Scarica Appunti delle lezioni di letteratura italiana 2 della professoressa Selmi Elisabetta e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! INDICE Marino 3 Manierismo e Accademie 4 La questione dell’idillio: Preti 5 Marino: biografia 6 Marino, Rime/Lyra 8 Lettera di Onorato Claretti (Lyra, III libro) 11 Petrarca, Familiares (XIII libro) 12 Lettera di Onorato Claretti (Lyra, III libro): inventio e novitas 12 Aristotele e Tasso 12 Lettera di Onorato Claretti (Lyra, III libro) 13 Problema del plagio 14 Neoplatonismo e imitazione (Mazzoni e Patrizi) 15 Fonti e interpretazione 15 Lettera di Onorato Claretti (Lyra, III libro): imitazione ingegnosa 16 Petrarca, Familiares 17 Marino, Sampogna 17 Lettera a Tommaso di Savoia (Sampogna, frontespizio) 19 Idilli della Sampogna 19 Orfeo (Sampogna, idillio I) 22 Lettera IV: Achillini (Sampogna) 23 Marino, La bruna pastorella (Sampogna, idillio IX) 30 Marino, Atteone (Sampogna, idillio II) 34 La polemica tra sacro e profano, mito e Bibbia (Dicerie Sacre) 39 Marino, La bella schiava (Amori, 24) 40 Marino, Trastulli estivi (Amori, 45) 41 Marino, In morte di sua madre (Versi di occasione, 6) 45 Marino: arti figurative e poesia 49 1 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Marino, Adone 52 Marino, Adone canto IX 52 Marino, Adone canto V 54 La parabola del romanzo 55 Marino, Adone: struttura 56 Marino, Adone (canto I, ottave 1-3) 57 Marino, Adone (canto I, ottava 10) 59 Marino, Adone (canto I, ottave 41-44) 59 Marino, La Tragedia (Adone canto V) 60 Marino, Adone (canto V, ottave 1-108) 64 Marino, Adone (canto V, ottave 112-149) 65 Marino, I Trastulli (Adone, canto VIII) 68 Marino, La Fontana d’Apollo (Adone, canto IX) 69 Marino, Adone (canto IX, ottave 160-187) 69 2 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 troviamo l’Accademia degli Umoristi romana, di cui sono principi, in ordine, Tassoni, Guarini e poi Marino, a cui è iscritta anche Margherita Sarrocchi che “osa” gareggiare nel poema epico, la Scanderbeide, genere a quel tempo precluso alle donne cui era concesso solamente l’esercizio del genere minore della lirica ; a 4 Padova troviamo l’Accademia dei Ricovrati futura Accademia Galileiana, dal momento che vi entra a far parte anche Galileo, figura che ben rappresenta la mescolanza tra interessi scientifici e letterari dei suoi membri: qui, già a partire dal 1650, le donne diventano regolarmente accademiche, mentre per altre Accademie ciò avviene più tardi, come dopo il 1690 con l’Accademia dell’Arcadia. A Padova si voleva addirittura eleggere principi Charlotte-Catherine Patin (traduttrice) e Gabrielle-Charlotte Patin (antichista e scopritrice di testi antichi), le figlie del letterato francese Charles Patin, dal momento che l’ambiente padovano era molto legato alla Francia e alla Germania; si ricordi la prima donna laureata, Elena Lucrezia Cornaro Piscòpia, che scrive opere di matematica, a quel tempo legate anche alla mistica e alla teologia, e, dunque, immediatamente messa sotto osservazione dal vescovo; poi anche Lucrezia Marinelli, che anima la discussione sui saperi femminili. A Venezia troviamo l’Accademia degli Incogniti, un ambiente molto vivace in cui si discute anche sul tema del nulla e del niente in relazione all’origine del mondo, discussione al limite tra la fisica e la mistica, tanto che alcuni membri finiscono sul rogo. Le imprese delle Accademie sono ricordate sui frontespizi delle opere che pubblicano coloro che vi partecipano: i membri dell’Accademia dei Ricovrati scelgono di autorappresentarsi sfruttando l’immagine omerica dell’antro delle ninfe, prendendola al simbolo della ricerca mirata al sapere; un’altra immagine che alcune accademie sfruttano è quella dei Sileni di Alcibiade, tratta dall’episodio del Simposio platonico in cui Alcibiade paragona Socrate a un sileno, brutto fuori e bello dentro, a simboleggiare le verità nascoste dietro false apparenze e ad antifrasi e, nello specifico dei tempi della censura, l’immagine della doppia verità, del nicodemismo religioso, per cui gli eretici, dietro lo scudo della professione di cattolicesimo, continuavano a professare l’eterodossia: a tal proposito si ricordi la vicenda di Tommaso Campanella, che finge di essere pazzo per vent’anni per non andare sul rogo e deve in seguito difendersi dall’accusa di esser mezognero. La questione dell’idillio: Preti La Sampogna è una raccolta di idilli che apre il processo di sperimentazione seicentesco di questo sottogenere. L’idillio della tradizione classica, di cui è archigèneta Teocrito, non ha a quel tempo una canonizzazione netta; fino a poco tempo prima il modello preponderante è quello dei Bucolica di Virgilio, che si distanziano dal modello teocriteo, politematico e polimetrico. Ancora nel ‘700 i Fatto che provoca un battage con Marino che la rappresenta come un uccellaccio che 4 disturba il canto dei cigni (i veri poeti) nei giardini venerei dell’Adone. 5 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 teorici hanno molte difficoltà a definire il genere, come mostra l’esempio di Francesco Saverio Quadrio, che parla di un genere breve (con ovvio riferimento alla brevitas alessandrina) legato a valori di naturalezza e semplicità, per cui accostato, di necessità, al mondo campestre da Virgilio. Marino non conosce bene il greco, ma ha ben chiara l’operazione teocritea, rilanciata dalle operazioni di volgarizzamento degli erotiká greci. Girolamo Preti è un poeta vicino a Marino fino a quando, nel 1608 vi entra in polemica per il primato sull’idillio barocco, al 1624 anno in cui viene chiamato in causa per sostenere che l’Adone di Marino è superiore alla Liberata, posizione che decide di non sostenere. La raccolta di Rime di Preti, in cui compare l’idillio La Salmace, ha due redazioni (nel 1608 e 1614) con cambiamenti vistosi (soprattutto per quanto riguarda l’idillio in questione). La lettera dedicatoria all’edizione rinnovata delle Rime (1614), firmata da Claudio Sorani (testo) la cui identità resta oscura , si configura in risposta alle rivendicazioni di Marino sul 5 genere dell’idillio, attribuendo a Preti il primato. Nel 1608, Marino, sotto il nome di Conte di Rovigliasco, pubblica un panegirico in sestina al Serenissimo Don Carlo Emanuele di Savoia (testo), in cui rivendica il fatto di aver inaugurato il genere dell’idillio in componimenti che già circolavano nelle cerchie di intellettuali prima della pubblicazione a stampa: di fatto, la raccolta definitiva de La Sampogna viene pubblicata, prima a Parigi e poi in Italia, nel 1620, mentre nel 1608 esce a stampa la prima edizione delle Rime di Preti. La Lyra esce nel 1614 con un insieme di modificazioni rispetto alle Rime del 1602 e un terza sezione aperta da una lettera di Onorato Claretti, segretario alla corte torinese, che fa un affresco dei meriti dell’autore, in cui si sottolinea come Marino stia lavorando ad un cantiere ad officina multipla, simultanea, infatti scrive assieme le rime e insieme si cimenta sul genere della nuova scrittura idillica, il panegirico, le odi, l’epica (che poi epica non è), con promesse e quantità di testi che danno adito al battage polemico con autori che nella prima stagione erano a fianco di Marino ma ora entrano in contrasto con lui sulla base dell’idea che egli millanti un sacco di 6 generi senza pubblicare niente, con in causa soprattutto gli Idilli. Marino: biografia Marino si forma nell’ambiente napoletano, gravido della memoria tassiana (probabilmente incontra Tasso, che si muove tra Roma e Napoli, difeso dal principe di Venosa, Carlo Gesualdo, grande madrigalista legato a vicende nere). Marino ha un paio di vicende sconcertanti a Napoli, si parla del fatto che abbia appoggiato È abitudine dei letterati del primo Seicento quella di giocare con controfigure a cui si affida 5 l’impegno di difendere scelte di poetica o questioni di primato dell’autore in questione. Come la Sarrocchi o Stigliani che parla di “minchionerie” e comporrà epigrammi satirici 6 sullo stile mariniano. 6 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 una vicenda legata a un aborto e di essersi fatto testimone di un amico che stava per essere giustiziato falsificando documenti: il suo comportamento è visto come sregolato, in contrasto con i poteri costituiti, un “libertino”. È costretto a fuggire da Napoli: arriva a Roma, nuovo grande centro culturale, legata ad ambienti strettamente collegati con la Controriforma o di cardinali ancora sensibili all’idea di una letteratura umanistica, alta, libera del primo rinascimento; entra nella corte dei due Cardinal Nipoti Pietro e Cinzio Aldobrandini. A Napoli avrebbe messo in 7 cantiere dei poemetti, ecloghe pastorecce (legate alla tradizione bucolica), forse forma iniziale dell’Adone, e un buon corpus di rime. Alla morte del papa sale al soglio un papa avverso e il cardinal Pietro Aldobardini è costretto a spostarsi nella sede vescovile di Ravenna definita la città puteolente, l’inferno dei viventi, dove si mangia male e si beve male; Marino lo segue negli anni 1604-1607. Marino si muove anche a Bologna, dove l’ambiente culturale di spicco è l’Accademia dei Gelati (riferimento alla teoria umorale), dove troverà gli animatori della sua sperimentazione: Cesare Rinaldi, Claudio Achillini, Girolamo Preti, Giovanni Capponi, Ridolfo Campeggi. L’Accademia è strettamente legata alle vicende della famiglia Barberini: luogotenente e nunzio pontificio a Bologna è Maffeo Barberini, 8 poi Papa Clemente e, tornato a Roma, animatore della cultura di ritorno all’ordine e di opposizione a Marino nel 1620, dopo una sua svolta ideologica (Circolo Barberiniano). Dal 1607 Marino si candida alla corte di Savoia: approda a Torino e pensa di prendere il posto di Gaspare Murtola (poeta ligure che fa la sua fortuna lì) che esasperato da Marino a colpi di scritti (Fischiate e Murtoleide) sullo stile della tradizione comico-realistica, spara una schioppettata al poeta e i due finiscono in prigione (Marino finisce per un anno a causa degli scritti sul principe). Maria de’ Medici, madre del re di Francia Luigi, lo invita alla corte francese dove si reca nel 1616 e porta a compimento l’Adone. Marino si dimostra diplomatico e stratega nelle problematiche interne alla corte francese (alcuni italiani, come Vanini, invece finiscono sul rogo) e nella conflittualità fra il partito della madre e del re, di mezzo c’erano questioni religiose (ugonotti e cattolici) e politiche connesse. Marino ha un comportamento “libero”, ma è accompagnato da un’abilissima opera di mascheratura: il carattere libertino è esasperato dai detrattori successivi. Contro Marino si muove il tribunale dell’Inquisizione già in realtà per le Rime , poiché quelle 9 “sacre” presentano contaminazione tra elementi sacri e profani ; e per il carattere 10 Nipoti del papa, nepotismo della tradizione ecclesiastica di quegli anni. 7 Dal 1590 non ci sono più gli estensi in questi territori, tornano nell’alveo di Roma.8 “Sono andato sotto processo per le mie bagatelle” (non quindi per l’Adone). 9 Contaminazione che Marino giustifica nella III delle Dicerie Sacre dove sostiene che il 10 mito antico sia una prefigurazione ingenua del cristianesimo (concetto che si ritrova nel neoplatonismo). 7 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 dove la sperimentazione lirico-musicale è strettamente legata all’ambiente di corte. Abbiamo notizie sulla musica composta per l’Edipo Re, di Gabrielli, di attori che iniziano a specializzarsi, mentre fino ad allora sono anche lirici, come Cecco d’Adria, eterodosso, lettore di Erasmo in un periodo in cui è all’Indice, cieco, per cui accompagnato da un discepolo che lo aiutava. Ci sono tre grandi polemiche a fine ‘500: la discussione riguardo il poema eroico della Liberata, quella riguardo la favola pastorale (genere emergente, novitas) del Pastor fido e quella riguardo il battage sulla lirica di Marino, che comprende l’evoluzione della tradizione dell’idillio. La polemica sul Pastor fido si rinnova a inizio ‘600 e Giason de Nores scrive i Discorsi del Verato o Verrato, maschera presa da un attore colto che faceva parti tragiche e viene chiamato per fare Edipo nella rappresentazione dell’85 di Edipo Re. Dalla documentazione veniamo a sapere che le luci, cioè i candelieri, sono posizionate anche in base alla musica e servono a valorizzare l’aspetto patetico: si va verso il melodramma. Giustiniani e Magno pubblicano una raccolta di Rime che probabilmente viene ripresa da Marino. Il passaggio tra le due edizioni delle Rime di Marino riguarda questione di stile, scelte retoriche, ornatus non più in parole semplici, ma duplici, non solo su valori sintattico-lessicali, ma anche sull’amplificazione del gioco metaforico, le vivezze, e un’architettura ormai uscita dal seminato delle forme del canzoniere, sempre più vicina a un “rustico ordine” che implica un insieme di distinzioni per capi e per forme metriche, dove c’è una situazione fluida e capi in eccesso (1602) che vengono condensati (1614), nella seconda edizione vediamo una differenza nel frontespizio: insieme alle 2 parti del 1602 si aggiunge la parte 3 che ricombina anche le altre due; la distinzione è Amori, Lodi, Lagrime, Devozioni e Capricci: c’è un processo di condensazione rispetto al 1602. Le Lodi sono le rime d’encomio, le Lagrime sostituiscono le funebri, le Devozioni sono rime morali e sacre ed i Capricci, all’insegna della varietas, vengono ad assorbire le rime tenzonarie. Nei primi due libri ci sono processi di revisione dei testi, che mediamente restano invariati; ci sono però spostamenti nella parte terza: i testi sono in complesso meno di quelli della prima edizione infatti alcuni componimenti della tradizione idillico- pastorale delle Rime trasmigrano in altre raccolte; le liriche sul gioco dell’ut pictura poesis (gara con i pittori, detta erroneamente ecfrastica, poiché l’ecfrasi ha una sua storia a parte che non ha a che fare con questo tipo di gioco, negli Amori c’è un riferimento al quadro dei Bari di Caravaggio; Marino è uno dei primi a comprendere il valore dell’arte caravaggesca) in cui Marino illustra la superiorità della letteratura sulla pittura trasmigrano nella Galleria; altri testi trasmigrano in altri generi, come nell’Adone, che inizialmente viene pensato come un poemetto idillico o di ecloga narrativa e man mano acquista la volontà di gareggiamento con il modello di epos della Liberata. Nell’Adone c’è una moltiplicazione dei registri, una varietas che si 10 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 trova già in Poliziano (che tiene conto dei registri stilistici e di certi modelli per i vari generi) mentre la forte contaminazione di Marino rompe i limiti che ci sono tra i generi e i modelli; non è un caso che la metamorfosi e il labirinto siano i due grandi mitemi, archetipi, chiamati in causa tra arte e poesia nell’antropologia barocca. Questi fatti sono indice di come Marino lavori per officine simultanee. Lettera di Onorato Claretti (Lyra, III libro) Queste considerazioni di poetica si ritrovano nella lettera di Onorato Claretti (alias Marino), inserita nel III libro della Lyra. Si discute sull’imitazione ingegnosa e sul furto (poetica del ronciglio, del rampino) in risposta agli avversari di Marino che lo accusavano di essere un poeta centonario. In particolare la risposta è a Stigliani, in seconda battuta a Murtola, mentre sono già in cantiere i piccoli poemetti satirici delle Risate e Fischiate cioè la Marineide di Murtola e la Murtoleide di Marino (così chiamate per uso improprio). Nella lettera di Onorato Claretti Marino polemizza soprattutto Stigliani e compare anche la Sarrocchi, comunemente messi insieme agli scrittori di “colombaie” (lettera IV, termine denigratorio per colombeidi, equivocatio retorica in cui si usa il termine del luogo dove le colombe vengono nutrite). Siamo, dunque, nel 1614 (la lettera IV ad Achillini e Preti della Sampogna è del 1620: Marino sta continuando a definire nel gioco apologetico anche sulle modalità di concezione della poetica con continuità tra i nuclei teorici, a pendant; la Sampogna è una sorta di prosimetrum visto l’inserimento di 5 lettere tra gli idilli). Quando si dice “a chi legge” o “a chi ascolta” si chiama avvertenza: è l’editore o l’autore che dà indicazioni sull’opera; l’uso parte dalle stampe teatrali. Questa lettera di Onorato Claretti compare e scompare (Emilio Russo, Studi su Tasso e Marino): in alcune stampe non c’è, in altre compare con varianti cospicue. Il “duello amoroso”, considerata la sezione più audace della produzione mariniana, a volte manca: si pensa che alcuni esemplari siano stampati per un gruppo ristretto, elitario, di amici. Nelle stampe per la circolazione Marino interviene. La lettera si apre in medias res e con tono militante, lo stile è epistolografico- epidittico, si entra immediatamente nelle ragioni della lettera: replica di Marino alle malignità che circolano sul suo operato e coinvolgono la volontà di seppellire il nome dell’autore poichè si pensava che dopo la prigionia Marino non avesse più i suoi manoscritti, sottrattigli prima della pubblicazione della Lyra: la maschera di Onorato Claretti, segretario reale, vuole sottolineare che non ci sia nessun dissidio con la corte sabauda, riconducendo la colpa della sua incarcerazione al Murtola. 11 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Marino poi accusa i suoi detrattori di essersi serviti delle sue opere, che già 14 circolavano presso gli amici prima della pubblicazione, per copiare e rivolgere a lui l’accusa di essere un plagiario. Petrarca, Familiares (XIII libro) Petrarca in questa lettera risponde a Boccaccio che gli aveva inviato il codice dantesco. Il testo risale agli anni ’50 e genera l’idea che Petrarca non avesse letto la Commedia fino alla presunta scrittura iniziale dei Trionfi: Petrarca risponde di non aver voluto leggere la Commedia per evitare che il modello potesse influire sulla sua inesperta scrittura (gioco retorico della reticenza). Oggi sappiamo che Dante è sulla scrivania di Petrarca già dagli albori della stesura del Canzoniere, ma Petrarca utilizza questo gioco per sostenere la sua idea di imitatio, che si distanzia progressivamente dall’idea di dover imitare in maniera precisa il classico della tradizione. Lettera di Onorato Claretti (Lyra, III libro): inventio e novitas Il linguaggio di Marino è estremamente curato e giocato sulla metafora. Dice che i temi che un poeta può utilizzare per la sua invenzione (inventio) sono pochi, almeno quelli che hanno un certo valore, ovvero i loci, lemmi communes, già consacrati per il loro valore e la loro eleganza di stile. La novitas sta nella capacità di combinarli tra loro, capacità ingegnosa con cui si riesce a far apparire nuovo ciò che una tradizione ha consolidato. Alle spalle sta il discorso di Tasso, che nei Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico, aveva detto come la novità del poema consistesse nella novità “del nodo e dello scioglimento della favola”, nella “nova testura dei nodi”. Aristotele e Tasso Nella tradizione occidentale, a partire dalla Poetica aristotelica, l’uomo è animale imitatore infatti tutto nell’inventio parte dalla facoltà originaria di imitare: il linguaggio è μίμησις della realtà e la poesia è imitazione (μίμησις), l’uomo diventa creatore di poesia attraverso l’esercizio di una mimesis legata al concetto di verosimiglianza con la realtà (1) e tramite la tradizione di modelli (2) che rappresentano il punto di partenza per l’inventio poetica (tragedia e commedia). A partire dal classicismo rinascimentale e dalla rilettura della Poetica si cerca di definire l’ottimo modello In particolare Stigliani (richiamato nella Bruna Pastorella di Marino) che aveva già fatto 14 una divisione per capi nel 1601 e difendeva il suo primato. All’altezza del 1614 il processo di Stigliani è pero’ di allontanamento dalle scelte di Marino, infatti si ritorna al modello del Canzoniere petrarchesco al punto tale che le rime vengono pubblicate con questo titolo nel 1623, aggiungendo la sezione degli Amori giocosi, parodie degli idilli di Marino. 12 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Neoplatonismo e imitazione (Mazzoni e Patrizi) Mazzoni, teorico del tardo Cinquecento, discute sulla difesa di Dante, neoplatonico, legge il sistema aristotelico con categorie neoplatoniche, parla di un processo creativo distinto tra imitazione icastica e imitazione fantastica, immaginazione autoreferenziale che non deve confrontarsi necessariamente con l’idea mimetica di tipo aristotelico. Nel Cinquecento si discute su cosa si possa considerare poetico ad esempio le opere di Empedocle e Lucrezio scritte per divulgare la scienza, un sapere, poemi didattici: gli Aristotelici dicono che l’essenza della poesia è la fabula, l’imitatio, mentre i Neoplatonici come Patrizi (discussione sul Trimerone con Tasso) e Mazzoni parlano di un’imitazione fantastica. Questa imitazione viene reinterpretata erroneamente nell’Ottocento come totalmente slegata da modelli invece ancora presenti nel Cinquecento periodo in cui l’attenzione è posta anche sull’uscire dal sistema della mimesi aristotelica. Si giunge alla conclusione che l’essenza della poesia non stia nella fabula, ma la differenza tra la poesia e la prosa stia nell’uso del verso: i poemi come il De rerum natura o quelli dei presocratici sono poesia, la poesia è anche scientifica e filosofica, il problema è il modo di esprimersi usando il ritmo e il verso. L’imitazione fantastica produce la poesia attraverso un’immaginazione interna senza il confronto con la mimesi, non ha un referente esterno, è un concetto di poesia autoreferenziale: Mazzoni fa questo discorso per difendere il valore della poesia dantesca, considerata un poema inquinato, che tratta di altri linguaggi meno poetici. Si tratta di una prospettiva antimimetica, che semplicemente vuole differenziare una poesia a lato delle categorie aristoteliche. Nel Cinquecento si discute sui classici antichi di Omero e Virgilio, mettendo da parte invece le Metamorfosi che non rispondono al canone aristotelico, si tratta anche riguardo i poeti del ‘300 in volgare: qui Dante viene messo da parte rispetto a Petrarca, il plurilinguismo dantesco risulta improponibile al classicismo cinquecentesco e difficilmente grammaticalizzabile e imitabile (registro comico-linguistico considerato indecoroso: “e del cul fece trombetta”); si discute sulla Commedia a cui non si riconosce il registro unitario- epico che il modello della formulazione oraziana-aristotelico deve avere: da qui ampie discussioni sullo statuto dell’opera, soprattutto per via della digressioni teologiche. Qui si innesta la discussione di Mazzoni e Patrizi. Fonti e interpretazione Il lettore deve avere una capacità altrettanto ingegnosa per cogliere le fonti utilizzate dall’autore. Fino a quest’altezza nessuno scrive pensando che chi legge deve interpretare il testo per poterlo capire: c’è nel Cinquecento sempre di più un’idea di poesia di consumo infatti la poesia si allarga alle donne (come i romanzi 15 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 nell’Ottocento), nessuno pensa che il lettore debba collaborare alla comprensione del testo, così Marino giustifica e non nega le combinazioni erotiche delle sue rime : “per lusingare l’appetito del mondo e rendere lo stile morbido, vezzoso e 19 20 attrattivo ” al contrario dei suoi avversari che considerano questi registri lontani 21 dall’idealizzazione petrarchistica, sublimante, ma piuttosto audaci e spregiudicati, addirittura empi. Poi Marino dice che l’audacia, il riferimento erotico osceno, che ha espresso non è fuori dalla maschera metaforica infatti la lettura del testo può essere letterale ma è il tono lascivo che si trova all’interno del gioco metaforico secondo la definizione di “misteriosa allegoria” che può essere compresa solo dagli “intelletti 22 svegliati ed arguti”: il lettore che capisce è solo quello che sa disambiguare l’ingranaggio metaforico e l’imitazione ingegnosa cioè il gioco con cui sono stati combinati i modelli. Tesauro esemplificherà lo stile metaforico con citazioni da Marino, operazione dell’intelletto assieme al lettore. Lettera di Onorato Claretti (Lyra, III libro): imitazione ingegnosa Nella lettera di Onorato Claretti (p. 9) si fa riferimento al poeta come colui che fonde una statua di Venere per fare una Diana: si crea partendo da una cosa un’altra e alla fine non si distingue più l’originale. C’è poi l’immagine topica delle api che implicano nella tradizione retorica l’idea dell’imitazione selettiva, topos di Zeusi che per fare il ritratto della donna bella non imita solo una figura femminile ma assembla le parti migliori di più figure femminili. Delle api non si guarda il processo ma il composto finale, il miele, diverso dall’insieme di fiori da cui le api lo ricavano: da una pluralità si giunge a un prodotto in cui questa non si distingue. Si batte il pedale più che sull’idea dell’imitazione selettiva, sull’idea di un’operazione combinatoria che genera materia nuova dove non è riconoscibile l’insieme dei materiali utilizzati per la creazione (imitazione ingegnosa). Il rubare, dunque, non è altro che un’operazione di imitazione ingegnosa: non esiste il concetto del plagio, è un finto problema, esiste il problema di un’originalità che è il modo in cui si ricombinano le parole e i linguaggi, fino a far scomparire i materiali combinati. L’originalità sta nel nascondere l’insieme dei modelli, manipolandoli, straniandoli. Passo nelle lettera 84 dell’epistolario. Marino si difende dopo l’intervento dell’amico 19 Ludovico Tesauro che, parente del più noto Emanuele, aveva già difeso Marino come poeta della modernità per le sue ingegnosità e il suo stile soave, per nulla osceno. Anche i Tesauro ruotano attorno alla corte Sabauda, si muovono molto in quanto ambasciatori. Il nuovo gusto che va affermandosi, lo stile dell’oggi dì, oggidiano, che richiede di parlare 20 degli amori. All’insegna della condecenza, “morbido” è il patetico/sentimentale, “vezzoso” indica il 21 galante, “attrattivo” rimanda alla dimensione del diletto. Definizione usata da Tasso nei Discorsi sul poema epico in cui difende l’allegoria per 22 salvare le parti che vengono censurate. 16 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Qui siamo nel 1614, sono state pubblicate le Rime, i componimenti berneschi, la prima delle Dicerie sacre e i Ritratti del principe: clue della polemica in cui gli altri poeti accusano Marino di aver preso immagini e temi da loro facendoli suoi e da 23 fonti peregrine dei classici. Dal 14 l’accusa di Stigliani si fa più perentoria al punto tale che nel ‘23 l’autore individua una serie di meccanismi molto precisi che Marino avrebbe plagiato: l’Amate Stoltisavio e l’Amante disperato sono idilli giocosi cioè parodici nei confronti degli usi mariniani, idilli in cui si sottolinea la follia dell’arditezza metaforica con associazioni strampalate nella poesia del Seicento e il gusto metamorfico, la natura “innaltrata”, la parodia in cui l’identità delle cose viene meno in vista della metamorfosi metaforica fino al punto che la natura dentro l’antro si interroga sulla sua crisi d’identità, con la presa in giro dei meccanismi con cui si è formato il meccanismo dell’imitazione ingegnosa, apostrofato negativamente come “stile metaforuto”. Petrarca, Familiares Il modello, per gli umanisti classici, deve essere visibile perché dà autorevolezza alla ripresa dell’antico e mette in luce come l’autore si confronti con esso. Petrarca si distanzia, nei suoi tempi, dall’ostentazione dei modelli. Compare anche qui la “tacita indagine del pensiero”; Petrarca qui gioca su un’operazione di reticenza verso Dante; per lui esibire senza aver avuto la capacità di cambiare implica essere una “scimmia”, la vera imitazione creativa è quella della riproposizione del modello nascondendone la presenza eccessiva: Petrarca teorizza la mutatio insignis, il rapporto di una genealogia, il figlio può essere simile al padre ma non è uguale, può avere dei tratti fisici ed etici che indicano il rapporto: il poeta deve riprodurre i tratti belli del modello, senza copiarlo e deve saperli riproporre, nell’idea di un’imitazione creativa e non di uno scimmiottamento. In questi termini cogliamo in Petrarca un’anticipazione degli sviluppi Mariniani. Marino, Sampogna L’editio princeps della Sampogna è parigina (1620), Marino parte alla fine del 1615 dalla corte di Torino. Quando parte per Parigi alcuni degli idilli che costituiscono la parte finale dell’opera (come I sospiri di Ergasto, idillio pastorale che chiude la Sampogna) erano già stati scritti e circolavano nonostante l’autore non vi avesse dato l’ultima lima e non erano ancora andati a stampa. Il primo idillio, Europa, trova sede in una stampa costruita ad hoc per affermare il primato di Marino nel 1607: la stampa lucchese in occasione di nozze di signori potenti, si tratta di una questione molto discussa e forse con datazione costruita intenzionalmente (Salmace 1608). Nella stampa del 1607 Marino, in un sottotitolo, definisce Europa il trentacinquesimo Testi e il Lidio dolente, Murtola, Stigliani.23 17 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 • Atteone (mito molto caro a Marino, presente anche nell’Adone e nella Galeria), mito trattato nelle Metamorfosi ovidiane, ma Marino recupera le Dionisiache di Nonno di Panopoli con simbolismi sincretistici pagano-cristiani; • Arianna (altro mito sfruttatissimo), giocato sulla volontà di sperimentare il lamento, in una combinazione con il modello dell’elegia e delle Eroidi e con innalzamento tragico; • Europa, legato alle Metamorfosi; • Piramo e Tisbe, altro mito ovidiano, sfrutta anche il modello contemporaneo portoghese Montemayor che scrive in castigliano, fa da sinopia per la costruzione per una serie di invenzioni pastorali. La stessa Aminta tassiana sfrutta questo mito per giocare sull’elevazione tragica infatti Aminta si butta da un precipizio (chiara ripresa del mito di Saffo) ma lo zendardo, la cintura, lo trattiene: tutti credono che sia morto e lì si innesca la sinopia di Piramo e Tisbe, uscendo dal classico lamento petrarchistico della donna che fugge, su cui si conclude la pastorale senza l’introduzione del tema della morte, tramite, questa volta, la realizzazione della vocazione al suicidio; si dice che si è trovato un velo insanguinato di Silvia che lascia credere che sia stata sbranata da un lupo (traduzione pastorale del leone); venuta a sapere della cosa, Silvia, dura ninfa seguace di Diana, tramite la pietà, comprende il vero amore e, in registro controriformistico, l’opera si conclude (bene) con l’imeneo, canto dell’epitalamio e di nozze; nei sonetti degli Amori giocherà sul tema dell’Amita legata all’ape che punge il labbro, in questo caso di Silvia, che viene baciata da Aminta in quell’occasione, per togliere la puntura) e poi Siringa. I modelli dell’Aminta e del Pastor fido si diffondono molto e vengono letti (spesso direttamente in italiano, almeno fino al 1630) in Francia e in Inghilterra (vedi i Castelvetro). Fulvio Testi viene difeso da Alessandro Castelvetro dalle accuse di Marino riguardo le affermazioni sul primato del modello del lamento idillico nella lettera che apre l’edizione della raccolta del 1617: Testi, diversamente da Marino, sa imitare i greci e i latini (elegia ovidiana delle Eroidi) e sa scegliere ciò che è degno, senza fare d’ogni erba un fascio (Marino è un poeta plagiario soprattutto perché centonatore e senza gusto nella scelta), ma tradurre interi componimenti di spagnolo (cioè portoghese) in italiano, cambiando soltanto le desinenze (elementi di mera traduzione) poi, puzza di ladro a più non posso. Gli idilli pastorali toccano le tematiche pastorali con registro contaminatorio. Nella Bruna pastorella e nella Ninfa arbara troviamo la rappresentazione delle scelte poetiche di Marino che vanno lette con la lettera IV. La Disputa amorosa è la ripresa di uno dei colloquia di Erasmo da Rotterdam, testo fra didascalico e idillico. I Sospiri di Ergasto chiudono verso uno stile tragico. Prima dell’ultimo componimento c’è 20 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 una lettera dedicatoria Al bel Sole, dove si fa un compendio delle immagini della donna-sole, della regalità e del sole . 27 C’è una forte polimetria rispetto all’idillio di Preti e alla tradizione bolognese che sperimenta nella variatio tra endecasillabo e settenario (metro della pastorale di Tasso e Guarini). I metri corrispondono alle tipologie tematiche interne: innalzamenti tragici, scelte più madrigalesche, meliche o amorose. La costruzione, secondo Taddeo, gioca su una modulazione di un ritmo ascendente e discendente che configurerebbe l’immagine degli 11 idilli (senza l’ultimo, epilogo finale a prosimetrum) e delle canne della sampogna, è un technopaegnion, una sorta di carme figurato. Il technopaegnion ha una sua forte valenza proprio a partire da Teocrito. Inoltre, le lettere costruiscono l’idea del prosimetrum, idea del trattamento del codice idillico a partire da Sannazaro. C’è un gioco di strategie politiche, di autoapologia, dell’invenzione di un modello di idillio che tende alla polimetria (non come gli altri bolognesi) e contemporaneamente sperimenta più registri, tiene conto dei giochi tra pittura e poesia propri del technopaegnion che qui trovano ampio sviluppo, gioca sull’idea del carme figurato creando l’immagine della sampogna, non a caso riportata nel frontespizio. I modelli sono Nonno di Panopoli in Atteone, per la prima volta rimesso in uso e modello già di per sé centonario e combinatorio: l’uso della sua mitologia combina cristianesimo e paganesimo; anche in Marino c’è una riscrittura allegorica e figure come quelle di Orfeo, Pan, Dafne (gli ultimi due sono miti paralleli), Atteone diventano figura Christi. Nell’idillio di Atteone c’è una tecnica a cornice, con racconto ad anello (tecnica ecfrastica alessandrina) della storia di Atteone attraverso la dimensione onirica: in Nonno concessa al padre, in Marino alla madre, la madre non l’aveva trovato mentre Atteone si era trasformato in belva per la punizione di Diana: Atteone compare in sogno e racconta la vicenda. Atteone dice di non accanirsi contro i cani, utilizzando il linguaggio evangelico di Cristo in croce. Tigrino, cane di elezione di Atteone, fortemente umanizzato nell’ottica di reversibilità della scrittura metamorfica barocca, parla con la rupe, preludio di tante scene patetico-sentimentali romantiche in cui si domanda a una natura che non può rispondere. La rupe risponde che ce l’ha nella pancia, con un linguaggio eucaristico. Quest’operazione era già presente. Marino ama molto il gioco sincretistico tra sacro e profano, stesso motivo con cui interviene nell’Adone e nelle Rime sacre della Lyra che porterà alla censura ecclesiastica. Marino illustra tutto ciò nella seconda delle Dicerie Sacre (La musica), tentativo di predicazione morale-sacra, in realtà un insieme di loci predicabili altamente profanizzati, spiega come interpretare il mito di Pan, di Orfeo e di Atteone. Quando Marino arriva in Francia, c’è una pubblicistica su Luigi XIII che si lega alla 27 rappresentazione del Dio Sole (rappresenta la regalità): il vero Re Sole sarà poi Luigi XIV. 21 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Orfeo (Sampogna, idillio I) È il primo idillio, ha una redazione complessa infatti la sua scrittura sembra giungere a termine al ridosso della stampa parigina. È giocato sul massimo dello sperimentalismo, su un registro molto alto, cercando di costruire l’idea dell’idillio come selva madrigalesca quindi combinazione tra poesia e musica, tassello tra il madrigale e il recitar cantando. Dal punto di vista ritmico è presente un asse di endecasillabi e settenari sciolti alternati a quartine saffiche per le parti tragiche e 28 quartine di ottonari e di quaternari che si compongono di una versualità piana e 29 sdrucciola con rima baciata in alcuni casi. Nella lettera di Onorato Claretti Marino 30 definisce gli idilli contrappunto (stile madrigalesco) su canto fermo (recitar cantando, messo in opera dall’Euridice di Rinuccini). Gareggia con l’Orfeo di Poliziano, dramma mescolato che aveva recuperato l’integrità del mito: nell’interpretazione medievale la scelta di Orfeo di darsi agli amori efebici viene cassata. Tornando alla Sampogna, la complessità metrica diminuisce verso la fine della prima “sampogna” a sette canne (legata alla tradizione eglogistica arcadica percepita sul registro medio, gli idilli succesivi giocano sull’innalzamento del registro, frontespizio della successiva edizione veneziana) che costituiscono gli idilli mitologici e che si inserisce in quella a undici (registro, appunto, innalzato), con l’idillio Siringa: abbiamo endecasillabi sciolti alternati a due lasse drammatiche, la prima in settenari sdruccioli, la seconda in quinari sdruccioli, con scelte stilistiche medio-basse, accentuate dal gioco concettistico delle figure retoriche amplificate: nelle pastorali cinquecentesche il satiro è figura degradata che o si lamenta o stupra le ninfe, che se ne fanno sempre beffa . Il lamento è una 31 parte centrale del nascente melodramma (Lamento di Arianna) e non a caso è presente anche in Orfeo (poi in Atteone). Sempre nell’Orfeo si gioca sulla gravitas (con latinismi e poetismi) tipica dell’elegia di tipo tragico e del classicismo aureo, con uno scarto rispetto alle associazioni metaforiche. Nella scena dell’accordo della lira si fa riferimento ai molteplici tuoni, “toni”, dello strumento: il lessico è ricercato, aulico, ma anche tecnico musicale (tuono in riferimento allo strumento, gorgheggio in riferimento alla voce), a pendant con il gareggiamento tra l’usignolo e il poeta pastore nell’Adone: l’usignolo rappresenta il canto e il pastore lo strumento: alla fine l’usignolo si esaurisce; il discorso è centrale per capire come Marino stesse discutendo a quell’altezza sul rapporto poesia-musica. Tuttavia, il voluto gioco di Le Odi di Saffo cominciano a entrare nel riuso moderno nel Seicento.28 Per tradizione legati al ritmo narrativo eroico.29 Rima tipica della tradizione della frottola eglogistica di tradizione post-sannazariana, poi 30 scartata con lo sviluppo della favola pastorale, utilizzata in Arcadia per il registro medio, l’operazione è di contaminazione tra un registro medio-basso e l’endecasillabo. Per il gioco metricologico in funzione della dimensione melica vedi lo studio di Taddeo.31 22 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Marino afferma di lasciare le egloghe in mano a suo nipote dopo essersene andato da Napoli. Nelle 3 verranno stampate postume 1626 c’è marcata presenza del modello virgiliano; la ripresa del modello teocriteo (riferimento ai 35 idilli nell’Europa) indica, invece, una svolta su questo piano. Vania de Maldé sostiene che la stampa del 1607 sia autentica e che nella Salmace di Preti ci siano citazioni di Marino; tuttavia, il discorso si può girare anche nell’altro senso: è una questione aperta. Riga 91 e sgg. Marino segnala poi una serie di Accademie: in testa l’Accademia degli Umoristi di Roma dove Marino dice di aver tenuto delle lezioni , l’ambiente 34 dell’accademia tiene assieme la tradizione e i poeti sperimentatori . Marino mostra 35 la caratura europea citando i francesi: Honoré d’ourfe che scrive Astrea, romanzo pastorale a prosimetrum in gareggiamento con Giovan Vincenzo Imperiali. Adone 36 esce in Francia con una lettera di un giovane letterato, Chapelain , che interpreta il 37 poema come un poema di pace: poema epico che non tratta la guerra, ma la pace, non è una demitizzazione dell’eroico perché non è che la guerra non esista piuttosto la polarità è semplicemente spostata da un'altra parte di quella realtà, la celebrazione della guerra è proprio di un mondo passato e oggi la società è cambiata, la guerra deve andare verso la pace, non è più espressione di potenza . 38 Poi viene citato Padre Giulio Mazarini, predicatore di origine palermitana ma attivo alla corte romana, commentatore dei Salmi davidici, messi in circolo anche per la produzione lirica, nei suoi commenti cita sonetti di Marino con apprezzamenti: da parte di un’auctoritas sacra viene la maggior difesa contro chi in ambito ecclesiastico e tra i suoi detrattori avanza l’idea che sia un poeta empio e lascivo; la predica seicentesca è un genere di grande rilievo e riprende espedienti della prosa metaforica barocca che serve a coinvolgere pateticamente l’ascoltatore. Poi una lunga galleria di autori a partire da Guarini, ... “simulacri dell’immortalità” secondo il mito della poesia che dà fama immortale, “radunanze” sono le Accademie. Marino mostra il corteggio dei sostenitori: I. Pomponio Torelli: uno dei letterati di Parma dell’Accademia degli Innominati, a cui sono stati ascritti Tasso e Guarini, sperimentatori del poema eroico e della pastorale; Modalità delle discussioni di poetica, sui testi autorevoli, Petrarca, Dante e Giovanni della 34 Casa, le cui soluzioni stilistiche vengono rilanciate da Tasso. Tuttavia, queste “lezioni” non ci sono, forse si sono perse, forse una delle solite millantate. Da Tassoni che inaugura il modello del poema eroicomico con la Secchia rapita, a Guarini 35 e altri poeti emiliani, anche Margherita Sarrocchi ne fa parte. La scelta nell’ambito del Cinquecento è quella di sviluppare la lirica in egloga e il testo 36 tragico in poema pastorale, la stessa costruzione della Sampogna rientra su questa linea. Lui stesso afferma nella lettera che Piramo e Tisbe di Marino è un riadattamento da 37 Montemayor. La Francia usciva da un periodo travagliato di guerre civili tra ugonotti e cattolici.38 25 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 II. Guidobaldo Bonarelli, urbinate attivo alla corte estense, scrive la Filli di Sciro pastorale innovativa poiché si inserisce in un ambiente di questioni politiche con innalzamento dello stile (come Guarini) con la discussione se si possano amare due persone assieme, se lo chiede Celia, una delle ninfe, in riferimento ad Aminta e Niso (quando l’Accademia dell’Arcadia definirà una tradizione italiana contro il cattivo gusto secentesco codificherà come grande lo stile delle pastorali di Tasso, Guarini e Bonarelli); III. Da notare la strategia geografica (Torelli, Bonarelli, Guarini nord e poi si sposta a sud); IV. Camillo Pellegrino è l’iniziatore della polemica contro la Crusca e i fiorentini che criticano la locuzione artificiosa di Tasso a cui anteponevano Ariosto (inizia la querelle tra ambienti geograficamente connotati, il culto di Tasso ha forza dirompente in ambito romano-napoletano e viene criticato in ambito toscano- fiorentino); V. Celio Magno, Giustinian, (Venezia) Bernardino Baldi, sperimentatore dell’idillio ma soprattuto dei metri barbari (la questione parte nel Cinquecento con Claudio Tolomei, per adattare le forme metriche della tradizione greca-latina: la metrica classica è isocronica, quella volgare è isosillabica; alla fine del Cinquecento si discute sull’ode saffica e poi su quella pindarica, adattata da Chiabrera, grande sperimentatore non dello stile, ma della metrica), attivo alla corte di Ferrante Gonzaga, e tra Urbino e le corti padane. VI. Marino aggiunge l’autorevolezza dei cardinali, sapendo di dover essere tutelato nelle censure che gli sono fatte: Antonio Caetani (periodo ravennate), Antonio Querenghi, attivo tra i territori degli Este e a Padova nell’Accademia dei Ricovrati, forse dà vita all’idea dell’impresa dell’Antro delle Ninfe. Angelo Grillo apre la stagione della lirica sacra secentesca, amico di Tasso, va a trovarlo spesso a Sant’Anna e fa transitare dei materiali madriglaistici tassiani in area mantovana, cosa che Alfonso II non accettava a Ferrara, cioè la stagione della nuova poesia in musica; Guido Casoni, poeta veneto, scrittore di odi, inizia la tradizione dell’ode-idillio secentesca insieme al padovano Carlo dei dottori (scrive la tragedia dell’Aristodemo). Riga 150 e sgg. Marino fa riferimento al corpus del periodo napoletano di egloghe e poemetti favolosi, a cui fa risalire il primo progetto dell’Adone. Questo corpus continua a ricordarlo in relazione a uno Zibaldone, chiamato aurato nella Bruna Pastorella, di componimenti poetici, che aveva le listarelle d’oro, lasciato ai parenti, tra cui il nipote Chiaro: serve ad autorizzare l’idea che siano gli altri a plagiare lui e non viceversa. Rivendica a sé la primazia di tre generi: l’egloga, i panegirici in sestina, e il canzoniere, nella divisione delle rime liriche in capi. Il riferimento a Stigliani, come mostra l’uso del termine spregiativo “colomabaie”. 26 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Riga 180 e sgg. Linguaggio aspramente satirico: la “bertuccia del mare” e il “babbuino della terra”, idea dell’imitazione pedantesca della scimmia. Riferimento al Mondo nuovo di Stigliani, che aveva stampato alcuni canti, per poi fare una successiva edizione dopo il 20 (questo per affermare il proprio primato); lì Stigliani definisce Marino un pesciuom, il cavalier marino , creatura mostruosa con mirabil 39 membra (orride) figlio della sirena ingannatrice. Forse è questa provocazione che determina la scelta di Marino di giocare sul pescatore Fileno nell’Adone (ricordiamo che nel IX canto di Adone c’è la risposta ai detrattori con la pica Sarrocchi e il gufo Stigliani, mentre per altri il Murtola è proprio il cinghale). Riga 228 richiama la polemica con Testi, altrove molto allusiva, qui molto chiara. Marino fa leva sul fatto che quando esce il Lidio abbandonato Testi è molto giovane. Riga 232 richiama le discussioni di poetica della lettera di Onorato creando una continuità. Riga 250 discorso di poetica. Concetto della memoria poetica involontaria (“per caso”) che serve per difendersi dall’accusa, in parte anche in ambiente francese, della ripresa molto vicina all’originale di Montemayor. Idea che emerge già nei poeti di fine ‘500 e primo ‘600 di essere degli epigoni, di essere arrivati a un punto in cui è difficile poter dire qualcosa di nuovo, epigonismo che dipende anche dal concetto di una poetica legata a dei modelli da imitare: i poeti del primo seicento usano la definizione dell’oggidismo, noia del poetare che impedisce di creare qualcosa di nuovo. Nel concetto di dilicatura gentile si riferisce al senso dell’epigonismo che caratterizza soprattutto la poesia amorosa. Riga 265 e seguenti. Il tradurre, quando non è esercizio dei pedanti, è operazione di inventio, non si tratta quindi di pedissequa ripresa: non è un concetto innovativo (già ripreso da Tasso e da Dolce), si tratta di un tradurre che cerca di mantenere un sentimento originale, il significato più profondo del testo di partenza, ma con una forma diversa. Marino sta qui giocando di rimando, non utilizza di fatto questo metodo, piuttosto stravolge il testo originale: è una dichiarazione puramente militante e apologetica, Marino si vuole difendere con le tessere lessicali della vecchia poetica, ma non fare dichiarazioni razionali di poetica. Marino si difende poi dalla vicinanza della traduzione a Montemayor perché richiesto dalla committenza. Risolta la questione della traduzione rispetto al contemporaneo, sostiene di tradurre prevalentemente rispetto all’antico, dal latino o dal “greco passato dalla latinità” 40 contemporaneamente lascia intendere che l’imitazione non è diretta, ma ricreativa, Equivocatio, gioco retorico, intenzionalmente in minuscolo a indicare che è una bestia del 39 mare. Murtola accusa Marino di non sapere né il greco né il latino e lo accusa di aver utilizzato 40 Teocrito e Nonno di Panopoli tramite traduzioni in volgare. 27 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 dell’arte allusiva alessandrina: “antico sempre nuovo” . Nel seicento l’idea di un 46 antico con cui gareggiare apertamente è passata, ora si deve piuttosto recuperare dissimulando. Marino, La bruna pastorella (Sampogna, idillio IX) Funzionale all’apologia della lettera IV e ai suoi discorsi di difesa. La bruna pastorella è un idillio metaletterario, con registro da propemptikon, del canto di commiato (si ritrova anche negli idilli teocritei). Marino è colui che parte, dietro la maschera letteraria di Fileno, e il canto è intonato da Lidio e Lilla che raccontano le vicende della biografia letteraria dell’autore funzionali alla difesa apologetica delle sue scelte. Versi 1-20 Il modello è quello del carme amebeo tra un pastore e una ninfa; ha una forte vocazione teatralizzante, drammatizzante, l’idillio è il nucleo della favola pastorale. Lilla è la ninfa che compare negli idilli e in Adone dove è anche la donna di Fileno per cui il poeta-pescatore intona un canto procace, quello del capitone/anguilla giocato sul doppio senso osceno. Lilla si incontra con Lidio nel panorama tipico dell’ambientazione idillico-bucolica: è presente l’antro degli amori, del riposo, della quiete, del canto, attorno a una campagna descritta come locus amoenus. Lidio è arrivato in ritardo. Lo spazio bucolico è connotato dalla presenza di uno scorrere di acque, fontane, fiumi o un laghetto , è presente una valle ridente. La dimensione più connessa al registro 47 erotico è appunto quella dell’antro degli amori (modello già del registro epico in Eneide, grotta di Enea e Didone). Lidio assume il profilo del pastorello che non può esistere senza la sua amata (tardo Cinquecento, pastorelli afflitti che si lamentano perché le ninfe sono disdegnose, non si concedono), immagine della “querula schiera”: se ha ritardato è solo perché c’erano ragioni importanti (si amplifica il gioco amplificatorio metaforico con gli occhi che sembrano delle fonti/stelle: quando Lidio è lontano da Lilla le fonti degli occhi sono ancora più grandi). C’è un gioco di stratificazione di tessere che richiamano il registro provenzale, stilnovistico (“la tua mercede onde dolermi”), con una tessera cavalcantiana, immagine degli occhi della donna che sprigionano le fiamme dell’amore, Questa che vien ch’ogn’om la mira (“dicalo Amore”): c’è rovesciamento antifrastico, riutilizzo di tessere di una tradizione lirica che giocava su un piano quasi misticheggiante (Dante, non Cavalcanti), questa volta in un registro mediano. Foscolo, Pascoli idea di un classicismo eterno o di tanti classicismi, riappropriazione 46 diversa dello stesso antico. Silvia che si specchia nel laghetto in Aminta.47 30 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Versi 21-78 “L’usato meriggio”: tempo meridiano, epifanico, delle rivelazioni (accezione rituale in altri registri, tradizione classica che arriva fino all’Alcyone di d’Annunzio), ma anche tempo degli amori nella tradizione pastorale: la vampa solare diventa metafora dell’accensione erotica. Tutto il mondo è in armonia, le pecorelle hanno pasciuto, il riposo ha un aspetto sensualistico. C’è il riconoscimento di Fileno, colui che ha insegnato alla “turba dei moderni pastori il non più udito canto” cioè l’idillio come non era più stato sperimentato. Lidio è in ritardo perché è andato a salutare Fileno. “A Dio” è un gioco di assonanza (starebbe per addio). “Il gran pastor di Senna” è Luigi XIII. La richiesta alle Muse del passaggio da un registro a un altro è un topos virgiliano (Eneide). Il viaggio è ovviamente il viaggio di Marino in Francia, perché deve intonare il canto con la tromba, epico (Adone). Viene citato il re (anche se a chiamarlo è Maria de’ Medici) a indicare che l’inventio ha avuto un’importanza forte negli anni francesi. L’Arno indica la gloria dei poeti toscani, italici, (gioco alla prosopopea dei fiumi, Carme metauro di Tasso, in cui c’è la prosopopea del fiume che si umanizza); Durenza e Sorga, fiumi francesi, commettono un “furto di duo cigni” (Marino e Rinuccini). Il “libro” è lo zibaldone di cui si parla nella lettera IV: il legamento in oro ne indica la preziosità, il fatto di essere dorato è un onore minore del contenuto delle lodi di Lilla (riferimento con captatio benevolentiae di Lilla alla sezione delle liriche encomiastiche, il libro contiene, dunque, le Rime) e le leggiadre rime, gli Amori: il poeta del seicento dà agli amori la centralità, qui c’è l’uscita effettiva dalla poesia petrarchistica nella poesia erotica che dev’essere nuova, rinnovata. C’è un rovesciamento: il registro alto rimane quello delle rime sacre, ma la vera sperimentazione viene data alla poesia amorosa. Versi 79–106 Tema della curiositas: si vogliono “mirare” (meditare) e “leggere” (anche superficialmente) “i caratteri veri” (i significati profondi). Pieno riconoscimento di una strada di novitas poetica di “Alcippo” cioè Guarini. Topos della modestia: non arriva al “culto stile” (curato, ma anche ingegnoso) e ai “magisteri occulti” (significati metaforici o reverenti). Lidia apre lo zibaldone e il “bacio” è quello della reverenza, del riconoscimento. Si gioca ora su delle carte in cui sono presenti tante cancellature a indicare un iter redazionale complesso “talor mutati i testi”. Il termine “stornare” nell’uso di cancellare è un hapax mariniano. Marino qui sottolinea che la poesia delle Rime era già abbozzata negli anni che precedono la partenza da Napoli (anche al 1601 in cui compare il Canzoniere di Stigliani diviso in capi) e riprende l’affermazione che fa nelle altre lettere per cui i suoi testi circolavano non stampati, poiché è importante sorvegliarli per bene prima (si rifà al modello oraziano e classico). 31 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Lidia non riesce a leggere. “Rotte” è un altro neologismo, sta per frante, frammentate, in riferimento alle postille, le varianti a lato o interlinea. Lo stile è mediano (siamo negli idilli pastorali), ma la scelta lessicale è preziosa, alta (latinismi, risemantizzazioni). La penna di Marino è “peregrina” perché sceglie fonti peregrine, strade non praticate da altri. “Ambiziosa” ha significato di desiderosa di poter comprendere. Il termine “note” viene usato in riferimento a una poesia musicale, sono faconde, fertili. Versi 107-116 Tessere tipiche dell’ambientazione e del linguaggio lirico pastorale: l’hortus conclusus, la natura ridente, l’animismo naturalistico e la compartecipazione della natura con l’uomo (dimensione empatica). Si aggiunge il processo di museificazione mariniano per cui la natura viene miniaturizzata quasi come un quadro, un arazzo, 48 in linea con il gioco tra pittura e poesia. Versi 117-126 “Lascive” nel significato etimologico, le capre sono saltellanti. Lo zibaldone è stato aperto, Lidia si siede. Si inseriscono dei sintagmi connotativi dei registri letterari: anche gli uccelli ascolteranno gli “ingegnosi concetti e amorosi concenti” (musica). Versi 134-171 Divisione in capi delle Rime. Cita le Rime Heroiche e Rime Funebri e Sacre: in un canzoniere della tradizione classicistica sarebbero queste le rime più importanti, di un amore che tende alla dimensione del divino o dell’eroico, ma Marino passa agli Amori caratterizzati da una “dolce vena” . Le “tenerezze” (tono vezzegiativo-patetico), le “delizie” (tema 49 erotico). Il Duello amoroso è il testo forse più audace per la spregiudicatezza del linguaggio e compare solo in alcuni esemplari di edizione della Lyra, probabilmente riservati al circolo interno: Marino sa bene di aver tastato l’ambito dell’amore erotico che sarebbe stato prontamente rivendicato a prova della sua lascivia da parte degli antagonisti. Gli Amori notturni hanno a tema la scena di galateo erotico che si chiude con l’impotenza maschile. Altra canzone esemplare sono i Baci, che hanno una circolazione indipendente rispetto alle Rime perché in rapporto diretto con le intonazioni musicali. Per la stampa delle Rime Marino si ferma in Veneto più di sei mesi e ha modo di entrare in contatto e in battage con altri sperimentatori: quelli di Molte delle soluzioni dello stile barocco saranno prese ad oggetto da d’Annunzio, stile 48 che verrà poi definito il “decadentismo tardo ottocentesco”. Dulcedo: tradizione che trova gli inizi nel Dolce Stilnovo che parla d’amore, poi con il 49 termine dulcedo si passa a indicare il registro più morbido, legato alle tenerezze, medio che si giostra con quello della gravitas, più alto. 32 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Versi 12-23 Si ripetono tessere della tradizione pastorale (in particolare dell'esordio del Pastor fido) in cui è presente il tema della caccia. Lo “spiedo” è lo strumento della caccia e serve ad affrontare il cinghiale Calidonio. C'è una costruzione a chiasmo (“lui ... leggiero - forte ... la destra”). “Infantata” sta per gravida: la leonessa che sta per dare il parto è più feroce e protettiva, ma nonostante ciò Atteone non è intimorito. Versi 24-45 Questa lunga sequela di versi serve solo per presentare un ritratto di Atteone come cacciatore eccellente, che meraviglia anche il “gran dio dei pastori”, Pan. Il “cerviero” è la lince, “occhio cerviero” espressione molto usata nel gioco metaforico seicentesco, è l'occhio di lince, acuto, che interiorizza la conoscenza: Galileo lo usa per indicare la capacità di indagare e di appropriarsi della sensata esperienza”. Le pelli che indossa sono quelle degli animali che ha cacciato, dunque Atteone viene presentato come una sorta di Ercole pastorale . “Barbarica” nel 52 senso di “orientale” secondo un gusto esotico che caratterizza la pastorale tra cinquecento e seicento alla ricerca della meraviglia. Versi 46-61 A questo punto il poeta interviene in prima persona: Atteone avrebbe dovuto dedicarsi ad altro (cioè all'amore) e non alla caccia. Lo stesso tema viene ripreso nel V canto dell'Adone, nel dialogo tra Venere e Adone, in cui la dea, cercando di convincerlo a non andare a caccia, nonostante egli dica di essere fatalmente destinato alla caccia, introduce l'esempio di Atteone sostenendo che è quello il modo in cui Diana, dea crudele, tratta i suoi fedeli: con una morte infamante, una metamorfosi bestiale. Al cacciatore non è servito l'essere veloce, né la fortezza del braccio, né la mano feroce capace di drizzare il colpo, né l'esperienza, né la tecnica, né l'osservare le tracce degli animali per vedere dove si trovano le loro tane, perché alla fine viene tramutato in cervo. Versi 62-115 Segue una serie di interrogativi che dovrebbero sommuovere, in termini patetici, il tessuto intellettuale dell'idillio e rappresentare il momento del lutto. Siamo nella sezione in cui si è sparsa la voce della presunta morte di Atteone, Autonoe e i familiari danno vita a una sorta di scenario del lutto con una ritualità che in parte ricalca quella della tragedia greca: Cadmo, nonno di Atteone, si mette le mani nei capelli e li strappa, si segnano di lacrime le rugose guance. L'arrivo dei cani che corrono giù dal monte cercando il loro padrone (qui “signore” ricorda la ricerca dei discepoli di Cristo) sembra confermare la voce della morte. La madre, definita “l’addolorata” in sintesi con la Vergine, cerca il figlio ma non lo riconosce nel cervo Ercole porta sulle spalle la pelle di leone, è anche lui eroe silvestre, combatte con la 52 clava, con le mani, legato a un mondo contiguo a quello della caccia, più che della guerra. 35 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 morto, non identificando l'avvenuta metamorfosi: con un lessico molto ricercato e prezioso, Marino descrive la scena dell'incontro con il figlio trasfigurato. Versi 116-135 Per “adìti” si intende “recessi”. La madre, dunque, torna a casa e fa sogni tormentati, che introducono la profezia. L'intromissione dell'elemento del sogno è dipendente dalla fonte di Nonno, non è presente nelle Metamorfosi ovidiane. La dimensione del sogno introduce la dimensione del meraviglioso, tipica del Seicento, in una scrittura ad anello. Nella scena dell'apparizione in sogno di Atteone viene ricalcata l'immagine di Ettore che appare in sogno ad Enea in Eneide. Versi 136-216 La peculiarità rispetto alle Metamorfosi è che la metamorfosi di Atteone, seguendo la fonte di Nonno, imbestia Atteone ma gli lascia la ragione: non può comunicare con i suoi cani, ma è senziente, in un'ulteriore degradazione e sofferenza dell'eroe. Lo spostamento, da Nonno a Marino, dell'esperienza onirica sulla figura della madre, contribuisce a generare un patetico fortemente intellettualistico (ben diverso da quello della Salmace di Preti) che vuole giocare sul tema del lamento della madre e che viene a sconfinare con il tema del lamento della Vergine sul figlio e con una certa tradizione poetica sulla passione di Cristo . La modalità del refrain è tipica 53 dell'innografia cristiana del lamento, il pianto è quello della Vergine davanti alla passione di Cristo. Il “dolce figlio” risponde al codice lessicale della poesia sacra. “Involato” sta per “sottratto”: la caccia è qui già espressa nella sua dimensione negativa e colpa di Atteone è quello di aver perpetrato il desiderio della caccia. Atteone richiama la colpa della profanazione dei segreti di Diana, “veduto” sottolinea la profanazione di ciò che dovrebbe invece rimanere invisibile, dei segreti, appunto. Atteone fa poi riferimento al padre, Aristeo figlio di Apollo (fratello di Diana) e della ninfa Cirene, secondo la tradizione attivata da Virgilio nell'epillio finale delle Georgiche. Vengono chiamati in causa il mito di Luna ed Endimione e di Aurora e Orione, altro cacciatore: è un elenco di amori tra mortali ed immortali per giustificare il fatto che anche lui pensasse di poter raggiungere l'amore di una dea. L'“essizio” è la rovina, ma è anche termine che indica il sacrificio di morte di Cristo. I cani danno la morte, ma si chiede per loro il perdono, perché “non sanno quello che fanno”. Atteone si autodefinisce l'“amato maestro” dei suoi cani, anche qui in allusività con la figura di Cristo e degli apostoli, Tigrino è il “micidiale innocente”, perché ha ucciso il padrone-cervo senza esserne consapevole. La costruzione è fortemente retoricizzata con un gioco di interrogative retoriche. In questo passaggio si gioca sul meraviglioso generato dal macabro, dal cromatismo delle tracce di sangue, dei cani che leccano il sangue del padrone-cervo squartato, simboli che L’allusività cristologica è già in corso nella composizione degli idilli, tuttavia, non c'è 53 l'interpretazione allegorico-morale che Marino richiama nell'allegoria del V canto. 36 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 hanno però anche un ruolo allusivo al corpo e al sangue di Cristo, offerti in pasto per la salvezza degli uomini; c'è il processo di reversibilità degli elementi della natura, con l'umanizzazione dei cani, soprattutto del cane d'elezione, Tigrino. Versi 217-243 Il termine “successo” per avvenimento, avventura è tipico del lessico seicentesco. Tigrino si rivolge alla rupe e questa risponde che il cane si è nutrito del proprio 54 padrone, il cervo che ha ucciso, giocando sul tema dell'eucaristia; aggiunge che la selva che ha assistito alle cacce di Atteone è ora ”mensa delle sue carni”. Versi 244-259 La dea Diana è “ingiuriata” cioè offesa ed è quell'offesa grave nell'onore e nei principi più alti dell'etica per cui si può, ad esempio, concedere la morale del duello, esercizio di giustizia nato nel modello feudale che sostituisce la giustizia collettiva . 55 I duelli, nella Liberata di Tasso, sono considerati villani oppure legittimi nel caso siano condotti secondo una precisa logica di comportamenti che sanzionano la legittimità del duello in certe situazioni: lo stesso duello di Clorinda e Tancredi non è corretto (infatti porta alla morte il nemico e il duello si conduce con una violenza, quasi morbosa, in un gioco tra aggressività e sensualità) poiché Clorinda, nonostante Tancredi lo chieda più volte, decide di non rivelarsi e non viene riconosciuta dal momento che ha le armi cambiate. Clorinda ha infatti preso le armi da Erminia per uscire da Gerusalemme a curare Tancredi ma, inseguita dall'esercito nemico, finirà nella valle del Giordano dove condurrà la sua fase da pastorella fuori dalle ansie della guerra e degli amori infelici. Versi 260-420 Atteone riprende parola raccontando alla madre il motivo della sua morte cioè l'aver scorto Diana mentre si faceva il bagno: la costruzione è ripresa da Nonno di Panopoli, poiché nelle Metamorfosi si procede invece in ordine cronologico. Atteone si era illuso che la congiunzione con Diana nel suo luogo segreto sarebbe stato il Paradiso, l'Eden, il raggiungimento del livello alto del piacere celeste; ma è proprio il desiderio di raggiungere questo piacere celeste che lo porta ad essere cacciato da questo Eden, imbestiato e destinato alla morte. I versi che seguono sono imperniati sulla citazione dantesca della clausola “al ben che vi trovai” di Inferno (I, 8): la convinzione di Atteone è ambivalente, il luogo di Diana sembra un locus amoenus, ma proprio quest'entrata si rivela il rovesciamento nell'inferno, il male, ovvero l'emersione della bestia, cioè degli elementi bestiali, che portano alla morte. A differenza della luna di Leopardi, indice di una natura ormai indifferente alle sorti 54 dell'uomo. Caso codificato e regolamentato in quella trattatistica cinquecentesca oggetto di 55 bersaglio ironico nella biblioteca di Don Ferrante nei Promessi Sposi di Manzoni. 37 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 nell'interpretazione neoplatonico-ficiniana del Simposio . Il Discorso segna la svolta 59 di Preti e accompagna l'edizione dei Pianti della Vergine di Ridolfo Campeggi ed è in sottile polemica con quella chiave di rilettura del mito classico che Marino viene esponendo nelle sue Dicerie Sacre. Le Dicerie Sacre dovrebbero essere il tentativo mariniano di mettere una nuova firma sulla gestione del materiale sacro, reinterpretato con categorie nuove, secondo modalità di riappropriazione già frequentate da una certa poetica neoplatonica del Cinquecento. Dunque Marino è effettivamente un poeta libertino nelle sue Rime Sacre? Non è chiaro, il problema principale è sicuramente che la possibilità di giocare in questa direzione, quella del neoplatonismo ficiniano, è ora messa al bando dalla Controriforma. Marino, La bella schiava (Amori, 24) Sonetto epigrammatico giocato sulla metafora. Il cambiamento dalla bellezza tradizionale c’è già nelle rime di Tasso . In Marino molte presunte donne diventano 60 presunti uomini (sezione dei giochi) e la connotazione del femminile è alquanto ambigua, senza desinenze al femminile. Richiama l’idea del servitium amoris (già in Tasso). “Leggiadro (sfera erotica) mostro” è giocato sull’ambiguità, il raro (prezioso) mostro è petrarchistico (in direzione di Laura), qualcosa di mirabile a vedersi, mentre qui la costruzione stessa suona parodica e ormai il termine indica il mostro che crea orrore nel Seicento. La donna nera, perfezione di natura, viene connotata con immagini ambigue. Si procede per amplificatio per similitudini riprese dal modello petrarchesco, dove si paragonano una serie di elementi alla perfezione del nero della schiava. Le indicazioni che esprimono il valore della luminosità diventano nere in un gioco ossimorico: “fosca è l’alba appo te (dinnanzi a te)”, “ebano” è un legno nero utilizzato da Petrarca per indicare per paragone le ciglia femminili, mentre “avorio” e “ostro” indicano i dettagli del viso, il bianco della bellezza del volto e il rosso delle labbra. Qui il nero è tutta la faccia, gli altri colori diventano qualcosa di brutto. “Pura e viva”: dittologia, presente anche nella retorica petrarchesca e petrarchistica, sinonimica o antitetica. Preti è inizialmente vicino a Marino anche nella sperimentazione dei contenuti culturali 59 ma intorno al 1620 si avvicina al classicismo del Cenacolo Barberiniano (come l'ultimo Chiabrera) definito storiograficamente come animatore della linea del barocco “moderato” o “classicista” che caratterizzerebbe gli anni '20 e '30 del secolo e che si sarebbe opposto alle scelte di Marino e dei Marinisti: in realtà questi poeti non si oppongono alle scelte di Marino e dei Marinisti, ma è la politica ufficiale del Cenacolo mariniano che condanna certe scelte di Marino e porta avanti l'idea di un Marino “libertino ed empio” nel suo gioco di sperimentazione contaminatoria tra sacro e profano. Nelle Rime di occasione da 369 a 373 ci sono madrigali e sonetti che celebrano la 60 bellezza nera della schiava di Leonora Sanvitali. In Tasso è funzionale perché possa fare da mezzana alla sua padrona. 40 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Il “tenebroso inchiostro” è il colore della donna, che emana una luce superiore a tutte le luci connesse alla bellezza bianca. Il “carbone spento” è nero, quello accesso è una delle variazioni utilizzate per indicare la fiamma di amore erotico. “Servo di chi m’è serva” riscrive un dittico tassiano in un processo di denigrazione della donna. L’uso del galateo amoroso che si ritrova oggetto in una palinodia degli amori (cfr Treccia ricamata di perle, 48) rimanda all’uso delle donne di fare un lacciuolo con una ciocca capelli che viene messa al braccio degli uomini. Il “laccio” che lega il cuore (cfr tradizione lirica e sacra) è talmente stretto che nessuna “mano candida” (tessera petrarchistica) può scioglierlo. “L’ardore” appartiene alla sfera erotica. Si gioca sulla sfera dell’antitesi alle estreme conseguenze e delle antifrasi, “notte e giorno” genera l’antifrasi, il rovesciamento, per cui il sole nero oscura il sole vero. Fulmen: sole nero che diventa emblema di vita, amore, bellezza. La metafora si innesta sui topoi retorici di una tradizione petrarchistica che si fanno esplodere. Marino, Trastulli estivi (Amori, 45) Vediamo il saggio di Emilio Torchio. I Trastulli estivi sono una riscrittura degli Amores ovidiani. Dodici stanze di 11 versi secondo lo schema AbbA cdcD cEE primo piede, secondo piede (anche se in realtà si sottolinea la mancanza di divisione tra i due piedi) sirma. Si può immaginare anche uno schema Abb Acd cDcEE, tuttavia questa sarebbe una canzone regolare di tipo petrarchesco ma il congedo riprodurrebbe solo una parte del piede, il che è comunque strano. È più probabile il primo schema se guardiamo alla sintassi. Probabilmente Marino gioca su uno schema tradizionale, rielabora e fa esplodere gli schemi metrici e i topoi della tradizione. Le canzoni mariniane sono canzonette, non mantengono il tono di gravitas del petrarchismo, questa sperimentazione metrica può lavorare anche in quella direzione (la grande prevalenza di settenari porta ad un abbassamento); il congedo riproduce lo schema della sirma. Già nel ‘500 saltano gli schemi tradizionali petrarchistici. La combinatio è la rima baciata alla fine della sirma (EE). Non sempre l’uscita dagli schemi metrici, stilistici e tematici tradizionali implica la consapevolezza di una sperimentazione. Marino gioca invece su questo, riprendendo la tradizione e rielaborandola, come Chiabrera, altro grande sperimentalista. I stanza Caso in cui viene applicato il concetto di traduzione che deve mantenere il significato e rielaborare dagli Amores Ovidiani. Il primo verso di Ovidio viene rielaborato nella prima stanza dei Trastulli: “aestus” (letteralmente, la calura) diventa la stagione estiva, la prima stanza è un cronotopo che gioca su una serie di amplificazioni: descrive l’ombra meno lunga, perché il sole 41 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 è a picco , si tratta infatti di un “sol che rugge” quindi un sol leone (costellazione 61 del Leone) che distrugge i fiori (la calura dissecca). Con queste indicazioni astrologiche Marino sembra parodizzare Dante o i Trionfi di Petrarca, il tempo meridiano è quello dei piaceri erotici. I testi di Ausonio hanno una tradizione già consolidata al tempo di Marino e possono essere tranquillamente confluiti nelle sue opere. Ausonio viene recuperato per quanto riguarda il Cupidus Cruciatus già in età medievale con il Triumphus Pudicitiae di Petrarca: Amore (nella sua virtualità erotica) viene sconfitto da Laura e il drappello delle sue donne lo lega e lo distrugge suggellando l’idea del trionfo della pudicizia sulla lussuria. II stanza L’io è protagonistico in questi testi di Marino e traduce il desiderio erotico. L’“affetto” non ha dimensione patetico- sentimentale (caratteristica della scrittura di Preti) ma scorre sotto traccia una parodia: sottolinea la condizione dell’amante durante l’attesa che è il vero piacere infatti i preparativi accendono il piacere. La consumazione del piacere è sempre un momento di delusione e di consapevolezza della vanità delle cose secondo un fondo scettico-pessimistico: la categoria dell’oggidismo fa accostare alla dimensione erotica il gusto del macabro (gallerie di teschi), si gioca sullo stupore, sul mirabile. Non è una dimensione sentenziosa di tipo medievale che colpisce le passioni terrene, la vanitas nel senso del contemptus mundi, qui è un gioco sulle polarità, nulla dà pienezza fino in fondo, dove ci illudiamo di aver pienezza scopriamo il senso della nullità del mondo. Da parte di alcuni c’è anche un aspetto meditativo di fondo, per altri si ferma al gioco di polarità, come per Marino. Gioco delle dittologie o di tre termini in climax. Il termine “dimora”, come latinismo, indica “indugio” qui “attesa”. Diventa prezioso, bello, ciò che è raro, ciò che non è una quotidianità consumata. III stanza Ripresa dell’ambientazione e della tessera ovidiana, delle tre similitudini di Ovidio ne vengono riprese due: Marino mette da parte quella del crepuscolo perché la giovinezza dell’amata non si addice al gioco, dà l’idea di una vecchiaia incipiente. La “mente cupida e confusa” è quella di Rinaldo che entra nel regno di Armida (alla foce dell’Orontem abbandonando la spada), regno dell’eros per antonomasia, ma anche tessera dantesca, quando Dante entra nella divina foresta spessa e viva, anti- selva oscura, natura rigogliosa, dove incontra Matelda, donna (Purgatorio, XXVIII). Questo gioco di stratificazioni è senz’altro presente al combinatore di tessere Marino, che rivalorizza questi passi: la curiositas di Dante non è più intellettuale, ma erotica. Della fatal quiete, Foscolo: ombre lunghe, invernali.61 42 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 dare adito alla ricongiunzione amorosa è una violenza soave, legata all’idea del bacio e dello spirto, connotatori del bacio neoplatonico. Il termine “rapina” è costantemente usato in relazione ad amore. Nell’Aminta Tirsi consiglia ad Aminta di sorprendere Silvia al laghetto, amore come rapina. I baci sono ancora “tronchi”, ma lei li rende con un morso, lo mordicchia. Chi si accontenta del bacio non è degno di poter godere del piacere amoroso, quello non ha capito nulla dell’eros. Il testo è giocato su una forte audacia, giustificato sulla ripresa dai modelli dell’elegia classica, lo nasconde dietro le tessere petrarchistiche: è scritto in pieno regime di Controriforma. L’accusa meno legittima, tuttavia, è quella di Stigliani, che nel suo primo canzoniere è molto più audace e lo stesso Marino glielo rinfaccia. Marino, In morte di sua madre (Versi di occasione, 6) È un testo che non ha avuto la fortuna di un commento. Il registro è alto, dellacasiano, maggioranza di endecasillabi e numero consistente di stanze, mentre le altre sono più canzonette. Unica donna vera che rimanda al gioco dell’autobiografia di Marino, in antitesi con la costruzione del ritratto del padre, genitor severo, nel IX canto dell’Adone. La canzone dovrebbe essere nelle sezioni tematiche delle Rime funebri (1602). La canzone alla madre gioca in competizione con la Canzone al padre di Celio Magno, pubblicata nelle Rime del 1600 a Venezia, uscite con quelle di Orsatto Giustinian. Questo canzoniere è molto elogiato nella tradizione trado- cinquecentesca e circola già a partire degli anni ’80 del Cinquecento, punto di riferimento del petrarchismo veneziano, alla ricerca di nuovi linguaggi, un petrarchismo che si lega a un gioco di nuovi significati che risentono della tradizione neoplatonico-misteriale, ossia di interpretazioni sapienziali, filosofeggianti e una sperimentazione in direzione delle rime funebri (o lacrime, lamenti, pianti nel '600, con spesso una combinazione di registri diversi, con i topoi dell'encomio o spirituali-religiosi del lamento, della caducità dell'esistenza, della preghiera) e delle rime amorose. Certamente, Marino tiene in considerazione quest'avanguardia cinquecentesca che batte già una certa pista del rinnovamento interno al petrarchismo concettoso. Inoltre, in questo Canzoniere, già si presenta un germe della dissoluzione del registro narrativo dei canzonieri cinquecenteschi verso un accorpamento pluricentrico con dei cicli interni che trattano lo stesso tema, una divisione interna che prelude alla divisione per capi. Marino si trova a Venezia per mandare a segno l'edizione delle Rime 1602 per Ciotti, per 6 mesi, dove entra in contatto con un ambiente settentrionale d'avanguardia. L'idillio Atteone (si trova nella Sampogna) è costruito su modelli precisi della tradizione tardo-ellenistica (Nonno di Panopoli), alla fine mostra la richiesta della 45 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 sepoltura delle ossa di Atteone con la richiesta, anche qui alla madre, di un'iscrizione da mettere sulla tomba. La Canzone per la madre è inserita nella sezione delle Rime d'occasione, legate a una situazione celebrativa, in cui interagiscono più registri: quello dell'encomio, quello del lamento funebre e del ricordo. È uno dei luoghi, per alcune soluzioni di riadattamento fortemente stranianti, più sperimentali; tuttavia il registro stilistico è alto per cui Marino sembra voler effettivamente celebrare la madre. L'aspetto perturbante è giocato sul registro dei significati aggiunti di una tensione sottolineata anche dal registro dellacasiano (alto, amoroso, che sconfina in un bacio) al modello neoplatonico, che sembra alludere all'incesto. La pietra del sepolcro viene vivificata (reversibilità degli elementi della natura). Il lamento funebre e le “Muse afflitte” (poesia afflitta, del pianto, funebre) rimanda a un repertorio classico. C’è un rimando al repertorio di tessere dei Trionfi di Petrarca (“benedette le lagrime”, sonetti “di anniversario” del Canzoniere in cui si rievoca la memoria dell’incontro, qui del funerale) e a Della Casa. Le “ossa onorate” è in Aminta che spera di morire e che il proprio sepolcro sia appunto di ossa onorate, tomba come generatrice di onore (tradizione che arriva a Foscolo). “L’iniqua dea, l’insidiosa arciera (l’altro arciere è Amore), cieca, sorda, inesorabil (inflessibile) fera (il destino di morte)”. La madre come lo ha generato e nutrito (santificazione a Madonna generatrice) e lui gli rende il pianto di reverenza. “Fera” nel senso che è feroce, ma anche superba, disdegnosa. Sottolineatura “dell'urna, del gelo” connessi col classico cfr Foscolo che nei Seplocri quando vuole costruire un sistema per cui la tomba non serve ai morti ma ai vivi, per uscire dai termini di un lessico cristianizzato, ricorre al lessico classico: l'urna, i templi. “Parole e baci” dittico, ciò che dovrebbe dare la dimensione umana e la dimensione affettiva. C'è un uso di termini legati alla morte e al funebre che richiama il lessico sacro: “silenzio eterno”, idea della morte come transito, trapasso. Il “lume degli occhi” è il centro della fenomenologia amorosa: tutto parte dallo sguardo, dalla vista, e con la morte tutto si “ammorza” (lessico ricercato), finisce. Marino chiama a questo punto l'altro genitore. Ha appena finito di piangere la morte del padre e adesso il suo diventa un doppio strazio: li pone sullo stesso piano, portando il discorso sul tema più elevato della pietas familiare senza citare i dissidi con il padre, con la funzione di amplificare il dolore del poeta su un gioco di amplificazione elegiaca, diversamente dalla descrizione del genitor severo nell'Adone: i registri sono diversi, come anche i modelli e anche la biografia ne risente. Si presenta quasi come un Cristo sofferente, piagato dal dolore. Sottolinea l'eccellenza della madre, “preda ambita” dalla morte: sembra giocare col Triumphus Mortis di Petrarca, quando la morte concede a Laura di morire senza sofferenze, immediatamente, per la sua eccezionalità, eccellenza, e Laura risponde all'insegna dell'umiltà cristiana di non volere alcun tipo di privilegio. Niente può 46 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 stemperare il fiele, l'amarezza, del poeta. Marino richiama anche l'immagine del fatal “crine”, legato ad Iride nell'Eneide, che viene tolto e dà la morte, e che Petrarca usa per indicate il trapasso immediato di Laura nel trionfo. Marino ricorda anche l'ascesa di Beatrice al Gran Fattore in Dante nel modo in cui racconta l'ascesa della madre in paradiso. “L'impaccio caduco” è il corpo, nei trionfi si parla di soma, prigione dell'anima nel linguaggio neoplatonico. “Cinque Mondi” è la distinzione dei vari elementi che compongono la realtà cosmica, in riferimento al naturalismo antico. Tornano anche nella rappresentazione del planetario nel V canto dell'Adone. Nelle Rime funebri Marino gioca con modelli contaminati: ci sono diverse tipologie, tra cui quella delle rime del lutto, il lamento e la consolatio. Il modello per la 63 consolatio è la regina elegiarum di Properzio, in cui il poeta fa apparire la moglie morta a consolarlo; in ambito cristiano ciò si unisce alla svalutazione dei valori terreni, il contemptus mundi, in attesa della ricognizione sul piano dell'aldilà. Consolatio si può considerare nel Triumphus Mortis il sogno all'interno della visione in cui compare Laura a Petrarca con le due domande legate ai topoi del neoplatonismo cristiano: la svalutazione del corpo e la liberazione dell'anima con il ricongiungimento alla vera vita e alla vera beatitudine. Nei Discorsi sul romanzo e sulla tragedia di Giambattista Giraldi Cinzio, uno dei testi delle poetiche di medio- Cinquecento da cui parte la riflessione sui generi, in relazione alla tragedia l’autore sottolinea come il capitolo del trionfo della morte sia da assumere come modello per il dialogo patetico-tragico. Nella canzone alla madre c'è una combinazione di queste tipologie. Il genere del compianto per la perdita di un personaggio di rilievo, planh, è un genere antico, ha una lunga tradizione, e termine è già occitanico. Celebre è il Planh in morte di San Blacatz (signore eroico che deve offrire il suo cuore ai vassalli del tempo che hanno perso onestà e vigore) di Sordello, lo stesso che tesse l'invettiva della corruzione dei principi italiani nel VI canto del Purgatorio. Il compianto diventa poi il pianto per la perdita dei valori affettivi, donna, familiari. Nella tradizione classica c'è addirittura il compianto per la morte degli animali, tradizione riattivata nel Cinquecento. Il compianto, in Celio Magno, Tasso e Grillo, si lega al tema religioso del pianto di fronte alla morte di Cristo, non più pianto della perdita, ma dalle tonalità penitenziali, sul senso della colpa e per il fatto che Cristo è andato incontro a una morte tormentata per il sacrificio espiatorio. Marino sovrappone il codice sacro a un codice profano perturbante, come nel processo dell'angelificazione della madre chiamata in paradiso, con il senso di alienazione del figlio e con una serie di tessere che richiamano la funzione mariana della madre, benevolente e umile, che intercede insieme a Cristo per i peccati degli uomini, madre che è la Stella Maris (il titolo è utilizzato per enfatizzare il ruolo di Legato al tema della pietas e della disperazione, anche con il risvolto tragico della 63 pulsione al suicidio. 47 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 La canzone della madre (in Versi di occasione, 6): in cui il bacio alla madre implica sì la trasmissione degli spiriti ma richiama anche alla dimensione dell'incesto, si 65 tratta quindi di un testo sotto l'inventio artistica del bacio incestuoso, che si compone di elementi allegorici e rimanda al quadro di Agnolo Bronzino, Allegoria con Venere e Cupido. Bronzino dipinge per commissione di Cosimo I, Granduca di Toscana, negli anni 50-60 del '500, e viene considerato uno dei grandi esponenti del manierismo. Il quadro è commissionato da Cosimo, che in quegli anni, appena insediatosi nel Granducato di Toscana, cerca di renderlo sempre più ricco e autorevole, trovandosi in una situazione in cui rischia di essere inglobato dalle mire egemoniche di Carlo V, fa un regalo al re di Francia Francesco I per inaugurare l'alleanza filo-francese della Toscana. Questo è un quadro allegorico-narrativo, tanto che anche il titolo viene diversamente dato (Trionfo di Venere, Trionfo di Amore o La lussuria smascherata, Allegoria di Venere e Cupido) con un significato che si lega al giudizio morale sul disvalore dell'amore erotico che viene in qualche modo svelato nel suo aspetto peccaminoso. Il bacio è tra Cupido e Venere: l'aspetto del rapporto tra Venere e Cupido è un tema centrale anche per la mitologia lirica cinquecentesca e l'Adone di Marino, poema che si apre con una scena in cui Cupido viene punito da Venere con un ramo di rose sulle natiche nude poiché ha fatto innamorare Giove irritando Giunone, scena fortemente perturbante per l'aspetto morboso del godimento voyeuristico, che ha per paradigma archetipico il tema dell'incesto; questa punizione dà il via alla narratio dell'Adone per vendetta di Cupido. Il rapporto tra Cupido e Venere è un rapporto, dunque, incestuoso e allo stesso tempo contrastivo, come è contrastivo il rapporto tra madre e figlio che dà solitamente avvio alle pastorali . 66 Nel dipinto Cupido ha la mano sul seno di Venere, lei in mano ha il pomo della discordia e sotto ci sono le colombe, iconologia legata a Venere. Il bacio è incestuoso e allo stesso tempo legato alla dimensione dell'inganno: mentre si baciano, Venere cerca di togliere alla faretra di Cupido una freccia in modo da indebolirlo e a sua volta Cupido toglie la corona di gemme dalla testa della madre. A lato c'è un fanciullo che getta rose, dettagli che tornano nella mitologia: è la figura, diversamente interpretata, della follia, della melancolia, di una gioia legata alla dimensione della follia, cioè amore erotico è legato all'inganno e alla melancolia. Che questo amore sia legato all'inganno e alla frode è sottolineato dalla figura dietro Traditio lampadis, mandato che la madre dà al figlio che deve tenere in piedi i valori della 65 famiglia. Cfr Aminta, nel cui prologo, affidato a Venere e a Cupido sul modello euripideo, la dea va 66 alla ricerca del figlio che è andato dalle corti alle selve per fare innamorare i rozzi pastori. 50 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 al putto che sta lanciando le rose, una delle tante maschere della dissimulazione della cultura cinque-secentesca, perché ha un volto sorridente, attrattivo, mentre le mani sono incrociate e la parte del corpo della figura termina con una sorta di attributi per cui non si capisce se è un drago o una sirena, è un essere mostruoso; le due mani sono rovesciate a indicare la dissimulazione e l'inganno: in una porta un favo di miele, elemento attrattivo, dolce, nell'altra un pungiglione di scorpione: amore dulce malum che inganna, che distrugge. La costruzione narrativa del quadro ha alle spalle sicuramente una collaborazione con dei letterati. La disperazione ha le mani in testa, il tempo ha la clessidra a lato e apre il tendone facendo vedere ciò che sta dietro, appunto, disperazione e follia; secondo alcuni c'è la gelosia-invidia, ovvero gli effetti devastanti dell'amore sessuale, considerato per nulla elevante né tanto meno la prima tappa neoplatonica di un passaggio all'amore celeste. Il gioco di primiera (in Amori, 34): tra quei sonetti dedicati al gioco, novità del tema di Marino, ambiguità di fondo (ci si rivolge a donne che poi sembrano rivelarsi uomini) anche tenendo in considerazione che le donne giocavano ma non partecipavano ai giochi d'azzardo (come primiera e giochi di carte), motivo per cui Marino viene accusato dai suoi detrattori di empietà e sodomia, con variazioni metaforiche si connette al lusus amoroso e al tema della fortuna, in cui c'è un confronto con i Bari di Caravaggio. In questo quadro il fanciullo baro, per poter vincere, deve tirare fuori dai suoi calzoni la carta di cuori, perché a primiera si vince quando si hanno le 4 carte dei 4 semi e tutto il sonetto gioca sull'invenzione per cui la donna dovrebbe vincere ma non ha la carta di cuori, dunque l'io-amante gli dà il suo cuore, con cui vince; è una palinodia dei miracoli d'amore neoplatonici, in cui l'amante è spossessato del suo cuore. Atteone (nella Sampogna vv 370-80): il quadro di Tiziano su Diana e Atteone funge da spunto per la descrizione dell'hortus conclusus della fonte nella valle Gargafia, ai piedi del Citerone dove Diana si bagnava. La colpa di Atteone è una colpa di ὕβρις, quella di aver profanato il luogo segreto in cui fa il bagno nuda Diana che viene rappresentata nell'atto di un antibattesimo, poiché getta dell'acqua sul volto di Atteone che viene metamorfizzato in cervo. Nel quadro di Tiziano il contesto sembra teatralizzare la storia: non è un luogo silvestre ma sembra piuttosto un palco per via della tenda rossa, stesa per coprire l'hortus conclusus e spostata da Atteone; questo tendaggio, invenzione di Tiziano, vuole dare un'interpretazione cortigiana del mito. Marino ricalca questa coreografia ornamentale che ricorda una sala di palazzo. La tela verrà inviata a Filippo II di Spagna. vv. 370-380 di Atteone: il particolare più significativo è quello dello sciamìto vermiglio, tendone che costituisce una specie di cortina/fondale che separa, è prettamente legato all'idea del fondale teatrale quindi processo di teatralizzazione che ritorna nella messinscena della tragedia di Atteone in Adone. 51 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Marino, Adone Adone è già pronto nel 1621 ma è oggetto di una revisione soprattutto per motivi politici interni alla corte francese, in relazione anche alle dediche interne all’opera. L’Adone, pensato come poemetto idillico, cresce ed entra in competizione con l’opera di Tasso: inizialmente con la Gerusalemme distrutta che tocca il tema della distruzione di Gerusalemme da parte di Tito e della diaspora ebraica, di cui ci resta solo il canto VII. L’opera risale al 1606-7, secondo le lettere scritte da Marino in quel periodo in cui parla spesso della Distrutta e di altri due poemi non pervenuti, sempre in competizione con Tasso, tra cui le Trasformazioni (forse perdute nel momento in cui Marino viene imprigionato e le carte gli vengono confiscate, non riesce infatti a recuperarle tutte e si riappropria di alcune con difficoltà e grazie alla mediazione di amici) sul modello ovidiano. Sono gli anni ravennati in cui si accende la tensione con gli avversari, come Stigliani che scrive il Mondo nuovo e poi Murtola con il 67 Mondo creato, altra innovazione sul poema eroico rispetto a Tasso. In questo contesto Marino entra sempre più in contatto con l’Ovidio dei Tristia, degli Amores, a tutto tondo: il gareggiamento con il Tasso sul modello della Distrutta non gli avrebbe portato fortuna, tralascia quindi la prima intenzione e si sposta nello sviluppo di Adone, probabilmente includendo le Trasformazioni nel progetto: all’Adone si aggiunge un repertorio di miti ovidiani riscritti, i racconti secondi della costruzione narrativa, e si aggiunge il gioco epico-cavalleresco: ciò porta il semplice idillio tragico, storia banale, a diventare il poema dei poemi, in cui Venere deve lasciare Cipro per motivi rituali, Adone infrange il tabù di andare a caccia, essendo lui un antieroe, e finisce nei sotterranei di Cipro dove si gioca il confronto cavalleresco con Ariosto e Tasso. Tasso è ormai presenza ingombrante nel ‘600 della lirica, dell’epica, e dell’idillio pastorale: Marino vuole superarlo. Marino, Adone canto IX In Marino l’unità d’azione è la vicenda di Adone e Venere, che sulla scia di Ariosto, alla sua massima conseguenza, diventa una narrazione estremamente digressiva; il processo di sviluppo è quello per associazione metaforica e metamorfica (che avviene normalmente nella lirica), come c’è anche il rimando diretto all’autobiografia romanzata del poeta (sul modello dei Tristia), che è solitamente negata dall’oggettività epica . Nel canto IX di Adone c’è: 68 • Una protasi, l’inno alla poesia, la presentazione del viaggio di Adone a Cipro con una geografia assolutamente surreale che in termini di disegno è impensabile; Poema epico giocato sull’avventura di Cristoforo colombo, tradizione delle colombeidi 67 legate al presente In Ariosto l’autobiografia c’è ma con il rimando autoironico alla propria realtà, in uno 68 spazio separato dal racconto. 52 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 sono le passioni che incontrollate non possono che portare il giovane uomo a un processo di imbestiamento. Ne Il Cataneo, overo de gli Idoli discute sul problema di come dev'essere la nuova letteratura epica tassiana e l'encomio dei principi in termini cristiani. Nell'Adone, in cui il principio di eros è interpretato come civilizzatore, la dimensione venatoria è interpretata come una dimensione distruttiva che porta l'uomo alla morte, per cui è un ammonimento a tenere a freno gli istinti aggressivi dell'uomo. La parabola del romanzo La Salmace di Preti gioca sul tema del doppio, dello specchio, tema importante nella sperimentazione secentesca, per cui situazioni con gli stessi elementi arrivano a soluzioni antitetiche. Questo è lo stesso gioco che Marino porta avanti nella costruzione narratologica dell'Adone: la costruzione non è centrica, ma è come se l'architettura del poema fosse segnata dal movimento ellittico e giocasse su due 70 fuochi antitetici, due esiti contrapposti. Ad esempio, due volte viene raccontato l'innamoramento, due volte l'abbandono e il ricongiungimento con Venere, due volte l'incoronazione di Adone a re di Cipro. Il modello viene progressivamente affermandosi nell'altro genere innovativo della letteratura secentesca, quello del romanzo: viene definito, nel Cinquecento, romanzo cavalleresco il poema di tipologia ariostesca (legata alle molte fila del testo) per distinguerlo dal poema eroico aristotelico rigorosamente legato al concetto dell'unità della fabula; il genere romanzo, come lo intendiamo modernamente, in prosa, viene affermandosi nel Seicento. La nascita del romanzo è tangente allo sviluppo di un poema eroico che si distanzi dal modello tassiano, in direzione di una nuova attenzione per il contemporaneo. Il poema di Marino è di difficile definizione, è una costruzione poematica dove già la stessa scelta dell'argomento va al di là del concetto del poema epico e attinge piuttosto, almeno all'inizio, ad una tradizione mitologico-idillica, la storia degli amori di Adone e Venere, e dove si contaminano poi registri lirici e narrativi di ogni genere, dall'epitalamio alla letteratura scientifica. Oltre che una struttura ellittica, poi, l'Adone ha anche una struttura aperta: non sappiamo le ragioni della punizione di Cupido da parte di Venere all'inizio, è un incipit fuori campo; anche la fine è fuori campo, come osservava lo Stigliani, non coincide con il matrimonio di Venere e Adone che diventa re di Cipro, a metà poema: questo prosegue finché Venere non abbandona Cipro per motivi rituali e Adone infrange per due volte il divieto di andare a caccia (altra ripetizione di una vicenda) finché non muore e avviene la sua metamorfosi (parziale, solo del suo cuore); tuttavia, il finale veramente inammissibile per Stigliani è il torneo funebre che chiude il poema, con il duello eroico tra Austria e Fiammadoro (Spagna e Francia, le due grandi potenze politiche del tempo), uomo e In riferimento anche alle nuove scoperte copernicane.70 55 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 donna, che termina con il matrimonio tra i due: sarebbe stato da inserire a metà del poema, come nel Furioso e nella Liberata, mentre qui sembra inaugurare il tema del poema, quello eroico, nella sua chiusura. I romanzi a chiave, nel Seicento, su questo modello, hanno per oggetto vicende cavalleresche che vanno lette come specchio delle vicende attuali storico-politiche. La parabola del romanzo secentesco (di circa un trentennio) è importante, ma il genere fatica a decollare: ci sarà una sospensione e si tornerà alle forme del poema epico-narrativo nel Settecento, per ritornarvi solo nell'Ottocento. Il romanzo secentesco ha importanti rappresentanti (Eromena di Gian Francesco Biondi; Il calloandro fedele di Giovanni Ambrogio Marini) soprattutto di area veneta, dato che l'Accademia degli Incogniti è uno dei centri propulsori dei generi che sperimentano la trasformazione del genere epico-narrativo della tradizione cinquecentesca. Troviamo rappresentanti anche a Genova, come Ansaldo Cebà, a Bologna, come Virginio Malvezzi, e nell'Accademia degli Incogniti, come Giovan Francesco Loredano o Gian Francesco Biondi. Marino, Adone: struttura Canto I: Adone (divinità orientale) arriva all’isola di Cipro, dove incontra il pastore Clizio, controfigura di Imperiali, che lo accoglie nella realtà della campagna dell’isola. C’è un gioco con la Liberata e con l’episodio di Erminia in fuga, accolta dal pastore che se n’è andato dalla vita di corte. Clizio accompagna Adone fino all’entrata nel regno venereo dove però non può entrare. Adone entra e si addormenta. Canti II-IV: Venere vede Adone, si innamora di lui e lo porta nel palazzo , descritto 71 sul modello del palazzo di Armida nel canto XVI della Liberata. Il palazzo è effigiato (ekphrasis) con storie esemplari di eroi ridotti a imbelli: Alcide, invece di avere le armi, sta tessendo; Ercole, immagine di una primitiva grandezza eroica, ora torce il fuso e Amore ride del suo trionfo; Marco Antonio, nella battaglia di Azio va contro i suoi stessi concittadini per amore di Cleopatra. Adone è opera allusiva molto significante rispetto alla cultura del primo Seicento ed è ancorato alla realtà (descrizione al IX della fontana di Pegàso) e non è opera di evasione! Canti V-IX: Adone viene iniziato ai cinque sensi, con riferimenti all’anatomia non solo descrittiva, costruita sulla tradizione aristotelica, ma funzionale, dove si comincia a ragionare sulle funzioni degli organi. Il linguaggio di Marino attinge all’anatomia funzionale. A partire da Tiepolo si cerca di replicare nella villa Valmarana questo palazzo, frutto di 71 arte maga e impossibile da rappresentare. 56 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Canto X: iniziazione alla conoscenza intellettiva, ora in gareggiamento con Dante (ascesa al Paradiso e discussione sul problema delle macchie lunari) e con Ariosto (viaggio sulla Luna di Astolfo). È il canto che tratta il problema cosmologico per cui 72 si discute su materia celeste e materia terrena, con le categorie di un aristotelismo che apre in direzione di un materialismo, naturalismo (considerato) “libertino”: non c’è differenza tra materia celeste e terrena. Il riferimento è al De admirandis di Vanini . 73 Canti XIII-XVII: avventure di Adone prigioniero di Falsirena. Canti XVIII-XIX: Adone torna dalla prigionia e muore. Processo al cinghiale, parodia del combattimento di Tancredi e Clorinda. Anche il Murtola viene definito un “bel cinghialone”: il cinghiale stesso si autopunisce togliendosi le zanne. Nel tribunale degli animali, in area francese di Controriforma, c’era regolare discussione di processi agli animali in quanto considerati posseduti dal diavolo. L’ultimo canto, con il torneo tra l’eroina francese e l’eroe spagnolo, termina con il matrimonio e il trionfo della pace: la guerra è rappresentata con le gare agonistiche che mettono in luce lo scontro tra le superpotenze dell’epoca. Marino, Adone (canto I, ottave 1-3) Ottava 1 Invocatio, prima parte del proemio, non è alla Musa cristiana (discussione ampia sul proemio della Liberata) né alla Musa epica o ad Apollo, ma a Venere, dunque la connotazione è di un poema d’amore. “Benigna e mansueta sfera”: sovrapposizione dei piani e sincretismo religioso, poiché benignità e mansuetudine (umiltà) definiscono i valori della Vergine nell’innografia cristiana, ma qui diventano attributi della Venus Genetrix sul modello lucreziano, principio generativo del mondo. “Madre d’Amor”: come la Madonna è madre di Caritas che intercede presso Cristo per l’umanità, sincretismo. “La stella”: la madonna è Stella Maris, che illumina e dà l’orientamento ai naviganti, all’uomo nel suo viaggio, come Venere prima stella del mattino. “Innamora il mondo”: descrizione dell’eros tramite gli attributi del sacro. Implicito il confronto con il Mondo Creato di Tasso, che tratta ampiamente il tema).72 Marino incontra Vanini a Lione, dove si rifugiano gli autori più “pericolosi” (Tassoni pensa 73 alla stampa di un’edizione della Secchia Rapita in cui vengono canzonati personaggi romani proprio a Lione) ed è probabilmente Marino a introdurre Vanini agli italianisants dove viene inizialmente protetto. Segue però una graduale affermazione del gruppo intellettuale del re, di maggior rigorismo religioso, che esce dal controllo della madre, e si afferma in una posizione di conflitto. Marino interviene celebrando il re nel IX canto di Adone ma tra le persone giustiziate c’è anche Vanini a cui viene tagliata la lingua, viene strozzato e poi messo sul rogo con accusa di ateismo per la concezione materialista del De admirandis. 57 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 migliorato, più precoce (ha quindici anni e arriva a diciotto prima dell’inizio della guerra). “Dolcemente feroce” richiama la dittologia problematica degli armi ed amori, eroe legato alla sensibilità erotica del dolce. Rinaldo ha un atteggiamento altezzoso, è l’eroe fatale, da cui dipende la presa di Gerusalemme ma Goffredo è il capitano ed è il personaggio principale: sorge il problema dei due personaggi, per cui Tasso, nella discussione con i revisori, deve metterne in chiaro i rapporti. Goffredo, il capo, è l’eroe maturo che deve riprendere gli eroi giovani, la mano, coloro che conquistano, dall’erranza. Viene ripreso Machiavelli: i due modelli di principe sono Numa Pompilio, principe legislatore, e Romolo, principe giovane, aggressivo. Tornando a Rinaldo, nella condizione guerresca è Marte, quando scopre il volto è Amore, è bello, armonioso. È figlio di Sofia la Bella, la bellezza, e di Bertoldo il Possente, la fortezza. Marino, Adone (canto I, ottave 41-44) Descrizione di Adone. Il lessico è peregrino, prezioso. Qui sta rimodulando, con un giro più ricercato di parole, quanto Tasso aveva detto di Rinaldo: per indicare la precocità di Rinaldo, ancora negli anni infantili, Tasso usa la metafora del fiore e del frutto. Il volto è come una “rosa”, secondo i connotati della bellezza femminile (Liberata, IV, Armida che si presenta in campo), non ha ancor pelo di barba, e se spunta, è talmente raro come un “fiore in un prato o una stella in cielo”: è il gioco della reversibilità degli elementi, uno degli strumenti metaforici prediletti nel Seicento, si passa dal prato alla stella. La metafora della rosa continua, a caratterizzare un Adone-femminella. Gioca con i minerali per indicare i colori (“minio”), il “foco ardente” è quello giovanile che fa arrossire le guance, il “vivo latte e vive brine” sono un altro riferimento al candore che caratterizza la bellezza femminile. Le “stelle” sono gli occhi, le “labbra” porporine, tutto sembra uno scrigno che contiene gli attributi della bellezza femminile della tradizione petrarchistica. Ma non è tutto dolcemente, come per Rinaldo è presente infatti anche l’altra dimensione: ha l’arco, è “leggiadro e fiero” (poliptoto con fiere) opera in una dimensione aggressiva venatoria, è “in atto dolce cacciator guerriero”, ossimorico come Rinaldo, e “saettando la morte incurva l’arco”, riferimento esplicito al fato del cacciatore. “Il velo e il volo” indicano i due attributi del Cupido velato, che non ha. Marino, La Tragedia (Adone canto V) Esce l’Occhiale di Stigliani che sul V canto ha parole accese e non comprende il perché del gioco di una rappresentazione tragica all’interno di un poema narrativo. A questo livello il genere della tragedia è molto dibattuto nella sua contaminazione con il comico: la tragicommedia viene inaugurata da Guarini i cui avversari avevano definito come un ibrido, un mostro, uno sproporzionato componimento questo nuovo genere. Guarini aveva dato vito alla poetica contaminatoria alla base della sperimentazione seicentesca, con la presenza della musica si sviluppa anche il 60 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 nascente melodramma. Stigliani dice che già questo (tragicommedia e melodramma) aveva dato adito a grandi discussioni inoltre con l’Adone Marino inserisce una rappresentazione nella struttura di un poema narrativo giocata su una variatio del mito di Atteone messo in scena su una costruzione fortemente digressiva nel tentativo di spettacolarizzare e teatralizzare il linguaggio dell’epica. Adone è chiamato da Mercurio ad assistere alla rappresentazione di miti che devono servire ad Adone ad assumere l’adeguato comportamento rispetto all’amare un dio: questi esempi hanno tutti un esito tragico tranne uno (Narciso, Ciparisso, Attis, Ganimede, Atteone) e ciò che caratterizza i personaggi è il fatto che sono tutti cacciatori, quindi il tema è quello della contrapposizione caccia-amore. I primi 4 sono raccontati, l’ultimo rappresentato (senza però la morte di Atteone perché Adone prende sonno prima): l’esito tragico del mito non viene comunque recepito nella sua dimensione vera. Tutto ciò che accade ad Adone nell’arco del racconto del poema è legato a un’azione esterna: non c’è mai un’azione di Adone tranne quella di andare a caccia contro il taboo di Venere, che sa per profezia che alla caccia è legato il destino di Adone, è un infrazione alla legittimità di Venere. Tutte le azioni di Adone sono di rimando, sono mosse da altri agenti, esemplare è la vicenda di ciò che succede nei sotterranei di Cipro, dove si trova imprigionato da Falsirena, una anti-Venere , da 74 cui si libera non con un’azione guerriera ma perché la prigione viene aperta il 75 giorno in cui la maga è priva dei propri poteri. Nel III canto, in cui Venere vede Adone e se ne innamora, Adone è descritto come una rosa, topos per antonomasia della bellezza femminile: la ritrattistica lo vedrà come un personaggio bello, seduttivo, effemminato. Per alcuni, tornando al V canto, il fatto di togliere il finale della rappresentazione della vicenda di Atteone, parte effettivamente significativa al sottotitolo che Marino dà al canto (Tragedia, cambiato da fabula), sembrerebbe indicare che la tragedia non ha ancora lo stesso statuto aristotelico in quel momento, come vorrebbe Stigliani: quella di Marino sembrerebbe più un’opera in musica che una tragedia infatti l’elemento narrativo-eroico si rappresenta negli intermezzi e non nella storia di Atteone. Marino ha una grande ricettività rispetto all’attualità: nel X canto, in cui si tratta di conoscenza intellettuale e cosmologica, inserisce elementi allusivi al De admirandis di Giulio Cesare Vanini, che lo porta sul rogo, e al Sidereus Nuncius, che in quegli anni porterà Galilei all’abiura. Lo stesso fa qui, nel canto V, dove allude al nascente melodramma e al balletto di corte (piece che con temi mitologici celebra il re) della Modello di Rinaldo e Armida (Liberata, canto XVI). 74 Il comportamento di Adone non è eroico e autocosciente come quello di Rinaldo che si 75 reintegra dopo l’esperienza di Armida). 61 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 corte francese e l’idea di una costruzione spettacolare dove non c’è più la separazione tra palco e pubblico, con al centro della sala il re. Prospero Bonarelli, uno dei grandi scrittori di tragedia nel primo Seicento, all’insegna dell’introduzione delle novità musicali è attivo nell’area veneta, fratello di Guidobaldo Bonarelli (Filli di Sciro). L’opera sempre citata è il Solimano, rappresentato a Venezia, evento di cui si ha la descrizione: una delle scelte innovative è proprio l’impiego degli intermezzi musicali, non concepiti nella Poetica aristotelica, dal momento che una distinzione in atti e scene arriva con Seneca e una divisione è data solo dalle parti coreutiche prima. Gli intermezzi costituiscono uno spazio legato alla commedia o al tragicomico di una certa pastorale. Prospero è l’approdo della nuova tendenza e Marino registra il percorso in atto. Mercurio, polivalente, pedagogo, è colui che sposa Adone e Venere e messaggero ed espressione della sapienza ermetica di Ermete Trismegisto. Nel proemio si mette in evidenza la necessità che la parola sia rivelatrice e non adulatrice: qui Mercurio ha la funzione di pedagogo-retore e racconta 5 miti (forse trasmigrazione di materiale dal poema delle Metamorfosi che Marino aveva messo in cantiere) + quello di Atteone. Il primo esempio è Narciso, la cui interpretazione morale è quella dell’amore egoistico che va incontro alla morte; Eco viene definita figura dell’immortalità dei nomi, della poesia, pura voce che diventa immortale. Il secondo è Ganimede, unico esempio non tragico, che nell’interpretazione stoica delle costellazioni si collega alla costellazione dell’Aquario. Poi Ciparisso che rifiuta l’amore di Apollo per l’amore per il suo cigno: rifiuta l’amore celeste e, come in Cefalo e Procri, ucciderà accidentalmente il suo cigno. Seguono esempi di cacciatori: Ila, letteralmente “selva”, citato da Tasso con il senso proprio di “molteplicità di elementi”, compagno di Ercole, implica un modello venatorio: nella variazione di Marino, Ila viene trascinato dalle ninfe della fonte e tragicamente finisce per vivere con loro, lontano dall’oggetto del suo amore per l’unica colpa di essersi allontanato (nel mito originario si parla piuttosto di una condizione di beatitudo). Attis (o Attide) pecca di infedeltà verso Cibele. Atteone pecca di hybris. I modelli per le parti drammatiche del V canto di Adone sono quelli operativi alle feste di corte all'altezza di Marino: alcune invenzioni che riguardano lo spettacolo sono già filtrate a partire dal 1608, anno degli spettacoli messi in scena a Mantova nel contesto delle nozze tra Margherita di Savoia e il Duca di Mantova Francesco 62 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 raccontata è legata a temi erotici. Gli occhi di Mercurio sembrano consolare Adone, disorientato. Lo apostrofa “damigello” vezzeggiativo connesso all'ambigua caratterizzazione di Adone: Mercurio assume qui il ruolo di padre putativo che sprona il figlio. Il gioco tra fuoco e gelo, antitesi petrarchesca, serve a sottolineare la speranza che il ragazzo possa vivere una vita di piacere e felicità. Segue un riferimento a quando Adone diventerà re di Cipro nella gara di bellezza. Bisticcio di ossimori e di antitesi tipici della retorica barocca che ricordano i turbamenti d'animo espressi dalle antitesi petrarchistiche. Mercurio vuole assicurare i dubbi di Adone. Segue il racconto dei primi 5 miti di cacciatori e d'amore. Narciso ed Eco (17). Quello che Marino vuole mettere in luce sono le punizioni nei confronti di chi rifiuta l'eros che viene offerto dalla divinità. Il mito di Ila è più complesso, poiché il giovane sembra non avere colpe precise, il mito è narrato, oltre che nelle Metamorfosi, anche in un idillio di Teocrito. L'unica colpa sembrerebbe essere il fatto di essersi allontanato dall'amante e di essersi inoltrato nelle selve, luogo del pericolo e della caccia, di Diana, dea crudele. Ottave 99-105 Venere cerca di persuadere Adone a non andare a caccia in una sorta di monologo pieno di interrogative retoriche. La dimensione dell'armonia e dell'amore è contrapposta a quella aggressiva e venatoria. L'esortazione della dea è quella di esercitare l'aggressività nei turbamenti amorosi (ferendo il mio cuore). Ottave 106-108 Risposta di Adone. Adone sottolinea l'estrema fedeltà a Venere, ma per natura, istinto, è cacciatore: non è solo per indole naturale (come ripeterà più avanti), ma è anche un piacere, una "dilettosa usanza". Dice anche che è la dimensione dell'attesa che genera il piacere. Marino, Adone (canto V, ottave 112-149) Ottave 112-113 La sala è costruita come una rappresentazione cosmologica che riporta nelle pareti i 4 elementi (terra, fuoco, aria, acqua): topos della tradizione esameronica, il gioco rimanda al Mondo Creato tassiano, topos della descriptio dell’universo, che segue l’inno rivolto al creatore, a partire dai quattro elementi considera la creazione una lotta tra gli elementi e dalla loro ricomposizione; nei poemi secenteschi si parte dai quattro elementi con una loro genealogia, collegandoli a certi tipi di animali e di piante, e ovviamente collegando il tutto al mondo cristiano. Qui Marino gioca su questi temi: Venere è genetrix, dunque, il suo palazzo non può che essere imago mundi. 65 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Ottave 114-119 C’è una rappresentazione che sembra vera. Dalla tradizione medievale ci sono i lapidari: il fuoco richiama il vermiglio e il rubino, l’aria lo zaffiro, la terra lo smeraldo e l’acqua il diamante (ossimoro tra la mobilità dell’acqua e la durezza del diamante). Il salone, centro del palazzo venereo e theatrum mundi, ha per pavimento una rappresentazione dell’inferno e per soffitto quella del cielo . Le figlie di Flegetonte 81 sono le Furie. Il tetto è un planetario: un’opera più sublime non la fecero neanche i Ciclopi, che costruirono le mura delle città. Secondo la tradizione le gemme preziose vengono dall’Etiopia o dell’India. La descrizione astrologica, con l’uso delle costellazioni, rimanda al Dante della Commedia. Viene rappresentata la divisione della terra. La “via reale” è la Via lattea. Troviamo poi la sfera armillare con l’aggiunta di un Atlante che sostiene la terra. Ottava 120 Gusto del combattimento tra la notte e il giorno è parte di una rappresentazione mitologica con una straordinaria fortuna raffigurativa : battaglia delle Ore del 82 Giorno e della Notte. Ottava 121 I due amanti (Adone e Venere) entrano a braccio. Lo spazio ludico è notturno, ma c’è una tale quantità di luci (una scena dorata), di candele, che la stanza sembra illuminata a giorno. Lo spazio della scena del palco è composto da tanti elementi 83 che servono per dare vita alla rappresentazione della tragedia di Atteone. Ottave 122-125 Mercurio è ora capocomico: allestisce lo spettacolo, esercita e prova ogni istrione, ovvero chi indossa una maschera teatrale. La “turba vulgar di mercenaria gente” è stato letto come un rifiuto da parte di Marino dei comici dell’arte, una commedia dell’arte come un genere spettacolare “popolare”: il “mercenaria” implica che lo spettacolo di Mercurio non ha attori prezzolati, cioè gli stessi personaggi della corte nel balletto d’opera francese. La decorazione richiama la sensibilità delle architetture barocche: tra le ville oggetto di 81 ripresa nelle descrizione dell’Adone, la villa di Tivoli del cardinal Alessandro d’Este, la villa di Viterbo con la fontana del Pegaso, la villa Pratolino e la villa Caprarola dei Farnese. Palazzo del Tè a Mantova, Villa Valmarana a Vicenza con il ciclo epico antico e della 82 Liberata. Cortina reale, poi descritto come una macchina versatile, ovvero girevole: la costruzione 83 non è immaginaria, inverosimile, ma l’aspetto straordinariamente mimetico e ricettivo di Marino della realtà del suo tempo ricalca i balletti di corte a cui assiste in Francia, (L’abbandono di Armida da Liberata, canto XVI e Tentativo di disicantamento della foresta di Saron da parte di Tancredi da Liberata, canto XIII) con costruzioni coreografiche straordinarie. Tutti e due i balletti sono legati alla completa diffusione della Liberata in Francia e al suo sfruttamento propagandistico dei personaggi da parte di Maria e Luigi: ricordiamo che gli attori sono gli stessi re e regina e i personaggi della corte. 66 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 L’ottava 123 è discussa e censurata da Stigliani nell’Occhiale: Marino avrebbe inserito una tragedia in un poema epico (nodo problematico in una mentalità classicistica) definita con termini retorici non aristotelici: l’armonia (linguaggio della musica) e soprattutto la facezia (che appartiene alla commedia), l’arguzia (che compete alla lirica) e l’energia (energia classica, che dovrebbe funzionare per l’epica); poi si fa riferimento alla musica esplicitamente, quindi è una tragedia in melodramma. L’ambasciatore di Giove è sempre Mercurio, qui definito nel suo ruolo mitologico, per cui fa anche da persona protatica. Il prologo, legato alla funzione comica, è comunque in stil canoro, per cui Marino sottolinea ancora la valenza musicale del suo spettacolo. Il soggetto è Atteone. C’è un tableaux vivant come nel balletto francese. Subito viene sottolineato il ruolo di cacciatore di Atteone, con la celebrazione del valore della caccia. Tutti gli animali che sta cacciando vanno a finire in grembo a Venere ed Adone: non c’è distanza tra spettatori e attori. Alla fine di ogni tableaux vivant il palco gira: c’è una poetica degli automi, tipica del gusto secentesco, un’attenta descrizione della macchina. Ottava 130 Iniziano gli intermezzi: alle scene di aggressività venatoria seguono intermezzi di armonia e di pace, alle scene voyeuristiche di Atteone seguono i due intermezzi bellici e aggressivi della centauromachia e della naumachia. Il giardino del palazzo di Venere è il regno dei cinque sensi: viene descritto secondo una divisione in quattro spazi con al centro una torre circolare a rappresentare il tatto. La posizione centrale del tatto è uno spostamento significativo rispetto alla concezione cinquecentesca per cui organo centrale nel processo cognitivo era la vista: c'è uno spostamento in ottica sensistica. Questa divisione ricorda la vasca nel giardino di Villa Lante. Nella descrizione dei sensi troviamo riferimenti a musicisti (udito) o a pittori (vista) del tempo: ancora una volta questi elementi sottolineano l'estrema ricettività di Marino rispetto alla realtà del suo tempo e allo sviluppo delle arti. Il modo con cui Marino descrive il viaggio di Venere e Adone nel giardino affinché il ragazzo acquisisca la conoscenza sensitiva è costruito come una sorta di technopaegnion, per cui la parola si fa immagine suggerendo i movimenti dei personaggi all'interno del giardino, di cui Marino fa ampia fruizione già nella Sampogna: Guido Casoni, importante autore lirico legato agli ambienti dell'avanguardia come l'Accademia degli incogniti e sperimentatore delle odi, scrive odi sacre costruite come dei technopaegnion (i versi nelle odi della passione di Cristo si costruiscono come una croce, o come gli strumenti di tortura); si trovano 67 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 trasmigrazione dell'anima della metempsicosi, riflessione già presente nelle Metamorfosi ovidiane, dove non c'è mai la morte. Viene descritto l'abbandono dell'anima dal corpo, per cui le anime trasmigrate nei cigni vivranno in eterno. C'è un'ottica panteistica, un processo di spiritualizzazione della natura che elimina la trascendenza; anche la filosofia bruniana opera nella direzione di una coesione del mondo di questo tipo. Anche nel coro dell'Aminta si dice "cosa non si apprendere nella scuola d'amore!". Ottave 173-174 Comincia la galleria: la presenza dei nomina greci circola già da Dante, ma non è detto che siano letti: Marino, pur in traduzione, ne legge alcuni. Orfeo è da sempre parte del canone; Pindaro circola già nel cinquecento e verrà letto da Chiabrera; Museo, Teocrito e Mosco rientravano nelle opere di volgarizzamento degli Erotika che circolavano alla sua altezza. Anacreonte e Alceo circolano. Saffo è puro nomina. Ovidio è il poeta più frequentato da Marino, anche in relazione ai componimenti meno sfruttati in poesia. Tucca e Vario sono coloro che pubblicano l'Eneide di Virgilio. Ottave 175-176 Sebbene i veri maestri, i capostipiti della tradizione lirica amorosa, siano i greci e i romani, ora quelli che fanno coro intorno alla dea sono quelli italiani che scrivono in volgare (i toscani). C'è anche un'apostrofe ad Aristofane (tu), rappresentante di una commedia (“socco d'oro”) basata sul nominatim laedere: c’è un riferimento alla commedia degli Uccelli, in cui è messa in scena una comunità di volatili (popolo canoro); rimane poco chiara la funzione di questa citazione. Non è chiaro se Marino abbia effettivamente potuto leggerlo, un primo tentativo di traduzione di Aristofane si ha con Machiavelli e poi viene ripreso all’interno della tradizione comica del Cinquecento, ma sembra poco diffuso. Viene sottolineato l'elemento innovativo della commedia aristofanea (il novo inesplicabil canto). Il biondo dio è Apollo. Ottave 177-178 I cigni vengono rappresentati sugli alberi: Petrarca (lauro - l'aura, gioco sulla figura etimologica) è anticipato rispetto a Dante (“ali liggier”). Nel Canzoniere, i primi 4 sonetti hanno funzione proemiale: il primo (Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono) riporta il senso generale della raccolta (si parla del giovanile errore e del pentimento); il secondo e il terzo mostrano il momento dell'innamoramento, prima in una veste classica (Per fare una leggiadra sua vendetta) con Cupido che sorprende il poeta inerme, e poi nella veste cristiana (Era il giorno ch'al sol si scoloraro) in cui si sottolinea che il momento coincide con il periodo della passione di Cristo e che, dunque, quell'amore apre la via della perdizione; il quarto (Que ch'infinita providenza et arte) presenta l'oggetto dell'amore. La sottotraccia del secondo sonetto petrarchesco è il contrasto 70 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 mitologico tra Cupido ed Apollo sul problema dell'uso della freccia (simbolo eroico, di potere) in relazione alla vicenda di Pitone; tuttavia, Amor omnia vincit e fa innamorare anche gli dèi più forti: proprio l'Adone inizia con la punizione di Amore per le frecce che scaglia incontrollate e che per vendetta farà innamorare proprio Venere di Adone. In quest'ottava viene riaffermata la signoria di Amore (“dove Giove non pote, Amor saetta”). Viene ricordata la Commedia di Dante, ma soprattutto la Vita Nova, al cui centro è la donna amata, Beatrice, in un'interpretazione amorosa della poesia dantesca. Poi c'è il riferimento a Boccaccio, che scrive un trattatello sulla vita di Dante: è proprio attraverso lui che si costruisce la fama del poeta nel Cinque-Seicento. Ottava 179 Con l'indicazione di Adria si rifà a Bembo, cardinale, dunque vestito di porpora; lo stile candido allude al processo di purificazione della lingua italiana. “L'augel d'Etruria” è Della Casa, vescovo, dunque associato al verde, a cui viene negato il cardinalato per aver scritto dei carmi priapei in età giovanile (che si inserivano in un filone già frequentato in quegli anni già da Annibal Caro, ma sfruttati dal papa salito al soglio in quel periodo, ostile ai Toscani); le immagini che seguono sono un riferimento al suo stile metaforico. Ottava 180 “Il sonator della sincera (Sincero è il protagonista dell'Arcadia) avena” (strumento pastorale a fiato) è Sannazaro, riconosciuto sia nella sua funzione di iniziatore della tradizione bucolica-silvestre che della tradizione bucolica- piscatoria. Ottava 181-182 C'è un caso di riscrittura citatoria del primo verso del Furioso di Ariosto; anche qui il poema è visto da una prospettiva erotica: Ruggiero viene celebrato nella trama del suo amore per Bradamante e di un patetico che intenerisce la natura; la compartecipazione animistica della natura è tipica della tradizione idillico-amorosa. C'è poi anche il riferimento all'incipit della Liberata: le “armi pietose” (termine con cui Tasso cristianizza il concetto di pietas e prende le distanze da una celebrazione del modello di guerra aggressiva dei poemi epici antichi) liberano le mura oppresse dagli infedeli; il “vivamente” indica la varietas di Tasso e il “nobilmente” la gravitas. Ottava 183 Non si è ancora data la palma al poeta superiore. Viene ricordato il Pastor fido di Guarini; il termine “favoleggiare” è un riferimento al termine aristotelico fabula in riferimento allo spettacolo teatrale o al fatto che il materiale trattato nella sua opera sia frutto d'invenzione. Sbuca un "difforme", mostruoso, e "rabbuffato", arrabbiato, gufo. 71 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023 Ottave 184-185 Il mostruoso gufo è una risposta al pesciuom nell'opera di Stigliani. L'invitto duca è Cristoforo Colombo. Pipistrel fa riferimento al fatto che Stigliani è una creatura della notte. Ottave 186-187 La tessera “stil roco” è abbastanza in uso nella tradizione petrarchistica del Cinquecento, in riferimento all'io lirico (io sono un roco augello) nel topos modestiae, spesso usato dalle poetesse donne. Colombo ha saputo domare il mare, luogo dove Venere ha preso i natali (l'evento viene narrato anche in alcune stanze di Poliziano); il folle ardire è una tessera epica: Stigliani osa paragonarsi ai poeti nobili di Venere; il colombo è anche uno degli uccelli sacri a Venere. Arriva la loquacissima pica, Margerita Sarrocchi; l'aggettivo allude alle dimensioni del poema e al fatto che le tante parole che la poetessa usa non dicono niente (lettura antifrastica). Mentre i cigni gareggiano, anche i due uccellacci, il gufo e la pica, decidono di sfidarsi: il linguaggio potrebbe essere stato ricavato da Aristofane. La scena sembra trasformarsi in uno spettacolo carnevalesco. Nell'uscita dal giardino dei sensi viene descritto il carro su cui Venere e Adone si muovono; è un carro metamorfico che viene descritto secondo il gusto per le macchine mariniano. I due incontrano Fileno che intona un canto sull'anguilla per l'amata; il modello è quello della Vendemmia di Tansillo. Viene inserito a ekphrasis anche il mito eziologico della perla, allusione esplicita al testo teatrale La creazione della perla di Murtola (1608) per gli imenei torinesi. A questo punto Fileno costruisce la sua autobiografia, sul modello dei Tristia di Ovidio: viene narrato anche poi il duello con il Murtola, dando la colpa implicita a lui. Poi arrivano alla fontana di Apollo, istoriata con le insegne delle case principesche e discute sul rapporto tra il letterato e il mecenate, celebrando la casa francese. La fontana richiama il mito di Pegaso e l’Ippocrene. 72 Chinchio Lisa, Unipd AA 2022-2023