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Appunti Diritto Ecclesiastico, Appunti di Diritto Ecclesiastico

appunti di Diritto Ecclesiastico con sentenze chiave e organizzazioni chiave nel sistema italiano.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 11/01/2019

danloga
danloga 🇮🇹

4

(1)

2 documenti

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Scarica Appunti Diritto Ecclesiastico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! Alla nascita Serena venne abbandonata e poi affidata ad un orfanotrofio di Manila. Il 7 gennaio 1988 Francesco Giubergia, ferroviere di Racconigi, presentatosi all'ambasciata italiana a Manila, consegnò alcuni documenti con i quali riconosceva la paternità su Serena e la iscrisse nel proprio passaporto. Il 13 successivo rientrò a Racconigi con la bambina. Non essendo stata avviata alcuna pratica di adozione, procedimento ritenuto superfluo dal Giubergia, convinto di essere già il padre di Serena, il 23 dello stesso mese la Procura del Tribunale dei minori guidata dal magistrato Graziana Calcagno convocò i Giubergia. In seguito venne richiesto al Giubergia di sottoporsi all'esame del sangue, per verificare la fondatezza della asserita paternità. Nel giorno stabilito egli non si presentò; in seguito i suoi difensori eccepirono l'incompetenza del tribunale a chiedere tale prova, essendo la piccola stata riconosciuta come figlia da ambo i coniugi. Il tribunale respinse l'eccezione. Il 27 ottobre 1988 il pubblico ministero del tribunale dei minori chiese l'inserimento di Serena in una famiglia affidataria. Il 7 novembre il tribunale accolse la richiesta. Il 17 novembre ai Giubergia, convocati in tribunale, si comunicò che Serena non poteva restare presso di loro. Il 31 gennaio 1989 la Corte di Appello di Torino confermò tale deliberazione, pur riconoscendo le possibili conseguenze. Il successivo 17 marzo Serena venne affidata alle assistenti sociali di una comunità-alloggio. I ricorsi successivamente sporti dai Giubergia vennero respinti e Serena scomparve, per essere adottata dalla famiglia Nigro. Reazioni Quando i Giubergia cominciarono a dubitare che Serena sarebbe rimasta con loro, interessarono la stampa del proprio caso, che ebbe immediatamente risonanza enorme. A Racconigi il 7 marzo 1989 tutti gli esercizi commerciali restarono chiusi, la statale venne bloccata[2] e si costituirono comitati "pro Serena Cruz" in vari comuni italiani. Non essendo ancora tutelata la privacy, l'immagine di Serena divenne nota in tutta Italia, che si spaccò letteralmente in due: • da una parte vi erano coloro che approvavano la decisione del tribunale, la quale ribadiva che le adozioni "fai da te" sono estranee ai principii giuridici e morali dell'Italia e mirava a dissuadere eventuali trafficanti di bambini • dall'altra vi erano coloro ai quali ripugnava che a due bambini innocenti (i Giubergia avevano già un figlio adottivo, pure originario delle Filippine) venissero imposte tali sofferenze, essendo pacifico che i Giubergia non erano trafficanti di bambini e che avevano svolto egregiamente i propri compiti parentali La vicenda provocò reazioni fino ai più alti livelli istituzionali: dal presidente della repubblica Francesco Cossiga[3] al Guardasigilli Giuliano Vassalli[4][5]; dal ministro degli Affari Sociali Rosa Russo Jervolino[6] al presidente della Camera Nilde Iotti[7]. Si ipotizzò anche l'emanazione di un decreto-legge ad personam[8]; intervenne persino il governo filippino a reclamare la piccola che, stante la decisione del tribunale, si trovava in Italia irregolarmente[9]. Conseguenze[ Il caso fu l'occasione per ridiscutere: • della legge sulle adozioni; • della responsabilità civile dei magistrati, già oggetto di una consultazione referendaria un paio d'anni prima; • dell'indipendenza del potere giudiziario dagli altri poteri dello stato (c'erano state interferenze dalla Presidenza della Repubblica, dal Parlamento, dal Ministero della Giustizia, dai mass media e dall'opinione pubblica) e i giudici deliberarono sfidando un'enorme impopolarità; • della tutela della privacy in generale e di quella dei minori in particolare (la famiglia Nigro, che riadottò Serena, ebbe seri problemi a sottrarla alla curiosità indiscreta e fu costretta a cambiare residenza varie volte)[13]; • dei limiti del diritto di cronaca di fronte ai diritti della persona. CASO LAUTSI Crocifisso Il caso Lautsi v. Italia riguarda gli aspetti giuridici di una controversia aperta tra cittadina italiana di origini finlandesi Soile Tuulikki Lautsi e lo stato italiano sulla sua richiesta di rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche italiane. La causa arrivò fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), che in una prima sentenza del 3 novembre 2009 stabilì che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è "una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di religione" e condannò l' Italia a risarcire 5.000 euro alla ricorrente per danni morali.[1][2] La sentenza definitiva della corte europea del 18 marzo 2011 ha ribaltato la sentenza di primo grado. I giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo hanno accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocifisso nella aule scolastiche. La decisione è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari[3]. Precedenti gradi di ricorso Nel 2002, la signora Soile Tuulikki Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, chiese al consiglio d'istituto della scuola media "Vittorino da Feltre" di Abano Terme (Provincia di Padova), frequentata dai figli, di rimuovere il crocifisso dalle aule. La richiesta fu rifiutata e la signora si rivolse al tribunale competente, cioè il TAR del Veneto. Quest'ultimo, nel 2004[4], notando come la questione non apparisse manifestamente infondata, decise di sollevare questione di legittimità costituzionale, sospendendo il giudizio e rimettendo gli atti alla Corte costituzionale. La Corte Costituzionale, con l'ordinanza 389 del 2004, si dichiarò non idonea a discutere il caso[5], dichiarando la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, poiché "l'impugnazione delle indicate disposizioni del testo unico si appalesa dunque il frutto di un improprio trasferimento su disposizioni di rango legislativo di una questione di legittimità concernente le norme regolamentari richiamate: norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né, conseguentemente, un intervento interpretativo di questa Corte". In altre parole, la Corte non entra nel merito della questione, ma si limita a dire che il Tar ha sbagliato a chiedere un pronunciamento di legittimità, perché non c'è una legge che imponga il crocifisso, ma una disposizione amministrativa ripresa da un regio decreto. Il TAR del Veneto pronunciò dunque nel 2005[6], rigettando il ricorso della signora Lautsi, sostenendo tra l'altro come "nell'attuale realtà sociale, il crocifisso debba essere considerato non solo come simbolo di un'evoluzione storica e culturale, e quindi dell'identità del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra Carta costituzionale". In seguito, il 13 aprile del 2006, anche il Consiglio di Stato risolse in favore dell'esposizione del crocifisso[7]. La sentenza di 1º grado della CEDU La sentenza fu pronunciata all'unanimità e stabilì le motivazioni di essa per la violazione dell'articolo 2 del Protocollo nº1 e l'articolo 9 della Convenzione. Nel comunicato stampa della CEDU successivo alla sentenza si legge[2]: «La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, che avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione. Tutto questo, potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose, o che sono atei. La Corte non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana. L'esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione in luoghi che sono utilizzati dalle autorità pubbliche, e specialmente in classe, limita il diritto dei genitori di educare i loro figli in conformità con le Inizialmente la presidenza dell'UCOII è stata assunta da Nour Dachan, molti anni fa leader della componente siriana dei Fratelli Musulmani, e la segreteria da Ali Abu Shwaima, leader di quella palestinese, mentre Hamza Roberto Piccardo ha ricoperto la carica di segretario nazionale. Nel frattempo alcuni dirigenti storici hanno lasciato l’UCOII in dissenso con la linea associativa e operano come attivisti indipendenti: così Federico Alì Schuetz, già animatore del Fondaco dei Mori di Milano, oggi chiuso.[3] Nel 1998, in vista di una possibile Intesa con lo Stato, l'UCOII apre all'"Islam degli stati" e assieme alla Moschea di Roma (legata ad Arabia Saudita e Marocco) e alla sezione italiana della Lega Musulmana Mondiale (espressione della Libia di Gheddafi) annuncia la creazione di un Consiglio Islamico d'Italia, guidato da dieci cittadini italiani, di cui cinque nominati dall'UCOII e cinque dalle altre due organizzazioni.[7] Nel corso degli anni si è formata una nuova generazione di dirigenti UCOII, tra cui alcuni musulmani italiani come Patrizia Khadigia Del Monte, collaboratrice del sito Islam Online e vicepresidente dell'UCOII, Ahmad Alessandro Paolantoni, e il nuovo presidente il palestinese Ezzedine El Zir, imam di Firenze. Si sono aggiunti anche la livello locale musulmani che non hanno mai avuto esperienze politiche precedenti nei paesi arabi e che vengono dal cristianesimo o da altre tendenze. Il cambiamento generazionale è stato positivo per l'immagine dell'UCOII, che ha anche cominciato ad avviare il dialogo con la comunità ebraica e con istituzioni locali e nazionali.[senza fonte ] L'UCOII ha fatto parte della prima Consulta per l'islam italiano di Pisanu e Amato (2005), nel cui quadro ha firmato la Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione (2007), mentre è stata esclusa dal Comitato per l'Islam italiano di Maroni (2016). L'UCOII è quindi rientrata a far parte del Consiglio per le relazioni con l’Islam di Alfano e Minniti (2016), firmando nel febbraio 2017 il Patto Nazionale per un Islam italiano, impegnandosi così a bandire ogni forma di radicalismo religioso, a garantire un'integrazione concreta nel contesto istituzionale italiano (compreso l’utilizzo della lingua italiana a partire dai sermoni del venerdì) e soprattutto ad “assicurare massima trasparenza nella gestione e documentazione dei finanziamenti, ricevuti, dall’Italia o dall’estero, da destinare alla costruzione e alla gestione di moschee e luoghi di preghiera”.[8] L'UCOII è la principale associazione italiana beneficiaria della Qatar Charity, fondazione del fondo sovrano del Qatar, che ha impegnato 25 milioni di euro in tre anni per la costruzione di 43 moschee, tra cui la moschea di Ravenna, moschea di Catania, Piacenza, moschea di Colle Val d'Elsa, Vicenza, Saronno, Mirandola e per l'acquisto di un edificio a Centocelle (Roma) da adibire a moschea per 800 fedeli, in alternativa alla moschea di Roma finanziata dai sauditi.[8] Associazioni affiliate Fanno riferimento all'UCOII:[3] • Associazione Cultura e Educazione Islamica in Italia (ACEII), dal 2005 Alleanza dei Musulmani in Italia, • l'Associazione Donne Musulmane in Italia (ADMI) • i Giovani Musulmani d’Italia (GMI), in progressiva maggiore autonomia • l'Associazione degli Imam e delle guide religiose in Italia (Imam Italia, San Giovanni in Lupatoto ) • al Waqf al Islami fi Italia, ente di gestione dei beni islamici • il Centro Islamico di Milano e Lombardia presso la moschea di Segrate, animato da ‘Abdur- Rahman Rosario Pasquini, che gestisce le Edizioni del Càlamo e la rivista Il Messaggero dell’Islam Controversie Fra le moschee della UCOII numerose sono quelle i cui dirigenti in qualche modo si ispirano all'ideologia dei Fratelli Musulmani, e per tali legami l'associazione è stata aspramente contestata. A sua volta l'associazione sostiene che tale legame è limitato alla militanza di alcuni suoi dirigenti nei rispettivi paesi d'origine, in periodi ormai remoti nel tempo, e che l'UCOII attuale fa piuttosto riferimento al Consiglio Europeo della Fatwa (organismo che è a sua volta accusato di essere vicino ai Fratelli 0 2 B F 0 2 B EMusulmani) e a ulamā , come il Muftīd'Egitto Ali Goma 1 E 6 C 1 E 0 D, all'Islam europeo, a āriq Rama ān, alle elaborazioni delle femministe islamiche, agli scritti degli affiliati italiani e al lavoro giovanile e studentesco.[senza fonte][9] Nell'estate 2006 l'UCOII acquistò alcune inserzioni a pagamento su diversi quotidiani italiani, in cui paragonò il bombardamento su Gaza alla strage di Marzabotto[10]. A seguito di tale annuncio i senatori di Forza Italia Lucio Malan e Giorgio Stracquadanio hanno sporto denuncia presso la Procura della Repubblica di Roma per istigazione all'odio razziale[11]. Da queste accuse sia il presidente UCOII Dachan che il segretario Piccardo sono stati prosciolti in due diversi procedimenti penali: in istruttoria a Bologna[senza fonte] e davanti al tribunale di Roma, che ha disposto non luogo a procedere con la motivazione che "il fatto non sussiste"[12]. A seguito di tale polemica l'UCOII è inoltre uscita dalla Consulta islamicadel Ministero degli interni. L'associazione al-Wakf al-Islami fi Italia, affiliata all'UCOII, è stata accusata da altre associazioni islamiche di essere lo strumento dell'UCOII per ottenere il controllo politico sulle moschee e centri culturali islamici in Italia.[13] Consulta per l'islam italiano Con il termine Consulta islamica si fa riferimento ad un organismo di carattere consultivo del Ministero dell'Interno, composto da alcuni personaggi ritenuti autorevoli rappresentanti dell'islam in Italia, dietro nomina ministeriale. Istituita nel 2005, riformata nel 2010, è stata ricostituita nel 2016 - sempre con nomi differenti. La Consulta per l'islam italiano (2005)[modifica | modifica wikitesto] Istituita con decreto nel 2005 dall'allora Ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, è stata confermata nel 2006 dal nuovo ministro degli interni Amato. Il ministro Amato vi ha inserito un nucleo di accademici e esperti del mondo arabo/islamico. Come risulta dal decreto istitutivo, la consulta ha il compito di esprimere pareri e formulare proposte sulle questioni indicate dal ministro, fornendo così elementi concreti per la soluzione dei problemi dell´integrazione delle comunità musulmane nella società nazionale, nel pieno rispetto della costituzione e delle leggi. La consulta si muove nella prospettiva della formazione di un islam italiano, espressione di una comunità aperta ed integrata, salvaguardata nelle differenze compatibili con il nostro ordinamento, rispettosa dell'identità nazionale e dei valori della società di accoglienza.[1] La metà dei componenti possiede la cittadinanza italiana e le nazionalità di origine rappresentate sono, oltre a quella italiana, l'albanese, l'algerina, la giordana, l'irachena, la libica, la marocchina, la pakistana , la senegalese, la siriana, la somala e la tunisina. Particolare attenzione è stata riservata alle diverse espressioni della società civile, ai giovani e alle donne, una delle quali sciita. Tra i membri della consulta troviamo esponenti di vertice di organizzazioni e comunità islamiche presenti in Italia: Comunità ismailita in Italia, Co.Re.Is.(Comunità religiosa islamica), Sezione italiana della Lega musulmana mondiale, U.C.O.I.I. (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia), U.I.O. (Unione islamica in Occidente, espressione della World Islamic Call Society). Nel dettaglio i 16 componenti della Consulta erano:[2] Ahmad Ejaz, pakistano, giornalista, direttore della rivista Azad («Libero»), mediatore culturale[3]; Khalil Altoubat, giordano, laureato in fisioterapia; Rachid Amadia, algerino, Imam; Kalthoum Bent Amor Ben Soltane, tunisina, lettrice di lingua araba all´Università di Urbino; Khalid Chaouki, marocchino, studente, operatore della comunicazione, ex presidente dei Giovani Musulmani d'Italia; Mohamed Nour Dachan, italiano di origine siriana, medico, presidente dell' UCOII; Zeinab Ahmed Dolal, somala, operatrice sanitaria ; Gulshan Jivraj Antivalle, nata in Kenya, presidente della Comunità ismailita italiana; Tantush Mansur, libico, presidente dell´U.I.O.; Yahya Sergio Yahe Pallavicini, italiano, Imam, vice presidente della CO.RE.IS; Mohamed Saady, magrebino, co-presidente dell'ANOLF; Souad Sbai, marocchina, giornalista, presidente dell´Associazione donne marocchine in Italia, direttrice del mensile Al Maghrebiya; Mario Scialoja, italiano, ambasciatore a riposo, direttore della Sezione italiana della Lega musulmana mondiale; Roland Seiko, albanese, giornalista, di Roma; Younis Tawfik, iracheno, scrittore, di Torino; Mahadou Siradio Thiam, senegalese, operatore nel mondo del volontariato, di Roma La Consulta si riunisce a cadenza mensile nel corso del 2006, discutendo vari temi considerati di rilevanza, tra cui integrazione e cittadinanza (ius soli). Nella riunione di agosto vengono discusse alcune dichiarazioni, considerate antisemite, del presidente UCOII Mohamed Nour Dachan, e il ministro Amato invita i membri della Consulta a sottoscrivere una carta dei valori e dei principi sulla base dei quali costruire l'islam italiano, da redigere assieme ad esponenti del mondo della cultura e del diritto. Un comitato scientifico per la stesura di tale Carta è istituito nell'aprile 2017 (ne fanno parte Roberta Aluffi Beck Peccoz, Carlo Cardia, Khaled Fouad Allam, Adnane Mokrani, Francesco Zannini) La Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione[4] viene firmata dai membri della Consulta e pubblicata in Gazzetta Ufficiale nei mesi successivi.[5] Nel marzo 2008 alcuni membri della Consulta (Ahmad, Antivalle, Pallavicini, Redouane, Saady, Sbai, Scialoja, Tawfik) avviano il progetto di una Federazione dell'islam italiano come federazione tra organizzazioni che restano autonome, ma si riconoscono in alcuni valori fondativi specificati nella Carta dei valori (laicità dello Stato, libertà religiosa, eguaglianza tra uomo e donna, formazione degli imam, trasparenza dei finanziamenti) con l'intento di rappresentare l'Islam moderato e pluralista. [5][6] Il progetto è criticato dall'UCOII, uscito dalla Consulta dopo aver firmato la Carta dei valori. [7] Il progetto non va in porto negli anni successivi. Il Comitato per l'Islam italiano (2010)[modifica | modifica wikitesto] La Consulta viene riformata durante il governo Berlusconi III dal ministro dell'interno Roberto Maroni. Del nuovo organo, denominato Comitato per l'Islam italiano, fanno parte il consigliere di Cassazione Mario Cicala, il docente presso l'Università di Trieste Khaled Fouad Allam, il fondatore del Centro studi sulle nuove religioni Massimo Introvigne, i giornalisti Carlo Panella e Andrea Moriggi, il segretario della grande moschea di Roma Abdellah Redouane, il direttore della sezione italiana della Lega musulmana mondiale Mario Scialoja, l'esponente dell'associazione dei Musulmani moderati, Gamal Bouchaib, il segretario della Confederazione dei marocchini in Italia, Mustapha Mansuri, il giornalista egiziano della tv veneta La9, Mohammad Ahmad, l'intellettuale marocchino Ahmad Habous, docente dell'Università Orientale di Napoli e l'imam di Torino Abdellah Mechnoune, segretario della Lega mondiale degli Imam. [8] Il Comitato di Maroni è da subito criticato[7] per la mancanza di rappresentatività del mondo dell'Islam in Italia e delle seconde generazioni, e per la presenza di personalità considerate islamofobe quali Panella e Morigi, cui vengono affidati anche compiti di relatori dei gruppi di lavoro, cosa che porta alle dimissioni di Scialoja.[9] Il Comitato resta pressoché inattivo a partire dal 2011. Il Consiglio per le relazioni con l’Islam (2016)[modifica | modifica wikitesto] Nel corso di una riunione della consulta religiosa, rimasta inattiva dal 2011 con Roberto Maroni, è stato comunicato l'avvio di un processo di riforma e rinnovamento, a partire dal 23 febbraio 2015.[3][10] Il ministro dell'Interno Angelino Alfano ha istituito il Tavolo permanente di consultazione, sotto il controllo del sottosegretario Domenico Manzione, al fine di avviare una agenda di incontri a cadenza mensile. Al posto dei 15 leader delle comunità islamiche, confermato soltanto il vicepresidente della CO.RE.IS. Yahya Pallavicini, entrano sette membri dell'U.C.O.I.I., insieme a Abdellah Redouane, segretario generale del Centro Islamico Culturale d'Italia (fondato nel 1998, fra gli altri, da Hamza Piccardo) e in rappresentanza della Moschea di Roma, ai leader delle moschee di Napoli e Palermo.[11] Accolta - sempre nel corso della riunione - la proposta lanciata dalla CO.RE.IS di istituire un albo territoriale degli imam, previa intesa con rappresentanza religiosa dell'islam. Previsto pure l'avvio di una campagna web contro l'islam radicale. La nuova composizione della Consulta ha raccolto anche critiche per la percepita eccessiva presenza dell'elemento religioso (imam) e l'allontamento di membri della società civile (quali i giornalisti Ejaz e Sbai) e altri esponenti religiosi considerati più moderati come l'imam della Moschea di Torino Abdellah Mechnoune.[3], Un nuovo Consiglio per le relazioni con l’Islam viene istituito nel gennaio 2016 dal ministro Alfano. I suoi membri firmano nel febbraio 2017 un Patto nazionale per un Islam italiano avente l'obiettivo di "creare un islam italiano legittimo, civilizzato" attraverso la formazione degli imam (con il contributo del ministero dell'Interno e delle università statali), l’uso dell’italiano nei sermoni, e il dialogo inter-religioso e inter-culturale territoriale, incluso l’accesso ai non-musulmani ai luoghi di preghiera.[12] Tale patto solleva tuttavia varie critiche per l'impostazione securitaria e paternalista da parte del mondo islamico