Scarica La Divisione del Lavoro e l'Organizzazione Scientifica: Taylor, Ford e il Nuovo Modello e più Sintesi del corso in PDF di Management Pubblico solo su Docsity! lOMoARcPSD|4537729 Le organizzazioni e il management: teoria, modelli e progettazione Favretto che cosa intende per ‘management’ o la sua radice ci porta all’uso che si fa di questa parola in alcuni ambienti Si dà per scontato che il manager sia qualcuno che ha un ruolo di responsabilità. o Secondo l’approccio Favrettiano non è sufficiente essere responsabili di un gruppo per essere davvero manager perché esistono vari modi di essere all’interno di un gruppo, ma ne esiste uno che fa la differenza, ovvero l’essere davvero un manager o Il management richiama a una parola che in italiano ricorda i cavalli, ovvero ‘maneggio’ il luogo in cui si fa il vero e proprio management Questa metafora di Favretto indica che il management è un’azione di conduzione, come ciò che si fa nel maneggio, un luogo in cui si guida, si conduce È una situazione in cui c’è chi conosce l’oggetto che sta guidando e lo guida verso qualcosa, un luogo, un obiettivo Chi sta alla guida è colui che ha gli strumenti per guidare (briglie, staffe…), però tendenzialmente è invitato a conoscere il cavallo Bisogna avere gli strumenti e bisogna conoscere l’oggetto che si sta conducendo Quindi management inteso in questo senso presuppone l’abilità sia di usare gli strumenti di conduzione, sia (formazione di tipo psicologico organizzativo) l’abilità di conoscere l’oggetto che si sta guidando idea dell’umano che ho davanti e cambiare approccio in relazione a chi ho davanti o Tutto ciò alla luce di un modello di studio che accompagna lo studio da un punto di vista storico modo diverso di leggere umano nell’organizzazione Taylor + man a mano sempre più socialità + come conduco = comunicazione scelte di organizzazione del lavoro che metto in atto nella mia impresa – per permettere management – chi conduce e chi è condotto verso diversi obbiettivi percorso storico o È un manuale di sviluppo del pensiero di organizzazione del lavoro, cioè come si può condurre una risorsa alla luce di come l’umano è stato visto nell’evoluzione del pensiero dell’organizzazione del lavoro, cioè il management. o dati 99,9% PMI quando parliamo di PMI Il testo di Favretti ci cerca di fare capire cosa vuol dire la parola ‘organizzazione’. o Organizzare vuol dire razionalizzare, ordinare, coordinare, velocizzare, catalogare, interpretare, semplificare, progettare ruoli – superiori vs inferiori ogni volta che usiamo questo termine lo usiamo pensando ad una sola parte del suo significato. o Il termine deriva da terminologie antiche come ‘organon’ (utensile) ‘formare organi’, ‘accomodarsi’ organizzazione è anche un mezzo nei nostri giorni ‘organizzare’ vuol dire preparare, disporre. o Organizzare significa differenziare per poi integrare Significa che per poter organizzare, per lOMoARcPSD|4537729 esempio un evento, una festa, la prima cosa che ci viene in mente è ‘chi fa cosa?’ qualcuno si occupa della musica, qualcuno del cibo ognuno è incaricato di fare un pezzo di questa organizzazione (=differenziare) Ma se poi non ci si trova insieme per unire musica, cibo etc. questa non è stata integrata. o Quando noi ragioniamo con il termine organizzazione ci troviamo davanti a due modi di leggere questa cosa 1. Se ci affidiamo a un modello più ‘economico-razionale’ ci troviamo davanti a una serie di definizioni che tendono ad irrigidire l’organizzazione Riusciamo a descriverla più facilmente. (ad esempio, quell’organizzazione è fatta da quello stabilimento, quegli impianti etc. è una definizione che può soddisfare ma non è completa) burocratica e razionale regole Max Weber vide nella burocrazia la forma massima di organizzazione conduzione si basa su regole, regolamenti idea che si può rendere sistemi così burocratizzati – idea tipo – influenzata però da altre variabili quindi vengono prestate attenzioni diverse – per individuare variabili, per permette che le organizzazione raggiunga risultati con diversi mezzi 2. Come a volte invece scegliamo di descrivere le organizzazioni più per le cose che si svolgono al suo interno allora ci troveremo davanti a entità che non hanno stabilimenti, capannoni, mezzi o grandi numeri di risorse, come un’associazione Più agli elementi descrittivi che prescrittivi dell’organizzazione. o Vi sono dentro l’organizzazione dei ruoli necessari per condurre con gli strumenti adeguati l’umano che c’è al suo interno (manager, management) Posso descrivere i processi organizzativi attraverso due macro aree di attività che si svolgono nell’organizzazione differenziare e integrare posso leggerle attraverso modelli più rigidi, più meccanici o più attraverso ciò che avviene all’interno dell’organizzazione Questo per dire che si può scegliere un modo per approfondire il tema del management da diverse sfaccettature Quello proposto dalla prof. è quello in cui tentiamo di mettere insieme gli elementi più sociali, trasversali, più soffici, più le cose che animano l’umano che conduco e un po’ meno entreremo nei meriti degli elementi ‘hardware’ (economico e più burocratico/tecnologico). o Organizzazione come un qualcosa composto da gruppi e individui che si uniscono per raggiungere uno scopo, si dividono i compiti e li integrano per potere raggiungere gli obiettivi comuni. o Definizione proposta dal testo di Favretto Organizzazione = insieme di risorse (materiali, immateriali e umane), governato da un sistema di leadership e dotato di un programma (norme, regole e procedure) che serve a determinarne la mission e la vision. Le organizzazioni input viene elaborato per produzione di output (tangibile, intangibile, valori – norme) lOMoARcPSD|4537729 posso dare qualcosa, ma l’organizzazione mi darà delle sue regole Lo facciamo perché tornerà indietro Quel qualcosa sono gli elementi di soddisfazione di alcune motivazioni che in quel momento mi sembrano importanti Questo però mi può dare un momento di ‘sofferenza’ in cui non sempre trovo quello che volevo. Maggi sottolinea la necessità di strutture costrittive perché ogni volta che qualcuno mi dà un compito o delle responsabilità in qualche modo mi limita. Mi indica dove, come e quando raggiungere gli obiettivi. Parso costruzione di piccoli fini, specifici per soddisfare i bisogni di società, individui che compongono queste organizzazioni Sistema organizzativo (unità complessa) costruito per raggiungere i fini che servono a soddisfare i bisogni di società e individui Struttura ordinata in cui gli elementi sono in relazione tra loro e operano per un determinato fine Sottolinea che ci sia un ordine, una situazione pianificata, quando dice che è una struttura in cui tutti gli elementi che la compongono sono tra loro legati e operano per un fine macro, specifico, definito per tutti. Fine anni 90: Zucchermaglio sottolinea l’elemento per cui l’organizzazione può essere una comunità di pratiche Non sempre e fisicamente le persone si trovano a creare un macro-obiettivo, ma magari si trovano in situazioni diverse e si riuniscono in queste comunità (che si impegnano reciprocamente e individuano un fine comune) per condividere ciò che hanno messo in atto nelle singole situazioni, e si fondono Senza diventare una vera e propria impresa Le organizzazioni non coabitano neanche nello stesso ambiente Immaginiamo ciò che può essere successo quando vari ricercatori in varie zone del mondo studiavano come studiare una cura per una certa malattia Condividendo le loro varie pratiche, creano una organizzazione che non si vede, non si tocca ma permette tramite l’impegno e la percezione (di avere un fine), un fine comune (curare la malattia). Il tema delle organizzazioni è ricco e variegato. Ci lascia più dubbi che risposte. Una definizione molto pratica sottolinea i 4 elementi che pian piano abbiamo visto apparire. Dice le organizzazioni sono 1. entità sociali non possono esistere sistemi organizzativi senza la partecipazione degli umani. L’energia, l’efficienza deriva dal fatto che sono entità sociali 2. guidate da obiettivi (si radunano per raggiungere un obiettivo, che poi viene spezzettato in obiettivi minori); 3. progettate (disegnate, costruite) come sistemi di attività deliberatamente strutturati e coordinati. (i sistemi di attività sono codificati in maniera deliberata, ovvero vi è una volontà vera e propria. Se voglio modificare un’attività, devo passare di nuovo attraverso una decisione); 4. che interagiscono con l’ambiente esterno. (le organizzazioni sono immerse all’interno di un ambiente che le può influenzare, e l’ambiente è fatto da tante variabili, come strutture, tecnologie, elementi di lOMoARcPSD|4537729 migrazioni…) o Le organizzazioni tra loro sono progettate. Per progettare questi sistemi di attività, le organizzazioni si configurano tramite due grandi ambiti di dimensioni: dimensioni strutturali quelle etichette, come la formalizzazione, specializzazione, gerarchia, centralizzazione che ci permettono di descrivere le caratteristiche interne di un’organizzazione e creano le basi per misurare e confrontare le organizzazioni. Le dimensioni strutturali ci permettono di confrontare le organizzazioni tra loro (gerarchiche, più formali o meno, centralizzate…) fattori contingenti quegli elementi più ampi che influenzano le dimensioni strutturali e che permettono di conoscere di più e di progettare un’organizzazione. Per esempio, la dimensione (piccola/media/grande impresa), la tecnologia, l’ambiente, obiettivi e strategie, cultura. Queste due dimensioni ci permettono di descrivere l’ambiente organizzativo in maniera più completa. Dimensioni strutturali 1. LA FORMALIZZAZIONE La quantità di documentazione scritta che riguarda l’organizzazione (procedure, mansionari, regolamenti, manuali, linee di condotta) Questi documenti scritti descrivono comportamenti e attività. Una misura della formalizzazione si può avere semplicemente contando il numero di pagine della documentazione Le grandi università statali, ad esempio, tendono ad avere un alto livello di formalizzazione Una piccola attività a gestione familiare, d’altro canto, può operare quasi in assenza di regole scritte, e sarebbe pertanto considerata informale. 2. LA SPECIALIZZAZIONE è il grado in cui i compiti organizzativi vengono suddivisi tra posizioni lavorative separate Se la specializzazione è alta, ogni dipendente svolge solo una ristretta gamma di compiti; se è bassa, i dipendenti svolgono un’ampia gamma di compiti nei rispettivi lavori Ci si riferisce talvolta alla specializzazione come alla “divisione del lavoro”. Quando c’è alta organizzazione vuol dire che c’è una persona che occupa un ruolo molto specifico Invece quando c’è bassa specializzazione i ruoli sono intercambiabili fra loro. 3. LA GERARCHIA È necessario trovare dei luoghi in cui questa specializzazione si riunisce Si riunisce attraverso la gerarchia, che ci dice chi controlla chi in una struttura. Descrive chi riporta a chi e l’ambito di controllo (span of control) di ogni manager La gerarchia è descritta in un organigramma da linee verticali (vedi figura 1,3). Essa è collegata all’ambito di controllo (il numero di impiegati che riportano a un superiore): quando gli ambiti di controllo sono limitati, la gerarchia tende a essere lunga quando sono ampi, la gerarchia sarà lOMoARcPSD|4537729 più “corta”. 4. LA CENTRALIZZAZIONE Si riferisce al livello gerarchico che ha l’autorità per prendere decisioni. Quando l’attività decisionale è ristretta ai livelli superiori, l’organizzazione è centralizzata; quando le decisioni vengono delegate a livelli organizzativi più bassi, è decentralizzata. Decisioni organizzative che possono essere centralizzate o decentralizzate comprendono l’acquisto dei macchinari, la determinazione degli obiettivi, la scelta dei fornitori, la fissazione dei prezzi, l’assunzione di dipendenti e la definizione delle aree territoriali di marketing. Le dimensioni della progettazione organizzativa Le organizzazioni sono descrivibili attraverso le loro dimensioni strutturali formalizzazione, specializzazione, gerarchia, centralizzazione Sono le dimensioni che ci permettono di descrivere le etichette interne delle organizzazioni per poterle confrontare nelle pmi – queste sovrastrutture sono più soft Poi ci sono i “fattori contingenti” o che sono quegli elementi più ampi che permettono di descrivere e di conoscere le caratteristiche dell’organizzazione che possono influire sulle dimensioni strutturali. o Quindi parliamo di obiettivi e strategie, ambiente, cultura, dimensione e tecnologia. o Sono quei fattori che sia dall’esterno che dall’interno ci permettono di definire e confrontare tra loro le organizzazioni. 1. LA DIMENSIONE È la misurazione che ci dà una immagine dell’impresa dal punto di vista delle sue componenti Tendenzialmente, essendo le organizzazioni delle entità e dei sistemi sociali come abbiamo visto, la dimensione viene tipicamente misurata tramite il numero di dipendenti. Altre misure sono fatturato, bilancio, valore, il numero degli stabilimenti, delle sedi e ci indicano la grandezza dell’organizzazione ma non indicano la dimensione della sua componente umana infatti la dimensione viene definita di solito per il numero degli addetti che lavorano all’interno di queste lOMoARcPSD|4537729 posizione in una rete di relazioni sociali’ o ad esempio il ruolo del figlio. Il ruolo del genitore. Il ruolo del fratello. Il ruolo del nipote. Ci muoviamo dentro questi ruoli sociali. Quando ci si presenta come ‘figlio’, qualcuno si aspetterà che come ‘figlio’ allora ci si comporti in un certo modo o RUOLO ORGANIZZATIVO: ‘lo spazio di attività affidato ad una persona che occupa una determinata posizione all’interno di un sistema organizzativo e definito da un obiettivo fondamentale’. o COMPITO: è un’attività lavorativa definita con precisione e assegnata a una persona. o Il ruolo organizzativo è la cella. Il compito è ciò che sta dentro la cella. Ad esempio, il fatto che dentro al ruolo ‘addetto alle spedizioni ci siano una serie di compiti. [Organigramma con le celle. Le etichette sono i ruoli organizzativi. (le posizioni, come consulente, direttore AAA, specialista di programmi, etc…) Le linee orizzontali indicano livelli di collaborazione. Ogni ruolo è una cella che sta sopra, sotto o si sposta in base al disegno che un’organizzazione ha scelto LE AREE DEL RUOLO ORGANIZZATIVO: Si dice che ogni ruolo abbia una parte che si può PRE-SCRIVERE, cioè che posso scrivere prima, che posso dettagliare il più possibile È prescritto l’obiettivo e anche le modalità In altri casi, il come è difficilmente prescrivibile Io posso dire a un docente che deve stare dentro a un semestre in tot date, dato orario… però data la libertà di insegnamento io non posso dire ad un docente come fare lezione. Gli posso solo dire che deve fare lezione. È il come che non può essere prescritto. Quindi c’è una parte nei ruoli organizzativi che è identificabile prima, ma non immaginerò mai tutto ciò che può succedere in un ruolo, ad esempio, di contatto con un cliente Questa è la parte DISCREZIONALE, che può essere più o meno ampia in base al ruolo. A volte le persone hanno anche la possibilità di aggiungere degli elementi di INNOVATIVITA’ di fare qualcosa di più e di diverso che può migliorare il ruolo organizzativo Un qualcosa che poi può diventare buona per occasioni simili La parte innovativa è quella parte che si lascia fare alle persone andando ad accalappiare la loro abilità di trovare soluzioni a problemi che non si erano immaginate ma che poi diventano molto utili in altre situazioni. RUOLO PRATICATO le persone applicano il proprio ruolo I comportamenti messi in atto, praticati da una persona sono in linea con quelli ATTESI dalla configurazione del ruolo organizzativo. Ci possono essere dei disallineamenti: i comportamenti messi in atto dalla persona non sono sufficienti a soddisfare le attese dell’organizzazione (sia di tipo contrattuale, che quelle aspettative che non sono sempre nero su bianco) Si deve far sì che il praticato coincida il più possibile con l’atteso. lOMoARcPSD|4537729 La teoria organizzativa fornisce gli strumenti per comprendere, progettare, e gestire le organizzazioni più efficacemente, studiando aspetti come l’adattamento a un ambiente mutevole, la gestione di dimensioni e complessità crescenti, i conflitti interni e il coordinamento e la creazione della cultura giusta per raggiungere gli obiettivi. CAP. 7 Favretto altro documento Word. lezione 3 MANAGEMENT E COMUNICAZIONE PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE – PARTE 2 CAP. 8 – Organizzazione scientifica del lavoro per lo sviluppo delle risorse umane Quali sono le prime occasioni di applicazione dentro le attività produttive della divisione del lavoro. La divisione del lavoro è la modalità scelta per arrivare all’efficacia e all’efficienza. ADAM SMITH – DIVISIONE DEL LAVORO (1776) o Si rende conto che il lavoro anche molto semplice della produzione degli spilli può essere osservato e scomposto proprio nelle sue parti più semplici per moltiplicare la resa o Si rende conto che l’attività di fabbricazione di uno spillo può venire scomposta in 18 operazioni. All'interno di una fabbrica artigianale di produzione dello spillo Smith osserva che le attività venivano realizzate dagli operai e in base alla non praticità, al livello di apprendimento della tecnica che l’operaio aveva avvenivano diversi livelli di produzione Un operaio non addestrato non riesce a fare più di 20 spilli al giorno, per esempio Maggiore è l’esperienza, maggiore è la produttività (efficienza ed efficacia) Smith si chiede come ridurre questa variabilità legata all’esperienza e alla capacità specifica. Nella fabbricazione dello spillo l’attenzione è concentrata sulla possibilità di scomporre l’attività in compiti e quindi dice “ne possiamo immaginare fino a 18”, questi sono suddivisi all’interno della manifattura ed affidate a persone diverse. o Si parla di specializzazione del singolo operaio sulla singola fase di fabbricazione dello spillo. Quindi andando a misurare rapporto tra orario, operaio, materiale usato e produttività si riesca a misurare che le persone da circa 20 (minimamente esperti) arrivino a produrre più di 4800 spilli al giorno. o La possibilità di dividere e combinare le diverse operazioni (divisone e integrazione) permette di avere un aumento della produttività e una serie di elementi. o Il pensiero di Smith si concentra su tre principi: 1. Aumento della destrezza la capacità, l’abilità del lavoratore aumenta a mano a mano che il suo compito viene realizzato 2. Risparmio di tempo nel fatto che a mano a mano che si diventa abili in qualche cosa, si risparmia tempo, si diventa più veloci 3. Incremento produttività la divisione del lavoro diventa uno dei principi: un’adeguata divisione delle diverse operazioni. lOMoARcPSD|4537729 o Lato negativo però: “un uomo che spende tutta la sua vita compiendo poche e semplici operazioni non ha nessuna occasione di applicare la sua intelligenza o di esercitare la sua inventiva a scoprire nuovi espedienti per superare difficoltà che non incontrerà mai” Se il taglio dello spillo è sempre lo stesso, la modalità è sempre la stessa, non ci saranno variazioni che mi inducono a trovare nuove soluzioni per risolvere un problema È innaturale mettere l’essere umano a svolgere queste semplici operazioni. Marx circa un secolo dopo (1867) sottolinea che “la fastidiosa uniformità di un lavoro senza fine, generata da un lavoro meccanico sempre uguale, rassomiglia al supplizio di Sisifo La stessa facilità del lavoro diventa una tortura, in questo senso: che la macchina, mentre non toglie lavoro all’operaio, spoglia il lavoro di ogni interesse”. Ci troviamo davanti ad esigenze di tipo produttivo Nasce alla fine dell’800 questa necessità dal punto di vista produttivo Si innesta una figura importante nella storia dell’organizzazione aziendale, e soprattutto nella divisione del lavoro, che è Frederick Winslow Taylor. TAYLOR (1856-1915) Il suo metodo parte non da una ipotesi di tipo teorico per essere applicata, ma il suo approccio è di tipo induttivo, ovvero BOTTOM-UP (dal basso verso l’alto): dall’osservazione, dalla sperimentazione fino ad arrivare ai principi. Questo rende onore a Taylor di aver per la prima volta studiato in maniera scientifica (organizzazione scientifica del lavoro – scientific management) cioè permette di conoscere il lavoro, di analizzarlo, di scomporlo, di sperimentare qual è il metodo migliore e quindi di applicarlo in situazione produttiva. Biografia ha fatto degli studi di tipo umanistico, ma vi rinuncia perché ha problemi alla vista Si dedica ad un’attività operativa, ovvero fa il tornitore Mentre lavora diventa capo squadra, riesce a studiare e laurearsi in ingegneria meccanica e diventa consulente nelle imprese La sua attività è sempre orientata a razionalità del lavoro, al fine di intervenire e cambiarne le caratteristiche per renderle più efficaci Quindi nella sua vita si applica a trovare come l’uomo possa essere messo nelle migliori condizioni per dare alla sua impresa una produttività efficace ed efficiente. A lui viene dato atto che è il primo sforzo sistematico di comprensione ed analisi del lavoro. È il primo a mettere a punto un metodo di studio, sperimentazione e applicazione dell’organizzazione del lavoro. Per cui è anche scientifica. è un esempio concreto di modelli scientifici applicati al mondo del lavoro. All'industria vera e propria. Studiò il rapporto uomo/strumento Uno dei suoi obiettivi principali è quello di studiare un rapporto tra l’uomo e lo strumento che gli permetta di individuare la maggiore compatibilità tra le caratteristiche muscolari dell’individuo e le caratteristiche strutturali dello strumento Al college progettò una racchetta allo scopo di renderla più efficace e maneggevole: da un lato più compatibile con l’utilizzatore, dall’altro meno resistente all’impatto provocato dal movimento che gli veniva fatto compiere. lOMoARcPSD|4537729 Si dà alla persona la possibilità di comprendere quanto sta producendo (gli viene dato un continuo feedback relativo a quanto sta realizzando e il tempo che sta utilizzando) Esistono delle figure che nell’organizzazione permettono al lavoratore di capire se sta all’interno dei suoi tempi (verrà identificato poi come ‘cronometrista’). Viene a cambiare anche una serie di relazioni all’interno dell’organizzazione Non c’è più una gerarchia basata sull’anzianità o sulla nobiltà o ricchezza, ma anche in base alle occasioni che una persona ha di dimostrare che è preparata. Gli elementi fondamentali del modello scientifico di Taylor sono quello di aver per la prima volta applicato un’analisi sistematica di studio dei tempi (suddivisione dell’attività nella giornata e uso di pause) e dei movimenti (Quali movimenti utilizzare e con quali strumenti) Inversamente proporzionali efficienza e fatica. [si tende a pensare che più sono affaticato, più ho prodotto. Ma già con Taylor si mette in dubbio questa relazione si può aumentare l’efficienza diminuendo la fatica]. Risultati modello scientifico: 1. Aumento dell’efficienza dell’operaio in tutta la giornata (e non in un determinato orario del giorno). La produttività e l’efficienza è un elemento organizzato in maniera più longitudinale che verticale. 2. Riduzione del senso di affaticamento – l'operaio Schmidt viene coinvolto nel segnalare se le cose che venivano fatte lo inducevano a sentire più o meno affaticamento 3. Aumento del salario – si produce di più, si guadagna di più Si innesta un meccanismo per cui al lavoratore più viene richiesto, più viene retribuito. Il modello prevede 4 passaggi (principi della organizzazione scientifica del lavoro/scientific management = modalità con cui ho scelto di condurre il mio lavoratore in relazione all’idea che ho dell’operaio e degli strumenti che ho a disposizione) - dice che esistono: o 1. One best way: il modo migliore per svolgere una specifica attività lavorativa, per conoscerlo devo scomporre il ciclo di lavoro in elementi analitici, ricombinare questi nel modo più economico e razionale. Questa one best way per Taylor si raggiunge studiando ogni singolo ciclo di lavoro. (=non esiste una one best way trasferibile, esiste una one best way per quel ciclo di lavoro specifico). o 2. The right man to the right place: accogliere l’operaio più idoneo a svolgere il lavoro o 3. Analytic training : addestrare l’operaio a lavorare secondo le istruzioni sulla esecuzione e sui tempi di pausa prefissati. o 4. Differential rates : retribuzione adeguata ad ottenere il massimo rendimento, ossia pagare sopra la media abituale chi lo raggiunge. TAYLORISMO Una interpretazione che viene data leggendo i risultati dell’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, estraendo l’uomo come è all’interno dell’organizzazione. Taylor nei suoi testi non parla di queste cose, parla di come organizzare l’attività lavorativa. L’uomo dentro queste organizzazioni è definito ‘razionale economico’ - cioè un essere umano che se non lOMoARcPSD|4537729 viene spinto, controllato, organizzato, misurato, premiato e punito rifiuta il lavoro e rifiuta le responsabilità. Non lavora se non vede un premio finale, se non ne vede l’utilità. Non lavora adeguatamente se non gli viene data l’istruzione adeguata Si individuano dei difetti, delle critiche su come il modello di Taylor possa aver disegnato l’uomo dentro le organizzazioni. Secondo queste critiche, se ci si concentra sulla one best way, si può intendere che l’uomo deve essere sempre da altri organizzato; che debba essere premiato e punito, e che debba essere controllato. Deve esistere sempre una figura superiore che lo controlli. Quindi, questa divisione tra chi ha la testa nel lavoro e chi ha solo le braccia è un po’ forzata. Altre critiche: ci saranno altre persone responsabili di un’attività e non chi la sta svolgendo. Chi supervisiona non è la stessa persona che sta realizzando il lavoro Si vengono a delineare dei livelli organizzativi che distaccano in maniera innaturale tra chi pensa (chi ha la responsabilità di creare il modo di organizzare il lavoro) e chi lo realizza. col taylorismo nasce una nuova organizzazione di tipo piramidale basata su un modello razionale scientifico L’assunzione è che i detentori della razionalità siano diversi dagli esecutori Con questo corollario Taylor introduce un altro tipo di POTERE: basato sulla sua radice tecnico-scientifica Il potere della competenza. In questo quadro di cambiamento nasce la figura del quadro intermedio, tecnico, e quindi la distinzione tra manager ed executive. Questa nuova classe sociale basata su competenze e tecnica crea nuovi lavori. Principi dello Scientific Management: 1. sviluppo di un’impostazione scientifica del lavoro che sostituisce i vecchi metodi empirici in base ai quali gli operai svolgono le proprie mansioni 2. constatazione che il raggiungimento di obiettivi ottimali porta ad aumenti di stipendio, mentre la mancata realizzazione porta a perdite di guadagno 3. selezione scientifica nell’ottica del miglioramento progressivo del lavoratore (connubio scienza / lavoratori selezionati e addestrati in base a criteri scientifici per ottenere i migliori risultati possibili) 4. ripartizione uguale del lavoro e delle responsabilità tra management e lavoratori, che si trovano così a collaborare strettamente e ad essere interdipendenti lezione 4 Capitolo 8 – Organizzazione del lavoro per lo sviluppo delle risorse umane (lez. 5-riguarda video: riassumono bene) Vedi testo su Taylor. [Rapporto oxi ?] Ci troviamo davanti a organizzazioni che hanno nuovi strumenti e che si trovano a gestire nuovi ambienti Il testo ci propone la nascita della produzione di massa Ci troviamo in un momento dell’economia (fine 800 e inizio 900) nel quale c’è un cambiamento anche dal lOMoARcPSD|4537729 punto di vista sociodemografico e socioeconomico. LA PRODUZIONE DI MASSA: H. FORD (1863-1947) USA Agli inizi dell’800 prima della Rivoluzione industriale – è caratterizzata da 1. Enormi risorse naturali 2. Scarsa forza lavoro 3. Scarsa dotazione tecnologica Alla fine dell’800 – è caratterizzata da 1. Grande disponibilità di risorse naturali (legname, acqua, minerali, carbone, oro...) 2. Poderoso incremento demografico (grande aumento di popolazione, dovuto sia al miglioramento di condizioni di vita per gli abitanti degli USA, ma soprattutto ai grandi flussi migratori che permettono agli USA di aumentare in maniera poderosa la presenza di disponibilità di persone che possono lavorare). 3. Indipendenza tecnologica dall’Europa (aumenta la dotazione tecnologica, si irrobustisce nelle aziende statunitensi) Sono i primi simboli della produzione di massa H. Ford ha applicato in maniera massiccia la organizzazione scientifica del lavoro È colui che interpreta anche una scelta di tipo imprenditoriale in cui si realizzano le sue competenze. Nasce del 1963 in una fattoria da una famiglia di contadini, dalla quale fugge quando è giovane per vivere in città. Il suo interessa era per le macchine. Nel tempo libero si dedicava all’assemblaggio dei pezzi. Va a vivere a Detroit dove trova lavoro. Dopo aver acquisito competenze, dimostra una spiccata capacità di operare nella comprensione, negli elementi della motoristica. Riesce poi a creare la sua azienda di produzione delle automobili Importanza automobili nella storia dell’industria: esiste uno studio dello sviluppo dell’industria collegato allo sviluppo dell’industria automobilistica Infatti, molti cambiamenti instillati nell’industria automobilistica sono stati poi traslati in altri tipi di produzione Le scelte che fa Ford come una delle prime industrie automobilistiche che trasforma in un prodotto di élite in un prodotto di consumo di massa fa sì una trasformazione nell’organizzazione del lavoro e dell’industria, ma incide anche dal punto di vista sociale. I principi della produzione di massa uniti ai principi del scientific management fanno sì che le scelte dell’azienda fordista diventano delle scelte che cambiano anche gli elementi di tipo socio-economico. Prima della produzione di massa di H. Ford, l’automobile era un prodotto personalizzato. Erano modelli che portavano i nomi delle persone per le quali sono state create. Ford fa un incrocio: ipotizza che la produzione di massa possa unirsi all’organizzazione scientifica del lavoro che intanto Taylor stava sperimentando Quindi applica i principi dello scientific management con l’obiettivo di far sì che sia possibile far comprare al lavoratore che la produce l’automobile che ha prodotto lOMoARcPSD|4537729 effettuata dalla macchina, che avvisa quando il lavoro è rallentato) Uomo estraniato dal lavoro di cui si occupa. La macchina ha un ruolo sempre maggiore. Innaturalità (che secondo Favretto) ci sottolinea il fatto che il lavoratore si sta staccando dal suo lavoro Questo distacco, detto “disaffezione” porta il lavoratore a fare delle cose, ma non si sente partecipe del lavoro che sta svolgendo Consapevolezza di un proprio potere anti-produttivo: la nuova organizzazione di fabbrica muta le modalità degli scioperi di massa e dà all’operaio un altissimo potere che mai, prima di allora, aveva posseduto ciò crea frizioni nell’organizzazione che con l’innesto della crisi del 29 segnala che c’è qualcosa nel sistema scientifico che non fa funzionare questo perfetto meccanismo forza del sindacato, crisi economica, potere anti-produttivo e la sua consapevolezza si sgretola la relazione anche con l’organizzazione stessa. Tutto questo viene rinforzato dall’illusione di poter spostare le conoscenze dal basso verso l’alto, e quindi poi dall’alto verso il basso trasformarsi in ordini ed istruzioni. Da questi spunti nascono gli studi sulle relazioni umane, e i grandi studi degli psico tecnici. Video storia del novecento 05 1924 l’operaio alla catena di montaggio Scientific management: studi dei coniugi Gilbreth Ci troviamo in un’idealizzazione dell’organizzazione scientifica del lavoro In questo periodo nascono i soggetti di cui parleremo: Gilbreth. Sono molto presenti nella nostra vita quotidiana. Hanno la caratteristica di aver creato una serie di oggetti di uso quotidiano. Frank Gilbreth (1868-1924) e Lilian Evelyn Moller (1878-1972) vivono e operano tra la fine dell’800 e una prima parte del 900. Lui ha una vita più breve mentre lei vive quasi 100 anni arrivando agli anni 70. In una fase iniziale operano congiuntamente, poi lei lo fa in maniera autonoma. Essi creano una società di consulenza nella quale mettono appunto una serie di strumenti per applicare la loro modalità di organizzazione scientifica del lavoro perché loro entrano in una fase molto attenta delle attività lavorative andando a scomporle in “micro-movimenti”. F. Gilbreth: Muratore, poi impresario edile e ingegnere Uno dei padri efficientismo, testimone dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro Tutte le attività che lui mette in atto di studio dell’organizzazione del lavoro sono orientate alla creazione dell’efficienza massima nella relazione uomo- lavoro. Ebbe notevole influenza sul pensiero industriale del suo tempo. L. E. Moller: essendo donna, inizialmente non può dichiarare il suo genere Firma solamente con le iniziali Se avesse fatto capire di essere una donna ad occuparsi di questioni aziendali, sarebbe stata meno credibile - solo inizialmente - Fu la prima donna ad entrare all’AMSE (American Society of Mechanical Engineers) e la prima ad essere eletta all’accademia nazionale di ingegneria Pioniere dell'ergonomia, fu tra i primi ad occuparsi degli effetti della fatica e della mancanza di sonno sugli operai Inventrice, autrice, psicologa industriale, ingegnere industriale… e madre di 12 figli. lOMoARcPSD|4537729 Questa coppia riesce ad entrare nel mondo dell’industria con un approccio non orientato alla produttività, ma sono molto interessati alla creazione di strumenti, di spazi, di movimenti, di analisi del lavoro (che svolge il lavoratore) perché questo sia più funzionale al lavoratore stesso per farlo stare nel migliore dei modi nella situazione produttiva Oggi si parlerebbe di ambiente di lavoro ‘confortevole e sicuro’. Si occupano di questi in tantissimi ambienti lavorativi: settore meccanico, metallurgico (industria), ma anche edile (tanto che Frank applica alle attività lavorative del suo cantiere le organizzazioni specifiche dell’attività. Per esempio, è con lui che vengono create le impalcature, nel tessile, vita quotidiana/casalinga. Frank porta questi studi anche ad ambienti lontani dal settore industriale, come quello della sala chirurgica (uno dei figli deve essere operato alle tonsille. Frank chiede di assistere all’intervento e si rende conto che nella vita della sala operatoria viene lasciato molto all’improvvisazione e alla ricerca puntuale dell’attrezzo giusto. Questo moltiplica il tempo dell’operazione. Frank immagina e studia tramite l’osservazione dei movimenti dei chirurghi la creazione di spazi in cui venivano posizionati gli attrezzi nell’ordine in cui potevano essere utilizzati). Loro riescono a tradurre il modello dell’organizzazione scientifica del lavoro puramente industriale a un modello di organizzazione scientifica quotidiana della vita e del lavoro in diversissimi ambienti. Standardizzano le pratiche, creano il loro sistema di principi catalogato dentro l’MTM - Movimenti, tempi e metodi. Analisi di dettaglio del gesto produttivo per ricomporlo per renderlo più vicino possibile alla sua naturalità e all’efficienza di cui ha bisogno il sistema produttivo. Lilian in particolare riesce ad applicare i principi dell’organizzazione aziendale alla vita quotidiana (anche all’amministrazione della casa e all’economia domestica). Ha brevettato per esempio il mixer elettrico, le mensole all’interno del frigorifero, la pattumiera a pedale... Trasforma il concetto di ambiente di lavoro sicuro e confortevole anche all’uso della cucina Intervista e osserva migliaia di donne che lavorano in una cucina e progetta l’adeguata altezza, distanze e misure degli spazi della cucina perché siano utilizzabili normalmente, ma in particolare adatta gli ambienti alle persone con difficoltà di tipo fisico e chi non deve fare sforzi. L'essere umano inizia ad essere tenuto in considerazione nella progettazione degli ambienti di lavoro (qualunque!) affinché questo sia il più possibile vicino alle sue esigenze. Secondo il principio dei Gilbreth non usare tutto ciò che si ha a disposizione è sinonimo di inefficienza [es: dita da utilizzare per scrivere al pc: 10] Se ho 10 dita e ne uso 10 sarò più efficiente (ho usato tutte le risorse a disposizione) e rispetto una naturale armonia del corpo che sta bene se uso in maniera coerente tutte le parti che ho a disposizione. Una gran parte del lavoro dei Gilbreth era quella di analizzare e misurare la produttività rispetto all’utilizzo di tutte leparti del corpo Ce un momento di analisi del lavoro, di scomposizione in micromovimenti e di ricomposizione. Per fare ciò loro utilizzano anche le tecniche della video registrazione: hanno delle telecamere per permettere al lavoratore di vedere come è il lavoro svolto da loro e come può essere lOMoARcPSD|4537729 ricostruito ed essere efficiente. Obbiettivo: sì, aumentare la produttività, ma anche aumentare la comodità e la sicurezza degli operai e contribuire a rendere più efficiente ed efficace il lavoro. Operare sul lavoratore affinché sia abile, sicuro, in una situazione di confort nella sua situazione produttiva. Lo scientific management interpretato da Lilian diventa una vera e propria innovazione nello studio dei tempi e dei movimenti 1. l’innovazione sullo studio dei tempi e dei movimenti 2. un approccio il più possibile basato sull’ergonomia 3. l’uso delle tecniche cinematografiche per l’analisi del lavoro: riprese filmate di tempi e movimenti l’introduzione della statistica nell’analisi dell’organizzazione del lavoro 4. l’individuazione dei micromovimenti nello svolgimento dei compiti e la loro importanza nella produttività ANALISI delle FASI del GESTO PRODUTTIVO Studi focalizzati su come il compito era fatto e su come eliminare i movimenti sbagliati in ogni fase del lavoro osservarono come gli operai, abbandonati a loro stessi, impiegassero, nelle loro attività, molti movimenti non necessari formularono alcune regole per svolgere un lavoro, finalizzate ad aumentare l’efficienza ANALISI dello SPAZIO LAVORATIVO MTM – movimenti-tempi-metodi: o 1. RIDURRE al minimo i MOVIMENTI, eliminando le mosse non necessarie, cioè focalizzare il percorso in modo che sia compatibile con le caratteristiche muscolari ed anatomiche umane o 2. RIDURRE al minimo la LUNGHEZZA del MOVIMENTO, riducendo la distanza tra l’operaio e gli strumenti, i materiali o i macchinari o 3. Preferire MOVIMENTI RITMICI, in grado di generare più efficienza o 4. Utilizzare MOVIMENTI CONTINUI e CURVI, poiché quelli in linea retta implicano cambiamenti netti ed improvvisi di direzione o 5. SIMMETRIA BIMANUALE: usare ambedue le mani per movimenti opposti e simmetrici per creare una armonia di opposti più istintiva nel corpo umano. Creano anche una tabella che favorisce nel lavoratore l’identificazione di quelle che sono le funzioni ricorrenti. Identificano che nei vari mestieri c’è un percorso naturale per cui al lavoratore può essere indicato tramite immagini simboliche (“Therbligs”), le funzioni ricorrenti per poi spiegare tramite queste immagini come ricomporre l’attività lavorativa in maniera armonica. --> Vedi slide con i therbligs. *Therbligs: è il loro cognome anagrammato. [è un loro brevetto]. lOMoARcPSD|4537729 pausa per evitare una caduta di produttività. Questo diagramma permette di individuare come incrementare l’output mantenendo la persona meno affaticata possibile. Questo tipo di fatica è quella muscolare. o La fatica (nella scuola tecnicista) aveva fatto un collegamento tra il decremento della produttività come misura della fatica [produci meno=sei affaticato]. Quindi lo scientific management si pone come obiettivo quello di intercettare la componente fisiologica della fatica sull’efficienza. o L’inserire le pause (modello Taylor) permette un aumento della produttività. Perché Taylor si poneva l’obiettivo di aumentare la durata del plateau produttivo (a tal fine, centrale fu l’utilizzo di pause lavorative che avrebbero dovuto permettere un aumento della produttività). Obiettivo: ripristinare la funzionalità muscolare dei lavoratori. o Durante questi studi dovuti alla grande massa di dati a disposizione, viene creato un ufficio che si occupa di questo, voluto dal ministero, un board di studio sulla fatica industriale. Gli psicotecnici inglesi cominciano a mettere in discussioni alcuni presupposti del Taylorismo perché si trovano davanti a dati contrastanti. o Il lavoro di programmazione delle pause è collegato a capire quale sia il momento più opportuno per facilitare una restaurazione delle potenzialità fisiologiche e quindi mantenere più a lungo un alto livello di efficienza. o Però, negli anni 20 ricerche sull’industria metallurgica fanno emergere che questo andamento della produttività ha un calare all’interno del turno lavorativo. Che è sì intercettabile con le pause, ma che non sempre dà lo stesso tipo di comportamento. Quindi inseriscono a questo tipo di curva i classici meccanismi: per anticipare la caduta dell’efficienza, contrastare la fatica e prolungare il plateau produttivo. o Nuovo dato che si innesta nella curva della fatica che viene identificato come atipico (anni 20) Misurano il lavoro altamente meccanizzato (la catena) Attività sostenuta dalla macchina in cui con orario prolungato, indipendentemente da dove si collocasse la pausa, quello che emerge è che vi sia una flessione dell’efficienza con uno strano recupero finale. o Cioè, flessione di efficienza con un successivo, seppur breve, recupero finale. Il loro meccanismo messo in atto è il solito: ridurre l’orario di lavoro, introducendo maggiori pause. Il problema sembra quello di studiare che sia un momento diverso quello di produrre la pausa. o L’introduzione delle pause avrebbe dovuto contrastare l’andamento decrescente presente nelle tipiche curve di lavoro a forma di U capovolta. Questi studi posero in luce l’esistenza di curve miste che contenevano andamenti ad U, in particolare nelle mansioni a carattere ripetitivo [vedi slide] Questo dà lo spunto per fare indagini più approfondite di una variabile che non si riesce ad intuire. o Questo mette in difficoltà la razionalità del sistema per cui pausa=produttività. Va a intaccare i modelli tipici dell’organizzazione di quel tempo. Tutti questi dati uniti in un unico organismo che diventa un vero e proprio dipartimento organizzativo intorno lOMoARcPSD|4537729 agli anni 20, permette di avere a disposizione dei dati ed esperti che, grazie alle capacità di analisi del lavoro date dalla psicotecnica, grazie alla massa dei dati dell’industria, ci pongono il dubbio che esista un altro tipo di fatica. Questa viene chiamata “monotonia lavorativa” lavori di tipo monotono, dopo poco tempo, vengono eseguiti dal lavoratore in modo quasi automatico, accompagnati da una diminuzione della performance e da errori. o È una fatica di tipo mentale. Potremmo anche chiamarla ‘noia’. Questa nuova fatica si collega al fatto che il lavoro non ha più un significato (si lavora a una micro-parte, a una vite, e non all’automobile, per esempio). La mente si difende calando la produttività. È una reazione naturale fisiologica e mentale di contenimento dell’innaturalità. La monotonia e la noia sono una nuova tipologia di fattori di inefficienza. o Esiste una fatica mentale: risposta fisiologica naturale di difesa dell’individuo nei confronti della innaturalità della meccanizzazione ripetitiva della mansione fordizzata. (Il comportamento naturale dell’uomo si basa sulla variazione e sulla diversificazione). A questa fatica mentale, vengono suggerite una serie di soluzioni pre ergonomi inglesi 1. variazione dei compiti 2. ricomposizione delle mansioni in elementi più compositi [soluzioni che verranno poi approfondite dall’ergonomia] Si suggerisce anche di individuare le caratteristiche sociopsicologiche dei lavoratori (sesso, intelligenza, estroversione, etc.) e le caratteristiche del lavoro industriale (ritmo della macchina, semplicità del compito, ripetitività dello stesso, ecc.) come predittori di suscettibilità alla monotonia. monotonia industriale Il modello taylor-fordista viene messo totalmente in crisi. L'uomo e la macchina hanno caratteristiche di efficienza che si mantengono e si sviluppano in modo diverso nel tempo. o MACCHINA: in grado di replicare continuamente lo stesso movimento, sempre alle stesse condizioni, è un ripetitore di azioni o UOMO: va in saturazione psichica e questo lo porta a ridurre drasticamente l’efficienza, è un introduttore di variazioni I fenomeni di affaticamento, che possono essere attribuiti ad una macchina muscolare, non possono automaticamente essere attribuiti anche ad un uomo, in quanto nell'uomo subentra il fattore imprevisto di fatica psichica. È una reazione naturale di difesa fisiologica. Ci si rende conto che a livello di rendimento lavorativo fatica fisica e fatica mentale hanno un effetto allo stesso modo negativo sui ritmi lavorativi. Come suggeriscono di reagire? Inizialmente gli psicotecnici suggeriscono di individuare quale lavoratore ha le caratteristiche più adatte per lavorare in attività lavorative più o meno ripetitive e con caratteristiche di lavoro che siano più o meno vicine alle caratteristiche del lavoratore. lOMoARcPSD|4537729 I preergonomi e gli psicotecnici ci dicono che “se tu vuoi mettere una persona che renda bene devi anche selezionarlo non solo per gli elementi di tipo fisico, ma anche per elementi che lo differenziano per tipologia psichica”. Esistono strumenti metrici per misurare queste differenze individuali. Questi strumenti sono messi a punto dalla psicometria che misurano fenomeni di tipo psicologico. [capacità di linguaggio, disturbi in apprendimento, elementi dell’intelligenza emotiva, ecc.] Secondo già i preergomeni queste misurazioni delle differenze permettono di individuare agevolmente chi mettere in officina, chi deve fare studi di tipo teorico... ecc. Di individuare quindi chi è più PORTATO per un certo tipo di lavoro, non solo fisicamente ma anche psicologicamente. Si suggerisce poi come evitare la noia tramite due modi antitetici: o quando il lavoro è provvisto di significato e responsabilità tali da permettere all’attenzione di chi lo esegue di rimanere alto [molto pieni di significato] o quando il lavoro è talmente meccanico e semplice da richiedere la minima attenzione e da permettere così al lavoratore di evadere con la mente [privi di significato, lavoro facile che può permettere al lavoratore di distrarsi]. Quindi, rimedi contro la monotonia: 1. La ROTAZIONE di ATTIVITÀ nel corso dello stesso turno lavorativo 2. La RETRIBUZIONE a COTTIMO e non ad economia, in modo da incentivare l’esecuzione responsabile del lavoro (sono spinto a lavorare) 3. L’ORGANIZZAZIONE del lavoro in modo da favorire nell’operaio la percezione della propria attività come esecuzione di compiti conclusi, separati e dotati di senso invece che come attività indefinita e interminabile 4. Una COLLOCAZIONE degli operai che EVITI l’ISOLAMENTO FISICO e favorisca la formazione di gruppi spontanei 5. L’INTRODUZIONE di PERIODI di RIPOSO nei turni di lavoro – non solo la pausa, ma periodo di riposo, cioè quello che noi oggi chiamiamo vacanza, o fine settimana, o giorno libero. Esistono questi fattori di tipo tecnico che colpiscono l’aspetto fisiologico (pause, sistema del salario a lOMoARcPSD|4537729 3° esperimento: 1931-1932 (Bank Wiring Observation Room Experiment – tema dei gruppi) A questi esperimenti sono accompagnati dalle interviste qualitative fatte nei confronti dei lavoratori. Tramite questi esperimenti nasce un nuovo modo di comprendere alcuni fenomeni tipici della ricerca sociale: verrà definito infatti Effetto Hawthorne. Primo esperimento (1924-1927): Entra in uno di questi reparti e ipotizza che per migliorare la produttività vi sia un possibile collegamento con l’illuminazione [siamo sempre nel modello di relazione lavoro-uomo ma lavoro nelle sue caratteristiche più hardware]. Entrando nel reparto intuisce che l’illuminazione possa essere fattore di riduzione o aumento della produttività. Crede che più illuminazione ci sia, più alta sia la produttività. Ci si trova davanti ad un curioso effetto, che lui chiamerà effetto Hawthorne: vediamo che l’intuizione che viene dalla ricerca sulla filatura di Filadelfia (a un gruppo viene applicata una cosa e a un gruppo no, ma entrambi aumentano produttività); in questo primo esperimento sull’illuminazione sceglie di creare due gruppi di studio. Quindi un gruppo sperimentale viene isolato, separato dall’altro gruppo di controllo nel quale l’illuminazione viene lasciata come nella fase iniziale. o Il gruppo sperimentale A: aumenta l’illuminazione, aumenta la produzione. o Il gruppo di controllo B: illuminazione costante (come prima), ma ancora aumenta la produttività. o Parallelamente, al gruppo sperimentale l’illuminazione viene riportata alla fase iniziale, viene diminuita a tal punto che non si capisce nemmeno come facciano a vederci, e nonostante questo calo dell’illuminazione, la produzione aumenta. Quindi la produzione aumenta indipendentemente dal grado di illuminazione. o Questo strano effetto fa sospettare che non sia un fenomeno solamente legato all’illuminazione, ma che possa esserci un qualcosa di diverso da un punto di vista di comportamento dei lavoratori per il fatto di essere oggetto di un esperimento. [anche il gruppo di controllo si rende conto che è incluso nell’esperimento] è quello che viene chiamato EFFETTO HAWTHORNE o Cioè, solo per il fatto di essere oggetto di attenzione, le persone cambiano il loro modo di comportarsi e quindi aumentano la loro produttività. L’effetto Hawthorne viene poi trasferito in qualsiasi esperimento di tipo sociale per dare un campanello d’allarme al ricercatore. Solo per il fatto di essere osservate, le persone cambieranno il loro comportamento. [il ricercatore allora si chiede se sta osservando le persone nel loro ‘ambiente naturale’ oppure no]. L’elemento che sfugge viene studiato nel piccolo: Secondo esperimento (1927-1929): Visto che c’è un effetto di essere dentro a una situazione in cui si è osservati, si decide di prendere un gruppo molto ristretto (6 persone su un reparto che ne aveva migliaia) e le mettiamo in una vera e propria lOMoARcPSD|4537729 situazione di laboratorio. Possiamo chiamarlo gruppo della TEST ROOM. Viene creato un ambiente fisico in cui tutto il resto del reparto continua a svolgere l’attività normale, invece queste 6 persone vengono isolate fisicamente in una stanza nella quale viene fatto lo studio. L'esperimento dura più di due anni ed è articolato in una serie di periodi (13 periodi, 4 grandi fasi). Tra la fase 1 e la fase tredici la barra verde è sempre crescente. Quindi ad ogni cambiamento introdotto consegue un aumento della produttività. Dentro le grandi fasi (preliminare, fase dedicata alle pause, fase dedicata alla riduzione dell’orario e della settimana, e fase di un anno di ‘grande chiarimento’) si può vedere che sono concentrate sui classici momenti del modello Taylor- Fordista [cambio o sposto le pause, o cambio o sposto l’orario]. Parallelamente a queste sei ragazze vengono continuamente fatte delle interviste. Diventano un gruppo di osservazione speciale. Nelle prime 15 settimane vengono misurate le condizioni iniziali, vengono trasferite nella test-room e viene identificato che il salario di queste ragazze è proporzionato al lavoro ed è di gruppo. Viene in qualche modo forzato artificialmente il fatto che queste 6 persone diventino un gruppo specifico. [salario proporzionato al lavoro che farà tutto il gruppo]. Solo facendo questo le persone aumentano la produttività. Non viene ancora cambiato nulla. Stabilite le condizioni iniziali, si entra nella seconda grande fase. La mentalità della seconda fase è quella del modello fordista: vengono introdotte due pause che prima non c’erano. Vengono allungate, vengono aumentate... e alla richiesta le ragazze dicono che viene spezzettato troppo il turno. Vengono messe due pause più lunghe e viene anche offerto un benefit in cui l’azienda offre una colazione alle ragazze. In questa seconda fase vengono sostituite due operaie perché non si dimostrano collaborative all’attività. lOMoARcPSD|4537729 Salario a cottimo + maggiori pause=aumento produttività Terza fase : viene diminuito l’orario di lavoro, viene accorciato e poi riallungato, viene tolto un giorno di lavoro alla settimana. Nonostante sia ridotto l’orario di lavoro, abbiamo uno dei picchi dell’aumento dell’attività di produzione. Quindi, tutte le interviste aiutano a mettere insieme altri dati. Quarta fase : si ritorna a un tentativo di altre condizioni precedenti per provare a vedere come questo ambiente influenzi le ragazze. Nella fase finale le attività lavorative tornano come quelle di un periodo più o meno iniziale con le pause precedenti. Abbiamo il picco della produttività e le dichiarazioni che le ragazze fanno durante le interviste. Le dichiarazioni corrispondono al fatto che le 6 ragazze: 1) cominciano a esprimersi non più come singolo lavoratore, ma come gruppo. [cominciano ad usare la parola “noi” invece che “io”]. Emerge che esiste una dimensione sociale all’interno delle organizzazioni che non solo fa sì che il lavoratore si annoi meno, si stanchi meno, ma che è un generatore di produttività. Cioè, il fatto di essere considerato un gruppo speciale (selezionato) fa sì che ci si senta speciale, diverso rispetto agli altri. Questo aumento di produttività è sì collegabile a elementi di tipo ambientale, ma è certamente collegabile a un qualcosa che fino a quel momento esisteva ma non era ancora stato scoperto, ovvero il GRUPPO di tipo PSICOLOGICO (senso di appartenenza risulta essere più importante di qualsiasi azione di miglioramento dell’ambiente lavorativo). Esiste questa dimensione sociale all’interno delle organizzazioni. L’effetto Hawthorne dice: segnali positive e attenzioni verso gli operai generano meccanismi virtuosi. “Se l’azienda mostra tanta attenzione verso di me, questo vorrà pur dire qualcosa”. Gli atteggiamenti della persona osservata nei confronti dello sperimento e degli sperimentatori diventano fattori di grande importanza nel determinare le sue reazioni alla situazione. Se si vuole che l’organizzazione produca di più, Mayo consiglia ai manager di dare maggiore riguardo ai lavoratori. Si stabilisce in queste ragazze un rapporto di fiducia ed amicizia così forte che non c’è bisogno neanche di sorvegliarle Faranno il massimo che possono Si comportano diversamente solamente per il fatto di essere oggetto dell’attenzione è la relazione tra il capo e il collaboratore che fa la differenza nella produzione, nel livello di produttività del lavoratore. Oltre alle classiche variabili (che non vengono tolte), si aggiunge un elemento di diversa relazione tra chi lavora e chi li controlla. Non è più una persona con il cronometro, ma che se dimostra attenzione verso il lavoratore, questo lavorerà di più. Terzo esperimento Nasce la scuola delle relazioni umane, ovvero quel movimento di management che dice a chi gestisce degli umani delle organizzazioni: “dato per scontato, tutto l’impianto Taylor-Fordista-Gilbreth e pre-ergonomi, se lOMoARcPSD|4537729 riferimento. 7 lezione GLI ATTEGGIAMENTI Questi elementi vengono misurati per esempio tramite lo studio degli atteggiamenti. [comportamento: azione // atteggiamento: ciò che non vedo, lo vedo tramite il comportamento]. L’atteggiamento è una predisposizione verso un eventuale comportamento. Il comportamento è ciò che faccio. L’atteggiamento è una predisposizione cognitiva, emotiva e comportamentale verso un oggetto psicologico che popola lo spazio vitale dell’individuo. L'atteggiamento è una predisposizione. [cognitivo: so di cosa si tratta. Ne vengo attirato. / emotivo: emozione positiva verso qualcosa o negativa. Il mio comportamento sarà di conseguenze di allontanamento o avvicinamento. Es il carnevale Predisposizione cognitiva – il carnevale. Devo sapere di cosa si tratta. Emotiva – quando mi dicono ‘c’è il carnevale’ dentro di me può scattare una cosa di ‘oh che bello’ oppure ‘no, non mi piace’. Mi può attirare o meno. Comportamentale – decido di andare o meno – il gruppo L’atteggiamento è quella serie di spinte che io posso avere verso un oggetto psicologico per il quale come individuo mi sento attirato (o respinto), quindi metto in moto un comportamento (o lo evito). [atteggiamento positivo: vengo attirato]. Misurazione degli atteggiamenti: o la possibilità di misurare gli atteggiamenti posseduti da diversi individui e da diversi gruppi è fondamentale per lo studio dei gruppi stessi e dei fenomeni organizzativi. o le scale di atteggiamento di L. L. Thurstone e di R. Likert sono metodologie quantitative in grado di misurare fenomeni soggettivi quali appunto gli atteggiamenti. Quindi le ragazze della test room avevano un atteggiamento diverso verso il lavoro perché sentono che quel tipo di comportamento di attenzione verso la loro attività era più positivo. Si sentivano meglio, sentivano meglio l’attività lavorativa, la vivevano meglio. Hanno cambiato il loro atteggiamento. Producono di più perché nella loro testa il lavoro aveva cambiato forma, qualcuno aveva attenzione maggiore nei loro confronti. Queste variabili spiegano come nonostante io possa dare migliori input (luce etc) l’output non è sempre lineare. Lo studio degli atteggiamenti aiuta a capire come le persone si comportano all’interno delle scelte quotidiane e nello spiegare alcuni fenomeni organizzativi. Si comincia a capire che oltre l’elemento fisico [che RIMANE!] per capire come mai una persona si lOMoARcPSD|4537729 comporta in un determinato modo devo anche capire gli atteggiamenti che hanno verso uno specifico compito. Capendo quelli posso operare per modificarli. Nel caso delle 6 ragazze si sono modificati perché si sono sentite persone a cui è dedicata attenzione, tempo, ascolto... Nascono attraverso questi studi dei nuovi modelli interpretativi che danno al manager la possibilità di essere più abile nel guidare. Non avrà più le “briglie” di ambiente e controllo, ma ha informazioni di più sul fatto che se si muove in un certo modo nella relazione con il collaboratore, questo modificherà il suo modo di percepire e vivere le situazioni lavorative - quindi si comporterà in maniera più virtuosa e produttiva legata alla vita organizzativa. =operare con maggiore attenzione al fenomeno della relazione, della comunicazione (diremmo oggi). Parallelamente a ciò, abbiamo la possibilità anche di comprendere alcuni altri elementi del gruppo. SOCIOMETRIA (J.L. Moreno) Il sociogramma è una tecnica ideata per riuscire a mappare, attraverso delle domande, le relazioni reciproche tra i membri di un gruppo. J.L. Moreno cerca di trovare una misurazione quantitativa agli elementi di ciò che accade all’interno di un gruppo. Nel sociogramma, al posto dei numeri potrebbero esserci dei nomi di persona. Le frecce, di tipo diverso (continua o tratteggiata) indicano le relazioni reciproche all’interno di questo gruppo di persone. La domanda che viene posta è “quanto ti piace lavorare con la persona X e quanto non ti piace lavorare con la persona Y” = quanto lo scegli o quanto lo rifiuti. (=con chi scegli di lavorare, con chi scegli di non lavorare). Se guardiamo il disegno, si può notare che il soggetto 4 riceve più frecce di scelta. Il soggetto 6 riceve il maggior numero di frecce di rifiuto. Il soggetto 4 e il 5 si scelgono reciprocamente (unico caso di scelta reciproca). Il soggetto 8 non riceve frecce di scelta, però ne manda tante. Il 3 non ne riceve e ne manda una. L’8 ne manda anche una di rifiuto, e il 3 no. lOMoARcPSD|4537729 Alcune persone vengono scelte da molti, altre da nessuno. Qualcuna non viene rifiutata da nessuno. Qualcuno non viene né scelto né rifiutato, però lancia delle frecce Se noi guardiamo l’intrecciarsi delle frecce, vediamo che si sono come due aree. Considerazioni: Se volessimo far passare un messaggio tra il gruppo, parleremmo con il soggetto 4 perché è il più scelto. Se lo vogliono vuol dire che sono propensi ad ascoltarlo. Il 4 ha un potenziale di influenzamento più alto degli altri. Il 6 invece è molto rifiutato, quindi non lo sceglierei. Però ha una fortuna: è abbastanza sveglio per scegliere il più scelto. Quindi in qualche modo crea una relazione positiva. Se rifiutasse il 4 sarebbe completamente isolato. L’eventuale punto debole del soggetto 4 è che sceglie solo il 5. e il 5 sceglie lui. Quando due persone si scelgono reciprocamente si forma una coppia. Questi accoppiamenti spesso vanno ad indebolire il gruppo. La fortuna è che uno dei due è più scelto. Quindi probabilmente riesce a mantenere alta la relazione con il gruppo. Le frecce sono realizzate nella sociometria tramite domande dirette. Nell'osservazione attraverso la rilevazione di come le persone si muovono all’interno di questo gruppo, che io posso aver creato come reparto, ma che ha una sua autonomia di vita informale, in cui si stabiliscono dei ruoli (perché le persone hanno atteggiamenti positivi o negativi verso i partecipanti del gruppo). DINAMICA DI GRUPPO (K. Lewin) o Altre variabili ce le mostra K. Lewin che attraverso i suoi studi mette in evidenza quelli che sono la ‘chimica’, che lui definisce dinamica all’interno di un gruppo. o Quello che lui ha chiamato T GROUP (gruppo di formazione) --> ha identificato come lo stesso gruppo sia un ambiente in cui le persone apprendono e modificano i loro atteggiamenti. o Grazie ai suoi studi possiamo entrare ancora di più in quelle che sono le relazioni di un gruppo, che lui chiama dinamica. Affinché possano avvenire, deve esserci una possibilità che questo gruppo si formi. Non è sufficiente che venga decretata l’esistenza di un gruppo, ma perché un gruppo abbia una sua valenza per l’individuo, affinché cresca e produca, devono sussistere alcuni elementi. Altrimenti non può esistere un gruppo. o Meccanismi e condizioni nelle quali e per le quali nascono: 1. compresenzialità [stare insieme, essere presenti nello stesso momento. Le persone devono sapere che esistono gli altri.] 2. reciprocità 3. influenzamento o dinamica [ognuna delle persone mette in atti dei comportamenti di influenzamento] costituzione di ruoli 4. individuazione e condivisione di regole 5. emissione di comportamenti lOMoARcPSD|4537729 soddisfatto l’elemento di interazione, che risponde ai bisogni naturali e sociali del lavoratore. L'efficienza interattiva è diversa da quella produttiva. B. BASS: L’EFFICIENZA INTERATTIVA risponde alla necessità normale di un lavoratore, umana e spontanea, di stare socialmente inserito Quindi dentro a un gruppo naturale che si crea nascono strutture, processi, norme e ruoli che non sempre sono orientati alla stessa efficienza operativa. Quando non c’è questo allineamento, la mia reazione come soggetto è quella di essere in contrasto con le pressioni dell’organizzazione formale. L'organizzazione formale costringe il lavoratore dentro delle regole per le quali accetta un compromesso. (come lo stipendio). Al compromesso uomo-lavoro viene aggiunto il compromesso uomo come gruppo e pressioni che vengono dall’organizzazione formale. Questa vita all’interno del gruppo, questa ricerca di efficienza interattiva (quanto sto bene qui dentro corrisponde a quanto mi chiedono fuori? C'è un bilanciamento?) se viene percepita come squilibrata o troppo pesante, può far nascere o delle SOTTOCULTURE [ambienti dentro il gruppo di lavoro che si distaccano e si proteggono tra di loro magari producendo un po’ di meno] o creando delle CONTROCULTURE, ovvero situazioni di gruppi dentro i gruppi organizzativi formalizzati che in maniera evidente si mettono contro gli obiettivi che vengono dati al gruppo specifico. Un po’ era successo nelle ragazze della test room, le quali stavano fisicamente dentro questo gruppo delle 6 ragazze, però avevano cominciato a dichiarare che non erano allineati a quelli che erano gli obiettivi di questo gruppo della test-room. Il manager deve evitare che ci siano questi gruppi o che in maniera autonoma facciano delle azioni che rallentano l’efficienza produttiva. Oppure deve evitare che si mettano contro all’organizzazione. Sono più interessati a mantenere una efficienza di tipo interattivo che non a raggiungere gli obiettivi operativi, organizzativi, quelli di portare a termine il compito affidato. “Spesso l’efficienza interattiva è la condizione sine qua non perché il gruppo possa lavorare e concentrrsi sul compito.” Questo lavoro sul gruppo spetta al manager. Ci sono modi diversi per essere leader all’interno di un gruppo. Questa efficienza interattiva risponde al fatto che le persone si muovono interno ad un gruppo per OMEOSTASI: l’essere umano quando sta all’interno di un gruppo e vi trova una sua collocazione adeguata che gli dà un’efficienza interattiva, tende a mantenere le condizioni di efficienza interattiva, cerca di non mutarle. Bavelas e Barret si dicono “attenzione, se riesco a comprendere come si muove un gruppo, quali sono le relazioni, le funzioni e i ruoli, io posso utilizzare quello che già succede naturalmente in un gruppo per perfezionare l’organizzazione formalmente intesa”. Se all’interno di un ufficio vi sono già delle persone che lOMoARcPSD|4537729 in qualche modo sono più ascoltate degli altri, altri che fanno un po’ da mediatori tra chi non si parla, altri che hanno l’abilità di ricordare le regole... il gruppo trova una sua omeostasi, sta bene, si sente soddisfatto da un punto di vista di efficienza interattiva. Io che osservo posso utilizzare questa dinamica per unirlo con quello che è la mia idea di organizzazione formale e portarli nella stessa direzione --> le persone stanno meglio all’interno del gruppo e si raggiunge l’efficienza operativa. L’efficienza interattiva viene valutata in base all’armonia interna al gruppo e al grado di soddisfazione dei membri nei confronti dell’interazione. L'efficienza operativa viene valutata in base al grado di soddisfazione dei membri circa i risultati e le decisioni di gruppo. !!! L’efficienza interattiva è una condizione indispensabile perché si possa ottenere anche efficienza operativa. 8 lezione ««««vedi slide comportamento organizzativo gruppi informali Come si misura secondo Bass? Mette a punto delle tabelle in cui chiede, osserva e rivela una serie di dati. questo è il compito del manager. Misura: Il POTENZIALE DI INTERAZIONE - la tendenza da parte dei membri di un gruppo ad interagire. Gli INDICI del potenziale di interazione sono: 1. la probabilità di interazione in un dato arco di tempo; 2. il ritmo/frequenza di interazione all’interno della coppia; 3. la velocità di avvio di interazione (il primo che parla durante la sessione e in quale momento); 4. la durata dell’interazione; 5. la quantità totale di interazioni in un gruppo composto di molte piccole coppie. 6. Il potenziale di interazione mi dice se quel gruppo può avere delle caratteristiche di interazione perché è per esempio all’interno di un gruppo ristretto. Bass ci dice, siccome l’interazione è essenziale per avere efficienza operativa e per raggiungere gli obiettivi organizzativi, se posso misurarla posso anche formulare dei calcoli per cui la probabilità per cui due individui entrino in interazione è più elevata se fanno parte di un gruppo ristretto. Due individui hanno maggiori probabilità di interagire tra loro se: fanno parte di un gruppo ristretto; sono geograficamente e socialmente affini (età, provenienza); sono liberi di mettersi in contatto tra loro; hanno un rapporto maturo di intimità, solidarietà e stima reciproca; si attraggono reciprocamente; sono simili in quanto a capacità ed atteggiamenti; sono energici ed orientati all’esterno. lOMoARcPSD|4537729 Il bravo manager riesce a mantenere la barra dritta sull’obiettivo e contemporaneamente stare attento a questi fattori. Elementi che influiscono sull’efficienza di un gruppo: 1. la numerosità di gruppo; 2. la vicinanza tra i suoi membri; 3. il tipo di comunicazione che si viene ad instaurare tra i suoi membri. Più un compito è semplice, più è efficace una comunicazione centralizzata (uno dice quali sono le cose da fare, gli altri che la realizzano). Più un compito è complesso, più la comunicazione è decentrata. Le persone ‘partecipano’. Lewin ci codifica una serie di elementi: o Ha identificato gli elementi del coinvolgimento. o Dice che solamente nelle situazioni di gruppo le persone effettivamente possono apprendere qualcosa che va al di là dell’addestramento di tipo fisico. Cioè, se io voglio che le persone modifichino il loro modo di partecipare agli obiettivi organizzativi, devo far sì che le persone abbiano un atteggiamento personale verso un dato lavoro corrispondente a quello che fa funzionare quel lavoro. o Lewin ha dimostrato che è solo attraverso il GRUPPO che può avvenire un vero e proprio cambiamento di atteggiamenti che va al di là dell’addestramento sulla muscolarità (fisicamente). o Se io voglio che la persona acquisti dentro sé un atteggiamento prudente e rispettoso delle regole, che lo faccia guidare sì in maniera adeguata tecnicamente, ma anche con un modo rispettoso delle regole, devo operare su un altro livello della sua formazione: quello dell’atteggiamento. o Per cui, le regole non sono sufficienti. Devo far interiorizzare l’atteggiamento, non solo perché è controllato, ma perché ha un atteggiamento di cura e di prudenza che corrisponde ad un determinato obiettivo. lOMoARcPSD|4537729 Se voglio far cambiare il comportamento devo far variare almeno una di queste due variabili ‘indipendenti’, per esempio l’ambiente. Il campo è l’insieme degli oggetti, delle persone, delle situazioni presenti o future con cui l’individuo, hic et nunc, si relaziona più o meno consapevolmente. Il campo psicologico è rappresentato come un insieme di regioni (qualsiasi evento psicologico), separate da frontiere. Le regioni più importanti sono la persona (P) e l’ambiente (A), che coesistono all’interno del campo psicologico del soggetto e ne determinano il comportamento (C) C=f(P; A) L'ambiente ideale è il gruppo, dove Likert ci dirà che se creo un certo tipo di Leadership funzionale, avrò una maggiore produttività. [=come posso condurre questi gruppi affinché siano produttivi?]. Siamo sempre nel modello in cui ci stiamo muovendo, quello per cui il raggiungimento dell’efficienza organizzativa è conducibile attraverso diversi modelli (organizzazione scientifica del lavoro, preergonomi, relazioni umane, la leadership...). Likert mette a punto degli studi, tramite cui riesce a identificare che gli stili di leadership possono essere di diverso tipo. Li possiamo dividere tra: o uno stile di leadership più orientato al risultato – quello in cui il gruppo viene condotto passo per passo, gli vengono date istruzioni molto precise e senza possibilità di interazione (con una comunicazione a una via) o la scelta di dare al leader del gruppo la responsabilità di interagire e di partecipare (ricordiamo la modalità esortativa a una via di Lewin con le massaie americane; e la strategia partecipativa sempre con le massaie o ancora di più in Coch e French nella ricerca sull’azienda di vestaglie). Risultato sulla produttività: o Nelle organizzazioni che ha osservato, i collaboratori che si sentono più liberi di regolare il proprio ritmo di lavoro si dimostrano più produttivi. o Non è necessario che ci sia un puntuale controllo da parte del responsabile/leader, perché se il gruppo viene lasciato libero lavora in maniera più produttiva. Quelli che sono più produttivi sono quelli guidati da responsabili orientati non tanto all’efficienza operativa ma soprattutto reparti che presentano maggiore produttività sono quelli in cui i capi sono più orientati alle persone, alle loro relazioni. Cioè una maggiore attenzione all’efficienza interattiva. L’efficienza operativa è prodotto diretto dell’efficienza interattiva. Come questa cosa può diffondersi all’interno dell’organizzazione? Con la logica dell’ANELLO DI COLLEGAMENTO. lOMoARcPSD|4537729 Se noi immaginiamo questo come un’organizzazione (con gerarchie: nei vari triangoli ci sono i vari livelli organizzativi). Nel triangolo grande ci sono i responsabili, i manager. Nel secondo i responsabili di uffici o di settori. Nel livello più basso gli operatori o i responsabili di un piccolo reparto. Ognuno di questi livelli ha dei capi, che contemporaneamente sono subordinati nel livello successivo. Quindi, all’interno dell’organizzazione ognuno (tranne il livello operativo) ha un piccolo ruolo di responsabilità ha la responsabilità manageriale/di leadership all’interno di un gruppo. Quindi il supervisore di un gruppo è componente del gruppo nel quale ha un livello non di responsabilità, però è un responsabile che contemporaneamente è all’interno di un altro gruppo. Questo anello di collegamento è un anello di passaggio di informazioni dall’alto verso il basso, quindi di comunicazione gerarchica, ma anche di comunicazione di retroazione, per cui se ha un’abilità di ascolto e di relazione può far transitare le informazioni dal basso verso l’alto. In questo modo, con il modello di Likert in cui si sottolinea il ruolo di leader come attento a tutte le relazioni che avvengono nel suo gruppo, questo diventa un anello di collegamento COMUNICATIVO, come anello di passaggio di dati, informazioni, anche di tipo relazionale verso tutti i livelli organizzativi. Su questo si lega un modello di management --> Video: 25 Blake and Mouton’s leadership grid. --> vengono posti su due assi i due concetti di Likert (più orientati alla produttività o più orientati alle relazioni) – si crea un quadrante manageriale in cui ognuno può valutare e individuare qual è il più efficace per il proprio gruppo/la propria organizzazione. Likert suggerisce che è più efficace quello orientato alle relazioni. suggerisce all’interno di questa griglia come sia possibile identificare diversi modi di essere orientati più o meno alle relazioni o al risultato. Il modello proposto è un incrocio (9,9) in cui si ha un massimo orientamento al risultato e un massimo orientamento ai soggetti del gruppo di lavoro. Rispetto agli stili di leadership, Likert ne identifica 4 – in base allo stile di leadership che una persona può acquisire ed esercitare: [ Nello stile autoritario le decisioni sono prese da chi ha ruolo di responsabilità] lOMoARcPSD|4537729 AUTORITARIO-Autocratico: è uno stile di leadership nel quale la comunicazione avviene dall’alto verso il basso. Le decisioni vengono prese dai vertici dell’organizzazione, senza compartecipazione con i livelli subordinati. È uno stile accentratore che si fonda sulla paura e sulla coercizione. AUTORITARIO-Paternalistico: le decisioni più importanti (strategiche) sono prese ai vertici dell’organizzazione. Solo quelle di secondaria importanza passano anche per i livelli inferiori. I dipendenti restano sostanzialmente subordinati. [Lo stile partecipativo è più orientato a favorire le relazioni del gruppo] o PARTECIPATIVO-Consultivo: questo tipo di leader cerca il dialogo e la comunicazione con i propri dipendenti, anche se le decisioni continuano ad essere prerogativa dei vertici aziendali. o PARTECIPATIVO di Gruppo: questo stile di leadership mira a coinvolgere i dipendenti in gruppi di lavoro in grado di prendere decisioni, in modo che possano essere parte integrante della struttura formale dell’organizzazione. Il leader si preoccupa di chiarire ai collaboratori gli obiettivi aziendali, in modo da motivarli. Attenzione: Esistono delle critiche a quanto abbiamo avuto modo di osservare, per quanto sia molto evoluto nell’attenzione ai collaboratori. in questo momento noi abbiamo sentito parlare di modi diversi di gestire il lavoro delle persone. Ma non abbiamo ancora messo in discussione il modello organizzativo fordista, ovvero quello in cui lo strumento, la struttura dal punto di vista industriale non viene messa in discussione. Succederà con il modello dopo. L'orientamento organizzativo si trasforma in qualcosa di più morbido, più attento alle relazioni; ma è ancora un modello culturale in cui il lavoratore è ancora qualcosa su cui posso mettere influenza (da parte del manager) e decisioni e portarlo. Chi opera e chi decide stanno su due piani diversi. Questo viene messo in evidenza dal capitolo successivo. LEZIONE 10 Capitolo 12: La motivazione e la scuola delle risorse umane Quello che ci lasciano gli studi fino a questo punto è un’organizzazione in cui chi ha ruoli di responsabilità ha la possibilità di essere un anello di collegamento. Ma permanendo il modello organizzativo (C’è chi pensa e c’è chi fa), permangono nel modo di muoversi di un manager due modi di leggere l’essere umano nell’organizzazione. McGREGOR - Nascita della Scuola delle Risorse Umane Ma permanendo il modello organizzativo (C’è chi pensa e c’è chi fa), permangono nel modo di muoversi di un manager due modi di leggere l’essere umano nell’organizzazione: la teoria X e la teoria Y. o Teoria X: Se io mi muovo con un modello molto taylor-fordista, scientifico del lavoro, che comunque un po’ tenga conto di elementi delle relazioni umane, ci si muove, dice Mcgregor, dentro la lOMoARcPSD|4537729 soddisfatto il bisogno precedente. Ma attenzione, non è più importante un bisogno rispetto ad un altro. [non posso dire ad una persona che non ha da mangiare: fai questo lavoro per realizzarti]. o Questa teoria è posta alla base su cui il modello di McGregor si è innestato. o Cioè, nel testo del 54 di Maslow “Motivation and Personality” viene sottolineato un elemento importante: “i collaboratori possono avere reazioni auto-protettive volte a conservare ciò che hanno acquisito, ma si muovono con entusiasmo solo per quello che non hanno ancora”. =è una spinta motivazionale il fatto che io non abbia ancora raggiunto qualcosa che ho davanti. Non mi spinge motivazionalmente aver già soddisfatto un bisogno precedente. o Sta all’organizzazione, dice McGregor, incorporare con la teoria X questo nuovo modello di umano universale. o Se io mi trovo nella teoria X, è compito mio gestire tutto quello che ho a disposizione per il massimo profitto. Sono responsabile dell’organizzazione e devo portarla all’efficacia. Questo processo è un lavoro continuo di modificare il comportamento del lavoratore affinché coincida con questi obiettivi. o Senza questo lavoro del responsabile, l’essere umano non sarebbe da solo orientato. o Bisogna passare a immaginare di avere un umano di tipo diverso. Devo creare nel management prassi basate su una comprensione più vicina e più vera della natura e della motivazione umana, perché le persone nel lavoro sono spinte da bisogni diversi. o Si cercano metodi efficaci per porre i lavoratori a servizio degli obiettivi. o Non si mette in discussione l’idea di profitto e di massima produttività organizzativa, ma si cercano metodi più efficaci per porre il lavoratore al servizio del proprio guadagno. o Devo immaginare davanti a me di avere un essere umano di tipo diverso, cioè con un potenziale autonomo di autocontrollo, di creatività e di responsabilità. o Se io ho davanti un essere umano così ricco, da cui deriva la parola ‘risorsa’, io ho davanti un essere umano che se opportunamente motivato per conseguire gli obiettivi individuali, si unirà a quelli organizzativi. Cioè un essere umano in cui io riesco a far coincidere il più possibile il motivo per cui lui sceglie di svolgere un lavoro con i motivi per cui l’organizzazione gli sta chiedendo quello specifico compito. Quindi non mi servirà più controllarlo perché avrà unito queste due anime: i suoi obiettivi (universali) e gli obiettivi organizzativi (che hanno dentro il profitto). o !!! Quello che viene aggiunto è che il compito del management non è controllare, punire, misurare, ricordare gli obiettivi, monitorare le relazioni... ma lavorare quotidianamente per portare gli obiettivi del lavoratore, la spinta del lavoratore il più possibile a coincidere con gli obiettivi dell’organizzazione. McGregor: “All’interno dell’impresa l’uomo non si caratterizza più come un male necessario da gestire e reprimere lOMoARcPSD|4537729 ma assume il carattere di vera e propria RISORSA UMANA da considerare e valorizzare” (1960) o Quindi io devo, come manager, non controllare. Devo considerare il lavoratore come qualcosa che già da solo ha interiorizzato questo tipo di appartenenza, di partecipazione rispetto agli obiettivi organizzativi. Allora produrrà in relazione agli obiettivi che gli sono stati dati dall’organizzazione. Come farlo? o Un lavoratore deve trovare nella propria attività: - un’occasione di apprendere e di continuare ad apprendere; - - a garanzia di un contenuto (ragionevolmente) significativo e stimolante; - uno spazio discrezionale di presa di decisione, grazie al quale egli possa riconoscere gli effetti delle proprie azioni (fai vedere alla persona che quello che sta facendo, anche dandogli un po’ di libertà, se è fatto bene ottimo, se è fatto male avrà delle ricadute. Bisogna togliere il muro tra quello che fa e quello che succede dopo); - un grado (almeno minimo) di sostegno sociale, di riconoscimento e di status; - la possibilità di collegare l’oggetto del proprio lavoro al quadro della vita sociale (sapere quello che si fa). o A questo punto, con la teoria Y il manager diventa attivo nel fatto che l’essere umano produca in maniera coerente e con qualità rispetto agli obiettivi organizzativi. o [con il modello dell’organizzazione scientifica, incolperò sempre il lavoratore in caso di errore. Con questa teoria, se il lavoratore non produce è perché il manager non l’ha messo nelle condizioni di produrre di più]. o !!! Direzione e personale sono RECIPROCAMENTE DIPENDENTI. Come effetto della dottrina delle Risorse Umane, direzione e personale sono reciprocamente dipendenti. o Non solo il personale, cioè, è dipendente della direzione, ma “anche i dirigenti a qualsiasi livello dipendono da tutti i loro sottoposti per conseguire sia le proprie finalità che quelle dell’organizzazione”. (McGregor, 1960). o Quindi la teoria Y si basa sul presupposto che il lavoratore è una risorsa che possiede potenzialità sostanziali, e che i limiti della sua collaborazione nell’organizzazione non sono di natura umana, bensì dipendono dalle capacità della direzione aziendale. o Una direzione che si comporti secondo la teoria Y: o non abdica alle proprie responsabilità (= Non posso dire “mi avete dato dei collaboratori disgraziati”); o coinvolge i propri collaboratori in base al loro potenziale; o fa emergere l’autodisciplina; lOMoARcPSD|4537729 o amplia gli orizzonti dei propri membri agli obiettivi dell’organizzazione; o crea convergenza di interessi; o attribuisce e valorizza le responsabilità di tutti, sollecitando iniziative e decisioni. La TEORIA X offre al management un comodo capro espiatorio per gli insuccessi imputati alle caratteristiche della natura umana e ai limiti dei propri collaboratori. La TEORIA Y fa ricadere tutti i problemi sulle spalle del management: se i dipendenti sono svogliati, apatici, restii ad assumersi responsabilità e iniziativa, la colpa va ricercata nei sistemi di management. Nessuna delle due teorie è stata completamente contestata, così come nessuna delle due è stata pienamente confermata. Gli assunti di ciascuna di esse tendono ad auto-rafforzarsi una volta che le politiche di gestione del personale siano state improntate su di esse. La grande svolta che ha portato è la nascita di una scuola diversa di approccio all’umano nelle organizzazioni, dove tutti gli umani possono essere attivi, propositivi e orientati a dare il meglio di sé. Se non funziona è responsabilità anche di chi ha avuto in mano la risorsa e non l’ha utilizzata facendola fruttare. Con questo spunto di McGregor entriamo nell’apertura del modello in cui arrivano istruzioni più chiare da parte di Herzberg su come agire nelle organizzazioni per avere persone che si muovano verso gli obiettivi organizzativi in maniera più autonoma. Management orientato alle risorse umane. Riassunto: Questo passaggio concettuale viene codificato attraverso le riflessioni che gli studi sulla motivazione hanno messo in evidenza. Quindi Maslow, attraverso lo studio della motivazione umana (in particolare il suo modello gerarchico dei bisogni) ha sottolineato come le persone siano universalmente spinti al lavoro per bisogni che possono essere posti su una scala gerarchica (nel senso che per soddisfare i bisogni successiva bisogna soddisfare i bisogni precedenti. Sono “propedeutici”). Questo concetto dell’essere umano spinto da bisogni trasversali ha permesso a McGregor di riflettere sulle scelte che può fare un’organizzazione rispetto al muoversi rispetto questi umani. Può fare una scelta “Teoria X” (se il lavoro non funziona è responsabilità degli operatori) o per una “Teoria Y” (i collaboratori sono per natura spinti ad assumersi responsabilità, a cercare nel lavoro livelli sempre più alti di soddisfazione dei bisogni, e quindi è responsabilità e successo di un manager il riuscire a guidare gli individui verso gli obiettivi dell’organizzazione. La responsabilità dello sviluppo di quanto ci è stato messo a disposizione [=risorse umane] verso la loro crescita ricade nel manager/management]. lOMoARcPSD|4537729 redesign] delle attività lavorative che permettano di arricchirle e professionalizzarle e aumentare il significato che il lavoro ha per il lavoratore. Si tratta di operare non su fattori che evitino le lamentele (fattori di igiene), ma agire su elementi che hanno a che fare sulla soddisfazione vera e propria. Cioè, su elementi che fanno stare le persone al lavoro con una spinta più interna, più di relazione con il contenuto del lavoro che svolgono. Se voglio avere un ambiente autenticamente motivato, devo lavorare sulla struttura dell’organizzazione (sul modo, sul contenuto, sull’elemento intrinseco del lavoro). Devo ridisegnare singoli lavori. È un intervento sul come le attività lavorative vengono realizzate. Ogni responsabile ha a carico sia la guida relazionale, l’efficienza interattiva per portare le persone verso l’obiettivo; ma anche il monitoraggio continuo che le attività proposte, e il linguaggio con cui sono proposte, siano collegati all’aumento della partecipazione intrinseca tra il lavoro e il lavoratore. Video. “The two factors Theory” - questo modello è un vero cambiamento nel ruolo che il manager viene a ricoprire. SCUOLA SOCIO-TECNICA Nel libro, il passo successivo è il raggiungimento di una attenzione particolare agli elementi organizzativi nel suo complesso. Si può parlare di sistema: attraverso gli studi realizzati nelle miniere di Durham, si realizza che qualunque ambiente organizzativo permette di mettere in evidenza che gli elementi tecnologici e gli elementi umani necessitano di essere considerati come un qualcosa che deve incastrarsi. Ma non a discapito dell’umano. Questa relazione tra umano e tecnologia diventa per questi studiosi diventa un elemento che deve fondersi. Si parlerà di sistema socio-tecnico. Questi studi mettono in evidenza che il sistema sociale e tecnico nell’organizzazione si devono fondere. L'organizzazione è un sistema socio-tecnico in cui nessuno dei due ha un valore più elevato (come avveniva nella organizzazione scientifica del lavoro per esempio). (gli studi della miniera: i lavoratori della miniera istintivamente si raggruppavano in piccoli gruppi. L'elemento socio soppiantava quello tecnologico. Sceglie un’organizzazione simil-fordista in questa situazione. Le persone vengono disposte come se fossero in una catena di montaggio. A questo punto, si creano una serie di elementi per cui l’elemento tecno annulla quello socio. Il primo gruppo mette sotto tono l’elemento tecno e la produzione è bassa. Viene proposta allora, lasciando una forma di autonomia, un misto tra le due forme. I lavoratori si dichiarano così soddisfatti, aumentano la produttività e vengono valorizzati entrambi gli ambiti organizzativi.) La scuola socio-tecnica mette in evidenza quanto sia importante favorire una autoregolazione del lavoro all’interno dei gruppi. Questa autoregolazione fa partecipare maggiormente il lavoratore. Soddisfa l’elemento di partecipazione al lavoro, di contenuto, di responsabilità anche di quei lavori molto basici e lOMoARcPSD|4537729 meccanici (miniera). Se io permetto all’elemento socio di innestarsi con l’elemento tecno il lavoratore crea un suo stile autoregolato, va a lavorare in maniera più vicina al lavoro che sta svolgendo. Si creano strutture tecnologiche che abbiano le caratteristiche tali da permettere questa autoregolazione e questa riappropriazione di significato. Gli ambienti tecnologicamente perfetti devono rispettare il sistema sociale, se no l’individuo non trova soddisfazione rispetto i reali fattori motivazionali. Il termine socio-tecnico ricorda che l’organizzazione è una combinazione di elementi tecnologici e di rapporti sociali. Solo se combinati adeguatamente, permettono un’adeguata realizzazione degli obiettivi minimali di evitamento di insoddisfazione, e degli elementi realmente motivanti (quelli di soddisfazione). Il sistema socio-tecnico è collegato all’ambiente esterno. L'essere umano che entra in un’organizzazione entra portandosi tutte le sue caratteristiche relazionali, storiche, strutturali, ecc. Un'organizzazione deve essere sia organizzazione di uomini che di macchine. Variabili tecnologiche e variabili psicosociali convergono in un’impresa da due universi distinti e autonomi. Il problema è renderli compatibile senza giungere al sacrificio di uno rispetto all’altro. L'elemento che guida, l’elemento che viene guidato, e gli strumenti per la guida si innestano in maniera coerente con l’ambiente organizzativo che viene creato per produrre e per far sì che l’organizzazione tramite input produca output (risultati organizzativi: raggiungimento degli obiettivi). Come gestire al meglio l’organizzazione per avere maggiore efficienza? o Considerarla un sistema in cui l’elemento socio e l’elemento tecnico hanno la stessa valenza. Solo un’adeguata compenetrazione tra le due potrà dare all’umano una spinta motivazionale, mantenendo la non insoddisfazione attraverso gli elementi ambientali, ridisegnando le posizioni e attività lavorative di relazione uomo-macchina in maniera congeniale rispetto a questa relazione. o Come può avvenire? Conoscendo l’umano e conoscendo gli aspetti tecnologici. Herbert Simon e le decisioni nelle organizzazioni: Teoria della Razionalità Limitata Unico capitolo in cui Favretto sceglie di centrare un argomento collegandolo strettamente ad un autore. o Stiamo parlando di decisioni nelle organizzazioni, in particolare della rivoluzione che Simon fa nel pensiero organizzativo portando avanti un modello di umano che decide – parliamo di razionalità limitata. A Simon si definisce scienziato matematico sociale. Riceve il premio Nobel per l’economia con una teoria che va a smontare alcuni principi di tipo economico. lOMoARcPSD|4537729 Tramite Simon si smobilita un pensiero, ovvero quello che l’essere umano fosse razionale-economico nel prendere le decisioni. Simon mette in evidenza che nelle organizzazioni chi ha ruoli di decisione si trova a muoversi all’interno di un processo non sempre razionale. Anzi dice, quasi mai razionale. Tramite il pensiero di Simon chi studia le organizzazioni riesce a comprendere i limiti e come supportarli in situazioni decisionali. Nelle organizzazioni si decide in ogni minuto. Queste decisioni possono essere di tipo rutinario o vere e proprie decisioni. Le decisioni rutinarie sono “programmate” - per le quali è possibile per ogni situazione che si ripeta regolarmente identificare anche le possibili soluzioni. Quelle programmate sono anche delegabili a delle procedure. Le decisioni manageriali vere e prorie non permettono di creare procedure specifiche. Ogni volta, la persona che le deve affrontare deve mettere in atto e affrontare un processo decisionale complesso. Attraverso i suoi studi mette insieme gli elementi tipici degli studi dell’economia e della matematica, con gli studi dell’informatica, e con i limiti della capacità decisionale dell’umano. La capacità decisionale umana viene messa in discussione da studi precedenti. Il filo rosso che porta avanti gli studi di Simon è l’idea che il comportamento umano possa essere studiato in maniera scientifica, cioè usando gli stessi modelli ingegneristici, informatici e matematici che permettono di studiare il comportamento della macchina (più razionale). Il pensiero umano si differenzia al pensiero dell’intelligenza artificiale (perché può rispondere a decisioni rutinarie), mentre l’umano tende a trovarsi in situazioni senza scenari comprensivi e senza le informazioni a sua disposizione. Tenta di modellizzare quello che avviene nella mente umana tramite gli studi dell’intelligenza artificiale. Non perde di vista però che la mente umana cade in alcuni limiti. Infatti, porta avanti i suoi studi alla ricerca della comprensione e identificazione delle modalità con cui l’essere umano prende le decisione – cioè come si comporta l’essere umano nell’organizzazione davanti alle scelte. Questa sua idea si innesta sugli studi della decisione, che fino a quel momento erano in mano ai modelli neoclassici dell’economia, che permettono una comprensione, che tentano di descrivere lo stile di decisione dell’umano dentro le teorie “normative”. Le teorie normative della decisione sono quelle che vanno alla ricerca di regole razionali e quindi di suggerimenti su come l’essere umano prende le decisioni, ipotizzando che le prenda sempre dentro un sistema mentale di tipo economico. il principio delle teorie normative è “l’essere umano decide sempre alla ricerca di una scelta che sia il più vicino possibile alla scelta economico-razionale" (= per avere il migliore risultato). Questo modello normativo della decisione, che vige ancora in qualche modo nella nostra mente, si lOMoARcPSD|4537729 nell’obiettivo di portare il più possibile a buone comprensioni della capacità di elaborare i dati. Limite di approssimazione verso la migliore delle decisioni. Si abbandona il mito che una decisione possa essere la migliore in assoluto. È la decisione migliore in relazione al momento e alle caratteristiche del decisore. [si tiene conto dei limiti dell’umano]. Lo studio dell’intelligenza artificiale come supporto allo studio delle decisioni umane. Abbiamo raggiunto la comunicazione che avviene con più naturalità tra le persone nelle due direzioni e all’interno dei gruppi in tutte le direzioni. Le prossime ore del corso saranno dedicate ad approfondire come questi elementi della vita manageriale e dello stile organizzativo siano applicabili alle imprese che sono il fuoco del nostro contesto di studio, cioè le piccole e medie imprese. Trasferiremo le nostre conoscenze ad un ambito specifico: la piccola e media impresa. Opereremo sulla comprensione del soggetto e dell’azione che permette la nascita delle imprese: imprenditoria, imprenditorialità, l’essere imprenditore nella fase di avvio dell’impresa In questo percorso ci aiuteranno in alcuni incontri dei testimoni esterni, che di mestiere si occupano o di dare servizi specifici alle piccole e medie imprese (attività di comunicazione verso l’esterno) o ci permetteranno di capire come può nascere un’impresa. LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE (libro di Antoldi) Quando si parla di piccole e medie imprese, è difficile catalogarle e classificarle. Se guardiamo da un punto di vista quantitativo è facile. Ma da un punto di vista qualitativo (che tipo di impresa o dove si colloca), a volte un’impresa con un certo numero di dipendenti, poiché situata in un determinato settore, può essere considerata grande impresa. La difficoltà che nel tempo c’è stata per la definizione della dimensione delle imprese ha portato ad avere nello sviluppo storico dello studio delle imprese una serie di documenti, che hanno cercato di dare una definizione univoca. Ci siamo arrivati nel 1996, perché ad un certo punto nell’UE si è dimostrato come necessario identificare un numero esatto per dire “siamo davanti a una piccola/media/grande impresa” proprio per far comunicare, ad esempio, i fondi europei per finanziare. CLASSIFICAZIONE DELLE PMI: approccio quantitativo La classificazione quantitativa è necessaria per riuscire a comunicare tra imprese. Ad un certo punto, definirle è stato importante. Per molto tempo non si è trovato un accordo. Ci si è accordati nel 1996, sottolineando il fatto che ci si è messi d’accordo sugli elementi quantitativi. Ma quando poi si analizzano gli elementi qualitativi (settore, luogo, caratteristiche più peculiari) non sempre si è in accordo con la definizione. lOMoARcPSD|4537729 Si parla di piccole e medie imprese (PMI o SMEs – Small and medium-sized Entreprises). Si possono usare parametri: o Economici: reddituali, patrimoniali, finanziari o Tecnico-produttivi: capacità produttiva, volumi di produzione, materie prime lavorate, consumi, postazioni di lavoro o Organizzativi: numero di dipendenti, quantità di unità organizzative, estensione dei mercati in cui opera Ma i limiti dell’approccio quantitativo sono molteplici: o Variazioni tra paesi e aree o Variazioni nel settore o Informalità, statistiche presenti o Perdita di dettagli e informazioni puntuali sulla natura aziendale o Poco applicabili in contesti extra statistico o legislativo Si parla di micro, piccola e media. La Commissione delle Comunità Europee (1996) e il Comitato economico e sociale europeo (2003) delimitano le classi di addetti e il fatturato annuo: o Micro impresa: fino a 9 addetti (fatturato non superiore a 2 milioni di Euro) o Piccola impresa: da 10 a 49 addetti (fatturato non superiore a 10 milioni di Euro) o Media impresa: fino a 250 addetti (fatturato non superiore a 50 milioni di Euro) o Grande impresa: da 250 addetti e oltre (fatturato superiore a 50 milioni di Euro) IMPORTANZA DELLE PMI - ruolo nell’economia italiana ed europea o Sono la maggior parte delle imprese esistenti. o Sono la colonna vertebrale dell’economia europea; beneficiano di attenzione e politiche speciali da parte dell’EU (es. Small Business Act 2008: semplificazione amministrativa e legislativa, accesso al credito, interventi per innovazione, efficienza energetica, ambiente, sostegno investimenti, formazione). lOMoARcPSD|4537729 o Le piccole arrivano al 99.8%. Le micro sono il 92, le piccole fino a 49, le medie l’1 e le grandi poco più del 2%. Questi dati poi vengono paragonati tra di loro: si confronta l’Italia con l’Europa (doc del 2019): vedi varie tabelle sulle slide. Quando parliamo di piccole e medie imprese, ci dice il dato, noi stiamo parlando della colonna vertebrale della economia europea, e soprattutto di quella italiana, dove arrivano a quasi 99,9%. Praticamente tutte le imprese. Il 78% delle persone sono occupate in piccole e medie imprese. Circa il 22 è impiegato in imprese di grandi dimensioni. Per comodità, il testo ci dà una tabella in cui presenta i vantaggi e gli svantaggi delle piccole dimensioni: Vantaggi: 1. Flessibilità organizzativa - è possibile in una piccola organizzazione avere una maggiore flessibilità, perché è più veloce la comunicazione e la reazione agli stimoli esterni. 2. Localismo - forte legame tra l’impresa stessa e il luogo in cui si trova. Questo legame rinforza sia l’impresa che il luogo in cui si trova. Spesso viene usato come brand: il Made in Italy diventa un vantaggio da un punto di vista di credibilità, di personalizzazione. 3. Partecipazione e motivazione del personale – pochi collaboratori, è più probabile che siano coinvolti, che siano riconosciuti. Si sentono con più facilità parte di un gruppo. 4. Capacità di trattenere le risorse umane - il fatto di avere questo forte legame tra prodotto, luogo e impresa, fa sì che le persone rimangano unite e per molto tempo all’organizzazione [ma a volte diventa un difetto perché non attrae nuove persone da fuori]. 5. Flessibilità produttiva - posso personalizzare di più i prodotti. 6. Contatto diretto con la clientela 7. Conoscenza del mercato di riferimento - conosco meglio le dinamiche del mercato. lOMoARcPSD|4537729 I loro servizi passano da curare l’immagine coordinata (loghi, brochure...), a cui affiancano soluzioni per la presenza sul Web, supporto nell’organizzazione di eventi, PR e ufficio stampa. Entiria è nata nel 2000. È una società per azioni, di modo che tutti i soci potessero avere delle quote. Sono in 5 persone. Due soci e tre collaboratori. Un socio è amministratore delegato e si occupa della parte tecnica (server e hosting). L'altro socio si occupa della parte commerciale e del personale. Questo perché Alice fa direttamente consulenza alle aziende. Nei diversi progetti ha bisogno di diverse persone. Alcune sono interne. Altre possono essere coinvolte dall’esterno (figure specializzate). Si appoggia all’esterno soprattutto per i copywriter e i giornalisti, fotografi, stampatori e videomaker. --> abilità di usare attraverso altri professionisti le abilità che esistono nel mercato. Tutti i progetti partono da quello che viene definito come “obiettivo da raggiungere”. L'obiettivo indica la strada da intraprendere. Gli obiettivi possono essere diversi, come di visibilità, immagine, di passaparola. Può essere un obiettivo di informare la clientela, o di migliorare alcuni processi nell’azienda, o il raggiungimento di nuovi mercati per vendere di più ed aumentare il fatturato. Slide: piramide – ci aiuta a capire gli obiettivi. Quando vado a definire un obiettivo (misurabile) vado a definire come lo posso misurare tramite i KPI. In base all’obiettivo da raggiungere, si vanno a selezionare strumenti e canali anche della comunicazione tradizionale. Devo chiedermi se i contenuti a disposizione sono abbastanza o se ne devo creare di nuovi, e tengo in considerazione il target a cui mi devo rivolgere. In base a quello creo contenuti dedicati. Devo anche aver definito cosa ci distingue come azienda e quale sia la missione personale. Oggi è importante essere specializzati e mettere in evidenza cosa ci può distinguere dagli altri. Soluzioni web personalizzate realizzate dall’azienda nella realizzazione di siti internet e siti e-commerce: Il sito web è il modo per ampliare l’effetto di tutti gli altri canali di comunicazione. Se ho un sito web e do un biglietto da visita con il sito web, che racconta di più sull’azienda, mi accredita. La stessa cosa vale quando si utilizzano i social. Se porto gli utenti sul sito, i clienti trovano le informazioni organizzate e rintracciabili più facilmente e amplifica l’effetto che può portarmi la presenza in una pagina web. È importante tenere presente che quando si realizza un sito internet, o qualunque processo di comunicazione, si passa attraverso diverse fasi: 1. fase di definizione – si definiscono gli obiettivi da raggiungere e in base a quello si propongono i canali e gli strumenti da utilizzare 2. fase di realizzazione – vengono realizzate grafiche (web o brochure...) lOMoARcPSD|4537729 3. fase di applicazione – stampa e messa online 4. fase di verifica – si fa la misurazione dei risultati 5. fase di supporto e implementazione – assisto il cliente nel capire i dati e orientarlo sulle nuove attività da svolgere Le persone coinvolte nei processi dell’azienda Entiria sono: 1. Il grafico 2. Il web designer 3. Il copy – fondamentale. La creazione di testi fatti bene e coinvolgenti fanno la differenza. 4. Sistemista 5. Sviluppatore Esempi di siti internet realizzati dall’azienda: Giornale l’Adige Portale Foodyes.it - dedicato al mondo dell’agroalimentare, in cui vengono riportati contenuti interessanti per quello che è il mondo interessato al vino e all’ottimo cibo. C'è stata anche un’attività sulle pagine Facebook e Instagram. Sito del Monte del Fra – una cantina che produce vino di qualità. Ha un sito internet in 4 lingue (raggiunge mercati internazionali). Utilizza il sito per entrare in contatto con nuovi clienti, sia aziende che privati. Hanno una sezione dedicata all’enoturismo, quindi all’experience in cantina e vicino alla cantina. Iter Relais – è uno dei pochi relais in città ad avere la piscina (viene messo in evidenza sul sito: capacità di distinguersi dagli altri tramite la piscina) Studi di commercialisti [che avevano obiettivi diversi, quindi i loro siti sono diversi: mettono in evidenza le loro specializzazioni]. Studio Bonetti e Castellani – aveva bisogno di più visibilità per avere un sito che amplificasse il contatto con il cliente. Studio Rubini & Partners – ha clienti internazionali. Al suo interno ha professionisti che parlano inglese e tedesco. Studio Gazzani – aiuta le aziende a internazionalizzare. Ha una rete di collaboratori nel mondo. Fa uso anche dei social. Scuola guida specializzata anche nelle patenti nautiche – l'attività fatta per loro per quanto riguarda la patente nautica è stata fatta tramite un servizio di posizionamento di parole chiave. Così arrivano utenti da tutto il nord Italia. Sito fatto di supporto quando è stata riaperta la biblioteca capitolare – la biblioteca più antica del mondo. Un paio di anni fa è stata aperta al pubblico e quindi è stata avviata una raccolta fondi. Si sono appoggiati su una piattaforma per raccogliere fondi, ma è anche stato fatto un sito e una campagna social in cui raccontavano il progetto della riapertura. Questo sito poi è stato chiuso. lOMoARcPSD|4537729 Sito del teatro nuovo di Verona. Fa conoscere i suoi spettacoli e per acquistare i biglietti tramite sito internet. Ha anche una newsletter per essere aggiornati su nuovi spettacoli ed eventi. Festival dell’Handmade - fatto 2/3 volte l’anno. Questo sito serve in particolare per gestire le iscrizioni dei creativi prima del festival. Sito della SC: sito istituzionale di aziende piccole e medie. SC è un’azienda che si occupa di movimentazione di materiali. Ha grandi clienti, ha bisogno di far vedere le cose che fanno. Hanno nella sezione automazione industriale anche le cose che realizzano questi impianti particolari. Il sito è in ITA e ENG. Sito di AR1 - società che si occupa di formazione e sicurezza aziendale e di smaltimento rifiuti. Attraverso il sito internet gestiscono le iscrizioni ai corsi e a dare un servizio puntuale ai clienti. I siti devono essere UTILI. O agli utenti che li utilizzano. O utili all’azienda perché migliorano certi processi. Sono spesso pubblicizzati e ne curano il posizionamento in prima pagina con le parole chiave. Azienda Bissoli: si occupa di saldatrici. Rivendono anche prodotti usati. È un sito che fa vedere sì i prodotti, informa la clientela, ma dà anche un servizio attraverso la gestione dell’usato per i propri clienti. Sito dei mangimi Veronesi – dedicato al mangime del pesce. È fatto in 7 lingue: l’obiettivo era raggiungere nuovi mercati. Doveva essere di supporto ai nuovi distributori. Il servizio particolare che danno per tutti i clienti è la possibilità di ricerca del prodotto in base al tipo di pesce che un allevatore alleva e in base all’età perché ogni pesce ha mangimi diversi in base al periodo di crescita in cui si trovano. È l’utente in autonomia che si rende conto del tipo di prodotto di cui ha bisogno. Sito della Levo – un'azienda che si occupa di sollevamento. Ha prodotti molto particolari perché le minigru esiste anche in una versione molto piccola che passa attraverso 60 cm. Permette di essere utilizzata all’interno di lavori particolari, come all’interno di chiese dove c’è un problema di entrata. Riescono a dare soluzioni particolari e puntuali anche su progetti di ristrutturazione dove con i mezzi tradizionali non si potrebbe entrare. Questo è un sito che ha quella parte di riorganizzazione dei processi: è stato riorganizzato il processo di vendita. All'interno del sito c’è un’area riservata dove accedono i commerciali, che hanno a disposizione un applicativo per poter creare le offerte in maniera veloce, partendo dal catalogo che si ha sul sito stesso. Hanno quindi migliorato i tempi di evasione delle richieste di offerta. Società Consulting – si occupa di consulenza aziendale integrata. Fa servizi di certificazione della qualità di macchine. Avevano bisogno di essere visibili perché vivono molto di passaparola. Questo sito gli ha permesso di presentarsi al meglio e di dare tramite il blog informazioni puntuali nel loro settore. Sito del bestHind – un sito di e-commerce. Hanno già due esercizi fisici. Con il sito internet e puntando online, con informazioni dettagliate, riescono ad attrarre anche nuovi clienti nell’esercizio fisico. Domande : Il mercato è cambiato. Sempre più aziende hanno un sito web (anche quelle piccole, una volta invece era più frequente tra le grandi aziende). C'è anche più interesse sulla parte e-commerce. Anche quelle piccole si sono rese conto di questa necessità. lOMoARcPSD|4537729 circuito in cui già lavoravano, ovvero Wooden. Mission: personalizzare. Punti fondamentali di un brand di moda: [le regole spesso sono delle non regole] La parte commerciale è importantissima (come viene venduto il prodotto). L'abbigliamento si struttura in due stagioni, quindi bisogna avere sempre necessità di correre. L'accessorio spesso non ha stagionalità. Fabbrica ha accorciato le stagioni: producono il prodotto, lo scattano, lo portano in showroom, una volta completata la campagna vendite, vanno in produzione e lo consegnano. Alla consegna stanno già progettando i prodotti per la stagione successiva. La parte commerciale è quindi fondamentale. Oltre al punto commerciale, c’è il marketing e la comunicazione. Anche negli showroom c’è una comunicazione commerciale. è un business to business. Poi c’è tutta la comunicazione business to customer. Ci sono molte modalità di vendita. Il marketing nel fashion è persuasione. Si deve creare una necessità/volontà di acquisto verso il prodotto [vedi slide] Vi è poi lo sviluppo del prodotto: c’è una filiera per tutti. La base creativa ha diverse vie. Di solito, cercano di fare prodotti continuativi, identitari, loro, che hanno un forte impatto sulla vendita. Poi una parte più avanguardistica che strizza di più l’occhio al fashion e alla tendenza, sapendo già che verrà venduto meno ma che serve molto dal punto di vista comunicativo. E poi danno spazio a collaborazioni con altri brand, facendosi forza a vicenda. Le collaborazioni sono fondamentali per fare rumore a livello comunicativo e per dare forza gli uni agli altri. Importante il concetto della capsule: la si fa per fare una collaborazione o una collezione, e per farla uscire fuori dalla stagione. Altro elemento importante: il team deve essere motivato e unito. Fare progetti one-man-band è complesso. Importante il concetto che spesso, quando si ha un marchio e ci si crede completamente, vende anche in showroom la tua persona. Ci sono realtà che comprano l’articolo ma per lo storytelling che c’è intorno, nelle persone che ci credono. È importante creare un’empatia con il cliente. Va oltre il prodotto. È importante sottolineare la necessità dell’esperienza pregressa. È necessario conoscere il mercato dove si va. È importante la rete commerciale. Kevin collabora con Federico per quanto riguarda comunicazione e marketing perché è una mediazione tra i due ruoli. Kevin si occupa del target del prodotto. La parte commerciale: fisicamente, finita la collezione, va in showroom, presenta la collezione agli agenti, supervisiona la vendita all’interno dello showroom e si cerca di fare un lavoro coerente per quanto riguarda il lavoro e il progetto. Seleziona quindi i negozi giusti per il prodotto, così che aiutino la crescita. Questo funziona perché poi i negozi saranno i primi a cercare di averti nel loro negozio. Identità digitale del brand: Fabbrica comunica principalmente attraverso il sito/e-commerce, Facebook e Instagram. Alla base di tutto vi è il piano editoriale. [coinvolge fotografi, videomaker...] Grande tema è affrontare nuovi canali come TikTok. L’identità digitale è fondamentale perché oltre a fare marketing puro, lOMoARcPSD|4537729 permette di conoscere le persone. Fa capire chi acquista, quindi permette di identificare il target. Obiettivi dell’azienda: o esportazione all’estero o estensione del brand o nuovi materiali e accessori o collaborazioni con altri brand Capitolo 2 [testo imprenditoria] Competenze imprenditoriali La parola competenza molto spesso viene usata in maniera quasi come se fosse sinonimo di tante altre [abilità per esempio]. Se alla parola competenza uniamo la parola ‘imprenditoriale’ allora ci troviamo davanti allo studio di quelle che sono le competenze quando applicate al mondo della scelta imprenditoriale. La relazione che una persona può avere col suo lavoro può essere catalogata in due macrotipologie: il lavoro dipendente – una persona che con varie forme di contratto è stata assunta in un’organizzazione, con la quale ha una relazione per cui riceve una retribuzione in maniera regolamentata. il lavoro autonomo/imprenditoriale - forma di lavoro in cui la persona ha un rapporto diretto e autonomo con la sua retribuzione. Quando parliamo di lavoro imprenditoriale parliamo di un lavoro in cui la persona che lo svolge si procura un reddito in forma indipendente, in forma slegata da un datore di lavoro. Cosa significa la parola competenza? Definizione formulata coerentemente con le definizioni di competenze derivanti dalla letteratura di molte discipline: la prima identificazione di questo tema è legata a White (1959) e la sua successiva applicazione a McClelland (1973, 1976), su cui si è fondata la cultura americana delle competenze quali caratteristiche personali che sono relative a prestazioni superiori ed alle motivazioni (approccio comportamentale: si parte dall'attenta osservazione delle prestazioni al fine di evidenziare le differenze individuali) =[caratteristiche di una persona che fanno sì che la sua prestazione migliori] Spencer e Spencer (1993) individuano le motivazioni, i tratti, gli atteggiamenti ed i valori – ogni caratteristica individuale che può essere misurata o valutata in modo affidabile – quali elementi fondamentali per identificare le prestazioni superiori da quelle medie, o semplicemente identificare le performance di successo. lOMoARcPSD|4537729 La letteratura ci offre molti altri approcci al concetto di competenza: la tradizione britannica seguendo un approccio funzionale (secondo il concetto di standard di competenza professionale, Mansfield e Mitchell, 1996), il modello olistico di Cheetham e Chivers (1996, 1998) con cinque dimensioni: cognitivo, funzionale, personale, etico e meta- abilità, l’approccio multi-dimensionale sviluppato in Europa continentale (Winterton et al., 2005.), il modello olistico di competenza che integra le capacità cognitive, funzionali e sociali (DelamareLe Deist, Winterton, 2005). Competenze e modello EQF – European Qualification Framework: Tra i risultati applicativi è riscontrabile nella strutturazione del prospetto del Quadro Europeo delle Qualifiche (QEQ; European Qualification Framework-EQF). Il QEQ si basa sulla descrizione delle conoscenze, abilità/capacità e delle competenze per far fronte ai cambiamenti strutturali dell'economia che hanno cambiato la natura dei vantaggi relativi di cui gode l'Europa, spostandoli verso attività basate sulla conoscenza e l’apprendimento permanente, perciò lo sforzo di promuovere la crescita economica europea attraverso lo sviluppo delle competenze è una sfida che va aldilà delle competenze di base e delle competenze tecniche, cioè le competenze avvenute dai canali formali di istruzione e di formazione professionale, ma prevede di valorizzare anche quelle acquisite tramite canali informali e non formali [per esempio, i nostri titoli di studio sono classificabili in 8 livelli di EQF. Il livello 1 è il diploma della scuola media il livello 2 è il certificato di competenze nell’assolvimento dell’obbligo... e così via]. Così ogni competenza a cui le persone accedono possono essere confrontate all’interno del linguaggio degli 8 livelli di riferimento. (L'obiettivo principale degli otto livelli di riferimento sono i risultati dell'apprendimento, che sono specificati in tre categorie: conoscenze, abilità e competenze ovvero ciò che un discente conosce, capisce ed è in grado di fare al termine di un processo di apprendimento.) [vedi slide modello EQF tabella] Questi 8 livelli vengono divisi in 3 grandi ambiti: conoscenze – elementi più di tipo teorico. Ciò che posso studiare. abilità - le cose apprese che so applicare. (più pratico) competenze – le abilità sono mediate ed elaborate in base alle competenze. Sono elementi personali che fanno sì che io presenti conoscenze ed abilità con un’interpretazione personale, affinché la mia prestazione aumenti. Conoscenze: sapere Abilità: fare Competenze: essere (atteggiamenti, caratteristiche personali e trasversali) Le persone sanno delle cose perché le studiano. Hanno conoscenze teoriche. Possono allenarsi e lOMoARcPSD|4537729 2. Leadership – attitudine alla dirigenza. L'essere portati a condurre le persone, guidandole. 3. Adattabilità - capacità di percepire i mutamenti ambientali e di adattarsi ad essi. È una sensibilità verso l’ambiente. 4. Flessibilità - tendenza a riorientare i propri obiettivi in base alla situazione esterna. 5. Need for achievement – spinta ad avere fama e successo sociale. È il bisogno di realizzarsi. 6. Need for self-empowerment – spinta a realizzare sé stessi mediante il proprio lavoro, aldilà del riscontro economico. 7. Innovazione – predisposizione e curiosità verso il nuovo. 8. Autonomia - necessità di avere un proprio spazio autonomo di decisione e di scelta. È la possibilità di muoversi nell’ambiente sentendo di poter dare qualcosa di mio anche prendendo qualche rischio. dopo di che, alle persone arriva un punteggio da 1 a 100 su come ci si può sentire propensi all’imprenditoria. Recenti ricerche realizzate con l’utilizzo del TAI® (Cubico et al., 2012; Cubico et al., 2008a; 2008b) hanno evidenziato che questo strumento permette di mettere in relazione chi presenta un buon potenziale imprenditoriale e il successo delle imprese da questi create. Possiamo affermare che chi ha un buon punteggio nel TAI®: o incontra meno difficoltà nelle fasi di avvio di impresa nell’affrontare le complessità burocratiche nella creazione di network preziosi per l’azienda sul territorio. L’obiettivo principale del Test di Attitudine Imprenditoriale è soprattutto quello di favorire nella persona una consapevolezza dei suoi punti forza ed aree di miglioramento per affrontare con un livello maggiore di chiarezza una scelta professionale impegnativa come quella del lavoro autonomo/imprenditoriale. In molte occasioni si è dimostrato uno strumento utile a far immaginare un futuro diverso a chi si stava unicamente preparando a forme di lavoro più tradizionale da dipendente, vedendo queste come le sole modalità per garantirsi una professione. lezione 15 Capitolo 1 – impresa, imprenditore, imprenditorialità: modelli e scenari Parliamo di qualcosa che è diffuso nella vita di tutti i giorni. è un fenomeno presente nello scenario internazionale e nazionale. È un tema multi-sfaccettato, in cui economia, sociologia, psicologia si intrecciano perché è una questione che ha a che fare sia con lo sviluppo della persona (riguarda una scelta di lavoro) ma con una persona che va a toccare l’economia. Da un punto di vista della persona, l’imprenditorialità permette l’espressione della visione originale, della lOMoARcPSD|4537729 creatività, degli obiettivi e della realizzazione della persona; da un punto di vista economico, crea ricchezza materiale e valore, realizza innovazione attraverso nuovi prodotti e servizi, genera occupazione attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro nell’impresa stessa, in quelle dei fornitori e dei clienti e contribuisce alla qualità della vita nella comunità locale. [video incubatori cosa significa creare un’impresa: creare innovazione. Parole chiave: startup. Imprese giovani, appena partite.] Alcuni dati registrati da Infocamere e Movimprese, per esempio (negli anni le imprese sono cresciute): Tra il 1991 e il 2001, date dei Censimenti Nazionali delle Imprese, in Italia il numero delle imprese è cresciuto di oltre 780.000 unità (+ 23,7%), arrivando a superare la quota di 4 milioni. Un processo di incremento, questo, alimentato soprattutto dallo spontaneismo individuale, dal momento che, dell’oltre 1.838.000 posti di lavoro creati nel decennio, ben il 71,1% è frutto di iniziativa di singoli operatori. (Censis, 2004). Tendenzialmente, circa il 10/12% delle persone è imprenditore: La rilevazione di Eurobarometer (2010), sottolinea che in Europa il 12% dei cittadini è coinvolto in attività imprenditoriali (4% nella fase “embrionale”, il 3% nelle fasi di avvio e il 6% in imprese avviate da tempo). Il dato per l’Italia è lievemente inferiore (11%) e si presenta uguale nelle precedenti rilevazioni (2004/2007); significativamente superiore la presenza di cittadini imprenditori negli Stati Uniti, dove la quota raggiunge il 21% (si segnala l’interessante aumento rispetto il 15% rilevato nel 2004). fallimento molto stigmatizzato in Italia Il tasso di imprenditorialità in Europa è più alto per gli uomini, 25-54 anni, con un livello di istruzione più elevato, che dichiarano scarse difficoltà finanziarie e presentano un background familiare e sociale, in cui è già entrato in contatto con qualcuno che fa l’imprenditore. Questo per vari motivi: se conosco un imprenditore mi fa pensare di poter diventare imprenditore, mi fa realizzare che diventarlo è ‘fattibile’. Qualche dettaglio: o per gli uomini è due volte più probabile essere coinvolti in attività imprenditoriali (17% vs 8% nel genere femminile); o il 18% degli intervistati impegnati nella creazione/gestione di impresa hanno/avevano genitori lavoratori autonomi, percentuale che diminuisce al 10% in coloro che non hanno familiari imprenditori. Nella stessa ricerca (Eurobarometer, 2010), nell’Unione Europea chi inizia o prosegue un’attività imprenditoriale lo fa soprattutto perché vede in questa una opportunità (55%; negli Stati Uniti il 62%), rispetto il 28% che lo fa per necessità. lOMoARcPSD|4537729 Sono sempre di più quelli attirati da un’attività imprenditoriale piuttosto che quelli che vi si avvicinano per necessità push or pull In Italia nel 2011, sono presenti oltre 6 milioni di imprese registrate (quasi un milione e mezzo sono imprese artigiane), con un tasso di crescita dello 0.82% durante l’anno; la maggior parte delle imprese sono ditte individuali (55%), seguita dalle forme giuridiche delle società di capitali (23%) e società di persone (19%); l’economia nazionale è caratterizzata dalle imprese del commercio (25%), delle costruzioni (15%), agricoltura (14%) e attività manifatturiere (10%) (Centro Studi Unioncamere, 2012). Il dato relativo alle imprese giovanili, guidate cioè da under 35, segnala una lieve flessione: si va da una presenza di 11.8% nel 2010 all’11.4% del 2011 (Verona è al 10.4%) (Centro Studi Unioncamere, 2012; Osservatorio Unioncamere sull’Imprenditoria Giovanile, 2012). Nel 2018: 1 su 10 è giovanile, guidata da under 35. Le imprese femminili si presentano invece in lieve crescita, sono il 23.5% nel 2011, mezzo punto percentuale in più rispetto il 2010 (Verona si ferma al 21.4%) (Osservatorio Unioncamere sull’Imprenditoria Femminile, 2012). *Perché non c’è lo stesso numero di donne nell’impresa rispetto agli uomini? qualche risposta si trova nel modo che i giovani e le giovani hanno nel modo di vedere l’imprenditore DEFINIRE L’IMPRENDITORIALITA’ Per descrivere l’approccio di ricerca e intervento da noi utilizzato riteniamo qui utile definire (Ahmad e Seymour, 2008, p. 9): Imprenditore, la persona (business owner) che opera per generare valore attraverso la creazione o l’espansione di attività economiche, identificando e sfruttando nuovi prodotti, processi o mercati. Attività imprenditoriale è l’azione umane di intraprendere alla ricerca della produzione di valore, attraverso la creazione o l’espansione di attività economiche, identificando e sfruttando nuovi prodotti, processi o mercati. Imprenditorialità sono gli eventi associati all’attività imprenditoriale. Consideriamo l’imprenditore e il lavoratore autonomo (self-employed... come il libero professionista con p.iva) come equiparabili: sono entrambi soggetti impegnati in forme di lavoro che provvedono al proprio reddito in forma indipendente. La Commissione delle Comunità Europee (2003, p. 6-7) definisce imprenditorialità come: “…innanzitutto uno stato mentale. Si tratta della motivazione e della capacità del singolo, da solo o nell'ambito di lOMoARcPSD|4537729 perché si collocano meglio nel mondo del lavoro, come ingegneria, medicina...). o Un gruppo non è veronese, ma frequenta un corso all’università di Padova di consulenza del lavoro. o La maggior parte è studente della triennale. La minor parte sono già laureati e fanno la magistrale. Il 35% lavora già. o Il 37% degli studenti segnala di aver pensato a una scelta di tipo imprenditoriale. Il 3% ci ha tentato. o Una percentuale ancora più piccola è diventata imprenditore. (=molti ci pensano, pochi ci tentano, ancora meno ci riescono). È stato chiesto se ci sono persone nella cerchia sociale che fanno un lavoro imprenditoriale. La domanda era ‘sono presenti imprenditori nella tua cerchia sociale? Se sì, chi sono?’: o Il 41% dichiara di avere nella propria cerchia sociale degli imprenditori. o In questa cerchia sociale, la maggior parte ha un padre imprenditore. O ancora gli amici. [vedi slide]. o c’è uno scarto molto alto tra madre e padre. Le madri sono circa ¼: le imprese femminili rispetto a quelle maschili rappresentano solo tra il 20/25%. La maggior parte degli imprenditori sono di genere maschile. [slide] Poi si chiede quali siano, secondo i soggetti, le caratteristiche personali per avviare un’impresa: La differenza significativa si nota tra maschi e femmine. I maschi la pensano in modo diverso rispetto alle femmine. Tendenzialmente, l’innovazione, seguito da flessibilità, autonomia, leadership e orientamento al risultato sono le caratteristiche per avere un’impresa. Per le donne bisogna avere di più alcuni fattori. Poi è stato chiesto da quali caratteristiche è caratterizzato un UOMO imprenditore e da quali una DONNA imprenditrice. i valori sono più alti per quanto riguarda le donne. Un uomo è caratterizzato da tot fattori tra il 3 e il 4. la donna invece è caratterizzata da tot fattori ma con un valore più alto. [vedi slide. Le barre si alzano] si ha l’idea che il modo con cui le giovani vedono la donna imprenditrice potrebbe essere talmente idealizzato o considerato come qualcosa di speciale per cui diventa un po’ più difficile che loro si mettano a provare questo tipo di mestiere. Viene poi chiesto se le difficoltà sono le stesse per una donna e per un uomo nell’aprire un’impresa. Chi più conosce questo mondo, più pensa che le difficoltà siano simili. Chi conosce meno questo mondo, pensa che le difficoltà siano differenti. lOMoARcPSD|4537729 Esiste quindi un’idea per cui il lavoro imprenditoriale sia fatto da donne con i ‘superpoteri’ e che vi siano, soprattutto per chi non ha contatti, più difficoltà per le donne nel creare un’impresa. Chi ha pensato di più ad aprire impresa/p. Iva? Chi è già in contatto con il mondo del lavoro, chi ha rete sociale (contatto con imprenditori), e chi non è veronese. (i non veronesi sono quelli che hanno già un corso di laurea in cui si parla di imprenditoria). Alla domanda ‘tra 5 anni mi vedo imprenditore’, una buona percentuale risponde con ‘molto, moltissimo’ Chi ha rete imprenditoriale risponde in maniera più positiva. Chi ha pensato di aprire impresa risponde in maniera più positiva. Alla domanda ‘conosco le tappe per avviare un’impresa’, la maggioranza risponde ‘per nulla’ o ‘poco’. Lo dice soprattutto la sede veronese (perché non ha elementi di studio dedicati alla imprenditorialità nel corso, mentre quelli di Padova sì). Sono meno chi ha rete imprenditoriale. Sono meno chi ci ha già pensato, perchè forse un po’ si è informato. Alla domanda ‘il capitale minimo per avviare un’impresa’ una buona percentuale dice che non ne ha idea. Ma una buona parte afferma che è oltre i 20.000 euro. Ma sappiamo che non è così. Esiste la possibilità che un’impresa costi meno di quello che pensiamo. ... vedi bene le slide! Un dato interessante sono gli ATTEGGIAMENTI Gli atteggiamenti sono quel qualcosa composto da un elemento cognitivo, uno affettivo, e uno di tipo comportamentale. Sono stati analizzati gli atteggiamenti verso il lavoro autonomo/imprenditoriale e verso quello dipendente. È stato misurato tramite il differenziale semantico: si prende una lista di aggettivi che rispondono alla domanda “per me il lavoro indipendente è...”. Le crocette vengono inserite nel database e viene calcolato dove si posizionano le persone per una e per altra delle liste. Nella parte sx ci sono gli aggettivi più positivi. Nella parte dx quelli negativi. il lavoro dipendente è più vicino al sicuro, brutto, senza prestigio, vincolato, stabile, passivo, interte... vedi slide. il lavoro autonomo è più vicino all’insicuro, bello, prestigioso, instabile, attivo, energico, soddisfacente... vedi slide. Il lavoro autonomo ha nella lista positiva la maggior parte delle sue connotazioni. Gli studenti intervistati hanno verso il lavoro autonomo un atteggiamento positivo. Molto più positivo di quello che hanno verso il lOMoARcPSD|4537729 lavoro dipendente. Vi è un’apertura verso questo tipo di lavoro. Sembra che le cose che manchino siano gli elementi informativi, più che le attitudini. T.A.I. - ATTITUDINE IMPRENDITORIALE È stato rilevato un punteggio medio, simile a quello dei gruppi già analizzati in altre ricerche. Chi ha un TAI più alto presenta una correlazione con chi ha già pensato di essere imprenditore, chi ha già qualche informazione, il fatto di sentire di avere un supporto da parte della propria rete sociale e imprenditoriale. Quindi si è ipotizzato che ad una buona attitudine imprenditoriale corrisponda soprattutto una buona capacità di progettare, progettarsi, creare reti e raccogliere informazioni: competenze importanti per un aspirante imprenditore. Esame gennaio/febbraio: quiz moodle. 30 domande (10 multiple choice su Favretto, 10 sul testo Cubico-Favretto, 20 sul testo Antoldi).