Scarica Appunti Linguistica primo semestre prof.sa Gatti e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! Linguistica generale 3/10/16 Cos’è la linguistica generale? Conosciamo attualmente quasi 7000 lingue. Anche se le lingue sono numerose possiamo cercare una dimensione generale, le dinamiche costitutive che le accomunano. La comunicazione è un fenomeno che ci stupisce e intimorisce, interagiscono molteplicità di informazioni. La comunicazione interpella dimensioni socio-culturali. Soggetto sulla destra > suspense Sulla sinistra > “Zampanò, è arrivato?” Incremento informativo sull’azione. • Basta dislocare il soggetto per cambiare le comunicazioni. A volte la comunicazione si inceppa perché il messaggio è insensato, non ha rapporto con la realtà. Un messaggio, per essere sensato, deve anche esprimere un senso che c’entra, interessa al suo interlocutore, deve creare coinvolgimento, deve essere pertinente. • Il messaggio pubblicitario: “success is a mind game” – “il successo è una sfida mentale” semantismo della sfida e del gioco, due cose diverse. 6/10/16 In che senso esiste una dimensione generale nelle lingue? Ciascuna lingua fa delle mappature diverse (ad esempio, nei verbi di MOTO). Le lingue sono osservatori sulla realtà: ciascuna lingua è caratterizzata dalla dimensione dell’incontro. Le lingue sono un fenomeno differenziato: la linguistica generale si occupa degli EVENTI COMUNICATIVI, che i parlanti producono per comunicare. La comunicazione coinvolge più dimensioni: le scienze umane, semiotiche, tecnologiche… Noi ci occupiamo della comunicazione VERBALE e distinguiamo tra COMUNICATORE e COMUNICAZIONISTA, cioè colui che conosce i fattori della comunicazione. Che cos’è la COMUNICAZIONE? La comunicazione è una nozione sovradefinita. Possiamo ricondurla a due modalità: 1. Somma degli eventi comunicativi. È una definizione di tipo induttivo, un elenco (così come possiamo definire i numeri pari 2, 4, 6, 8… come un elenco) 2. La comunicazione può essere definita scoprendo la REGOLA, non come elenco, ma come competenza, facultas loquendi (esattamente come i numeri pari possono essere definiti attraverso la formula 2x=Y) Le due definizioni sono complementari, ma in ogni caso esse ci lasciano all’esterno del segreto della comunicazione. Qual è la sua logica? Vediamone l’etimologia: • COM-MUNICO Le 2 M sono rimaste in francese, inglese, tedesco. Attraverso COMMUNIO la parola rimanda a COMMUNIS e il COM ci rimanda al CUM latino. Il tedesco e il russo hanno un calco del latino (MIT-TEILEN > calco, ovvero si costruisce un termine partendo da un’altra lingua). • Il CUM latino aveva il significato di “mettere l’altro a parte di qualcosa”. In latino si poteva comunicare la casa, la gioia… permettere quindi a un’altra persona di condividere qualcosa. Per i latini la COMMUNICATIO BONORUM era lo scambio di qualcosa. La comunicazione è un processo che presuppone una diversità, un’alterità: scatta quando ci sono due soggettività coinvolte. 1 • In -MUNICO troviamo MUNUS: a metà tra “dono” e “compito”. I latini percepivano che ciò che è donato, gradito, apriva compiti, responsabilità. La responsabilità è l’atteggiamento di chi è caratterizzati dal “RESPONDARE”, che è un intensivo di “RESPONDERE” > è la posizione di chi risponde in modo stabile. Chi è “responsabile” ha l’attitudine di rispondere stabilmente alle provocazioni della realtà. Il dono comporta fatica, responsabilità: l’italiano CARO indica sia “amato” che “costoso”. Così il francese CHER. Nelle lingue germaniche poi i significati si sono scissi: DEAR-EXPENSIVE, LIEBE-TEUER. La comunicazione è uno scambio di beni tipo MUNUS che nel tempo si sono smaterializzati e sono diventati i sensi, i significati che aprono dei compiti. Un processo comunicativo apre un compito (es. comunicare un dolore comporta la condivisione, ecc.) La comunicazione è uno scambio: il nesso tra comunicazione e COMMERCIO è documentato nella teologia classica di MERCURIO, mediatore, “medius currit”, il dio messaggero, della comunicazione ma anche del commercio (MER- CURIO > MERCATO, MARKETING). I Greci lo chiamavano HERMES: colui che è preposto alla HERMENEIA, all’interpretazione. INTRERPRETARE significa sia “comprendere, recuperare un senso per un certo testo” (es. “interpreto questa poesia”), sia l’opposto, cioè “dare un’espressione, cercare un senso a un testo” (es. “interpreto il sentimento dei presenti”). C’è dunque uno SCAMBIO. 10/10/16 Vedi manuale “Comunicazione e comunità civile” La comunicazione domina le dimensioni della vita privata e quelle della vita pubblica. L’educazione, ad esempio, è una comunicazione che passa da una generazione all’altra. Cosa vuol dire che la comunicazione intesse, crea la vita sociale? La comunicazione fa comunità. Le nostre democrazie si fondano sul consenso, che a sua volta si fonda sulla comunicazione persuasiva. Se la nostra vita civile si fonda sulla comunicazione, è necessario che il consenso tra di noi sia fondato sulla ragione. Il potere delle parole può essere esercitato in modo ragionevole ma anche perverso. Cosa c’è in gioco quando comunichiamo? Dobbiamo riflettere sul termine POTERE. POTESTAS vox media, cioè né positiva né negativa. Può avere quindi diversi esiti. Significava “far fare qualcosa a qualcuno nel rispetto della sua libertà”. Il termine poteva essere fondato su due pilastri diversi, poteva essere esercitato sulla VIS, cioè la violenza, ma anche l’inganno (DOLUS). Esisteva invece anche la possibilità di fondare l’esercizio del potere sulla AUCTORITAS (autorevolezza). Il termine è legato al verbo AUGEO, AUGERE > porre nella realtà, far essere e dare gli strumenti per poter crescere. Questo verbo ha anche un rimando all’appellativo AUGUSTUS. Chi esercita l’auctoritas è l’AUCTOR. I primi AUCTORES sono per noi i genitori. Possiamo esercitare il potere della parola per far crescere il nostro interlocutore, dare un contributo positivo oppure fondandoci sulla violenza delle parole. Se partiamo da una posizione di AUCTORITAS si tratta di una comunicazione persuasiva sana, se usiamo la VIS si mette capo alla comunicazione manipolatoria. Nella parola “convincere” c’è proprio l’idea di “sopraffare l’altro”. Invece, in “persuadere” c’è “suavis”, che ha un’accezione positiva. LA PERSUASIONE Quando si parla di persuasione di solito sorge un sospetto. Spesso viene intesa come un “cercare di portare l’altro dalla nostra parte”. Questa accezione negativa deriva proprio dal clima culturale novecentesco: secolo di un uso perverso della comunicazione da parte dei regimi totalitari. Come ci si salva da una comunicazione che seduce, manipola? • MITO DI ULISSE E LE SIRENE 2 Ci sono dei filosofi contemporanei che hanno teorizzato l’esistenza di una “ragione debole”, una ragione non in tutta la sua pienezza, depotenziata. Probabilmente anche da queste filosofie è nato il sospetto nei confronti della persuasione. DEDUZIONE > dalla legge generale a un caso particolare. Un esempio è il sillogismo “tutti gli uomini sono mortali Socrate è uomo Socrate è mortale” Nel sillogismo abbiamo: • Premessa maggiore, che contiene una legge universale. È anapodittica cioè non si deve dimostrare, evidente. • Premessa minore • Conclusione Il sillogismo retorico si chiama ENTIMEMA: dentro c’è la radice del termine greco THYMOS che vuol dire “anima” messaggio che smuove l’animo del destinatario invitandolo ad un’adesione ragionevole. Chiede di fidarsi e ci dà le ragioni. Es. “Luigi è pazzo. Va a 100 km in centro città” “Luigi è pazzo” prima mossa comunicativa: TESI “Va a 100 km in centro città” ARGOMENTO Il punto rappresenta graficamente la pausa. Noi percepiamo un senso unitario. Ma che legame c’è tra la prima mossa e l’argomento? Al posto del punto potremmo mettere “perché”. Con questo “perché” ricostruiamo la ragione logica che tiene insieme la tesi e l’argomento. È un nesso di GIUSTIFICAZIONE > dopo aver scritto la tesi è necessario giustificarla. Per argomentare veramente non dobbiamo fermarci alla TESI, ma GIUSTIFICARE le prese di posizione sulla realtà, dare le ragioni a sostegno delle nostre tesi. L’entimema è una struttura che fa leva su una adesione naturale che c’è almeno da parte dei più saggi della comunità, secondo Aristotele. Contiene un principio condiviso dalla DOXA. La premessa maggiore veniva infatti chiamata ENDOXON, aveva un principio condiviso dalla doxa, cioè la comunità. Un esempio può essere “Chi va a 100 km in centro città è pazzo”, opinione condivisa almeno dai più saggi Crea l’aggancio al common ground, il terreno comune a cui fanno riferimento l’argomentante e il suo interlocutore (o decisore, in quanto decide se il nostro argomento è valido o meno, usa la ragione come setaccio e giudica se l’argomento è pertinente o no). 17/10/16 ENTINEMA E SUA SPECIFICITA’ RETORICA Come opera l’ENTINEMA? A partire da una condivisione generale come arriviamo a condividere un’affermazione particolare? Attraverso l’argomentazione. (Luigi è pazzo. Va a 100 km in centro città) Dietro a questo discorso sta un ragionamento deduttivo, diverso al sillogismo. Per l’argomentazione ci affidiamo ad un principio comune caratterizzato dalla ragionevolezza. Proprio perché questo principio è condiviso dalla DOXA viene definito ENDOXON crea l’aggancio al common ground cui fanno riferimento l’argomentazione e il decisore. Differenza tra premessa maggiore del sillogismo e endoxon: l’endoxon non è incontrovertibile la premessa maggiore nell’antinema non è anapodittica. I principi condivisi presenti negli endoxa fanno parte della cultura propria di ciascuna comunità, appartengono al sentire comune di una società. 5 Chi argomenta quando vuole persuadere qualcuno fa leva sull’adesione a principi condivisi con il destinatario, propri di tutta la comunità. Premessa maggiore: Luigi è pazzo Premessa minore: Luigi va a 100 km in centro città Conclusione: Luigi è pazzo conclusione e tesi coincidono! Bozza di un discorso di mediazione tenuto da Bush Accompagnava l’invio di Powell, segretario di stato, che doveva giungere ad una negoziazione nell’ambito del conflitto arabo-israeliano. Mediazione = caso particolare di negoziazione. Hanno natura argomentativa gli scambi comunicativi del dibattito forense, gli scambi comunicativi di decision making… La negoziazione per sussistere presuppone un conflitto di interessi. Devono quindi esistere due controparti (endoxon = per un conflitto servono due controparti e solo da un conflitto può prendere l’avvio una negoziazione). La mediazione interviene quando la negoziazione non va a buon fine. Il mediatore si caratterizza per il suo tratto di terzietà; aiuta i confliggenti a identificare il tema del diverbio (“what is at issue?”). Il mediatore deve dimostrare che è conveniente per entrambe le parti uscire dal conflitto: precisando cosa c’è a tema dimostra che nessuna delle due parti ha da perdere più dell’altra nell’uscire dal conflitto. Le parti infatti prima dell’intervento del mediatore sono convinte che uscire dal conflitto significhi subire un danno. Nell’analisi di un flusso comunicativo dobbiamo individuare gli interlocutori. Sia nel mittente che nel destinatario possiamo identificare ruoli specifici, sfaccettature e stratificazione che possiamo trovare in entrambe le figure. MITTENTE - colui che presta la voce al discorso (vocalizer) - autore del discorso (formulator) - persona che formulando un evento comunicativo si assume una responsabilità (principal responsabile del suo speech act) DESTINATARIO - uditore, legittimato o casuale (addressed/over hearer) - lettore - decisore che valuta i contenuti, la verità, la ragionevolezza di quel che gli viene proposto - all’interlocutore si aprono commitements diversi anche a partire dallo stesso discorso Entinema utilizzato da Bush (ricorda! ENTINEMA = sillogismo abbreviato costituito da premessa maggiore, premessa minore e conclusione) “Bisogna fermare il terrorismo. Nessuna nazione può negoziare con i terroristi.” Bush sta persuadendo i suoi interlocutori del fatto che non è possibile negoziare con i terroristi. Su quale endoxon si base la sua argomentazione? Fa parte del nostro common ground che non è possibile negoziare con chi elimina la controparte. Questo principio su cui fa leva il discorso di Bush è quello su cui si base il rapporto tra mittente e destinatario. 6 A partire da una premessa maggiore, attraverso una premessa minore che si basa sulla ragionevolezza e su un principio comune, si giunge deduttivamente ad una conclusione che coincide con la tesi iniziale. 1. adesione naturale 2. adesione deduttiva 3. condivisione finale Premessa maggiore: non possiamo negoziare con i terroristi Premessa minore: i terroristi eliminano la controparte Conclusione: non possiamo negoziare con i terroristi Laboratorio di analisi dei testi - Questo burro è genuino (tesi) - È fatto con il latte fresco delle Alpi (argomento) La presenza dell’argomentazione che giustifica la tesi è la base fondamentale per il testo argomentativo. Le tesi sono sempre delle valutazioni; data una certa valutazione devo proporre poi una giustificazione. Nel nostro caso qual è il principio condiviso dalla cultura di riferimento (massaie) che consente una condivisione generale? La genuinità è associata alla freschezza e alla provenienza del latte. Rispetto al burro, che è il tema della tesi, qual è il punto di aggancio tra tesi e argomentazione? Il burro è fatto di latte il latte è fresco il burro è fresco. Nella nostra pubblicità stiamo valutando la qualità di un prodotto; mettiamo quindi a tema la materia del prodotto. Se è positiva la materia che costituisce un prodotto, sarà positiva la qualità del prodotto stesso. Entra quindi in gioco la causa materiale del prodotto. Premessa maggiore: questo burro è genuino Premessa minore: il burro è fatto con latte fresco delle Alpi Conclusione: questo burro è genuino - Questo orologio è di alta qualità? (tesi messa in discussione) - È svizzero (argomento) Non tutte le tesi presentano un’affermazione. In questo caso assistiamo alla problematizzazione delle tesi. Qual è il principio condiviso? L’alta qualità di un orologio è associata alla provenienza svizzera. Qual è l’aspetto della tesi a cui si aggancia l’argomento? Gli orologiai svizzeri sono la causa efficiente. Endoxon / promessa maggiore: gli orologiai svizzeri sono produttori di alta qualità Premessa minore: questo orologio ha come causa efficiente orologiai svizzeri Conclusione: questo orologio è di alta qualità Questa casa è solida. È tutta di cemento armato. 7 COMUNICAZIONE PERSUASIVA FONDATA SUI MEZZI DELLA RAGIONE in contrapposizione all’uso non sano della forza della parola che dà origine alla MANIPOLAZIONE Osserviamo i prodotti testuali realizzati nelle varie fasi dell’instaurazione dei regimi totalitari. I dati empirici sono: • Testi fondativi > prodotti nella fase iniziale di un regime, quando sono posti i fondamenti • Testi mediatici > Una volta definita l’ideologia il regime ha bisogno di una strumentazione dei media per diffondere il più possibile l’ideologia. Questi media fanno propaganda (es. intervento sui testi scolastici/logocidio/semanticidio). Un messaggio è manipolatorio quando distorce (TWIST) la visione della realtà nel destinatario e impedisce un atteggiamento sano nei processi decisionali. 27/10/16 La definizione ha una natura ARGOMENTATIVA, è una presa di posizione sulla realtà da parte di una comunità linguistica. Passiamo in rassegna le strategie manipolatorie. Si raggruppano in varie tipologie: a. VIOLAZIONE DELLE PRESUPPOSIZIONI Le manipolazioni intervengono negli IMPLICITI i nostri discorsi hanno una parte manifesta e dei significati nascosti che sono in “implicatura”. Si parla di IMPLICITI DISCORSIVI, tra cui ci sono le PRESUPPOSIZIONI. Una PRESUPPOSIZIONE è un significato che sta a monte del messaggio, del testo che costruiamo. “Luigi parte per Roma” > diamo per presupposto che Luigi esista e che esista una città di nome Roma. Nella comunicazione è vietato esprimere le presupposizioni in quanto esse fanno già parte del common ground di una comunità linguistica. I nomi, comuni e propri, fanno scattare un significato di esistenza di quella entità che è stata designata con questo nome. Si dice che i nomi veicolano ipotesi di esistenza. I nomi servono per dire le cose. Nel nostro caso “Luigi” presuppone l’esistenza di Luigi e veicola questo significato che sta a monte del testo. Anche nel caso di “Roma” è veicolata un’ipotesi di esistenza per cui nel nostro immaginario collettivo scatta l’idea dell’esistenza. Questo si chiama PRESUPPOSTO ONTOLOGICO > informazione di esistenza. Gottlob Frege dice che quando ci troviamo di fronte a sintagmi nominale come “la volontà del popolo – der wille des volkes” (nome più genitivo) o espressioni denotative, è sempre in agguato un ABUSO MANIPOLATORIO. Cosa significa DENOTATO? Supponiamo di avere queste espressione: “Giacomo Leopardi”, “l’autore di A Silvia” oppure “il poeta di Recanati”. Queste tre espressioni hanno senso diverso ma lo stesso REFERENTE, rimandano alla stessa entità umana. I tre enunciati veicolano SENSI diversi (SINN) ma non cambia il REFERENTE/DENOTATO (BEDEUTUNG). Frege usa un esempio diverso i Tedeschi caratterizzano come MORGENSTERN come “stella del mattino” mentre ABENSTERN “stella della sera”: il SINN è diverso, ma visto che è lo stesso astro che compare sia a mattina che a sera il referente è lo stesso. Tornando al primo esempio di Frege, dire “la volontà del popolo” è un processo di generalizzazione ognuno ha una volontà individuale, ma qua viene generalizzata e può essere espressione manipolatoria. Si usa un sostantivo INDIVIDUALE per far passare un DENOTATO GENERALE. Le espressioni denotative fanno passare nel destinatario un messaggio del tutto discutibile, in questo caso una “somma di volontà”. Si parla di PRESUPPOSITIONAL ACCOMODATION i destinatari si “accomodano ai presupposti”. Le ragioni sono due: 10 1. PRAGMATICA > si accettano i presupposti perché permettono di tacere ciò che è già noto, nel common ground (es. “Luigi va a Roma”) e permettono al discorso di procedere. Se nei testi esplicitassimo tutto sarebbe ridondante e irragionevole (“Luigi esiste e va in una città chiamata Roma”). Si tratterebbe di decostruire il testo e finire in una sorta di loop, il discorso non procederebbe mai. 2. PSICOLOGICA > proprio perché i presupposti fanno parte del common ground, il terreno condiviso di quegli aspetti che permettono al singolo di dire “noi”, metterli in discussione sembrerebbe un “venir meno” al gruppo che condivide questi presupposti. Fungono un po’ da “test di fedeltà” per entrare in una certa comunità linguistica. “Der wille des volkes” presenta un contenuto asserito, ma anche un contenuto presupposto. Il controllo critico che esercitiamo sui presupposti, sugli impliciti, è più ridotto c’è minore consapevolezza di tutti quei sensi che si nascondono fra le pieghe del testo. Chi ci vuole manipolare lavora proprio su questi presupposti. Questa espressione dice di una “somma di volontà” che è una cosa diversa dalla “volontà”. I nomi fanno scattare un’ipotesi ontologica di esistenza. Poi diamo altre caratteristiche (es. “gatto” E capovolta si usa in logica per indicare esistenza di) 31 ottobre 2016 Per una tipologia dei processi manipolatori a. Violazione delle presupposizioni Presupposto più comune è il presupposto dell’esistenza veicolato implicitamente attraverso sintagmi nominali. Le espressioni nominali sono dunque denotative, rimandano ad una realtà esistente. Le parole significano e attraverso il significato che veicolano noi possiamo individuare un denotato. I nomi indicano entità i nomi hanno delle pretese rispetto al denotato pretesa di realtà del denotato = quando siamo di fronte al nome, questo svolge una funzione ben precisa, comunica un’ipotesi di esistenza. Formalismo logico per indicare un’entità: GATTO X indica l’entità animata umana o non umana e l’entità non animata (= variabile oggettuale). L’entità ha una serie di caratteristiche, che la individuano in modo specifico. Quali sono i modi di essere che permettono alla nostra entità di essere un gatto? Quantificatore esistenziale che indica esistenza Predicato, che in logica indica modo di essere può essere un aggettivo ma anche un verbo Congiunzione 11 FORMULA FINALE b. Istinto umano di riferirsi alla totalità (una parte passa per il tutto) Ci sono strategie manipolatorie che sfruttano l’istinto umano a totalizzare. Focalizzano l’attenzione su un singolo elemento per far in modo che venga esteso a una totalità: dinamica dell’abbaglio che sta alla base dello sbaglio pensiamo a quando un bene piccolo viene fatto passare per un bene grande. Esempio: topos “il nemico del mio nemico è mio amico” usato nella seconda guerra mondiale [molti paesi sceglievano di allearsi a Stalin solo per opporsi a Hitler]. Si tratta di una strategia manipolatoria? Si perché non descrive una realtà logicamente vera. Gli stati che si alleano con Stalin hanno un nemico in comune con lui: ma questo è un fondamento necessario e sufficiente all’alleanza? Possiamo dire di no. Altro esempio. Operazione di agenda setting = nei media si selezionano le notizie da porre in agenda e presentare al pubblico. Si scelgono nell’ambito degli eventi della giornata quelli che vogliono essere comunicati al grande pubblico (“this is the news for today”). Non parliamo di “informazioni” ma di “notizie” e c’è differenza! L’informazione è un dato grezzo, una notizia è un dato che è pertinente e rilevante per il ricevente. La notizia crea coinvolgimento, suscita interesse (INTER ESSE = entra dentro di noi). Ogni notizia è un’informazione, ma non viceversa. Nelle operazioni di agenda setting dunque si individuano informazioni ritenute rilevanti e viene fatta passare una parte di eventi accaduti nella giornata come la totalità degli eventi stessi. Potremmo obiettare che la selezione è obbligatoria considerando la vastità delle 12 La strategia manipolatoria che si basa sulla tentazione della polarità è usata soprattutto nell’identificazione dei gruppi sociali da mettere in contrapposizione. Poster della propaganda sovietica descrizione del “mondo dei noi” in contrapposizione al “mondo dei loro”. Al primo attribuiscono azioni positive, al secondo azioni distruttive per la società [noi trasformiamo deserti in città fiorite, loro trasformano città in deserti]. Questo tipo di propaganda si basa in modo sottile sulla descrizione dicotomica della realtà (buoni/cattivi). Apparentemente si tratta dell’elencazione di azioni, ma di fatto si sta contrapponendo un polo ad un altro. Orwell “1984” interventi sul linguaggio per ridurre l’orizzonte del pensiero. Viene eliminato dal linguaggio l’aggettivo di significato opposto. Eliminiamo “bad” come opposto di “good”: conserviamo solo “ungood”! ma dire “ungood” non significa necessariamente affermare il suo polo contrario, esistono tutte le sfumature intermedie. 3 novembre 2016 Verso un modello della comunicazione verbale La retorica classica individuava le fasi che devono essere attraversate dall’oratore: • INVENTIO: selezione degli argomenti, temi, che saranno nel discorso • DISPOSITIO: ordine, disposizione degli elementi • ELOCUTIO: individuati temi e disposizione, si procede a scegliere le strategie discorsive più efficaci, come le figure retoriche, che permettono di ornare il discorso con strategie linguistiche particolarmente efficaci • MEMORIA: l’oratore doveva con tecniche mandare a memoria tutto il suo discorso • ACTIO: l’oratore doveva esplicitare il discorso Tutte queste fasi accompagnavano l’oratore. Nella modernità non si è più considerata la retorica come un’ars, una techne, bensì si è ridotta all’ELOCUTIO stile elocutivo, capacità di usare le figure retoriche. È passata l’idea dell’uso delle strategie retoriche. Negli anni ’50 si è avuta la rinascita della retorica: si parla di NOUVELLE RETORIQUE. Nel 1958 TOULMIN pubblica uno dei volumi che serve a presentare la retorica in tutta la sua ricchezza. Nel Novecento sono stati elaborati vari modelli della comunicazione. Comunicazione pragmatica “Il dire è un fare”, espressione già presente nell’antichità (Platone) Il dire è un fare con le parole. Nei vari campi della realtà è possibile INTRECCIARE AZIONI, grazie alla comunicazione verbale, alla mediazione linguistica (es. cliente-barista, se non ci fosse il discorso non sarebbe possibile lo svolgimento dell’azione). Ogni modello ha dei limiti ma ha al suo interno un’intuizione. Rivisitando i modelli passati trarremo da ciascuno il contributo più significativo. Vedremo che molto più di quello che esplicitiamo nei messaggi è quello che non diciamo (un fattore imprescindibile è l’INFERENZA, che integra la SEMIOSI). I PRIMI MODELLI: CLAUDE SHANNON (1916-2001) > modello che ha presente una natura matematica e informatica. La comunicazione viene intesa come trasmissione, processo di informazioni, trasmissioni, che partono da un’information source che è il device, lo strumento tecnologico. Le informazioni raggiungono un receiver, che non è di natura umana, ma tecnologica. 15 In questo processo Shannon prende in considerazione anche una forma di disturbo: ci possono essere disturbi del canale, una noise source. per risolvere il problema elabora un teorema (TEOREMA DI SHANNON) che misura la capacità di un canale o meglio, la quantità massima di scambio comunicativo che possiamo far passare nel canale. Possiamo stabilire quindi la quantità di informazione che dovrà essere trasmessa. Una quantità di informazione al di sotto della capacità del canale trasmessa dai devices permette di attuare una comunicazione senza disturbi. Ciò che passa sono INFORMAZIONI e i due poli del processo comunicativo sono di natura fisica, non umana. Non è un modello elaborato nell’ambito della linguistica, ma Jacobson ne terrà conto. Nell’ambito linguistico è stata elaborata la teoria di SAUSSURE (1857-1913). Il suo modello della comunicazione si chiama CIRCUIT DE LA PAROLE: Saussure dice che noi possiamo osservare due interlocutori che discorrono scambiandosi segni. Ciascuno dei due produce segni materiali, cioè segni di natura acustica-fonetica. Ciascuno dei due è in grado di decodificare questi segni, in quanto entrambi condividono la LINGUA, definita “patrimonio mnemonico virtuale”. I parlanti quando costruiscono i messaggi non fanno che prendere messaggi già presenti in sede mentale e attivarli. È una concezione forse un po’ MECCANICA: non c’è spazio per la libertà, ma noi prenderemmo strutture già precostituite e le attiveremmo. Il parlante è “un po’ parlato dalla lingua”. La comunicazione è inoltre intesa come CODIFICA e DECODIFICA il passaggio da un’intenzione comunicativa alla trasmissione è una codifica: si associa ad un significato un significante. La comprensione per Saussurre invece è un processo di decodifica. LUNEDì 7 NOVEMBRE I modelli funzionalisti hanno particolare attenzione per la funzione comunicativa. Per noi è abbastanza naturale che le lingue servano per comunicare e che quindi abbiano un fine. Un primo autore importante per questo sguardo funzionalista è: KARL BUHLER (1879-1963) Lo stesso Jakobson fa derivare la sua teoria da quanto pensa Buhler. Egli svolge un saggio sulla struttura del segno linguistico: SPRACHTHEORIE (1934). Sostiene che il segno linguistico è in un triplice fascio di relazioni: - con la realtà, nei confronti della quale ha una funzione rappresentativa - con un mittente, che lo usa con una funzione espressiva. - con un destinatario, a cui si appella. In quanto è in rapporto con la realtà il segno è: 1. SIMBOLO e svolge una funzione di espressione 2. SINTOMO e svolge un significato di espressione 3. SEGNALE, e svolge una funzione comunicativa di appello. Il segno è il ruolo centrale tra gli interlocutori e la realtà. Buhler riflette molto anche sul momento interpretativo, superando la concezione di interpretazione come decodifica, che associa al significante il suo significato. Buhler scopre diversi tipi di SEMIOSI (par 2.7), ovvero indaga le diverse modalità con cui sono costituiti i segni. In seguito scopre quella che chiameremo DEISSI (semiosi deittica). Modello schematico proposto da Sausurre: Albero rappresenta la stessa cosa per tutti, indipendentemente dall’individualità di ciascuno. Buhler amplifica la visione Il soggetto deve essere precisato di volta in volta con un contesto comunicativo da cui è rappresentato. 16 ALBERO F 0 6 4F 0 6 5F 0 6 9F 0 6 3F 0 6 EF 0 7 5F 0 6 DF 0 6 9F 0 2 0F 0 3 E IO è soggettivo, può rappresentare chiunque (DEITTICO > indicare, dimostarre). Alcune parole hanno quindi una semantica un po’ diversa. Ogni volta si deve precisare con la semantica istruzionale il contesto in cui sono utilizzati certi segni deittici. SCUOLA DI PRAGA Orientamento strutturalista. JAKOBSON fa parte della componente russa della scuola di Praga. Essa procede nell’analisi funzionale e ha un particolare interesse per il FINE della lingua, ovvero per la funzione dei testi. Ogni testo svolge una funzione comunicativa specifica, a cui arriva costruendo il suo modello comunicativo verbale, scandito da sei fattori: un MITTENTE invia un MESSAGGIO ad un DESTINATARIO; il messaggio si riferisce ad un CONTESTO (= realtà) che è suscettibile di verbalizzazione (= contesto che può essere descritto attraverso segni verbali). Può essere espresso grazie ad un CODICE, che condividono sia mittente che destinatario. Questo messaggio che si invia passa attraverso un CANALE. A questi 6 fattori Jakobson fa corrispondere una funzione: 1. EMOTIVA corrispondente al mittente testi comunicativi che esprimono la soggettività del mittente 2. CONATIVA corrispondente al destinatario testi formulati dal mittente per indurre il destinatario a fare qualcosa 3. REFERENZIALE corrispondente al contesto testi che descrivono la realtà 4. POETICA corrisponde al messaggio creano qualcosa di esteticamente bello, un testo poetico orientato al messaggio stesso 5. METALINGUISTICA corrispondono al codice spiegano una parola o un messaggio 6. FA’TICA Corrispondente al canale messaggio con cui si verifica l’orientamento del messaggio Tutti i messaggi che noi formuliamo sono prevalentemente orientati verso una funzione che chiamiamo DOMINANTE, ma sono comunque tutte presenti in contemporanea. NB: Questo paragrafo 2.2. della Comunicazione Verbale va integrato con la dispensa storica, da pag. 38 a 41. A pag. 42 c’è un saggio fondamentale, fino a pag. 48 Jakobson è certamente il linguista che ha risolto in modo più unitario la questione linguistica: il testo poetico viene spiegato in una teoria della comunicazione verbale orientata verso il messaggio stesso prima di tutto. Egli spiega la poetica all’interno di una concezione linguistica unitaria particolare organizzazione dell’asse della combinazione e della selezione Il testo poetico proietta il principio della equivalenza dell’asse della selezione a quello della combinazione. Il parlante dove ha recuperato gli elementi del suo discorso? Li ha presi da un insieme di elementi equivalenti, da un paradigma di termini interscambiabili. [Testo non poetico] “Luigi legge il libro” come Luigi è stato selezionato tra elementi simili, così anche legge tra elementi equivalenti costituiti da verbi, così anche libro tra un paradigma di elementi che avrebbero potuto svolgere questa stessa funzione logico-semantica. Il principio di equivalenza interviene in qualsiasi contesto linguistico, anche in un testo poetico. [Testo poetico] Jakobson dice che il principio di equivalenza si proietta dall’asse della selezione. “Nel mezzo del cammin di nostra vita Mi ritrovai per unna selva oscura Che la diritta via era smarrita” Sull’asse della combinazione troviamo un’equivalenza di numero di sillabe: endecasillabi. Abbiamo anche un’equivalenza di finale di parola (omoteleuti, anche se in realtà sono rime, Gatti capra), di accenti etc. 17 GRICE dice che le norme devono essere rispettate affinché un messaggio sia adeguato. Con il suo modello delle massime descrive il comportamento spontaneo dei parlanti il parlante spontaneamente è attento al fatto che il suo messaggio sia comunicativamente adeguato. Esso presenta una serie di requisiti: 1. Massima della QUANTITY: il messaggio non deve contenere un’informazione che sia eccessiva ma anche insufficiente (“make your contribution as informative as required”) 2. QUALITY: il contributo comunicativo non deve essere falso. Inoltre, non dobbiamo comunicare ciò che non abbiamo preventivamente verificato (“do not say that for which you lack adequate evidence”). 3. RELATION: “be relevant”. Il messaggio deve essere pertinente. Perché un messaggio sia pertinente deve coinvolgere, creare involvement, deve essere caratterizzato dall’interesse e veicolare in qualche modo un contenuto che entra nel destinatario, lo coinvolge e lo cambia. Mentre un’informazione è un dato, una notizia non solo è un dato, ma interessa anche, coinvolge il destinatario. 4. Il messaggio non deve essere OSCURO, AMBIGUO. Deve essere BREVE e ORDINATO. Grice segnala che noi potremmo violare le massime. Consideriamo queste espressioni: A: “Che ore sono?” B: “Mah, è già passato il postino” • Questo esempio è la violazione della massima della RELEVANCE: non è pertinente. Per il principio di cooperazione, presente nel parlante ma anche nel destinatario, a volte lasciamo che sia il nostro interlocutore a inferire qualche aspetto non esplicitato. Qua, proprio perché il destinatario coopera, di fronte all’insensatezza del messaggio, l’interlocutore A va alla ricerca del senso. L’interlocutore A pensa: “Eppure deve voler dire qualcosa!”. Ricostruisce quindi, grazie a procedimenti inferenziali, un senso. Le inferenze ci portano gradualmente a ricostruire l’intenzione comunicativa reale: potrebbe essere che ciascuno di noi attui inferenze diverse. Tutte ci avvicinano però a cogliere il significato realmente atteso dal parlante. L’intenzione di B potrebbe essere “è già passata una certa ora” probabilmente è tardi. Cogliamo un senso attuando inferenze. Sempre nell’ambito della prospettiva pragmatica abbiamo due importanti autori: SPERBER e WILSON, in continuità con Grice scrivono un libro che si chiama “Relevance” e ampliano la massima della pertinenza. Segnalano inoltre l’importanza, all’interno della comunicazione, del CONTESTO situazione in cui si colloca il testo (diverso da COTESTO!!!) CO-TESTO > ci si riferisce, rispetto a un testo, al segmento di testo che precede o che segue una determinata parola (es. se prendiamo “postino” l’espressione “è già passato” è il cotesto). CON-TESTO > ha a che fare con lo spazio comunicativo in cui viene formulato il messaggio. Il contesto è fondamentale. Il messaggio produce degli effetti contestuali: veicola un significato, un senso che coincide con gli effetti che produce. Il messaggio produce degli effetti contestuali e questi effetti contestuali producono un cambiamento della INTERSOGGETTIVITA’. Questi effetti contestuali, ossia questo cambiamento, riguardano entrambi gli interlocutori: il testo spesso ci cambia. Il cambiamento prodotto dal messaggio avviene anche nel mittente, in colui che formula il messaggio. Dopo aver detto una cosa noi non siamo più quelli di prima, interviene un cambiamento delle intersoggettività. Anche Sperber e Wilson sottolineano la necessità delle INFERENZE: sono fondamentali e definiscono la pertinenza di un messaggio. Questi processi inferenziali sono molto naturali, non richiedono un particolare dispendio di energie. Un messaggio è tanto più pertinente quanto minore è lo sforzo interpretativo necessario per cogliere il messaggio, per inferire. 20 Il nostro dire è un agire in cui i nostri interlocutori non sono passivi (come aveva affermato Saussurre), ma cooperano attraverso processi inferenziali che non richiedono un grosso dispendio di energie e che permettono di scoprire gradualmente l’unico senso inteso dal mittente, la sua vera intenzione comunicativa. 14 novembre 2016 Messaggio = scambio di segni che produce senso. Il messaggio si caratterizza per pertinenza e legame con la realtà. Deve creare involvement nell’ascoltatore Senso termine polisemico: • organo percettore • capacità di discernere • significato di accezione • non realtà espressa come realtà (“Questa cosa non ha senso”) • non senso = insensatezza • “Spiegami il senso di questa azione” = motivo, scopo, fine Definiamo cosa sia il senso a partire dall’accezione di insensatezza cos’è una insensatezza? Supponiamo di essere in un bar: il cliente chiede un caffè e poi se ne va. Questo potremmo dire che sia un comportamento insensato. Ma quando un comportamento è insensato? Quando è controproducente, quando va contro un dato reale. Un comportamento insensato è irragionevole, cioè non ha ragione. Scopriamo quindi per via negativa cosa sia il senso avere ragionevolezza un fatto/un comportamento è ragionevole quando ha a che fare con la ragione. Esiste il non senso? Possiamo dire che il non senso esiste a livello metalinguistico (=discorso che si formula a ridosso della lingua stessa, cioè per spiegare un elemento della lingua utilizziamo un elemento estraneo alla lingua). [esempi di testi di non senso] Teatro dell’assurdo violazione delle regole della sensatezza. Possiamo dire che si tratti di non sensi reali? Non esiste forse un senso di fondo comunicatoci da questi testi? Nel teatro dell’assurdo c’è a tema proprio la mancanza di senso dei tempi moderni, la mancanza di punti di riferimento che diano senso alla vita. Testi di questo tipo veicolano quindi un messaggio: la percezione di smarrimento dell’uomo moderno. Il senso quindi esiste, deve solo essere rivelato a un livello più profondo. 21 Testi prodotti da malati psichiatrici criptici, difficili da penetrare e interpretare ma non insensati. Comunicano il disagio profondo determinato dalla malattia. Testi caratterizzati da non senso approdando ad un livello interpretativo più profondo risultano dotati di senso. Il non senso non può essere il livello ultimo di un testo, nonostante il livello di insensatezza intermedia. Il non senso si dà nella realtà attraverso non sensi metalinguistici, produzioni letterarie. A livello comunicativo reale, invece, non si danno non sensi. Aristotele = l’uomo è un animale destinato inevitabilmente ad avere senso. L’uomo quando comunica produce senso anche quando lede apparentemente le regolare della sensatezza. [capitolo 2.6] DIMENSIONE PRAGMATICA DEL DIRE: COMUNICARE è AGIRE La comunicazione è un’azione di natura semiotica, che ci permette di intrecciare azioni non semiotiche. Attraverso la mediazione linguistica degli atti comunicativi vengono messe in atto azioni non semiotiche. 1. Struttura dell’azione (ontologia dell’azione = facciamone emergere gli elementi costitutivi) 2. Cosa succede quando un soggetto non può compiere da solo l’azione che si prefigge (necessità dell’interazione) 3. Differenza tra interazione e cooperazione 4. Concetto di competizione FATTORI COSTITUTIVI DELL’AZIONE L’azione presuppone un soggetto agente: l’uomo = soggetto dotato di volontà e quindi capace di intervento sulla realtà. L’essere umano è capace di individuare degli scopi da raggiungere. Qual è l’origine dell’azione? Conoscenza del mondo e della realtà, della struttura della realtà, del linguaggio. Ma l’azione non scatta dalla semplice conoscenza: l’azione nasce dal desiderio = da SIDERA, stelle che i marinai non vedevano di notte ma che avevano bisogno di vedere = spinta che nasce nell’uomo a partire da una mancanza di cui il soggetto diventa consapevole. Il soggetto ha un desiderio e a partire da questo immagina uno stato di cose che soddisfi tale desiderio. La molla che fa scattare l’azione è proprio il meccanismo del desiderio. La continua insorgenza del desiderio dipende dal fatto che l’uomo patisce una mancanza e individua una serie di beni nella realtà per sopperire a tale mancanza. Immaginiamo un mondo possibile, che diventerà scopo della nostra azione: la capacità di immaginare mondi possibili che poniamo in essere dipende dalla capacità umana della sintassi = combinazione di elementi a livello linguistico. Questa abilità permette all’uomo, a partire dall’esperienza, di estrarre oggetti reali e combinarli creando situazioni nuovi. Come mai nella realtà abbiamo bisogno di intrecciare azioni? [Esempio] Supponiamo un desiderio molto semplice: un soggetto agente a casa sua desidera un caffè. Il soggetto a partire da questo desiderio immagina uno stato di cose che possa soddisfare il suo bisogno e da qui attiva una catena di realizzazioni: accende la moka ecc … 22 La lingua non è innata, ma appresa. Un primo episodio è narrato nella cronaca di Salimbene da Parma: Federico di Svevia voleva verificare con un esperimento l’esistenza di una lingua originaria, adamica, innata. Federico prese dei bambini alle madri e le affidò alle nutrici, col divieto di parlare. Salimbene narra che questi bambini, pur nutriti, morivano essendo stati privati del momento in cui qualcuno insegna le parole, mette in mano le correlazioni semiotiche, sono stati privati anche di una dimensione di benevolenza che passa in questo rapporto. È una dimensione imprescindibile > apprendimento delle correlazioni semiotiche, insegnare a dare i nomi alle cose. C’è poi l’episodio di Victor, enfant sauvage (vedi film di Truffaut), ragazzino sedicenne, trovato nei boschi del sud della Francia e cresciuto con i lupi. Lo psichiatra lo curò per cercare di risolvere la lacuna di Victor, che non sapeva parlare e non riusciva a prendere nemmeno contatto con la realtà, non riusciva a fissare alcun oggetto quando diamo un nome alle cose entriamo in rapporto con la realtà. Prendiamo in considerazione il fenomeno della CORNICE. Tutti gli eventi semiotici sono delimitati da una cornice, linea immaginaria che separa uno spazio della realtà, che coincide con l’evento semiotico, da tutto il resto della realtà. La cornice ci dice che in questo spazio di realtà circoscritto interviene la semiosi. Un fenomeno di cornice evidente è la cornice del quadro, nelle arti figurative, nel caso della semiosi iconica. Se pensiamo alle statue, il piedistallo della statua è una cornice. C’è anche la cornice teatrale o nei testi letterari: le fiabe sono introdotte da “c’era una volta”. • Cancellare la cornice vuol dire non riconoscere che di fronte al fatto fisico bisogna procedere con un processo di interpretazione. La semiosi chiede l’interpretazione. Interpretato il concetto e quindi il senso del segno linguistico possiamo individuare l’oggetto a cui questo segno rimanda: scopriamo il rapporto che si instaura tra segno linguistico e realtà. Il segno linguistico “stat pro alio” > i segni instaurano un rimando alla realtà, non c’è una coincidenza fra lingua e realtà. ci sono dei soggetti psicotici che cancellano la cornice e fanno coincidere le parole (es. quelle scritte sul menu) con la realtà (e quindi si mangerebbero il menu…) perdita della ragione, del rapporto fra suono e concetto. Attuano quella che in psichiatria si chiama “equazione simbolica”, fanno coincidere segno e realtà. Gli eventi invece vanno INTERPRETATI: una volta scoperto il concetto creiamo un rimando con il referente [stat pro alio=il segno rimanda ad altro, a un referente della realtà]. PANSEMIOTICISMO > un segno non è mai segno di qualcosa, non rimanda alla realtà ma sempre ad un altro segno. Il rimando è instaurato con l’infinito e non con la realtà. Parola “IO” > ci sono parole come io che non rimanda a qualcosa di sempre identico, ma a entità completamente diverse. 21 novembre 2016 N.B Dato dell’arbitrarietà ma allora perché indaghiamo l’etimologia di un termine? C’è una ragione nella costruzione delle parole ed è per questo possibile osservarne lo sviluppo storico nonostante, per il principio di arbitrarietà, non esista una ragione specifica per cui un certo suono sia associato a un concetto in particolare. Prendiamo la parola CUORE: se ricostruiamo l’etimologia del termine individuiamo la radice indoeuropea *KRD = radice che indica il pulsare del cuore, a partire dall’osservazione anatomica dell’organo. L’arbitrarietà sta nello scegliere una radice che è costituita da consonanti/fonemi che non hanno un legame con il concetto del pulsare (*KRD non ha una precisa connessione razionale con l’idea della pulsazione). Arbitrarietà [non c’è legame tra suono e concetto] ed etimologia non sono quindi antitetiche. Continuiamo con la correlazione semiotica Ci sono parole che non rimandano a qualcosa di sempre identico 25 ? IO Dobbiamo individuare nel contesto comunicativo chi è l’interlocutore che ha utilizzato la parola IO. Con la parola ORA descriviamo un evento momentaneo, una coincidenza temporale con il momento del discorso. Semiosi deittica [da deiknumi = indicare] Consideriamo parole come io, tu, adesso, qui, ora, così…che possono anche essere accompagnate dal gesto del parlante. Semantica istruzionale: queste parole hanno un apporto di significato che viene dalla categoria (= entità di natura linguistica che mettiamo a ridosso della realtà per poterla rappresentare). Cosa sono le parole con semiosi deittica? Una parte di significato viene per queste parole dalla categoria (se non conosciamo l’italiano non possiamo comprenderle + sul dizionario compaiono come lemmi e sono dotati di una definizione categoriale). Ma di volta in volta queste parole si precisano di significato perché non corrispondono a un concetto specifico sempre uguale a se stesso. Il significato categoriale rimanda a un’istruzione la categoria funge da contenitore per un contenuto istruttorio [IO = vai a prendere nel contesto comunicativo in cui la parola è pronunciata il soggetto che l’ha pronunciata, quello sarà l’io. ORA = il significato di “coincidenza con il momento del discorso” diventa il contenitore per l’istruzione di individuare il segmento di tempo a cui ci si sta riferendo]. Queste parole hanno un tasso minimo di significato categoriale ma si precisano grazie a un forte tasso di realismo, cioè grazie alla semantica istruzionale la realtà entra nella lingua e permette a questo parole, dotate di alto tasso esperienziale, di avere un significato specifico. Il momento della semiosi deittica evidenzia il punto di contatto tra lingua ed esperienza. LUIGI ANDREA 26 Questa penna è rossa Questa pe na è blu I due enunciati sono contradditori? NO! Nello stesso tempo una penna non può essere blu e rossa, anche se la realtà è mutevole. Va bene considerare questo fatto ma cosa possiamo dire a livello semiotico? Nei due enunciati sono presenti due deittici spaziali “questa” indica vicinanza rispetto al mittente. Ci sono poi due situazioni comunicative diverse, cioè due enunciatori che potrebbero riferirsi a due penne diverse. Ciascun mittente si riferisce alla penna che sta nelle sue vicinanze: una potrebbe essere blu, l’altra rossa. In base a che cosa diciamo che è vero che ”questa penna è blu”? Ci riferiamo all’esperienza della vista. In quanto destinatari della frase condividiamo con il mettente un contesto comunicativo grazie al quale interpretiamo il deittico. I deittici per funzionare necessitano di un contesto comunicativo condiviso. Nelle comunicazioni telefoniche infatti sono scarsamente usati i deittici. Classifichiamo i deittici 1. Diretti 2. Indiretti Deittici diretti • Pronomi personali (IO TU NOI VOI), aggettivi possessivi • Deittici spaziali (QUESTO QUELLO QUI LA’) • Deittici temporali (ADESSO PRIMA OGGI) • Deittici di maniera (COSI’) = indicano il modo in cui è compiuta l’azione, il gesto che accompagna il discorso • Deittici testuali (EGLI ELLA ESSO ESSA) = funzione particolare. Permettono di realizzare la coesione testuale. Possono svolgere la funzione retrocedere nel testo andando a riprendere un denotato istituito nel contesto precedente così da evitare la ripetizione [funzione anaforica]. A volte anticipano dei denotati che seguiranno nel testo [funzione cataforica] Esempi “Ho visto Chiara e le ho detto che domani c’è il seminario” LE grammaticalmente si tratta di un pronome personale complemento. In termini di semiosi deittica è un deittico testuale con funzione anaforica. “Ti telefono per dirti questo: è nato Saverio Enzo!” QUESTO pronome dimostrativo. Non è un deittico spaziale, ma un deittico testuale con funzione cataforica. Osservazione di BENVENISTE: come mai i pronomi di prima persona singolare e plurale non hanno genere morfologico? Riflessione sulla persona in ambito linguistico L’interazione comunicativa deve essere interpretata come un dramma tra due soggetti che agiscono e sono compresenti sulla scena comunicativa. Questo evita la necessità di specificare il genere perché gli interlocutori si vedono. Parlando di un terzo agente non compresente dobbiamo specificare il genere perché non vediamo di chi stiamo parlando. PERSONA dall’etrusco PHERSU = maschera che portavano gli attori durante la recitazione. Questo termine per metonimia ha finito per indicare i personaggi e successivamente l’essere umano. Deittici indiretti Parole che hanno una semiosi categoriale ma anche una parte di semiosi deittica. • Tempi verbali: consideriamo innanzitutto il fatto che esiste un tempo in cui accade l’evento e un tempo in cui viene pronunciato il discorso. I tempi verbali collocano gli eventi in un certo rapporto con il tempo del discorso (concomitanza, sfasatura nel passato, sfasatura nel futuro). 27 Questo è ciò che troviamo anche in un testo narrativo, in cui l’autore immagina il suo interlocutore in praesentia e intraprende con lui un’interazione verbale di tipo dialogico. • Leggi a casa gli altri brani in italiano Testo n. 4: THE OLD MAN AND THE SEA, HEMINGWAY Il titolo fa già parte del testo, è cataforico: apre un compito al testo, è la prima mossa comunicativa del testo. Questo è l’incipit del racconto. Analizziamo i deittici: HE > pronome di terza persona singolare, deittico testuale che serve per la coesione testuale. Siamo all’incipit della short stories. 1. Può avere funzione CATAFORICA: anticipa il denotato designato da “old man” 2. Visto che questo incipit ha un titolo, che si considera prima sequenza, questo HE può avere funzione ANAFORICA e quindi riprendere il denotato instaurato nel cotesto precedente, che in questo caso è il titolo: “the old man and the sea”. HE had gone > deittico testuale con funzione anaforica, riprende il denotato instaurato nella prima riga dal sintagma “the old man”. NOW > deittico temporale THEIR orders > aggettivo possessivo, terza persona plurale. È un deittico testuale, permette di evitare le ripetizioni che dal punto di vista comunicativo vanno evitate. Questo “THEIR” si riferisce a “PARENTS”: ha quindi funzione anaforica, riprende il denotato instaurato dal sintagma “parents”. Had told HIM > deittico testuale, si riferisce a “the boy”, è un deittico testuale con funzione anaforica. IT made the boy > deittico testuale. È un pronome di terza singolare. Anticipa tutta l’infinitiva “to see the old man come…”. Ha quindi funzione CATAFORICA. HE > deittico testuale, riprende il denotato instaurato dal sintagma “the boy”, così come HIM ALWAYS > deittico temporale HIS skiff > riprende il denotato instaurato da “the old man”. Ha quindi funzione anaforica. Che deittici abbiamo trovato? Scarsi temporali, molti testuali > qua siamo nell’incipit di una short stories, non ci sono dialoghi ma momenti di narratività e descrittività. Dominano quindi i deittici testuali che rendono il testo coeso, evitando ripetizioni. Non ci sono quindi, giustamente, deittici personali che presuppongono interlocutori. 28 novembre 2016 Fattori costitutivi della comunicazione verbale: 1. Semiosi (categoriale e deittica) 2. Inferenza 3. Ostensione 30 Mio figlio non guida. È sposato. Mio figlio non guida. Ha 5 anni. Nel primo caso percepiamo un senso unitario che tiene insieme le due mosse comunicative, sono cioè tenute insieme da un nesso causale. Possiamo ricostruire un nesso logico che permette la compresenza delle due mosse comunicative. Non abbiamo messo in atto la semiosi, ma abbiamo attuato un’inferenza. A partire da messaggi espliciti abbiamo ricostruito un senso taciuto, aggiungendo qualcosa di nuovo. Nel secondo caso avvertiamo invece una lesione. Ci aspetteremmo che quanto segue nel testo giustifichi quello che è stato precedentemente affermato ma questo non avviene. Avvertiamo che la seconda mossa comunicativa disattende le aspettative. [esempio] A: i denti! B: sta finendo In quale situazione extralinguistica ci troviamo? Ci viene da supporre che i due soggetti sono probabilmente un dentista e un paziente. In realtà si tratta di un genitore che invita il figlio a lavarsi i denti (messaggio direttivo). B capisce nonostante l’ellissi quale sia il messaggio e sa che chiedendogli di lavarsi i denti il genitore lo invita ad andare a dormire. A sua volta replica in modo ellittico: (il cartone) sta finendo! andrà a dormire solo alla fine del cartone. I due soggetti interagiscono capendo cosa ci sia a tema del messaggio per inferenza. Inferenza = procedimento per cui da un’informazione data l’interlocutore ricostruisce tutti i sensi non dati. È infinitamente di più ciò che il mittente lascia ricostruire rispetto a ciò che esplicita; questo perché tra mittente e interlocutore c’è una cooperazione. Questa dose massiccia di inferenza dipende dal common ground: tanto più è estesa la condivisione di esperienza tanto più è possibile l’inferenza del messaggio. [Qualche esempio] Piove. Non esco Al posto del segno di interpunzione possiamo inserire “quindi” nesso consequenziale. I connettori logici possono sussistere o meno. Nel caso in cui manchino è necessario mettere in pratica l’inferenza. Bruto è figlio di Cesare Cosa inferiamo? Casare è più anziano di Bruto. A: quando arriviamo in cima? B: dammi lo zaino! Un messaggio per essere comunicativamente efficace deve essere pertinente. La lesione della massima della pertinenza fa però scattare l’inferenza. Alla richiesta di A di un orario B risponde offrendosi di portarle lo zaino. A ha infatti inferito la propria stanchezza e una richiesta di aiuto. Estensione dell’ inferenza nella comunicazione • Inferenza decisive nei testi argomentativi. Esempio: l’entimema • Inferenze volute e non volute A: stasera vieni in piscina? B non descrive semplicemente il suo B: sono raffreddata stato di salute, ma declina l’invito. 31 L’inferenza è voluta per evitare un rifiuto Meridionale però gran lavoratore inferenza non voluta determinata solo da un “però” Inferenza e principio di buona volontà • opera nel destinatario ma anche nel mittente • principio di cooperazione di Grace • il procedimento di comprensione è un processo euristico, di continua scoperta • principe de charité di Moeschler • rischio dell’interpretazione: il processo di scoperta è ad alto rischio. Le inferenza vengono ricostruite con un certo tasso di rischio. L’inferenza del mittente potrebbe essere diverso da quello recepito • esperimento della doppia traduzione: il processo di comprensione di un testo non è una semplice decodifica. Prendendo un romanzo in una lingua1 e traducendolo in una lingua2 e operando poi una retroversione dovremmo ottenere un romanzo identico a quello di partenza. Otteniamo invece una versione diversa. Questo perché traducendo si mette in pratica l’inferenza, cioè si interpreta, non si decodifica semplicemente “Che bello! Ho fatto un incidente!” a partire da questo messaggio opera in noi un processo di interpretazione e andiamo alla ricerca del senso. Attuiamo inferenze anche audaci. Caso di vantaggio a livello di assicurazione? Oppure: cambiando il tono può cambiare anche il senso (tono ironico per esempio, che dissimula la nostra intenzione comunicativa. Inferiamo il contrario di quello che stiamo dicendo). Potremmo anche ipotizzare che a parlare sia un masochista. Tipologia di inferenze: comunicative e comunicate Inferenza comunicativa = a partire da elementi linguistici, che fungono da indizi, presenti nel testo ricostruiamo un’informazione taciuta [Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio inferiamo che i due siano amici] Inferenza comunicata = esplicitazione dell’inferenza attuata [Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio. Perciò lo conosceva] A: io non voto ancora B: hai meno di 18 anni L’inferenza diventa per B contenuto del messaggio; coincide con la seconda mossa comunicativa di un dialogo. L’inferenza può cioè costituire uno strumento per la composizione di messaggi. Appena chiusa la porta, Paolo di occorse con orrore di aver dimenticato le chiavi. Cosa inferiamo? È chiuso fuori casa, la porta è a scatto, Paolo è l’unico della casa a è possedere le chiavi e non può recuperarle da altri. Dimenticato inferiamo che un attimo prima aveva intenzione di prendere le chiavi. Con orrore non c’è possibilità di reperire in alcun modo le chiavi. Inferenza decisiva anche nella comunicazione non verbale Ricorriamo all’inferenza anche avendo a che fare con la semiosi non verbale. Pensiamo alle inferenza sensoriali che si attuano quando i nostri organi percettori entrano in contatto con la realtà (un esempio sono le illusioni ottiche oppure gli incidenti aerei provocati da errate inferenze uditive tra pilota e torre di controllo). Di fronte alla Sagrada Familia, guardiamo il portale della Natività: tre angeli che suonano strumenti medievali tra cui un’arpa priva di corde. Non ha scolpite per ragioni pragmatiche? C’è consapevolezza in questa realizzazione? Un artista si appoggia sull’inferenza nel momento della ricezione della suo opera: decidendo se scolpire o no le corde sceglie di non farlo perché realizzando le corde non 32