Scarica Appunti di Biologia Animale e Vegetale e più Appunti in PDF di Biologia Animale solo su Docsity! Le membrane cellulari che rivestono le strutture interne della cellula e la cellula stessa sono formate da lipidi, proteine e in minor quantità anche da carboidrati. Il ruolo delle membrane cellulari è quello di creare un ambiente interno rispetto ad un ambiente esterno, e formare una barriera di permeabilità. La cellula deve poter comunicare con l’ambiente circostante perche deve mantenere un equilibrio. Per fare questo sono presenti sulla membrana delle proteine specifiche che hanno il compito di trasportare sostanze che normalmente per la loro natura chimica non potrebbero passare attraverso la membrana. Permettono quindi il passaggio di ioni o di molecole polari di grandi dimensioni. Le membrane servono per fare organizzazione all’interno delle cellule eucariote, in questo modo i compartimenti interni ( organelli) possono svolgere funzioni specifiche. Inoltre permette alle cellule di svolgere più processi biologici e regolarli finemente. Sulle membrane troviamo anche proteine che svolgono la funzione di recettori del segnale, che quindi ricevono segnali dall’ambiente esterno e lo trasmettono in modo tale da permettere al nucleo di rispondervi. Sono presenti anche proteine di riconoscimento che riconoscono cellule dello stesso tipo e vi si legano per formare i tessuti. Nelle cellule procariote che non presentano organelli circondati da membrana, gli enzimi per svolgere alcune funzioni si trovano associati direttamente alla membrana plasmatica. In questo caso le membrane sono in grado di formare dei DOMINI che avviginano gli enzimi coinvolti in uno stesso processo cellulare che non è metabolico. Si tratta di una via di segnalazione in cui ci sono una serie di reazioni a catena. Un enzima produce un prodotto che è il subrtato di quello successivo, se gli enzimi si trovano a grande distanza, il prodotto ci impiega molto tempo ad arrivare sul secondo enzima, la membrana si organizza ad avvicinare tutte le molecole coinvolte nello stesso processo in modo tale che le reazioni chimiche avvengano in maniera più rapida. Questo processo è svolto sia dalle membrane plasmatiche che da membrane interne. I carboidrati si trovano legati alle proteine come glicoproteine o legate ai lipidi come glicolipidi. Sono sempre presenti solo su uno dei due lati della membrana. Nelle membrane plasmatiche la parte oligosaccaridica è sempre rivolta verso l’esterno. Svolgono una funzione di riconoscimento. Le glicoproteine portano una cellula a riconoscere una cellula dello stesso tipo in modo da formare un tessuto, oppure sono recettori che ricevono segnali dall’ambiente esterno. La struttura portante delle membrane è fatta da fosfolipidi che sono divisi in fosfogliceridi e fosfosfingolipidi. In alcune membrane sono anche presenti glicolipidi e sfingolipidi. Vi si trovano anche gli steroli. Sono tutte molecole anfipatiche. Questa loro caratteristica chimica è stata fondamentale dal punto di vista evolutivo perche conferisce un maggiore vantaggi. FOSFOGLICERIDI: costituiti da uno scheletro di glicerolo, tre atomi di carbonio. A 2 ossidi di questo alcool si legano 2 acidi grassi che possono essere saturi o insaturi. In condìzioni normali quando abbiamo il doppio legame gli acidi grassi hanno la conformazione cis. È presente un gruppo fosfato che lega sempre una molecola polare. Prende il nome di acido fosfatidico, quindi la molecola di partenza per fare i fosfogliceridi che devono contenere una molecola polare. La molecola polare e il fosfato sono la testa polare del fosfolipide. FOSFOSFINGOLIPIDI: formato da uno scheletro di sfingosina: presenta due gruppi relativi, l’ossidirle e il gruppo amminico, il gruppo amminico lega una molecola di acido grasso formando la ceramide. Le due code idrocarburiche che si trovano nei fosfgliceridi sono formate da una sola coda idrocarburica della sfingosina e un acido grasso saturo o insaturo. La ceramide non è un fosfogliceride. Per formare un fosfosfingolipide devo avere un gruppo fosfato che va a legarsi all’ossidrile e devo avere una molecola polare. La testa polare dei un fosfosfingolipide è fatta dalla molecola polare e dal gruppo fosfato. GLICOSFINGOLIPIDI: hanno come scheletro di partenza la ceramide, cioè la sfingosina. All’ossidrile libero della ceramide si lega un monosaccaride, una piccola catena oligosaccaridica. Si ottiene una molecola anfipatica perche la catena oligosaccaridica è quella fortemente polare, la parte restante è quella idrofobica. GLICOGLICEROLIPIDI: ci possono essere anche glicolipidi in cui la parte oligosaccaridica non si lega allo scheletro portante della ceramide ma a quello del glicerolo: ha una struttura che ricorda quella dei fosfoglicerolipidi: glicerolo, 2 acidi grassi e una catena oligosaccaridica. Entrambe le classi di glicolipidi si ritrovano sulla faccia esterna della membrana cellulare in modo che la parte oligosaccaridica sia rivolta verso l’esteno. STEROLI: sono molecole anfipatiche. Nel caso delle cellule animali si ha il colesterolo. Non lo si trova sulle membrane dei mitocondri e dei cloroplasti. Nelle cellule procariote sono presenti gli opanoidi, sulle cellule vegetali sono presenti i fitosteroli. Il gradiente di concentrazione è la forza che permette di spostare un soluto attraverso trasporto passivo dalla zona più concentrata a quella meno concentrata. Il trasporto attivo invece avviene contro gradiente di concentrazione dalla zona meno concentrata a quella più concentrata e per avvenire necessita di proteine di trasporto e di energia. Dato che il movimento è contrario questi movimenti vengono chiamati pompe. In questo caso si parla di gradiente elettrochimico. Lo ione può essere carico positivamente o negativamente. Tutte le membrane degli esseri viventi portano un accumulo di cariche positive verso il foglietto esterno della membrana e un accumulo di cariche negative verso il foglietto interno della membrana. Nelle nostre membrane si può calcolare una differenza di potenziale pari a -60mV. La presenza di una differenza di potenziale è alla base della possibilità dei nostri neuroni di trasmettere l’impulso elettrico. Avendo questa differenza di potenziale quando si va a vedere il trasporto di uno ione devo vedere sia la sua diversa concentrazione tra l’interno e l’esterno ma anche la distribuzione delle cariche sulle 2 facce della membrana. Si tratta di un movimento passivo secondo gradiente di concentrazione senza consumo di energia se la concentrazione è maggiore per entrambi gli ioni all’esterno rispetto all’interno. Se faccio muovere il catione verso l’interno ho come forza motrice la differenza di concentrazione e la presenza di cariche negative verso l’interno, quindi il suo movimento sarà molto veloce. Se faccio muovere un anione la forza che lo spinge verso l’interno sarà la differenza di concentrazione e non la parte elettrica perche fino a quando c’è una grande differenza di concentrazione tende ad entrare, poi ad un certo punto rallenta. Sia la diffusione semplice che facilitata sono un movimento spontaneo. Se si ha una membrana che separa i 2 compartimenti con un soluto a differente concentrazione, l’energia cinetica posseduta dalla molecola concentrata nel compartimento A spingeranno in maniera spontanea il soluto attraverso la membrana o per diffusione semplice o con l’ausilio di proteine per raggiungere il compartimento in cui è assente fino a quando non si raggiunge una condizione di equilibrio. L’equilibrio è sempre dinamico, infatti quando raggiungo l’equilibrio raggiungo la stessa velocità con cui le molecole di A passano in B e la stessa velocità con cui le molecole di B passano ad A. Sono proteine trans-membrana che attraversano completamente il doppio strato fosfolipidico, formano un canale interno alla membrana e hanno nella parte interna aminoacidi idrofilici perche devono far passare ioni quindi molecole cariche. La parte esterna è ricca di aminoacidi idrofobici. Ci sono tre tipologie di canali: Canali ionici: sono selettivi per gli ioni e sono regolati, quindi fanno passare o uno ione o una familia di ioni solo in un determinato momento. Avviene solo dopo che questi canali hanno ricevuto uno stimolo Acquaporine sono deputate al trasporto di acqua. Porine si trovano nelle membrane esterne del mitocondrio o del cloroplasto e non sono specifici come i canali ionici. Sono sempre aperti. Hanno un diametro discreto e fanno passare sia ioni che soluti in base alla loro dimensione. Non c’è un filtro di specificità. Proteine trans-membrana fatte a foglietto beta sempre aperte. Le sostanze passano ta l’esterno e l’interno fino a quando non si è raggiunta una condizione di equilibrio. Quando c’è equilibrio le sostanze passano in entrambe le direzioni. Sono canali che attraversano completamente il doppio strato fosfolipidico e sono selettivi soltanto per le molecole di acqua. Vennero scoperte da Peter Agree. Sono presenti soprattutto a livello dei reni dove c’è una grande esigenza di scambiare rapidamente l’acqua. Sono state trovate anche in organismi unicellulari come funghi e lievito. È sempre carico di uno ione in particolare o di una familia di ioni: il movimento di questo ione avviene solo in caso di uno stimolo specifico. Normalmente questi canali sono chiusi e vengono aperti quando c’è l’esigenza di far passare uno ione secondo gradiente di concentrazione. Ci possono essere anche canali regolati dal voltaggio quindi dalla differenza di potenziale. Questo per esempio accade nelle nostre cellule nervose che risentono del cambio di differenza di potenziale che ad un certo punto si può realizzare in una cellula e si aprono. Quando si ha una carica positiva maggiore verso l’esterno, sotto segnalazione chimica le cellule nervose ribaltano la differenza di potenziale. La membrana diventa + verso l’interno e - verso l’esterno. Questo è il segnale che ci porta ad aprire il canale ionico. Ci possono essere molecole chiamate ligandi che vanno a riconoscere il canale e li inducono all’apertura. Ci possono essere messaggeri esterni o intracellulari. Ci possono essere proteine aperte da uno stimolo di tipo meccanico In assenza di un segnale il canale rimane chiuso Se passato lo stimolo il canale non si chiude in tempo lo ione può nuovamente fuoriuscire. Per quanto riguarda i soluti polari non ci sono canali ma ci sono le proteine trasportatrici permeasi o carrier. Sono sempre proteine integrali di membrana ma non formano un canale. Riescono a riconoscere in maniera specifica il soluto da trasportare. La loro specificità è simile a quella agli enzimi che hanno delle regioni tridimensionali della loro struttura che riconoscono la struttura del substrato. Lo stesso tipo di riconoscimento viene fatto dalla permeasi e il suo soluto. Il soluto dà un segnale alla proteina che va incontro a un cambio di conformazione. Le proteine sono in grado di esistere in due conformazioni tridimensionali diverse con funzioni leggermente diverse e vengono chiamate proteine allosteriche. Sono specifici, infatti è il soluto a dare il segnale per il cambio di conformazione. Quando si raggiunge l’equilibrio funzionano anche al contrario. Il cambio di conformazione permette al soluto di passare senza prendere contatto con le code degli acidi grassi. Le proteine che sono in grado di trasportare una sola sostanza attraverso la membrana prendono il nome di proteine uniporto. Quelle che sono in grado di trasportare due molecole in contemporanea nella stessa direzione prendono il nome di simporto e sono le permeasi o carrier. Quando invece una proteina è in grado di permettere i passaggio di due molecole in direzioni opposte prende il nome di antiporto.Queste proteine sono coinvolte nel trasporto attivo . Le proteine sono saturabili perche per poter trasportare la sostanza attraverso la membrana devono riconoscere quella sostanza. La sostanza va a riconoscere una regione specifica del trasportatore, vi si lega con interazioni deboli e si ha il cambio di conformazione che è alla base del trasporto attraverso la membrana. Se ho tutte le proteine carrier occupate non passa più la sostanza e avrò una velocità di trasporto che ha raggiunto il suo valore massimo. Con la diffusione semplice questo non accade perche in questo caso all’aumentare della sostanza aumenta anche la velocità di trasporto. Se la concentrazione della sostanza all’esterno della cellula è grande e la aumento continuamente, aumento il gradiente di concentrazione, cioè la differrenza tra l’interno e l’esterno. Aumenta la velocità con cui passano queste sostanze fino a raggiungere l’equilibrio. Nel caso del trasporto facilitato si ottiene un grafico che è un iperbole. È caratterizzato da una fase iniziale in cui la velocità di trasferimento è direttamente proporzionale alla concentrazione come nella diffuzione semplice ma si arriva ad un certo punto in cui si ottiene la velocità massima, oltre alla quale anche se si aggiunge sostanza all’esterno non aumenta la velocità, perche per poter passare questa molecola deve trovare una proteina carrier a cui legarsi. Per aumentare la velocità devo aumentare il numero di proteine carrier e per poterlo fare devo mandare un segnale al nucleo che risponde attivando la sintesi di nuove proteine carrier che vengono portate alla membrana e a questo punto riaumenta la velocità di trasporto verso l’interno. Tutte le diffusioni sono accumunate dall’equilibrio dinamico. Anche nel caso dei carrier una volta raggiunto l’equilibrio possono trasferire le sostanze verso l’esterno. Nella cellula però ci sono dei meccanismi per cui questo viene impedito. I movimento sono bidirezionali. In condizioni di equilibrio la velocità con cui un carrier fa passare una sostanza è la stessa con cui la fa uscire. Per esempio noi utilizziamo gli zuccheri come fonte di energia e il monosaccaride principale che mi permette di ottenere la maggior parte di ATP è il glucosio. Sparse sulle nostre membrane sono presenti i carrier che riconoscono il glucosio e lo trasportano attraverso diffusione facilitata. Quando le concentrazioni di soluti sono le stesse si ha una condizione Le cellule eucariote animali hanno come condizione ideale la isotonicità. Le cellule vegetali invece vivono bene in condizioni ipertoniche perche presentano una parete cellulare e perche quello che accade in queste condizioni favorisce un sostegno alla struttura cellulare e in caso della pianta anche all’organismo pluricellulare nella sua interezza. Se prendo una cellula vegetale che ha una parete polisaccaridica e la metto in una soluzione ipotonica entra H2O che viene immagazzinata nell’organello che ha una maggiore concentrazione di soluti che è ipertonico cioè il vacuolo centrale. Il vacuolo centrale con un meccaniso di trasporto attivo consumanto energia accumula i soluti all’interno in modo tale da avere una condizione ipertonica rispetto all’esterno. Questo richiama acqua che va all’interno di questo organello. L’organello si gonfia e comincia a spingere verso l’esterno della cellula, cioè verso la parete fino a quando la pressione che sta esercitando viene bilanciata dalla pressione della parete che è una struttura rigida. Questo valore di pressione vine chiamato PRESSIONE DI TURGORE. Alla cellula vegetale manca una struttura citoscheletrica quindi questo sostegno cellulare che dovrebbe essere dato dagli elementi del citoscheletro viene dato da questo meccanismo. La forma della cellula viene mantenuta e permette alle piante che non hanno strutture legnose di crescere in altezza contro la forza di gravità. Le cellule vegetali in condizione isotonica non stanno bene perche perdono H2O e si raggrinziscono. A volte nel caso delle cellule vegetali la membrana si stacca dalla parete e si parla di plasmolisi perchè la cellula va incontro a lisi cellulare. Il trasporto attivo è suddiviso in diretto e indiretto. Necessita di ATP. In quello diretto si vede direttamente l’utilizzo di ATP In quello indiretto non si utilizza direttamente ATP ma un gradiente elettrochimico creato da un trasportatore che utilizza ATP I trasportatori attivi indiretti dipendono dall’azione dei trasportatori attivi diretti e le proteine sia in quello diretto che in quello indiretto sono quelle integrali di membrana e sono proteine allosteriche: hanno due conformazioni. Una con l’apertura del sito che lega la sostanza da trasportare rivolta verso un lato della membrana e l’altra conformazione che ha rivolto questo sito di legame verso l’altra parte della membrana. Le sostanze si muovono da una regione con minor concetrazione a una con maggior concentrazione. I trasportatori vengono chiamati POMPE. Il termine pompa sta a indicare un movimento contro gradiente di concentrazione o contro gradiente elettrochimico. Le pompe maggiormente usate sono le pompe di tipo P che trasportano principalmente ioni utilizzando l’ATP. Utilizzano non soltanto l’energia che deriva dal distacco dell’ultimo fosfato dall’ATP ma vanno a legare direttamente il fosfato inorganico ad un aminoacido della loro struttura. Queste pompe vengono chiamate P perche P sta per fosforilazione. C’è sempre un momento in cui la pompa lega un fosfato e quindi viene fosforilata ed è questo evento che induce il cambio di conformazione e permette di trasportare la sostanza attraverso la membrana. I trasportatori chiamati ABC sono simili come struttura però portano molecole polari anche di grandi dimensioni. Hanno una struttura con attività catalitica anche loro perche sono in grado di idrolizzare l’ATP ma non hanno l’evento di fosforilazione. Le pompe V sono pompe ritrovate nelle vescicole come ad esempio lisosomi o vacuoli litici e sono in grado di trasportare ioni, in particolar modo protoni e hanno attività catalitica quindi utilizano l’energia derivata dall’idrolisi dell’ATP. Ci sono altre pompe chiamate ATP sintasi di tipo F che non sono veramente delle pompe ma sono un complesso proteico che abbiamo nel mitocondrio e nel cloroplasto che permette di fare il contrario di un trasporto attivo. Non idrolizza l’ATP me sono le molecole che creano l’ATP nelle nostre cellule utilizzando il metabolismo energetico. Questi sono complessi proteici che creano l’ATP me allo stesso tempo sono in grado di trasportare p+ attraverso diffusione facilitata.. Le pompe ATP dipendenti sono le pompe P, quelle vescicolari e le ABC È una pompa che mantiene una serie di equilibri compreso quello dei gradienti che vengono usati per il trasporto attivo di tipo secondario cioè la pompa Na/K ATPasi ATPasi significa che ricava energia dall’idrolisi dell’ATP. È una pompa multimerica. È una proteina trans-membrana formata da 4 subunità. 2 di queste hanno l0’attività catalitica in grado di idrolizzare l’ATP. La pompa sodio/potassio ATPasi permette il movimento del sodio e del potassio con un meccaniso di antiporto contro gradiente di concentrazione. Il sodio è più concentrato all’esterno della cellula e il potassio è più concentrato all’interno della cellula. Questa pompa trasporta il potassio all’interno contro gradiente di concentrazione e trasporta gli ioni sodio contro gradiente di concentrazione fuori dalla cellula. A ogni ciclo di attività faccio entrare 2 ioni K e faccio uscire 3 ioni Na La pompa ha 2 catene polipeptidiche alfa dove è presente anche l’attività catalitica dell’idrolisi dell’ATP. In una delle 2 si ha l’aminoacido che viene fosforilato in seguito all’idrolisi dell’ATP e presenta il sito di legame favorevole per il Na rivolto verso l’interno della cellula. Il sito di legame per il K è rivolto verso l’esterno. Le 2 catene B sono delle glicoproteine. Hanno le catene oligosaccaridiche rivolte verso l’esterno della cellula Inizialmente si ha la conformazione allosterica 1 che può variare la struttura nativa passando dalla conformazione E1 alla conformazione E2. La differenza è che in un caso ho un sito di legame per gli ioni verso l’interno della cellula, nell’altro ho il sito di legame rivolto verso l’esterno. Quando è nella conformazione E1 ha affinità per il Na. 3 ioni di Na si vanno a legare. Questo attiva l’attività enzimatica catalitica della proteina. Prende l’ATP nella cellula, fa idrolisi. Si forma ADP+Pi e il fosfato che viene liberato viene legato in modo covalente al trasportatore stesso. L’evento di fosforilazione è quello che da l’imput per cambiare conformazione dalla conformazione 1 alla conformazione 2. Questo tipo di struttura ha meno affinità di legame per il Na. I 3 ioni vengono rilasciati fuori dalla cellula e in questo punto si legano 2 ioni K e il legame con il K riattiva l’attivita catalitica della pompa. Il Pi viene staccato e la pompa ricambia forma e torna alla conformazione E1. il K viene rilasciato all’interno. È una pompa fondamentale per le cellule animali e viene chiamata pompa elettrogenica. La sua capacità elettrogenica risiede nel movimento netto degli ioni K e Na . Accumulo cariche positive all’esterno e cariche negative all’interno, infatti le nostre membrane presentano una differneza di potenziale. Nelle cellule animali la responsabile del mantenimento di questo potenziale è la pompa Na/K ATPasi. Se lei smettesse di funzionare a livello del nostro tessuto nervoso non avremmo più una segnalazione elettrica. Quando a livello del muscolo scheletrico o muscolo cardiaco non c’è più la possibilità di segnalazione allora i muscoli saranno morti. Le non hanno una pompa Na/K ATPasi ma hanno una pompa elettrogenica che svolge la stessa funzione. Creare una differenza di potenziale. È una pompa di tipo P ATPasica ed è una pompa protonica presente anche nei batteri e nei funghi. Si tratta di un movimento uniporto perche trasporta soltanto gli ioni H e li porta all’interno della cellula verso l’esterno. La differenza di potensiale è sempre più positiva all’esterno rispetto all’interno. La pompa può esistere in due conformazioni allosteriche. Una con un sito di legame per i protoni da un lato della membrana e l’altra dall’altro lato. L’evento per cambiare conformazione è sempre quello della fosforilazione. Il meccanismo di trasportazione è leggermente diverso. Parto da una pompa fosforilata con già legato il fosfato e una concentrazione di ioni H all’interno e una maggiore concentrazione di ioni H all’esterno. Arrivano gli ioni H, si legano, si ha un cambio di conformazione che rilascia il protone verso l’esterno. Una volta lasciata verso l’esterno la struttura cambia conformazione. Poi viene rifosforilata e riparte il ciclo. Nei lisonomi e nei vacuoli ci sono delle pompe protoniche ma non sono pompe di tipo P. Utilizzano l’ATP come fonte di energia ma non hanno l’evento di fosforilazione. Quando si parla dei lisosomi si parla di organelli con ph acido. Questo ph acido viene mantenuto perche i p+ vengono pompati verso l’interno ma tramite pompe di tipo V. Una pompa acida di tipo ATPasico la si può avere anche nel nostro stomaco. Si ha un trasportatore che fa trasporto attivo diretto che scambia protoni con ioni K utilizzando l’idrolisi dell’ATP. Il trasportatore tende a scambiare p+ con ioni K, il K viene fatto entrare nella cellula contro gradiente di concentrazione e i p+ verso l’esterno, nel lume dello stomaco. maggior parte da aminoacidi ma che presenta al suo interno anche una molecola organica responsabile dell’assorbimento della radiazione luminosa. Si chiama retinale e deriva dai terpeni ed è lo stesso che permette a noi la vista. Il retinale permette di assorbire la radiazione luminosa, quindi i fotoni e l’energia dei fotoni viene usata per pompare i protoni dall’interno verso l’esterno della cellula. È la pompa protonica di questo batterio ma invece di usare ATP utilizza la luce. (pompa luce/dipendente) Gli studi che portarono a scoprire la reale struttura della membrana plasmatica iniziarono alla fine del 1800 grazie ad un ricercatore ) che fece degli esperimenti su delle cellule isolate per capire quali fossero le sostanze in grado di attraversare la membrana. Vide che era possibile far passare attraverso la membrana con una certa velocità sostanze apolari. Le sostanze polari invece non entravano nella cellula e quindi arrivò a formulare che il rivestimento di queste cellule doveva essere di natura lipidica. Gli studi continuarono con i lipidi. Si cominciò a capire la loro natura chimica e si capì che questi lipidi sono dei fosfolipidi. Una volta saputa la loro natura chimica cominciarono a chiedersi come questi fosfolipidi si disponessero per formare le membrane. Un altro ricercatore, estrasse i fosfolipidi che cellule che stava studiando. Come solvente per l’estrazione utilizzò il benzene. L’ambiente cellulare di un essere vivente è fatto prevalentemente di acqua. Simulò questa percentuale di acqua presente nel nostro organismo sciogliendo il benzene con i fosfolipidi in un bicchiere di acqua. Il benzene all’interno del bicchiere di acqua ha una parte a contatto con l’acqua e una parte a contatto con l’atmosfera. Il benzene a contatto con l’atmosfera evapora e una volta evaporato in soluzione rimane solo l’acqua e i fosfolipidi che sono molecole fortemente idrofobiche. A questo punto si stabiliscono le interazioni idrofobiche. Le code idrocarburiche si organizzano in modo tale da avere un minor contatto possibile con l’h2o, quindi dispongono le code verso l’aria. Le teste polari invece formano legami a idrogeno con l’acqua. Longmuir dedusse da questo esperimento che la membrana cellulare fosse costituita da un unico strato di fosfolipidi, quello che lui vide però non era la realtà. Le nostre membrane sono costituite da un doppio strato di fosfolipidi. A dimostrare questo furono due ricercatori: . Studiarono le membrane dei globuli rossi perche sono cellule che si estraggono facilmente. Cercarono di rifare in laboratorio l’esperimento di Longmuir sui globuli rossi e andarono a occupare la superficie occupata dai fosfolipidi dei globuli rossi una volta che erano stati messi nel bicchiere di h2o ed il benzene era evaporato. Ottennero una misura, misurarono poi la superficie del globulo rosso confrontarono i due valori. Se la composizione dei fosfolipidi fosse monostrato in tal caso i due valori avrebbero dovuto coincidere, ma non fu così. Ottennero in vitro dei fosfolipidi che occupavano uno spazio che era il doppio rispetto alla superficie dei globuli rossi. Dedussero così che la membrana cellulare fosse costituta da un doppio strato di fosfolipidi e da un punto di vista chimico l’unico modo per disporsi così era quello di mettere le code idrofobiche di 2 fosfolipidi che si fronteggiano in modo da esporre la minor superficie possibile a contatto con l’acqua e le teste polari a contatto con l’acqua. la forza che portava le molecole a disporsi così era un interazione idrofobica. Nella nostra quotidianità usiamo spesso molecole lipidiche che hanno una natura anfipatica ma che se si mettono in soluzione con la loro struttura tridimensionale non formano un doppio strato fosfolipidico ma un singolo strato (es:detergenti). Hanno una struttura tridimensionale conica e prendono il nome di micelle. Nel 1935 i ricercatori proposero il modello a Sandwich I loro studi iniziarono perche questi due ricercatori sostenevano che il solo modello del doppio strato fosfolipidico non bastasse per spiegare come alcune molecole polari e ioni fossero in grado di attraversare la membrana, seppur in maniera più lenta rispetto alle molecole apolari. Ipotizzarono che a permettere il passaggio di queste molecole fossero delle proteine, grazie alla loro natura chimica. Gli studi confermarono l’esistenza delle proteine ma dato che l’unico tipo che avevano studiato fino a quel periodo erano delle proteine che presentavano dei gruppi polari dissero che queste proteine polari andavano a interagire con le teste polari. Proposero un modello diverso rispetto al modello reale. Questo modello rimase fino a metà del secolo scorso perche con il microscopio elettronico si potè osservare le membrane e si ottenne un’immagine in si vedeva due cellule vicine ogniuna circondata dalla propria membrana e si vedeva due linee scure ed una centrale e lo spessore era sempre costante in tutti i punti ed era costante in tutte le cellule. Se si andava a fare ulteriori esperimenti su queste membrane si potè però notare che questo modello a sandwich non tornava. Se devo staccare queste proteine per poterle studiare devo utilizzare un detergente molto forte. Se fossero veramente attaccate solamente alla parte idrofilica sarebbe possibile separarle anche solo son un detergente debole come l’urea. Non tornavano le misure perche quando le proteine venivano isolate non avevano tutte la stessa misura. Se fosse veramente una membrana unitaria avrebbero tutte la stessa grandezza. Se trattavano questa membrana con enzimi in grado di degradare i lipidi, riuscivano a degradare le membrane facilmente. Se ci fossero state proteine di superficie, gli enzimi per poter entrare e distruggere i lipidi avrebbero avuto delle grosse difficoltà. Qualche anno dopo trattando le membrane con la microscopia elettronica si è visto che i dubbi che erano rimasti sul modello a sandwich della membrana erano veri e che non poteva rispecchiare quella che era la struttura delle membrane biologiche. La tecnica utilizzata fu la tecnica della criofrattura che permette di osservare le membrane al microscopio elettronico separando inizialmente i due foglietti. Si congela un preparato istologico e poi le singole cellule vengono trattate con un microscopio particolare che presenta una lama e permette in condizioni di tessuto congelato di separare in maniera netta i due foglietti del doppio strato fosfolipidico. trans-membrana presentano una struttura secondaria as alfa-elica. Le proteine canale presentano una struttura secondaria a beta foglietto. C’e un asimmetria anche nella disposizione die fosfolipidi. I due foglietti possono diversificarsi anche per quanto riguarda la composizione dei fosfolipidi. Possono avere dei fosfosfingolipidi in un solo foglietto e magari fosfogliceridi sull’altro foglietto. Questo modifica leggermente la fluidità e tiene conto di un ruolo strutturale che questi fosfolipidi possono avere ma ha anche una sorta di segnalazione. Le membrane sono fluide o semifluide. Possono passare da uno stato a gel ad una consistenza simile a quella dell’olio. I lipidi si possono muovere utilizzando l’energia termica e quindi l’energia che assorbono per i movimenti cinetici degli atomi ruotando sul loro asse centrale, possono diffondere lateralmente senza nessun problema. Possono fare dei movimenti che vengono chiamati flip-flop dove un fosfolipide presente sul foglietto esterno della membrana si capovolge e si posiziona sul foglietto interno. Questi movimenti non sono spontanei a differenza della rotazione e della diffusione laterale. Non sono spontanee perche se sposto la testa polare dall’altra parte la faccio passare attraverso uno spazio apolare e non sono in grad i farlo spontaneamente. Ho bisogno di un enzima che prenda il fosfolipide, lo racchiuda al suo interno nascondendo la parte polare e favorisce il ribaltamento verso l’interno. Sono movimenti catalizzati da enzimi che vengono chiamati flippasi e richiedono dispendio di energia. Vengono fatte quando c’è bisogno di modificare la struttura dei due foglietti. Questi movimenti si realizzano spesso nelle membrane del REL perche è l’organello deputato alla sintesi dei fosfolipidi cellulari. Le proteine si possono muovere solo sul piano laterale e questi movimenti li possono fare solo le proteine integrali di membrana. La possibilità di svolgere movimenti da parte di queste proteine è stata dimostrata da che presero due cellule diverse di due eucarioti animali simili tra di loro: una cellula murina e una umana. Hanno marcato le proteine con molecole fluorescenti che presentavano un emissione di fluorescenza a diversa lunghezza d’onda in modo da poter osservare queste cellule con un misìcroscopio a fluorescenza. Misero in condizioni sperimentali le cellule in modo tale da poter favorire la fusione delle due cellule. Si favorisce la fusione delle 2 cellule creando una cellula ibrida dove pochi istanti dopo la fusione si andava a osservarla al microscopio a fluorescenza che rispecchiava le 2 diverse tipologie di proteine. Dopo pochissimi minuti questa disposizione così uniforme scompare e si comincia a avere un rimescolamento della fluorescenza. Dopo 40 minuti si vede una distribuzione a mosaico delle proteine. Questo è possibile perche in queste condizioni la membrana aveva una fluidità tale da consentire il movimento laterale delle proteine. Se si vuole bloccare le proteine in un punto ed evitare che queste diffondano lateralmente devi modificare la composizione dei fosfolipidi e rendere quelle membrane più rigide. Ogni tipo di membrana in base alla composizione dei fosfolipidi e quindi in base alle caratteristiche dei fosfolipidi presenta una temperatura di transizione. Una membrana biologica si distingue rispetto ad un altra per la tipologia dei fosfolipidi che permette di avere a questa membrana una temperatura di transizione: è il valore di temperatura che indica la soglia in cui la membrana può transitare tra la consistenza di un gel semisolido e la consistenza più fluida. Quando conosco la temperatura di transizione di una membrana e so la mia condizione ambientale so dire se la membrana è in condizioni di fluido o in codizioni di gel. Cosiderando la temperatura di transizione specifica di questa membrana se aumento la temperatura esterna ad un valore che è maggiore di quello di transizione fornisco agli atomi degli acidi grassi l’energia sufficiente per avere un’energia cinetica tale da potersi muovere. Queste code si muovono e in modo spontaneo creano una struttura disordianta e quindi più fluida. Se ho una temperatura esterna più bassa della temperatura di transizione, gli acidi grassi non hanno un’energia cinetica sufficiente per muoversi, rimangono fermi, prevalgono le interazioni idrofobiche fra le catene degli acidi grassi. A determinare la temperatura di transizione della membrana sono: la lunghezza degli acidi grassi e il numero dei doppi legami, quindi il grado di insaturazione degli acidi grassi. Entrambi questi parametri influenzano la condizione di ordine o disordine della membrana All’aumentare del numero di atomi di C degli acidi grassi presenti nei fosfolipidi di membrana si ha una membrana più rigida. Se aumento gli atomi di C aumentano le interazioni idrofobiche. La membrana sarà più compatta e più solida ed è una membrana che avrà una temperatura di transizione più elevata. Il numero di doppi legami influenza la temperatura al contrario. Se ho acidi grassi saturi, privi di doppi legami, la temperatura sarà più elevata. Diminuisce la temperatura di transizione all’aumentrare del numero di doppi legami perche i doppi legami creano delle pieghe negli acidi grassi che assumono l’isomeria cis e qundi ho un minor numero di interazioni idrofobiche: la membrana risulterà più fluida. Per esempio se ho una membrana che ha come composizione fisica una temperatura di transizione di 28°. ad un certo punto la cellula riceve un segnale e deve diminuire la sua temperatura di transizione per rispondere a questo stimolo. Se voglio diminuire la temperatura di transizione devo sostituire i fosfolipidi. Attivo il REL che sintetizza nuovi fosfolipidi che andranno a sostituire quelli presenti sulla membrana in quel momento. Faccio arrivare alla membrana fosfolipidi che contegono acidi grassi insaturi: con doppi legami Se voglio aumentare la rigidità della membrana, quindi avere una temperatura di transizione più alta dovrò aumentare il numero di acidi grassi lunghi con un numero maggiore di atomi di C e tolgo i doppi legami. Gli archeobatteri avevano dei lipidi di membrana fatti da idrocarburi privi di doppi legami e questo rende le membrane più rigide : questo è utile per loro che vivono in ambienti ad alte temperature. Se si sostituisce un acido grasso con isomeria cis con uno con ismeria trans la sua struttura è più rigida. Si organizza l’acido grasso con la disposizione trans nello spazio in modo da assomigliare ad un acido grasso saturo. Gli animali hanno una molecola fondamentale per regolare la fluidità delle proprie membrane. Il colesterolo non è molto presente nelle membrane interne, manca completamente nel cloroplasto e nei mitocondri. Il colesterolo è una molecola anfipatica lipidica che presenta una porzione fortemente idrofobica data dai 4 anelli della coda idrocarburica e una piccola porzione polare. Nelle nostre membrane si inserisce in uno dei 2 folgietti della doppia membrana andando a interagire con interazioni idrofobiche con le catene di acidi grassi e con legami a H con la testa polare dei fosfolipidi. Influenza la fluidità della membrana agendo come tampone di fluidità. È in grado di aumentare la fluidità e la rigidità della membrana a seconda delle condizioni chimico fisiche delle membrana in cui si trova. Inserendosi nel doppio strato fosfolipidico fluido il colesterolo crea ordine perche avvicina le code di acido grasso tra di loro riempiendo i vuoti e aumenta la rigidità della membrana. Se inserisco il colesterolo in una membrana rigida crea disosìrdine perche allontana le code degli acidi grassi separandole fra di loro: rende la membrana più fluida Nelle nostre membrane c’è il 50% di colesterolo. Ci sono 2 vie di biosintesi del colesterolo. Attraverso una via di biosintesi ex-novo o attraverso l’alimentazione. Le 2 vie si devono bilanciare: ingiusta quantità il colesterolo è fondamentale per le nostre membrane. Se eccede, soprattutto con l’alimentazione, il suo ingresso nelle cellule viene bloccato, rimane nel circolo sanguigno e predispone l’insorgenza delle placche aterosclerotiche: l’assenza di colesterolo è dannosa come il suo eccesso. Devo far entrare una sostanza dentro alla cellula. Si può verificare anche negli organelli ma a differenza dell’esocitosi, l’endocitosi interessa soprattutto la membrana plasmatica. È il meccanismo con il quale la membrana è in grado di internalizzare grossi aggregati molecolari attraverso l’introflessione della membrana plasmatica. Queste particelle vengono raccolte dall’introflessione, dalla membrana si stacca una vescicola di endocitosi che prende il nome di Si endocitosi ce ne sono di diverse tipologie, in base al meccanismo con il quale queste vescicole si formano o alla sostanza che deve essere fatta entrare si possono distinguere tre tipologie di endocitosi: : sono dei meccanismi di internalizzazione di molecole di grandi dimensioni. Generalmente è tipica di organismi unicellulari che con questo meccanismo mangiano le sostanze nutritive che poi vengono digerite col sistema di lisosomi o dagli eucarioti unicellulari animali attraverso i lisosomi. :riguarda l’ingresso di piccole molecole che vengono fatte entrare solubilizzate in piccole goccioline di H2O. Quello che si fa entrare sono piccole gocce di H2O che al loro interno contengono in soluzione piccole molecole. si realizza quando si deve far entrare un aggregato molecolare il cui ingresso richiede il riconoscimento con una proteina di membrana recettoriale specifica. Il riconoscimento sostanza da entrare-recettore porta alla formazione di una vescicola di endocitosi molto particolare. La fagocitosi è specifica degli organismi eucarioti unicellulari animali che la utilizzano per mangiare le sostanze nutritive che una volta entrate vengono digerite attraverso i lisosomi. Ci sono cellule nel nostro organismo che possono fare la fagocitosi: macrofagi, neutrofili che sono delle cellule del nostro sistema immunitario che agiscono senza l’ausilio di anticorpi. Mangiano microorganismi batterici e particelle virali. Riconoscono la sostanza da ingerire e distruggere e la riconoscono come estranea. Per esempio un batterio presenta sulla sua superficie delle proteine che vengono riconosciute da delle proteine di superficie della nostra membrana. Il legame porta ad un estroflessione della membrana plasmatica che va a inglobare completamente il batterio e lo internalizza verso l’interno. Si ottiene una vescicola di fagocitosi che si va a fondere con una vescicola che porterà alla formazione di un lisosoma definitivo. Quando la vescicola di fagocitosi entra deve fondersi con qualcosa che contiene gli enzimi idrolitici, che non è ancora un lisosoma. Si ha un lisosoma precoce che porta la pompa protonica responsabile dell’acidificazione del Ph, si fonde con questa vescicola, si forma un endosoma maturo, il Ph acido favorisce il riciclo dei recettori sulla membrana. Tutto quello che serve per il riconoscimento vescicolare ritorna alla sede d’origine . Il Ph stacca l’interazione tra il batterio e i recettori di membrana e si fonde con un lisosoma che arriva dal Golgi ma che non ha ancora enzimi attivi, si fonde e dalla fusione del lisosoma primario con l’endosoma tardivo ho il lisosoma finale. Avrò una vescicola con il Ph acido e gli enzimi idrolitici attivi. Ci sono anche delle cellule come i fibroblasti che popolano il nostro tessuto connettivo che possono fare eventi di fagocitosi, effettuati per rimodellare la struttura dell’ambiente extra-cellulare ai vari tessuti. Soprattutto per rimodellare l’organizzazione del collagene che è una proteina che forma la nostra matrice. Sono gli eventi più semplici e sono fatti da cellule specializzate nel nostro organismo e vivono in ambienti dove c’è una grande abbondanza di H2O all’esterno. Per esempio gli enterociti nel nostro tessuto intestinale, dove c’è un ambiente liquido, prendono le goccioline di H2O con l’estroflessione della membrana e inglobano anche le molecole che sono sospese nelle goccioline di H2O. Spesso queste goccioline vanno a finire all’interno dei lisosomi. È l’endocitosi scoperta più recentemente ed è stata scoperta da BROWN e GOLDSTEIN che grazie a questa loro scoperta hanno vinto il premio nobel per la medicina nel 1986. Ci sono alcune sostanze nel nostro organismo che entrano con questo meccanismo specifico e regolato non soltanto grazie al riconoscimento con un recettore ma anche la vescicola che si forma è controllata e regolata. Questo permette alla cellula tramite il DNA di regolare questo meccanismo di internalizzazione. Di solito è fatto ad opera di molecole. Sostanze di cui abbiamo bisogno che possiamo introdurre sia con l’alimentazione ma che possiamo produrre anche ex-novo. Questo meccanismo di regolazione controllato permette alla cellula di sapere quando la cellula ha bisogno di questa sostanza, di quanto ne ha bisogno e fare un bilancio tra quello che produce e quello che prende dall’esterno. Per esempio il colesterolo viene trasportato nel circolo sanguigno. Quello che noi prendiamo con l’alimentazione, attraverso l’associazione con un complesso macromolecolare fatto da lipidi e proteine. Il colesterolo è una molecola fortemente lipidica quindi non può circolare da sola nell’ambiente del circolo sanguigno perché non si solubilizzerà, quindi dev’essere complessato con qualcosa che lo protegge dall’ambiente acquoso. Le LDL sono delle lipoproteine a bassa densità. Sono un complesso macromolecolare deputato al trasporto del maggior numero di glucosio nel nostro organismo. Il glucosio che viene introdotto attraverso l’alimentazione. Le LDL hanno una parte proteica che forma il guscio protettivo per i lipidi e isola questi lipidi dall’ambiente acquoso del circolo sanguigno. C’è anche un mono-strato all’interno fatto da fosfolipidi e colesterolo e all’interno ci sono molecole di colesterolo esterificate dove al gruppo ossidrile è legato un acido grasso o un lipide con un legame estere. Questo va nel circolo sanguigno fino ai tessuti bersaglio. In questi tessuti il colesterolo deve essere introdotto e deve essere poi separato dalla parte proteica di tutti gli altri lipidi e poi può essere usato per costruire le nostre membrane o per svolgere tutte le funzioni del colesterolo. Nei tessuti bersaglio deputati all’assunzione del colesterolo si trovano dei recettori specifici per una porzione della parte proteica dell’LDL. Il riconoscimento proteina trasportatrice-recettore attiva il segnale che portano al reclutamento sulla faccia interna della membrana di proteine chiamate che hanno il compito di favorire la formazione della vescicola di endocitosi. Queste proteine rivestono la membrana, formano una vescicola e questa vescicola va a fondersi con un endosoma primario (che presenta una pompa vescicolare a Ph acido), il ph acido stacca l’LDL dal recettore. C’è un meccanismo di segnalazione che porta a dividere l’endosoma in endosoma tardivo, quello che poi diventerà un lisosoma, ma anche a formare una vescicola che viene riportata sulla membrana plasmatica riciclando il recettore. L’endosoma tardivo si fonde con un lisosoma che non è ancora attivo e che arriva dal Golgi che porta gli enzimi idrolitici. La fusione tra questo lisosoma e l’endosoma tardivo crea un unica vescicola in cui si ha un ambiente fortemente acido grazie alla pompa protonica che va ad attivare le idrolasi acide presenti nel lisosoma che si era staccato dal Golgi. Fino a quando non c’è la fusione gli enzimi del lisosoma sono inattivi e quello che arriva dal Golgi non ha un ph acido. Gli enzimi del lisosoma funzionano solo quando il ph scende intorno a 3-4. Tutta (colesterolo cattivo) viene scomposta, vengono rotte le interazioni deboli ma anche i legami covalenti, vengono liberate tutte le varie molecole compreso il colesterolo. Le sono proteine fatte da tre catene leggere e tre catene pesanti. Si associano a formare una struttura a croce simile a un triskelion. Per formare la vescicola si uniscono l’una all’altra, formano delle strutture molto ordinate e quando le si va a guardare al microscopio elettronico appaiono come degli alveari, tutte regolari. Ci sono individui che nonostante conducano una vita regolare hanno livelli alti di colesterolo dovuti a mutazioni sul DNA. Si tratta di una patologia che prende il nome di ipercolesterolemia familiare. Ci sono diverse cause per cui si può incorrere in questo fenomeno, uno di questi è la mutazione di un gene che porta l’informazione per una proteina che è una proteina adattatrice che fa riconoscere alle clatrine il recettore che ha legato l’LDL. Arriva l’LDL, trova il suo recettore sulla membrana, questo legame LDL-recettore attiva un segnale che porta questa proteina adattatrice (chiamata ADATTINA) a arrivare sulla membrana. Solo dopo il suo arrivo la clatrina riconosce la membrana cellulare e si forma un complesso il cui risultato è la formazione della vescicola di endocitosi. Se si ha una mutazione a carico della proteina trans-membrana il I lipidi si formano nel REL, anche loro vanno all’apparato del Golgi, devono essere modificati e maturati e poi devono essere portati ai vari compartimenti cellulari o all’esterno. I lipidi sono fondamentali per il corretto funzionamento della cellula. Si può avere la produzione costitutiva anche di altre sostanze. Di solito sostanze fondamentali per costruire la nostra ECM. Produciamo delle sostanze polisaccaridiche che formano questo muco che ha il compito di mantenere idratata la ECM. Sono fortemente polari per cui legano l’H2O e permettono di creare una forte riserva di H2O nello spazio esterno. Queste sostanze costitutive e importanti vengono prodotte e secrete continuamente (secrezione costitutiva) Quando la cellula riceve un segnale che dice che c’è bisogno nell’organismo di una certa molecola come per esempio un ormone, parte la sintesi , avviene la sua modificazione attraverso il sistema di endomembrane e la sua secrezione verso l’esterno. L’insulina per esempio viene prodotta soltanto quando c’è bisogno di regolare i livelli di glicemia nel sangue, quindi viene prodotta in maniera regolata. Avrò uno stimolo che raggiunge il nucleo, questo stimolo attiva il DNA, sintetizza la proteina e poi la regolazione continua attraverso la regolazione del processo vescicolare fino alla secrezione. È lo scheletro interno delle cellule, è una caratteristica principale sia delle cellule animali che vegetali. Ha una funzione di supporto meccanico, tende a supportare la cellula, proteggerla da insulti meccanici, garantirne la forma. È formata in parte da una serie di elementi dinamici, perché vengono formati e distrutti rapidamente. La parte più dinamica del citoscheletro oltre ad avere una funzione di sostegno e un ruolo strutturale è coinvolta anche nel movimento della cellula stessa o nel movimento di strutture interne. Alcuni di questi elementi citoscheletrici sono responsabili del movimento delle vescicole che vengono indirizzate ai vari compartimenti da proteine del citoscheletro. Il citoscheletro è fatto da proteine fibrose: formano delle fibre molto lunghe e si intrecciano fra di loro e formano una rete tutta articolata all’interno della cellula. Altre funzioni del citoscheletro sono quelle della trasmissione dei segnali. Il citoscheletro non è una struttura statica ma in alcuni casi serve a reclutare delle molecole segnale, creare delle zone funzionali particolari nella cellula e quindi trasmettere il segnale. Il citoscheletro è formato da proteine. Le strutture proteiche che queste proteine formano sono di tre tipi: elemento citoscheletrico più grande. Sono dei grossi tubi cavi, filamentosi molto allungati che svolgono varie funzioni. filamenti di actina, sono gli elementi citoscheletrici più piccoli : hanno una dimensione intermedia tra i microtubuli e i microfilamenti di actina Ognuno di questi filamento proteici svolge un ruolo specifico, l’insieme di tutte queste strutture proteiche forma una fitta rete intricata di proteine nel citoplasma. Nel citoplasma gli organelli sono tutti ordinati da questa rete citoscheletrica. Alcuni di questi elementi citoscheletrici sono in grado di spostare gli organelli nelle varie parti del citoplasma. sono gli elementi più grandi e sono dei tubi cavi che raggiungono grandi distanze nella cellula. Possono avere dimensioni variabili. Possono essere piccoli ma raggiungere grandi distanze e sono i filamenti più dinamici insieme ai microfilamenti del citoscheletro. Si formano e si distruggono continuamente, questa loro instabilità è fondamentale per svolgere la loro funzione: Movimento cellulare: sono i microtubuli che trasportano le vescicole Posizione e movimento degli organelli: quando si ha le cellule in divisione cellulare che sia mitosi o meiosi la separazione del materiale genetico è operata dai microtubuli. Mantenimento della forma polarizzata: ogni cellula è specializzata. Per esempio il neurone ha una parte che comunica con l’organo bersaglio, l’assone e delle protuberanze chiamate dendriti. È una cellula con una diversa struttura a 2 poli, quindi è polarizzata. L’aspetto polarizzato è garantito dai microtubuli ed è importante per il corretto funzionamento del neurone. formati da actina e sono altamente dinamici L’actina può funzionare sia da citoscheletro funzionale, è responsabile della formazione dei villi delle cellule intestinali. Il ruolo principale dei filamenti di actina è il movimento cellulare o dell’organismo stesso. I nostri muscoli scheletrici sono in grado di contrarsi grazie alla presenza di questi filamenti. I movimenti all’interno della cellula vegetale sono garantiti dai microfilamenti di actina. Hanno un ruolo importante anche nel creare delle strutture chiamate giunzioni che permettono di passare da una condizione unicellulare a una condizione pluricellulare di tessuto. elementi citoscheletrici più stabili. Una volta formati rimangono lì. Hanno un ruolo di resistenza meccanica. Li troviamo nelle strutture che permettono la formazione dei tessuti nelle cellule eucariote animali. I filamenti intermedi non sono presenti nella cellula vegetale. La funzione dei filamenti intermedi nella cellula vegetale è svolta dalla parete. Sono dei tubi cavi che si formano a partire da proteine di forma globulare con struttura nativa uguale, anche se la sua struttura primaria differisce per una certa percentuale quindi non sono del tutto uguali dal punto di vista degli amminoacidi, però quando vanno a ripiegarsi nello spazio la struttura tridimensionale è praticamente uguale. La diversa presenza di amminoacidi influenza tutto il comportamento del microtubulo. Questi microtubuli sono dei polimeri di monomeri fatti dal dimero di alfa e beta tubulina. Ho una proteina globulare chiamata tubulina che esiste in due forme alfa e beta tubulina, questi due si uniscono insieme, formano un dimero che riconosce un altro dimero, si legano con interazioni deboli formando una catena ce prende il nome di PROTOFILAMENTO. Generalmente per formare un microtubulo definitivo ho bisogno di 13 protofilamenti. Questi protofilamenti si chiudono tra di loro e formano il microtubulo. Il protofilamento si forma seguendo un preciso orientamento. Si ha il dimero di alfa e beta tubulina che va a unirsi testa-coda con un altro dimero. In questo modo il filamento ha una sua polarità. Questo orientamento si ha anche quando si formano i foglietti. Ne viene fuori una struttura cilindrica cava con una sua polarità. Da una parte ho la forma alpha-tubulina, dall’altra ho la beta-tubulina. Sono proteine che da un punto di vista tridimensionale sono uguali ma hanno una struttura di amminoacidi nella struttura primaria diversa. L’estremità che termina con la beta tubulina viene chiamata estremità +, quello che termina con la alfa tubulina viene chiamato estremità -. questo perché la formazione dei microtubuli è stata studiata in vitro e si è visto che la formazione dei microtubuli se si va a vedere la cinetica ha un andamento a Nel centro di organizzazione del microtubulo la cellula produce attraverso la sintesi ribosomale una certa concentrazione discreta di alfa e beta tubulina legate con GTP da cui può partire la formazione del microtubulo. A livello del centro di organizzazione di un microtubulo in vivo, il microtubulo si allunga dall’estremità +. l’estremità - tende a non modificarsi se non ad accorciarsi. L’evoluzione ha selezionato altre molecole coinvolte nella formazione del microtubulo. Nei centri di organizzazione del microtubulo sono state trovate altre tubuline, per esempio la gamma-tubulina che si organizza a formare delle strutture circolari. Si lega con altre gamma tubuline per formare un anello che fa da supposto per la nucleazione della beta e alfa tubulina del microtubulo vero e proprio. A livello dei centri di organizzazione si trovano tanti anelli fatti da gamma-tubulina. I dimeri di alfa e beta tubulina legati con GTP e questi vanno a legarsi all’anello di gamma tubulina. Il centrosoma è uno dei centri di organizzazione dei microtubuli meglio organizzati Nella MTOC si vedono una serie di anelli di gamma-tubulina da cui parte la polimerizzazione dei microtubuli. L’estremità - rimane ancorata all’estremità di gamma tubulina mentre l’estremità positiva si allunga e si allontana dal centro di organizzazione dei microtubuli. L’allungamento di un microtubulo è indipendente rispetto all’allungamento di un altro microtubulo. Il centro di organizzazione dei microtubuli chiamato centrosoma è caratteristico delle cellule animali. Le cellule vegetali hanno un centro di organizzazione fatto nello stesso modo con gli anelli di gamma tubulina ma manca una struttura costituita da una coppia di cetrioli. Nelle cellule eucariote animali a livello del centrosoma si trovano 2 strutture cilindriche cave di origine proteica, l’una perpendicolare all’altra. Queste strutture vengono chiamate centrioli e sono formate anch’esse da microtubuli. Se si prende per esempio il centrosoma da cui si formano i microtubuli che portano alla costituzione del fuso mitotico che è importante per la divisione del materiale genetico nelle cellule in divisione. Se dal centrosoma si tolgono i centrioli si forma il fuso mitotico, questo perché i centrioli non sono il punto di partenza da cui si forma il fuso mitotico però se andiamo a togliere i centrioli il fuso mitotico risulta essere più debole, quindi riesce a separare con minor efficienza e accuratezza i cromosomi della cellula in divisione. Le cellule vegetali pur mancando di centrioli formano un fuso mitotico perfettamente funzionante. In una cellula che non si sta dividendo ho sempre un solo centrosoma, sia in quella di origine vegetale che in quella di origine animale e in quella animale ho una coppia di centrioli. Il centriolo è fatto da 9 triplette di microtubuli. 9 strutture con 3 microtubuli fusi insieme quindi si dice che il centriolo ha una struttura 9+0. Significa che ha 9 triplette di microtubuli e una cavità centrale aperta, completamente vuota. I centrosomi possono essere il punto di formazione dei microtubuli che andranno a costruire il fuso mitotico. Quando si ha una cellula in divisione si ha un centrosoma con una coppia di centrioli da cui cominciano a formarsi i microtubuli. Quando la cellula comincia a dividersi e a organizzare il proprio materiale genetico, il centrosoma si duplica e ad un certo punto ognuno comincia a polimerizzare i microtubuli e si spostano ai poli della cellula, in questo modo dai centrosomi partono i microtubuli e si spostano ai 2 poli opposti della cellula. In questo modo dai due centrosomi partono i microtubuli che mi vanno a formare il fuso mitotico che permetterà alla cellula di dividere i cromosomi in 2 parti uguali. In una cellula in divisione il centrosoma può avere come funzione quella di formare il fuso mitotico. In una cellula che non si sta dividendo i centrosomi sono i dei microtubuli che permettono di formare i microtubuli coinvolti nel trasporto delle vescicole. Il centrosoma può avere la funzione di formare dei microtubuli responsabili del trasporto vescicolare ma anche dell’organizzazione funzionale e di una parte della cellula. Per esempio la cellula nervosa è una cellula altamente specializzata nella sua morfologia e presenta un corpo centrale dove c’è il nucleo, una parte chiamata dendrite e una parte chiamata assone responsabile della trasmissione dell’impulso nervoso. C’è un centrosoma, infatti i microtubuli si formano con l’estremità meno legata e si allungano verso l’estremità positiva e questa struttura serve per l’organizzazione della struttura dell’assone, ma anche a veicolare il trasporto di sostanze lungo questa parte della cellula. Nella cellula si possono avere anche altri centri di organizzazione dei microtubuli chiamati corpi basali che servono per formare i microtubuli che costituiscono le appendici locomotorie delle nostre cellule, cioè i flagelli e le ciglia. Ci possono essere anche cellule che non hanno un vero e proprio dentro di organizzazione I microtubuli si formano in regioni sparse, quando non è presente un centro di organizzazione non si ha polimerizzazione così ordinata. L’estremità negativa che rimane ferma e l’estremità positiva che si allunga non c’è i microtubuli si dispongono con polarità mista e si allungano in direzioni diverse. Sono delle appendici mobili che abbiamo nelle nostre cellule e sono delle strutture formate sempre da microtubuli. Si formano in un centro di organizzazione che prende il nome di corpo basale. I flagelli servono per il movimento dell’intera cellula Le ciglia servono per spostare il materiale esterno alla cellula. La differenza tre le appendici dei batteri e le cellule eucariote è che le appendici delle cellule eucariote sono delle strutture rivestite da membrana. La membrana plasmatica riveste completamente sia le ciglia che i flagelli, questo perché entrambe le strutture si formano a partire dal centro di organizzazione del microtubulo chiamato corpo basale che si trova al di sotto della membrana plasmatica. Da questo corpo basale i microtubuli si polimerizzano, si allungano con l’estremità + verso l’esterno e nell’allungarsi estendono e tirano con se anche la superficie della membrana plasmatica. Il flagello die procarioti è in appendice extracellulare, cioè si forma da un rotore, un corpo proteico che si inserisce tra la membrana plasmatica e la parete cellulare e la si organizza all’esterno della cellula e non è mai rivestito fa struttura membranosa. Le ciglia sono più corte e hanno una lunghezza che va dai 2 ai 10 micrometri I flagelli cono più lunghi e hanno una lunghezza che raggiunge anche i 200 micrometri. In queste appendici si possono trovare due parti, la parte esterna che si allunga verso la cellula sempre rivestita da membrana che viene chiamato assonema e una parte interna al di sotto della membrana plasmatica che prende il nome di corpo basale. Nell’assonema che è la parte che si trova al di fuori della cellula i microtubuli sono organizzati in una struttura chiamate 9+2, significa che ci sono 9 coppie di microtubuli che formano una struttura circolare proteica. Queste 9 coppie sono unite tra di loro da una serie di proteine che legano i microtubuli e una coppia di microtubuli centrale. All’interno della cellula troviamo il corpo basale dove vediamo che i microtubuli hanno un organizzazione di tipo 9+0. significa che ci sono 9 triplette di microtubuli e nessun microtubulo centrale. È il centro di organizzazione di queste appendici e nella sua struttura ricorda quella dei centrioli che ci sono nel centrosoma delle cellule animali. La parte dell’assonema ha una struttura più articolata dove si ha le proteine responsabili del movimento. Vengono chiamate dimeine e poi ci sono altre proteine che servono a unire queste coppie di microtubuli e queste 9 coppie con la coppia disposta centralmente. I microtubuli hanno un ruolo importante nel regolare una serie di movimenti all’interno della cellula. Quelli che costituiscono il fuso mitotico che sono responsabili della divisione del materiale genetico durante la divisione cellulare sia della mitosi che della meiosi. Sono coinvolti nella formazione di appendici locomotorie che muovono o l’ambiente esterno o la cellula stessa. I microtubuli sono responsabili della formazione delle strutture che permettono per esempio il trasporto vescicolare. I microtubuli però non fanno direttamente il movimento cellulare, muovono gli organelli ma non sono loro che muovono direttamente questi elementi cellulari. Sono in grado di fare movimento cellulare ma anche di organizzazione grazie alla presenza delle proteine a cui si associano. Ne esistono di diverse tipologie ma vengono chiamate in generale proteine associate ai microtubuli e indicate con la sigla . Sono suddivise in 2 gruppi Map non motrici:sono proteine che servono a organizzare la formazione del microtubulo, a stabilizzare la polimerizzazione del microtubulo o a favorire la depolimerizzazione. Sono una serie di proteine che organizzano il microtubulo nella sua formazione e stabilità dinamica. Per esempio la famiglia delle proteine che permette ai protofilamenti che si uniscono tra di loro di posizionarsi alla giusta distanza per ottenere un microtubulo con un diametro ben preciso. Ci sono le proteine chiamate che riconoscono l’estremità positiva del microtubulo e ne favoriscono la stabilità. Favoriscono la polimerizzazione quando si legano a queste estremità. Le sono proteine che appartengono alla famiglia delle chinesine e che riconoscono l’estremità positiva ma favoriscono gli eventi di depolimerizzazione. Destabilizzano i microtubuli. L’accorciamento del fuso mitotico si deve a una depolimerizzazione rapida dei microtubuli fornita da questa famiglia di catastofine. sono delle proteine responsabili del vero movimento dei microtubuli. Riescono a fare questo movimento perché hanno come supporto di base l’associazione con queste strutture citoscheletriche. Ce ne sono di tre categorie: Dineine citoplasmatiche che sono le proteine che permettono il movimento, soprattutto quello delle vescicole. Sono in grado di I microfilamenti di actina una volta che si sono formati si possono organizzare a formare dei fasci ordinati in cui troviamo proteine specializzate che tengono uniti i vari fasci. Sono strutture che conferiscono resistenza all’elemento cellulare in cui si trovano. Ci possono essere proteine che si associano ai microfilamenti (gelsolina) che favoriscono la depolimerizzazione del microfilamento quindi la sua degradazione. Ci sono proteine che si legano al microfilamento stabilizzandone l’estremità quindi rendendoli più stabili. Ci sono proteine che organizzano i microfilamenti in un reticolo ed il tipo di organizzazione è quello che si trova nelle cellule, soprattutto negli eucarioti unicellulari animali che si muovono nell’ambiente esterno strisciando. Ci sono proteine che permettono ai microfilamenti di aderire alla membrana plasmatica, si organizzano in architetture strutturali all’interno della cellula stessa. deriva da una spugna ed è in grado di impedire la polimerizzazione dell’actina e l’allungamento dei microfilamenti. sono dei metaboliti di origine fungina. prodotta dal fungo amanita falloides (responsabile della tossicità di questo fungo). è in grado di bloccare la depolimerizzazione dell’actina, quindi stabilizza i microfilamenti, i quali sono coinvolti in una serie di strutture che garantiscono il movimento cellulare ma che garantiscono anche la costruzione dei tessuti. Se blocco i microfilamenti blocco tutta la funzione di un tessuto mettendo a rischio anche la vita dell’organismo che è interessato da questa esposizione. I microfilamenti sono coinvolti nel movimento cellulare o di struttura all’interno della cellula o nel movimento dell’intera cellula. I microfilamenti rientrano nella composizione di strutture contrattili chiamate sarcomeri che abbiamo nel nostro muscolo scheletrico e che permette al muscolo scheletrico di contrarsi e a noi di poterci muovere. I microfilamenti negli organismi unicellulari sono in grado di favorire il movimento ameboide ed è un movimento che permette a queste cellule di muoversi nell’ambiente circostante strisciando sul substrato. All’interno del citoplasma delle cellule vegetali i microfilamenti di actina sono in grado di creare movimento, quindi di creare delle correnti citoplasmatiche che hanno il compito di distribuire in maniera uniforme tutte le sostanze disciolte nel citoplasma. La proteina motrice che è associata al microfilamento di actina che permette all’actina di muoversi è la miosina. È un dimero, cioè una proteina formata da una prozione globulare che è responsabile dell’interazione debole con i microfilamenti di actina e una parte fibrosa con struttura ad alfa-elica. Le due porzioni di alfa-elica delle due porzioni polipeptidiche tengono uniti di dimeri nella proteina nativa.. La miosina non è mai sotto forma di dimero ma quando va a funzionare insieme ai microfilamenti di actina tende ad associarsi con altre molecole di miosina e lo fa con andamento testa-coda. Si associano a partire dalla parte ad alfa-elica. Si ottengono tante molecole di miosina che formano un vero fascio motore, cioè un elemento motore importante per interagire con i microfilamenti di actina. L’associazione miosina-actina, cioè il movimento cellulare si trova nel sarcomero. È una struttura proteica fatta da microfilamenti di actina tenuti insieme da altre proteine accessorie strutturali e da fasci di proteine di miosina. I microfilamenti di actina sono paralleli alla miosina . Quando un muscolo è rilassato il sarcomero è steso e le teste della miosina non prendono contatto con i microfilamenti di actina. Quando ci deve essere la contrazione muscolare arriva un impulso dal sistema nervoso, impatta sul muscolo scheletrico che libera calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Il calcio più l’ATP fanno si che le teste di miosina legano i microfilamenti di actina e poi una volta che li hanno legati le teste della miosina fanno scorrere i microfilmanti di actina verso l’interno del sarcomero. L’unità contrattile del sarcomero da esteso si accorcia e l’accorciamento è responsabile della contrazione muscolare. In tutta la struttura del muscolo ci sono delle unità di sarcomeri che si ripetono. L’anello contrattile è un’altra struttura caratterizzata dall’associazione tra actina-miosina. È responsabile nelle cellule animali durante la divisione mitotica o meiotica della divisione della cellula madre in 2 cellule figlie. Dopo che tutto il materiale genetico è stato duplicato ed è stato separato in due nuclei diversi la cellula madre per poter formare una cellula figlia deve dividersi fisicamente. La divisione del citoplasma è data da un’anello. Prima si forma in maniera estesa sotto alla superficie della membrana plasmatica. Una volta che si è formato tende ad accorciarsi e così strozza in 2 la cellula madre. I microfilamenti sono responsabili anche del movimento strisciante delle cellule sul substrato. Questi movimenti striscianti sono caratteristici degli organismi eucarioti animali e vegetali ma si possono verificare anche nelle nostre cellule quando vengono messe in coltura in laboratorio. Nella cellula i microfilamenti possono avere un’organizzazione reticolare, cioè una struttura non molto ordinata dove i fasci proteici non sono cosi resistenti e questa struttura viene chiamata GEL. La troviamo in tutte le cellule al di sotto della membrana plasmatica a formare quella che viene chiamata corteccia cellulare. Quando i microfilamenti di actina si organizzano in fasci regolari dove ogni filamento è disposto in maniera opposta rispetto a quello che lo segue si formano tutte quelle che vengono chiamate fibre dello stress che hanno un po’ più di resistenza rispetto a quelle a gel. Ci possono essere disposizioni a fascia parallela che si hanno in cellule che si muovono strisciando perché dalla polimerizzazione di queste strutture a fasci paralleli che si ha la formazione di appendici che vengono chiamate filopodi che permettono alla cellula di strisciare sul substrato. La superficie della cellula si allunga perché si sta polimerizzando il microfilamento di actina che crescendo allunga la membrana plasmatica. I lamellopodi sono strutture date principalmente da un aspetto reticolato dell’actina. Non sono coinvolti nel movimento. La cellula strisciante normalmente in condizioni di riposo è attaccata al substrato ed ha all’interno del citoplasma i filamenti di actina: il cortex (corteccia) al di sotto della membrana plasmatica e i fasci paralleli responsabili del movimento. Quando arriva lo stimolo che dice alla cellula che si deve muovere i fasci paralleli cominciano a polimerizzare. All’estremità + ci aggiungono monomeri di G-actina aumentando la lunghezza del microfilamento e la membrana plasmatica tende ad estendersi. Si allunga fino a raggiungere un estensione massima e ad un certo punto questa protuberanza della cellula aderisce al substrato. Forma un adesione stabile cellula-substrato. Una volta adeso, i microfilamenti di actina presenti dall’altra parte della cellula tendono a scorrere. I microfilamenti di actina sono sempre associati alla miosina. La miosina scorre sui microfilamenti di actina. Ho una contrazione della struttura di actina-miosina. La contrazione non fa altro che portare avanti la parte posteriore della cellula che si sposta in avanti. Poi il processo ricomincia. I microfilamenti di actina possono essere organizzati qualche struttura stabile. È quello che accade per esempio nei microvilli. Strutture che aumentano la superficie cellulare e sono fatti da membrana plasmatica, microfilamenti di actina ordinati in fasci, proteine di connessione e la struttura si stabilizza attraverso l’adesione agli altri elementi del citoscheletro (filamenti intermedi) Un altro ruolo strutturale svolto dai microfilamenti è quello del cortex cellulare. È una rete disorganizzata di actina che riveste tutta la parte interna della membrana cellulare generando il sostegno della membrana e la forma. Sono gli elementi del citoscheletro che non si trovano nelle cellule vegetali perché il loro ruolo è di resistenza meccanica quindi nelle cellule vegetali viene svolto dalla parete cellulare. Quando si parla di filamenti intermedi si parla di un gruppo eterogeneo di proteine. Quelli che riguardano l’uomo si distinguono in filamenti intermedi citoplasmatici e nucleari. Quelli sono molto eterogenei e a seconda dei tessuti si ha: neurofilamenti nel tessuto nervoso Filamenti di vimentina e altre proteine correlate: tessuto connettivo e muscoli Cheratina: tessuto epiteliare I formano le lamine nucleari ì presenti in tutte le cellule animali. Sono molto eterogenei per funzione e per localizzazione. I filamenti intermedi ad eccezione di quelli nucleari sono tessuto specifici. Questi filamenti hanno in comune la struttura tridimensionale nativa. Sono tutte proteine fibrose che presentano una regione centrale dove presentano principalmente ad alfa-elica (funzione di resistenza meccanica) C’è anche un analogia nell’organizzazione del filamento intermedio. Sono complessi molecolari fatti da tante proteine fibrose. Il monomero di partenza è un’unica catena polipeptidica con la struttura nativa principalmente ad alfa-elica che va ad unirsi con un’altra catena polipeptidica formando un dimero. Il dimero si associa con polarità test-coda con un altro dimero e si forma il tetramero. Il tetramero si associa in ottameri, l’ottamero è il centro di nucleazione che mi porta a formare tutta la fibra del filamento intermedio. contatto tramite recettori adesivi di natura diversa. Per interazione mediata da una molecola a ponte si intende delle interazioni tra recettori adesivi dove i recettori non prendono contatto direttamente tra di loro ma attraverso una molecola che fa da intermediario Ci sono 4 famiglie di recettori adesivi perché ognuna di queste quattro categorie è formata dallo stesso tipo di proteine: CAM: Sono delle glicoproteine che hanno questa sigla perché il loro nome è : molecole di adesione cellulare. Sono tessuto specifiche e hanno una struttura tridimensionale che ricorda quella delle immunoglobuline e tendono a fare interazioni di tipo omofilico. CADERINE: sono specifiche nei vari tessuti e tendono a formare interazioni omofiliche. Presentano un dominio trans.membrana, un dominio citoplasmatico e uno extracellulare di tipo globulare. SELECTINE: tendono a fare interazioni eterofiliche con una glicoproteina di trans- membrana. INTEGRINE: tendono a fare interazioni eterofiliche. Per esempio le integrine interagiscono con le cam che sono delle proteine degli endoteli e rivestono i vasi sanguigni. I recettori adesivi permettono alle cellule di riconoscersi e di entrare a contatto tra loro. Le giunzioni cellula-cellula possono essere formate anche da recettori adesivi. Alcuni di questi recettori adesivi si trovano organizzati nella membrana plasmatica in associazione con altre proteine dello stesso tipo che permettono ai recettori di interagire con gli elementi del citoscheletro che sono i microfilamenti o i filamenti intermedi. Quando i recettori adesivi si organizzano a formare le giunzioni cellulari prendono sempre rapporto con il citoscheletro. I recettori adesivi coinvolti nelle giunzioni cellula- cellula sono le caderine che si legano: quelle di una cellula con le caderine di un’altra cellula attraverso le giunzioni deboli nello spazio extracellulare. Le interazioni deboli sono fornite dal calcio. Nella parte citoplasmatica la caderina è in grado in interagire con interazioni deboli con delle proteine adattatrici che sono per esempio le catenine. Quello che accade per esempio nei tessuti epiteliali. Ci sono anche proteine adattatrici che permettono alla caderina trans-membrana di aderire al citoscheletro che in questo tipo di giunzioni cellulari è rappresentato dai filamenti di actina. Le proteine CAM e le SELECTINE non sono proteine che generalmente si trovano nelle giunzioni cellula-cellula e quindi si limitano a fare delle adesioni e non si trovano mai adese al citoscheletro. Si dividono in giunzioni adesive o di ancoraggio, giunzioni occludenti o strette e giunzioni comunicanti. Le ultime due sono delle strutture sovra molecolari formate da proteine dove non sono presenti recettori adesivi. oltanto sono giunzioni cellula-cellula e sono le giunzioni aderenti e i desmosomi. Uniscono insieme la cellula di uno stesso tessuto lasciando tra le cellule uno spazio di circa 20/40 nanometri. Questo spazio extracellulare può essere percorso da fluidi. Coinvolgono molecole specializzate ma anche recettori adesivi e prevedono sempre il collegamento con il citoscheletro. Le giunzioni aderenti con i filamenti intermedi. I desmosomi con i tonofilamenti che sono sempre filamenti intermedi. Sono quelle aderenti e i desmosomi e sono tutte strutture sovra molecolari in cui si trova coinvolta una proteina della famiglia delle caderine. : sono le giunzioni più diffuse nei tessuti epiteliali, infatti le caderine sono quelle della famiglia delle E-caderine. Ci sono le caderine che interagiscono fra di loro nell’ECM. Nell’ambiente citoplasmatico prendono contatto con i filamenti intermedi grazie a proteine adattatrici. Le giunzioni aderenti sono abbondanti nei tessuti epiteliali dove non soltanto creano delle strutture che uniscono le cellule della stessa tipologia ma permettono di creare delle organizzazioni sovra-molecolari che conferiscono al tessuto una resistenza alle sollecitazioni meccaniche e soprattutto a stimoli di movimento. Resistono agli stress meccanici ma allo stesso tempo permettono di rispondere agli stimoli di movimento e conferiscono una certa elasticità e dinamicità al tessuto stesso, questo perché queste giunzioni sono sempre collegate nello spazio citoplasmatico ai filamenti di actina che polimerizzano e vanno a raggiungere l’altra adesione aderente presente nella cellula che collega questa cellula con un’altra cellula adiacente. Si formano con le giunzioni aderenti e i filamenti di actina delle cinture di adesione. Uniscono le cellule ma fanno un’unione dinamica. I microfilamenti possono estendersi e contrarsi e il movimento che viene realizzato in una cellula viene trasmesso alla cellule adiacenti. Permette di collegare le cinture di adesione ad altri filamenti in cui sono coinvolti i filamenti di actina. Questo per esempio dell’epitelio intestinale, dove le cellule sono caratterizzate da estroflessioni chiamate microvilli formate da microfilamenti di actina. sono formati da caderine non canoniche chiamate desmogleine e desmocolline che sono molto simili alle caderine degli epiteli. Prendono contatto con il citoplasma con proteine adattatrici un pochino più complesse delle catenine alfa e beta e a loro volta queste proteine adattatrici si collegano allo scheletro. In questo caso il citoscheletro è sempre rappresentato dai filamenti intermedi che conferiscono stabilità, resistenza alla trazione meccanica. Non c’è nessun coinvolgimento nel movimento cellulare e nel movimento dei tessuti perché i filamenti del citoscheletro sono elementi estremamente stabili e sono coinvolti saltando in un ruolo strutturale. Formano dei veri e propri bottoni che uniscono le membrane delle cellule adiacenti lasciando uno spazio discreto extracellulare. Si trovano soprattutto in quei tessuti che ricevono stress meccanici importanti. sono in grado di unire due cellule dello stesso tessuto sigillando le membrane tra di loro e non lasciando stazio extracellulare. Sono formate da proteine specializzate e in alcuni tessuti queste strutture possono prendere contatto con il citoscheletro con i filamenti intermedi.Sono delle strutture che uniscono completamente le due membrane plasmatiche di cellule che vengono unite fra di loro e non coinvolgono recettori adesivi. Fondono insieme le due membrane plasmatiche, si crea una barriera di permeabilità perché le proteine coinvolte sono molto specializzate. Sono proteine trans-membrana che attraversano il doppio strato fosfolipidico di una membrana e dell’altra e si uniscono tra di loro con interazioni deboli. Nel punto in cui si forma una giunzione cellula-cellula occludente le membrane creano una barriera di permeabilità. Impediscono alle proteine della cellula su un lato di muoversi lateralmente creando un blocco alla loro diffusione laterale. Creano una barriera per il fluido presente nell’ECM. Tutto il fluido con i sui soluti disciolti che si trovano nell’ECM, quando si forma una giunzione occludente non può più passare tra cellula e cellula. Queste giunzioni servono per creare dei domini di membrana sulle cellule dello stesso tessuto, creare una polarità nel tessuto stesso, a creare delle barriere di permeabilità per indirizzare secondo percorsi ben definiti i fluidi extracellulari. Sono presenti per esempio nell’intestino oppure a livello del cervello a formare la barriera amato- encefalica. Nel nostro organismo queste giunzioni sono formate da barriere chiamate claudine e occludine. Sono tutte delle proteine multi-passo trans-membrana. Formano dei domini trans-membrana attraverso la membrana più volte. C sta per C terminale e N sta per N terminale. Claudina e occludina si uniscono tra di loro formando questi bottoni, quando si formano percorrono tutta la superficie di una cellula e creano una struttura talmente stretta che i fluidi non riescono a passare. Per esempio nelle nostre cellule intestinali. Quando due cellule dell’intestino sono sigillate tra di loro con giunzioni strette il fluido che proviene da lume intestinale non può disperdersi negli spazi extracellulari perché ci sono le membrane che sono attaccate le une alle altre quindi il fluido che proviene dal lume intestinale e che contiene i nutrenti digeriti che dobbiamo assorbire e portare a livello del fegato hanno come percorso obbligatorio la superficie apicale delle cellule intestinali che è rappresentata dai microvilli. In questi microvilli si trovano dei trasportatori di membrana specifici per le macromolecole che derivano dalla digestione degli alimenti. Per esempio nel caso dei polisaccaridi al lume intestinale arriva il glucosio e a livello dei microvilli si trova il trasporto secondario del glucosio mediato dal simporto Na/glucosio. Il glucosio fluisce contro gradiente di concentrazione all’interno della cellula utilizzando il flusso di diffusione facilitata del Na+ Questo è possibile perché non disperdo fluido attraverso gli spazi extracellulari quindi mi permette di concentrare tutti i miei nutrienti nello spazio superficiale. il glucosio dal citoplasma viene trasportato nel circolo sanguigno. Questo è possibile perché sulla membrana basale dell’eritrocita ho la permeasi che fa trasporto facilitato. La sua diffusione laterale è impedita dalla presenza delle giunzioni occludenti. La giunzione stretta serve anche per dare unna polarità alla cellula bloccando la diffusione laterale di determinate proteine trans membrana in parti specifiche della superficie cellulare in modo tale che la parte apicale microvillica svolga una funzione mentre la parte basale ne svolga un’altra. sono formate da proteine specializzate e creano dei canali tra le membrane dell due cellule aderenti di spazio 2-3 nanometri. Permettono di far comunicare le cellule dello stesso tessuto. Sono delle strutture di adesioni e di comunicazione cellula-cellula che non coinvolge i recettori adesivi. Sono formate da proteine specializzate che hanno il compito di creare dei canali trans- membrana in una cellula e di crearne altri in un’altra cellula e mettono in contatto questi due canali. Le giunzioni comunicanti sono dei grandi canali trans-membrana che mettono in comunicazione il citoplasma di una cellula con il citoplasma di un’altra cellula all’interno di uno stesso tessuto. Questi canali sono sempre aperti ma vengono chiusi a seconda degli stimoli che il tessuto riceve. Sono idrofilici quindi fanno passare al loro interno acqua e tutte le molecole polari, sostanze nutrienti molecole segnale. Nel caso dell’uomo le proteine che formano le giunzioni comunicanti sono le connessine. Sono delle proteine formate da un’unica catena polipeptidica che si può unire con altre connessine dello stesso tipo per formare un canale trans- membrana chiamato È una proteina fibrosa ma si organizza nello spazio a formare una struttura reticolare. Una struttura disordinata che conferisce elasticità al tessuto. Una fibra di elastina può unirsi con un’altra fibra di elastina con un legame intercatena formando un reticolo che a seconda delle sollecitazioni che riceve può stirarsi o rilassarsi. A seconda del tessuto il rapporto tra elastina e collagene rende il tessuto più resistente, più stabile, più rigido oppure più elastico. Sono degli aggregati molecolari molto complessi il cui compito principale è quello di funzionare da deposito di acqua. Sono aggregati molecolari fortemente polari in grado di formare legami a H con l’H2O. in questo deposito il nostro organismo deposita anche le fibre di collagene e l’elastina. I proteoglicani sono formati da una proteina che funziona da core, cioè da supporto per legare in maniera covalente catene oligosaccaridiche , cioè zuccheri. Il proteoglicano quindi è formato da proteine più catene oligosaccaridiche. Gli oligosaccaridi che troviamo sono i glucosamminoglicani (GAG) Sono formati da monomeri di zuccheri modificati e soprattutto sono zuccheri che nella maggior parte dei casi portano cariche negative. Questi zuccheri hanno una grande polarità grazie ai gruppi ossidrili, quale può essere aumentata aggiungendo a questi zuccheri anche dei gruppi carichi negativamente. I più comuni disaccaridi che costituiscono questi oligosaccaridi sono: Il condrointin solfato formato da acido glucoronico e N-acetilgalattosammina Il cheratin.solfato formato da galattosio e N-acetilglucosammina Acido ialuronico formato da acido glucuronico e N-acetilglucosammina. La loro funzione è quella di fare da riserva di H2O, creare una pressione di turgore che permette di mantenere l’architettura del tessuto stesso , possono essere usate come riserva di catene oligosaccaridiche dai tessuti. Quando i tessuti vanno in carenza di zuccheri possono utilizzare i glucosamminoglicani. Possono trasportare molecole polari attraverso l’ambiente extracellulare del tessuto e sono in grado di legare molecole segnale. A volte nella matrice extracellulare si possono trovare questi proteoglicani organizzati a formare aggregati ancora più complessi che vengono chiamati AGGREGATI DI PROTEOGLICANI. Sono proteoglicani che si uniscono con altri proteoglicani e per unirsi usano come supporto una catena oligosaccaridica. (ES: acido ialuronico) L’acido ialuronico viene usato nella chirurgia estetica per eliminare temporaneamente le rughe. Quando inetto l’acido ialuronico, inietto una sostanza fortemente polare in grado di richiamare H2O e l’H2O aumenta il volume della ECM andando a distendere le rughe. Il problema dell’invecchiamento è proprio la perdita di ECM nella pelle. Si parla di perdita di proteoglicani ma anche di perdita di idratazione della pelle e di perdita di resistenza alla trazione ed elasticità. Sono delle particolari strutture di adesione e la loro abbondanza è diversa a seconda del tipo di ECM. Sono proteine formate da 2 catene polipeptidiche tenute insieme da legami covalenti. Le catene polipeptidiche si organizzano a formare dei domini funzionali . si parla di domini che legano le proteine integrali di membrana e quindi permettono di fare l’adesione tra la matrice e le cellule del tessuto. Si formano da tre catene polipeptidiche organizzate a formare una struttura a croce . Presenta dei domini funzionali. Sono delle regioni che permettono di interagire con legami deboli con la ECM e regioni che prendono rapporto con le proteine trans-membrana del tessuto. Le laminine sono le glicoproteine adesive dell’ECM dei tessuti epiteliali : lamina basale. Si dividono in emidesmosomi e adesioni focali. Queste due giunzioni fanno parte delle giunzioni adesive e coinvolgono in recettore adesivo INTEGRINA Le adesioni focali si trovano principalmente nei tessuti connettivi, cioè in quei tessuti in cui la ECM è più abbondante. Son fatte da integrine che prendono contatto con le fobronectine oppure possono prendere contatto direttamente con il collagene stesso. Il integrine attraverso il doppio strato fosfolipidico si collegano a livello del citoplasma con proteine adattatrici e prendono contatto con i microfilamenti di actina è una struttura dinamica che può essere soggetta a movimenti. Nei tessuti epiteliali che devono essere più stabili il tipo di adesione cellula-ECM è l’emidesmosoma. È sempre fatto da integrine che prendono contatto con la matrice tramite le laminine o direttamente con le fibre di collagene nella parte citoplasmatica si hanno delle proteine di connessione, cioè le pectine e la connessione al citoscheletro ai filamenti intermedi. Le adesioni focali sono specifiche delle cellule che sono in grado di muoversi nell’ambiente esterno con movimento ameboide, perché sono adesioni dinamiche che possono staccarsi e attaccarsi. Le adesioni focali quando non funzionano in maniera corretta possono portare all’insorgenza di malattie gravi. In molti tumori gravi, soprattutto quelli che presentano metastasi una delle cose che succedono in queste cellule è la mutazione di un gene che porta l’informazione per alcune di queste proteine coinvolte nelle adesioni cellula-ECM. Venendo meno queste adesioni le cellule non aderiscono al substrato e cominciano a muoversi. È stato visto studiando alcune di queste adesioni cellula-ECM, in particolar modo le adesioni focali che possono svolgere non soltanto un ruolo strutturale ma anche un ruolo di tipo segnalaltorio. Hanno una proteina indicata con SARC le cui alterazioni geniche sono coinvolte nell’insorgenza dei tumori. Questa proteina viene legata alla membrana plasmatica a livello dell’architettura citoscheletrica fatta dall’adesione cellula-ECM. Tutto questo complesso che comprende anche la proteina SARC , che permette di ricevere il segnale proveniente dall’ambiente extracellulare e mandare questi segnali al nucleo perché si possa attiva il DNA e attivare la trascrizione di geni specifici o inibendo la trascrizione di questi geni. Se questo tipo di architettura non c’è viene meno anche la capacità di queste proteine di trasdurre il segnale. È sempre una giunzione tra la cellula del muscolo scheletrico e la ECM e quando viene meno può predisporre all’insorgenza di varie patologie. Questa giunzione tiene unita la fibra muscolare alla ECM. Nel caso del tessuto muscolare la ECM è simile alla lamina basale . le proteine che fanno parte di questa ECM sono le laminine. La giunzione è fatta da un complesso trans-membrana che svolge le stesse funzioni che svolgono le integrine. È un complesso glicosilato, infatti è formato da catene oligosaccaridiche. Si tratta di un complesso trans-membrana che prende associazione con interazioni deboli con una serie di proteine che fanno parte del complesso sarcoglicano. Il recettore adesivo trans-membrana tramite il complesso adesivo del sarcoglicano prende rapporto con un’altra proteina adattatrice che prende il nome di distrofina che collega tutta la struttura della giunzione cellula-ECM con il citoscheletro, in particolare con i filamenti di actina. Alcune malattie come le distrofie sono dovute ad alterazioni che colpiscono il muscolo, infatti i pazienti hanno muscoli che non sono in grado di contrarsi in maniera efficiente e quindi non garantiscono un corretto movimento all’intero individuo. Un tipo particolare di distrofia è la distrofia di Duchenne che è dovuta alla mancanza della proteina distrofina . i pazienti portano la mutazione del gene a carico della distrofina. Questa non viene prodotta o viene prodotta in maniera parzialmente corretta. Il risultato è l’assenza di collegamento tra il citoscheletro, i microfilamenti di actina e il complesso della giunzione. Non si avrà una struttura salda tra la fibra muscolare e la ECM. Si hanno muscoli deboli, meno resistenti agli insulti meccanici e con una minor capacità di contrarsi. L’adesione cellulare nelle cellule vegetali è portata avanti dalla parete cellulare che mette in contatto la cellula di un tessuto con quella adiacente nello stesso tessuto e fa da matrice extracellulare degli organismi vegetali. L’ambiente extracellulare è rappresentano dalla parete cellulare e questa parete è formata dalla fibra strutturale che è la cellulosa che da sostegno alla cellula, resistenza meccanica e resistenza alla trazione. Questa cellulosa è immersa in una matrice amorfa, idratata formata da altri polisaccaridi definiti emicellulose e da glicoproteine chiamate estensine. In questa matrice troviamo un'altra componente polisaccaridica che ha la funzione di mantenere idratata la struttura extra.cellulare delle cellule vegetali che vengono chiamate pectine. All’interno di uno stesso tessuto due cellule vegetali si uniscono nel momento in cui una cellula madre si divide in due cellule figlie, infatti durante la divisione della cellula vegetale si forma un setto di divisione che permette la divisione cellulare. Questo setto è la lamella mediana che separa le due cellule figlie, poi a questa lamella mediana viene aggiunta la parete primaria e quando le cellule smettono di crescere diventa una parete secondaria. Nel momento in cui si forma il setto di divisione in una cellula madre generando 2 cellule figlie, la lamella mediana e la successiva parete primaria separano le 2 cellule. Quella che si forma non è una barriera rigida e ininterrotta. Se si va a vedere nel dettaglio utilizzando un microscopio elettronico a trasmissione quello che si ottiene è una parete che delimita la superficie di ogni cellula vegetale e che mette a contatto una cellula con un’altra all’interno di uno stesso tessuto ed è interrotta in alcuni punti da ponti intracellulari. La parete si interrompe, le membrane dell due cellule entrano a contatto e si formano dei canali che mettono a contatto una cellula con la cellula vicina. Questi canali prendono il nome di plasmodesmi. Sono dei canali acquosi attraverso i quali le sostanze possono passare dal citoplasma di una cellula l citoplasma della cellula adiacente. Gli esseri viventi hanno capacità metaboliche. Si tratta di un insieme di reazioni chimiche che permettono agli organismi viventi di trasformare l’energia presente nell’ambiente esterno in energia cellulare. Senza il metabolismo le cellule non sono in grado di ricavare l’energia cellulare e senza energia tutti i processi vitali non possono essere realizzati. Gli esseri viventi possono essere classificati sulla base della propria fonte di energia e quindi possono essere classificati in base al proprio metabolismo cellulare. L’energia quindi serve per compiere un lavoro. Il tipo di lavoro che compie una cellula può essere: : è l’energia dei legami chimici oppure l’energia associata alla posizione di un determinato gruppo di molecole. Per esempio il trasporto tramite la membrana in cui le sostanze si muovono lungo gradiente di concentrazione dalla zona più concentrata a quella meno concentrata. Il gradiente è un energia potenziale, cioè qualcosa che posso potenzialmente usare per compiere lavoro. : è l’energia che mi permette di fare movimento oppure di fare un processo di sintesi. Gli esseri viventi producono l’energia dall’ambiente esterno e la trasformazione in una forma di energia utilizzabile dalla cellula. Quando facciamo queste trasformazioni facciamo passaggi di energia potenziale ed energia cinetica e viceversa. Gli esseri viventi possono essere considerati dei trasformatori di energia. Gli esseri viventi fanno continuamente trasformazioni energetiche, non siamo in grado né di creare né di distruggere l’energia presente nell’universo. Ci comportiamo nei confronti dell’energia e dell’ambiente esterno come se fossimo dei sistemi aperti, infatti c’è un continuo scambio di energia tra il nostro sistema e l’ambiente esterno seguendo i principi della termodinamica. Il primo principio della termodinamica chiamato anche della conservazione di energia dice che l’energia non può essere ne generata né distrutta ma viene solo trasformata Il secondo principio della termodinamica dice che quando negli esseri viventi si fanno trasformazioni energetiche con le reazioni enzimatiche chiamate metabolismo si riesce a trasformare l’energia presa dall’ambiente esterno soltanto in parte in energia utilizzabile per il lavoro quindi non c’è mai un efficiente trasformazione del lavoro al 100%. Per esempio la fotosintesi prende energia dalla radiazione luminosa ma l’energia prodotta viene usata solo in piccola parte per fissare la CO2 in zuccheri. La maggior parte dell’energia luminosa assorbita viene persa dalla pianta sotto forma di calore. Tutte le volte che facciamo trasformazioni energetiche, una parte dell’energia viene dissipata sotto forma di calore, cioè in una forma energetica che non può essere usata per compiere lavoro. Tutti gli esseri viventi sono connessi dalla catena alimentare e da trasformazioni energetiche. La nostra catena alimentare che collega gli organismi produttori con i consumatori è rappresentata da una serie di trasformazioni energetiche. I componenti principali di una catena sono organismi vegetali e animali ma sono anche molto importanti i batteri che hanno metabolismi molto particolari che gli permettono di riciclare molte forme di energia in forma di energia che i consumatori di piante riescono a utilizzare. Noi dipendiamo per produrre energia cellulare sotto forma di ATP dall’attività dei produttori, cioè dagli organismi foto-autotrofi che sono le piante. Le piante sono in grado di trasformare l’energia solare in ATP e in una fonte di elettroni. Questi e- più l’ATP vengono utilizzati per trasformare la CO2 in composti organici. Fanno una trasformazione energetica da fotoni all’energia potenziale dei legami chimici dei composti organici. Gli organismi chemioeterotrofi utilizzano per produrre ATP composti organici. Prendiamo l’energia potenziale degli e- contenuti nei legami covalenti che tengono uniti questi composti organici e attraverso la reazione di ossidazione liberiamo quest’energia e la usiamo per formare ATP che poi verrà utilizzata per compiere i lavori cellulari. Quello che otteniamo come prodotto finale è la trasformazione di un composto organico in CO2, la liberazione di H2O. questi due elementi verranno riutilizzati dagli organismi fotortofi per riprendere la fotosintesi. L’energia presente nell’ambiente esterno che un essere vivente può utilizzare per compiere lavoro è data dalla somma dell’energia che io posso effettivamente utilizzare per compiere un lavoro e quella parte di energia che andrò a perdere sotto forma di calore. Quest’energia prende il nome di entalpia. È difficile conoscere l’esatta energia libera associata ai reagenti e ai prodotti. Quello che si può fare è misurare la differenza tra l’energia libera dello stato finale dei prodotti con l’energia libera dello stato iniziale dei reagenti. Noi possiamo misurare la variazione di entalpia. È importante perché il valore della variazione di energia libera mi dice se sono davanti a un insieme di reazioni chimiche che trasforma energia liberando energia nell’ambiente esterno o se sono davanti a reazioni che per poter avvenire hanno bisogno di energia. Mi dice se un processo biologico è un processo spontaneo o se non è spontaneo e cioè per poter avvenire ha bisogno di energia. Un processo è spontaneo quando l’energia potenziale dei prodotti è minore dell’energia potenziale dei reagenti La variazione di energia libera sarà minore di 0. In questo caso siamo davanti ad una reazione che da un punto di vista termodinamico viene definita esoergonica quindi libera energia nell’ambiente esterno. Quando ho i reagenti che hanno un’energia potenziale minore dei prodotti avrò una reazione di sintesi e presenterà una variazione di energia libera maggiore di 0. la reazione non è spontanea e ha bisogno di energia per poter avvenire. Le reazioni di sintesi da un punto di vista termodinamico vengono definite endoergoniche. Quando la variazione di energia libera è uguale a 0 si dice che la reazione è all’equilibrio. Queste variazioni di energia maggiore e minore di 0 mi permettono di dividere il metabolismo cellulare in due categorie: Tutte le nostre reazioni metaboliche che hanno il compito di fare trasformazioni energetiche possono essere divise in reazioni spontanee che prendono il nome di . Per esempio tutte quelle reazioni che vedono come reagenti macromolecole complesse che hanno un gran numero di legami covalenti. Queste reazioni cataboliche hanno il compito di degradare questi legami chimici e ottenere dei prodotti che hanno un’energia potenziale minore perché dalle macromolecole si ottengono molecole più semplici. Noi organismi chemioeterotrofi usiamo il catabolismo per sottrarre energia alle sostanze organiche, ridurle in molecole più semplici e formare ATP. Quest’energia viene utilizzata dagli esseri viventi per fare altre reazioni metaboliche che non sono reazioni spontanee, quindi avranno bisogno di un’immissione di energia in una reazione che prende il nome di L’anabolismo parte da molecole più semplici per costruire attraverso reazioni di condensazione macromolecole più complesse che a loro volta verranno utilizzate per mantenere l’omeostasi cellulare. Con il catabolismo produco energia mentre con l’anabolismo utilizzo quest’energia per compiere il lavoro cellulare. Per esempio respirazione cellulare e fotosintesi. Si hanno due compartimenti separati da membrana permeabile al soluto. Il compartimento A ha una grande energia potenziale perché contiene una grande concentrazione di soluti Il compartimento B non contiene soluti Se guardo l’intero processo, i reagenti rispetto ai prodotti, l’ energia potenziale che viene posseduta dal processo alla fine de movimento spontaneo delle molecole è più bassa rispetto a quella iniziale. Sarà un processo esoergonico e spontaneo. Se vedo tutto in chiave di trasporto attivo in cui i trasportatori lavorano per aumentare la differenza di concentrazione noto che i reagenti hanno un’energia libera più bassa rispetto a quella finale e quindi la variazione di energia libera si un trasporto attivo è maggiore di 0. in processo sarà endoergonico, infatti le pompe per poter lavorare hanno bisogno dell’idrolisi di ATP. È un nucleoside trifosfato che si può trovare nella composizione dell’acido ribonucleico ed è formato da una base azotata adenina legata con il ribosio a livello del carbonio in posizione 1. il carbonio in posizione 5 dello zucchero lega grazie al legame di condensazione un gruppo ossidrile e tre gruppi fosfato. C’è un legame estere tra l’ossidrile e il primo fosfato che viene indicato con la lettera alpha. Mentre il fosfato alpha si lega con legami fosfoanidridici al fosfato beta e gamma. Sono tutti legami fortemente energetici. I legami fosfoanidridici hanno un energia maggiore rispetto al legame estere ma entrambi hanno un’energia potenziale più alta rispetto a un semplice legame covalente. Durante il metabolismo lavoriamo con reazioni cataboliche per prendere energia dalle sostanze organiche e utilizzare l’energia che liberiamo dalla degradazione delle sostanze organiche per legare un gruppo fosfato all’ADP. Non modifica mai la variazione di energia libera della reazione. La reazione chimica in cui si trova l’enzima non modifica mai l’enzima e una volta finita la reazione viene riutilizzato. Per questo viene chiamato catalizzatore. Perché si formi il complesso enzima-substrato ci deve essere una complementarietà nelle strutture tridimensionali tra l’enzima e il substrato. Ci deve essere un riconoscimento chimico e la formazione dei legami deboli. Una volta formato questo complesso si abbassa l’energia di attivazione e i substrati cominciano a trasformarsi in prodotti. I ricercatori che studiano gli enzimi prendono il nome di enzimologi. Sono una branca della biochimica e sono un gruppo di biologi specializzati nello studio delle nostre trasformazioni energetiche. Gli enzimi sono stati scoperti agli inizi del 1800, prima con osservazioni semplici, poi con la consapevolezza di essere di fronte a macromolecole come le proteine. Una volta scoperta la funzione di questi enzimi gli enzimologi hanno cercato di capire i meccanismi di catalisi degli enzimi e cercare di capire come possa avvenire il riconoscimento tra l’enzima e il substrato. I primi modelli proposti per capire questi meccanismi si devono a Emil Fisher che nel 1894 ha proposto il modello CHIAVE- SERRATURA. Secondo questo ricercatore l’enzima risulta specifico nei confronti del reagente coinvolto nella reazione chimica che lo va a catalizzare. La specificità è data dal fatto che la struttura nativa dell’enzima e del substrato sono perfettamente complementari. Il substrato va a legarsi a livello del sito attivo dell’enzima adattandosi come una chiave si adatta alla sua serratura. Studi più recenti hanno messi in evidenza che il meccanismo di fisher è soltanto parzialmente vero. Rimane vera l’idea che un’enzima sia altamente specifico nei confronti di un substrato sulla base della complementarietà della struttura del suo sito attivo e la struttura nativa del substrato. Affinché si possa formare questo complesso il substrato deve entrare all’interno del suo sito attivo ma secondo il modello dell’adattamento indotto questa complementarietà non è preformata ma è soltanto parzialmente esistente. Significa che il substrato è in grado di riconoscere solo parzialmente una porzione del sito attivo dell’enzima che non ha ancora una struttura complementare. Una volta che si sono stabiliti i primi legami deboli, la struttura degli amminoacidi presenti nel sito attivo dell’enzima si riarrangiano nello spazio. Si riorganizzano adattandosi completamente in maniera complementare al substrato. Questo dà l’avvio alla formazione del complesso enzima-substrato, abbassa l’energia di attivazione dello stato di transizione e quindi fa favorire da un punto di vista di velocità la reazione. Per esempio il lisozima è un enzima prodotto dai batteri ed è il grado di rompere i legami glicosidici della parete polipeptidico degli eubatteri. Nel sito attivo degli eubatteri troviamo degli aminoacidi fondamentali per formare lo stato di transizione con il peptidoglicano e sono il triptofano, l’aspartato, il glutammato e l’alanina. Inizialmente sono tutti amminoacidi distanti l’uno dall’altro nella sequenza primaria della proteina. È solo con il ripiegamento del lisozima da struttura primaria a secondaria e poi a terziaria che questi amminoacidi si trovano in una corretta posizione per agire tutti insieme e sono fondamentali per degradare il peptidoglicano. Questo mi determina la specificità nei confronti del substrato e tutti quei fattori che fanno si che l’enzima perda la sua struttura tridimensionale fanno si che l’enzima perda anche la sua attività catalitica. L’enzima può formare dei legami transitori con il substrato, quindi lo può modificare in maniera transitoria e queste modifiche favoriscono la trasformazione dei reagenti nei confronti del substrato. Queste modifiche chimiche sono transitorie perché l’enzima deve tornare alla sua condizione iniziale una volta finita la catalisi. L’enzima può trasferire dei prodotti chimici, cariche elettriche, protoni al substrato per favorire la trasformazione del substrato nel prodotto. Per esempio la chemiotripsina serve per degradare le proteine. Ci sono enzimi come i Lisozimi che agiscono nello stato di transizione legando il substrato e modificando la disposizione spaziale creando delle distorsioni nei legami covalenti che formano le macromolecole, favorendo l’ingresso di una molecola di H2O e l’drolisi di un legame covalente. Il lisozima favorisce la demolizione del peptidoglicano che significa l’idrolisi dei legami glicosidici. È possibile fare tensione fisica perché il lisozima stabilisce dei legami deboli temporanei con il substrato. L’enzima può agire anche sull’orientazione del substrato. Per esempio l’enzima citrato sintasi che si trova nella respirazione cellulare. Se la reazione prevede l’intervento di due reagenti che si devono combinare insieme formando un legame covalente, creando un unico prodotto l’enzima può riconoscere questi reagenti, legarli con interazioni deboli in maniera specifica nel suo sito attivo orientandoli nella giusta posizione nello spazio in modo tale da favorire la formazione del legame covalente. Quando un enzima lavora in condizioni ambientali ideali è in grado di aumentare di tantissimo la velocità di una reazione. L’attività di un enzima può essere modificata da alcuni fattori come il pH e la temperatura. Gli enzimi possono lavorare in condizioni di pH e temperatura ottimali e questa condizione dipende dalla composizione primaria dell’enzima, dalla sua composizione in amminoacidi e quindi dalla struttura nativa terziaria e quaternaria. Ogni enzima ha un suo valore ti temperatura ottimale nel quale riesce a catalizzare la velocità di una trazione in cui è coinvolto alla velocità massima. La maggior parte degli enzimi presenti negli esseri viventi hanno una temperatura ottimale tra i 30 e i 40 gradi. Temperatura ottimale significa che in queste condizioni la struttura nativa è stabile. Significa che la struttura tridimensionale del sito attivo è alla sua massima stabilità e quindi ha la massima efficienza di formazione di legami con i reagenti per formare il complesso enzima-substrato nello stato di transizione. Alcuni esseri viventi hanno una diversa temperatura ottimale. Ci sono archeobatteri definiti termofili che vivendo in prossimità delle sorgenti idrotermali marine, zone della terra con temperatura sopra i 37 °C, si sono evoluti selezionando delle molecole più stabili. Hanno enzimi che presentano un valore di temperatura ottimale di 70 °C e gli 80 °C. Sono enzimi con struttura tridimensionale molto stabile. Se prendo un enzima del mio organismo che ha una temperatura ottimale tra i 30 e i 37° e lo porto alla temperatura ottimale di un enzima termofilo l’enzima si inattiva. Prima ci sarà un rallentamento della reazione di catalisi e poi si inattiverà completamente. Sopra i 50 °C comincia a diminuire e sopra i 70° perché perde la sua struttura terziaria se è un enzima fatto da una sola catena polipeptidica o la sua struttura quaternaria se è fatto da più catene polipeptidiche. Superato il valore di temperatura ottimale si rischia di denaturare l’enzima. Significa che distrugge tutte le interazioni deboli che tengono in piedi la struttura nativa dell’enzima e l’enzima senza la sua struttura nativa non è in grado di riconoscere il substrato. Si bloccherà la catalisi della reazione. L’effetto di inattivazione si ottiene anche a basse temperature ma invece di denaturare l’enzima si bloccano le interazioni deboli rendendole più rigide. Le interazioni deboli sono fondamentali perché devono essere dinamiche e devono permettere un legame transitorio con il substrato e poi devono rompersi. Se io ho basse temperature è come se congelassi l’enzima che smette di funzionare. Se si riportano alla temperatura ottimale ricominciano a funzionare. Il processo di denaturazione invece non è reversibile a meno che non si siano dei fattori per far ripiegare di nuovo la proteina. Per quanto riguarda il pH abbiamo degli enzimi con pH ottimale in cui l’effetto di catalisi è maggiore. Ioni abbiamo enzimi che funzionano a pH acido come la pepsina, tutti quelli presenti nello stomaco, nel lisosoma. In questo caso il pH influenza la formazioni di interazioni deboli. Se vado ad spostare il valore del pH acido verso valori più alcalini o più acidi la velocità di reazione diminuisce. Ad alte temperature porta ad un danneggiamento della struttura terziaria dell’enzima. Abbiamo enzimi che funzionano a pH alcalino per esempio la tripsina che è presente nel nostro intestino e enzimi che lavorano a pH neutri. Ci sono altri fattori che possono influenzare la velocità di una reazione chimica. Questi fattori sono per esempio la concentrazione del substrato. Gli enzimologi hanno cercato di caratterizzare gli enzimi per avere informazioni importanti sulla velocità di un processo biologico, su come poteva essere regolato o su come può essere regolato perché alcuni processi biologici sono molto studiati anche in campo farmacologico perché quando sono alterati sono coinvolti in alcune patologie. Progettare farmaci che possano andare a modulare la velocità di un processo biologico alterato e associato a una patologia vuol dire cercare di curare quella patologia. È molto importante studiare gli enzimi sia a livello strutturale che la loro cinetica, cioè la capacità di catalizzare una reazione e la velocità con cui riescono a velocizzare una reazione. L’altro fattore che può influenzare la velocità è la concentrazione del substrato e dell’enzima. A pH costante e a temperatura costante Fare la cinetica significa andare a vedere come la velocità della reazione varia in funzione della variabile che prendo in considerazione. Se la variabile è la concentrazione dell’enzima lavoro a concentrazioni di substrato costante. Se aumento la concentrazione dell’enzima e mantengo costante il substrato riesco a ottenere una retta rel grafico. All’aumentare dell’enzima io ho un aumento direttamente proporzionale della velocità quindi se la cellula vuole regolare un determinato processo biologico aumentandone la velocità in un determinato momento a concentrazione costante di substrato aumenta la concentrazione dell’enzima. Dovrà attivare il gene che porta l’informazione per quest’ultima quindi si ha la produzione del suo RNA corrispondente, la sua traduzione a livello dei ribosomi quando a quando aumento la quantità di un enzima. Misuro la velocità di una reazione in funzione della variazione di concentrazione del substrato non ottengo una retta ma ottengo un’ iperbole. Significa che a basse concentrazioni di substrato la velocità della reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato. Aumentando il substrato arrivo a dei valori di substrato per i quali la velocità non cambia. Quando ho questa variabile, cioè la concentrazione di substrato a enzima costante a un certo punto mi fermo e arrivo a un valore di velocità che è massimo. Questo fenomeno viene chiamato fenomeno di saturazione. La maggior parte degli enzimi va incontro a un fenomeno di saturazione generando un iperbole nel grafico. C’è una piccola classe di enzimi dove il fenomeno di saturazione esiste lo stesso però si ottiene un sigmoide che ha una fase di non variazione (latenza) nelle prime fasi poi si ha una fase direttamente proporzionale e poi si piega per formare uno stato stazionario. Se nella mia condizione sperimentale ho solo 6 enzimi la velocità della reazione la velocità della reazione, quando lavoro con due molecole di substrato, ho tutti gli enzimi disponibili per poter interagire e formare un complesso enzima-substrato e quindi la velocità della reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione dei substrati. Se ne ho tre aumento la velocità , se ne ho 4 la aumento ancora fino a quando tutti e 6 i siti di questi enzimi sono occupati. Nel nostro organismo abbiamo anche enzimi che si possono inibire in maniera reversibile, si va a inibire con interazioni deboli l' enzima e quest inibizione può essere fatta o a livello del sito attivo e quindi si ha un inibitore che ha una struttura tridimensionale simile al substrato, va a livello del sito attivo, forma delle interazioni deboli con il sito attivo e quindi il sito attivo è occupato dall’ inibitore e questo non è più disponibile per il substrato. In questo modo la velocità della reazione viene rallentata perché abbiamo una concentrazione di enzima minore di quella che può essere legata dalle molecole di substrato. Questo tipo di inibizione viene chiamato COMPETITIVA perché il substrato e l' inibitore avendo la stessa struttura tridimensionale competono per il sito attivo. Per spostare l’equilibrio tra la forma attiva di un enzima e la forma inattiva posso Usare la concentrazione del substrato e dell' inibitore. Ad alte concentrazione di substrato prevale questa forma. L’equilibrio si sposta verso la forma inattiva dell’enzima e la velocità della reazione diminuisce. La cellula può inibire un enzima bloccandone la trascrizione A livello del DNA ho produrre grazie all' attivazione di un altro gene un inibitore che va a inibire l' enzima di interesse. Possono essere inibiti anche in maniera NON COMPETITIVA. Sono delle inibizioni mediate da inibitori che non vanno a legarsi a livello del sito attivo dell'enzima ma riconoscono un sito regolatore che può essere chiamato attivatore o inibitore. Posso avere un inibitore che mi riconosce il sito regolatore e quando si Lega adesso l' enzima cambia leggermente la sua disposizione nello spazio degli amminoacidi presenti nel sito attivo. Si riarrangia la disposizione spaziale degli amminoacidi importanti per formare il complesso enzima substrato a livello del sito attivo. Cambiando la disposizione di questi amminoacidi il substrato pur avendo una struttura parzialmente complementare non è in grado di formare legami deboli, quindi non c'è l'adattamento indotto e non c'è l'attivazione del complesso enzima substrato e non si ha la trasformazione dei substrati nei prodotti. Sono molecole in grado di esistere in natura in due conformazioni tridimensionale diverse. La diversa struttura conferisce a queste due conformazioni proprietà biologiche diverse. Sono enzimi particolari che non seguono la cinetica di Michael e Mont ma hanno come andamento a temperatura e PH costante un andamento sigmoide. Posso avere un enzima che può esistere in una conformazione a attiva e una conformazione B inattiva. Esistono nei sistemi viventi molecole in grado di stabilizzare la forma attiva e vengono chiamate attivatore e altre molecole chiamate inibitori. L’ inibitore si Lega ad un sito specifico chiamato sito allosterico e vi si Lega con interazioni deboli e fa cambiare l'intera struttura tridimensionale all' enzima stabilizzando la sua forma inattiva. Spesso gli enzimi allosterici sono enzimi che nelle nostre vie metaboliche vengono inibiti dallo stesso prodotto finale della via metabolica in cui si trovano a lavorare con un meccanismo di retro inibizione oh a feedback. Questi meccanismi sono comuni soprattutto al nostro anabolismo. Nelle vie di biosintesi. Per esempio la isoleucina che si forma come substrato iniziale da un precursore che è la treonina. Questa va incontro ad una serie di modifiche chimiche, ogni tappa è catalizzata da un enzima specifico. Quando si hanno delle reazioni chimiche del metabolismo così, di tutte queste tappe ce n'è sempre una chiamata tappa limitante della reazione che è quella che prevede un maggiore investimento energetico. Nella biosintesi degli amminoacidi il prodotto finale è in grado di inibire la via stessa. In questo caso la isoleucina e l' effettore allosterico dell enzima chiave della reazione che e la treonina deaminasi Che riconosce la treonina e dall' avvio a una cascata di enzimi. La isoleucina funziona da inibitore allosterico. Da allegare il sito allosterico così l' enzima uno ha una struttura nativa tale che non è in grado di riconoscere la treonina. Quando la concentrazione di isoleucina nel nostro organismo è molto bassa manca l' inibitore allosterico legato all' enzima, l' enzima è in grado di passare dalla conformazione inattiva alla conformazione attiva, di riconoscere il substrato iniziale e di dare l’ avvio alla biosintesi di isoleucina. L’attività enzimatica può essere regolata a livello della trascrizione, grazie ad attivatori o inibitori ma c'è anche un meccanismo che può regolare gli enzimi in modo transitorio attraverso delle modifiche chimiche dell enzima stesso. Una delle modifiche chiave del nostro metabolismo e la fosforilazione: aggiungo un gruppo fosfato o più gruppi fosfato all' enzima. L’aggiunta del gruppo fosfato fa da effettore allosterico per questo enzima. Spesso sono enzimi allosterici dove la fosforilazione può stabilizzare la forma attiva oppure può stabilizzare la forma inattiva. Per esempio l' enzima glucosio fosforilasi che è responsabile della degradazione delle nostre riserve di glicogeno a glucosio. Il glucosio viene liberato grazie all’ idrolisi di una molecola di acqua sotto forma di glucosio fosfato. L’ enzima glucosio fosforilasi si attiva soltanto con la fosforilazione. Esiste un enzima in grado di mantenerlo in forma attiva aggiungendo i gruppi fosfato ed è chiamato glicogeno chinasi. La chinasi utilizzandola tipi stacca un fosfato dalla tipi e fosfori la l' enzima stabilizzando la sua conformazione allosterica attiva. Quando la cellula vuole rallentare la degradazione del glicogeno inibisce la glicogeno fosforilasi e attiva un enzima che fa l'attività catalitica contraria alla chinasi che è la fosfatasi che stacca i gruppi fosfato dalla glicogeno fosforilasi. La glicogeno fosforilasi passa dalla sua conformazione tridimensionale allosterica attiva alla forma tridimensionale allosterica inattiva. L’ enzima quando è una proteina può svolgere l'attività catalitica però ci sono anche degli enzimi proteici che per poter funzionare hanno bisogno di cofattori che possono essere o molecole organiche cioè coenzimi oppure metalli. La proteina più questi cofattori prende il nome di oloenzima. La proteina senza questi cofattori prende il nome di apoenzima Quando questi cofattori si legano in modo stabile all' enzima diventano gruppi prostetici della proteina stessa. Nel nostro metabolismo le nostre trasformazioni energetiche possono avvenire in maniera lineare. In alcuni casi i metabolismi possono avere un andamento ciclico. Questo serve per favorire la trasformazione di un reagente nei suoi substrati e per entrare all'interno del ciclo la fase iniziale è un legame covalente con un accettore di questo substrato, si forma un composto transitorio che permette le modifiche chimiche che ci interessano per ottenere i prodotti finali. La parte finale del ciclo serve per rigenerare la molecola che ha permesso l'ingresso di un reagente. La fotosintesi è un processo metabolico che avviene negli autotrofi: sono organismi che sanno sintetizzare da soli le molecole organiche perché sanno sfruttare l'energia solare. È la sintesi di molecole organiche permessa dalla luce. Negli organismi fotosintetici partendo da anidride carbonica e acqua sfruttando l'energia del sole si riesce a sintetizzare molecole di carboidrati e ossigeno. Sono molecole organiche che vengono utilizzate dagli stessi fototrofi ma anche dagli altri organismi eterotrofi. Partendo da anidride carbonica e acqua, sfruttando la luce del sole che viene assorbita dalla clorofilla si ha la sintesi di glucosio e rilascio di ossigeno. Osservando la reazione sembra una ossidoriduzione, invece non c'è una trasferimento diretto di atomi di idrogeno dall'acqua alla anidride carbonica. Il processo di fotosintesi nelle piante e nelle alghe avviene in quelle cellule che contengono cloroplasti. I cloroplasti sono caratterizzati da una membrana interna e da una membrana esterna ma all'interno del cloroplasto, quindi nello stroma vi è un terzo sistema di membrane chiamato sistema tilacoidale. La fotosintesi avviene nelle cellule verdi perché contengono cloroplasti: sono cellule del mesofillo che è il tessuto fotosintetico in cui queste cellule piene di cloroplasti in grado di sfruttare l'energia radiante solare vedono avvenire processo fotosintetico. Di tutto lo spettro elettromagnetico la fotosintesi sfrutta la luce visibile, cioè quelle radiazioni caratterizzate da una lunghezza d'onda compresi tra 380 e 750 nanometri. Questa luce visibile viene assorbita dai pigmenti e convertita in energia chimica. La radiazione luminosa, oltre che una natura ondulatoria ha anche una natura corpuscolare. La luce appare costituita da pacchetti energetici chiamati fotoni che hanno uno specifico quantum invisibile di energia. Le molecole nel cloroplasto che riescono a sfruttare questa energia solare fanno parte della clorofilla e si chiamano pigmenti, sono in grado di assorbire questa radiazione luminosa e di permettere il processo. La clorofilla è caratterizzato da un anello porfirinico e da un magnesio al centro ed è caratterizzato dall'alternarsi di doppi legami. È questa alternanza che permette l' assorbimento di energia luminosa. La clorofilla è anche caratterizzata da una lunga catena idrofobica laterale chiamata . Con questa coda il pigmento di clorofilla si inserisce nelle membrane. Batteri fotosintetici che hanno clorofilla, cioè i cianobatteri, non hanno cloroplasti e questi processi avvengono nella membrana plasmatica. L'ancoraggio alla membrana è permesso da queste code di fitolo. L'energia del sole è stata convertita in energia chimica, temporaneamente immagazzinata in molecole di ATP. le molecole di NADPH e ATP verranno utilizzate per fissare il carbonio inorganico dell anidride carbonica in una molecola organica e generare un triosofosfato per formare glucosio, saccarosio e amido.Questo nella fase oscura. Il complesso dell’ATP sintetasi prevede una subunità che funziona da canale per i protoni che accumulati nel lume tilacoidale possono ritornare verso lo stroma e una subunità catalitica dove si ha la dissipazione di questo gradiente protonico, il trasporto secondo gradiente di questi protoni da dove sono più concentrati a dove sono meno concentrati permette la fosforilazione dell’ADP ad ATP. Esiste anche un trasporto catalitico oltre ad un trasportatore non ciclico: Il P700 che è il fotosistema 1: si ha la fotoeccitazione dell'elettrone che viene ceduto fino alla ferredossina. Dalla ferredossina non si va ridurre NADP , questi elettroni vengono smistati grazie al citocromo b6 e alla plastociclina e ritornano al P700. È come se l' elettrone venisse fotoeccitato, arrivasse alla ferredossina che poi tornasse al P700. Quindi fa un ciclo. Serve per pompare protoni nel lume tilacoidale e contribuisce alla sintesi di ulteriori molecole di ATP. Questo fa sì che una cellula che ha più bisogno di molecole di ATP rispetto a molecole di NADPH grazie a questo trasporto ciclico può regolare il rapporto fra le molecole di ATP e NADPH prodotte dalla fase luminosa della fotosintesi. Nella fase luminosa della fotosintesi grazie ai pigmenti nelle membrane fotosintetiche si ottiene ossigeno molecolare, NADPH e ATP. Le molecole di ATP e NADPH prodotte dalla fase luminosa vengono utilizzate per formare dall’ATP, ADP+Pi e il NADPH si riossida e partendo dall’anidride carbonica si ottiene carboidrati e molecole organiche. Prende il nome dei e sono una serie di reazioni che avvengono nello stroma. Prende il nome dallo scienziato statunitense che nel 1940 chiarì i dettagli di questo ciclo di reazione. L’ATP e l’NADPH prodotti dalla fase luminosa vengono utilizzati per far uscire da questo ciclo di reazioni la gliceraldeide-3-fosfato: questo è il mattoncino con il quale le cellule costituiscono glucosio, saccarosio, amido. Nella prima fase di questo ciclo l' anidride carbonica entra attraverso lo stoma ( Sono dei fori che si possono aprire e chiudere) e quando si aprono gas come l' anidride carbonica e l'ossigeno vi possono passare. L'ossigeno per esempio esce attraverso questi stomi. L' anidride carbonica entra attraverso gli stomi nello stroma del cloroplasto dove reagisce con una molecola a 5 atomi di carbonio chiamata ribulosio-1,5 fosfato. Questa reazione è catalizzata un enzima che prende il nome di : l' anidride carbonica più ribulosio-1,5 fosfato porta alla formazione di due molecole di 3-fosfoglicerato. Nelle reazioni successive questo 3-fosfoglicerato grazie all' idrolisi dell’ATP, grazie agli elettroni del NADPH che si ossida a NADP viene ridotta gliceraldeide-3-fosfato. Per tre molecole di anidride carbonica che entrano nel ciclo di Calvin vengono prodotte 6 molecole di gliceraldeide-3-fosfato. Solo una esce dal ciclo ed è quella che viene utilizzata per la biosintesi di saccarosio, glucosio, fruttosio ecc... Le altre 5 molecole subiscono una serie di reazioni che rigenerano il ribulosio bifosfato che reagisce di nuovo con l' anidride carbonica grazie all' enzima rubisco. Nel 1961 Calvin ricevette il premio Nobel per la scoperta di questo ciclo di reazioni che avvengono nello stroma del cloroplasto e che rendono conto della fissazione del carbonio. Grazie a questo ciclo di Calvin, il carbonio inorganico dell anidride carbonica è stato fissato, organicato: è stato possibile dall'utilizzo del potere riducente NADPH e ATP in cui l'energia del sole era stata temporaneamente immagazzinata nella fase luminosa della fotosintesi. Il sistema tilacoidale è un sistema membranoso che prevede questi sacchetti di membrana. All'interno di ogni sacchetto c'è uno spazio ( un lume) e sono impilati come monete a formare il granum ( singolare) o grana ( plurale) e sono collegati fra loro grazie a dei tilacoidi interstromali. Il lume interstromale è qualcosa di continuo fra i vari compartimenti del sistema tilacoidale. È a livello di queste membrane dei tilacoidi che avviene la fase luminosa. Sulle membrane tilacoidali sono posizionati i pigmenti dei vari sistemi. Nella fase luminosa nel trasporto non ciclico gli elettroni dall'acqua seguono, seguendo lo schema Z, un percorso fino a ridurre il NADP. L'acqua viene lisata e si rilascia ossigeno molecolare e durante il trasporto non ciclico di elettroni attraverso questi trasportatori vi è un accumulo di protoni in questi tilacoidi. Quando a questi protoni è permesso di rientrare nello stroma grazie all’ATP sintetasi la dissipazione di questo gradiente protonico permette la fosforilazione dell’ADP ad ATP. Dopodiché c'è la fase oscura con il ciclo di Calvin. La prima reazione catalizzata dall'enzima rubisco che permette la reazione di anidride carbonica con il ribulosio-1,5 fosfato, da origine al 3-fosfoglicerato e grazie all’ADP e al NADPH verrà convertita in G3P. È il punto di partenza per la sintesi di amido e glucosio a livello dello stroma del cloroplasto, ma questi triosofosfati possono anche uscire dal cloroplasto e nel citoplasma della cellula viene utilizzata per la sintesi di questo disaccaride, il saccarosio, che poi attraverso le venature delle foglie e al sistema di trasporto degli zuccheri, verrà trasportata tutte le parti della pianta. Si svolge nel cloroplasto, nel perossisoma fogliare e nel mitocondrio. Grazie a questa serie di reazioni, le piante C3 ( cioè quelle in cui il prodotto della organizzazione del carbonio è un triosofosfato, G3P) in queste piante esiste una via di recupero che permette partendo da due molecole di fosfoglicato, generate dall'attività ossigenica del rubisco, attraverso una complessa serie di reazioni che si svolgono nel perossisoma, nel mitocondrio, nel perossisoma fogliare e nel cloroplasto e recupera parte degli atomi di carbonio del fosfoglicato visto che si arriva ad ottenere G3P e può procedere nel ciclo di Calvin. Questo processo viene chiamato fatto respirazione perché si consuma ossigeno perché la rubisco funziona da ossigenasi quindi è l'ossigeno a reagire con il ribulosio-5-bisfosfato, generando una molecola di G3P e fosfoglicato. Nel mitocondrio avviene una reazione catalizzata dall'enzima che libera anidride carbonica, quindi si usa ossigeno e viene rilasciata l' anidride carbonica. La fotorespirazione e una via costosa in termini di molecole di NADPH e ATP ma permette di recuperare questa molecola di fosfoglicolato che sarebbe altrimenti una costosa perdita visto che il fosfoglicolato non può entrare nel ciclo di Calvin. Comporta l' accumulo di fosfoglicolato per la cellula e si esaurirebbe la produzione di triosofosfati. Il fosfoglicolato viene defosforilato a livello del cloroplasto a glicolato che viene ossidato. Nei perossisomi questa reazione porta a produzione di acqua ossigenata o perossido di idrogeno (H2O2) che viene degradato dalla catalisi che permette di detossificare l'idrogeno che si genera da queste reazioni ossidative che avvengono a livello del perossisoma. Il gliossilato subisce una reazione che la trasforma a glicina, la glicina entra nel mitocondrio dove avviene il rilascio di anidride carbonica. È una decarbossilazione ossidativa, quindi si ha la formazione di NAD ridotto. La serina prodotta viene riportata nel perossisomi dove ci sono una serie di reazioni. Nelle piante C4 il primo prodotto è un composto organico a quattro atomi di carbonio cioè l’ossalacetato. Sono peculiari per quanto riguarda la sede cellulare dove avviene il ciclo di Calvin. Le piante C4 prima di fare il ciclo di Calvin fanno altre reazioni: entrano in gioco cellule che circondano le venature della foglia e si chiamano cellule della È a livello dello stroma del cloroplasto di queste cellule che avviene il ciclo di Calvin. Grazie a questa separazione spaziale del ciclo di Calvin è possibile in queste cellule avere una concentrazione di anidride carbonica che permette al rubisco di funzionare da carbossilasi anche in condizioni difficili. Il ciclo di Hatch-slack non sostituisce il ciclo di Calvin. Presenta una serie di reazioni che avvengono prima del ciclo di Calvin che permettono di concentrare l' anidride carbonica nelle cellule della guaina del fascio facendo sì che il ciclo di Calvin possa avvenire con efficienza perché la rubisco possa lavorare come carbossilasi. Alcune piante C4 possono essere di interesse industriale: queste piante vivono in ambienti caldi. L' anidride carbonica entra nella pianta attraverso dei pori la cui apertura è regolabile che si chiamano stomi, e non può tenerli sempre aperti perché ci sarebbe un' eccessiva perdita di acqua. Gli stomi restano chiusi a causa dell' elevata temperatura, entra meno anidride carbonica e l' anidride carbonica con l' aumentare della temperatura ha una ridotta solubilità in acqua. L'ossigeno con la fase luminosa viene comunque prodotto, si accumula non uscendo attraverso gli stomi. Ci sono le condizioni perché la rubisco funzioni non da carbossilasi ma da ossigenasi. Quindi le piante del C4 fanno un ciclo di reazioni che precede il ciclo di Calvin che permettono di garantire nella cellule della guaina del fascio una concentrazione di anidride carbonica elevata che permette alla rubisco di funzionare da carbossilasi. Queste piante sopra i 30 °C hanno per questo ciclo di reazioni una efficienza fotosintetica doppia rispetto ad una pianta C3 che nelle stesse condizioni non potendo effettuare questo ciclo di reazioni è meno efficiente. L' anidride carbonica nelle cellule del mesofillo viene fatta reagire con una molecola a tre atomi di carbonio che il fosfoenolpiruvato da un enzima che è il fosfoenolpiruvato carbossilasi e porta alla produzione di ossalacetato. Questa molecola a quattro atomi di carbonio grazie all' enzima malato Questo coenzima è un trasportatore di e- e p+ ma si trova coinvolto nelle reazioni anaboliche. FAD: Flavia adenina dinucleotide. Ne esistono due tipologie simili. Flavia mono nucleotide e la Flavin adenin dinucleotide. Flavin mono nucleotide è il trasportatore di partenza formato da tre anelli condensati e una catena fatta da atomi di carbonio e gruppo -OH e un gruppo fosfato. Questa molecola è in grado di accettare e- e p+. Accetta sempre due e- e 2 p+. Non si liberano mai p+ nell’ambiente la Flavin mono nucleotide (forma ossidata) diventa Flavin mono nucleotide con due atomi di H. Se a questa molecola lego un gruppo fosfato a un’adenina ottengo il FAD che segue le reazioni di deidrogenazione accettando 2 e- e 2 p+ e da FAD diventa FADH2. Ogni volta che ho un ossidazione parziale del glucosio per intervenire il NAD e il FAD come cofattore accettando temporaneamente e- e p+. Si chiama così per distinguerla dalla respirazione cellulare. Questo tipo di respirazione le fanno le cellule animali e quelle vegetali e quelle procariote. È una reazione di ossidazione a carico di sostanze organiche. Nel caso dei carboidrati viene utilizzato soprattutto il glucosio che subisce una reazione di ossidazione in cui gli atomi di carbonio vengono completamente ossidati e trasformati in CO2. In questo processo vengono coinvolti i mitocondri dove l' accettore finale di questi elettroni e protoni è l'ossigeno molecolare che si trasforma in acqua. Questo flusso di elettroni e protoni dal glucosio all'ossigeno libera energia sufficiente a formare diverse molecole di ATP. La produzione di anidride carbonica, ATP e acqua avviene nel mitocondrio. Nelle cellule batteriche questo processo avviene sulla membrana plasmatica. L’ossigeno viene introdotto a livello polmonare, trasportato con l' emoglobina nei nostri tessuti perché possa entrare a livello dei nostri mitocondri ed essere usato come accettore finale di elettroni nelle reazioni metaboliche a carico del glucosio ma anche dei grassi. L’ anidride carbonica la buttiamo fuori a livello polmonare ed è la risultante della completa ossidazione mediante respirazione cellulare aerobia delle nostre sostanze organiche. La respirazione aerobia avviene nel mitocondrio ed è tutta quella parte in cui si ha la produzione di anidride carbonica e la liberazione di ATP. Tutte le sostanze organiche possono essere respirate ma prima di essere respirate cioè introdotte nei mitocondri, perché l'atomo di carbonio presente in questi composti sia trasformato in anidride carbonica ci deve essere un metabolismo intermedio di preparazione che porta a trasformare le molecole di partenza in un composto utilizzando I mitocondri. nei metabolismi intermedi, che nel caso del glucosio e quello chiamato glicolisi Ho delle reazioni di ossidazione in cui vengono formate parzialmente queste sostanze nutritive in assenza di ossigeno. Non avrò mai la liberazione di anidride carbonica. La glicolisi e la fase di preparazione del glucosio, è un metabolismo anaerobio che avviene in assenza di ossigeno, avviene a livello del citoplasma e permette di ossidare parzialmente il glucosio, liberando una piccola quantità di energia sotto forma di elettroni e protoni e producendo una piccola quantità di ATP. Nella glicolisi possono entrare anche altri carboidrati come i disaccaridi di saccarosio, lattosio, maltosio, trialosio, fruttosio, però devono essere modificati e poi possono entrare nelle varie tappe della glicolisi. Il glucosio noi lo assumiamo attraverso la dieta che può essere di origine vegetale oppure da disaccaridi come saccarosio e lattosio. Quando assumiamo un eccesso di carboidrati questi vengono convolati come riserve energetiche sotto forma di glicogeno. Molto importante è la riserva che abbiamo a livello del fegato e una parte di questa riserva è presente anche a livello del muscolo scheletrico. Si può fare la sintesi del glucosio a partire da precursori non di origine polisaccaridica attraverso un meccanismo chiamato gluconeogenesi ma non si può utilizzare i grassi per fare glucosio. La nostra disponibilità di glucosio sotto forma di glicogeno non è così elevata. Quando siamo soggetti ad uno sforzo fisico molto intenso le nostre riserve vengono rapidamente utilizzate: la nostra riserva energetica che possiamo accumulare in grande quantità sono soprattutto i trigliceridi che in confronto ad una riserva di glicogeno vengono utilizzati in modo più lento. Il glucosio è la fonte energetica principale dei globuli rossi che la utilizzano con un metabolismo che non e la respirazione aerobia perché non possiedono né nucleo nei mitocondri. Utilizzano la fermentazione lattica che è la fonte di energia principale del nostro sistema erboso. Il fegato non utilizza né respirazione né altri tipi di metabolismo ma ha un metabolismo particolare. Quando ingeriamo i polisaccaridi a livello del cavo orale la digestione di questi polisaccaridi inizia in bocca. La digestione rimane intatta a livello intestinale perché gli enzimi che degradano i polisaccaridi non si trovano a livello dello stomaco ma si trovano a livello dell intestino ed è qui che si ha la trasformazione dei polisaccaridi che sono passati inalterati dal cavo orale in monomeri utilizzabili dalla la respirazione oppure per accumularli. A livello dell intestino si accumulano i monosaccaridi più importanti come il galattosio, fruttosio e glucosio che vengono assunti dalle cellule intestinali attraverso modalità di trasporto diverse. Il glucosio viene assunto attraverso un trasporto attivo secondario: il simporto mediato dalla sodio e glucosio Lo stesso trasporto vale anche per il galattosio Il fruttosio arriva attraverso una diffusione facilitata. Tutti questi monosaccaridi vengono indirizzati nella glicolisi per il nostro metabolismo energetico. Nel muscolo scheletrico l'ingresso del glucosio è una diffusione facilitata per cui si può raggiungere una condizione di equilibrio. Molecole di glucosio che entrano sono uguali a quelle che escono ma devo usare il glucosio per produrre energia, quindi non posso permettere il passaggio inverso dal citoplasma al fluido extracellulare. La cellula per intrappolare il glucosio nel citoplasma e poterlo utilizzare lo modifica chimicamente. L’ enzima chiamato esochinasi o glucochinasi modifica chimicamente il glucosio aggiungendo un gruppo fosfato in posizione 6 creando il glucosio-6-fosfato. Utilizza come donatore di gruppi fosfato l’ATP. Si modifica chimicamente glucosio consumando energia per impedirgli di uscire. Aggiungendo gruppi fosfato aggiunge una carica negativa al glucosio, lo rende più polare e gli impedisco di diffondere attraverso il doppio strato fosfolipidico. Nelle nostre membrane non ci sono trasportatori che possano permettere una diffusione facilitata del glucosio sei fosfato. Nel nostro organismo abbiamo due enzimi: l' esochinasi presente in tutte le cellule. la glucochinasi presente negli epatociti e nel pancreas. Sono due Isoenzimi: Sono due enzimi che fanno la stessa reazione chimica ma hanno nei confronti del glucosio affinità diverse. Anche a livello del fegato si può fosforilare il glucosio per poi poterlo usare per il metabolismo epatico. Se andiamo a vedere la cinetica di questi due enzimi si vede che hanno due curve completamente diverse: presentano due costanti km diverse. L’ esochinasi ha una km piccola rispetto alla km della Glucochinasi, quindi ha un affinità maggiore per il glucosio rispetto alla glucochinasi. L’ esochinasi riesce a lavorare nel nostro organismo anche quando nel circolo sanguigno ci sono bassissime quantità di glucosio. In assenza di nutrienti, in deficit energetico tutto il glucosio che abbiamo in circolo va ai tessuti che utilizzano glucosio per formare a ATP. Soltanto quando c’è un eccesso di glucosio dopo un pasto, e quindi deve essere accumulato sotto forma di glicogeno interviene la glucochinasi epatica che riconosce l'alta concentrazione di glucosio nel circolo sanguigno, lega il glucosio e lo modifica per poterlo accumulare sotto forma di glicogeno. Usando due enzimi con affinità diversa nei confronti dello stesso substrato, riesce a fare una differenziazione funzionale metabolica di due tessuti. La glicolisi viene suddivisa in due gruppi: una fase di spesa energetica e una fase di guadagno energetico . Nelle prime tappe ho eventi di fosforilazione che modificano il glucosio perché possa essere trasformato in una molecola in grado di essere indirizzata verso le vere reazioni di idrogenazione per produrre energia. Posso distinguere la glicolisi in una fase in cui consumo ATP e una fase in cui la produco: la fase in cui produco ATP è una fase in cui le molecole sono in eccesso rispetto alla prima parte quindi ho comunque un guadagno netto di ATP. Il prodotto finale della glicolisi è un acido chiamato acido piruvico o piruvato. Oltre all’ATP e a formare l’acido piruvico alla fine della glicolisi sia la produzione di molecole di NAD. Attraverso reazione di fosforilazione trasformo il glucosio in glucosio-6-fosfato usando ATP come fonte di energia. Poi modifico quello che è derivato dal glucosio-6-fosfato che viene trasformato nel suo isomero corrispondente cioè il fruttosio-6-fosfato che viene fosforilato e si forma il fruttosio 1,6 bisfosfato che viene sottoposto a una rottura del legame covalente da parte di un enzima chiamato ALDORASI. L’ aldorasi rompe un legame covalente e trasforma questo zucchero a sei atomi di carbonio in due zuccheri a tre atomi di carbonio che sono l'uno l' isomero dell'altro, ognuno dei due presenta un gruppo fosfato. Essendo isomeri la reazione chimica è una reazione di equilibrio perché un isomero si può convertire nell’altro. Il prodotto finale che viene fuori da queste reazioni, per ogni molecola di glucosio che viene modificata in questo modo sono due molecole dello zucchero Aldoso, della gliceraldeide-tre-fosfato perché la gliceraldeide-tre-fosfato entra a far parte della reazione di produzione di energia della glicolisi. Da una molecola di glucosio ottengo due molecole di gliceraldeide-tre-fosfato. Consumo due molecole di ATP per ottenere due molecole di gliceraldeide-tre-fosfato. Le molecole entrano nella fase di guadagno di energia. La prima tappa e una deidrogenazione in cui sottraggo elettroni e protoni al substrato. La gliceraldeide aveva un gruppo aldeidico, lo trasformo in un gruppo carbossilico e sottraggo energia sotto forma di elettroni e protoni. Quest’ energia mi serve in parte per ridurre il NAD e in parte aggiungere a questo composto un gruppo fosfato usando un fosfato inorganico. Questo composto che presenta due gruppi fosfato presenta un' energia maggiore rispetto a quella richiesta per passare carbossilici chiamata Si forma un legame covalente che porta alla formazione di un composto a sei atomi di carbonio chiamato citrato. Ecco perché viene anche chiamato ciclo dell'acido citrico: perché il primo prodotto della reazione e l'acido citrico ed è un acido tricarbossilico. L'acido citrico è il substrato della prima reazione di decarbossilazione ossidativa che abbiamo a livello del ciclo di krebs. Si ha la liberazione di una molecola di anidride carbonica, la liberazione di elettroni e protoni che vengono dati al NAD che va a trasformarsi in NADH. Il composto che si ottiene è un composto a 5 atomi di carbonio che subisce la seconda reazione di decarbossilazione ossidativa, si libera di nuovo anidride carbonica, elettroni e protoni che vengono ceduti a NAD che diventa NADH. Già nelle prime fasi del ciclo di Krebs io ho completamente trasformato il carbonio che arrivava dal glucosio in anidride carbonica. Quando abbiamo dei metabolismi ciclici la seconda parte del metabolismo ciclico serve per rigenerare la molecola di partenza che ha permesso l'ingresso del mio substrato. Per permettere l'ingresso di altre unità di acetile io ho bisogno di rigenerare l’ossalacetato. Nelle tappe di rigenerazione sono in grado di formare composti che mi permettono di liberare una piccola quantità di energia, sufficiente a formare G3P che viene utilizzata per formare l’ ATP. In alcune cellule non si ha la formazione di G3P ma direttamente di ATP. Nel meccanismo di riciclo o produzione di un nucleotide che può essere G3P o ATP ho reazioni di ossidazione che permettono di formare FADH2 e NADH. Il senso biologico del ciclo di krebs è quello di andare ad ossidare completamente gli atomi di carbonio che rimanevano del glucosio sotto forma del piruvato, di acetil-coenzima-A in anidride carbonica. Dall'acido acetico io ottengo due molecole di anidride carbonica per ogni acetile che entra. Produco 1 molecola di ATP per ciclo, 3 molecole di NAD, 2 molecole di FADH2. Il NADH e il FADH2 devono essere usati nella tappa finale della respirazione cellulare a livello delle creste mitocondriali per formare altre molecole di ATP. È la tappa finale della respirazione cellulare aerobica. È un insieme di reazioni di ossido-riduzione portate avanti da complessi proteici chiamati COMPLESSI DELLA CATENA DI TRASPORTO DEGLI ELETTRONI. Noi abbiamo quattro complessi coinvolti in reazioni redox di ossidoriduzione che hanno il compito di sottrarre elettroni e protoni al NAD e al FAD. L'energia degli elettroni che erano presenti all'interno della molecola di glucosio. Serve per dare l' avvio a queste reazioni di ossido-riduzione, passarsi questa energia e cedere quest’ energia all'ossigeno molecolare che si riduce ad acqua. Durante questo flusso di elettroni la cellula è in grado di formare ATP. I complessi sono quattro: sono tre complessi di proteine trans-membrana e il complesso II è una proteina periferica adesa soltanto alla faccia interna della membrana interna mitocondriale ed è anche l' enzima del ciclo di Krebs. Complesso I: viene chiamato ed è il complesso in grado di sottrarre elettroni e protoni al NAD. complesso II: viene chiamato e serve per sottrarre elettroni al NAD e al FAD. Gli elettroni del NAD e del FAD entrano nella catena di trasporto degli elettroni a livelli diversi. Complesso III: viene chiamato e prende gli elettroni dal complesso uno e dal complesso due, non direttamente, ma prendendo elettroni e protoni da un trasportatore intermedio. Complesso I nel complesso III non parlano tra di loro ma entrambi vanno a cedere elettroni e protoni che hanno sottratto al NAD e al FAD a una molecola organica che si trova nel doppio strato fosfolipidico della cresta mitocondriale che è il coenzima q. Viene ossidato da un complesso che va a cedere elettroni e protoni un'altra molecola organica trasportatrice di elettroni e protoni che è più polare e sono i citocromi che danno elettroni e protoni all'ultimo complesso. Complesso IV: chiamato riduce l'ossigeno ad acqua. Faccio questo trasporto di elettroni perché la riduzione dell'ossigeno molecolare ad acqua, se prendessi i miei coenzimi NAD e FAD e li usassi per ridurre direttamente senza l' intermedio di questa catena di trasporto, l'ossigeno molecolare con acqua, la variazione di energia libera sarebbe talmente elevata ed esoergonica e negativa che avrei un esplosione, quindi non potrai utilizzare questa energia per compiere lavoro e si trasformerebbe tutta in calore. Per poterlo usare devo fare delle piccole trasformazioni energetiche a piccoli pacchetti e questo lo posso fare facendo queste reazioni di ossidoriduzione a catena. I complessi vengono ordinati nella catena di trasporto degli elettroni, in modo tale da andare dal complesso meno ossidante al complesso più ossidante. Questi complessi sono formati da più catene polipeptidiche. Molti di questi complessi sono fatti da una parte di proteine di origine nucleare e una parte dei geni presenti sul DNA mitocondriale. Sono un esempio della semi-autonomia dei mitocondri. Molti di questi complessi hanno gruppi prostetici, quindi non è tanto la parte proteica a fare le reazioni redox quanto la parte organica o metallica che trovate al suo interno. Questi gruppi prostatici sono fatti da molecole organiche. Vengono disposti in catena: quando si parla di una catena di trasporto di elettroni si parla di complessi che vengono disposti sulla base di una crescente affinità nei confronti degli elettroni dove l'ultimo elemento della catena è l'ossigeno molecolare che è l'agente ossidante di tutta la struttura. Quindi si va da quello meno ossidante cioè il complesso I al complesso IV fino all'ossigeno molecolare. L' accettore finale degli elettroni nella catena di trasporto degli elettroni e l'ossigeno molecolare che abbiamo introdotto a livello polmonare, trasportato nei tessuti e che si trasforma in acqua. Questo trasporto di elettroni mi serve per ridurre l'ossigeno molecolare. Diversi ricercatori hanno studiato il meccanismo di formazione di ATP a livello della respirazione cellulare aerobia, cercando di capire qual era l'elemento che potesse unire la ossidazione con la fosforilazione cioè quel processo che viene chiamato fosforilazione ossidativa. L' ossidazione del NAD e del FAD ad opera dei vari complessi con riduzione dell'ossigeno molecolare e la formazione dell' adenosina trifosfato per fosforilazione dell’ ADP. Diversi studi hanno portato il ricercatore, chi ha vinto il premio Nobel per queste scoperte, a formulare quella che viene chiamata : questa teoria accoppia l’evento di ossidazione con l'evento di fosforilazione e il ricercatore si chiama Mitchell. Ha studiando la respirazione a livello mitocondriale che alcuni dei complessi facenti parte della catena di trasporto degli elettroni non sono altro che delle pompe protoniche che sono in grado di usare l'energia ottenuta dalle reazioni di ossidoriduzione a carico dei coenzimi e dei complessi che li precedono per cambiare conformazione e accumulare protoni nello spazio Inter membrana. Le pompe protoniche sono il complesso I 3, 4. Sono proteine allosteriche in grado di cambiare conformazione. L'imput per cambiare conformazione e l'acquisto o la perdita di elettroni. Mi riduco, cambio conformazione e sono in grado attraverso questo cambio di conformazione di far passare i protoni dalla matrice allo spazio Inter membrana creando una differenza di potenziale tra la membrana. Quando metto completamente il carbonio del glucosio nel ciclo di krebs e ho formato la massima quantità dei trasportatori intermedi di elettroni in forma ridotta NADH e FADH2 questi elettroni vengono usati dalla catena di trasporto degli elettroni per pompare protoni nello spazio inter-membrana con riduzione dell'ossigeno molecolare. Durante questo passaggio crea una differenza di potenziale nella membrana della cresta mitocondriale che diventa più positiva nello spazio inter-membrana e negativa verso la matrice. Io pH dello spazio Inter membrana si acidifica mentre il pH della matrice mitocondriale diventa più basico. Il ricercatore Mitchell ha scoperto questo meccanismo di funzione di pompe da parte di questi complessi e ha capito che questo gradiente protonico che viene creato da queste pompe è l'elemento che unisce l' ossidazione dei complessi con la fosforilazione del ATP. L'ultima proteina integrale di membrana che fa parte della catena di trasporto degli elettroni è chiamata complesso 5 o ATP- sintetasi: è una proteina fatta da una parte in cui forma un canale trans-membrana specifico per i protoni e questo canale è associato alla parte della proteina che funziona da enzima ed è in grado di aggiungere un fosfato inorganico all' adenosina difosfato per formare adenosina trifosfato. È una reazione endoergonica. L'energia necessaria per fare queste reazioni viene sfruttata dal movimento esoergonico dei protoni che una volta accumulati sono in grado di diffondere per diffusione facilitata dallo spazio inter-membrana alla matrice. La teoria chemiosmotica accoppia l' ossidazione del NAD e del FAD che permette di creare un gradiente protonico e lo spazio inter-membrana che viene sfruttato per fare la fosforilazione del ATP. Il fatto che fosse questo gradiente protonico la forza motrice in grado di creare ATP è stata dimostrata da Mitchell in un esperimento. Ha messo i batteri in una soluzione priva di sostanze nutrienti ma con un PH sufficientemente acido ed è stata l'abbondanza di protoni ad attivare il complesso ATP-sintetasi. L'ATP-sintetasi è una proteina di membrana fatta da due domini funzionali: uno funziona da canale per la diffusione facilitata dei protoni e permette un movimento esorgonico, l'altra parte ha attività catalitica. La parte deputata al legame del protone e la sua diffusione facilitata attraverso la cresta mitocondriale e chiamato complesso F1. La parte con attività catalitica è chiamata complesso F0 Si parla del complesso 5 per metterlo insieme agli altri complessi della catena ma è legato a questi complessi solo dal gradiente protonico. Le creste mitocondriali hanno una grande quantità di proteine. Più complessi abbiamo più efficiente la produzione di ATP dal nostro catabolismo. Quello che accoppia secondo la teoria chemiosmotica, la sintesi di ATP e la fosforilazione è l' ossidazione dei coenzimi, dei trasportatori. Il complesso I, III, IV nelle reazioni di ossidoriduzione pompano i protoni nello spazio inter-membrana. I protoni passano attraverso il complesso 5 che presenta una parte che funziona da trasportatore, da canale specifico per i protoni per diffusione facilitata: l'energia che si libera viene usata per la fosforilazione della ATP. Il DNA è il materiale ereditario. fece un esperimento nel 1928 che permise di dimostrare l'esistenza di una sostanza che chiamò e che in esperimenti successivi condotti da altri ricercatori è stato dimostrato essere il Griffith studiava un ceppo patogeno di batteri in grado di causare la polmonite. Questo ceppo viene indicato con la lettera S da Griffith dove S sta per ’’smooth’’ cioè liscio per distinguerlo dal ceppo ‘’rough’’ cioè ruvido che era il ceppo non virulento del streptococcus pneumoniae, quindi il ceppo S veniva iniettato in un Topolino, il Topolino si ammalava di polmonite e moriva. Il ceppo R non causava la patologia. L'aspetto liscio delle colonie delle cellule del ceppo virulento era dovuto alla presenza di una capsula. Il ceppo non virulento aveva un aspetto ruvido perché non possedeva la capsula. Griffith scopri che quando le cellule del ceppo S venivano uccise con il calore e venivano mescolate alle cellule vive del ceppo R e questa miscela veniva iniettata nel Topolino, il Topolino moriva di polmonite e nel Topolino si ritrovavano cellule batteriche del ceppo S. Se le cellule del ceppo S venivano uccise col calore e iniettate nel Topolino questo non moriva, ma se queste cellule del ceppo S venivano uccise col calore e poi mescolate con cellule del ceppo R non virulento nel Topolino morto Griffith trovava cellule del ceppo S vive. Griffith capì che qualcosa si era trasferito dalle cellule S morte alle cellule R vive trasformandole. Da qui principio trasformante. Fu a chiarire la natura chimica del principio trasformante nel 1944. Dopo il passaggio dall'uccisione dei batteri S con capsula da parte del calore sottopose questi batteri morti a dei trattamenti enzimatici. Per esempio li trattava con DNAasi oppure con RNAasi oppure con proteasi. Questo prima di mescolarli con i batteri vivi e iniettarli nel Topolino. Avery si chiedeva quali molecole nei batteri S sono in grado di trasformare i batteri R in S. Se è il DNA e io tratto il batterio con DNAasi non dovrei osservare morte nel Topolino. Non ci dovrebbe essere trasformazione. Stessa cosa per RNA e proteine. Il Topolino non moriva quando veniva iniettato con batteri R che erano stati mescolati con batteri S uccisi dal calore e trattati con DNAasi. Dimostrò così la natura chimica del principio trasformante di Griffith. Cioè la molecola di DNA. A quei tempi c'era una grande disputa sulla natura chimica del materiale ereditario e gli scienziati erano più propensi ad attribuire il ruolo della molecola sede dell’informazione ereditaria alle proteine perché più complesse. La teoria di Avery non fu ben accetta. Questo esperimento non convinse la comunità scientifica. A convincerla fu l’esperimento di L'esperimento di Hershey-chase si avvale di batteriofagi che sono i virus che infettano i batteri: sono virus a DNA dove il DNA è circondato da un involucro proteico che prende il nome di capside. È formato quindi da una testa in cui è contenuto il materiale ereditario e vi è anche una coda con dei filamenti grazie ai quali il virus prende contatto con la cellula batterica ospite e grazie ad una contrazione della coda inietta nella cellula ospite il materiale ereditario. Questo meccanismo di infezione usa la trasduzione e il DNA all'interno della cellula infettata fa sì che il DNA virale si impadronisca di tutto il macchinario molecolare del batterio e tutto viene utilizzato per fare nuove copie di DNA virale. Forma quindi parti per costruire le parti proteiche del capside poi all'interno della cellula batterica verranno assemblati i nuovi virus che poi conseguentemente alla lisi del batterio verranno riciclati. Hershey-Chase scelgono come modello da utilizzare per il loro esperimento questi virus. Questo virus che è il batteriofago della serie T pari è costituito da DNA e proteine. Questa entità biologica che funziona da parassita obbligato endo-cellulare è costituito da DNA e proteine. Nel momento in cui il batteriofago infetta la cellula batterica entra soltanto il DNA mentre il capside proteico rimane fuori dalla cellula. Questi scienziati utilizzano degli isotopi radioattivi per seguire bene sia il DNA virale che le proteine virali per poter capire chi delle due era sede dell'informazione ereditaria, quindi utilizzano il fosforo radioattivo(P32) per marcare il DNA virale mentre utilizzano l’isotopo radioattivo dello zolfo (S35) per marcare radioattivamente il capside. Questi due scienziati riuscirono ad ottenere una progenie fagica marcata radioattivamente sia nella sua componente proteica che con il DNA marcato. Questi batteriofagi si comportano come dei virus non radioattivi, quindi quando venivano messi in una beuta contenente del terreno dove erano presenti le cellule da infettare, questi batteriofagi radioattivi infettavano le cellule batteriche. Il DNA entrava nella cellula batterica mentre il capside virale non entrava nella cellula batterica. Non fecero avvenire la lisi batterica ma solo l' infezione. Nell esperimento vollero separare le cellule batteriche al cui interno è entrato il DNA dal capside virale proteico che è rimasto attaccato alla cellula batterica. Prima di far avvenire la centrifugazione li sottoposero a una forte agitazione meccanica perché così il capside virale si staccava meccanicamente. Quando si va a centrifugare, la centrifugazione fa sì che le cellule batteriche più pesanti al cui interno c'è il DNA virale marcato con P32 formano un deposito in fondo alla provetta. Sopra sono contenuti i capside proteici in una parte chiamata anche liquido sovranatante. Dopo di ché i due scienziati si liberavano del sovranatante contenente le proteine e risospendevano le cellule batteriche infettate dal DNA virale che si trovavano nel pellet. Questa pellet veniva risospesa nel terreno ed aspettavano che si riconcludesse il ciclo infettivo. Si liberavano nuovi fagi cioè nuovi virus che erano identici al virus di partenza. Questo gli permise di dimostrare che era il DNA virale che era entrato dentro la cellula batterica e che loro hanno dimostrato essere presente. Hanno dimostrato che non erano le proteine perché delle proteine si erano liberati e a guidare la sintesi di nuovi virus è il DNA virale all'interno delle cellule batteriche. Convinsero la comunità scientifica che è il DNA ad essere il depositario dell'informazione ereditaria e non le proteine. Il principio trasformante non è altro che un esempio di trasformazione: quando queste cellule virulente del ceppo S vengono uccise dal calore i componenti del batterio vengono liberati. Il momento in cui questo lisato batterico entra a contatto con le cellule R vive si verifica la trasformazione. Le cellule R vengono assorbite dai frammenti del DNA del ceppo S ucciso dal calore. Ai frammenti di DNA viene permesso di entrare nella cromosoma batterico. Quel batterio acquisisce nuove proprietà portate dal DNA. Il DNA è un polimero di nucleotidi. Questi quattro nucleotidi sono uniti da un legame covalente chiamato 3,5 fosfodiestere. L' ossidrile in posizione 3’ dello zucchero reagisce con il gruppo fosfato che ha legato al carbonio in posizione 5’ portando alla formazione di un legame covalente. La base azotata può essere purinica o pirimidinica. Le basi puriniche sono l' adenina e la guanina costituite da due anelli. Le basi pirimidiniche sono la timina e la citosina costituite da un anello. Queste basi azotate sono unite con legame glicosidico allo zucchero e lo zucchero al carbonio in 5’ ha legato un gruppo fosfato. Le due estremità di questo filamento non sono uguali: da una parte abbiamo il gruppo fosfato libero, dall'altra parte il gruppo fosfato non è libero perché è impegnato in un legame fosfodiestereo con il nucleotide precedente. Ad essere libero è l'altro gruppo funzionale cioè l' ossidrile. L’estremità dove sporge il gruppo fatto libero è l'estremità 5’ mentre l'altra estremità è detta 3’. La molecola di DNA è costituita da due filamenti polinucleotidici. Questi due filamenti hanno direzionalità opposta quindi sono antiparalleli. Sono tenuti insieme da interazioni che si formano tra le basi azotate di ogni nucleotide. Queste interazioni sono legami a idrogeno che tengono appaiati i due filamenti nella molecola di DNA. Si deve a nel 1953 la scoperta della struttura del DNA. Riuscirono a scoprire la struttura di questa molecola tenendo conto di una serie di dati sperimentali acquisiti da altri scienziati: in quegli anni aveva fatto una scoperta importante: era un chimico che studiava la composizione, in termini di basi azotate, nei campioni di DNA di diversa origine. Aveva scoperto che indipendentemente dall'origine dei campioni DNA il contenuto di purine era sempre uguale al contenuto di pirimidine. Watson e crick tennero anche conto dei risultati degli esperimenti di che erano dei cristallografi. Avendo un cristallo di DNA e una sorgente di raggi X è possibile dopo opportuna schermatura, che permette di colpire con una radiazione che colpisce perpendicolarmente il campione, ottenere un diffrattogramma. Nel momento in cui il fascio di raggi X colpisce gli atomi del campione di DNA, questo fascio subisce delle deviazioni. Queste radiazioni vengono fatte impattare su una pellicola fotografica e queste macchie sono causate dai raggi X diffratti dagli atomi del DNA. Queste macchie analizzate da matematici permettono di risalire alla posizione degli atomi nella molecola di DNA. Dall'analisi di questo diffrattogramma è possibile avere delle informazioni sul modo in cui sono disposti gli atomi nella molecola. È possibile avere informazioni sulla struttura del DNA. Franklin aveva capito come la molecola di DNA dovesse presentare una struttura elicoidale. Watson e Creek tenendo conto degli studi di questi scienziati riuscirono a costruire il loro modello, in cui il DNA è una molecola costituita da due filamenti antiparalleli, in cui lo scheletro zucchero fosfato si trova all'esterno della molecola, mentre le basi azotate che sono appaiate da legami a idrogeno, Nei procarioti ogni gene è presente una sola volta all'interno dell' essere vivente. Si tratta di un organismo con un corredo cromosomico aploide. Quando in una cellula procariota si trovavano più molecole di DNA, ogni molecola di DNA porta un'informazione diversa presente in singola copia. Gli eucarioti possono avere il DNA sia in singola coppia che in doppia coppia. Gli organismi eucarioti più evoluti sono diploidi. La singola informazione genetica è presente in due copie: si hanno due molecole di DNA distinte, chiamate cromosomi. Noi abbiamo nel nostro organismo casi di aploidi quando riproduciamo per meiosi i nostri gameti. Lo spermatozoo e la cellula uovo hanno un corredo cromosomico dimezzato: una sola copia per tipo di gene ( Aploidia). La dimensione delle molecole di DNA sia nei procarioti che negli eucarioti, sono molto estese: Se prendessi una molecola di DNA e la estendessi completamente lo spazio occupato sarebbe maggiore del diametro della cellula stessa. Per entrare nel citoplasma completamente si deve compattare. Nel caso del DNA procariotico, che è un DNA circolare, il DNA si super-avvolge, si ha un DNA ha fatto da un doppio filamento con la struttura a doppia elica classica però circolare che si super-avvolge su se stessa. Il super avvolgimento permettere al DNA di rimanere nella regione, del nucleoide del citoplasma fino a quando non è necessario al batterio riprodursi. A quel punto il DNA si decompatta, si apre, il DNA viene replicato e poi si formano due cellule figlie. La compattazione nei procarioti è data dalla ausilio di molecole di RNA. Ci sono delle piccole molecole di RNA insieme a proteine di natura basica che aiutano il DNA a super-avvolgersi, compattarsi all'interno del citoplasma. Il DNA degli eucarioti per compattarsi e rimanere nel nucleo si organizza a fare una struttura particolare chiamata cromatina. Il fine ultimo dal punto di vista strutturale, è simile ai procarioti, ma quello che va a formare la cromatina è esclusivo solo degli eucarioti. Il DNA si organizza a formare una struttura che ricorda una collana di perle che prende il nome di nucleosoma. Per compattarsi all'interno del nucleoplasma il nostro DNA si associa tramite interazioni elettrostatiche con proteine speciali che vengono chiamate istoni: sono di diversa tipologia ma hanno in comune il fatto di essere proteine basiche. Sono ricchi di lisina e arginina che presentano nella loro catena laterale gruppi amminici con carica positiva, essendo il DNA ricco di gruppi fosfato è carico negativamente, l'interazione elettrostatica permetta queste proteine di legare il DNA. L'associazione istoni-DNA viene chiamato cromatina. Il cromosoma nei batteri non è mai cromatina perché per avere la cromatina sono necessari gli istoni. Gli istoni sono di 5 tipologie: listone H1 ( H2A, H2B,H3,H4). Sono proteine ricche di amminoacidi lisina e arginina. Si organizzano per formare un ottamero intorno al quale il DNA si può avvolgere compattandosi. È fatto da due coppie per ogni tipo di istone. Si forma un core di questo ottamero intorno al quale il DNA si avvolge due volte. Il DNA così facendo si accorcia. L'unione del core istonico più il DNA forma il nucleosoma. Forma una collana di perle in cui la perla e il nucleosoma, il tratto lineare e il DNA linker che unisce un nucleosoma con il successivo. Il DNA attivo dal punto di vista trascrizionale significa che se io voglio andare a trascrivere un gene che porta l'informazione per una proteina ho bisogno di leggere il tratto di DNA che mi interessa, l' enzima che fa questo lavoro deve arrivare a fare tutto il processo. Il DNA deve essere accessibile quindi non troppo compatto. Se non sono in una fase attiva e il DNA deve essere ancora più compattato, per compattarlo ancora di più interviene l' istone H1 che va a riconoscere i tratti di DNA linker, si associa e avvicina un nucleosoma con quello adiacente. La presenza dell' istone H1 permette la formazione di una struttura molto compatta che prende il nome di fibra di cromatina con un diametro di 30 nanometri. Si passa un DNA che il diametro di due nanometri, ha una cromatina organizzata in nucleosomi con 10 nanometri. Via via che aumenta il diametro diminuisce la lunghezza, quindi diventa sempre più compatto. Si può passare a un ulteriore compattazione quando ogni fibra si compatta ancora di più per formare una struttura chiamata etero-cromatina. L'eterocromatina è una cromatina non funzionale, non viene trascritta, non forma né molecole di RNA ne molecole di RNA messaggero. Nel nostro organismo abbiamo delle parti di etero-cromatina sempre presente, una volta che siamo stati concepiti, contengono geni che sono stati importanti per lo sviluppo embrionale e che non sono più importanti nell’adulto. La maggior parte del nostro DNA può passare da una forma compatta a rilassata a seconda dell'attività cellulare. La cellula che non si sta dividendo, ha bisogno di svolgere le sue attività funzionali e ha un DNA rilassato ma se devo prepararmi per generare due cellule figlie devo compattare il DNA, altrimenti rischio di non dividerlo in maniera equa tra le due cellule figlie. Devo raggiungere la massima compattazione e questa condizione prende il nome di cromosoma metafasico. Ha la forma ad x. Si ha questa forma solo quando la cellula si sta dividendo ed ha già replicato il suo DNA. Un cromosoma metafisico è fatto da due molecole di DNA chiamate cromatidi fratelli, si presenta con una strozzatura centrale dove abbiamo due tipi di proteine su un cromatidio fratello e sull'altro chiamate cinetocore. Sono i punti di attacco del fuso mitotico per separare ogni cromosoma in due parti uguali. La parte centrale è il centromero dove abbiamo le nostre sequenze nucleotidiche altamente ripetute. Si distinguono in due bracci più corti e due più lunghi. Si hanno due cromatidi fratelli: ogni cromatidio fratello è una doppia elica di DNA identico. Quando la cellula non si sta per dividere ed ha una cromatina meno compatta o sotto forma di fibra di cromatina o di collana di perle, ogni cromosoma è fatto da una singola molecola di DNA. Quando si sta per dividere, il DNA si è replicato e si hanno due cromatidi fratelli che formano il DNA metafasico: è nella metafase che la cellula viene fermata per poter estrarre i cromosomi e studiarli. Negli eucarioti abbiamo il DNA sotto forma di cromatina nel nucleo. Abbiamo anche altri tipi di DNA. Nel caso degli eucarioti animali abbiamo il DNA racchiuso nel mitocondrio. Nel caso delle piante c’è il DNA sia nel mitocondrio che nel cloroplasto. In entrambi gli organelli le molecole del DNA sono a doppia elica però circolari. Anche queste hanno l'esigenza di compattarsi e lo fanno con gli stessi meccanismi dei procarioti: non ci sono istoni ma solo DNA super-avvolto. È un DNA che non presenta sequenze ripetute. Il genoma mitocondriale umano non ha tantissimi geni e non ha la stessa estensione in tutti gli eucarioti: per esempio le piante hanno un genoma mitocondriale un pochino più grande. Il genoma mitocondriale umano presenta 37 geni. I geni sono quelle molecole che portano le informazioni per l' RNA necessarie per avere la formazione delle proteine e dei ribosomi. Ci sono anni che portano le informazioni per alcune catene polipeptidiche di alcuni complessi proteici del mitocondrio. Per esempio il complesso I, III e IV sono complessi proteici che formano la catena di trasporto degli elettroni, che è fatta da tante subunità, alcune sono di origine nucleare, altre di origine mitocondriale. Le proteine importanti per la funzione del mitocondrio sono in parte di origine mitocondriale e in parte di origine nucleare. DNA non codificante è un DNA che non porta l'informazione per nessun tipo di molecola né RNA, né proteine ma ha una funzione di regolazione per la funzione del genoma mitocondriale E una replicazione semi-conservativa e la molecola di DNA è l'unica molecola all'interno di un essere vivente in grado di copiare se stessa. Legge quello che c'è scritto sulla propria sequenza nucleotidica e su quella base crea una molecola identica. Questo tipo di meccanismo era già stato postulata da Watson e crick quando hanno scoperto la struttura a doppia elica del DNA, questa complementarietà, la disposizione antiparallela aveva portato i due ricercatori a pensare che questo fosse il meccanismo. A un certo punto i due filamenti della molecola di DNA si denaturano, si rompono i legami a idrogeno, si separano, ognuno dei due filamenti funziona da stampo per formare il filamento nuovo. Quando ho un cromosoma metafasico ho due cromatidi fratelli dove un filamento è di vecchia origine e l'altro è un filamento di nuova sintesi. Ai tempi di WATSON E CRICK oltre alla teoria semi-conservativa esistevano altri due modelli di replicazione del DNA: quello conservativo dove i due filamenti parentali funzionano da stampo, si formano i due filamenti ma quando il DNA si riunisce formando i legami a idrogeno, i filamenti parentali riformano la molecola di partenza e i due filamenti nuovi costruiscono una molecola completamente nuova. L'altra teoria proposta era quella della replicazione di tipo dispersivo dove tratti nuovi venivano alterati con tratti vecchi. Ci sono stati due diversi esperimenti che hanno permesso di supportare e confermare l'ipotesi semiconservativa della replicazione del DNA. Un esperimento è stato condotto da Meselson e Stahl del 1957 che hanno lavorato utilizzando come organismo modello un batterio. Hanno fatto crescere in un terreno ricco di nutrienti i batteri escherichia coli utilizzando un terreno ricco di azoto 15: L'isotopo pesante della azoto. Gli hanno fatto crescere per un giorno intero in modo tale che tutta la popolazione batterica che veniva fuori dai batteri di partenza, presentasse un DNA originale tutto fatto da nucleotidi con l'azoto pesante. Per vedere la pesantezza di una DNA il DNA viene isolato dal contesto cellulare, si uccide il batterio, si estrae il DNA, il DNA viene separato in provette coniche dove ho preformato un gradiente di densità utilizzando una sostanza chiamata cloruro di cesio. Mi preparo soluzioni a concentrazione diversa di cloruro di cesio, le stratificò in modo tale da avere concentrazioni diverse di cloruro di cesio. Da quella più densa a quella più leggera. Poi sottopongo tutto a centrifugazione in modo tale da stabilizzare il gradiente. Applico la mia miscela di DNA che estraggo dai batteri. Faccio centrifugare la provetta, a questo punto il DNA mi andrà a localizzarsi a livello della densità che corrisponde a quella del cloruro di cesio. Facendo in questo modo i ricercatori stabilirono qual era il livello di sedimentazione di un DNA pesante. Trasferisco la popolazione di batteri in un nuovo terreno che conteneva l'azoto 14 cioè l’isotopo più leggero. Fecero crescere i batteri per un tempo sufficiente per avere per ogni cellula batterica presente una sola divisione cellulare: ogni cellula doveva formare due cellule batteriche. Pesarono tutto il DNA, rifecero la stessa procedura fatta precedentemente, centrifugarono e ottennero soltanto un'unica banda con un'altezza leggermente superiore a quella pesante. Nell’esperimento in termini di replicazione del DNA i ricercatori poterono escludere la replicazione conservativa, perché se io avessi avuto la replicazione semiconservativa, ho il filamento parentale pesante, mi si apre, ognuna funziona da stampo per il filamento nuovo che sarà tutto leggero, se fosse stata conservativa, quando si riuniscono insieme si uniscono le due vecchie le due nuove: avrei dovuto avere una completamente leggera e una completamente pesante. Non avendo quella pesante escludo la replicazione conservativa. Per escludere quella dispersiva ha fatto crescere questi batteri per un'altra divisione cellulare in modo tale da avere un altro evento di replicazione di DNA. Partì da una situazione in cui tutta la popolazione ha a questo punto molecole di DNA che sono in parte leggere in parte pesanti. I procarioti hanno 3 tipi di DNA polimerasi, la I, la II, e la III. Chi fa la sintesi del DNA e la : quando ha il suo tratto di RNA, il suo primer e il suo innesco complementare al filamento che deve essere letto per decidere quale nucleotide mettere nel filamento nuovo in modo che sia complementare, la DNA polimerasi prende un nucleoside trifosfato nuovo, lo va a legare con una legame fosfodiesterico al tratto preformato riconoscendo l' ossidrile in posizione 3’ dell'ultimo nucleotide del tratto preesistente. Si ha un legame 5-fosfato del nucleoside che sta arrivando, si usa il fosfato in posizione Alfa, quello legato direttamente al carbonio in posizione 5’ del nucleoside del monomero in arrivo, e l’ossidrile del tatto preformato. Si rompe un legame fosfoanidridico, si libera pirofosfato, questo viene idrolizzato, e fornisce energia al sistema, il gruppo fosfato viene legato con legame fosfodiestereo a questo tratto preformato. La DNA polimerasi lavora tra 5 e 3: è l'estremità 3’OH che viene allungata. Per capire qual è il nucleotide che deve essere inserito nel nuovo filamento, il filamento stampo che è antiparallelo, viene letto attraverso la DNA polimerasi che deve scorrere sul filamento per capire qual'è il nucleotide complementare da inserire, viene letto da 3’ a 5’: il filamento nuovo viene allungato da 5’ a 3’. L'attività catalitica di un enzima condiziona tutto l'intero processo. Il processo di duplicazione del DNA inizia a livello di più origini di replicazione. Contemporaneamente la replicazione procede a livello di più di un . Si forma la forcella replicativa, il processo continua fino a che questi repliconi si incontrano, si uniscono, fino ad arrivare alla completa duplicazione dei filamenti che hanno funzionato da stampo. La velocità dell'enzima deputato alla duplicazione è diversa passando da procarioti ed eucarioti. Mentre nei procarioti l'enzima polimerasi è in grado di polimerizzare 50.000 paia di basi al minuto, negli eucarioti questa velocità è inferiore. Considerando la maggiore quantità di DNA da duplicare negli eucarioti rispetto ai procarioti, considerando le caratteristiche strutturali del DNA circolare o lineare, considerando le caratteristiche catalitiche dell enzima è chiaro che la durata di questo processo varia da procariote ad eucariote. Negli eucarioti la duplicazione del DNA avviene nella fase S. Per svolgere la replicazione del DNA eucariotico è necessario la denaturazione in quel punto di origine della duplicazione della doppia elica. Utilizzando un filamento stampo, per quando la sequenza nucleotidica sul filamento stampo, l' enzima DNA polimerasi legge quali basi sono presenti nei nucleotidi del filamento che fa da stampo e incorpora nucleotidi complementari ad essi. Questi nucleotidi nel nuovo filamento devono essere letti come 3,5 fosfodiestere. Il nucleotide che va a legarsi al nucleotide del filamento stampo non è formato da un solo gruppo fosfato ma da tre gruppi fosfato, questo perché la sintesi del nuovo filamento di DNA è un processo anabolico che porta alla sintesi di una macromolecola. Questo processo di biosintesi anabolico richiede energia: questa energia è data da questi nucleotidi che l' enzima DNA polimerasi utilizza: i due gruppi fosfato, quello in posizione beta e in posizione gamma vengono rimossi. Nel momento in cui questo legame viene rotto si libera energia e questa energia viene utilizzata per formare il legame covalente 3,5 fosfodiestere. Il processo di duplicazione del DNA che è catalizzato dalla DNA polimerasi fa sì che il filamento nuovo proceda in direzione 5- 3. Lo stampo viene letto dal 3 al 5. Il filamento che viene sintetizzato cresce sempre dall’estremità 5 all'estremità 3. Il processo di duplicazione è un processo mono-direzionale: l' enzima lavora solo in una direzione. Affinché la replicazione possa avvenire ci sono tante molecole che entrano in gioco: la DNA elicasi, le proteine SSBP, le topoisomerasi. Affinché la DNA polimerasi possa iniziare a lavorare deve intervenire l'enzima primasi: è un enzima che interviene prima che possa intervenire la DNA polimerasi che porta la sintesi di un pezzetto chiamato primer o innesco. La DNA polimerasi sa lavorare solo se c'è già un pezzetto di acido nucleico fatto. La primasi porta alla sintesi di un corto frammento nucleotidico che fornisce quell estremità 3OH che serve alla DNA polimerasi per attaccare un altro nucleotide in modo che questo frammento di DNA possa crescere in direzione dal 5 al 3. Il primer sintetizzato dalla polimerasi non è un frammento di DNA ma è un frammento di RNA: la primasi è un RNA polimerasi che utilizza uno stampo di DNA e una speciale RNA polimerasi DNA dipendente il cui intervento è fondamentale per fornire quell estremità 3OH cui verrà legato mediante legame fosfodiestere un altro nucleotide fino a duplicare il filamento stampo. Il primer non rimane nel filamento neo-sintetizzato e l' innesco a RNA dovrà essere rimosso, degradato e al suo posto costruito un pezzetto di DNA fatto da desossinucleotidi e non da ribonucleico. Il nuovo pezzetto di DNA viene legato all'altro filamento mediante un insieme chiamato Di DNA polimerasi sia nei procarioti che negli eucarioti ce ne sono di diversi tipi: si chiamano isoforme enzimatiche. Non tutte duplicano il DNA, alcune hanno altre funzioni correlate alla duplicazione. Noi procarioti si occupa della duplicazione l’isoforma tre. Negli eucarioti è l’isoforma Alfa e gamma. Per introdurre chi rimuoverà i primer la DNA polimerasi deve svolgere un lavoro molto accurato e con una certa velocità: introduce i nucleotidi sbagliati con una frequenza bassa, anche perché è capace di correggersi: è dotata di un attività chiamata proof reading. Se durante la replicazione del DNA l' enzima fa un errore e introduce un nucleotide sbagliato l' enzima può fermarsi e correggere l'errore. Taglia e rimuove il nucleotide sbagliato tagliando il legame 3,5 fosfodiestere. Quando si dice che la DNA polimerasi è dotata di attività di correzione di bozze ci riferiamo a quella capacità che hanno questi enzimi di correggersi. Per rimuovere questo nucleotide sbagliato la DNA polimerasi aggiunge nucleotidi all'unità OH in direzione dal 3 al 5. Deve anche essere dotata di un’altra attività enzimatica: l'attività esonucleasica: le nucleasi sono quegli enzimi che rimuovono nucleotidi all'estremità di un filamento. Nell attività endonucleasica si hanno dei tagli a livello di un polinucleotide nel mezzo del filamento. L’attività esonucleasica si svolge in direzione contraria cioè dal 3 al 5. Il primer quindi viene rimosso perché il filamento 3,5 viene letto nucleotide dopo nucleotide dalla DNA polimerasi che dopo che la primasi ha costruito l' innesco comincia a lavorare e copia un filamento complementare antiparallelo in direzione dal 5 al 3 il primer deve essere sostituito dal DNA. Noi procarioti abbiamo un'altra isoforma che è la DNA polimerasi I la quale serve per rimuovere quel pezzettino di primer e al suo posto costruire DNA, questo perché la DNA polimerasi I ha attività esonucleasica: rimuove nucleotide dopo nucleotide dell' innesco di RNA e grazie alla sua attività polimerasica al posto del primer rimosso costruisce DNA. È un attività esonucleasica che va in direzione dal 5 al 3. Il filamento nuovo di DNA viene legato al resto del filamento attraverso il DNA ligasi. I primi filamenti dopo la denaturazione devono essere duplicate. Uno procede in direzione dal 5 al 3. L'altro è antiparallelo quindi procede in direzione dal 3 al 5: troviamo dei problemi proprio per la sua direzione che male si sposa con la capacità mono-direzionale dell enzima polimerasi che lavora solo in direzione dal 5 al 3. Il primer viene sintetizzato vicino alla forcella di replicazione in modo che l'estremità tre OH del primer sia in questo punto e la DNA polimerasi replica in direzione dal 5 al 3’ fino ad arrivare la dove c'è stampo. Per questo filamento la sintesi non avviene in modo continuo come per l'altro filamento ma avviene in modo discontinuo: i pezzetti vengono chiamati FRAMMENTI DI OKASAKI. Il nome deriva dallo scienziato giapponese che ha scoperto questi frammenti e la modalità con la quale il filamento che fa da stampo con direzione dal 5 al 3 viene duplicato. Vengono sintetizzati tanti primer. Il filamento dal 3’ al 5’ viene duplicato in modo continuo senza interruzioni si chiama FILAMENTO GUIDA o LEADING. Anche questi primer devono essere rimossi e sostituiti da DNA e poi interverrà la DNA ligasi per ricollegare tutto. Si suppone che il filamento dal 5’ al 3’ si ripieghi permettendo di comprendere come è il macchinario della duplicazione passa procedere nella stessa direzione sia per il filamento anticipato che per il filamento ritardato. Nei procarioti le molecole di DNA sono circolari mentre negli eucarioti sono lineari quindi passando da procarioti ed eucarioti, quando il frammento di RNA deve essere rimosso la DNA polimerasi che dovrebbe al posto del pezzetto di RNA costruire il DNA non può farlo perché gli manca un ossidrile libero a cui attaccare il desossiribonucleotide complementare. Nelle molecole lineari degli eucarioti tutto questo processo non si può fare. Negli eucarioti nel momento in cui vengono duplicate molecole di DNA lineari ad ogni ciclo di duplicazione le molecole di DNA, conseguentemente alla rimozione degli inneschi, proprio perché nessuna di queste DNA polimerasi e in grado di costruire DNA al posto dell' innesco perché non ci sono estremità 3OH libere a cui aggiungere nucleotidi ad ogni ciclo di replicazione alle molecole di DNA figlie sono sempre più Corte. Nelle nostre molecole di DNA lineari all'estremità ci sono i telomeri che sono delle sequenze di DNA ripetute, in queste parti non c'è informazione. Hanno la funzione di tamponare questo accorciamento. Anche se questi telomeri si accorciano non si hanno danni perché si perdono sequenze che non contengono informazioni. Questo spiega anche perché se si allestisce una coltura di fibroblasti si può osservare quello che osservò Hivlig negli anni 80 e cioè che queste cellule in condizioni ottimali si dividono fino ad un certo punto e poi ad un certo punto queste cellule smettono di replicarsi. Questo perché sono arrivati ad un punto di non ritorno cioè i loro telomeri si sono accorciati troppo. Visione dopo divisione queste cellule hanno molecole di di DNA sempre più Corte che hanno visto i telomeri accorciarsi, quando l'accorciamento è divenuto eccessivo allora si instaura un meccanismo chiamato senescenza replicativa in cui si dice che quella cellula smette di dividersi E andrà incontro a morte. Nelle cellule staminali è attivo un enzima chiamato TELOMERASI che permette di riallungare queste strutture. Questo enzima è presente anche nelle cellule dei tumori. È di natura proteica e contiene una molecola di RNA che utilizza come stampo per riallungare i telomeri. La telomerasi procede lungo il filamento di DNA man mano che i nucleotidi vengono aggiunti e il meccanismo di replicazione standard che allunga il filamento complementare e poi si forma una struttura all'estremità della molecola lineare del DNA eucariotico che prevede il ripiegamento su sé stessa di questa estremità. Forma un loop del telomero che protegge l'estremità stessa.