Scarica appunti di biologia animale e vegetale e più Dispense in PDF di Biologia solo su Docsity! BIOLOGIA = vita+legge: cosa e come sono gli esseri viventi -> scienza che studia il mondo che ci circonda attraverso il procedimento scientifico (investigativo, dinamico e spesso controverso). -VITA: insieme delle caratteristiche degli esseri viventi che manifestano processi biologici come l’omeostasi, il metabolismo, la riproduzione e l’evoluzione. Ogni essere vivente ha un ciclo vitale durante cui si riproduce e si adatta all’ambiente attraverso un processo di evoluzione. -EVOLUZIONE: le popolazioni di organismi sono tra loro correlate e si sono evolute nel tempo a partire da forme di vita primordiali. Il processo evolutivo è la struttura portante della biologia, possibile mediante la trasmissione delle informazioni. -TRASMISSIONE DELL’INFORMAZIONE: all’interno degli organismi e al loro esterno, per garantire la sopravvivenza e l’evoluzione. -TRASFERIMENTO DELL’ENERGIA: tutti i processi vitali necessitano di un continuo ingresso di energia, la maggior parte della quale deriva dalla luce solare, trasferita poi agli organismi. =>il tutto si basa sulle IPOTESI, affermazioni verificabili, raccolta di dati che si possono analizzare, sulla base delle quali si fanno delle predizioni verificate attraverso esperimenti. Esse devono essere: • Coerenti con fatti definiti • Analizzabili, generando conclusioni definitive sia con risultati positivi che negativi • Confutabili, è possibile dimostrare la non veridicità. La verifica delle ipotesi è fondamentale per la formulazione di una seguente legge. Se non si trovano prove a sostegno la legge e l’ipotesi vengono rifiutate. -ESPERIMENTO CONTROLLATO: utilizza il metodo di confronto per la valutazione di un determinato trattamento, confrontando soggetti trattati con altri non trattati. Un esempio è l’effetto placebo, attraverso cui si prevengono i preconcetti di un esperimento. È anche detto metodo del doppio cieco e consiste nella somministrazione di un determinato medicinale ad un gruppo di pazienti, mentre ad un altro gruppo (di controllo), viene data un medicinale innocuo, simile al reale per dimensioni, gusto, colore e forma. Né il medico né il paziente conoscono a chi viene dato il placebo e a chi il farmaco, per evitare falsamenti. -ERRORI DI CAMPIONAMENTO: per evitare errori negli esperimenti, essi devono essere ripetuti per ridurre al minimo le incertezze e rafforzare le ipotesi. Quando non è possibile verificare tutti i casi possibili, si prende in considerazione un campione rappresentativo. Se fosse troppo piccolo, potrebbe non mostrare i fattori casuali, mentre se si prende un campione più grande le conclusioni potrebbero essere più accurate. Con la riproduzione degli esperimenti, le conclusioni verranno rafforzate. -TEORIA SCIENTIFICA: da tutte le ipotesi verificate da esperimenti si arriva alla formulazione di una teoria, mostrando la relazione tra vari fatti, semplificando e chiarificando i fenomeni naturali. => ma alcune teorie non possono essere verificate attraverso esperimenti, eppure vengono lo stesso accettate, ad esempio quelle che riguardano un passato remoto. CARATTERISTICHE DELLA VITA Gli esseri viventi hanno caratteristiche comuni: • Tutti sono costituiti da una o più CELLULE, le unità più piccole alla base della vita, mono o pluricellulari; • Si RIPRODUCONO: ogni essere deriva da un altro, attraverso riproduzione sessuata o asessuata; • TRASMETTONO INFORMAZIONI, necessarie per la costruzione e il funzionamento di un organismo, scritte sotto forma di DNA NUCLEOTIDI->CODONI-> GENI-> GENOMA • NECESSITANO DI ENERGIA PER SOPRAVVIVERE, trasformando quella acquisita da un sistema in altre forme: FOTO AUTOTROFI (luce e sost. inorganiche)->CHEMIO-AUTOTROFI (sost. inorganiche e sost. organiche)-> FOTO-ETEROTROFI (luce e sost. organiche)-> CHEMIO-ETEROTROFI (sost. organiche) • INTERAZIONE ATTIVA CON L’AMBIENTE, ad esempio spostandosi da una parte all’altra, o modificandolo. I macrofagi si muovono seguendo sostanze chimiche (CHEMIOTASSI= sistemi sensoriali semplici), mentre altri organismi utilizzano sistemi sensoriali complessi (=ORGANI DI SENSO); CLASSIFICAZIONE DEGLI ESSERI VIVENTI Avviene attraverso la TASSONOMIA, un sistema di classificazione in categorie o taxon, basandosi sull'osservazione di somiglianze/differenze tra viventi (morfologia, embriologia, DNA) organizzandoli in maniera gerarchica. ->SPECIE: nomenclatura binomiale che indica specie e genere (homo=genere, sapiens=specie) ->più specie hanno lo stesso genere. Esistono diverse specie: • Topologica: gruppo di organismi con caratteristiche morfologiche appartenenti a determinati standard; • Biologica: gruppo di organismi in grado di generare progenie fertile; • Genetica: gruppo di organismi con lo stesso DNA ->REGNI: si dividono in: • Animali • Vegetali • Funghi • Protisti • Archea • Batteri ->DOMINIO: eucarioti->procarioti->batteri LA CELLULA-> unità più piccola alla base della vita -TEORIA CELLULARE: omnis cellula e cellula= ogni cellula deriva da un’altra cellula già esistente: • Le cellule sono le unità fondamentali della vita • Tutti gli organismi sono costituiti da cellule • Tutte le cellule derivano da altre, con continuità ed evoluzione. Le sue dimensioni vanno da 1 a 100 micrometri, non di meno perché costituite da molecole di determinata grandezza, non di più poiché la velocità metabolica verrebbe limitata da quella di diffusione delle molecole nutrienti o metaboliche. -Gli organismi pluricellulari contengono diversi tipi di cellule specializzate, derivanti da cellule staminali, totipotenti, che presentano caratteristiche comuni sia in quelle animali che vegetali, situate in microambienti detti nicchie staminali. Il differenziamento consiste nell’acquisizione di peculiarità morfologiche, strutturali e funzionali differenti. A livello biochimico, il differenziamento deriva dall’attivazione genica differenziale, regolato dalla trascrizione di geni codificanti fattori di trascrizione. Nel corpo umano esistono più di 200 ->DISACCARIDI: sono costituiti da 2 monosaccaridi uniti da un legame glicosidico, che si forma quando un gruppo -OH di uno zucchero reagisce con un altro zucchero per condensazione, rilasciando una molecola di H2O. A seconda dei monomeri che si legano avremo diversi tipi di disaccaridi: • saccarosio= glucosio+ fruttosio attraverso il legame alpha 1-2 glicosidico • lattosio= glucosio+ galattosio attraverso il legame beta 1-4 glicosidico • maltosio= glucosio+ glucosio attraverso il legame alpha 1-4 glicosidico • cellobiosio I numeri del legame indicano i C implicati (C-1 del glucosio e C-2 del fruttosio). ->OLIGOSACCARIDI: catene che contengono fino a 10 monosaccaridi. Si originano o dalla scissione dei polisaccaridi, che si legano poi a proteine e lipidi, formando glicoproteine e glicolipidi, o dalla condensazione di disaccaridi. ->POLISACCARIDI: lunghe catene dalle 10 unità monomeriche in su, anche chiamati glicani. - Gli omopolisaccaridi contengono un solo tipo di monosaccaridi (amido, glicogeno, cellulosa e chitina); - Gli eteropolisaccaridi, possiedono da due a più tipi di unità monomeriche (peptidoglicano). • AMIDO: è un omopolisaccaride di riserva, di origine vegetale. Contiene due polimeri del glucosio, ovvero l’amilosio e l’amilopectina. L’amilosio è una catena lineare senza ramificazioni di D-glucosio e costituisce il 20% dell’amido. L’amilopectina costituisce l’80% dell’amido ed è caratterizzata da catene ramificate. • GLICOGENO: è il polisaccaride di riserva più importante negli animali, si forma da residui di glucosio, legati da legami glicosidici 1-4, 1-6, da cui si originano le ramificazioni. • CELLULOSA: è un omopolisaccaride di struttura nelle cellule vegetali, non ramificato, contenente D-glucosio con legami beta 1-4 glicosidici. • CHITINA: omopolisaccaride di struttura di origine animale, formato dalla successione di residui di N-acetilglucosammina, uniti da legami beta 1-4. LIPIDI: composti insolubili in H2O. Svolgono diverse funzioni: • Riserva di energia negli organismi • Strutturale • Isolante termico negli animali • Trasmissione di segnali ->ACIDI GRASSI: i grassi e gli oli, riserva di energia, sono composti derivanti dagli acidi grassi. Sono acidi carbossilici con una catena idrocarburica contenente da 4 a 36 atomi di carbonio, alcune senza doppi legami (saturi) e non ramificate. Gli acidi più comuni sono quelli privi di ramificazioni e con numero di C da 12 a 24. Le catene idrocarburiche non polari sono responsabili della scarsa solubilità degli acidi grassi in acqua e quanto più è lunga la catena e quanto più è limitato il numero di doppi legami, tanto più bassa è la sua solubilità in acqua. La presenza/assenza, dunque, di doppi legami definisce acidi grassi insaturi/saturi. A causa dei doppi legami gli acidi grassi insaturi non riescono ad assumere un impacchettamento ordinato e di conseguenza sono sostanze liquide, a differenza degli acidi grassi saturi, che riescono a impacchettarsi in modo ordinato e sono quindi solidi. Gli acidi grassi insaturi, per ogni doppio legame, presentano la struttura cis, con gli H dallo stesso lato della molecola. Abbiamo un’isomeria trans quando gli H si trovano ai lati opposti rispetto alla molecola. Gli acidi grassi polinsaturi sono fondamentali per l’organismo. Il loro ruolo è collegato alla posizione del doppio legame, più vicino alla terminazione metilica che a quella carbossilica. Il carbonio legato al gruppo metilico è detto omega : il doppio legame tra il C-3 e C-4 riguarda gli acidi grassi omega 3, il doppio legame tra C-6 e C-7 riguarda gli acidi grassi omega 6. Questi due tipi di acidi grassi sono essenziali nell’organismo. ->TRIGLICERIDI: sono i lipidi più semplici, di deposito, con funzione di riserva energetica e isolamento termico. Derivano dall’esterificazione del glicerolo (3 atomi di carbonio con 3 gruppi OH) con tre acidi grassi. I trigliceridi con lo stesso tipo di acido grasso nelle tre posizioni sono detti semplici e prendono il nome dall’acido che contengono, mentre quelli con diversi acidi grassi sono detti misti. Essi sono apolari, insolubili in H2O. -FOSFOLIPIDI: sono lipidi complessi, costituiti da C, H, O, P, N. Si suddividono in: • Glicerofosfolipidi o fosfogliceridi: sono i lipidi di membrana in cui 2 acidi grassi sono legati ad una testa di glicerolo, con legame estere, e un gruppo fosfato è legato con legame fosfodiestere al terzo atomo di carbonio. • Sfingolipidi o sfingofosfolipidi: il glicerolo è sostituito da sfingosina, o da suoi derivati. Ad esso si lega un acido grasso a formare il ceramide da cui derivano tutti gli sfingolipidi, tra cui le sfingomieline, presenti nelle membrane plasmatiche. I fosfolipidi sono caratterizzati quindi, da una testa idrofila e da code idrofobe. In soluzioni acquose formano spontaneamente un doppio strato, con le teste idrofile rivolte verso l’esterno e le code idrofobe a contatto tra loro, verso l’interno. È ciò che avviene nelle membrane cellulari, conferendo ad esse la caratteristica impermeabilità nei confronti di importanti composti biologici e resistenza, per evitare rotture in seguito a bruschi movimenti. -STEROIDI: sono costituiti da un nucleo fondamentale detto sterano, al quale si uniscono catene laterali. L’anello dello sterano è formato da 4 anelli condensati di atomi di carbonio, di cui 3 sono a 6 atomi e uno a 5. I composti steroidali presentano numerose isomerie. Sono vastamente distribuiti in natura, ampiamente utilizzati in ambito farmacologico e terapeutico. Tra le principali classi di steroidi troviamo: • Gli steroli: si trovano sia liberi sia esterificati con acidi grassi. Lo sterolo principale è il colesterolo, con funzione strutturale nelle membrane cellulari, conferendo loro maggiore resistenza ma allo stesso tempo riducendone l’elasticità. • Ormoni corticosurrenali: aldosterone, cortisone, cortisolo. ->TERPENI: sono polimeri dell’isoprene (2-metil-1,3-butadiene), le cui molecole sono unite tra loro secondo la sequenza “testa-coda” o “coda-coda”. Possono essere lineari, ciclici e contenere doppi legami, gruppi alcolici, carbonilici o altri gruppi funzionali. A seconda del numero di unità isopreniche, contenute nella loro molecola, i terpeni si classificano in: • monoterpeni, con 10 atomi di carbonio, responsabili del profumo di numerose piante. Alcuni svolgono un ruolo di difesa, agendo come deterrenti per gli insetti. Hanno basso peso molecolare e quindi sono composti volatili; • sesquiterpeni, con 15 carboni, che conferisce alla camomilla il suo caratteristico odore; ACIDI NUCLEICI: sono polimeri di nucleotidi, i depositari dell’informazione genetica e svolgono un ruolo fondamentale nella sintesi di tutte le proteine. Abbiamo due tipologie di acidi nucleici: • Acidi ribonucleici RNA, se lo zucchero è il ribosio • Acidi desossiribonucleici DNA, se lo zucchero è il desossiribosio Essi si formano a partire dalla condensazione dei nucleotidi. Molto importante è l’orientamento dei legami fosfodiestere del DNA e RNA, uguale in entrambe, conferendo a ciascun filamento una specifica polarità. Le posizioni prese in considerazione sono l’estremità 5’ priva del nucleotide nella posizione 5’, e l’estremità 3’ priva di nucleotide nella posizione 3’. L’orientamento da 5’ a 3’, in ogni situazione, del filamento dell’acido nucleico si riferisce alle sue estremità e non a quello dei singoli legami che uniscono i nucleotidi. La formazione del legame nucleotidico avviene SEMPRE per addizione del 5’ fosfato di un nucleotide sull’estremità 3’ con OH della catena nucleotidica esistente. -STRUTTURA: • DNA: è una catena polinucleotidica, che utilizza come basi azotate A-T-C-G. Esso è costituito da due lunghe catene di nucleotidi, avvolte a formare una doppia elica, unite tra loro attraverso le basi azotate, che si uniscono secondo il principio di complementarietà delle basi (A-T, G-C) e secondo la regola di Chargaff (A=T, C=G), con la formazione di tre legami idrogeno tra C e G, e due tra A e T. I due filamenti sono poi antiparalleli, scorrono cioè, in senso opposto, una va da 5’ a 3’ e l’altra da 3’ a 5’. Questa struttura, scoperta da Watson e Crick, è anche detta forma B del DNA ed è la più stabile. Esistono tuttavia, altre forme come la A e la Z. • RNA: i monomeri sono i ribonucleotidi e le basi azotate presenti sono A-G-C-U. Esso è costituito da un singolo filamento di ribonucleotidi, elicoidale, tenuti insieme da legami fosfoestere da cui pendono le varie basi azotate. Il filamento può essere lineare o ripiegarsi su sé stesso a formare legami H tra le basi che vedono A legata con U, e C con G, assumendo la struttura a forcina, regioni a doppia elica o anse complesse. Abbiamo diverse tipologie di RNA: - mRNA (RNA messaggero): ha la funzione di trasportare l’informazione genetica dal DNA al citoplasma per la sintesi delle proteine, attraverso il processo di trascrizione. - rRNA (RNA ribosomiale): è la tipologia più abbondante di RNA presente nella cellula ed è il principale costituente dei ribosomi, i macchinari per la sintesi proteica. - tRNA (RNA transfert): è il tramite per la traduzione del linguaggio genetico in amminoacidi, che coopera nella sintesi proteica con l’rRNA. Presenta una struttura a trifoglio, con un sito d’aggancio per l’amminoacido, formato dalla prima tripletta dell’estremità 3’, tre strutture ad ansa, di cui quella centrale contiene l’anticodone, ovvero l’elemento codificante che è in grado di riconoscere il codone sull’mRNA attraverso la complementarità delle basi. PROTEINE Mediano tutti i processi che avvengono nelle cellule e svolgono numerose funzioni, tra cui regolazione, strutturale, movimento, trasporto, elaborazione di segnali, catalisi. Sono polimeri di amminoacidi. ->AMMINOACIDI: sono 20 e tutti quelli che costituiscono le proteine sono -amminoacidi. Essi presentano un gruppo carbossilico e un gruppo amminico legati ad uno stesso C (centro chirale), e differiscono l’uno dall’altro per la presenza di una catena laterale o gruppo R, che caratterizza l’amminoacido, definendone anche la solubilità in H2O. Quelli che costituiscono le proteine sono tutti L-amminoacidi. In base alle catene laterali possiamo definire: • amminoacidi insolubili, ovvero quelli con il gruppo R alifatico non polare: Alanina, Valina, Leucina, Isoleucina, Metionina, Fenilalanina, Triptofano, Glicina, Prolina (gennarino insulta mario perché lo vuole frustare alla tibia) • amminoacidi solubili, ovvero quelli con il gruppo R polare, non carichi e che tendono a formare legami a H: Serina, Treonina, Tirosina Y, Asparagina N, Glutammina Q, Cisteina (quasimodo sta cantando YMCA terrificando nausica) Possiamo poi avere amminoacidi con gruppi R carichi: • positivamente +1 (basici): Lisina K, Arginina R, Istidina H (kevin ha ruttato) • negativamente -1 (acidi): Aspartato D, Glutammato E ->PEPTIDI: due amminoacidi possono unirsi covalentemente attraverso un legame amminico, detto peptidico, formando un dipeptide, legame formato attraverso la condensazione, con l’eliminazione di una molecola di H2O dal gruppo carbossilico di un amminoacido e dal gruppo amminico dell’altro. Tre amminoacidi legati con legami peptidici formano un tripeptide e così via. Quando il numero di amminoacidi è relativamente piccolo si forma un oligopeptide, se invece è alto abbiamo un polipeptide. I peptidi contengono un solo gruppo amminico e carbossilico libero, alle estremità della catena. Una o più catene polipeptidiche formano le proteine. Se le catene sono uguali sono dette protomeri e la proteina è detta oligomerica. Ritornando alle proteine, esse possono avere diverse strutture: -STRUTTURA PRIMARIA: tutti i legami covalenti, peptidici e disolfuro, che legano i vari amminoacidi costituiscono la struttura primaria. Essa è data dalla sequenza lineare degli amminoacidi che la compongono, con uno schema ripetitivo. È la struttura base delle proteine e ci dà informazioni sull’ossatura fondamentale della molecola proteica, ma non sulla struttura tridimensionale. -STRUTTURA SECONDARIA: la catena principale si ripiega progressivamente in modo da formare legami H tra il gruppo carbossilico e quello amminico, formando la struttura secondaria. Si hanno due tipi di questa conformazione: • -elica: ciascun gruppo amminico è legato con legami H al gruppo amminico del successivo, organizzandosi a formare un’elica che compie un giro completo ogni 3- 6 amminoacidi. I gruppi R degli amminoacidi sporgono verso l’esterno. È la struttura più stabile e delle proteine fibrose e globulari. • Foglietto : tratti diversi di una stessa catena, o di due diverse, si dispongono gli uni di fronte agli altri, in modo parallelo, creando legami H tra il gruppo amminico e carbossilico. Le catene laterali protendono verso l’esterno. È la struttura delle proteine globulari. -STRUTTURA TERZIARIA: è l'organizzazione tridimensionale che una proteina assume. Amminoacidi nella forma secondaria possono interagire tra loro, provocando un ripiegamento della proteina. Dipende dalle interazioni tra le varie porzioni delle proteine mediante le catene laterali degli amminoacidi, provocando quindi la torsione e facendo assumere alla proteina tale struttura. I responsabili di essa sono i ponti disolfuro, i legami ionici tra gruppi carichi, a H e le forze di legame idrofobiche. Si possono poi distinguere due classi: • Proteine fibrose: svolgono funzioni strutturali e di protezione e sono costituite da elementi ripetitivi di strutture secondarie; • Proteine globulari: contengono diversi tipi di struttura secondaria nella stessa catena polipeptidica e dirigono la maggior parte delle funzioni fisiologiche dell’organismo. -STRUTTURA QUATERNARIA: le proteine interagendo mediante legami chimici non covalenti, come i legami a H, ionici e le forze di Van der Waals, potenziano le loro funzionalità andando a costituire la struttura quaternaria. Le catene polipeptidiche che la costituiscono possono essere uguali o diverse e vengono chiamate subunità, le quali possono essere tra loro indipendenti o collaborare (emoglobina). ->DENATURAZIONE DELLE PROTEINE: distruzione della struttura tridimensionale della proteina e annullamento delle sue funzioni. Può avvenire a causa di alterazioni di pH, per effetto di radiazioni, per la variazione di temperatura o per l’azione di solventi organici. Consiste quindi nella modificazione della struttura senza andare ad intaccare la composizione e la sequenza di amminoacidi, senza rompere, cioè, i legami peptidici. Essa può essere permanente o reversibile, se è possibile o meno attuare il processo di rinaturazione, ovvero la ricomparsa di tutte le proprietà precedentemente perse. CELLULA VEGETALE Cellule appartenenti agli organismi in grado di sintetizzare molecole organiche a partire da inorganiche, attraverso il processo della fotosintesi. Può avere dimensioni maggiori della cellula animale e presenta organuli in più come plastidi (cloroplasti), il citoscheletro, i vacuoli e i plasmodesmi ma soprattutto la parete cellulare, costituita da cellulosa. Sono assenti nelle cellule vegetali, presenti invece in quelle animali: • Lisosomi • Centrioli • Filamenti intermedi • Ciglia e flagelli • Matrice extracellulare, formata da proteine e monosaccaridi ->PARETE CELLULARE: è un rivestimento continuo, determinante la grandezza di una cellula, il suo sostegno e la sua protezione da rotture negli ambienti ipotonici (= a concentrazione minore). È una barriera fisica per gli agenti patogeni, trasmettendo anche segnali se viene attaccata da essi. Determina l'architettura dei tessuti, la crescita della cellula e riduce la perdita di H2O. Essa si divide in vari strati: - la parete primaria, lo strato più esterno - la membrana plasmatica, lo strato più interno - la parete secondaria, tra le due precedenti La parete è costituita dal sistema fibrillare, formata da cellulosa, e dalla matrice, costituita da emicellulosa, pectine e altre proteine, presente in particolare in quella secondaria. Per la sintesi della parete cellulare sono necessari degli enzimi, che si trovano immersi tra il doppio strato fosfolipidico della membrana, al di sotto della quale sono presenti i microtubuli del citoscheletro che hanno funzione strutturale e come nutriente per gli enzimi. Dagli enzimi si forma il glucosio e, conseguentemente, la cellulosa secondo i processi di: - saccarosio sintasi-> che forma UDP (uridina difosfato): il glucosio si forma a partire dal saccarosio, che serve ad attivarlo per farlo legare ad un'altra molecola di glucosio - cellulosa sintasi -> sintetizza la cellulosa a partire dall'UDP precedentemente prodotto Pectine ed emicellulosa della matrice hanno la funzione di interagire con la parete ed essendo polari si uniscono agli ioni calcio. In particolare, le miofibrille di cellulosa, sono contornate da emicellulose, collegate a molecole di pectina, le quali circondano gli ioni Ca2+, il tutto tenuto insieme da espansine (=glicoproteine strutturali). - emicellulose: etero polisaccaridi formati da polimeri diversi, con funzione strutturale e di riserva - pectine: polisaccaridi acidi, costituiti da monosaccaridi differenti (acido galatturonico). Hanno una base di galattosio, legate con legami 1-4 glicosidici, e gruppi carbossilici talvolta esterificati. Sono fortemente idrofile, generando gel idratati, che danno plasticità e flessibilità alla cellula, e in presenza degli ioni calcio, formano la lamella mediana. Tra due cellule è presente una lamella mediana, in comune, quindi, tra cellule adiacenti. Nella parete cellulare sono presenti enzimi idrolitici, che permettono l'accrescimento della cellula, oltre che altre proteine come: • Lignina, polimero di natura fenolica che da impermeabilità e rigidità, che ritroviamo nel processo di lignificazione. • Cere, suberina, cutina: limitano le perdite di H2O. -MODIFICAZIONI → Lignificazione: consiste nell’incrostazione di lignina tra le fibrille della cellulosa. La lignina è un polimero di composti fenolici (benzene+ OH), che non occlude i plasmodesmi (comunicazioni tra cellule adiacenti) e che rinforza la parete cellulare. La sua sintesi elimina H2O e forma una trama idrofobica, prevenendo l'estensione cellulare. → Suberificazione: deposizione di suberina, polimero di acidi grassi idrolizzati, che forma lamelle che si dispongono attorno al legno, fornendo impermeabilità e occludendo i plasmodesmi, provocando la morte delle cellule. → Cutinizzazione: deposizione della cutina, che aumenta la resistenza e la traspirazione, mentre le cere si depositano sulle cutine impermeabilizzando. -BIOGENESI DELLA PARETE CELLULARE Nelle cellule vegetali non è presente l'anello contrattile, che regola la divisione cellulare nelle cellule animali, perché troviamo la parete cellulare. Per costituire la lamella mediana nella divisione cellulare della vegetale, si parte dalla sintesi di pectina ed emicellulosa nel reticolo endoplasmatico liscio e dall’apparato di Golgi, secrete attraverso l’esocitosi. Si creano quindi vescicole contenenti pectina ed emicellulosa, trasportate da dei microtubuli. Il complesso microtubuli- vescicole si chiama fragmoplasto, e si fonde formando la nuova parete cellulare. Una volta costruito lo scheletro esterno (la lamella mediana), si passa agli strati interni. La parete primaria è sottile e, questo spessore non viene modificato durante l'estensione. Si trova prima della secondaria perché a partire dalla membrana plasmatica vengono sinterizzati prima degli enzimi che formano il primo strato. Terminato questo verranno sinterizzati altri enzimi per il secondo. La parete secondaria si forma quando la cellula ha cessato la crescita e si depone tra parete primaria e membrana cellulare, più spessa e rigida della primaria. La parete cellulare non è completamente chiusa, ma presenta delle aperture che connettono una cellula all’altra, permettendo gli scambi. Queste giunzioni cellulari sono i plasmodesmi, attraversati da tubuli, i desmotubuli, provenienti dal reticolo endoplasmatico. ->CITOSCHELETRO: è l’impalcatura della cellula, costituita da una rete di fibre. Contribuisce alla crescita e al mantenimento della forma cellulare, fa mantenere la posizione agli organelli e sostiene il citoplasma. Si tratta di un complesso di filamenti proteici, che si differenziano in: • Microfilamenti di actina: importanti negli spostamenti degli organuli, processo detto ciclosi (spostamento dei cloroplasti verso la luce), e nella crescita delle estroflessioni (tubo pollinico). A partire da una vescicola con pectine, queste vengono trasportate e direzionate dai microfilamenti attraverso particolari proteine come la miosina 1. Le interazioni tra actina e miosina sono ATP dipendenti e sono i responsabili del trasporto di vescicole e organelli, ovvero il loro trasporto è regolato dal consumo di energia. • Microtubuli: hanno organizzazione diversa rispetto alla cellula animale, infatti sono sparsi vicino a delle strutture, come nella membrana plasmatica, dove sono distribuiti in modo più compatto. Hanno un ruolo nella divisione cellulare. Non possiedono un centro organizzatore come nelle animali. ->VACUOLI: vescicole grandi, veri e propri organuli, derivanti dal reticolo endoplasmatico e dall’apparato di Golgi. A partire dal RER, le proteine destinate al vacuolo vengono sintetizzate per poi passare nel Golgi, dove vengono sottoposte a modifiche e processi di codifica. Si creano quindi vescicole che fuse danno origine ai vacuoli. Essi hanno funzione di accrescimento cellulare, grazie all'accumulo di H2O= accumulare acqua fa risparmiare energia alla pianta, perché compiere diverse meiosi e mitosi implicherebbe un ampio uso energetico per via della presenza della parete cellulare. Durante l’accrescimento del vegetale, il vacuolo contiene un’elevata concentrazione di soluti disciolti e tende ad accumulare acqua per osmosi (da min a max) e premere contro la parete cellulare. Si parla, dunque, di pressione di turgore riferendosi alla pressione esercitata dal liquido contenuto in una cellula vegetale sulla parete cellulare. Se ci troviamo in ambiente ipertonico (est>int) si verifica il fenomeno della plasmolisi, ovvero l’osmosi che produce la riduzione di volume del vacuolo, e il conseguente distacco della membrana plasmatica dalla parete. La membrana del vacuolo, il tonoplasto, contiene numerose proteine, tra cui le pompe protoniche, che spingono i protoni al loro interno con un trasporto contro gradiente di concentrazione. Per far passare protoni da un ambiente meno concentrato a più concentrato, si ha un trasporto contro gradiente, che necessita di energia per avvenire. Le • Proteine integrali/transmembrana, interagiscono direttamente con la membrana, inserendosi in mezzo al doppio strato o associandosi alla membrana (solo una porzione interagisce con lo strato) • Proteine periferiche che non interagisco direttamente con la membrana ma si ancorano saldamente a lipidi e altre proteine di membrana. Le proteine possono avere la funzione di: ancoraggio: ancorano la cellula alla matrice extracellulare e si connettono a microfilamenti intracellulari (integrine, miosina 1) giunzione intercellulare: proteine di adesione legano le membrane adiacenti (caderine, occludine) riconoscimento: proteine che sono marcatori di identificazione di elementi riconosciuti estranei (antigeni) trasduzione del segnale: trasmettono l'informazione al nucleo (acetilcolina) catalisi di una reazione chimica: molti enzimi catalizzano reazioni all’interno o sulla membrana (ATP sintasi) trasporto il trasporto è essenziale per acquisire nutrienti, eliminare scarti e regolare le concentrazioni ioniche. La membrana è impermeabile ai soluti, amminoacidi, lipidi e zuccheri, per la presenza delle code apolari, e le molecole riescono a passare grazie a proteine attraverso un trasporto. TRASPORTI La permeabilità selettiva della membrana è influenzata da: • Proteine di trasporto • Struttura della membrana plasmatica, in base ai fosfolipidi che la costituiscono • Gradiente di concentrazione, i materiali, infatti, tendono a spostarsi più rapidamente quanto più la loro concentrazione differisce tra due compartimenti • Carica ionica, uno ione può essere attratto o respinto dalla membrana, influenzando il movimento molecolare attraverso di essa • Solubilità dei lipidi, i materiali liposolubili attraversano e si dissolvono più facilmente all’interno del doppio strato • Dimensione delle molecole, quelle più piccole sono favorite rispetto alle più grandi -DIFFUSIONE SEMPLICE: è la tendenza di molecole piccole e idrofobiche ad attraversare la membrana secondo gradiente di concentrazione. È un trasporto favorito termodinamicamente in quanto ∆G<0. Il movimento di sostanze continua fino al raggiungimento di un equilibrio, in cui la concentrazione è uguale in tutte e due le parti della membrana. Lo scambio, però, continua perché per ogni molecola che esce, ne entra un’altra. Essa può essere: Facilitata, quando è necessaria la presenza di proteine per il trasporto di molecole più grandi o per sostanze insolubili nei lipidi. Osmosi, nel caso del trasporto, da una parte all’altra della membrana, di molecole d’acqua -TRASPORTO PASSIVO: dipende da proteine e avviene seguendo il gradiente di concentrazione, per questo non richiede energia e ∆G<0, attraverso canali ionici, cioè proteine transmembrana che hanno un poro acquoso, dove la molecola può attraversare la membrana. I canali sono altamente specifici, ad esempio canali calcio o potassio, riconosciuti attraverso gli amminoacidi delle proteine, che possono essere carichi positivamente o negativamente. ->Le proteine carrier trasportano lo ione, secondo gradiente, subendo delle trasformazioni morfologiche al fine di portare dall'altro lato le molecole polari. L'energia per cambiare conformazione è energia potenziale, trasformabile in lavoro, ricavata dal gradiente di concentrazione. L'apertura di tali canali può essere controllata da un ligando, una proteina, o dal voltaggio. I carriers hanno una cinetica di saturazione, quando tutti i carrier sono impegnati abbiamo la massima velocità possibile. Essi possono essere inibiti. ->La concentrazione interna di glucosio, nella cellula, è minore rispetto all'esterno, perché avendo funzione energetica viene immediatamente utilizzato per lo svolgimento delle varie funzioni. I trasportatori di glucosio sono di vari tipi con 5 particolari isoforme, cioè ci sono 5 proteine di forme diverse ma con la stessa funzione, con affinità per un determinato substrato. ->Le acquaporine trasportano passivamente acqua, che ha difficoltà ad oltrepassare lo strato lipidico. Esse prendono delle cellule e introducono l'mRNA, che è stato tradotto nella proteina, la quale permette il passaggio dell'acqua, facendo rigonfiare la cellula. -TRASPORTO ATTIVO: trasporto con consumo di energia in quanto è contro gradiente di concentrazione (da un’area meno concentrata a una più), quindi ∆G>0. Serve per l'assorbimento di nutrienti, rilascio di sostanze tossiche e il mantenimento di concentrazioni ioniche. trasporto attivo primario: quando la proteina stessa idrolizza l'ATP. Un esempio sono le pompe ioniche, in particolare la sodio-potassio. Si tratta di una proteina lega ATP e tre ioni Na+ ai suoi siti sul lato citoplasmatico. L’ATP viene poi idrolizzata in ADP e Pi, rilasciando energia che provoca una variazione della pompa e spinge, nel lato extracellulare, il sodio. Per ogni 3 ioni di Na+ che escono, 2 ioni K+ entrano, legandosi ai siti della pompa sul lato extracellulare. La proteina di trasporto torna alla sua forma originaria e il processo può ricominciare. Sulla superficie cellulare si crea uno squilibrio di molecole, cioè di cariche, creando il potenziale di membrana. trasporto attivo secondario: avviene attraverso energia fornita da un'altra proteina che idrolizza l'ATP e le specie trasportate sono due. Infatti, sfrutta il trasportatore attivo primario, il quale, grazie al potenziale di membrana da esso stesso creato, ricava energia, utilizzata in un altro trasporto contro gradiente. Si consuma una sola molecola di ATP per far avvenire due trasporti. Può essere simporto, quando le due molecole vengono trasportate contemporaneamente nella stessa direzione, o antiporto, quando vengono trasportate sempre contemporaneamente ma in direzioni opposte. -TRASPORTO VESCICOLARE: le macromolecole non possono attraversare la membrana plasmatica né con le pompe ioniche, né con le proteine di trasporto, ma grazie ai trasporti di esocitosi ed endocitosi. Esocitosi: meccanismo di secrezione di macromolecole all’esterno della cellula. Il materiale secreto viene racchiuso all’interno di vescicole di trasporto intracellulare che attraversano la membrana. Quando le vescicole entrano in contatto con essa, e con le molecole lipidiche che compongono entrambe, subiscono un riarrangiamento e le membrane si fondono. Questa fusione richiede l’impiego di ATP. In seguito alla fusione, il contenuto della vescicola viene secreto e la membrana vescicolare si integra con quella plasmatica. (es. rilascio di enzimi digestivi da parte delle cellule del pancreas). Endocitosi: meccanismo di acquisizione del materiale dall’esterno all’interno della cellula. Le macromolecole extracellulari e le sostanze di grandi dimensioni sono racchiuse in una vescicola che si forma sulla superficie cellulare e viene inglobata dalla cellula stessa. Una piccola area della membrana si invagina a formare una tasca, la quale si allarga e si stacca quando i doppi strati fosfolipidici si fondono. La fusione richiede un dispendio energetico, e si forma una nuova vescicola intracellulare che contiene il materiale situato prima all’esterno. Ci sono tre tipi di endocitosi: → Fagocitosi: rappresenta un processo specifico in cui una cellula inghiottisce o cattura una grande particella esterna, grazie ad un’estensione della membrana detta pseudopodio, che circonda la particella. Una volta che la particella è stata incapsulata dallo pseudopodio, viene racchiusa in una vescicola membranosa. Se raggiunge una certa dimensione, la vescicola è detta vacuolo (=spazio vuoto), il cui contenuto viene digerito e si fonde con un lisosoma, il quale contiene specifici enzimi digestivi che frammentano le molecole. (i globuli bianchi inglobano batteri); → Pinocitosi: processo che avviene quando la cellula ingloba piccole gocce di fluido extracellulare in piccole vescicole interne. È un processo aspecifico, poiché qualsiasi tipo di soluto dissolto nelle gocce può essere inglobato all’interno della cellula. (es. piccole vescicole sulle pareti dei capillari per spostare il fluido); → Endocitosi mediata da recettori: è il movimento di specifiche molecole dall’ambiente extracellulare verso l’interno della cellula, attraverso la formazione di vescicole. Il processo ha inizio quando una particolare molecola, nel fluido esterno, si lega ad un recettore specifico, costituito da una particella integrale. Si crea un complesso ricettore-ligando (se partecipa il ligando) sulla membrana cellulare, procedendo poi con l’endocitosi, e quindi con la formazione di una tasca, che scende in profondità, fino a distaccarsi dal doppio strato fosfolipidico, che richiede ATP. Il ricettore si slega dalla molecola, riposizionandosi sulla membrana. (es. assorbimento del colesterolo all’interno della cellula). CELLULA ANIMALE Ogni cellula presenta dei compartimenti, delimitati fisicamente e funzionalmente attraverso una membrana, e con una posizione specifica. Essa è delimitata da membrana cellulare, descritta precedentemente, al cui interno troviamo vari organuli. ->NUCLEO È il centro di controllo delle attività cellulari. La sua struttura è la più grande tra gli organuli, con un diametro di 5µ, e genericamente è sferoidale. Esso contiene l’informazione genetica, essendo la sede della replicazione del DNA e della trascrizione di DNA e RNA, oltre che dell’assemblaggio delle subunità ribosomiali. Il nucleo è costituito da tre strutture fondamentali: La proteina neosintetizzata può essere incorporata nella membrana del RER, o rilasciato nel lume, può essere legata covalentemente ad un lipide di membrana (GPI), o essere espulsa dal RER e degradata Reticolo endoplasmatico liscio (REL): presenta superfici lisce senza ribosomi. È composto da una rete tridimensionale di tubuli comunicanti, alcuni in continuità con le cisterne del RER. Esso è responsabile della biosintesi dei lipidi, in particolare steroidi, e della sintesi del glucosio durante il processo di gluconeogenesi. Inoltre, è una riserva di ioni calcio, soprattutto a livello muscolare, dove prende il nome di reticolo sarcoplasmatico. Le regioni ruvide e lisce del RE possono essere separate attraverso la centrifugazione, isolando i microsomi ruvidi e lisci: essi vengono omogeneizzati e messi in una provetta con una certa concentrazione di saccarosio e sottoposta a centrifugazione; una volta centrifugata i microsomi si separano per le diverse densità, infatti, i microsomi lisci hanno minore densità e rimangono sulla superficie della soluzione di saccarosio, gli altri hanno maggiore densità e tenderanno a scendere sul fondo. ->APPARATO DI GOLGI: sistema di membrane lamellari tra il RE e la membrana plasmatica, impilate l’una sull’altra. Si possono distinguere tre porzioni funzionali: Cis: parte che si affaccia sul RE, verso il centro della cellula Mediale: porzione intermedia Trans: parte che si affaccia verso il lato citoplasmatico, verso l’esterno della cellula Ai margini delle membrane sono visibili piccole vescicole formate per gemmazione, estroflessioni della membrana che si distaccano da essa e si fondono sulla membrana successiva, riversando il loro contenuto. Ha molteplici funzioni, tra cui la rielaborazione di proteine e lipidi, con l’aggiunta di gruppi funzionali, la maturazione di glicolipidi e glicoproteine, con la O-glicosilazione, la produzione di lisosomi e lo smistamento delle vescicole. ->LISOSOMI: vescicole membranose, formate nell’apparato di Golgi. Contengono gli enzimi, attivi solo a pH acidi, per la digestione di sostanze di scarto e per la scissione di macromolecole in molecole più piccole, come le proteine, i lipidi, i polisaccaridi e gli acidi nucleici. Per prevenire l’autolisi del lisosoma, la faccia interna della membrana lisosomiale è protetta da uno strato glucidico, e sono presenti pompe protoniche e proteine di trasporto, che portano fuori dal lisosoma il materiale degradato, che può essere riutilizzato per la sintesi di nuovi componenti. ->PEROSSISOMI: vescicole generate dal RE, di forma sferica delimitati da una membrana lipidica e contengono vari enzimi con funzione metabolica. Il numero di perossisomi varia a seconda degli organi e dei tessuti, saranno, infatti, abbondanti dove ci sono intense attività metaboliche e detossificanti (es. nel fegato). Svolgono importanti funzioni metaboliche, come lo smaltimento delle tossine, l’ossidazione di amminoacidi, la sintesi di esteri lipidici del colesterolo. In particolare, le reazioni chimiche avvengono servendosi di ossigeno che produce perossido di idrogeno, subito convertito in acqua e ossigeno dall’enzima catalisi, proteggendo la cellula da danni. Dal catabolismo di acidi grassi si formano perossido di idrogeno e acetil coenzima A, utilizzato nel metabolismo. ->MITOCONDRI: centri della respirazione cellulare, in grado di produrre energia sotto forma di ATP. Contengono un proprio genoma, DNA circolare, e si riproducono in maniera indipendente nella cellula. È costituito da due membrane altamente specializzate, tra cui si crea uno spazio intermembrana. La membrana esterna è di forma regolare e delimita il perimetro del mitocondrio, mentre quella interna presenta numerose pieghe e introflessioni tubulari dette creste. La membrana interna racchiude la matrice mitocondriale, una soluzione densa e ricca di molecole e di enzimi, coinvolti nei processi di metabolismo. Al suo interno ci sono anche molecole di DNA mitocondriale e ribosomi. Il DNA mitocondriale è un doppio filamento circolare di dimensioni ridotte e privo di proprietà istoniche. I mitocondri vengono assemblati nella cellula ma si riproducono in maniera indipendente attraverso la scissione binaria. Il DNA mitocondriale viene ereditato solamente per via materna. Le principali funzioni dei mitocondri riguardano il metabolismo delle sostanze energetiche e la produzione di energia durante la respirazione cellulare e comprendono: Fosforilazione ossidativa Ciclo di Krebs Beta ossidazione ->CITOSCHELETRO: insieme di strutture cellulari che formano una rete tridimensionale di tubuli e di filamenti. Assolve a numerose funzioni ed è coinvolto in importanti meccanismi molecolari tra cui: Strutturale Adesione e contatti tra le varie cellule Mantenimento del nucleo e gli organelli cellulari nella loro sede Divisione cellulare Trasporto vescicole Movimento delle cellule e delle fibre cellulari Le sue strutture sono costituite da polimeri di proteine di diversa natura e sono tre: • Microtubuli: strutture tubulari formati dall’unione di protofilamenti in cui sono presenti proteine monomeriche come la alfa-tubulina e la beta-tubulina, combinandosi a due a due e formando degli eterodimeri. La formazione del microtubulo si divide in tre fasi: 1. I monomeri di tubulina alfa e beta si trovano in forma libera nel citoplasma e si uniscono a formare un eterodimero tramite legami non covalenti. Ciascun monomero è legato ad una molecola di GTP (guanosina trifosfato) 2. Il legame con GTP favorisce l’aggregazione spontanea degli eterodimeri in uno schema testa coda, formando i protofilamenti 3. I protofilamenti si affiancano lateralmente formando la struttura di tubulo cavo. Il microtubulo è costituito da 13 protofilamenti affiancati Essendo uno schema testa-coda, da un’estremità del microtubulo sporgerà un monomero di tubulina alfa, e dall’estremità opposta sporgerà un monomero di tubulina beta, determinando una polarità del microtubulo. La molecola di GTP viene idrolizzata GDP perdendo un gruppo fosfato e provocando un cambiamento strutturale dell’eterodimero che rende più instabili i legami che tengono insieme il microtubulo. Si avrà che l’estremità positiva, dove il tubulo si sta allungando con l’aggiunta di nuove tubuline, risulta stabile perché la molecola di GTP non è ancora stata idrolizzata, mentre verso l’estremità negativa i dimeri si legheranno a GDP già idrolizzata e, trovandosi in condizioni di instabilità, il microtubulo può andare incontro a depolimerizzazioni. Questo fenomeno di allungamento e accorciamento è detto treadmilling. La velocità di polimerizzazione e depolimerizzazione è influenzata da alcuni fattori come la concentrazione degli ioni calcio o le proteine MAP. Le MAP interagiscono con il microtubulo, provocando cambiamenti a lungo termine della stabilità, prevenendo la dissociazione dei dimeri di tubulina, e prendono parte ai centri di organizzazione dei microtubuli MTOC, cioè regioni cellulari dove ha luogo la loro formazione. Essi sono i centri di organizzazione di diverse strutture cellulari come i centrioli o i centrosomi e i cinetocori. Ci sono altre proteine affiancate ai microtubuli e sono le chinesine e le dineine, che scorrono sui microtubuli come su dei binari, permettendo il trasporto di vescicole lungo di essi. Nella chinesina la prima catena lega ADP e la seconda ATP: l’ADP si stacca e l’ATP ruota per poi far riattaccare l’ADP, che diventa ATP, mentre l’ATP viene idrolizzata ad ADP, e così via. Le dineine si muovono per trascinamento: prima la molecola, composta da due rami, si sposta, poi uno dei due rami si allunga, l’altro si stacca trascinandosi per raggiungere il primo ramo. -Ciglia e flagelli: sono costituiti da microtubuli e permettono il movimento delle cellule. Hanno le stesse basi strutturali ma differiscono nella lunghezza, numero per cellula e nella modalità di battito. Infatti, le ciglia sono corte e numerose e possiedono un battito a remo, con un colpo di potenza perpendicolare al ciglio; i flagelli sono lunghi e pochi e si muovono di moto ondulatorio, inducendo una forza propulsiva che fa spostare la cellula in un fluido. Entrambe sono costituiti da un assonema con membrana, cioè da un complesso di nove coppie di microtubuli periferici, disposti in senso radiale, e due microtubuli centrali, legati tra loro da nexina e con un braccio interno e uno esterno di dineina. Nexina e dineina sono coinvolte nella flessione di tali strutture: le coppie dei microtubuli sono collegati da ponti di nexina e dai bracci di dineina, che idrolizzando ATP, scorrono lungo il filamento, facendo inclinare i ponti di nexina, che mantengono intatta la struttura. membrana dei leucociti. In condizioni normali, queste integrine sono inattivate ma la loro attivazione è determinata dai mediatori chemiotattici presenti sull'endotelio dei vasi sanguigni. Quando questi composti attivano le integrine, la loro affinità per i ligandi dell'endotelio aumenta e si verifica l'adesione dei leucociti alla superficie interna dei vasi. Il meccanismo out-in, invece, prevede che l'integrina sia sempre espressa nella forma attiva. Quando nell'ambiente è presente il ligando specifico, si verifica l'interazione tra il sito di legame dell'integrina ed il suo ligando, che determina una risposta all'interno della cellula. Qui, infatti, le proteine accoppiate per la trasmissione del segnale vengono stimolate dall'integrina e avviano una cascata di trasmissione del segnale che porta alla modificazione del citoscheletro, con conseguenze sulla regolazione dell'espressione di specifici geni. → Le caderine, ovvero molecole (glicoproteina integrale) che mediano l'adesione cellulare in presenza di Ca2+. Le caderine rivestono la superficie della cellula dotandola di cariche negative (grazie alla presenza di residui oligosaccaridici), mentre il Ca2+ funziona da "collante": con le 2 cariche positive, infatti, lo ione si interpone fra 2 caderine presenti su cellule diverse e ne permette l'adesione. In mancanza di Ca2+, le cariche negative (non schermate) delle caderine eserciterebbero una mutua repulsione elettrostatica che non consentirebbe l'avvicinamento tra cellule. L'adesione promossa dalle caderine è un'adesione omotipica o omofila, ovvero fra cellule uguali. Il legame tra le caderine è generalmente omofilico: le molecole di caderina di un determinato sottotipo si legano a molecole dello stesso sottotipo. Ne consegue che cellule di uno stesso tipo si uniscono tra loro ma rimangono separate dagli altri. La struttura delle caderine partecipanti al legame nelle giunzioni di ancoraggio va a determinare la distanza cellulare. La porzione extracellulare delle caderine è costituita principalmente dalla ripetizione di un motivo dominante detto dominio delle caderine. I domini sono uniti tra di loro grazie a delle cerniere, presso cui sono presenti i siti che permettono il legame degli ioni Ca2+, il quale conferisce rigidità, impedendo alla struttura di flettersi. L'affinità del legame tra le molecole di caderina è in realtà bassa: è il numero di legami elevato a far risultare forte la giunzione di ancoraggio, la quale presenta caderine raggruppate fianco a fianco. Quando è necessario che una giunzione di ancoraggio si disassembli, il processo avviene separando le molecole di caderine in modo sequenziale. Adesione giunzionale: sono una specializzazione della superficie della cellula e si trovano nei punti di contatto cellula-cellula e cellula-matrice extracellulare. Esistono tre diversi tipi di giunzione e ognuna permette di realizzare gradi diversi di adesione tra cellule. Si distinguono: → Giunzioni occludenti, o tight junctions: formano una barriera di permeabilità selettiva con una “cintura” continua attorno alle cellule che rivestono le cavità corporee. Saldano insieme le cellule, fondendone le membrane che diventano così impermeabili. Le cellule si uniscono senza lasciare interstizi e le molecole idrosolubili non filtrano facilmente tra una cellula e l’altra. Tra due cellule i punti di fusione possono essere numerosi, quindi, non si ha un sigillo continuo ma piuttosto una serie di fusioni focali fra i foglietti esterni della membrana plasmatica che circonda la cellula. Così le giunzioni occludenti possono estendersi a dare la cintura che viene chiamata zonula occludens. È solitamente localizzata all’apice di cellule polarizzate come quelle dell’epitelio intestinale, dove le molecole presenti nel lume dell’intestino non riescono a valicare lo spazio intercellulare. Sono coinvolte le claudine e le occludine, che si associano con proteine periferiche ZO (della zonula occludens). → Giunzioni comunicanti, o gap junctions: permettono il passaggio di piccoli ioni e molecole idrosolubili del citosol. Rappresentano l’unico modo attraverso il quale i segnali mediati da ioni e piccole molecole possono passare direttamente da una cellula all’altra. Sono, quindi, alla base della comunicazione cellulare, essenziale per le cellule che ricevono e rispondono ai segnali. In questo tipo di giunzioni, le membrane plasmatiche delle due cellule adiacenti sono separate da uno spazio molto regolare. La giunzione comunicante ha una forma discoidale al cui interno è possibile riconoscere una struttura tubulare nota come connessone, che attraversa lo spazio fra le cellule. Questo, a sua volta, è costituito da sei proteine transmembrana chiamate connessine. La presenza dei connessoni per la cellula ha la funzione di regolazione della sua chiusura/apertura, rendendo possibile il passaggio di molecole. → Giunzioni aderenti, o anchoring junctions: giunzioni meccaniche che funzionano come una sorta di cerniera lampo che provvede a mantenere le cellule in posizioni fisse all’interno dei tessuti. Sono, quindi, largamente distribuite in tessuti soggetti a forti stress meccanici come il tessuto cardiaco, muscolare ed epidermide. Fanno parte le fasce aderenti o cinture di adesione, che corrono lungo la superficie laterale delle cellule, connettendole e rafforzando l’adesione. Possono essere classificate in base alle classi di proteine che le compongono: ▪ proteine di ancoraggio intracellulare, che connettono il complesso giunzionale ai filamenti di actina o ai filamenti intermedi; ▪ proteine di adesione transmembrana, che si legano da una parte alle proteine di ancoraggio intracellulare e, dall’altra, o la matrice extracellulare o il dominio extracellulare di altre proteine di adesione transmembrana. → Desmosomi ed emidesmosomi: i desmosomi sono strutture di forma circolare o ellittica particolarmente abbondanti nei tessuti che sono sottoposti a particolari stress meccanici in senso laterale o da stiramento. La regione della membrana che contiene un desmosoma presenta uno strato spesso di materiale denso è denominato placca. A partire dalla placca, si dipartono i filamenti intermedi che, quindi, si succedono ai filamenti intermedi delle cellule adiacenti. Gli emidesmosomi, invece, si osservano quando le cellule sono collegate a materiale extracellulare, come lo strato di collegane sottostante ad alcuni epiteli. → Adesioni focali: sono degli insiemi macromolecolari attraverso cui forze meccaniche e segnali regolatori sono trasmessi tra la matrice extracellulare e una cellula. Più precisamente, le adesioni focali sono le strutture subcellulari che mediano in una cellula gli effetti regolatori provenienti dall'ECM. Fanno parte alcuni recettori integrinici, ricettori con attività tirosina o serina chinasica, proteine di membrana come sindecani e proteine con azione enzimatica. La funzione è quella di trasmettitori di segnale (sensori), che informano la cellula sulla condizione della ECM. DNA Nel 1869 viene identificata una sostanza detta nucleina, chiamata poi DNA. ->Esperimento di Griffith: nel 1928 lo scienziato arrivò a importanti scoperte mentre stava cercando un vaccino contro lo streptococcus pneumoniae (polmonite). Lavorò con due ceppi di pneumococco: • S smooth: cellula con superficie liscia, ricoperta da una capsula polisaccaridica che la protegge dagli attacchi del sistema immunitario-> ceppo virulento; • R ruvido: cellula con superficie irregolare, priva di capsula, uccisa dal sistema immunitario-> ceppo non virulento. Griffith iniettò ad alcuni topi: Il ceppo S-> il topo moriva Il ceppo S, trattato con il calore, che uccideva i batteri-> il topo viveva Il ceppo R-> il topo viveva Il ceppo R e il ceppo S, trattati con il calore-> il topo moriva Nell’ultimo caso i batteri non virulenti R diventavano virulenti per il passaggio di una sostanza da parte degli S disattivati. Tale sostanza venne chiamata fattore di trasformazione, nel fenomeno della trasformazione batterica, aprendo la strada alla determinazione della trasportazione delle informazioni genetiche e del materiale genetico. ->Esperimento di Avery, McLeod e MacCarty: nel 1944 dimostrarono che il fattore di trasformazione è il DNA. Aggiunsero a batteri R vivi il ceppo S disattivato, trattato con enzimi che degradano le proteine ma non il DNA. Era questo a determinare la virulenza del ceppo, concludendo che il DNA è il materiale genetico delle cellule. ->Esperimento di Hershey e Chase: utilizzarono dei virus in grado di infettare i batteri, cioè i batterofagi, che possiedono una molecola di DNA e un involucro proteico e hanno una struttura costituita da una testa proteica e un corpo di fibre proteiche. In particolare, presero un fago T2 che infetta le cellule di escherichia coli. Il DNA fagico: Distrugge la cellula ospite, secondo il ciclo litico Viene integrato nel cromosoma batterico, secondo il ciclo lisogenico Per capire quale parte del fago venisse iniettata, gli scienziati sfruttarono la differenza tra proteine e DNA: zolfo nelle proteine, fosforo nel DNA. Le due popolazioni di T2 vennero marcate radioattivamente: 1. Isotopo radioattivo del fosforo 32P 2. Isotopo radioattivo dello zolfo 35S Il fosforo marcato si troverà nei nucleotidi e di conseguenza anche negli acidi nucleici; non sarà presente invece in quantità significative nelle proteine. Lo zolfo marcato si troverà nelle proteine (in particolare nell'amminoacido cisteina) e non si troverà nei nucleotidi. Le due colture, mischiate con l’escherichia coli, vennero centrifugate per separare i batteri dal virus e individuare la radioattività: Il DNA radioattivo è all’interno delle cellule batteriche, nel pellet Le proteine radioattive sono all’esterno di esse, nel surnatante ->Esperimento di Meselson e Stahl: dimostra che la replicazione del DNA avviene in modo semiconservativo. I due allestirono colture batteriche in un terreno contenente azoto pesante 15N e si prende in considerazione un terreno con azoto leggero 14N. si preparano tre campioni che vengono trattati in diversi intervalli di tempo: 1. Campione di azoto pesante-> 0 minuti Il mismatch repair: correzione anomalie di appaiamento-> Coinvolge tre proteine cioè MutS MutL MutH. Le prime a intervenire sono le MutS che identificano la coppia sbagliata. Le MutL si legano alle precedenti e le MutH, attivate dalle L, si pongono tra le due basi, aspettando che venga duplicata la base coniugata corretta della base sul filamento guida. Una volta individuata, le MutH tagliano il segmento in quel punto e l’elicasi rimuove il pezzo di DNA prodotto prima della base esatta, fino alla base sbagliata. La DNA polimerasi produce la parte mancante del DNA dalla base corretta a quella scorretta appena rimossa, e infine, la DNA ligasi unisce il frammento appena aggiunto dalla polimerasi alla parte precedente. -Enzimi della replicazione • La DNA polimerasi ha un ruolo centrale nella replicazione del DNA. Può aggiungere porzioni al DNA solo dall'estremità 5' a 3', correggere gli errori nel neo-filamento, essendo uno degli enzimi più importanti dell'organismo. La famiglia delle polimerasi comprende sette tipologie. La struttura fondamentale di tutte queste ha sottodomini che assomigliano ad una mano destra aperta. Nel palmo sono collocati gli amminoacidi, le dita sono importanti nel riconoscimento del nucleotide e il pollice lega il substrato di DNA. Tra dita e pollice è presente una sacca con due regioni quali il sito di inserzione, dove si legano le basi, il sito di post inserzione, dove risiedono le coppie di basi. Nessuna polimerasi è in grado di iniziare la sintesi del filamento da zero, ma parte sempre dal filamento di stampo. Tra le polimerasi più importanti abbiamo: DNA polimerasi 𝜀, replicazione del filamento leading di DNA, associata alla DNA polimerasi . Attività polimerica 5'→3' DNA polimerasi , replicazione del DNA mitocondriale DNA polimerasi , elimina i primer attraverso l'azione esonucleasica 3'→5', e sostituisce l’RNA con nucleotidi ad attività polimerica 5'→3' • RNA polimerasi è costituita da varie subunità di cui, le due maggiori presentano siti dove avviene la catalisi della reazione di formazione del legame fosfodiesterico. Il processo di trascrizione è mediato dall'azione della RNA polimerasi, che avviene dall'estremità 5'→3' e coinvolge un solo filamento della doppia elica, cioè il filamento stampo. Ha funzioni nel processo di proofreading. Nei procarioti è composto da 4 subunità più un fattore sigma, presente solo all'inizio della trascrizione e determinante per il riconoscimento delle sequenze del promotore. Le 4 subunità alfa, 2beta e beta' formano il core che, insieme al fattore sigma, formano l'oloenzima. La subunità alfa riconosce l'elemento all'inizio del DNA e il fattore sigma riconosce la regione promotore detta TATA box. Negli eucarioti ci sono tre tipi di RNA polimerasi: RNA polimerasi I: I geni non sono codificanti per le proteine RNA polimerasi II: mRNA, codificanti le proteine, snRNA e snoRNA, piccoli RNA nucleari, microRNA e RNA delle telomerasi RNA polimerasi III: RNA transfer, ribosomiali, RNA nucleari e citoplasmatici → TATA box: a monte di ogni gene esistono sequenze di DNA specializzate chiamate promotori, che definiscono l'esatto punto di inizio e la direzione della trascrizione. Nelle cellule procariotiche i promotori hanno due regioni che interagiscono con la subunità sigma dell'RNA polimerasi. Le cellule eucariotiche hanno un sistema promotore complesso, costituito da decine di proteine diverse per garantire che l'RNA polimerasi si leghi in modo corretto sul gene giusto. La proteina centrale di tale sistema è la TATA legante. I geni che codificano per proteine hanno una sequenza caratteristica di nucleotidi, detta TATA box. Essa si trova qualche nucleotide prima del punto di inizio della trascrizione, ed è così chiamata perché costituita principalmente da adenina e timina. La proteina TATA legante riconosce la sequenza TATA e si lega dando inizio alla trascrizione. ->TRASCRIZIONE Prima parte del percorso dell'RNA che determina l'espressione genica. Il DNA trascrive l'informazione sull'mRNA, che viene poi codificata nel processo successivo della traduzione. Il processo trascrizionale richiede la presenza di alcuni fattori: deve essere presente il filamento stampo di DNA da copiare, su cui sono situati i vari geni, che codificano per gli RNA e preceduti da sequenze di regolazione nei promotori. La trascrizione avviene in tre fasi: 1. Inizio: specifici fattori trascrizionali presenti sulle parti di DNA interagiscono tra loro mediante il riconoscimento di reciproche sequenze. In corrispondenza del promotore, quindi, la doppia elica si apre, facendo iniziare la sintesi dell'RNA. Per ogni gene esiste un promotore. Entra in azione l'RNA polimerasi che non ha bisogno di inneschi per avviare la sintesi dell'RNA. L'RNA polimerasi non è in grado di legarsi direttamente al promotore ed essa riesce ad arrivare sul DNA solo dopo che sul gene si sono poste particolari proteine regolatrici dette fattori di trascrizione. Il primo di questi si lega alla TATA box, inducendo un cambiamento morfologico sia di sé stesso che del DNA, favorendo il legame con gli altri fattori, andando così a formare il complesso di trascrizione. 2. Allungamento: L'RNA polimerasi, quindi, apre il filamento ogni 10 basi e legge quello stampo dall'estremità 3' a 5' ma crea l'mRNA dall'estremità 5' a 3', poiché può agire solo in questa direzione in maniera continua. Il trascritto di RNA sarà uguale al filamento codificante ma con l'uracile al posto della timina. 3. Terminazione: come all'inizio, dove si trova un sito che precisa l'inizio, anche in questa fase sono presenti sul filamento stampo del DNA particolari sequenze di basi che determinano la fine del processo. Il prodotto ottenuto è il trascritto primario. Il trascritto primario viene portato a maturazione fino a diventare mRNA, pronto per la traduzione. Il trascritto va incontro a: • Capping: all'inizio del filamento di mRNA neoformato, viene aggiunto un cappuccio costituito da un nucleotide di guanina, in particolare sull'estremità 5'. Ciò protegge l'RNA da enzimi che potrebbero degradare gli acidi nucleici e costituisce un segnale per le proteine che devono gestire l'mRNA al di fuori del nucleo. • Splicing: permette la scissione delle sequenze non codificanti, gli introni, unendo le sequenze codificanti in maniera consecutiva, gli esoni. Il complesso proteico che permette lo Splicing è detto spliceosoma. Intervengono particolari proteine dette snRNP (small ribonuclear protein), identificate con la sigla U1,2,3,4,5,6. La snRNP U1 si lega all'estremità 5', contattando un fattore ausiliare, che si lega verso l'estremità 3', sull'ultima base dell'introne. Al fattore si affianca un'altra snRNP U2 che attrae la U1, la quale si avvicina all'estremità 3', facendo ripiegare la sequenza dell'introne. Ad essa si lega un complesso di tre snRNP che rilasciano U1 e si legano all'inizio dell'introne al suo posto. Una delle proteine del complesso viene rilasciata e la sequenza di introni si stacca dall'estremità 5' per legarsi all'ultima base dell'introne, attraverso la prima reazione di transesterificazione. Nella seconda reazione il complesso di snRNP stacca definitivamente l'introne facendo unire i due esoni, creando una sequenza completamente codificabile. • Poliadenilazione: consiste nell'aggiunta di 200 adenine alla fine dell'mRNA a protezione della parte terminale del filamento, in modo che eventuali corrosioni non vadano ad elidere il filamento. L'mRNA è pronto a lasciare il nucleo ->TRADUZIONE/ SINTESI PROTEICA L'mRNA prodotto dalla trascrizione viene decodificato per la sintesi di un polipeptide, la cui sequenza amminoacidica corrisponde alla sequenza nucleotidica di tre unità, detta tripletta. La traduzione coinvolge diversi fattori tra cui: • Ribosomi: sono formati da RNA e proteine, costituiti da due subunità, una maggiore superiore e un minore inferiore. La subunità minore contiene il sito di legame per 2. Metafase: i cromosomi si dispongono allineati sul piano equatoriale, perpendicolare all’asse del fuso, guidati dai microtubuli. La disposizione dei cromosomi è detta piastra metafasica. Il centromero si divide in due parti, ciascuna delle quali contiene il cinetocore di un cromatidio. 3. Anafase: i cromatidi fratelli vengono tirati ai poli opposti della cellula grazie all’azione dei microtubuli e delle altre proteine motrici. 4. Telofase: attorno alle due diverse regioni in cui risiedono i cromatidi, che costituiscono il corredo cromosomico completo di ciascuna cellula figlia, si riforma l’involucro nucleare e i cromosomi si despiralizzano assumendo di nuovo l’aspetto della cromatina. Si ricostituisce il nucleo. ->CITODIERESI Inizia tra la fine dell’anafase e la fine della telofase e consiste nella separazione tra le due cellule figlie, del citoplasma e degli altri organuli. In questa fase si crea sulla cellula madre un solco di divisione che si forma grazie all’assemblaggio, appena sotto la membrana plasmatica, di un anello contrattile costituito da filamenti di actina e miosina, che guidano l’introflessione della membrana. Nella parte terminale della citodieresi, l’anello si depolimerizza e tra le due cellule figlie compare un corpo intermedio costituito da un lembo di citoplasma. A specificare quando e dove si deve porre l’anello contrattile, è il fuso mitotico, che favorisce anche la sua organizzazione e stabilizzazione. Nelle cellule vegetali, la presenza della parete cellulare impedisce la formazione di un anello contrattile. Pertanto, la citodieresi avviene mediante la formazione della lamella mediana, una struttura che si estende dal centro della cellula alla periferia, rappresentante il precursore della parete. L’assemblaggio della lamella è guidato dal fragmoplasto, una struttura di microtubuli del fuso mitotico. ->REGOLAZIONE MITOSI I tempi e la successione delle varie fasi del ciclo cellulare sono regolati da una famiglia di proteina cinasi, a loro volta regolate da segnali extracellulari che permettono alla cellula di adattare il proprio stato proliferativo alle condizioni esterne, per esempio del tessuto in cui si trova. Questi enzimi sono costituiti da una subunità regolatrice (che prende il nome di ciclina) e da una subunità catalitica che prende il nome di proteina cinasi ciclina-dipendente (CDK). Le CDK sono inattive in assenza della subunità ciclina e divengono attive solo nelle condizioni in cui questa si lega alla subunità catalitica. Nelle cellule animali sono note almeno dieci diverse cicline e almeno otto diverse CDK, che agiscono in varie combinazioni in momenti particolari del ciclo cellulare fosforilando, e quindi attivando o inattivando, specifiche proteine che svolgono funzioni particolari nelle varie fasi del ciclo. Accanto a questi enzimi, specifiche proteina fosfatasi, defosforilando le proteine fosforilate, le riportano alla condizione funzionale di partenza. Nelle cellule in divisione l'attività dei vari tipi di CDK mostra notevoli oscillazioni. Queste variazioni di attività sono causate da quattro diversi tipi di regolazione dell'attività di questi enzimi: • fosforilazione/defosforilazione: spesso innescato dalla presenza di danni sul DNA, richiede l'intervento di specifiche cinasi che fosforilano la subunità CDK a livello di specifici residui di tirosina con effetti opposti sull'attività e di specifiche fosfoproteina fosfatasi che riportano le CDK nella condizione di partenza. • degradazione controllata della subunità ciclina: prevede la degradazione controllata di specifiche cicline (per esempio, A e B) da parte di un complesso proteolitico cellulare noto come proteasoma. • sintesi controllata di CDK e cicline: richiede l'intervento di specifici fattori di trascrizione (per esempio, EF2) che favoriscono la trascrizione dei geni che codificano specifiche cicline e CDK. A sua volta, la trascrizione del gene per EF2 è controllata da specifici stimoli extracellulari come quelli rappresentati da fiattori di crescita o induttori della divisione cellulare (citochine). • azione di specifiche proteine che inibiscono le CDK: è legato alla presenza di specifici inibitori delle CDK capaci di legarsi a queste inattivandole. L'insieme di questi quattro meccanismi di controllo modula la presenza e l'attività di specifici complessi CDK-ciclina che determineranno lo stato proliferativo o di riposo, temporaneo o permanente, di una cellula. ->MEIOSI La meiosi è un meccanismo di divisione nucleare, seguita da citodieresi, che interessa la linea delle cellule germinali, cioè le cellule destinate a diventare gameti (spermatozoi e cellule uovo). I gameti sono cellule specializzate a cui è affidata la generazione di nuovi individui nelle specie a riproduzione sessuata. La produzione dei gameti (spermatogenesi e ovogenesi) avviene in organi specifici, le gonadi o ghiandole sessuali (testicoli e ovaie negli animali). La meiosi realizza il dimezzamento del patrimonio genetico, pertanto i gameti sono cellule aploidi, con metà dei cromosomi rispetto alle cellule somatiche. All'incontro dei gameti con la fecondazione, viene ripristinato l'assetto diploide tipico della specie. Nella specie umana, le cui cellule somatiche possiedono 46 cromosomi (23 coppie di cromosomi omologhi), si ha la produzione di gameti con 23 cromosomi e, al momento della fecondazione, il nuovo individuo tornerà ad averne 46. La meiosi si è evoluta in primo luogo per garantire il mantenimento del corretto numero di cromosomi da una generazione alla successiva nelle specie a riproduzione sessuata. Inoltre, grazie alla fusione dei gameti si realizza una nuova combinazione di caratteri genetici, presupposto fondamentale per la variabilità tra i membri di una specie in una stessa generazione e tra generazioni successive, variabilità da cui dipendono maggiori possibilità di sopravvivenza e di evoluzione della specie stessa. Prima che vada incontro a meiosi, la cellula destinata a formare i gameti duplica il DNA nella fase S del suo ciclo cellulare. All'inizio della meiosi avviene la compattazione della cromatina come in mitosi e si rendono visibili i cromosomi, ciascuno formato da due cromatidi fratelli. Per meiosi s'intendono in realtà due successive divisioni nucleari, ciascuna seguita da citodieresi. La prima (meiosi I), detta riduzionale, separa i cromosomi omologhi e porta alla formazione di due cellule figlie aploidi i cui cromosomi sono, tuttavia, ancora formati da due cromatidi. La meiosi II o equazionale separa i cromatidi fratelli, come avviene in mitosi, e da ciascuna delle due cellule precedenti si ottengono due cellule aploidi con cromosomi monocromatidici. Il risultato della meiosi sono quattro cellule aploidi con cromosomi monocromatidici. Le meiosi II può fare subito seguito alla meiosi I oppure dopo un breve periodo di accrescimento. Meiosi I • PROFASE I: è lunga e complessa e per questa ragione prende il nome di profase meiotica tipica. A sua volta è suddivisa in: leptotene: avviene la spiralizzazione della cromatina e compaiono i cromosomi dicromatidici. zigotene: gli omologhi si appaiono come gli elementi in una cerniera-lampo e la struttura risultante che si forma è detta tetrade o bivalente. L'appaiamento o sinapsi tra gli omologhi è favorita dalla formazione del complesso sinaptinemmale (CS), una struttura proteica che perdura in pachitene quando avviene il crossing- over. pachitene: avviene il crossing-over, cioè lo scambio di parti corrispondenti tra i cromatidi non fratelli (appartenenti ciascuno a un omologo). Grazie al crossing-over i cromosomi possono ottenere una combinazione diversa di alleli, qualora i frammenti scambiati tra gli omologhi contengano alleli diversi. Per ogni bivalente possono avvenire da 1 a4 scambi. La ricombinazione genica realizzata dal crossing-over costituisce un contributo importante alla continua variabilità che si osserva da una generazione alla successiva nelle specie a riproduzione sessuata. diplotene: gli omologhi cominciano a separarsi rimanendo però uniti nelle zone dove è avvenuto il crossing-over a formare delle strutture dette chiasmi. Il diplotene si caratterizza per un'intensa attività trascrizionale che, soprattutto nei precursori dei gameti femminili, comporta l'evaginazione di anse di DNA sui cui si svolge la trascrizione. diacinesi: l'involucro nucleare si dissolve, mentre il nucleolo era già scomparso in pachitene. • METAFASE I: gli omologhi, ancora appaiati in corrispondenza dei chiasmi, si dispongono sulla piastra metafasica. La disposizione delle varie coppie di omologhi è casuale, senza che vi sia una localizzazione preferenziale dei cromosomi di origine materna e paterna rispetto al piano della piastra metafasica. • ANAFASE I: le fibre del fuso mitotico separano gli omologhi (ancora formati da due cromatidi) ai poli opposti della cellula migrano combinazioni casuali (assortimento indipendente) di cromosomi di origine paterna e materna, diverse da una meiosi all'altra. In tal modo, per n cromosomi in assetto aploide si possono ottenere 2n progenie la manifestazione, a livello fenotipico, delle condizioni ambientali nel corso dello sviluppo. Il grado con cui un dato carattere viene determinato dall'insieme dei fattori ereditari (geni), indipendentemente dall'ambiente, viene definito ereditabilità e si esprime, per una popolazione di individui, come il rapporto tra la variabilità dovuta alle differenze genetiche tra gli individui stessi (variabilità genetica) e la variabilità complessiva, comprendente quindi anche quella dovuta alle differenze nell'influenza ambientale nel corso dello sviluppo dei singoli individui che compongono la popolazione (variabilità ambientale). L'ereditabilità rappresenta anche l'attitudine di un individuo a trasmettere alla progenie una data caratteristica manifestata nel suo fenotipo. Alcuni caratteri presentano determinazione completa: una caratteristica viene trasmessa dai genitori alla prole e si manifesta in essa senza che venga influenzata almeno apparentemente da fattori ambientali, ma condizionata esclusivamente dai rapporti di dominanza e di recessività tra alleli dello stesso locus genico o di loci genici diversi (epistasi). Un allele è una delle due o più forme alternative in cui può presentarsi un gene nel patrimonio genetico di una specie. Agli alleli di un gene corrispondono fenotipi diversi del carattere codificato. Gli alleli di un gene occupano posizioni identiche (loci) sui cromosomi omologhi. In genere, possono essere considerati "alleli" sequenze nucleotidiche in specifiche posizioni del DNA che si presentano in più varianti in una specie, indipendentemente dalla proprietà di codificare o meno per un prodotto funzionale. Sono questi di solito i caratteri qualitativi: ad esempio, nella specie umana, il colore degli occhi, il colore dei capelli, l'attitudine a distinguere i colori, il colore giallo o verde dei semi della pianta di pisello odoroso si deve a due alleli, il gruppo sanguigno del sistema ABO dipende da tre alleli di uno specifico gene. I caratteri per i quali vi è compartecipazione della base ereditaria e dell'ambiente nella loro manifestazione sono invece quelli definiti quantitativi poiché manifestano variabilità continua e sono rilevabili solo mediante un'unità di misura: la lunghezza, il peso, il volume. La maggior parte degli organismi viventi sono diploidi, vale a dire hanno un genoma organizzato in coppie di cromosomi omologhi. Poiché i cromosomi omologi si caratterizzano per avere gli stessi geni (fatta eccezione per gli eterocromosomi o cromosomi sessuali X e Y-si veda: cromosoma X -), ogni gene in un individuo è presente in duplice copia. Le due copie possono essere uguali o diverse, quindi per ogni gene possono essere presenti due alleli uguali o diversi. In caso di alleli uguali si parla di genotipo omozigote (ad esempio AA o aa), se sono diversi il genotipo è detto eterozigote (Aa). ->MENDEL Mendel si dedicò a un programma di ricerca sugli incroci nelle piante, seguendo un accurato metodo scientifico che gli consentì di elaborare delle leggi, attualmente valide, sulla trasmissione delle caratteristiche ereditarie, pubblicando il suo lavoro nel 1865, completamente all'oscuro della natura chimica dei "fattori" responsabili delle caratteristiche ereditarie.Oggi sappiamo, grazie a tali studi, che le caratteristiche ereditarie sono determinate dai geni, che risiedono sui cromosomi e sono tratti di DNA. La pianta analizzata è quella del pisello da giardino, Pisum sativum, in quanto possedeva requisiti importanti per lo studio: • Cicli vitali sufficientemente brevi: l'organismo deve riprodursi rapidamente in modo da ottenere in poco tempo numerose generazioni su cui raccogliere i dati sperimentali. • Figliolanze numerose per ottenere dati significativi dal punto di vista statistico e fare delle previsioni significative sulla trasmissione dei caratteri presi in esame. • Facilità nel manipolare gli organismi e programmare gli incroci, in quanto presenta autofecondazione (automatica) o fecondazione incrociata (artificiale) • Differenze evidenti e facilmente osservabili nelle caratteristiche degli individui di una popolazione: colore del fiore: bianco o viola colore del pisello: verde o giallo forma del pisello: liscio o rugoso colore del baccello: verde o giallo forma del baccello: rigonfio o concatenato altezza dello stelo: lungo o corto posizione dei fiori: assiale o terminale Il punto di partenza degli esperimenti di Mendel erano incroci tra linee pure che differivano per uno o più caratteri. GENERAZIONE F0 O PARENTALE Per ogni carattere Mendel selezionò delle linee pure, cioè piante che dopo ripetuti cicli di autofecondazione (il fiore della pianta di pisello presenta sia gli organi riproduttori maschili, gli stami, sia gli organi riproduttori femminili, i pistilli) danno luogo a delle piante con le stesse caratteristiche. Ad esempio, una linea pura a fiori viola è una pianta che per autofecondazione produce sempre e solo piante a fiori viola. GENERAZIONE F1 Dopo aver ottenuto delle linee pure per ciascuna variante di ciascun carattere, Mendel passò alla realizzazione di incroci tra piante diverse. I pistilli dei fiori privati degli organi riproduttori maschili potevano così essere impollinati con il polline prodotti dagli stami di un altro fiore, impedendo l'autofecondazione. La F1 prevede un incrocio monoibrido, in cui viene seguito un solo carattere. Attraverso l'impollinazione incrociata, si accoppiano una pianta con piselli gialli e una con piselli verdi. Il risultato dell'incrocio sarà al 100% il pisello del colore giallo, che costituisce il tratto dominante. Il tratto dominante è quello che “domina” sull’altro: se uno dei genitori lo possiede, lo possiederà anche tutta o la maggior parte della progenie. Da qui Mendel formulò la prima legge dell'ereditarietà: > La prima legge di Mendel o legge della dominanza afferma che dall'incrocio tra due linee pure che differiscono per un solo carattere, si ottiene una F₁ in cui gli individui manifestano uno solo dei due fenotipi parentali. Questo fenotipo è definito dominante, mentre l'altro è recessivo e ricompare in F2. “Perché è sufficiente una sola copia dell’allele dominante per dare un fenotipo dominante? Perché sono necessarie due copie di un allele recessivo per dare un fenotipo recessivo?” Ognuno dei due alleli di un organismo diploide codifica per un gene/proteina: considerando il gene SBE1, la proteina codificata serve a trasformare saccarosio in amido. L'allele S dominante presenta l'enzima funzionante e la proteina trasforma il saccarosio in amido, mentre, l'allele s recessivo presenta l'enzima non funzionante quindi ci sarà un accumulo di saccarosio al posto dell’amido, con ingresso d’acqua per osmosi e rigonfiamento del seme, quindi quando il seme matura, perde acqua e si raggrinzisce. La presenza dell'allele S compensa il mancato funzionamento dell'altro allele recessivo, per la legge della dominanza. GENERAZIONE F2 (monoibrido) Effettuando l'autoimpollinazione della F1, si ottiene la F2 la quale presenta il carattere dominante del seme giallo nel 75% degli individui, mentre nel 25% ricompare il carattere recessivo del seme verde. Il rapporto tra dominante e recessivo è di 3:1 > La seconda legge di Mendel o legge della segregazione afferma che i due membri di ogni carattere segregano (si separano) durante la formazione dei gameti. La seconda legge di Mendel deriva dalla conclusione di Mendel che ciascun carattere è determinato da un fattore (gene) di cui esistono due forme alternative (alleli). Ogni individuo reca per ciascun gene due alleli uguali o diversi. La legge della segregazione afferma che gli alleli di un dato gene si separano durante la formazione dei gameti. Dall'incontro dei gameti il genotipo risultante per quel carattere nello zigote sarà omozigote o eterozigote a seconda degli alleli veicolati da ciascun gamete. GENERAZIONE F2 (diibrido) Gli incroci diibridi di Mendel confermarono la seconda previsione: in F2 comparvero infatti quattro fenotipi differenti in un rapporto di 9:3:3:1. In una parte della progenie le caratteristiche parentali si presentarono in combinazioni inedite (liscio con verde e rugoso con giallo), che prendono il nome di fenotipi ricombinanti. > La terza legge di Mendel, detta principio dell'assortimento indipendente, due fattori (geni) responsabili di due diversi caratteri assortiscono indipendentemente l'uno dall'altro. Essa fa riferimento all'ereditarietà di più caratteri simultaneamente. In termini moderni questo significa che geni localizzati su cromosomi diversi si comportano indipendentemente in meiosi durante la formazione dei gameti: durante la formazione dei gameti, geni diversi si distribuiscono l’uno indipendentemente dall’altro. In altre parole, considerando i due geni A e B, la separazione degli alleli del gene A è indipendente dalla separazione degli alleli del gene B. La conseguenza dell'assortimento indipendente è la possibilità di ottenere nella progenie combinazioni di fenotipi diverse da quelle presenti nella generazione parentale. Il requisito indispensabile alla validità della terza legge di Mendel è la localizzazione su cromosomi diversi dei caratteri presi in esame. Se i caratteri risiedono sullo stesso cromosoma, sono cioè associati, segregano insieme e non è possibile ottenere combinazioni alternative rispetto ai fenotipi parentali (a meno di eventi di crossing-over). Consideriamo, ad esempio, i caratteri aspetto (liscio o rugoso) e colore del seme (giallo o verde). Il liscio è dominante sul rugoso e il giallo sul verde. Partendo da un incrocio di linee pure a semi gialli lisci (GGLL) e verdi rugosi (ggll), la progenie in F₁ si caratterizza per la presenza di sole piante a semi gialli lisci (a dimostrazione della legge della dominanza). Ogni pianta in F₁ è un doppio eterozigote o diibrido (GgLI), in quanto derivata dall'incrocio dei gameti GL e gl, gli unici ad essere prodotti da ciascuna linea pura. Operando come negli esperimenti precedenti, lasciando autofecondare le piante in F₁ e realizzando pertanto in questo caso un incrocio diibrido (GgLI x GgLI), la progenie F2 mostra non solo i fenotipi parentali giallo- liscio e verde- rugoso, ma anche i fenotipi ricombinanti giallo- rugoso e verde-liscio. ->QUADRATO DI PUNNETT Le leggi di Mendel e la tipologia di genotipi e quindi di fenotipi derivati dall'incrocio casuale dei gameti possono essere visualizzati mediante appositi simboli per indicare gli alleli e l'uso di uno schema, definito quadrato di Punnett, dal nome del suo ideatore. Si parla di dominanza incompleta quando gli individui eterozigoti per un carattere mostrano uno o più fenotipi quantitativamente e qualitativamente intermedi tra quello dei due omozigoti. A seguito di un incrocio tra due eterozigoti, il rapporto fenotipico che si ottiene nella progenie è 1:2:1, contrariamente al classico rapporto 3:1, descritto da Mendel nei suoi esperimenti e tipico di caratteri in cui un allele ha dominanza completa sull'altro e l'eterozigote è indistinguibile da uno dei due omozigoti. La dominanza incompleta è anche nota come semi- dominanza o dominanza parziale, e in genere è dovuta alla quantità di prodotto trascritto e tradotto dall'allele dominante. Solo in omozigosi e quindi in "doppia dose", la quantità è sufficiente per determinare un fenotipo pieno, mentre in eterozigosi la quantità di prodotto funzionale è la metà. Nel caso di alcune piante, il colore dei fiori è dovuto a due alleli che, in omozigosi, determinano i fenotipi rosso e bianco. Le piante eterozigoti, invece, hanno fiori di colore rosa. Quando una linea pura a fiori rossi è incrociata con una linea pura a fiori bianchi, le piante F1 che si ottengono sono tutte a fiori rosa. Dall'incrocio di piante della F1 si ottiene una generazione F2 di piante a fiori rossi, rosa e bianchi secondo un rapporto fenotipico 1:2:1. ->EPISTASI L'epistasi è una forma di interazione genica per cui un gene può mascherare o contribuire all'espressione fenotipica di altri geni. Il termine epistasi significa "stare sopra" ed è stato coniato dal genetista inglese Bateson all'inizio del '900. I geni coinvolti nell'epistasi possono avere o meno assortimento indipendente. In caso di assortimento indipendente, i rapporti fenotipici possono essere diversi da quelli previsti. Ad esempio, nel caso di incroci diibridi il rapporto tra le classi fenotipiche può essere diverso dal classico 9:3:3:1, descritto nella terza legge di Mendel e relativo all'indipendenza dell'assortimento degli alleli di due geni nei gameti. Sono possibili tre tipi di epistasi: 1. due o più loci contribuiscono all'espressione di un fenotipo; 2. l'allele di un locus maschera l'azione di uno o più alleli in un altro o in altri loci; 3. l'allele di un locus modifica l'effetto di uno o più alleli in un altro o in altri loci. Bateson e Punnett studiarono un altro esempio di interazione epistatica incrociando due varietà di linee pure di pisello a fiori bianchi. Il risultato in F1 era una progenie di sole piante a fiori viola, dal cui incrocio nascevano piante di pisello sia a fiori viola sia a fiori bianchi, secondo un rapporto 9:7. I geni coinvolti nella determinazione del colore del fiore di pisello sono C e P. Se uno o entrambi di questi loci presentano una condizione di omozigosi recessiva, il colore del fiore risulta bianco. C e P intervengono infatti nei due step della via biochimica che porta alla formazione delle antocianine, i pigmenti responsabili del colore viola. Se uno entrambi di questi step sono non funzionali perché nei loci corrispondenti il genotipo è omozigote recessivo, le antocianine non vengono prodotte. I geni C e P assortiscono indipendentemente, ma gli incroci diibridi danno luogo a rapporti fenotipici diversi dal 9:3:3:1. In questa forma di epistasi, definita recessiva, basta infatti la presenza di un genotipo omozigote recessivo (pp o cc) per mascherare l'azione dell'allele dominante nell'altro locus. ->EREDITÀ POLIGENICA I caratteri esaminati da Mendel erano monofattoriali, cioè dovuti all’azione di un solo gene. A determinare un carattere sono tre situazioni estreme: 1. la trasmissione monogenica (o mendeliana classica), i cui tipici esempi sono le caratteristiche morfologiche delle piante di pisello. 2. l’eredità poligenica, situazione in cui il carattere è ereditario e determinato da più geni, ciascuno dei quali contribuisce all’espressione della stessa caratteristica fenotipica. I caratteri poligenici, o caratteri non mendeliani, essendo il risultato dell’interazione dei prodotti di più geni possono presentare una variazione continua nell’intensità della loro manifestazione (ovvero caratteri quantitativi), oppure presentarsi nella modalità presenza/assenza (o caratteri discontinui). 3. nel caso ideale in cui nessun fattore genetico contribuisce alla manifestazione di un carattere, quest’ultimo dipende esclusivamente dall’azione di fattori ambientali. ->GENI ASSOCIATI La constatazione che certe coppie di geni non seguivano la legge dell’assortimento indipendente di Mendel ha aperto la strada a ricerche che hanno chiarito la relazione tra geni e cromosomi. I primi esperimenti di genetica sulla drosofila furono effettuati a partire dal 1909 da Thomas Hunt Morgan, che scelse il moscerino della frutta come modello sperimentale perché presentava una serie di caratteristiche vantaggiose: le dimensioni ridotte, la facilità di allevamento, la brevità dell’intervallo fra una generazione e la successiva, la facilità nell’identificare caratteri chiaramente riconoscibili, la possibilità di indurre con una certa facilità mutazioni creando nuovi alleli accanto a quelli selvatici. Il gruppo di Morgan effettuò diversi tipi di esperimenti, alcuni dei quali erano finalizzati a verificare la validità della terza legge di Mendel. Per raggiungere questo scopo Morgan prese in esame diversi caratteri per verificare se i loro alleli segregavano indipendentemente secondo quanto stabilito da Mendel. Egli scoprì così che in molti casi i rapporti fenotipici erano in disaccordo con quelli previsti dalla legge dell’indipendenza. Consideriamo per esempio i caratteri «colore del corpo» e «forma delle ali», entrambi determinati da una coppia di alleli: • l’allele selvatico B (corpo grigio) domina su b (corpo nero); • l’allele selvatico F (ali normali) domina su f (ali vestigiali, cioè di dimensioni ridotte). Incrociando un individuo eterozigote per entrambi i caratteri (genotipo BbFf) con un individuo omozigote recessivo (genotipo bbff) Morgan si aspettava di osservare quattro fenotipi in rapporto di 1:1:1:1, ma successe qualcosa di diverso. Il gene per il colore del corpo e il gene per la dimensione delle ali non si distribuivano in modo indipendente: anzi, per lo più venivano ereditati congiuntamente. Solo un piccolo numero di individui presentava la ricombinazione prevista da Mendel. Questi risultati trovarono una spiegazione quando Morgan considerò la possibilità che i due loci fossero situati sullo stesso cromosoma, cioè che fossero associati. Dato che in una cellula il numero dei geni è molto superiore a quello dei cromosomi, ogni cromosoma deve contenere parecchi geni. Oggi diciamo che l’intera serie di loci di un dato cromosoma costituisce un gruppo di associazione. Il numero di gruppi di associazione tipico di una specie corrisponde al suo numero di coppie di cromosomi omologhi. I geni localizzati uno vicino all'altro sullo stesso cromosoma si chiamano geni associati (concatenati, in linkage) e fanno parte del medesimo gruppo di linkage o di associazione. I geni associati si muovono insieme durante la meiosi, alla fine giungono alla medesima destinazione (lo stesso gamete) e non ci si aspetta che si assortiscano in modo indipendente. I geni che si trovano su cromosomi diversi sono distribuiti nei gameti indipendentemente l'uno dall'altro (legge di Mendel dell'assortimento indipendente). I geni che si trovano sullo stesso cromosoma, invece, tendono a stare insieme durante la formazione di gameti. Così i risultati ottenuti sottoponendo individui diibridi a un testcross o incrocio di prova saranno diversi secondo che i geni siano associati oppure si trovino su cromosomi diversi. I geni su cromosomi diversi hanno un assortimento indipendente e danno nell' incrocio di prova un rapporto di 1:1:1:1. I geni associati non hanno un assortimento indipendente, ma tendono, nelle stesse combinazioni in cui si trovano nei genitori. I geni alla sinistra della sbarra (/) stanno su un cromosoma, quelli alla destra sul cromosoma omologo. Le importanti deviazioni dal rapporto 1:1:1:1, che si osserva nella progenie di un diibrido sottoposto a incrocio di prova, potrebbero essere usate come prova dell'associazione. I geni che si trovano vicini sullo stesso cromosoma normalmente segregano insieme e sono perciò trasmessi insieme. Tuttavia gli alleli di tanto in tanto si scambiano il cromosoma tramite il processo di crossing-over. II crossing-over determina la ricombinazione; in altre parole, rompe l'associazione fra geni che si trovano vicini sullo stesso cromosoma. Il linkage e il crossing-over si possono considerare come processi che determinano effetti opposti: il linkage tiene insieme determinati geni, mentre il crossing-over li rimescola dando luogo a nuove combinazioni. Durante la meiosi, ciascun cromosoma si duplica formando due cromatidi fratelli identici. I cromosomi omologhi si appaiano (sinapsi) e il crossing-over avviene fra cromatidi non fratelli. Quest' ultimo processo comporta la rottura e il ricongiungimento di solo due dei quattro filamenti per ogni punto dato sui cromosomi. Si noti che due dei prodotti meiotići (AB e ab) hanno i geni associati nello stesso modo in cui si trovano nei cromosomi parentali. Essi sono prodotti dai cromatidi non coinvolti nel crossing-over e vengono indicati come tipi parentali o che non hanno subito il crossing- over. Gli altri due prodotti meiotici (Ab e aB), ottenuti dal crossing-over, hanno ricombinato i rapporti originari di associazione del genitore in due forme nuove, chiamate tipi ricombinanti o che hanno subito il crossing-over. ->MAPPE GENICHE Secondo Morgan, i geni posizionati su loci più distanti ricombinano e si separano con maggiore frequenza di geni posizionati in loci adiacenti, che invece tendono a rimanere associati e segregare insieme, dividendosi con minore frequenza. In base a questa intuizione fu proposto il primo sistema di mappatura del genoma, prendendo la frequenza di ricombinazione come riferimento per posizionare, relativamente gli uni agli altri, in vari geni lungo il cromosoma. L'unità di misura proposta fu il CentiMorgan che rappresentava la distanza genica dell'1%, ossia una ricombinazione ogni 100 eventi di crossing-over. L'utilizzo della frequenza di ricombinazione come indice della distanza genica è soggetto ad una diminuzione dell'accuratezza al crescere della distanza tra i geni, poiché risente degli effetti del crossing-over doppio. La massima frequenza di ricombinazione è del 50%, per cui la massima distanza possibile esprimibile in CentiMorgan è 50. Geni assolutamente associati hanno una distanza pari a 0, cioè non segregano mai indipendentemente. Possono interessare la struttura del cromosoma che viene modificata per: • delezione: viene persa una parte del cromosoma; • inversione: un segmento del cromosoma generatosi da due rotture si inserisce nuovamente nel cromosoma, ma in direzione inversa; • traslocazione: un segmento di un cromosoma viene trasferito in un altro cromosoma; se le rotture avvengono vicino al centromero, può succedere che i due segmenti grandi si uniscano e che gli altri due segmenti diano origine a un cromosoma molto piccolo che viene perso. • formazione di cromosomi ad anello: avvengono due rotture alle estremità di un cromosoma e le due estremità danneggiate si fondono; • duplicazione: una parte del cromosoma viene duplicato e quindi la stessa informazione del DNA è ripetuta; • la formazione di isocromosomi: un braccio del cromosoma viene perso e l'altro duplicato. Gli effetti di queste mutazioni possono essere limitati o devastanti, in base alla quantità e al tipo di materiale genetico perso e alla struttura del cromosoma o dei cromosomi alterati. Molte anomalie cromosomiche non sono compatibili con la nascita. Oltre a cambiamenti di struttura, possono esserci mutazioni del numero di cromosomi: • poliploidie: tutto il set cromosomico è presente in più copie, come nelle piante, letali nell'uomo • aneuploidie: un cromosoma è presente in più o meno copie, dovuto alla non disgiunzione dei cromosomi in meiosi (germinali) o mitosi (somatiche). Le autosomiche sono letali tranne alcuni tipi come la trisomia 21 ->INATTIVAZIONE DEL CROMOSOMA X Sui cromosomi X sono presenti anche geni che codificano per caratteri non sessuali, i meccanismi per evitare uno scompenso nella produzione tra i due sessi sono molteplici. Alcune specie hanno evoluto meccanismi di iper-trascrizione del cromosoma X nei maschi, altre specie hanno optato per l'inattivazione di uno dei due cromosomi X nella femmina. Nei mammiferi avviene questo secondo meccanismo, la cui importanza è tale da rendere eventuali anomalie nel suo funzionamento non compatibili con la vita. L'inattivazione del cromosoma X nelle femmine (e nei maschi XXY) avviene tramite un processo che porta alla condensazione estrema del cromosoma inattivato che assume una forma molto compatta e viene definito corpo di Barr. In questa condizione i geni presenti sul cromosoma non possono essere trascritti e pertanto non vengono espressi. L'unico lucus che rimane accessibile alla RNA- polimerasi è il locus Xic che contiene il gene Xist. L'espressione di questo gene determina la produzione di un m-RNA che non codifica per una proteina ma è formato da una lunga catena nucleotidica che avvolge il cromosoma e ne determina il cambiamento conformazionale. Per evitare che anche l'altro cromosoma venga inattivato, il gene Xist è sotto il controllo di un gene prodotto a partire da un promotore antisenso in 3'. Questo gene, detto, Tsix, produce un m-RNA complementare a Xist-RNA e funge da repressore. ->MUTAZIONI GENOMICHE Con il termine genoma (o patrimonio genetico) si intende l'insieme delle sequenze nucleotidiche del DNA di un individuo; per gli organismi eucarioti ci si può riferire alla serie completa di cromosomi in un gamete (genoma aploide) o in una cellula somatica (genoma diploide). Si parla di mutazioni genomiche o mutazioni cariotipiche quando un individuo presenta cromosomi in più o in meno rispetto al normale. Il numero di cromosomi di un organismo è chiamato numero aploide e indicato con una n. Il numero aploide di un essere umano è 23. I gameti (oociti e spermatozoi) sono cellule aploidi e infatti contengono 23 cromosomi. Le altre cellule, le cellule somatiche, sono cellule diplodi 2n. La presenza di un numero di cromosomi diverso dal numero standard è detta aneuploidia. Per esempio, il corredo cromosomico di un individuo di sesso maschile con la sindrome di Down, in cui sono presenti 3 copie (trisomia) del cromosoma 21, è indicato con 47, XY, +21. Errori nella meiosi portano alla formazione di gameti aneuploidi con un cromosoma in più (n+1) o in meno (n- 1). Se questi gameti vengono fecondati da gameti normali, la cellula che si forma e da cui derivano tutte le cellule dell'organismo (zigote) hanno un cromosoma in più (trisomia, 2n+1) o in meno (monosomia, 2n-1). ->MALATTIE GENETICHE Le malattie genetiche (o i disordini genetici) dipendono dall'alterata funzionalità di uno o più geni a causa di mutazioni. Se tale variazione interessa uno o più geni, la struttura e la funzionalità dei prodotti codificati (proteine o molecole di RNA) può essere alterata in modo più o meno rilevante, compromettendo diverse funzioni vitali e quindi lo stato di salute di un individuo. La gravità delle malattie genetiche dipende da diversi fattori: tipo e numero di geni interessati, età di insorgenza, esistenza o meno di approcci terapeutici. Le malattie genetiche sono ereditabili solo se le mutazioni sono presenti anche nel DNA delle cellule germinali (spermatozoi e cellule uovo). A seconda del tipo e del grado di estensione delle mutazioni, le malattie genetiche possono essere classificate in: • cromosomiche: dovute ad alterazioni della struttura (mutazioni cromosomiche) o del numero dei cromosomi (mutazioni genomiche) e, poiché coinvolgono diversi geni, sono particolarmente gravi. (Vedi inversione, delezione, traslocazione, duplicazione) • geniche o monofattoriali: dovute ad alterazioni della struttura (mutazioni cromosomiche) o del numero dei cromosomi (mutazioni genomiche) e, poiché coinvolgono diversi geni, sono particolarmente gravi. Ne sono esempi l'anemia falciforme, la talassemia, l'emofilia, la fibrosi cistica e molte altre. L'ereditarietà della maggior parte di queste malattie è di tipo mendeliano e sono classificate come autosomiche o legate al sesso, a seconda se il gene o meglio l'allele mutato risiede su una delle coppie di autosomi o su uno dei due cromosomi sessuali, più frequentemente sul cromosoma X. L'allele mutato, la cui alterata funzionalità è responsabile della comparsa dei sintomi della malattia, può essere dominante o recessivo, determinando malattie autosomiche dominanti o recessive. • multifattoriali: sono dovute ad alterazioni nella funzionalità di più geni, non sempre noti, e all'influenza di fattori ambientali. Nella maggior parte dei casi le mutazioni coinvolte non sono strettamente responsabili dell'insorgenza delle malattie, ma comportano una maggiore predisposizione, anche grazie alla concomitanza di fattori ambientali scatenanti, dipendenti ad esempio dall'alimentazione e dallo stile di vita in generale. Le malattie multifattoriali sono tra le principali cause di malattia e di morte. Rientrano in questa categoria il diabete, il cancro, l'asma, le malattie cardiovascolari e quelle mentali e problemi comportamentali come l'alcolismo. • mitocondriali: le malattie mitocondriali sono rari disordini dovuti a mutazioni sia del DNA nucleare sia di quello mitocondriale. In quest'ultimo caso le malattie seguono un'ereditarietà non mendeliana di tipo matrilineare (da madre a figli) perché la massa di citoplasma dello zigote viene fornita solo dalla cellula uovo al momento della fecondazione. Le malattie mitocondriali si caratterizzano per difetti nel funzionamento della catena respiratoria e della fosforilazione ossidativa, compromettendo la produzione di ATP e quindi il metabolismo energetico di molti organi, soprattutto muscoli e cervello. Per tale ragione sono note anche come neuro- miopatie mitocondriali. ->MALATTIE MONOFATTORIALI/ MENDELIANE Le malattie mendeliane sono malattie dovute alle mutazioni di un singolo gene. Queste malattie si distinguono in tre gruppi: • Le malattie autosomiche dominanti si manifestano quando è presente almeno un allele difettoso (quindi se almeno un genitore è portatore della mutazione). Possono essere colpiti sia i maschi che le femmine ed entrambi possono trasmettere la malattia alla propria progenie. Appartiene a questo gruppo di malattie la malattia di Huntington (HD) è una malattia neurodegenerativa progressiva, caratterizzata autosomica dominante. La malattia insorge tardiva per la formazione di una proteina alterata tossica detta "huntingtina" che è espressa sia nel sistema nervoso che nei tessuti periferici. • Le malattie autosomiche recessive si manifestano quando entrambi gli alleli sono mutati (entrambi i genitori devono avere almeno un allele difettoso). Di solito i genitori non mostrano segni della malattia, mentre i figli di genitori eterozigoti (con un allele sano e uno difettoso) hanno una probabilità su quattro di essere affetti dalla malattia. L’anemia falciforme è dovuta a una mutazione del gene che codifica la catena beta dell’emoglobina. Negli individui omozigoti recessivi tutte le molecole di emoglobina (HbS) sono alterate. Esse tendono a cristallizzare deformando i globuli rossi che assumono la tipica forma a falce. • Le malattie legate all' X sono dovute a mutazioni nei geni presenti sul cromosoma X. Sono quasi tutte malattie recessive. Poiché il cromosoma X e il cromosoma Y per gran parte non sono omologhi, un allele mutato sul cromosoma X non ha un allele appaiato sul cromosoma Y. Queste malattie si manifestano solo nei maschi. Un maschio affetto non trasmette la malattia ai figli, ma tutte le figlie sono portatrici dell'allele mutato. I figli delle madri eterozigoti hanno una probabilità su due di ereditare il gene mutato. Appartengono a queste malattie l'emofilia e la distrofia muscolare di Duchenne o il daltonismo. Quest'ultimo consiste nell’incapacità di distinguere i colori per alterazioni di una popolazione di coni (cellule) della retina. Può manifestarsi nella femmina solo in caso di individuo omozigote recessivo (molto raro), mentre nel maschio l’allele recessivo per il daltonismo è unico e si esprime da solo non essendoci l’allele omologo sul cromosoma Y. CITOMERIA A FLUSSO La citometria a flusso è una tecnica che permette di riconoscere, contare ed eventualmente isolare sottogruppi di cellule sulla base di alcune caratteristiche fisiche proprie delle cellule stesse e dei segnali generati da marcatori fluorescenti (in quest’ultimo caso si parla di citofluorimetria). Poiché il campione da analizzare deve necessariamente contenere cellule tutte separate fra loro, è particolarmente adatta alla caratterizzazione dei tumori del sangue e del midollo osseo. Molto spesso è chiamata citofluorimetria a flusso, perché la versione più diffusa prevede l’utilizzo di molecole fluorescenti. L’analisi viene fatta su un campione di cellule tutte separate tra loro, tipicamente le cellule presenti nel sangue o in altri fluidi biologici. Per l’analisi si utilizza uno strumento chiamato citometro a flusso o citofluorimetro, costituito da cinque componenti principali: 1. cella a flusso, un circuito in cui scorre un liquido in cui sono trasportate le cellule, allineate in modo che passino attraverso il raggio di luce per il rilevamento. Le cellule devono passare in modo uniforme attraverso il centro dei raggi laser focalizzati per misurare le proprietà ottiche delle cellule nel citometro. Per posizionare precisamente le cellule si utilizza un getto di liquido nel processo di focalizzazione idrodinamica. 2. sistema di misurazione comprende una o più sorgenti laser che emettono fasci di luce di particolari lunghezze d’onda e i rilevatori (fotomoltiplicatori), che convertono i segnali luminosi in segnali elettrici. 3. rilevatore e sistema di conversione da analogico a digitale (ADC), che converte le misurazioni analogiche della luce diffusa in avanti (FSC) e lateralmente (SSC)