario dovrà rispondere a questi impegni che gli vengono aperti; dunque, un'ulteriore stratificazione è quella di respondent, deve rispondere come partner dell’atto comunicativo che gli ha aperto il compito. Questi destinatari non sono tutti parte dello stesso atto comunicativo, in quanto Bush apre dei compiti diversi. A volte minaccia, a volte formula richieste e a volte ammonisce. Il discorso ha un impianto classico. Ha un esordio che introduce l'argomento (exordio), successivamente c'è un momento di narrazione dell'evento che ha suscitato un certo problema (narratio), segue l’argomentazione (argomentatio). Il discorso poi termina con l'epilogo e con il commiato. La sua presa di contatto è “Good morning”. Comincia con una narrazione dell’attacco terroristico: “Eravamo sul punto di un accordo, di un cessate il fuoco fra le due controparti quando un episodio terroristico ha distrutto questo momento propizio.” Si ha avuto un peggioramento della situazione che lasciava un momento di speranza. Analisi dell’entimema: “No nation can negotiate with terrorists, for there is no way to make peace with those whose only goal is death” La prima domanda che ci poniamo è: ma su quale adesione naturale nel suo interlocutore fa leva Bush in questa sua argomentazione? It's not possible to negotiate with terrorist. È una tesi. Il testo esplicita questo connettore “for” perché introduce spesso l'argomento a sostegno della tesi. “è impossibile negoziare con i terroristi perché...” Come porta a aderire alla sua tesi? Fa leva su un principio condiviso dalla doxa: noi abbiamo nel nostro common ground un principio che fa parte del sapere enciclopedico. Il terrorismo elimina la controparte e dunque è impossibile comunicare. La premessa minore non è esplicitata nel messaggio di Bush ma noi possiamo ricavarne il principio taciuto. Premessa maggiore: It's not possible to negotiate with whose whoose goal is the death of the counterpart Premessa minore: Terrorist have as goal the death of the counterpart Conclusione: It’n not possible to negotiate with terrorists Vediamo come hanno lavorato i pubblicitari nel realizzare la headline di un certo messaggio pubblicitario, in cui il compito che gli si proponeva era quello di raccomandare l'acquisto di un prodotto X (es. burro). Il pubblicitario ha costruito un messaggio di questo tipo: ha integrato la componente visiva con questo messaggio “Questo burro è genuino. E fatto con il latte fresco delle Alpi.” In questo caso la tesi è: Questo burro è genuino. È un enunciato per lo più assertivo con componente valutativa, si dà una valutazione sul burro. L'argomento a sostegno della tesi è: è fatto con il latte fresco delle Alpi. Per suscitare l’adesione all'acquisto del prodotto da parte delle massaie, si rivolge alla cultura delle massaie. Fa leva ad un principio condiviso dalle massaie, ovvero si associa la genuinità del latte fresco delle Alpi. Ci poniamo una domanda: qual è l’aggancio dell'argomento alla tesi, ossia quale aspetto della tesi mette a tema l'argomento? Qual è l’hooking point? Un argomento ha sempre un hooking point, l'argomento si aggancia alla tesi in particolare ad un aspetto a cui si rivolge l'argomento. Dire che è fatto con il latte fresco l'argomento si riferisce alla materia che ha fatto il burro. L'aspetto della tesi a cui l'argomento si riferisce è la causa materiale. Qualità positive della materia comportano qualità positive del prodotto. Il pubblicitario ha usato una struttura entimematica che tace la premessa maggiore. La premessa maggiore in questo caso è un endoxon che contiene un principio condiviso dalla doxa delle massaie, fa parte del common ground. La premessa minore ci dice che la causa materiale è il latte fresco delle alpi, deduttivamente la nostra ragione arriva alla conclusione che il nostro burro è genuino. La conclusione coincide con la tesi. Lezione 9 Queste strategie di tipo entimematico vengono usate in ambito quotidiano, politico e in questo caso pubblicitario. Un altro esempio: il pubblicitario aveva come compito quello di individuare una strategia argomentativa per pubblicizzare un orologio. Il pubblicitario ha formulato il messaggio pubblicitario in questo modo: Questo orologio è di alta qualità? È svizzero. Vediamo un aspetto che approfondisce la forma linguistica che possono avere le tesi. Fino ad adesso abbiamo visto tesi costituite di enunciati assertivi, in questo caso abbiamo un enunciato di tipo interrogativo. Si dice che la tesi contenga una messa in discussione. Dobbiamo dipanare la struttura entimematica sottesa a questo messaggio: - Qual è l’hooking point? L'argomento dice “è svizzero”, a quale elemento si riferisce? Si riferisce a chi ha prodotto l'oggetto, la causa efficiente. Questa struttura argomentativa è costruita così: qualità positiva dell'agente, della causa efficiente implicano qualità positive del prodotto. - Qual è l’endoxon? C'è una ripresa di questo condiviso tra noi: gli orologiai svizzeri sono considerati produttori di alta qualità. C'è una adesione a questo principio che fa parte del common ground tra il pubblicitario e la doxa. L’endoxon è taciuto ma viene ricostruito referenzialmente. - La premessa minore? Viene ripresa a partire dal messaggio pubblicitario: questo orologio ha come causa efficiente produttori orologiai svizzeri; - La conclusione: questo orologio è di alta qualità. Case study 1: far emergere la struttura di tipo entimematico. (
[email protected]) 1. Questa casa è solida. È tutta di cemento armato. 2. Questa piazza è molto bella. L'ha progettata il Bernini. La ragione umana può muoversi anche induttivamente, quando partiamo dal particolare assurgiamo al generale. Questo modo di procedere accompagna il soggetto umano quando si muove in ambito dimostrativo/logico. In ambito logico: supponiamo di vedere un gatto che ha la coda, poi uno, un altro ancora, etc. Leggiamo nei testi di scienze naturali che tutti i gatti hanno la coda. A partire dal suo modo di essere (predicato) è stata formulata una legge generale. Un modo di essere è stato esteso a tutti. Si è adoperata una generalizzazione. Perché la ragione si muove induttivamente? Perché dai dati di realtà formuliamo una regola generale. Per quanto riguarda la generalizzazione basta un dato contrario per invalidare la legge generale. (es. un gatto senza coda) Anche in ambito persuasivo noi possiamo utilizzare la ragione induttivamente, in questo caso costruiamo una strategia argomentativa induttiva che si chiama exemplum. Gli esempi sono molto significavi, persuasivi. L’exemplum è strutturato in questo modo: “In quel caso decisivo a ha dato luogo a b è ancora possibile che a dia luogo a b.” Qual è la natura dell’exemplum? L’exemplum ci dice che un certo evento può ancora accadere in quanto in passato è accaduto qualche cosa di analogo. È sotteso un modo di procedere della ragione induttivo, perché si parte da fatti che da a hanno dato luogo a b e a partire da questi fatti si formula una regola. Quindi si procede induttivamente dal fatto alla regola. Si persuade su un fatto futuro con una regola che fatti passati hanno permesso di stabilire. Riprendiamo il discorso di Bush: Bush segnala il fatto che siamo in un momento critico e che potrebbe essere possibile superare questo momento. Yet our nation’s resolve is strong. In questo caso segnala il suo commitment. 2 3: simbolo che si usa in logica e indica esistenza, quantificatore esistenziale : tale che P: predicato (modo di essere), una serie di caratteristiche che deve avere una certa identità perché sia gatto. Il nome dice un'ipotesi di esistenza. Quando noi usiamo un nome scatta questa ipotesi. Usando questa espressione “la volontà del popolo”, trattandosi di un'espressione denotativa, si presuppone che essa esista, quando di fatto sussiste solamente una volontà individuale. Scatta l’idea che esista una volontà per tutti, si sta facendo una generalizzazione. Spesso questa espressione è stata utilizzata in modo manipolatorio. Presuppositional accomodation: questo punto è fondamentale quando si analizza la comunicazione, cioè negli atti comunicativi avviene un accomodamento ai presupposti. Quando noi formuliamo l’enunciato, il destinatario quando è raggiunto dall’atto del discorso, aderisce a questi presupposti che scattano a partire dall'espressione utilizzata. Asserted content vs. presupposed content: i presupposti sono dei significati a monte dei nostri discorsi, questi presupposti rientrano nel common ground. Asserted content è ciò che viene esplicitato (es. il gatto beve il latte), enunciati che veicolano un significato che ricaviamo dalla ricostruzione del significato dei singoli elementi, ottenendo il significato asserito. Passano anche attraverso il nostro enunciato dei significati impliciti, che non si vedono, parliamo di entità a cui accade qualcosa, ma la loro esistenza non viene comunicata in quanto fa parte di un significato presupposizionale. Perché si lavora sulle presupposizioni per manipolare? Perché noi parlanti esercitiamo un controllo maggiore sul contenuto asserito, il controllo logico che noi esercitiamo è più forte su ciò che è esplicitato, mentre su ciò che è implicito esercitiamo un controllo minore. La condivisione degli elementi del common ground costituisce la cosiddetta weness, il we. Le strategie manipolatorie fanno riferimento a istinti e dimensioni naturali presenti nell'essere umano. L'uomo naturalmente si riferisce alla totalità, è un istinto. In che senso riprendono questo istinto? Instaurano una sorta di fregatura della totalità, prendono una parte e ce la fanno passare come se fosse il tutto. Questa strategia manipolatoria è stata utilizzata in una fase storica in cui per andare con la Germania di Hitler ci si alleò con Stalin. La mossa retorica utilizzata era: “Il nemico del mio nemico è mio amico” Si vide che le cose non stavano proprio così al termine della II Guerra mondiale, alla conferenza di Jalta, quando Stalin decise di dividere l'Europa e una grande parte passarono sotto la cortina di ferro. Perché questa espressione è manipolatoria? Supponiamo di avere un Ladro 1 che ci ruba la bici e poco dopo arriva un Ladro 2 che ruba la bici al Ladro 1. 3) Ladro 1> è un nostro nemico Ladro 2 + è nemico del Ladro 1, ma non è mio amico perché io comunque rimango senza bici. L’avere in comune un nemico viene fatto passare come la condivisione di tutte le ragioni che si condividono tra amici. Avere un nemico comune non vuol dire essere amici, si prende un elemento condiviso (il nemico) e lo si fa passare per le totalità delle ragioni che si condividono fra amici. La tentazione della torta: strategia manipolatoria utilizzata quando si parla di risorse economiche. Si presentano le risorse come se fossero una torta (fixed pie), un bene statico. Le risorse, che sono beni dinamici in quanto possono essere sempre aumentate, vengono presentati come statici, allora si ragiona in questo modo: “dai a me le risorse che poi io mi occuperò di una redistribuzione che sia equa”. La strategia manipolatoria fa passare una parte di risorse come se fossero la totalità delle risorse possibili. Operazioni di agenda setting: quando le redazioni dei giornali devono stabilire gli argomenti da mettere in agenda. I nostri telegiornali ci presentano, nell’ambito degli eventi che hanno popolato la giornata, ci presentano una parte degli eventi della giornata come se fossero una totalità della giornata. (notizia vs informazione). altre manipolazioni che fanno riferimento all’istinto di appartenenza. Alcune strategie sfruttano questo istinto naturale di appartenenza, a volte in negativo a volte in positivo. Se si analizzano le testate giornalistiche dei carrarmati “Se non la pensi così non sei dei nostri” > se tu non la pensi come noi minaccio di escluderti al gruppo dei noi. “Non sarai mica uno di quelli che credono ancora che...” +Quando si usano espressioni di questo tipo si minaccia di includere qualcuno in un gruppo negativo. Polarity temptation: strategia manipolatoria che si usa molto nell’individuazione di gruppo sociali/politici. Si crea una dicotomia, il gruppo del voi e il gruppo del noi. Si crea una situazione manichea, tutto il buono sta da una parte, tutto il male dall’altra. Induce un’interpretazione di non buono, cioè cattivi. Prendiamo il concetto di paradigma, ovvero insieme di elementi, questi stanno fra di loro in rapporto di alternatività. (paradigmi semantici) Es. questo vestito è rosso. Al posto di rosso noi potremmo dire qualsiasi altro elemento del paradigma cromatico, che è un paradigma multiplo. Cosa succede quando neghiamo un elemento che appartiene al paradigma? Negando elemento il testo si apre a tutte le altre possibilità. Es. Questo vestito non è rosso. Ci sono dei paradigmi che sono costituiti su opposizioni polari. In italiano possiamo avere dei termini opposti, che possono costituire loro stessi un paradigma, ma cosa succede quando neghiamo uno di questi estremi? Es. la luce non è accesa > la luce è spenta. Quando il paradigma è binario, se noi neghiamo un elemento, affermiamo necessariamente l’altro. Questi due opposti non hanno elementi fra l’uno e l’altro, i medievali li chiamavano contrari immediati. Gli estremi opposti individuano un paradigma, ad esempio: bianco-nero, buono-cattivo, amico-nemico, ricco-povero. Noi non abbiamo i termini che permettono di lessicalizzare ciascuno dei valori intermedi; i medievali dicevano che questi contrari sono mediati, cioè indicano una scala di valori che permettono tante gradazioni interiori. In questo caso abbiamo un paradigma semantico non binario, dove se neghiamo un estremo non necessariamente affermiamo l’altro. Siamo tentati a trattare questi opposti polari come se fossero i binari. Lezione 12 Per l'esame: da 12 cfu si può dividere in due parti, iscriversi ufficialmente agli appelli e segnalare la parte da portare. Per Lettere l'esame si può spezzare se il corso è diviso in Modulo I e Modulo A. Non far passare troppo tempo tra le due parti. Questa strategia manipolatoria ha richiesto un certo lavoro. Abbiamo detto che è quella strategia manipolatoria utilizzata quando si definiscono i gruppi sociali o politici; pertanto, questa strategia è stata utilizzata in passato. Quando si definiscono i gruppi si distinuge il mondo in due parti, il mondo del we e il mondo dei they. Viene diviso in un modo manicheo. Al mondo del we viene caratterizzato positivamente, il mondo del they quello dei non-buoni, cioè cattivi. C'è proprio questa tentazione della polarità, di trattare questi due valori che sono due estremi di un'opposizione, quindi scalari. Sono estremi di una scala di valori, si può essere né buono né cattivo. Indicano dei valori che hanno dei gradi intermedi. I livelli intermedi a noi sfuggono perché a livello lessicale non abbiamo aggettivi che ci permettono di lessicalizzare, ovvero catturare nel discorso con una parola i gradi intermedi. In alcuni casi abbiamo qualche termine, ad esempio bianco-nero + grigio, ma non solo. Non avendo i termini ci sfugge la presenza di questi gradi intermedi. Quando noi neghiamo uno di questi elementi siamo tentati di trattare questa negazione come se stessimo negando un elemento come acceso. Abbiamo questa tentazione di trattare questi contrari come opposti immediati, che non hanno alcun grado intermedio. Negando un estremo si afferma necessariamente l’altro. Siamo tentati di interpretare non buono come cattivo, quindi come se volessero dire solo l'opposto. Sapir ha segnalato che queste negazioni dicono “né... né...”. Poster d'esempio: La confederazione (eidgenossenschaft) è designata come uno stare insieme, fondata su “eid” che indica giuramento, un patto che porta ad un giuramento reciproco. Questa dimensione della fiducia caratterizza anche la vita economica, noi parliamo ad esempio di fido bancario. Nel lessico del mondo economico finanziario troviamo questo lessico della fiducia, perché la banca apre un credito a chi ha certi requisiti. Ci deve essere una fiducia. Nel De bello civili Cesare racconta che giunto presso gli italici non c’era fides. Intendeva dire che non c’era nessuno disposto a fargli credito. Fideiussione: operazione bancaria di un certo tipo. Operazione che scatta quando abbiamo un creditore e un debitore, fra i due interviene un terzo che si fa garante presso il creditore che il debitore compirà quelle adempienze richieste. Garantisce che il debitore assolverà ciò che gli viene richiesto. In italiano per indicare il fido bancario usiamo anche il termine credito, che deriva da credo. Usiamo il verbo credere con l’accezione di dare fiducia, senza un’accezione economico-bancaria. Per i latini invece si, poiché credere in latino poteva voler dire anche “ti credo” ma anche utilizzare questo verbo con il complemento oggetto, “ti faccio credito”. Da questa accezione latina deriva il significato di credito in italiano. Un ambito della nostra esperienza intriso di fiducia è quello matrimoniale, non a caso si parla di fede nuziale. Possiamo riflettere sulle lingue osservando la loro evoluzione nel tempo, in questo caso abbiamo uno sguardo diacronico. Se invece osserviamo gli usi della lingua in un momento contemporaneo, lo sguardo è sincronico. Dal punto di vista diacronico dell'evoluzione le parole mutano, evolvono e hanno dei mutamenti sul versante della parola, del significante, sul versante della strategia della manifestazione, ma cambiano molto sul versante del livello semantico. Questo radicale verbale (BHIDH) è produttivo, cioè continua in diverse lingue, fra questo anche il tedesco dove ha sviluppato maggiormente il tratto della costrizione. In tedesco si usa il termine bitten, “ti chiedo per avere”. La radice è continuata anche in russo come il termine beda, che significa “pura necessità”. Da qui poi si è sviluppato il termine bednyj che singifica “povero”. Il verbo credo deriva dalla combinazione di due radici, cre e do. Quando noi crediamo a qualcuno gli diamo fiducia, infatti la prima parte cre- è la prima parte del verbo crescere, il do sta per il verbo dare: quindi darsi a qualcuno per crescere. Nell'800 la linguistica aveva un orientamento storico, era chiamata linguistica storico-comparativa, cioè si comparavano le lingue e comparandole si ricostruiva la loro matrice, cioè la lingua originaria da cui discendono questi termini (protolingua). Per indicare che un termine è appartenente all’indoeuropeo si antepone l'elemento lessicale l’asterico. Lezione 14-15 Il percorso di questa lezione copre i paragrafi da 2.2 a 2.6 Processo che ha portato all'elaborazione di un modello della comunicazione verbale. Abbiamo visto fino ad ora il modello comunicativo che è stato presentato ante litteram e fu proposto nell’ambito della retorica classica, che avevamo visto essere proprio un modello della comunicazione. Abbiamo visto anche analogie e differenze rispetto alla moderna teoria della comunicazione. Nella retorica classica si prendeva in considerazione soltanto il “dire in pubblico”. Carrellata dei modelli della comunicazione proposti a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Si è arrivati solo gradualmente alla consapevolezza che la lingua sia uno strumento finalizzato alla comunicazione. Per noi è dato per scontato che la lingua sia un fine. Vedremo alcuni modelli elaborati in sede linguistica e alcuni elaborati in sede pragmatica. Ad un certo punto nella riflessione linguistica si ha avuto una svolta pragmatica, cioè una riflessione attenta al dire, al parlare considerato come azione. * Teoria dell’informazione: Il primo modello che prendiamo in considerazione è un modello che è stato elaborato in teoria dell’informazione. Si tratta di un modello della comunicazione non verbale elaborato da Claude Shannon (1916-2001). Egli era un matematico e ingegnere che ha elaborato un modello che rientra nella teoria dell’informazione. Si tratta di un modello molto utilizzato in ambito informatico ed è significativo perché l’hanno tenuto presente diversi linguisti nella formulazione della loro teoria linguistica. Shannon in questo suo modello informatico si chiede come avvenga la trasmissione dell’informazione, come possa avvenire superando quelle limitazioni date dal disturbo del canale. Questo è un modello di trasmissione dell’informazione, la quale viene trasmessa fra due devices tecnologici, non abbiamo un mittente o un destinatario implementato da un essere umano. Il modello segnala come punto di partenza una sorgente (information source), che invia questo flusso di informazione a un ricevitore (receiver). Non intervengono interagenti umani e non viene utilizzata una delle lingue storico-naturali. E una trasmissione di informazioni codificate con dei sistemi notazionali che permettono di codificare le informazioni. Introduce in questo schema l'elemento della sorgente di rumore (noise source), perché in questi sistemi ci potrebbero essere delle limitazioni date dai disturbi del canale. Shannon ha lavorato sull’eliminazione di tutti quei momenti di disturbo al processo comunicativo, dovuti a rumori. Ha elaborato un teorema (Teorema di Shannon, 1948) che permette di garantire una trasmissione dell’informazione priva di disturbi del canale. Information Source Transmitter Receiver Destination po» {gi Message Message Noise Source Innanzitutto, segnala che è possibile stabilire la capacità del canale, la quale indica la quantità massima di flusso informativo che può passare attraverso quel canale, dalla sorgente al receiver. Una volta definita la capacità è immediatamente risolvibile il problema dei disturbi nelle trasmissioni dell’informazione. Sarà possibile evitare disturbi trasmettendo una quantità di informazione inferiore alla capacità del canale. e I primo modello linguistico Il primo modello importante fu quello del Circuit de la parole (Circuito del discorso) di Saussure (1857-1913), un linguista ginevrino autore del famoso Corso di linguistica generale, testo pubblicato postumo nel 1916, redatto dai suoi allievi. Saussure propone un modello del discorso in cui ci presenta un mittente e un destinatario, i quali discorrono fra loro. Ciascuno dei due produce segni che vengono interpretati dall’ascoltatore in un processo di codifica e di decodifica. Ciascuno dei due formula un atto di discorso grazie al fatto che possiede in sede mentale la lingua; i due possono interagire tra di loro perché hanno uno strumento condiviso, la lingua. La lingua è collocata in sede mentale. Quando le parole funzionano in questo modo bisogna osservare da chi sono usate nel contesto linguistico perché si precisino di significato, abbiamo parole deittiche. La semiosi è il processo con cui si costruiscono le parole, ci sono parole che si costruiscono in questo modo e sono caratterizzati da semiosi deittica in quanto per precisarsi di significato richiedono che si vada a riferissi al contesto in cui sono state utilizzate. Ci sono diversi tipi di segno che hanno una diversa struttura di segno, per tanto per Buhler è fondamentale il concetto di contesto in rapporto al segno. Anche Buhler fa parte di una delle scuole funzionaliste che hanno come rappresentate Jakobson. * Il modello linguistico di Roman Jakobson Di origine russa, fece parte della Scuola di Praga. È il linguista cha ha individuato i fattori costitutivi del processo comunicativo e ha segnalato che questo è costituito da sei fattori: abbiamo un mittente che invia un messaggio a un destinatario. Un messaggio si riferisce ad un contesto. Il mittente per poter comunicare deve poter condividere il codice con il destinatario (la lingua). Inoltre, il messaggio viene trasmesso attraverso un canale/contatto. A ciascuno di questi fattori corrisponde una funzione precisa. Ogni messaggio e ogni testo è caratterizzato da una funzione specifica. - La funzione comunicativa che corrisponde al mittente è la funzione emotiva; - La funzione comunicativa che corrisponde al destinatario è la funzione conativa. Esistono dei messaggi che hanno una funzione prevalentemente conativa, ad esempio quelli pubblicitari; - La funzione comunicativa che corrisponde al messaggio è la funzione poetica. Ci sono dei testi o dei messaggi prevalentemente orientati al messaggio stesso, cioè hanno come scopo quello di comunicare qualcosa di bello; - La funzione comunicativa che corrisponde al contesto è la funzione referenziale. Ci sono dei messaggi che hanno come funzione comunicativa principale quella di descrivere il contesto; - La funzione comunicativa che corrisponde al codice è la funzione metalinguistica. Ci sono dei messaggi particolarmente attenti al codice; - La funzione comunicativa che corrisponde al contatto o canale è la funzione fatica. Ci sono dei messaggi che servono sostanzialmente per gestire il canale. Queste funzioni comunicative sono un po’ tutte presenti in un messaggio, ma ce n'è una che domina. La funzione che domina è quella di rivolgersi al destinatario, dunque la funzione conativa. Bisogna pensare a delle fasce di funzioni che sono presenti nei testi, ma ogni testo vede prevalere ognuna di queste funzioni. Jakobson è riuscito a spiegare all’interno di un modello della comunicazione unitario che cosa sia la poetica. Ha approfondito la funzione poetica nel saggio Linguistics and Poetic (1958). Lezione 16 La funzione poetica è la funzione comunicativa che caratterizza quel messaggio che è orientato al messaggio stesso. Jakobson non si limita a definire la poetica all’interno di una concezione linguistica unitaria. Jakobson precisa ulteriormente le caratteristiche di un testo poetico e segnala che un testo poetico organizza in modo particolare gli assi della combinazione e della selezione. Ma che cosa sono questi assi? Ciascun messaggio nasce dall’intersezione di questi due assi. Quando noi pronunciamo un enunciato come “Paolo fuma.” combiniamo elementi nella catena del testo (nome proprio e verbo). Abbiamo un’asse della combinazione. Questo enunciato presenta una catena lineare in cui abbiamo combinato elementi. Ma ciascuno di questi due elementi da dove sono stati selezionati da parte del parlante? Il parlante ha selezionato questi due elementi da un insieme di elementi equivalenti. Ossia Paolo è stato selezionato da un paradigma di elementi equivalenti che potrebbero stare al posto di Paolo (es. Maria, Martino, Marco o nomi comuni come il ragazzo, la donna), tutti elementi che il parlante ha in sede mentale. Il parlante seleziona Paolo ma anche fuma. Fuma è stato selezionato dal parlante nell’ambito di un insieme di elementi anch'essi equivalenti in quanto potrebbero stare in questo punto della catena dell’enunciato. Sarà stato selezionato tra una molteplicità di verbi (es. dorme, scrive, mangia, etc.). Quando noi costruiamo un enunciato selezioniamo elementi equivalenti in sede mentale, in absentia. Gli elementi selezionati poi vengono combinati e si ottiene l’enunciato. Questa dinamica delle assi di selezione e combinazione interviene quando costruiamo qualsiasi enunciato. Jakobson segnala che il testo poetico organizza in modo particolare questi assi, cioè anche nel caso del testo poetico il poeta costruisce il suo testo poetico selezionando da elementi presenti in sede mentale paradigmi di elementi equivalenti, ma presenta anche un’altra caratteristica: il testo poetico proietta il principio dell’equivalenza dall'asse della selezione a quello della combinazione. Nel testo poetico c'è una proiezione di equivalenza sull'asse della combinazione. Nella catena del testo ci sono elementi equivalenti ricorrenti. Es. la terzina dantesca Nel mezzo del cammin di nostra vita Mi ritrovai per una selva oscura Che la diritta via era smarrita C'è una proiezione di equivalenza sull'asse della combinazione. Ciascun elemento della terzina è costituito da undici sillabe. A livello di catena abbiamo un’equivalenza di numero di sillabe presente nel testo. Compare a livello di combinazione del testo un’equivalenza di finale, cioè un'identità di sillaba finale. Il testo poetico ha proprio questa specificità, presenta sull'asse della combinazione strutture equivalenti ricorrenti, che possono essere equivalenze di numeri di sillabe, di sillabe finali, di accenti, etc. Jakobson ha dato un apporto fondamentale per gli studi della traduzione. È stato con lui, infatti, che la traduzione è stata individuata nella sua profonda funzione linguistica. Jakobson ha segnalato che il tradurre è la natura e il cuore del processo interpretativo. Quando si interpreta un segno noi non facciamo altro che tradurre quel segno in altri segni. Egli riprende un’intuizione che era già di Pierce, uno studioso di sistemi semiotici, il quale aveva già detto che un segno ha una destinazione che è quella di essere trasportato in altri segni. Es. ippogrifo > cavallo alato: per interpretare il segno ippogrifo si traspone il segno in altri segni. Jakobson dice che interpretare un segno è un’operazione di traduzione. Coincide con la traduzione di quel segno in altri segni. Russell sosteneva che se un parlante non ha un'esperienza extralinguistica di formaggio non può capire la parola formaggio. Jakobson non è d'accordo con questa affermazione, perché anche se un certo popolo non ha un'esperienza extralinguistica di formaggio, cioè non usa formaggio, è possibile comprendere il significato di termine formaggio, purché lo traduciamo in segni che si aggancino all'esperienza di questo popolo. Riprendere elementi che rientrano nel tessuto esperienziale di questa popolazione. Il processo interpretativo consiste in un processo traduttivo. Jakobson individua che la traduzione può essere di tre tipi: - La traduzione intralinguistica (endolinguistica), rimaniamo con una traduzione all’interno della stessa lingua. Es. le parafrasi; - La traduzione interlinguistica, cioè quando si traduce da una lingua storico naturale in un’altra; - La traduzione intersemiotica, si parte da un romanzo o opera teatrale, un testo composto mediante una lingua storico-naturale, mediante semiosi verbale, che si traduce in un altro sistema semiotico. (es. immagini, suoni) e La svolta pragmatica Ad un certo punto ci si è resi conto che quando noi utilizziamo le parole, quando realizziamo discorsi, compiamo azioni. Ci si è accorti che “il dire è un - Massima della quantità (quantity): in cui dice che il contributo comunicativo deve essere tanto informativo quanto è richiesto. Deve veicolare tutta quella informazione richiesta e non di più. - Massima della qualità (quality): non si deve dire ciò che si ritiene falso. Segnala, inoltre, che quando noi formuliamo un atto discorsivo non dobbiamo dire il falso e ciò di cui non abbiamo un’evidenza adeguata. - Massima della relazione (relation): deve essere pertinente. Il messaggio deve essere rilevante, cioè deve essere un senso che ha una relazione con il destinatario; - Massima del modo (manner): da alcune indicazioni perché il messaggio sia adeguato dal punto di vista comunicativo. Bisogna evitare oscurità dell'espressione, il discorso non deve essere ambiguo, deve essere breve tanto quanto è richiesto e deve procedere con ordine; Queste massime sono molto importanti perché tutti coloro che si occupano di comunicazione seguono questo modello. Se nell'interazione comunicativa avviene una violazione di queste massime che cosa succede? Es. Dov'è Carlo? C'è una VW gialla davanti alla casa di Anna. (si viola la massima della relazione) Questa frase ha comunque senso, anche se la massima è disattesa, perché riusciamo a ricostruire la sua sensatezza grazie alle inferenze che noi attuiamo, cioè ricostruzione di significati non specificati. Questi atti inferenziali ci permettono di recuperare un senso. Altri due grandi autori sono Dan Sperber (1942-) e Deirdre Wilson (1941-) hanno scritto Relevance pubblicata nel 1986 e sono considerati gli autori Teoria della pertinenza (Relevance Theory). Riprendono Grice, si soffermano sulla massima di relazione e approfondiscono questo aspetto. Ampliando il modello di Grice segnalano l’importanza del contesto, il quale è fondamentale per poter interpretare un messaggio. Quando si lavora su messaggi, se questi sono decontestualizzati è molto più problematico interpretarli. Il contesto indica tutta la realtà in cui si inserisce l’atto comunicativo, infatti ne fanno parte anche il mittente e il destinatario, che sono i due elementi principali del contesto in cui si inserisce l’atto comunicativo. Segnalano che i messaggi producono effetti contestuali. Gli atti linguistici producono dei risultati che vanno a modificare il contesto, che innanzitutto è costituito dagli interlocutori. Questo effetto prodotto nel contesto è un cambiamento. Alcune caratteristiche della teoria della pertinenza: 1) Segnalano il ruolo fondamentale che svolgono nel processo di interpretazione dei messaggi le inferenze. I processi inferenziali sono quei processi che ci permettono di ricostruire tutti i significati che non sono esplicitati. 2) Questi processi sono considerati fondamentali perché permettono al destinatario di ricostruire il senso realmente inteso dal mittente. Di ricostruire la sua intenzione comunicativa. È molto di più quello che lasciamo inferire piuttosto quello che comunichiamo. 3) Permettono di ricostruire i messaggi in un modo molto veloce e con il dispendio minimo di sforzo. A questo punto Sperber e Wilson segnalano la pertinenza: un messaggio è pertinente e la sua pertinenza dipende dal rapporto che c’è tra gli effetti che produce nel conteso e gli sforzi cognitivi necessari per interpretarlo. * Eventi comunicativi Che cosa sono gli oggetti comunicativi? Che cosa sono gli atti comunicativi? Un atto comunicativo è un evento. Nell'ambito della realtà che ci circonda accadono numerosi eventi e fra questi ci sono gli eventi comunicativi, quegli eventi che si producono per trasmettere un messaggio. Per capire che l’atto comunicativo è un evento dobbiamo lavorare sul semantismo (contenuto semantico) di evento. Dobbiamo confrontare la parola latina con la parola tedesca, mettere insieme il significato del termine latino-romanza con la semantica germanica, cioè il significato del termine tedesco. Eventum > ha a che fare con e-venio, verbo latino ingressivo che indica l’inizio di un’azione e vuol dire “iniziare ad arrivare, sopraggiungere in un modo disatteso” Ereignis > è un termine che si usa per indicare “avvenimento” e contiene la radice eigen- che vuol dire “proprio”, presente nel verbo tedesco “impossessarsi di, rendere proprio” cioè sich aneignen. Se il sostantivo è sostantivo così vuol dire che l'evento è qualche cosa che si impossessa di noi. Mettendo insieme i due significati: l'evento è qualche cosa che inizia ad accadere, che ci sopraggiunge inaspettatamente e che si impossessa di noi. L'evento comunicativo veicola un senso che è stato definito in modo particolare da Pierce come habit change. Il senso di un evento comunicativo produce un cambiamento di habit. Che cosa si intende per habit? Habit > prestito dal latino habitus, molto legato all'espressione se habere ad cioè “avere un certo atteggiamento”. In greco héxis che indica “atteggiamento stabile che abbiamo nei confronti della realtà”. Questo cambiamento è un cambiamento di quella nostra posizione stabile più profonda rispetto alla realtà. I messaggi hanno un senso che intende andare a modificare, intervenire e cambiare il nostro habit che è andare a modificare il nostro atteggiamento stabile. I messaggi sono costituiti da segni linguistici. Sono scambi di segni che veicolano un senso. Questi scambi ci raggiungono e ci sollecitano a lasciarci coinvolgere da loro, ci trasmettono un senso, che ha come momento centrale il cambiamento. Questo cambiamento fa parte del senso di un evento comunicativo. Ma che cosa si intende per senso? La parola senso è una parola polisemica, cioè veicola più significati. In italiano possiamo avere un uso della parola senso: - L'uomo ha cinque sensi. L’udito è un senso + come organo percettore; - Questa strada è a senso unico è come direzione; - Ha buon senso > come sa valutare in modo ragionevole; Possiamo dire ancora: -. La parola uomo in italiano ha due sensi: in un primo senso significa essere umano, in un altro senso significa essere umano di sesso maschile. + qui la parola senso si può sostituire con accezione. - Questa espressione non ha senso: mia moglie è un'ottima cuoca (detta da scapolo) o mio cugino è farmacista (detto da uomo incontrato a caso) + qui parafrasiamo il non senso con una insensatezza. Lezione 19 * Checos' il non senso? Il senso è il punto centrale della comunicazione verbale, che consiste in scambi di messaggi, cioè segni che producono senso. Per definire cosa sia il senso si deve partire dalla definizione del non senso. In che cosa consiste un’insensatezza? Guardando a qualsiasi comportamento che non abbia senso scopriamo che l’insensatezza è una mancanza di ragioni adeguate. Un comportamento insensato è un comportamento irragionevole. Anche nel caso del comportamento linguistico l’enunciato può essere insensato e irragionevole. Se il non senso è una irragionevolezza, scopriamo che cos'è un comportamento sensato, ovvero un comportamento ricco di ragioni adeguate. Per questo possiamo dire che il senso ha a che fare con la ragionevolezza. Esiste il non-senso della dimensione comunicativa? Partiamo da una caratterizzazione dell'essere umano che ci viene da Aristotele, il quale ha sottolineato che l’essere umano è essere animato umano destinato inevitabilmente a cercare senso. Il senso è un punto centrale nell'esperienza umana. Esiste il non senso nella comunicazione reale? L'atto linguistico realizzato dal cliente apre degli impegni. Al cliente apre il commitment del pagamento, mentre per il barista scatta il commitment a derogare il servizio. Anche il barista è un soggetto agente, cioè si muove per desideri, ha una conoscenza ma anche per lui non è ciò che fa scattare l’azione, la quale parte dal desiderio di onorare la sua professione o di guadagnare. Lezione 20-21 Siamo in un contesto culturale che spesso sfavorisce la dinamica del desiderio, siamo in una cultura alessitimica. L’alessitimia è una patologia, è costituita da a- (alfa privativo) lexis e thymos. Questo termine segnala la patologia dei soggetti che a causa di un certo disturbo non riescono ad esprimere i moti dell'animo e sentimenti, questi non ricevono un'espressione verbale. L'interazione Il cliente attiva una catena di realizzazione, ma per poter raggiungere il suo scopo deve far interagire la sua catena di di I ga DA realizzazione con quella del suo interagente, in questo caso il 2 | barista. Anche il barista è un 2 pra soggetto agente, quindi anche ice I lui agisce su intervento del e N <> cliente, si apre dei SI * - commitment. : ha un desiderio e La catena di realizzazione per lui consiste in una dinamica di ascolto. Deve interpretare il messaggio a livello semantico e a livello pragmatico. Interpreta l’atto linguistica dal punto di vista locutivo e illocutivo. Capisce che si tratta di una richiesta e procede ad assumersi l'impegno che questa richiesta gli apre. Nell’interazione ciascuno dei due raggiunge il proprio scopo integrando la sua catena di realizzazione con quella dell’interagente. Ciascuno dei due ha uno scopo preciso ma non sarebbe in grado di raggiungerlo da solo. Gli atti linguistici mediano queste due azioni e fanno interagire i due. Uno scenario diverso che si apre può essere la cooperazione, quel processo in cui vediamo interagire due che sono co-agenti. Un gesto cooperativo potrebbe essere quello di soccorrere un ferito, sollevare un tavolo, etc. La cooperazione è quel momento delle nostre azioni che scatta quando abbiamo due soggetti che cooperano, ovvero condividono, hanno un condiviso molto forte. Nel caso della cooperazione hanno un common ground ma condividono anche lo stesso Ca desiderio. La cooperazione | Co-agente | di A partire dal desiderio in comune immaginano uno stato { sn di cose che soddisfi quel desiderio. Questo stato di cose diventa lo scopo da raggiungere. Per raggiungere lo scopo comune attivano una catena di realizzazione. Ma dove sta la principale differenza tra un'interazione e una cooperazione? una catena di realizzazione Nella cooperazione la catena di realizzazione è unica, quindi partecipano alla stessa catena. Questo discende dal fatto che il desiderio è in comune. Come intervengono gli atti linguistici? Gli atti linguistici in questo caso hanno la funzione di coordinare le loro azioni comuni. Un terzo scenario potrebbe essere anche un momento di competizione. Il termine competizione deriva dal verbo latino cum petere (sostantivo de verbale) che vuol dire “puntare allo stesso oggetto”. Già l'etimologia ci chiarisce tutto, la competizione è quel momento in cui abbiamo due che La competizione {conosce A il mondo ] ha un desiderio un nuovo stato mero] |< inzio MS dente si \ tana catena di Le realizzazione competono in quanto i due agenti desiderano il medesimo bene, che per sua natura non può essere condiviso. La competizione si fonda un po’ sul principio mors tua vita mea. Ciascuno dei due agenti dovrà giustificare la predominanza della sua richiesta, la quale deve essere più ragionevole rispetto a quella dell’altro agente. Gli atti linguistici che questi due si scambiano sono molto aperti. Nei casi di competizione la comunicazione verbale è meno prevedibile rispetto all'interazione. Spesso gli atti linguistici hanno una natura argomentativa. I fattori costitutivi della comunicazione verbale La comunicazione verbale è costituita da una serie di elementi che interagiscono fra di loro e che permettono di formulare i nostri messaggi. Questi fattori possiamo individuarli a partire dalla riflessione che ci ha preceduto. Uno dei fattori costitutivi della comunicazione verbale è ad esempio la semiosi, ovvero noi costruiamo i messaggi attraverso eventi semiotici. Utilizziamo dei segni che sono oggetti semiotici. Non bastano i segni a formare un messaggio, un ulteriore fattore fondamentale è l’inferenza. È impossibile parare di comunicazione verbale senza citarla. Abbiamo già visto che sono molto di più i significati che un parlante non dice rispetto a quelli che esplicita nel suo messaggio. Un ulteriore momento costitutivo della comunicazione verbale è l’ostensione, il momento muto della comunicazione in cui parla la realtà, con il suo semplice esserci. e Inferenza Deriva dal verbo inferire che deriva dal latino infero, composto da fero cioè “portare”, con infero si intende “portare dentro”. L'inferenza è quel processo che ci accompagna continuamente nella comunicazione per cui noi continuiamo a completare i messaggi che sono lacunosi. Li completiamo portando dentro al messaggio tutti quei sensi che sono lasciati impliciti. Ciascuno di noi intenzionalmente non dice tutto il significato che vuole esplicitare. Questa inferenza è stata già messa in rilievo. La semiosi coopera con l’inferenza. Noi possiamo ricostruire un nesso di natura logica fra il primo enunciato e il secondo aggiungendo una congiunzione di tipo causale. Ad esempio: - Mio figlio non guida. Ha 5 anni. 3 Mio figlio non guida e ha 5 anni. Abbiamo inferito un nesso logico di natura causale fra il primo enunciato e il secondo. - Mio figlio non guida. Ed è sposato. Spesso la differenza tra inferenza comunicativa e inferenza comunicata spesso è ciò che dà origine alla struttura di un dialogo. Un mittente formula una battuta nel dialogo che fa fare un’inferenza. Es. A- Io non voto ancora. B- Hai meno di 18 anni. B formula una battuta dialogica, ha attuato l’inferenza a cui è stato invitato dalla battuta precedente e risponde esplicitando l’inferenza È un’inferenza comunicativa perché A lascia inferire il fatto di avere 18 anni ed è Ba esplicitare inferenza. Case Study: Appena chiusa la porta, Paolo si accorse con orrore di aver dimenticato le chiavi. La prima inferenza è che probabilmente si tratta di una porta a scatto. Il testo dice “con orrore” che inferisce il fatto che sia rimasto chiuso fuori e che non ha possibilità di recuperare in qualche modo le chiavi per entrare. Possiamo inferire che: 1) Precedentemente la porta era aperta; 2) Ora Paolo si trova fuori casa e non dentro; 3) Le chiavi sono state dimenticate all’interno; 4) In un momento precedente all’azione Paolo aveva intenzione di prendere le chiavi; 5) Non ha con sé altre chiavi; 6) Presumibilmente non è facile reperire altre chiavi; 7) La porta di casa non può essere aperta dall'esterno; Inferenza e sua decisività nella dimensione comunicativa L'uomo attua inferenze anche in ambito di comunicazione non verbale, per esempio nell’ambito delle arti figurative dove si usa una semiosi non verbale ma iconica. Lezione 23-24 * I fattori della comunicazione verbale La comunicazione verbale sottende una serie di fattori costitutivi: la semiosi, che può essere di tipo deittica, ma non basta la semiosi per veicolare tutto il senso di un messaggio, per questo è integrata dall’inferenza. Un ultimo momento della comunicazione è l’ostensione. Per capire che cos'è la semiosi dobbiamo mettere a tema la differenza tra eventi semiotici ed eventi non semiotici. Sulla slide sono presenti due oggetti: una penna e un microfono. Ci domandiamo se questi due oggetti abbiano significato e se ce l’hanno, che significato hanno? I due oggetti hanno significato: il microfono ha come significato la funzione che ci permette di svolgere, ad esempio quella di amplificare la voce. Il significato dell'oggetto coincide con la funzione che ci permette di svolgere. Nel caso di un evento non semiotico (in questo caso un oggetto) il suo significato è un’implicazione immediata che questo oggetto ha per noi. Anche la penna è un oggetto non semiotico, il suo significato è la funzione che ci permette di scrivere. Anche in questo caso il suo significato è la funzione che ci permette di svolgere. Passando agli eventi semiotici semplicemente catturiamo nel discorso questi due oggetti. Scriviamo “penna” e “microfono”. Sono due oggetti semiotici e sono anch'essi degli oggetti. Hanno una materialità che coincide o con l'inchiostro con cui abbiamo scritto le due parole, o il suono delle parole pronunciate. Ma in che senso sono oggetti semiotici? Confrontandoli con gli oggetti non semiotici osserviamo come avviene il significato. Questi due oggetti semiotici hanno significato? Si tratta di oggetti costruiti grazie a semiosi. La semiosi, dal greco seméion (segno), è quell’operazione con cui noi associamo qualche cosa a qualcos'altro, si tratta dell’atto con cui noi costruiamo i segni. La semiosi è l'atto che associa a strategie di manifestazione, a eventi fisici, intenzioni comunicative. È l’atto con cui vengono associati a suoni dei concetti. La semiosi è l’atto con cui noi istituiamo una correlazione semiotica. Grazie alla semiosi costruiamo correlazioni semiotiche che coincidono con i segni. Questa immagine è una rappresentazione di segno, è un oggetto semiotico. Grazie a un atto di semiosi vengono correlati un evento fisico, una successione di suoni e un concetto. Il significato di questo segno è il concetto a cui rimanda la strategia di manifestazione. Questa correlazione semiotica presenta una parte fisica che può variare anche da lingua a lingua. Se passiamo da lingua a lingua vediamo che cambia la strategia di manifestazione. Sono comunque tutti suoni correlati a un concetto. Caratteristiche della correlazione semiotica I segni hanno una prima caratteristica che è la loro arbitrarietà. Questo concetto è stato messo a tema in particolare da Saussure. Il rapporto fra la strategia di manifestazione, la successione di suoni e il concetto è un rapporto arbitrario, cioè non c’è nessuna ragione per cui al concetto di casa venga associata la successione di suoni c-a-s-a, il nesso è fondato su un arbitrio. L’arbitrarietà è un concetto fondamentale, perché il fatto che questo nesso fra la strategia di manifestazione e il concetto non sia motivato, per cui ciascuna lingua segue la sua strategia di manifestazione, garantisce la stabilità delle nostre lingue. Ossia, se il nesso fosse motivato qualcuno potrebbe mettere in dubbio il nesso, ci si potrebbe mettere a discutere questi nessi per cercare di ristabilirli. L’arbitrarietà è importante perché fonda la stabilità della lingua. C’è una corrente chiamata fonosimbolismo che cerca di scoprire un nesso tra la parola, la strategia di manifestazione e il suono. Portano come esempio che dovrebbe mettere in crisi l’arbitrarietà le onomatopee, parole che riproducono i suoni. Anche nel caso di queste parole che dovrebbero riprodurre letteralmente il suono, se le guardiamo in una prospettiva contrastiva da lingua a lingua, vediamo che sono diverse. Se riproducessero in modo puro il suono dovrebbero essere identiche in tutte le lingue. Ad esempio: italiano > chicchirichì inglese > cock-a-doodle-doo Anche le onomatopee, che sono proprio chiamate a rappresentare il suono, se guardate in una prospettiva contrastiva. Un'altra caratteristica della correlazione semiotica è la convenzionalità. Questi nessi non sono solo arbitrari, ma anche convenzionali, ovvero sono creati e stabiliti in una comunità convenzionalmente. Il concetto è istituito convenzionalmente. Tutti gli italofoni condividono le correlazioni semiotiche che costituiscono i segni della lingua italiana. C'è una dimensione comunitaria della semiosi. Le correlazioni semiotiche in quanto stabilite convenzionalmente all’interno di una comunità si apprendono attraverso una fase educativa che comprende il momento in cui si insegna a dare i nomi alle cose. Insegnare a dare i nomi alle cose ha diverse implicazioni significative, che possiamo esemplificare attraverso due vicende: 1) Salimbene da Parma racconto di questo esperimento fatto da Federico II di Svevia, il quale voleva ricercare la “lingua originale”, la lingua di Adamo. Egli prese dei bimbi appena nati, li staccò dalle madri, li affidò alle nutrici che avevano il divieto di parlargli, potevano solo nutrirli e allattarli. Questi bambini uno dopo l’altro morirono.