Scarica Appunti di pedagogia per il concorso ordinario 2024 e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! APPUNTI PER IL CONCORSO STRAORDINARIO TER PROVA SCRITTA Di Beatrice Fumagalli Storia della Pedagogia • L’educazione nasce fin dalla prima e remota comparsa dell’uomo sulla terra. Egli, appena riconosciuto nel nuovo nato, un essere destinato a crescere ed a somigliargli, ha messo in atto delle procedure educative, trasmettendogli l'abitudine e la capacità di affrontare le situazioni della vita e di sopravvivere. Con il termine pedagogia si intende la scienza, lo studio dell’educazione, intesa come disciplina, quindi l’idea dell’educazione (teoria e concezione). • Con la cultura greca, la Pedagogia si sviluppa, come la teorizzazione di quel “processo” rivolto a educare, istruire e formare soggetti individualmente e socialmente intesi. Si parla dello schiavo che conduce l’educazione dei figli dei ricchi. • In età moderna il termine indica la riflessione dell’educazione, prima in modo filosofico, e poi nella seconda metà del XIX diventa teoria elaborata con metodo scientifico e coadiuvata dai risultati di altre scienze umane. La pedagogia non riguarda solo lo sviluppo dell’infanzia, perché lo sviluppo si ha nell’intera vita umana (educazione permanente). L’educazione nell’antica Grecia del corpo (al posto di musica e ginnastica). In questi anni erano sottoposti al governo degli Ireni, cioè gli allievi più grandi, che svolgono il ruolo di superiori. - Dopo i 20 anni il giovane viene affidato all’educazione di un anziano che ne completa l’educazione. L’educazione di Atene Differente è il discorso per Atene, innanzi tutto perché, essendo situata sul mare, all’economia agricola si accostò, nel corso dell’VIII - VII secolo a.C., un’economia basata sul commercio, che si sviluppò sulle rotte aperte dai Fenici. Per conoscere i fondamenti dell’educazione ateniese è necessario rifarsi ad un poeta famoso: Solone, che nel 594 a.C. era alla guida della città. Egli diede alla Polis una costituzione democratica, liberò i contadini, istituì il tribunale del popolo e creò il Consiglio dei Quattrocento. • L’areté eroica (virtù per eccellenza) diventa civile, assumendo il significato di “vivere equilibrato”. Il prevalere dell’aspetto civile su quello militare fa sì che l’educazione del cittadino comprenda l’alfabetizzazione culturale, che rende possibile a tutti la partecipazione ai lavori dell’Agorà (la piazza centro di incontro e di attività economiche e giuridiche, e quindi un organismo deliberativo). • L’accostamento ai poemi della tradizione, insegnamento della musica e ginnastica (carattere sportivo) trasforma la vecchia educazione aristocratica in una pratica educativa più accessibile a tutti (importanza delle Olimpiadi e la fama degli atleti). L’educazione nel Medioevo (476 – 1492 d.C.) Il Medioevo è il periodo compreso fra il 476 d.C., data della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e il 1492 d.C., data della scoperta dell’America. Storiograficamente, il Medioevo si divide in due fasi: Alto Medioevo, dal V al X-XI secolo d.C., e Basso Medioevo, da circa l’anno Mille in avanti. Il progressivo aumento del potere della Chiesa su quello dello Stato si mostrò con evidenza all’epoca delle Invasioni Barbariche, quando la Chiesa rimase l’unico punto di riferimento culturale. I monasteri sorti all’inizio come luoghi di rifugio e di protezione divennero anche punti di scampi economici, magazzini, mercati, banche. Infine, divennero anche un importante centro di formazione culturale con scuole monastiche. L’ideale pedagogico è esemplificato da quello dei monasteri benedettini, fondati da Benedetto da Norcia (Abbazia di Montecassino). È lui che ha coniato il motto Ora et labora (prega e lavora). Le scuole monastiche manterranno per molto tempo la caratteristica elitaria della cultura, riservata solo agli ecclesiastici e poi ai laici di alta condizione. I due momenti fondamentali della cultura cattolica medievale sono: • Patristica: la filosofia dei primi Padri della Chiesa, durante i primi secoli del cristianesimo, il cui massimo esponente è S. Agostino, (354 – 430 d.C.) che sul piano pedagogico fu un po’ «il» maestro dell’Occidente cristiano, poiché investì gli aspetti fondamentali di una pedagogia a statuto religioso. Egli scrisse il De Magistro dove si ricavano degli spunti pedagogici attuali. In particolare, il rapporto maestro-discepolo: il discepolo deve fare spazio al proprio maestro interiore (Cristo) che permette tramite l’illuminazione divina la comprensione delle cose. L’apprendimento si ha solo quando il discepolo è predisposto ad ascoltare (matrice neoplatonica). • Scolastica: è la filosofia medievale che cerca di conciliare la dottrina cristiana con l’impianto razionale della filosofia dell’antica Grecia. La filosofia e il suo metodo di insegnamento viene impartito nelle scuole cristiane dei monasteri, delle cattedrali e, successivamente, nelle Università (a partire dal XII secolo d.C.; le prime Università a nascere furono quelle di Bologna, Parigi, Cambridge, Oxford, Salamanca, Padova, Napoli). Il massimo esponente della scolastica è S. Tommaso D’Aquino, (1225-1274) che si pone contro S. Agostino in quanto afferma che le parole provengono dall’esperienza pratica (per esempio l’ascolto di parole pronunciate da altri individui) e non sono qualcosa di trascendentali . L’idea pedagogica nella Riforma e nella Controriforma • Riforma protestante: una delle conseguenze indirette della Riforma fu l’affermazione della scuola pubblica, affidata allo Stato nel caso dei luterani, o alla Chiesa in quello dei seguaci di Calvino. Si diffuse così il principio della obbligatorietà dell’istruzione, considerata dai protestanti condizione essenziale della pratica effettiva della fede, incentrata sul libero esame dei testi sacri. Lutero si pose come continuatore dello spirito rinascimentale, sia per l’istanza della riforma e del rinnovamento della Chiesa e dell’esperienza religiosa, sia per l’individualismo della sua nuova dottrina, fondata sul libero esame e sul sacerdozio universale. • La Controriforma designò un periodo storico che va dalla metà del XVI secolo ai primi decenni del XVII secolo. Più esattamente, l’inizio della Controriforma cattolica si indica con il Concilio di Trento, tenutosi dal 1545 al 1563, con due lunghi periodi d’intervallo, in cui si discussero le misure da prendere contro le Chiese riformate e contro il dilagare del protestantesimo, al fine di ricomporre l’unità dei cristiani. Il Concilio di Trento conferma i capisaldi della dottrina cattolica (l’essenzialità della Chiesa e il valore dei sacramenti, l’efficacia delle opere accanto all’intervento della grazia), definisce nuovi compiti per gli ecclesiastici sul piano disciplinare e pastorale, dà un forte impulso agli studi biblici e teologico-filosofici e favorisce la nascita e lo sviluppo degli ordini religiosi al duplice scopo di frenare l’avanzata dell’eresia protestante e diffondere la religione cattolica nei paesi del nuovo mondo. Riforma e Controriforma ad un certo punto cominciano ad intrecciarsi, innescando un processo di reazione della Chiesa a difesa del Papato. Gli ordini religiosi, come i Gesuiti, i Barnabiti, ecc... costituirono un’espressione delle esigenze di riforma interiore della vita religiosa e del modo di porsi della Chiesa verso il mondo, nonché gli strumenti attraverso cui il neocattolicesimo della Controriforma riuscì ad affermarsi in paesi non ancora conquistati dal protestantesimo. L’educazione nel Seicento Nella modernità si assiste ad una rivoluzione su tutti i fronti: politica (stato-moderno), sociale (borghesia), ideologico-culturale (laicizzazione e razionalizzazione), ed educativo-pedagogico. Si segue il modello dell’Homo faber e del soggetto come individuo, pur collegandolo alla «città» e poi allo Stato, potenziandone le sue capacità di trasformare la realtà e di imporre ad essa una direzione e un traguardo, perfino quello dell’utopia. Mutano, così, i fini dell’educazione, rivolgendosi questa a un individuo attivo nella società, liberato da vincoli e da ordini, posto ad artifex fortunae suae e del mondo in cui vive. Nel Seicento si afferma un modello di pedagogia esplicitamente epistemologico e socialmente impegnato, rappresentato, soprattutto da Comenio e dai suoi collaboratori I quali elaborano un’idea di educazione universale nutrita di forti ideali filosofici e politico-religiosi. COMENIO (1592-1670) e l’educazione universale: Comenio fu una delle maggiori figure della pedagogia e della scuola del XVII secolo. Durante la sua vita travagliata (sempre in esilio) scrisse molte opere a carattere mistico-religioso e pedagogico didattico, tra cui la più importante è: Didactica Magna del 1631. Comenio affida la salvezza dell'umanità all'educazione, cui spetta il compito costruire una società dove gli uomini possano convivere in pace e ottenere benessere e felicità senza ricorrere alla sopraffazione e alla violenza, in quanto la conoscenza è la via maestra per raggiungere la virtù e realizzare il bene. Comenio parla di: “Omnibus omnia omnino” (a tutti si può insegnare tutto in modo completo e interconnesso). Egli afferma l’esigenza di un’educazione universal (pampedia) che non faccia differenza di sesso o di classe di appartenenza, inclusi i soggetti in situazione di disabilità, poiché tutti sono creature di Dio e possiedono un’anima che progredisce grazie all’apprendimento, un processo quest’ultimo che dura tutta la vita e che stimola la mente nella ricerca del sapere. Riguardo ai contenuti del «tutto», non essendo possibile realizzare una conoscenza approfondita ed esatta dell’intero sapere, Comenio afferma la necessità di conoscere i fondamenti, le ragioni, i fini di tutte le cose più importanti, di tutte le cose che riguardano l’uomo, anche se poi l’una sarà più utile all’uno e l’altra all’altro. Comenio conia il termine “pansofia” per indicare il desiderio di una scienza universale che organizzasse, in maniera sistemica, le varie discipline e fornisse l’oggetto e lo scopo della didattica. La pansofia per lui è una sintesi unitaria delle diverse fome di sapere, la cui unitarietà dipende dal fatto che esiste un unico creatore (Dio) per la natura, la mente umana e l’intelletto, le Sacre Scritture. La teoria pedagogica di Comenio si basa sui seguenti punti fondamentali: 1. l’educazione deve essere concepita come un processo naturale, che tenga conto dei ritmi e delle istanze che si susseguono nel bambino e nell’adolescente nel corso dello sviluppo (dal concreto all’astratto e dal semplice al complesso), 2. il metodo di insegnamento deve avvicinare gli studenti senza demotivarli o renderli insofferenti, e allo stesso tempo deve essere motivante anche per l’insegnante. 3. la trasmissione delle conoscenze consiste nel passaggio dal semplice al complesso e dal facile al difficile; 4. il processo educativo deve utilizzare le funzioni che Dio ha donato all’uomo; bisognerà partire da nozioni acquisite dai sensi, fissate dall’immaginazione e dalla memoria e infine elaborate dall’intelletto; 5. questo processo deve seguire un ordine: l’educazione deve essere fatta di cose, e non solo di parole: non bisogna usare solo i libri di testo. Si devono usare le immagini e la lingua nazionale (non il latino), le cose e le esperienze dirette del mondo naturale e umano diventano quindi le protagoniste della nuova filosofia contro la cultura e l’educazione retorico-letteraria. La genesi e la struttura delle cose si apprendono facendole e agendo su di esse. Comenio scrive Orbis sensualis pictus (Il mondo visibile all’immagine) ed è uno dei primi testi scolastici in cui si utilizzano le immagini a scopo didattico (non solo pe ri bambini). Comenio prevede il seguente sistema scolastico: • Schola materna (fino a 6 anni) • Schola vernacula (6-12 anni) dove si impara la lingua nazionale • Schola latina (12-18 anni) dove si studiano le lingue classiche (greco, latino, ebraico) oltre allo studio delle arti e della fisica • Accademia (18-24 anni) con approfondimenti più specifici e i viaggi • Schola scholarum per la preparazione dei futuri insegnanti una Monarchia costituzionale. Il processo educativo del futuro gentleman (uomo virtuoso), si basa sul self-control e deve seguire alcuni fondamentali principi: 1) mens sana in corpore sano, affermata come uno «stato felice in questo mondo» e come criterio guida di ogni educatore; 2) l’importanza del «ragionare coi fanciulli» come mezzo d’insegnamento; 3) la priorità della formazione pratico-morale rispetto a quella intellettuale e del criterio dell’«utilità» delle discipline da insegnare ai giovani; 4) la centralità dell’esperienza, che sviluppa la naturale curiosità dei fanciulli, ne matura gli interessi e si afferma anche attraverso il gioco e il lavoro. Il modello educativo elaborato da Locke manifesta solamente gli elementi fondamentali dell’«educazione borghese», non tenendo in nessun conto il problema dell’educazione del popolo, come ha risolto con forme caritative oppure attraverso scuole di lavoro coatto per i ragazzi poveri, infatti Locke propone le Working Schools, dove le classi giovani e povere possono avviare la loro vita lavorativa con vitto e alloggio. 2. CONDILLAC (1715-1780) Riprende il pensiero di Locke, e insieme a Diderot e D’Alembert scrive l’Enciclopedia (Manifesto dell’Illuminismo). • Il suo modello educativo è di tipo pratico e operativo, basato sull’esperienza diretta. Parla di scuola statale con diversi corsi di studi, mentre i ceti più svantaggiati possono essere indirizzati verso un’educazione più pratica. 3. NICOLAS DE CONDORCET (1743-1794) Condorcet si è occupato del problema dell’organizzazione di un sistema di istruzione che potesse fronteggiare le problematiche della società moderna. Nella sua opera parla di Progetto sull’organizzazione generale dell’istruzione e si fa portavoce di un’istruzione: • universale e accessibile a tutti, comprese le donne e le classi meno abbienti • gratuita e libera • legata alle esigenze del paese • volta ad eliminare emarginazione sociale e garantire uguaglianza, libertà Tutti questi principi sono contenuti della Costituzione Italiana. Condorcet propone il seguente sistema scolastico: • Scuola comune (primaria e secondaria di primo grado) nei primi due anni si insegnano i diritti e i doveri del cittadino negli altri due le discipline scientifiche e la storia. • Istituti (secondaria di secondo grado) dove abbiamo settori specifici • Licei (università) • Società nazionale delle scienze e delle arti 4. GIANBATTISTA VICO (1668-1744) Per Vico l’educazione deve essere rivolta a tutti, in quanto deve mirare alla piena realizzazione di ogni individuo. Tra le sue opere più importanti in cui parla di educazione abbiamo la Scienza Nuova, dove sottolinea l’importanza di affiancare allo studio della storia e delle scienze umane anche le materie scientifiche. In De nostri tempori studiorum ratione parla del profilo evolutivo del bambino, che per lui è il riflesso dell’evoluzione dei popoli. Il bambino per Vico affronta tre fasi evolutive: nella prima fase è legato ai sensi che sono il suo veicolo di conoscenza umana, nella seconda fase utilizza l’intuizione, la fantasia e l’immaginazione e nell’ultima raggiunge la piena razionalità e utilizza in modo efficace l’intelletto.Proprio per l’andamento di queste fasi secondo Vico bisogna anteporre (cronologicamente) lo studio delle scienze umane a quello delle discipline scientifiche. JEAN JACQUES ROUSSEAU (1712-1778): padre della pedagogia contemporanea Rousseau si distacca dal modello educativo illuminista del suo tempo, operando una «rivoluzione copernicana» in pedagogia, mettendo al centro della sua teorizzazione il bambino; si oppose a tutte le idee correnti (della tradizione e del suo secolo) in materia educativa; elaborò una nuova immagine dell’infanzia, vista come vicina all’uomo di natura, buono e animato dalla pietà, socievole ma anche autonomo, come articolata in tappe evolutive (dalla prima infanzia all’adolescenza) tra loro assai diverse per capacità cognitive e atteggiamenti morali. Teorizzò una serie di modelli educativi posti, insieme, come alternativi e complementari e come vie possibili per attuare il rinaturamento dell’uomo, cioè il restauro di un uomo sottratto all’alienazione e al disorientamento interiore che ha assunto nelle società ricche e dominate dai falsi bisogni. Con Rousseau la pedagogia conquistò per la prima volta una propria autonomia. Nel Discorso sulle scienze e sulle arti introduce il concetto di stato naturale e dice che l’uomo quando nasce è buono per natura, innocente, senza colpa alcuna (nemmeno quella del peccato originale, ciò che portò Rousseau fuori dall’ortodossia cristiana), per lui sono l’educazione e le regole da questa dettate (cultura) a corrompere la natura umana. Questo pensiero è opposto al pensiero illuminista che invece esaltava la scienza e il progresso culturale. Individua le cause del male nella società (per il suo allontanamento dallo stato di natura intervenuto con la divisione del lavoro e con l’affermazione della proprietà privata), ma in essa e solo in essa riconosce anche la via del rimedio, qualora essa si riorganizzi secondo l’idea del «contratto» (egualitaria e comunitaria, animata da un’unica, collettiva volontà generale, che è alla base del governo e delle leggi) e riattivi, anche nella società malata, la possibilità di costruire un uomo nuovo, naturale ed equilibrato, di cui la sua opera l’Emilio è il modello (e la pedagogia in questo ha un ruolo chiave). Nella sua opera il Contratto sociale parla del contratto che dovrebbe precedere ogni forma di organizzazione dello Stato: ogni individuo accetta spontaneamente di osservare delle norme limitando la propria libertà, in quanto potrebbe essere pericolosa per gli altri, in cambio di maggiore sicurezza e certezza nei comportamenti degli altri. Per accettare questo tipo di contratto l’uomo deve cambiare la propria indole e tornare alla purezza dello stato naturale e per fare ciò l’uomo deve essere rieducato. L’educazione nell’Ottocento: il Romanticismo Se l’Ottocento appare come il secolo del «trionfo della borghesia», è stato anche il secolo della «grande paura» borghese, del timore per lo «spettro» del socialismo-comunismo (come ebbe a ricordare Marx), quindi è stato un secolo caratterizzato da una frontale opposizione/lotta di classe, che ha investito le ideologie, le politiche, la cultura stessa, oltre che l’economia e la vita sociale. Ciò ha prodotto anche una più radicale (rispetto al passato) ideologizzazione della pedagogia e dell’educazione, che si sono affermate come settori-chiave del controllo sociale e quindi della progettazione politica e della gestione stessa del potere (sociale e politico). Nell’Ottocento abbiamo la corrente del Romanticismo che si contrappone a molta cultura settecentesca per il suo richiamo all’individuo e al sentimento, alla storia e alla nazione, alla tradizione e all’irrazionale, contro il predominio della «critica» e della «ragione». Gli aspetti fondamentali della pedagogia romantica sono: 1. L’educazione alla moralità (principi e valori inerenti al comportamento): nuova idea di formazione (come sviluppo spirituale attraverso la cultura) legata a una nuova concezione dello spirito umano (posto come centro del mondo, come presenza attiva, attraverso molteplici itinerari della cultura e in lotta con quel mondo naturale e storico in cui è immerso e che deve tendere a dominare), ma anche della cultura e della storia (viste non come intessute di errori, ma valorizzate in ogni loro aspetto); 2. Contatto con la natura 3. Importanza data ai processi interiori 1. JOHANN H. PESTALOZZI (1746-1827) Il grande maestro della pedagogia romantica Pestalozzi, che rivive in prima persona il dramma dell’educare (i progetti, le difficoltà, le sconfitte), riattiva una nozione spirituale di educazione (animata dall’amore) ma anche si impegna nelle problematiche sociali e politiche dell’educazione stessa, costruendo un modello complesso e problematico, inquieto e acutissimo di pedagogia. Nell’istruzione spontanea e concreta offerta dall’ambiente familiare sta il fondamento della pedagogia. L’arte educativa deve essere «esercizio e irrobustimento di poteri fondamentali che sono la radice dell’umana spiritualità». L’insegnamento scolastico con il suo procedere artificiale viola l’ordine della libera natura e perciò occorre rinnovarlo secondo il metodo materno. Nuclei del suo pensiero racchiusi in Leonardo e Gertrude e Come Gertrude istruisce i suoi figli: 1. educazione come processo che deve seguire la natura, ripresa da Rousseau, secondo la quale l’uomo è buono e deve essere solo assistito nel suo sviluppo, in modo da liberarne tutte le capacità morali e intellettuali. Per conseguire un’educazione morale è necessario che lo sviluppo umano (riprendendo Rousseau) attraversi 3 fasi: stato di natura (dove segue gli istinti), stato sociale (vive con gli altri, ma non sempre in maniera armoniosa), stato morale (dove l’uomo domina le proprie passioni e accogli gli altri). Anche per lui il bambino ha in sé tutte le «facoltà della natura umana»: «egli è come un bocciolo non ancora dischiuso», però «quando si apre ogni petalo si spiega e nessuno rimane indietro»; 2. formazione spirituale dell’uomo come unità di «cuore», «mente» e «mano» (o «arte»), che va quindi sviluppata attraverso l’educazione morale, quella intellettuale e quella professionale, tra loro strettamente congiunte. Al contrario di Rousseau, Pestalozzi non riteneva che l’uomo fosse buono a prescindere, bensì pensava che fosse compito dell’educazione perfezionare la natura dell’uomo. L’ “Educazione del cuore” pervade tutto il suo pensiero pedagogico: prima il bambino deve "sentire" la vita morale (cuore), poi deve fare del bene (mano) e infine segue la riflessione (testa). Con questa visione Pestalozzi si contrappone al razionalismo, il quale crede di poter basare la vita morale unicamente sulla razionalità. Secondo Pestalozzi il bambino possiede tre forze che corrispondono tre organi che possono essere ricondotti alle 3 aree fondamentali dello sviluppo del bambino: • Sentimento (cuore) che riguarda l’area affettiva • Pensiero (testa/mente) che riguarda l’area cognitiva • Volontà/azione (mano) che riguarda l’area psicomotoria 3. Istruzione per cui è necessario sempre partire dall’intuizione, dal contatto diretto con le diverse esperienze che ogni allievo deve concretamente compiere nel proprio ambiente. Senza «fondamento intuitivo» ogni «verità» è, per i ragazzi, solo «un gioco noioso» e «inadatto alle loro capacità». Pestalozzi propone il metodo elementare, chiamato così perché mirato alla didattica della comprensione degli elementi costitutivi del sapere. Il suo metodo è intuitivo, perché parte dall’intuizione fatta sull’esperienza concreta per poi giungere alla formulazione di leggi che regolano la natura e il comportamento umano. In questo metodo il bambino formula il suo pensiero sulla base di 3 elementi: forma (alla base della geometria e del disegno), numero (alla base della matematica) e nome (alla base del linguaggio). Egli critica l’ordinamento sociale del suo tempo (dispotico in politica, conflittuale e confuso in economia) e, collocandosi dalla parte del popolo, chiede riforme in direzione di una vera libertà e uguaglianza (come voleva la Rivoluzione francese, che poi ha tradito questi principi) per fondare una «società ideale» che ha i caratteri della comunità (modellata sulla famiglia) e in cui vigono forti principi etici rivolti a «nobilitare l’umanità». 2. FROEBEL (1782-1852) Pedagogista tedesco, simbolo della pedagogia romantica, che impronta i suoi studi nel periodo dell’infanzia. Fröbel muove da un presupposto religioso, che vede Dio immanentisticamente presente e coincidente con la natura, che è sempre buona e lo è in quanto partecipe dell’opera divina. E lo è in modo più netto là dove si sottrae alle manifestazioni della società, dove è più genuina e spontanea, come nel bambino. Visto che nell’infanzia è depositata la voce di Dio, l’educazione deve solo lasciarla sviluppare, attraverso una comunicazione profonda con la natura e la costituzione di un’armonia tra io e mondo. • Ha fondato in Germania un istituto scolastico per accogliere i bambini con età inferiori ai sei anni di classi sociali svantaggiate (Kindergarten, giardino d’infanzia) improntato sul gioco. Nel bambino bisogna potenziare la sua capacità creativa, la sua volontà di immergersi nel mondo natura, di conoscerlo, di dominarlo, partecipando col sentimento e attraverso l’arte alla sua attività creativa (con colori, ritmi, suoni, figure). I «giardini d’infanzia» sono luoghi non solo di raccolta dei bambini (asili), bensì spazi attrezzati per il gioco e il lavoro infantile, per LUSIO IG OZZIUN — RIVONNWNOD J9d
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HERBART (1776-1841): la pedagogia come scienza Con Herbart emerge con piena chiarezza un impegno della pedagogia a costituirsi come «scienza», se pure come scienza filosofica, ottenendo quindi la sua autonomia. L’obiettivo finale della pedagogia resta quello di formare l’uomo e di formarlo come totalità armonica e come persona responsabile. Per lui la pedagogia viene elaborandosi dalla collaborazione della psicologia e dell’etica, le quali risultano essere gli elementi strutturali e caratterizzanti del suo aspetto scientifico in quanto ne definiscono rigorosamente i «mezzi» ed i «fini». La moralità dell’uomo è il fine ultimo dell’educazione. Herbart ne parla principalmente nelle sue due opere: Pedagogia generale dedotta dal fine dell’educazione (1806) e Disegno di lezioni di Pedagogia (1835). Il percorso che educa alla morale si divide in 3 tappe: 1. Piano di governo: fase in cui gli educatori cercano di rendere morale la natura «senza volontà» del fanciullo, caratterizzata da «selvaggia sfrenatezza» e «rozze tendenze», avviandola all’esercizio dell’auto-direzione stimolando la volontà (utilizzando tecniche che vanno dall’autorità all’amore), questo deve avvenire attraverso la minaccia, la sorveglianza, ma soprattutto l’autorità e l’amore; 2. Piano di istruzione: fase in cui l’educatore deve attuare una didattica che stimoli l’interesse dell’allievo, per indurlo a formulare idee nuove e un proprio giudizio morale; 3. Piano dell’auto-governo: tramite cui si determina la sintesi tra la volontà e il giudizio. L’educatore deve essere un essere formato a 360 gradi che faccia una fatica educativa volta alla stimolazione dei vari interessi infantili, tramite la creazione di un «ordine» e l’affermazione di un «metodo» che renda chiari i contenuti delle esperienze e le loro associazioni. Per Herbart esistono 4 momenti dell’insegnamento definiti come gradi formali: 1. Chiarezza (legata alla scomposizione degli oggetti di studio nei loro «elementi») 2. Associazione (che collega l’oggetto con altri simili e già «noti»), 3. Sistema (orientato alla connessione non empirica ma scientifica) 4. Metodo (cioè, l’applicazione attraverso esercizi di ciò che è stato appreso nei momenti precedenti). Accanto alla centralità della scienza e della letteratura si dispongono le varie discipline di studio, ma tutto deve essere dosato e organizzato in relazione alle esigenze individuali dell’alunno, senza pianificazioni troppo rigide ed uniformi. Un ruolo fondamentale nella didattica herbartiana viene riscoperto anche dall’educazione estetica il cui compito è quello di «far sorgere il bello nella fantasia dell’allievo». FERRANTE APORTI (1791-1858): i primi asili Sul fronte italiano importante figura fu Aporti che fondò ancora prima di Frobel i primi asili. Infatti, già nel 1828, Aporti apre un “Asilo d’Infanzia” nel Lombardo-Veneto; era un asilo a pagamento ed accoglieva bambini dai due anni e mezzo ai sei anni. Nel 1830 fonda la prima scuola d’infanzia gratuita, (finanziata dal governo austriaco, con il concorso della beneficenza cittadina). Questa nuova apertura rappresenta un vero e proprio modello, tanto da diffondersi rapidamente nel Lombardo- Veneto, in Emilia e Romagna e in Toscana. Prosegue la propria missione educativa preoccupandosi di fondare anche scuole per ciechi, sordomuti e orfani. • L’educazione negli asili aportiani avveniva attraverso varie attività organizzate, quali il gioco e la preghiera, il canto e il disegno, e il metodo seguito si ispirava a quello intuitivo del Pestalozzi. L’educazione linguistica muoveva da esercizi di nomenclatura che permettevano di far apprendere «i primi elementi della lingua per mezzo delle regole grammaticali superiori a quelle deboli intelligenze, ma per la via di fatto, la quale è sommamente appropriata a quell’età». Si valorizzava anche l’interesse spontaneo dei fanciulli per le «storie» e i «racconti» soffermandosi su episodi di storia sacra che servono «altresì di avviamento alla cognizione delle dottrine religiose». Infine, col canto e la conversazione si cercava di «prevenire ogni difetto di lingua». • Tutte queste «cognizioni» venivano apprese col metodo «dimostrativo, cioè per mezzo dell’attuale mostramento degli oggetti o delle fedeli immagini loro, richiamando e dirigendo in essi l’attenzione dei piccoli alunni». Tuttavia, l’obiettivo finale di questo insegnamento era posto nella formazione morale in modo da indirizzare i fanciulli verso le virtù tipicamente cristiane che venivano apprese attraverso la preghiera. Già lo stesso Aporti aveva chiamato i suoi asili «la scuola infantile per i poveri» ed aveva rilevato che nelle città i fanciulli poveri erano il dodici per cento della popolazione, che le vedove non avevano mezzi per allevare i figli e che, spesso, tali fanciulli erano costretti a mendicare. Il problema dei poveri si impone infatti alle classi dirigenti e le spinge a trovare dei «conforti» a tale situazione, ora individuandoli nella morale e nell’igiene, ora nell’educazione e nella religione. Su questo terreno e con posizioni abbastanza ardite si mosse il Mayer. • Alla formazione spirituale si dovrebbe aggiungere la ginnastica e un’istruzione politecnica. In Istruzione e lavoro dice che nessuno dovrebbe usare il lavoro di un fanciullo, a patto che quel lavoro sia il risultato di lavoro e istruzione. Con istruzione si intendono 3 cose: formazione spirituale, educazione fisica (scuole di ginnastica e esercitazioni militari) e istruzione politecnica (uso pratico degli strumenti dei mestieri). Con la divisione tra fanciulli e adolescenti, dai 9 ai 17 anni, in 3 classi, si dovrebbe dare un programma progressivo di istruzione. In questo modo si riuscirà ad innalzare la classe operaia, fino (e oltre) alle classi superiore e medie. Il lavoro notturno e dannoso deve essere proibito per coloro che si trovano in quella fascia di età. La visione marxiana vuole la formazione di un uomo onnilaterale (cioè, che conosce tutti gli aspetti del reale). 2. POSITIVISMO Alla scienza e alla società, soprattutto alla società industriale, guarda anche il pensiero pedagogico del Positivismo. Il Positivismo è stato un movimento filosofico e culturale nato in Francia nella prima metà dell’Ottocento che si basa principalmente sull’esaltazione del progresso scientifico. Il termine Positivismo è stato introdotto per la prima volta da Henri de Saint-Simon. Il movimento condivide alcune idee sia dell’Illuminismo sia del Romanticismo. I positivisti sostenevano che la Pedagogia si trovava ad uno stadio di evoluzione scientifica ancora confuso e non sistematico e doveva, invece, trasformarsi in disciplina organica e rigorosa (una vera e propria scienza, o comunque una scienza dell’educazione) attraverso una ridefinizione di tutti i propri strumenti concettuali e operativi a contatto con le varie scienze positive, soprattutto con la fisiologia e la sociologia. Grazie ai positivisti si cominciò a pensare e studiare la pedagogia come scienza, ma dal punto di vista pratico non portarono a grandi cambiamenti. AUGUSTE COMTE (1798-1857): Comte (fondatore del positivismo) pensa che la conoscenza si fondi direttamente dall’esperienza. Infatti, la conoscenza non avviene attraverso forme a priori, ma mediante l’osservazione dei singoli fatti della realtà e della vita. Per lui bisogna ricostruire la società secondo le basi scientifiche e non di quelle della religione e della scienza, attraverso una nuova educazione (Discorso sull’insieme del Positivismo). Propone di sostituire l’educazione europea (metafisica, religiosa e letteraria) con un’educazione positiva con alla base la scienza, per sviluppare la coscienza della solidarietà umana. Parla di un’educazione: • universale, generale nei contenuti: il carattere generale si prefigura con l’intento di fare un progetto educativo di carattere enciclopedico, cioè di abbracciare tutte le scienze fondamentali. Comte teme la frammentazione dei saperi anche nella pratica dell’insegnamento (tanto da pensare di mettere un solo insegnante). L’educazione si configura come una morale pratica, o arte del perfezionamento umano. Ha come scopo quello di subordinare gli istinti egoistici a quelli altruistici. • popolare come destinazione: egli è convinto che l’istruzione pubblica debba essere impartita dallo Stato solo ai proletari, visto che le classi privilegiate possono acquistare l’istruzione che desiderano. • La sola istruzione teorica non basta, per lui bisogna aggiungere anche un’educazione affettiva, in cui abbia un ruolo rilevante l’etica. Lo studio teorico pur prevalendo si deve trasformare poi in tecnica. Tuttavia, all’educazione di Comte manca una formazione professionale, in quanto questa è demandata all’esercizio concreto delle attività e ad un apprendistato professionale che non è insito nell’insegnamento. ROBERTO ARDIGO’ (1828-1920): Ardigò viene considerato uno dei maggiori esponenti del positivismo italiano per aver promosso una concezione scientifica della psicologia e della pedagogia. Ha insistito nel ruolo fondamentale della Pedagogia scientifica, soffermandosi sul ruolo delle abitudini (la pedagogia per lui doveva essere intesa come una scienza dell’educazione). Ardigò sostiene che l’educazione è il momento finale di un processo costituito da un’intensa attività prodotta da ripetute stimolazioni del contesto (scolastico, sociale, familiare) e che viene consolidata attraverso l’esercizio in abitudini che si manifestano in abilità. 3. CATTOLICESIMO LIBERALE Il cattolicesimo liberale è un movimento che auspicava alla conciliabilità della dottrina religiosa cattolica con i principi liberali della separazione tra Stato e Chiesa. DON BOSCO (1815-1888): Don Bosco fu oltre che presbitero anche pedagogo italiano fondatore della congregazione dei Salesiani e delle figlie di Maria Ausiliatrice. Fu fautore di una pedagogia povera, indirizzata ad aiutare i giovani degli ambienti maggiormente disagiati. Per fornire un aiuto concreto a questi giovani, Don Bosco aprì un oratorio, un luogo di formazione, di studio, avviamento al lavoro e allo svago, togliendoli così dalla strada. Secondo Don Bosco è necessario fornire a tutti i giovani un’istruzione elementare, una regola di vita (educazione morale) e un lavoro, in modo che possano essere inseriti nella società. Il principio educativo adottato da Don Bosco fu il metodo preventivo, secondo cui è necessario interessarsi della formazione dei ragazzi per prevenire il disagio morale nella società. Questo sistema si basava su ragione, religione e amorevolezza. sia il movimento di emancipazione di larghe masse popolari nelle società occidentali, che veniva a innovare in profondità il ruolo della scuola e il suo profilo educativo, accantonandone con decisione l’aspetto esclusivamente elitario. I pionieri dell’attivismo sono molto spesso degli educatori militanti, che applicano le loro concezioni in istituzioni scolastiche talvolta appositamente create, ma da queste sperienze sono cresciute le richieste di una riforma dell’ambito educativo. La provenienza e la formazione dei sostenitori dell’attivismo è varia: si va dal grande romanziere Lev Tolstoj (1828-1910) a Maria Montessori (1870-1952), che è medico, mentre Ovide Decroly (1871-1932), Edouard Claparède (1873-1940) e Alfred Binet (1857-1911) sono psicologi. Tra questi non ci sono pedagogisti di formazione filosofica. Precursori dell’attivismo sono Rousseau (con l’Emilio, limitando la funzione del maestro) e Pestalozzi (rilievo del lavoro e dell’attività collaborativa e non emulativa di chi apprende). La prima elaborazione teorica delle scuole nuove avviene grazie a Adolphe Ferriere, che poi diffonderà anche la denominazione scuole attive. Dalle scuole attive e dalla formalizzazione di Ferriere nasce la parola attivismo. Il carattere comune e dominante di queste «scuole nuove», che ebbero diffusione prevalentemente in Europa occidentale e negli Stati Uniti, va individuato nel richiamo all’attività del fanciullo. 1. Fare della scuola un luogo e uno strumento di progresso e di liberazione dell’uomo. Il rinnovamento della scuola concorre al rinnovamento della società e alla lotta contro l’ignoranza e l’ingiustizia. 2. Puerocentrismo: spostamento del centro di gravità della ricerca della riflessione pedagogica. Il fanciullo diventa il sole intorno a cui si muove l’educazione (visione copernicana). Quindi abbiamo la centralità del bambino e anche della didattica. Si va dal metodo di lavoro con gruppi di Ferriere, ai materiali strutturati di Montessori. 3. Ambiente influenza l’apprendimento 4. Educazione ad essere dei buoni cittadini. ROSA AGAZZI (1866-1951) Rosa Agazzi elaborò un metodo personale e innovatore nei riguardi delle scuole per l’infanzia, cercando di superare i limiti del fröbelismo e dell’aportismo. Il suo metodo si fondava, prima di tutto, sul principio della continuità tra asilo infantile e l’atmosfera familiare; quindi, l’educatrice doveva assumere un ruolo quasi materno ed il lavoro dei fanciulli doveva essere soprattutto libero e attivo (giardinaggio, pulizia, etc.), ma anche svolgersi in un ambiente ordinato, al cui mantenimento il bambino stesso doveva partecipare. Tra i fanciulli doveva inoltre essere sviluppato un forte senso di collaborazione. • Cianfrusaglie: l’invenzione didattica più significativa della Agazzi fu però il materiale non preordinato, non scientifico e occasionale, che veniva definito come un insieme di «cianfrusaglie senza brevetto», costituito da tutto ciò che i fanciulli stessi raccoglievano o portavano a scuola ed al quale si interessavano. Tale materiale comprendeva anche gli oggetti di corredo di ogni fanciullo che venivano contrassegnati, in modo tale che ogni bambino potesse collaborare al mantenimento dell’ordine. I teorici dell’attivismo: La nascita delle scuole nuove è stata sostenuta tutta la sua fase di svolgimento, da un intenso lavoro di teorizzazione, rivolto a mettere in luce i fondamenti filosofici e scientifici di questo ampio rinnovamento della pedagogia, come pure gli obiettivi educativi di base che esso veniva affermando in netta opposizione alla scuola e alla pedagogia tradizionali, accusate di essersi mosse da una falsa concezione della natura infantile. Il lavoro dei teorici e quello svolto, in campo più strettamente operativo, dalle «scuole nuove» si saldarono a formare quel progetto di educazione «attiva». I grandi temi della pedagogia dell’attivismo – riassumendo – possono essere indicati: 1. nel «puerocentrismo», cioè sul riconoscimento del ruolo essenziale (ed essenzialmente attivo) del fanciullo in ogni processo educativo; 2. nella valorizzazione del «fare» nell’ambito dell’apprendimento infantile, che tendeva, di conseguenza, a porre al centro del lavoro scolastico le attività manuali, il gioco e il lavoro; 3. nella «motivazione», secondo la quale ogni apprendimento reale e organico deve essere collegato ad un interesse da parte del fanciullo e quindi mosso da una sollecitazione dei suoi bisogni emotivi, pratici e cognitivi; 4. nella centralità dello «studio di ambiente», poiché è proprio dalla realtà che lo circonda che il fanciullo riceve stimoli all’apprendimento; 5. nella «socializzazione», vista come un bisogno primario del fanciullo che va, nel processo educativo, soddisfatto e incrementato; 6. nell’«antiautoritarismo», sentito come un rinnovamento profondo della tradizione educativa e scolastica, che muoveva sempre dalla supremazia dell’adulto, della sua volontà e dei suoi «fini», sul fanciullo; 7. nell’«antintellettualismo», che conduceva alla svalutazione di programmi formativi esclusivamente culturali e oggettivamente determinati e alla conseguente valorizzazione di una organizzazione più libera delle conoscenze da parte del discente. L’opera pedagogica di Claparède si svolse soprattutto in relazione alle nozioni di educazione funzionale e di scuola su misura elaborate nei suoi due libri omonimi. Bisogni e interessi sono al centro dello sviluppo del bambino, l’interesse viene suscitato attraverso il gioco (che è una sorta di vita simulata) e l’imitazione (imitando adulti o altri bambini, il fanciullo può passare da una fase all’altra più velocemente). • L’educazione deve essere sempre sostenuta da un bisogno e quindi è necessaria la partecipazione motivata dall’interesse del fanciullo, direttamente connesso ai suoi bisogni. • Di conseguenza la scuola deve organizzarsi «su misura» del fanciullo, deve rispettarne la natura e soddisfarne i bisogni, organizzando anche processi di apprendimento capaci di essere individualizzati, attraverso l’offerta di una serie di opzioni di attività, tra le quali il fanciullo può liberamente scegliere. Nella sua opera La scuola su misura Claparede presenta la sua idea di organizzazione scolastica, basata sul principio secondi cui bisogna garantire un apprendimento individualizzato che tenga conto delle specificità del singolo alunno: • Classi parallele e omogenee: all’interno di una stessa classe ci potrebbe essere un gruppo omogeneo che ha bisogno di attività di recupero e uno che ha bisogno di potenziamento, che bisogna quindi distinguere in due percorsi e portarli avanti parallelamente); • Classi mobili: classi non composte dagli stessi alunni, poiché viste le diverse attitudini di ciascuno, non è detto che tutti debbano seguire lo stesso programma di una specifica disciplina; • Sezioni parallele: indirizzi di studio diversi a seconda delle attitudini dello studente; • Sistema delle opzioni: ulteriore specializzazione del percorso di studi scelto nelle sezioni parallele (suddivisione di tutte le ore in una parte obbligatorie e una parte personalizzabili, stabilendo un numero di conoscenze minime e obbligatorie per gli studenti). 3. MARIA MONTESSORI (1870-1952): Maria Montessori studiò all’Università di Roma, dove si laureò in medicina nel 1896. Fu la prima donna in Italia a esercitare la professione medica. Ha ripreso il positivismo per l’approccio scientifico con cui, secondo lei, si doveva studiare il bambino, il funzionalismo per l’assecondare i bisogni e gli interessi del bambino, Rousseau e Froebel per l’atteggiamento che deve essere assunto dal maestro verso gli alunni. Il metodo educativo proposto dalla sua opera Il Metodo della Pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile fu molto innovatore rispetto al passato. La Montessori intese il suo bambino come: • laborioso, impegnato nei suoi lavori svolti all’interno della casa dei bambini, in maniera dinamica e attiva, il bambino si impegna spontaneamente, perché si diverte, perché ogni cosa è una nuova scoperta su cui concentrarsi ed esercitarsi; • il bambino non deve giocare per puro divertimento, per tenersi impegnato, ma deve essere coinvolto nelle sue attività. Alla base del metodo Montessori sta uno studio sperimentale della natura del fanciullo che pone l’accento, in particolare, sulle attività senso-motorie del fanciullo, che vanno sviluppate sia attraverso gli «esercizi di vita pratica» (vestirsi, lavarsi, mangiare, etc.) sia attraverso un materiale didattico scientificamente organizzato (incastri solidi, blocchi geometrici, materiali per l’esercizio del tatto, del senso cromatico, dell’udito, etc.). Montessori portò avanti una riflessione più generale sull’educazione che si sviluppò intorno ai principi di: • liberazione del fanciullo, del ruolo formativo dell’ambiente. L’ambiente scolastico deve essere a misura del bambino (casa dei bambini) quindi non ci devono essere solo le classi, ma anche ambienti dove socializzare e svolgere le attività (refettorio, spazi per la lettura e giardino). Gli strumenti utilizzati devono ordinare e organizzare gli stimoli provenienti dall’esperienza diretta; • concezione della mente infantile come mente assorbente, cioè la mente del bambino assorbe solo le informazioni importanti provenienti dall’ambiente esterno. Queste informazioni, però, devono essere selezionate e organizzate tramite una didattica opportuna secondo la tipologia di mente e dall’età del bambino. Dagli 0 ai 3 anni il bimbo ha una mente assorbente (periodo per l’acquisizione del linguaggio), dai 3 ai 6 anni ha la mente cosciente in cui è possibile far organizzare e ordinare i contenuti assorbiti con le attività precedentemente esplicate. L’asilo Montessori è basato sulla figura del maestro, che raramente fa una lezione frontale. Il maestro più che insegnare, svolge il ruolo di direttore delle attività degli alunni, quindi, il bimbo svolge le attività in autonomia. Le opere di Montessori sono pervase dal suo pensiero cosmico, è il caso di Educazione per un mondo nuovo (1942) e Come educare il potenziale umano. Secondo la studiosa anche se possa sembrare di vivere nel caos e nel disordine, il nostro universo tende sempre all’armonia e all’equilibrio. Secondo questo pensiero ogni essere vivente si trova in un piano cosmico, che comporta un comito a cui deve adempiere nella propria vita e che costituisce la sua ragione di esistere. contenuti dell’educazione devono basarsi sull’esperienza (Dewey parla di learning by doing, ovvero imparare facendo, la modalità di apprendimento prediletta, anche se ovviamente l’esperienza deve essere affiancata dai libri di testo). Art. 4: Il metodo educativo deve tenere conto della natura del fanciullo (attivo e non passivo o solo ricettivo). Art. 5: Il progetto sociale è garantito dalla scuola, in quanto l’educazione aiuta ad armonizzare le attività individuali con la vita sociale. Per Dewey l’educazione è alla base del sistema democratico, di cui uno degli elementi costitutivi è la comunicazione (che è una forma di educazione). Un'altra opera importante è il suo saggio Democrazia ed Educazione (1916). Nel saggio si parla di democrazia, non solo come forma di governo, ma anche come modo di intendere la vita individuale e sociale. In questa seconda accezione si intende un modo di intendere la vita basata sul permettere all’individuo di esprimersi al meglio e realizzarsi a seconda delle sue attitudini. Per Dewey uno degli elementi costitutivi della società democratica è la comunicazione, che consente agli individui di scambiarsi esperienze e moltiplicare le proprie conoscenze. Dewey vede nella comunicazione una forma di educazione. Dewey ha usato l’espressione Learning by doing, secondi cui si impara non semplicemente ascoltando, ma facendo: facendo esperienza diretta, mettendo “le mani in pasta”, guidati dall’insegnante (come nella scuola di Chicago, un insieme di laboratori permanenti di attività artigianali, di fisica, chimica, etc.). Questa tecnica fa ottenere un bagaglio culturale per la vita, e sviluppa anche la creatività e la motivazione. Il punto cruciale non è accumulare esperienze, ma proporne di significative. Non tutte le esperienze si possono ritenere educative: per esserlo deve produrre l’arricchimento e l’espansione dell’individuo (il progresso delle sue forze psico-fisiche ed intellettuali). Alcune inibiscono e bloccano il discente, mentre quelle positive favoriscono la conoscenza. Le esperienze positive seguono questi principi: - principio di continuità: le esperienze devono attingere l’una dall’altra; - principio di crescita: le esperienze devono favorire la crescita del discente; - principio di interazione: tutte le esperienze sono il frutto di un’interazione tra fattori esterni (legati all’ambiente e che possono essere controllati dal docente) e fattori interni (soggettivi su cui il docente non può intervenire). Per Dewey il modo per elaborare la conoscenza è il pensiero riflessivo, una modalità di pensiero con le seguenti caratteristiche: - un flusso controllato di idee, poste in modo logico-consequenziale - il flusso di idee mira ad un obiettivo (es. risoluzione di un problema teorico o la verifica di un’ipotesi) - l’idea iniziale (ipotesi) può essere anche errata, ma il pensiero riflessivo deve verificarla. Le fasi del pensiero riflessivo sono: 1. Suggestione: di fronte ad un problema da risolvere pensiamo ad una possibile azione risolutiva (o più); 2. Intellettualizzazione: il problema viene inquadrato nelle sue variabili fondamentali; 3. Idea guida o ipotesi: una delle suggestioni iniziali diventa più forte in seguito all’analisi delle variabili, diventando idea guida; 4. Ragionamento: partendo dall’idea guida viene elaborata una risoluzione del problema; 5. Controllo delle ipotesi: si verifica la validità della risoluzione elaborata nella fase precedente. Nel saggio Esperienza ed educazione (1938) Dewey ha risposto alle critiche rivolte alle scuole attive e al ruolo dell’esperienza. Dewey individua due tipologie di scuola: la scuola tradizionale con un’impostazione teorica e formale, un approccio standard per tutti, dove il docente è fonte di autorità e il discente è passivo. Dall’altra parte le scuole nuove, dette anche attive, caratterizzate da un’educazione progressista, basate sull’esigenze del singolo allievo, che parte dall’esperienza, in cui il discente è libero e attivo. Al centro del processo educativo vi è l’esperienza, spontanea o guidata, del bambino. Il mondo dell’esperienza è caratterizzato da instabilità e problematicità: questo però per Dewey è un aspetto positivo. Solo di fronte a una situazione problematica il pensiero del bambino è stimolato alla ricerca, alla chiarificazione e risoluzione di problemi pratici e teorici. Per Dewey la scuola attiva è una comunità non monarchica (con l’insegnante posto sul trono quale “re/regina” che comanda ai sudditi) ma democratica, in cui tutti i partecipanti al processo educativo (in primis, alunni ed insegnanti) hanno voce in capitolo; possono proporre, prendere iniziative, confrontarsi, e condividono le responsabilità. n: | Seoncnnnnee: PR
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Il Neoidealismo gentiliano: reazione al positivismo In Europa la voce forse più radicale e innovativa è, invece, quella del marxismo che, prima con la socialdemocrazia tedesca, con le teorizzazioni di autori di livello internazionale (da Bernstein a Labriola, alla Luxemburg, ad Adler), con le esperienze dei socialismi nazionali, poi con la Rivoluzione russa del ’17, viene elaborando una concezione organica della pedagogia, orientata in senso politico-sociale e coordinata al proprio centro dalle categorie del lavoro. Ma è in America che prende corpo il modello pedagogico più ricco e più durevole del secolo, quello di Dewey, legato, da un lato, a un rinnovamento della scuola, sottolineandone l’identità di «laboratorio» e la funzione civile e politica, egualitaria ed emancipativa, dall’altro, ad una pedagogia che teorizza ed opera, insieme, e che lo fa in una precisa direzione politica (fondare la democrazia in interiore homine attraverso l’esperienza scolastica) e cognitiva (formare la mente democratica attraverso un’assimilazione critica dei saperi, che deve compiersi in stretto contatto con l’azione, assimilando la logica dell’indagine che è tipica del sapere scientifico moderno). In Italia il secolo nasce con le critiche di Gentile al Positivismo e a ogni tipo di pedagogie scientifiche, per sottolineare invece l’identità filosofica della pedagogia, poiché «scienza dello spirito». Nel 1861 fu applicata all’Italia unita la legge Casati, promulgata per il Piemonte nel 1859, che organizzava il sistema scolastico secondo i principi liberali: delineava un’amministrazione centralizzata col compito di programmare e controllare la vita scolastica nel suo insieme, divideva l’istruzione scolastica in classica e tecnica fissava i due gradi – inferiore e superiore – dell’istruzione elementare delegata ai Comuni. Sanciva, inoltre, l’obbligo scolastico per il grado inferiore elementare, che restò largamente evaso, come assai precarie rimasero a lungo – dopo il 1861 – le condizioni della scuola elementare (per edilizia, reperimento dei maestri, stipendi al corpo insegnante, etc.). Inoltre, essa fu calata come un calco su situazioni assai diverse da quella piemontese, producendo – in specie al Sud – scarsissimi frutti nella lotta contro l’analfabetismo. A fine 1800 la reazione contro il positivismo si fa sentire anche nell’area educativa. Si vede come diseducativa una scuola che da troppo spazio alla scienza e riduce all’insegnamento delle materie religiose. Si diceva che il Positivismo mettesse i fanciulli troppo a contatto con la turbolenta vita sociale del tempo. In pedagogia si riafferma il primato dello Spirito e questa visione in Italia viene portata avanti da Giovanni Gentile (1875-1944) con la sua posizione neoidealista. • Gentile rivendica il primato della pedagogia e l’esigenza di portarla a scienza autonoma, sganciata dall’etica e dalla psicologia. Giovanni Gentile muovendo dalla concezione idealistica della realtà e del soggetto, viene condotta una critica di fondo all’impostazione positivistica. Il Positivismo guarda sempre e solo al soggetto sensibile, particolare, fenomenico e ignora che la vera realtà è quella dello spirito, del pensiero in atto. L’autonomia della pedagogia si può fondare solo sullo spirito e, dunque, coincide con la filosofia dello spirito. Essa deve occuparsi della formazione dell’uomo secondo il suo concetto, cioè in quanto l’uomo è spirito nel suo farsi. Dunque, lo specifico di cui si occupa la pedagogia è il processo di auto-formazione spirituale dell’uomo. • Non si deve parlare di un dualismo (maestro-scolaro) perché tutto deve essere ricondotto all’unità dello Spirito. Quindi quando il maestro insegna in realtà sta insegnando a sé stesso, identificandosi con i suoi scolari. Lo scolaro avverte la lezione che ascolta come se fosse propria. Quindi la lezione (e il rapporto educativo) deve avere carattere di creatività ed interiorizzazione, per essere efficace. Non ha senso parlare né di metodo né di tecniche di insegnamento. Tuttavia, tale unità si compie attraverso l’affermazione della centralità dell’insegnante, della sua cultura e della sua autorità dovuta al grado più alto di sviluppo della spiritualità che egli, come adulto, ha raggiunto, mentre il fanciullo nella sua concretezza e reale identità, con i suoi bisogni ed interessi, risulta essenzialmente emarginato. La scuola teorizzata da Gentile è la scuola del maestro e della cultura e niente affatto la scuola del fanciullo e dei suoi bisogni. Inoltre, la lezione che egli viene teorizzando come modello è assai vicina alla lezione tradizionale, lezione di cultura e lezione «dalla cattedra», L’influenza di Gentile in Italia rimarrà fino alla metà del secolo 1900, e in questo periodo la dimensione didattica verrà completamente trascurata e non entrerà a far parte della formazione degli insegnanti (pensiero secondo cui Chi sa, sa anche insegnare). La concezione pedagogica gentiliana influenzò, specialmente attraverso la Riforma scolastica del ’23, profondamente la scuola italiana, orientandola verso una difesa della superiorità della formazione umanistica e verso uno spiritualismo in gran parte retorico e astratto.
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scuola serena. • Nella scuola il maestro deve andare ben preparato certamente, egli deve leggere a casa, aggiornarsi, abituarsi alla cultura più aperta possibile. Ma deve andare a scuola per incontrarvi delle anime, e non per cercare orecchi; deve portare nella scuola la vita; quella che vi portano i fanciulli con la loro esperienza. La lezione non deve essere eliminata; il maestro fa la lezione, ma con il cuore, con la desiderata collaborazione degli alunni. • Si dialoga, si discorre; i ragazzi imparano a discorrere; se a casa e in strada parlano in dialetto, a scuola non potranno immediatamente parlare italiano, ma parleranno ancora nel loro dialetto; il maestro non farà dell’ipocrisia da purista, vietando in classe ciò che non è vietato nella vita. Dal dialetto si passa alla lingua progressivamente; e ci si passa bene se il maestro parla bene, se possiede egli stesso la parlata corretta se non fa le solite minestre di dialetto e lingua, se legge con voce chiara e aperta, se non si rifiuta di spiegare un canto dialettale, e i proverbi, mostrando quali sono le forme corrispondenti italiane, se insomma, sa che nella scuola si entra passando per la porta della vita. Totalitarismo e educazione in Italia, Germania, URSS La pressione dell’ideologia sull’educazione ha raggiunto il massimo negli Stati totalitari, che sono stati una creazione tipica del secolo XX. L’educazione delle masse non si elabora a partire dall’individuo, coltivandone la specificità e singolarità, bensì accorpando gli individui in stili di vita e in concezioni del mondo comuni che proprio le agenzie educative extrascolastiche possono meglio e più profondamente veicolare nei soggetti. In Italia i suoi inizi il programma scolastico ed educativo del fascismo era soltanto un programma conservatore, così come lo attuò Gentile nella Riforma del 1923: con essa si fissava un sistema scolastico rigido e internamente differenziato, che separava le scuole secondarie umanistiche (per le classi dirigenti) da quelle tecniche (per le classi subalterne), che indicava come cultura formativa solo quella letterario-storico-filosofica, che permetteva accessi all’università solo dai licei, che introduceva l’insegnamento religioso nella scuola elementare e che veniva controllato nella sua efficienza attraverso l’esame di stato che concludeva tutti i cicli secondari. Dal 1925, con l’avvio del fascismo-regime fu poi investita dal processo di fascistizzazione, che riguardò il varo del libro di testo unico per le elementari (1929), il giuramento anche dei professori universitari (1931), l’estensione dell’insegnamento religioso alle scuole secondarie, col Concordato (1929), per arrivare alla «bonifica fascista» della scuola intrapresa dal Ministro De Vecchi e poi alla Carta della Scuola del Ministro Bottai (1939), dopo avere militarizzato la vita scolastica e ideologizzato i programmi di studio (in senso fascista e razzista). La Riforma Bottai fu la vera riforma scolastica del fascismo. Gli aspetti più nuovi furono la scuola media unica (ma che non riguardava le scuole tecniche e che rimase per lo scoppio della guerra solo sulla carta) e il biennio di «scuola del lavoro» nelle elementari (4a e 5a classe), che pure fu attuata in modo assai semplificato. Ma fu sul piano dell’extrascuola che il fascismo operò in maniera capillare e consistente, creando associazioni per i ragazzi (Opera Nazionale Balilla, del 1928) e per i giovani (Gioventù del Littorio,1937) in modo da attuare una conformazione agli ideali del regime attraverso feste, gare, riunioni di propaganda o parate paramilitari nelle quali si esaltavano i principi fascisti e la disciplina sociale. In queste associazioni si venne coagulando un’educazione di massa, indipendente o parallela rispetto a quella familiare e scolastica, che facendo leva sul tempo libero e sui bisogni sociali dei ragazzi e dei giovani, lo organizzava e tramite tali associazioni lo conformava ai valori e allo stile di vita del regime fascista. La crescita scientifica della pedagogia Nel Novecento si sviluppa enormemente la pedagogia sperimentale, crescono discipline nuove come la psicopedagogia o la sociologia dell’educazione, si attua una ricchissima indagine scientifica sul bambino (si pensi a Freud e a Piaget, a Vygotskij, etc.) o sull’apprendimento (ancora Piaget, ma anche Koehler o Wertheimer), ridisegnando in tal modo tutto l’orizzonte del sapere educativo. Un essenziale contributo scientifico alla pedagogia è venuto dalla psicoanalisi da un lato di Freud e dalla psicologia dell’età evolutiva di Piaget. A Sigmund Freud (1856-1939) la pedagogia deve, soprattutto: 1. Una ridefinizione dell’infanzia; 2. Una descrizione nuova dei rapporti interfamiliari; 3. Il ruolo centrale assegnato all’emotività/affettività. L’infanzia è soprattutto pulsione libidica, affermazione incontrollata dell’eros e del narcisismo, sottoposta però – già dai primi giorni di vita – a un preciso controllo sociale. Nell’infanzia esiste una sessualità diversa da quella adulta, ma altrettanto centrale per lo sviluppo della personalità infantile e che può subire repressioni e/o sublimazioni attraverso l’opera dell’educazione. Tale opera è affidata, prima di tutto, ai genitori, i quali hanno col bambino un rapporto complesso e questo ha con essi un rapporto a sua volta conflittuale. Tale rapporto viene descritto da Freud come edipico (rifacendosi al mito di Edipo) in quanto connotato da amore verso la madre e da conflittualità verso il padre, il quale viene a rappresentare il Super-ego, cioè la dimensione sociale della coscienza, e ad operare una profonda repressione della libido (l’energia vitalistica ed erotica) del bambino. Il ruolo essenziale nella formazione del soggetto viene assegnato all’emotività, agli affetti che costituiscono l’elemento fondamentale, costitutivo della personalità infantile. È intorno agli eventi affettivi che si elabora la personalità (nevrotica o più equilibrata) del soggetto e ciò avviene già nei primi mesi di vita, attraverso il rapporto con le figure parentali. rapporto tra scuola e società, in modo che alla trasformazione sociale venga assegnata la priorità su quella data – da laici e da cattolici – alla scuola). DON LORENZO MILANI (1923-1967) L’esperienza in campo educativo di Don Milani è legata ai bambini poveri nella disagiata scuola di Barbiana. L’obiettivo della scuola era di costruire un’istituzione inclusiva e democratica, che avesse il fine di far arrivare tutti gli studenti ad un livello minimo di istruzione, tramite un insegnamento personalizzato e la rimozione di quelle differenze che dipendono dal censo e dalla condizione sociale. A Barbiana si faceva scuola lavorando tutto il giorno, intorno a una cultura non formalistica, discutendo e scrivendo, riappropriandosi così della parola e, al tempo stesso, dell’autonomia del pensiero e di uno strumento di emancipazione e crescita sociale. Don Milani insieme alla partecipazione attiva dei suoi ragazzi scrisse Lettera a una professoressa, che è una netta condanna alla scuola borghese, classista, discriminatoria, incapace di superare il divorzio tra cultura e lavoro. LAMBERTO BORGHI (1907-2000) Scrive Educazione e scuola nell'Italia di oggi nel 1958 in cui per primo sottolinea le contraddizioni dell’ideologia marxista e socialista nella storiografia dell’educazione e della scuola. La pedagogia cognitivista: primato dell’istruzione e tecnologie educative Alla metà degli anni Cinquanta che si è costituita la psicologia cognitivista, attuando così una rivoluzione a cui danno un contributo le opere psicologiche di Bruner stesso, le ricerche linguistiche di Noam Chomsky, le conquiste dell’informatica, mettendo in rilievo le strutture del pensiero e riconoscendo in tali strutture il carattere più proprio della mente umana. Poi, «i semi piantati negli anni Cinquanta germogliarono rapidamente nel decennio successivo» (Gardner), diffondendo i risultati della «scienza cognitiva» anche in altri ambiti, primo fra tutti la pedagogia. Questa disciplina fu spinta a fare i conti col modello attivistico e pragmatistico (ancora dominante negli anni Cinquanta) e ad assumere al centro dei problemi educativi l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo, come pure le strutture di una «teoria dell’istruzione». Prese così corpo una nuova concezione della pedagogia, scarsamente attenta ai problemi sociali dell’educazione e molto a quelli dell’apprendimento e dell’istruzione. Se i grandi interpreti di questa svolta psicopedagogica sono stati, soprattutto, Piaget, Vygotskij e Bruner, sul terreno della didattica sono stati invece la Conferenza di Woods Hole del 1959 e i «teorici del curricolo», da Schwab a Nicholls, poi l’avvento delle «nuove tecnologie educative» (dalle lavagne luminose al computer) ad attuare un rinnovamento radicale e capillare della pedagogia, riscrivendola in senso scientifico-operativo. JEAN PIAGET (1896-1980) Jean Piaget è stato il teorico dell’epistemologia genetica (un settore della psicologia che studia le strutture logiche della mente e i processi cognitivi attraverso cui esse maturano) e uno psicologo dell’età evolutiva, della quale ha studiato le tappe successive di evoluzione e le strutture che ad ognuna di esse corrispondono, come pure la maturazione cognitiva in relazione a specifici concetti scientifici. Alla pedagogia in senso proprio ha dedicato scarse riflessioni (come Psicologia e pedagogia, del 1969), ma in essa ha influito in profondità attraverso la sua teoria psicologico-evolutiva a base cognitivista che è divenuta un po’ il fondamento della nuova pedagogia cognitiva. La teoria piagetiana viene definita "genetica" perché segue gli sviluppi dell'intelligenza e dei sistemi di conoscenza attraverso le fasi proprie di ciascuna età spiegando il passaggio dall'una all'altra. Soprattutto studia lo sviluppo delle funzioni e delle strutture cognitive legato all'intelligenza, come capacità che permette al soggetto di adattare il suo comportamento alle modificazioni dell'ambiente. (simbolico). Azione, immaginazione e linguaggio simbolico devono essere le tre traiettorie dell’insegnamento nei diversi stadi dello sviluppo infantile. E la scuola deve organizzarsi secondo una «teoria dell’istruzione» che tenga conto della «progressione dell’apprendimento», che si strutturi intorno al principio del rinforzo, che stimoli la «volontà di apprendere», attraverso la curiosità e la valorizzazione della competenza, nonché attraverso gli scambi reciproci tra i membri attivi nella comunità di apprendimento. Bruner già dal 1959 pone una netta polemica contro l’attivismo, anche e specialmente deweyano (ma qui Bruner sbagliava: polemizzava con un «falso» Dewey, attivista puro ed esplicito pragmatista, che non era mai esistito), accusato di aver posto l’accento più sul fare che sul conoscere, troppo sulla socializzazione e sul nesso scuola-società, mentre alla scuola andava assegnato un ruolo specializzato (di trasmissione culturale e di formazione cognitiva). Inoltre, Bruner avviava anche un riesame delle discipline di studio, auspicando un rinnovamento dei curricula in senso scientifico e una didattica delle varie scienze di tipo strutturalistico (impegnata a dar rilievo ai concetti-chiave, strutturali, delle diverse discipline, piuttosto che alle nozioni particolari, e capace di render comunicabili le scienze anche a partire già dalla seconda infanzia). Lo strutturalismo psicopedagogico di Bruner ha prodotto una serie di approfondimenti nell’ambito della pedagogia cognitivista, sottolineando: 1. Il ruolo fondamentale del simbolico e la sua varietà di forme; 2. Le implicazioni scolastico-istruttive di queste scoperte cognitive; 3. La necessità di attuare una radicale trasformazione della didattica, riformulandola, appunto, in termini strutturali; 4. La possibilità di tradurre qualsiasi idea «in modo corretto e utile nelle forme di pensiero proprie del fanciullo di ogni età scolastica». Non che manchino alcuni limiti in questa didattica, quali il prescrittivismo e il normativismo, ma essi non affievoliscono l’impegno di razionalizzazione dell’insegnamento che tale pensiero ha contribuito a creare nella scuola contemporanea, rilanciandone gli obiettivi istruttivi e cognitivi. La pedagogia comportamentista BENJAMIN BLOOM (1913-1999): Con le nuove tecnologie educative, attuate dalle ricerche del neocomportamentismo di Skinner e dallo sviluppo della computer science, si è venuta delineando una centralità sempre maggiore assegnata alle macchine nei processi di insegnamento e apprendimento (non più supporti, ma protagonisti dell’insegnamento): quali il calcolatore, il televisore, i video-registratori, i computers. In tal modo si è trasformato radicalmente il modo di apprendere-insegnare: lo si è reso più impersonale, più controllabile, più micro-strutturato, più capace di autocorrezione (attraverso il feed-back tipico dei circuiti cibernetici). A questo ambito cognitivista-didattico di ricerca appartengono anche le indagini di Benjamin S. Bloom che in Tassonomia degli obiettivi educativi del 1956 metteva a fuoco una «pedagogia degli obiettivi» scolastico-educativi individuati in due aree (conoscitiva e affettiva): 1. nella prima centrali sono conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi, valutazione; 2. nella seconda ricezione, risposta, valorizzazione, organizzazione, caratterizzazione del valore. Tali ricerche sono state proseguite da J.P. Guildorf e da R.M. Gagné che hanno ulteriormente arricchito l’analisi delle «condizioni dell’apprendimento» allo scopo di permettere una più efficace e comprensiva programmazione didattica. Come pure in questo senso ha operato la metodologia del mastery Learning (apprendimento per padronanza) che vuol costruire una didattica individualizzata, «su misura» dell’allievo, registrando i suoi punti di partenza, i suoi itinerari di sviluppo, i suoi punti di arrivo nell’apprendimento. In tal modo «allievi e insegnanti» sono in grado «di conoscere i livelli di apprendimento raggiunti per potere affrontare con metodologie adeguate le situazioni che presentano maggiori difficoltà». Il ’68: critica dell’ideologia, descolarizzazione e pedagogie radicali La critica dell’ideologia scolastica e quella dell’ideologia pedagogica furono i temi più significativi del dibattito del ’68 intorno all’educazione. E intorno a tali temi si svilupparono ricerche teoriche e storiche verso le forme storiche assunte dall’ideologia nei vari momenti di sviluppo della scuola contemporanea, quali la tappa tardo- ottocentesca, borghese e nazionalista, o quella dei totalitarismi fascisti/nazisti in Italia e Germania, con le loro pratiche militaristiche, con l’organizzazione scolastica centralizzata e autoritaria, con l’obiettivo di formare individui per cui fosse prioritario «credere, obbedire, combattere». Anche la pedagogia – come sapere istituzionalizzato e come sapere tout court – venne «smontata» nei suoi condizionamenti e nel suo ruolo ideologico. Fu demistificata, fu smascherata nei suoi processi, atteggiamenti e valori autoritari, nel suo configurarsi come scienza tra altre scienze (quelle umane, ausiliarie del suo sapere), tutte quante cariche di ideologia, connesse al loro ruolo sociale, di giustificazione dell’ordine voluto. La pedagogia è un sapere sempre schierato, ma che deve scegliere di schierarsi per l’emancipazione, per la liberazione dell’uomo. In questo clima di revisione radicale vennero affermandosi alcuni modelli «alternativi» che, soprattutto, si orientavano verso principi e valori «altri» rispetto a quelli borghesi e capitalistici, saturi di ideologia conformistico-autoritaria e repressiva, per esempio in Italia abbiamo l’esperienza di Don Milani e la sua scuola Barbiana. Il ’68, in conclusione, ha alimentato un ampio movimento in campo educativo, scolastico e pedagogico, che ha inciso in profondità sull’identità della pedagogia, soprattutto secondo tre direzioni: 1. l’ha richiamata alla sua fondamentale politicità, poiché educare, insegnare, pensare l’educazione sono attività sociali, che si eseguono in un tempo storico, secondo specifici obiettivi, e connesse a valori, a concezioni del mondo, a interessi sociali; 2. la pedagogia va rivisitata criticamente nella sua tradizione, ponendone a nudo le insufficienze e i condizionamenti, soprattutto ideologici, smascherandoli e progettando un pensare/fare educazione che si emancipi da questa condizione di subalternità, senza cadere però nel mito della scienza, di una neutralità della scienza (qui, delle scienze dell’educazione), e delineandosi invece come un sapere dialettico, soprattutto caratterizzato in senso critico; 3. la messa a fuoco di nuovi modelli formativi (antropologici, sociali, culturali) che guardano a una condizione dis-alienata della vita individuale e sociale, contrassegnata in senso libertario, anti-autoritario, erotico e creativo, che si collocano su una traiettoria esplicitamente utopica. PIERRE BOURDIEU (1930-2002): Bourdieu viene considerato uno dei maggiori sociologi della seconda metà del Novecento. Ha parlato di: • Violenza simbolica: la capacità di nascondere l’arbitrarietà delle produzioni culturali e simboliche e di come le proprie vengano imposte (e rese legittime) da tutti dagli agenti dominanti all’interno della società; • Campi: una serie spazi sociali (campo politico, il campo artistico), che sono relativamente autonomi verso il sistema sociale e al cui interno si formano delle gerarchie sociali, che si formano grazie a degli scontri. Dunque, in accordo con l’analisi sociologica marxista Bourdieu sottolinea l’importanza della lotta sociale per il funzionamento della società. • Habitus: all’interno della sua teoria dell’azione sociale, Bourdieu parla di habitus, principio di azione sociale esercitato all’interno del campo sociale, spazio in cui avviene la competizione fra i diversi agenti di dominio. • Capitale sociale: insieme al capitale economico, corrisponde all’insieme delle relazioni interpersonali che portano alla formazione del capitale individuale; capitale culturale, cioè l’insieme delle competenze e delle capacità del saper fare sviluppate nell’arco della propria socializzazione di classe. La combinazione dei tre capitali corrisponde al capitale simbolico. EDGAR MORIN (1921- in vita): Morin è un sociologo e filosofo francese noto per il suo approccio multidisciplinare e transdisciplinare, come sguardo per descrivere la realtà. Come pedagogista si è occupato della necessità di una riforma del pensiero nella complessità della società globalizzata, la necessità di una nuova conoscenza che superi la separazione tra i saperi (pensiero della complessità). La contemporaneità secondo Morin è caratterizzata da un indebolimento della percezione globale (del sapere umanistico e del sapere scientifico) che porta ad un indebolimento del senso di responsabilità e solidarietà. Morin è convinto della necessità oltre che di una riforma del pensiero anche di una riforma dell’insegnamento. Un contributo importante di Morin è il saggio: I sette saperi necessari all’educazione del futuro del 1999: 1. Limiti della conoscenza: errore e illusione; 2. Educare ad un sapere pertinente; 3. Insegnare la condizione umana; 4. Educare all’identità terrestre 5. Educare ad affrontare un imprevisto; 6. Educare alla comprensione; 7. L’etica del genere umano. Sintesi della definizione di pedagogia: consistenza concettuale, conoscitiva, progettuale ed epistemologica sulla base della definizione (connessa) di educazione e di tutte le altre modalità teorico pratiche in relazione con essa (istruzione, apprendimento ecc..). La pedagogia è la disciplina che, nella modernità, ha assunto il ruolo di sapere di riferimento per ogni discorso sull’educazione. Tuttavia, la sua centralità non è unanimemente riconosciuta né condivisa dentro e fuori la comunità dei pedagogisti, sia per la debolezza epistemologica della scienza pedagogica, sia per l’indeterminatezza dell’oggetto stesso della conoscenza scientifica: l’uomo, il pedagogico, l’esperienza educativa. I fondamenti della Pedagogia (1): PAIDEIA Da sempre gli esseri umani si sono preoccupati dell’educazione con la trasmissione alle nuove generazioni del patrimonio culturale acquisito, lo sviluppo in esse di comportamenti finalizzati all’emancipazione individuale e alla preparazione alla vita comunitaria (tutte attività educative). Diversi saperi si sono occupati dell’educazione, mostrando la materia sotto vari punti di vista, tra cui abbiamo anche la Pedagogia. Fin dal mondo classico, la Pedagogia si ispira all’antico ideale della PAIDEIA intesa come: • La modalità complessiva della cultura formativa di una società in una determinata fase storica. E anche come complesso delle strategie etiche, civili, tecniche, rituali, religiose, istruttive, addestrative rivolte alla continuità formativa tra generazioni. • La modalità con cui una socio-cultura storica affronta globalmente i problemi dell’educazione, formazione delle giovani generazioni (che qui diventa Sub specie educationis). Cioè l’azione complessiva, formale e informale, istituzionale e de istituzionale, in cui una socio-cultura (o civiltà) si pone in modo più o meno riflesso nei confronti delle giovani generazioni. Se identifichiamo le socio-culture storiche come Paideia, è possibile caratterizzare in senso diacronico le varie fasi storiche come successive fasi di intersecazione tra cultura ed educazione, tra istituzione e relazione formative tra generazioni. Lungo la linea diacronica (del tempo) si possono individuare varie fasi come: la pre-moderna, antica classica (società agricola ed artigianale), moderna (società industriale e al modello dell’avvento della società urbana e tecnologica), post-moderna (società della conoscenza, tecnologia o della terza ondata come dice Toffler). La società si comporta nel senso e nella direzione della Paideia in un duplice modo: 1. In modo funzionale e immediato in quanto società (intersezione di relazioni vitali, interagenti tra esseri umani). 2. In modo intenzionale, programmatico, istituzionale e riflesso (insieme di atteggiarsi educativamente nei confronti delle giovani generazioni) cit Acone 2002. Per capire le due modalità dobbiamo capire la distinzione (dal punto di vista sincronico) tra: - Paideia Istituzionale: trova la sua articolazione strutturale nelle figure istituzionali, istruttive e formative rappresentati dalla Famiglia, Scuola, Chiesa, Istituzione associative, Apprendistato (impresa artigianale e industriale moderna). - Paideia Informale: duplice registro, cioè quello funzionale della società educante e quello funzionale organizzativo di modalità raffinate e tecniche. Nella nostra modernità abbiamo: Gruppo dei pari, Sistema pubblicitario, Mass media e la Galassia Elettronica. I fondamenti della Pedagogia (2): definizione di termini Il termine Pedagogia deriva dall’unione di due termini greci: 1. “paidos” (bambino, figlio, fanciullo, servo, schiavo) 2. “ago” (guidare, condurre, spingere, accompagnare) Con la cultura greca, la Pedagogia si sviluppa, dunque, come la teorizzazione di quel processo rivolto ad educare, istruire e formare soggetti individualmente e socialmente intesi. Etimologicamente Pedagogia sarebbe: la guida o conduzione del fanciullo (cioè la sua educazione) dalla funzione dello schiavo o liberto (cioè la paidagogos) incaricato di accompagnare i fanciulli a scuola o in palestra, e successivamente dalla funzione dello schiavo di educare i bambini degli aristocratici. Il termine, quindi, ha indicato successivamente l’educazione, soprattutto quella di natura morale. Il termine Pedagogia è molto antico, e viene utilizzato (in ordine cronologico): ✓ nell’antica Grecia (per la prima volta nella tragedia Oresta di Euripide). Con la cultura greca la Pedagogia si sviluppa, quindi, come la teorizzazione di quel processo rivolto ad educare, istruire e formare soggetti individualmente e socialmente intesi. ✓ Anche in Omero nell’Iliade si parla di Pedagogia (pedagogo di Achille che si chiamava Fenix). ✓ Pedagogia nasce come fatto pratico, oltre che teorico, inserito nel discorso dell’uomo e del suo agire, come succede in Platone ed Aristotele, con l’organizzazione dello stato e l’organizzazione della vita politica (mondo greco e romano). Infatti, con i sofisti, a partire da Socrate (470 a.C.) e Platone (427-347 a. C) si pone sotto analisi il soggetto come attore e destinatario della crescita (interiore e dinamica). ✓ In prima età Cristiana, San Clemente di Alessandria si occupa del concetto (libro Il Pedagogo, dove Cristo è il pedagogo). ✓ nel tempo patristico-medievale: 1. il nostro sapere (riguardo la Pedagogia) diventa un capitolo della Morale teologia e della riflessione volta ad interpretare il senso dell’agire umana alla luce dell’Avvento del Cristo (ci si basa sui contenuti di fede per spiegare il concetto). È il caso di Sant’Agostino e di San Tommaso. 2. La Pedagogia di questo periodo è intesa anche come Precettistica per lo svolgimento di particolari funzioni in relazione a Principi, Re, Nobili e chierici. ✓ Età moderna: 1. perdura la seconda concezione dell’età medievale, che si allarga anche ad altre figure, cioè Dame, donne, gentiluomini, cristiani, giovani. 2. Il metodo scientifico, tuttavia, ha fatto ricercare anche in ambito educativo il metodo naturale, colto nella natura delle cose. Nella natura dell’intelligenza e nella peculiarità delle arti e delle lingue (è il caso di Enio). ✓ Dal XVIII secolo in poi, l’uso della parola Pedagogia diventa generale, quindi viene usato anche per parlare del sapere riguardante l’educazione, la teoria e la scienza dell’educazione. Definizione di educazione: Definizione di educazione: l’educazione/formazione è l’oggetto di studio della Pedagogia. • L’educazione dell’uomo coincide sul piano globale e dei significati filosofici con l’umanizzazione dell’uomo. • Sul terreno della singolarità e della soggettività rapportato all’individuo umano, l’educazione è soggettivazione e personalizzazione del processo storico culturale dell’intera umanità (all’interno di una cultura storica determinata). • In quanto meta-categoria dello sviluppo cosciente dell’umanità, l’educazione può coincidere con l’universale realizzazione dell’umanizzazione dell’uomo come umanità. Per capire l’educazione bisogna prendere in considerazione il paradigma psicologico-soggettivo e quello storico-culturale (filosofico nella sua costituzione auto riflessiva occidentale). Innumerevoli sono le definizioni dell’educazione, che storicamente sono andati sotto il nome di Pedagogia. Il significato di educazione L’educazione è l’insieme dei processi e degli strumenti attraverso cui una società trasmette da una generazione all’altra il patrimonio di conoscenze, valori, tradizioni, comportamenti che la caratterizzano. Il termine educazione deriva dal latino educare, dal quale vengono indicati due origini e due significati diversi: 1. Édere (alimentarsi): pone l’accento su un processo biologico che consente la crescita dell’individuo. 2. Ex-ducere (trarre fuori): pone l’accento sulla possibilità più generale di promuovere lo sviluppo di qualcuno, di tirarlo fuori da una situazione di immaturità sia biologica che intellettiva. La dimensione fondamentale dell’educazione è la relazione, cioè un insieme di processi che caratterizzano un rapporto interpersonale in cui c’è chi si alimenta e chi alimenta, chi trae fuori e chi viene tratto fuori dallo stato di immaturità. 1. L’educazione passa attraverso i processi comunicativi che regolano i rapporti tra un membro più competente e uno meno competente in quel contesto. In questo modo avviene la trasmissione dei contenuti culturali, dei comportamenti e delle modalità di ragionamento tipiche della comunità sociale a cui si appartiene, e ciò avviene dal primo al secondo individuo. 2. I processi comunicativi consentono quindi l’apprendimento che è l’esito naturale di una relazione sociale a carattere educativo. Qualsiasi relazione tra soggetti con gradi diversi di competenza può essere educativa; quindi, i processi educativi permeano in più livelli la struttura sociale. Contenuti, comportamenti e modalità di ragionamento sono socialmente e storicamente determinati; quindi, dipendono dall’identità ideologica e dalle scelte politiche che caratterizzano una società in quel particolare momento storico. La sopravvivenza di una società dipende quindi da questa trasmissione dell’educazione, perpetuando alle nuove generazioni il patrimonio educativo. Le nuove generazioni apprendono quindi: - sia il patrimonio socioculturale fin lì costruito dalle generazioni passate, - sia gli strumenti per interpretarlo in modo nuovo (superarlo senza disperderlo e arricchendolo). L’educazione, quindi, assume un imputante ruolo di mediazione tra il passato e il futuro senza la quale non sarebbe possibile per una comunità costruire la propria storia. Ogni storia tenderebbe quindi a scomparire, e ogni generazione dovrebbe partire da capo se non ci fosse questa trasmissione di interventi educativi, organizzati in un sistema scolastico. Chi abbraccia questa visione vede l’educazione come la sede in cui si costruisce e si realizza la libertà. Chi educa fornisce gli strumenti all’educato, che ha però possibilità di esprimersi liberamente permette ad ogni individuo ad interpretare la società in modo originale e divergente. Inoltre, si consente in questo modo anche il progresso di coloro che fanno parte di una classe sociale svantaggiata (status economico sociale basso). La polisemia del termine rimanda ad una molteplicità di altri termini. Elemento, questo, che sta a significare la complessità della realtà a cui si riferisce, se ne indicano alcuni: sviluppo, crescita, formazione, socializzazione, inculturazione, istruzione, insegnamento, addestramento, aggiornamento ecc. Ognuno di questi termini fa riferimento a una funzione specifica e richiama ambienti istituzionali diversi, a partire dalle istituzioni con finalità eminentemente educative per finire ai luoghi educativi informali. L’elemento comune a tutte le posizioni che entrano nelle due differenti accentuazioni è il dato di fatto che l’educazione implica sempre un rapporto: tra un soggetto/oggetto che svolge funzione educante e un soggetto che è educato. La differenza sta nel diverso ruolo preso dalle due persone: la diversità sta nel modo in cui si attua la funzione educante, cioè intenzionale nel rapporto intersoggettivo tra soggetto e oggetto, e non intenzionale tra soggetto e realtà oggettiva. Dunque, il termine rimanda a una vasta area semantica vasta. L’ ambiguità, costitutiva del temine e delle nozioni che esso significa, non rappresenta necessariamente un limite, perlomeno finché alcune parti della complessa galassia semantica non pretendano di irrigidirsi entro definizioni assolute e oggettive. Le domande aperte che ne derivano sono tante, possiamo enunciarne qualcuna per meglio comprendere: • Come interagiscono i differenti protagonisti? • Chi è il protagonista principale dell’educazione? • Quale è il ruolo proprio dell’educatore? • La relazione intersoggettiva è sostituibile in educazione? Sono questi interrogativi che fanno intuire la necessarietà di una pedagogia centrata sul senso dell’educazione, sulle sue ragioni, possibilità e modalità di realizzazione, finalizzata a tracciare percorsi di sviluppo che non si esauriscano nelle mode culturali del momento ma sappiano leggere e interpretare in profondità il proprio tempo, le sue dinamiche, le sue possibilità, i suoi limiti. DEFINIZIONI: Sono state date varie definizioni del modo in cui essa si realizza: • Per Brezinka l’Educazione rappresenta: “L’insieme di azioni significative coordinate con le quali gruppi di uomini organizzati cercano di migliorare sotto qualche aspetto la compagine delle disposizioni psichiche di altri uomini prevalentemente in età evolutiva”. • Per J. Dewey l’Educazione consiste: “nella progressiva partecipazione delle giovani generazioni al patrimonio consolidato dell’umanità” oppure “nel dare significato alle cose”. La natura del concetto di educazione di Dewey è di natura partecipativa. • Per Èmile Durkheim l’Educazione si presenta come: “l’opera attraverso la quale la società procede a forme di integrazione nei propri sistemi di funzionamento e nei propri sistemi di valori”. • Per G. Acone l’Educazione è “l’autorealizzazione del soggetto-persona socialmente e Introduzione allo studio delle basi teoretiche, epistemologiche e metodologico- procedurali della ricerca pedagogica, teorica ed empirica, nazionale e internazionale – Parte Prima La definizione di paradigma Il termine paradigma venne introdotto in ambito epistemologico e storico scientifico intorno agli anni Sessanta dall’Epistemologo americano Thomas S. Kuhn (1922-1996). Kuhn definisce il paradigma come: "un risultato scientifico universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati", ovvero “ciò che può essere osservato come tale” o, ancora, “come dovrebbero essere interpretati i risultati di indagini scientifiche”, come dovrebbe essere condotto un esperimento e quale attrezzatura è disponibile per condurre l'esperimento stesso. • In tal senso, l’epistemologia dei paradigmi di T. Kuhn ha consentito di delineare un quadro disciplinare della pedagogia caratterizzato da un assetto multi-paradigmatico complesso. • Nello stesso tempo ha permesso di articolare la tesi che, come sembra sostenere esplicitamente lo stesso Kuhn nei suoi scritti, il concetto di paradigma presenta una chiara connessione con le questioni pedagogiche, dal momento che esiste un gioco di rimandi strettissimi tra i concetti di “formazione”, “paradigma” e “comunità scientifica”. Il concetto di paradigma: Il concetto di paradigma, infatti, è comprensivo di diversi elementi interni tant’è che Kuhn suggerisce di utilizzare il termine “matrice disciplinare” in sostituzione del termine paradigma per meglio evidenziarne la pluralità degli elementi componenti (generalizzazione simbolica, modelli, valori, esempi condivisi dal gruppo). In ogni caso egli riconosce l’ambiguità del termine e le oscillazioni semantiche presenti nel suo libro (22 accezioni diverse) ma, non di meno, riconosce la centralità del concetto di paradigma e la sua utilità euristica. Egli fa notare come le varie sfumature di significato si possano ridurre a due: 1. Il primo indica l’intera costellazione di credenze, valori, tecniche, procedure, modelli teorici, visioni del mondo. Tutte queste vengono condivise da una comunità scientifica, e servono per indirizzare negli studi la comunità stessa. 2. Il secondo si basa su un elemento specifico della costellazione precedente, cioè l’insieme di esempi condivisi da un gruppo in maniera particolare. Questo elemento è connesso alla formazione professionale del ricercatore. I ricercatori fin da studenti imparano a risolvere i problemi scientifici imitando la risoluzione di problemi canonici. La formazione dello studente in questa prospettiva consiste, non tanto nella mera memorizzazione di concetti, formule e contenuti già strutturati, ma nella pratica e nell’esercizio, ossia nello sforzo per risolvere problemi, di tipo e livello diverso, che vengono proposti dall’insegnante. Quando lo studente diventa ricercatore prenderà da modello membri più esperti, basandosi sulle metodologie del suo gruppo specialistico. • La risoluzione dei problemi standard si basa su esempi di risoluzione (modelli canonici di risoluzione) svolti dall’insegnante che sono quindi paradigmatici. Attraverso un processo attivo di interiorizzazione di regole e di riconoscimento pragmatico di strategie, non impara a risolvere solo un tipo di problema, ma impara a risolvere tutta una categoria di problemi. Quindi l’apprendimento avviene attraverso l’esercizio e l’imitazione di esempi, si va al di là delle nozioni teoriche. Epistemologia: Sintesi generale: Il termine epistemologia è stato coniato dal filosofo James Frederick Ferriere. L’epistemologia, dal greco epistème “conoscenza” certa, ossia “scienza” e logos “discorso”, è quella branca della filosofia contemporanea che si occupa delle condizioni sotto le quali si può avere conoscenza certa o scientifica ovvero dei metodi per raggiungere tale conoscenza. Nei paesi di lingua inglese il concetto è usato soprattutto per indicare la sottobranca della gnoseologia (teoria/filosofia della conoscenza), che si occupa dello studio della conoscenza in generale (fondamenti, validità e limiti della conoscenza scientifica). Altri la vedono come un ambito della filosofia della scienza, cioè la disciplina che si occupa dei fondamenti e dei metodi delle diverse discipline scientifiche. Nel dettaglio: A partire dal 1900 l’epistemologia è diventata un ambito specifico della filosofia dedicato al sapere scientifico. L’ambito rimane filosofico in quanto indica una riflessione critica, teorica e astratta sui principi e odi della conoscenza in generale. Molti, infatti, intendono l’“epistemologia” come un sinonimo di “filosofia della scienza”. L’epistemologo, infatti, studia i modi e le forme secondo cui operano le scienze. • Il termine ricompare con un significato del tutto diverso alla fine del 1800 sotto la penna di filosofi che si dedicano a quella che all’epoca veniva detta la “critica delle scienze”. • Pochi anni dopo, nel 1908, lo si ritrova in uno dei più importanti testi di filosofia della scienza dell’epoca, Identité et réalité di E. Meyerson, che lo usa per indicare il dominio della filosofia della scienza. Qui, infatti, il termine viene preferito proprio grazie al suo significato in qualche modo più “ristretto” e specifico rispetto al generico “filosofia delle scienze”. • L’epistemologia in seguito si specializza come un meta-discorso del sapere scientifico in generale: da qui il passo è stato spesso breve verso l’emancipazione dalle problematiche filosofiche più generali, a favore di una logica delle procedure. • In area anglosassone invece il temine epistemologia rimane ad indicare una branca della gnoseologia, e rimane dunque una filosofia della conoscenza (studio della conoscenza in maniera generale). L’epistemologia si suddivide in: 1. Epistemologia generale: che si concretizza nell’ambito della filosofia della scienza/conoscenza. 2. Epistemologia genetica: quella che individua la genesi dell’episteme, cioè l’origine della conoscenza (riguarda la formazione del pensiero). Il maggior rappresentante è Piaget, che infatti pensa la costruzione della conoscenza coincide con il pensiero e che il pensiero coincide con l’intelligenza. L’epistemologia genetica di Piaget, con i suoi stadi successivi di riorganizzazione della conoscenza acquisita e dell’intero assetto funzionale della mente, che su un piano di sviluppo ontogenetico può chiarire questo processo di riorganizzazione/costruzione di un nuovo assetto cognitivo/ paradigmatico. Il bambino, infatti, nel suo sviluppo ontogenetico attraversa in successione le fasi senso-motoria, preoperatoria, operatoria concreta e delle operazioni formali, e riorganizza completamente le conoscenze precedenti, riuscendo a risolvere in maniera soddisfacente problemi che prima non era in grado di risolvere. Il concetto di modello: • Nella logica formale un modello è: l’interpretazione pertinente per un certo linguaggio, che attribuisce un significato (valore di verità) alle espressioni linguistiche in un certo dominio, per cui si stabilisce una corrispondenza biunivoca tra l’espressione linguistica da un lato (simboli dell’alfabeto, costanti, variabili, funzioni, predicati, connettivi, quantificatori, ecc.) e la specifica interpretazione dall’altro (significato attribuito, valore di verità), tale da individuare “un mondo possibile”. • Nelle scienze naturali e sociali, invece, si parla di “modello di un fenomeno o un insieme di fenomeni” per intendere una costruzione più o meno astratta che condivide alcune caratteristiche strutturali del dominio modellato. Le variazioni di significato del termine in questo secondo uso derivano dal grado di astrazione attribuito al modello: per cui se si tiene in considerazione la rappresentazione astratta delle strutture formali esibite dal domino modellato si avrà un modello matematico (ad esempio in economia), oppure nel caso di una considerazione analogico-strutturale di alcuni caratteri solamente del dominio preso in esame, si avranno modelli concreti (ad esempio il modello del cervello come centralina). In questa prospettiva il termine “modello pedagogico” è usato sostanzialmente nella seconda accezione ricordata, anche se, in riferimento al primo senso, un modello è già, sempre, una rappresentazione di “un mondo possibile” che implica una interpretazione, un significato e un senso; ovviamente ciò è da intendersi in modo affatto diverso dal formalismo disgiuntivo della logica che separa significato e significante, ma non di meno la scelta di un modello è vincolante rispetto al paradigma di riferimento sia teorico, sia etico e valoriale. Il modello pedagogico: Un modello di pedagogia va inteso quindi come: una struttura ordinata di enunciati teorici, pragmatici, normativi ed etici (strettamente interrelati fra di loro) che costituiranno una rete semantica e uno schema concettuale capace di organizzare, ordinare e orientare la ricerca teorica, quella empirica e la concreta pratica educativa e didattica. Tale struttura, inclusa in un paradigma di più grande portata, è oggetto di un’analisi e valutazione da parte del ricercatore che ne fa uso. Differenza tra modello e paradigma (che comunque hanno rimandi uno con l’altro) ma nella pedagogia c’è l’esigenza di differenziarli: • Modello ha un carattere esplicito, analogico (di tipo formale o concreto), legato ad un fenomeno o ad una disciplina. • Paradigma (matrice disciplinare) ha un carattere omnicomprensivo e multifattoriale, si presenta come difficilmente definibile ed esplicabile. Il paradigma pedagogico socio-politico Questo paradigma si caratterizza per il ruolo essenzialmente sociale e politico che i vari interpreti attribuiscono al discorso pedagogico. La pedagogia, cioè, si organizza intorno alle sue finalità sociali e politiche e, a volte, si sviluppa anche in chiave utopica o di rifondazione sociale sia critico-dialettica (Marx, scuola di Francoforte) sia tecnocratica (Comte). • Locke si occupa dell’educazione del gentleman, ossia degli esponenti delle classi dominanti, ma proprio le classi dominanti sono quelle che possono agire sul più generale riassetto della società. Lui è incluso anche tra loro che hanno concorso per l’affermarsi del paradigma scientifico; infatti, aveva un atteggiamento empirico e anti-dogmatico. In pedagogia ha concorso all’affermazione del paradigma socio-politico per le sue idee liberali, mentre ha concorso per il paradigma scientifico per il discorso della mete e della cognizione. La mente come tabula rasa e l’idea associazionistica sono i due principi basi di questo modello. • Cartesio era un innatista, però anche lui ha concorso all’affermarsi del paradigma scientifico. Come la sua attenzione razionalistica per il metodo e la matematica. Tuttavia fino al 1800 abbiamo la sostanziale dipendenza della pedagogia nei confronti della filosofia, perciò lo storico non riesce ad andare oltre. Il paradigma antropologico-filosofico: Un altro paradigma di riferimento sviluppatosi nella seconda metà del Settecento e nella prima metà dell’Ottocento è il modello antropologico-filosofico. Questa prospettiva avrà alta risonanza europea, ma scarso successo in campo educativo e pedagogico (a causa della prevaricazione dell’ideologia del positivismo della società industriale borghese e del paradigma scientifico in pedagogia). • Il principio cardine di questo paradigma è la realizzazione dell’uomo integrale, ossia di un individuo libero, autonomo e creativo le cui facoltà si sono sviluppate in modo armonico. Tale obiettivo è raggiungibile solo attraverso un processo di formazione e maturazione continua e graduale, che si svolge durante tutto l’arco della vita ed è volto ad armonizzare sensibilità e ragione. Questa può avvenire con uno stretto rapporto con la cultura e con l’arte. L’arte per il suo aspetto sintetico che integra le varie opposizioni dialettiche (immaginazione e concretizzazione ecc..) diviene spesso il modello educativo a cui ispirarsi. Già in Kant era presente l’ideale educativo di un io armonico (che si otteneva con il potenziamento delle disposizioni etico-estetiche della mente), mentre in Schiller e in Goethe l’ideale diviene prettamente estetico e più esplicito. Infatti, nel Romanticismo il richiamo al sentimento, al gioco, all’attività creatrice dell’io, al ruolo centrale della cultura (già manifestate nell’Illuminismo con Rousseau e Kant) trovano la massima affermazione. Attraverso il Romanticismo questo paradigma passa alla contemporaneità anche se non in una posizione centrale. C’è una forte componente polemica nei confronti della modernità a causa di effetti sulla società come: - iper-specializzazione del lavoro e la settorialità oggettivante in cui la scienza si approccia alla vita (impoverendo la complessità e la diversità del mondo umano sia individuale che collettivo); - utilitarismo, relativismo, economicismo che mercifera anche il sapere (lo riduce alla mera dimensione applicativa e funzionale, senza considerare il valore formativo spirituale, antropologico ecc.. Questo paradigma si ritrova oggi nello storicismo contemporaneo e anche nel neoidealismo di Croce e nella scuola di Francoforte. Spesso questo paradigma si caratterizza da una forte componente utopico-critica volta a far emergere le contraddizioni del moderno e prefigurare vie di uscita nel futuro per l’uomo. Analisi del rapporto fra processi di formazione, educazione, istruzione e apprendimento Educare istruire e formare “Formare, educare, istruire costituiscono le strutture chiave di ogni atto che la pedagogia considera suo oggetto di indagine. Educare, istruire e formare sono i domini della conoscenza, dell’esperienza e dell’azione. Si tratta di domini della conoscenza, dell’esperienza e dell’azione che, nel corso dei secoli, si sono letti secondo coppie differenti, prodottesi non solo dal loro reciprocarsi, ma anche dal loro triangolarsi con altri referenti della vita sociale, economica e culturale dei singoli, dei gruppi, delle organizzazioni, delle istituzioni”. Corrispondono al processo di inculturizzazione dell’umanità. Educare istruire e formare sono il motore silenzioso dello sviluppo e dell’innovazione, ma insieme sono anche la problematica centrale in una società come la nostra globale complessa. Le tre non sono da intendersi come patrimoni naturali della specie umana, ma come il risultato di processi arti-fattuali. Educare Educare, nel rispetto delle sue radici etimologiche e antropologiche, significa guidare, condurre attraverso. In altri termini, vuol dire aiutare qualcuno ad esprimere sé stesso, ad essere quello che è, a comportarsi in modo conforme alla propria personalità. In pratica l’educazione è il contrario di ciò che si intende solitamente con questa parola: sarebbe un rafforzare la personalità dell’educando non un formarla, rispettandone l’originalità e non costringerla ad un modello. • L’educazione si è storicamente costituita come la forma di base che ha permesso a generazioni di soggetti di poter usufruire di una formazione e di uno sviluppo umano. L’uomo da sempre ha avuto bisogno di essere educato per sentirsi uomo. Tra natura e cultura il concetto di educazione si è costituito come mediatore necessario e continua ancora oggi come processo di progressiva umanizzazione (che perfeziona l’apprendimento e lo sviluppo biologico). L’educazione ha una dipendenza da chi (persona società e istituzioni) l’ha voluta e che gestisce sottoforma di programmi d’azione. L’educazione (al di là del processo di socializzazione) si disloca tra il saper fare e il saper essere. È una funzione sociale globale, legata alla cultura (capace di orientare il processo sociale). L’educazione rimanda ad una interpretazione storico-culturale della società. Istruire Istruire rinvia, invece, ai significati del trasmettere, del possesso, non solo di conoscenze essenziali per vivere, ma soprattutto degli strumenti che gli consentano di generare nuove conoscenze e nuovo lavoro. In breve, l’istruzione si afferma con la produzione e l’organizzazione della conoscenza (sia del sapere sia del saper fare). Il concetto di istruzione rimanda alla conoscenza disciplinare. L’istruire non è per forza legata ad una concezione globale di una persona, perché lo scopo non è lo sviluppo integrale di esso, ma l’addestramento. • Le teorie dell’istruzione permangono ad un livello di mezzo allo sviluppo di conoscenze e competenze del soggetto. L’istruzione è a rischio quando il significato si polarizza in una zona neutra (tra il metodo e il contenuto delle conoscenze dell’apprendere). Il polo dell’istruire viene usato sia nell’apprendimento di conoscenze e discipline sia in quello di un mestiere o di una professione. Formare Formazione, infine, significa dar forma all’azione; o meglio ai sistemi di azione che costituiscono, per un verso, l’identità evolutiva, storica, inventiva del soggetto e, per l’altro, la matrice generativa che consente al soggetto di moltiplicare le forme del suo esistere. Nella nostra civiltà il senso del termine è connotato da una forza esplicativa. Nella storia sembra che formare abbia rimandi all’area sociale (musica, danza, coro), militare, mestieri artigianali e tecnici. I grandi campi di significati del polo della formazione sono: 1. Bildung (prodotto della cultura) nel risveglio neumanistico e la rivolta contro il formalismo che si ha in Europa dalla riforma luterana); 2. Concetto pragmatico di esperienza, e la sua necessaria democratizzazione; 3. Idea di relazione che la psicoanalisi sviluppa come dimensione trasformativa del rapporto clinico, attraverso cui il soggetto viene portato a riconoscersi (transfert-controtransfert). 4. Il concetto di Beruf Secondo Weber è il movimento di razionalizzazione e di auto-organizzazione del soggetto rispetto ai campi della responsabilità da un lato e il successo dall’altro. Esso investe in pieno il sistema di generalizzazione delle competenze non più solo conoscitive, ma soprattutto trasformative del mondo contemporaneo, e si estende a tutti gli aspetti della vita quotidiana, giustifica la specializzazione dei profili sia formativi che professionali, e vincola a concreti e misurabili valori di spendibilità i diversi curricoli di istruzione e piani formativi. Il formare si costituisce trasversalmente proprio attraverso queste vie. Vengono fuori i risultati di apprendimento degli orientamenti e delle scelte di ognuno. La forza creativa della soggettività, personalizzando le esperienze di studio, diventa identità capacitante. La funzione educativa della pedagogia Lo studio dell’educazione presuppone una precisa ricognizione interpretativa della situazione storica, filosofica, culturale e soprattutto civile e pedagogica del nostro tempo. Questo postula la conoscenza dei problemi esistenziali dell’uomo di oggi e quindi delle scienze umane, in particolare quelle con oggetto di indagine la sua educabilità, abitudini e tradizioni. Al cittadino può giovare conoscere quali sono i compiti educativi che la società ha da assumere e il possesso di una criteriologia di verifica e di parametri per valutare la qualità dell’impegno espresso nei riguardi dell’educazione. Le prospettive formative della pedagogia si integrano vicendevolmente. Una formazione pedagogica può contribuire ad alimentare una vis democratica, e aiutare a comprendere che i processi di emancipazione e liberazione passano attraverso l’educazione che non interessa soltanto gli addetti ai lavori ma tutti i cittadini che hanno il compito di costruire la democrazia.