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Guide e consigli
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Appunti primo semestre Linguistica Generale, Appunti di Linguistica Generale

Sono gli appunti del primo semestre di Linguistica Generale con le prof.ssa Gatti.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 20/01/2021

sophia-di-flavio
sophia-di-flavio 🇮🇹

4.3

(6)

24 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti primo semestre Linguistica Generale e più Appunti in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! LINGUISTICA GENERALE Bibliografia: 1) “La comunicazione verbale” (Rigotti, Cigada). Capitoli 1-4,5 primo semestre. 2) Rigotti, “Verità e persuasione”. PDF in BB 3) Rigotti, “Towards a Typology of Manipulative Processes” PDF in BB. 4) Gatti, “La negazione in prospettiva semantico”. EDUCATT 05 Ottobre 2020 Linguistica generale e il suo oggetto. Esiste una dimensione generale? E qual è? Le lingue attualmente conosciute sono numerose (6mila), ed esiste infatti una poliglottia dei parlanti. Anche i dialetti sono delle lingue. Le lingue sono sensibilmente molto diverse fra di loro: Es. verbo di movimento in italiano, inglese, francese e spagnolo hanno un solo significato (andare IT, to go EN, aller FR, ir SP); mentre in tedesco e in russo descrivono il movimento in due modi, a seconda se si ci si muove coi mezzi o meno (gehen o fahren TE, idti o echat’ RU). Nella linguistica generale si prende in considerazione il linguaggio umano, cioè la competenza comunicativa che permette ai parlanti di produrre messaggi ed eventi comunicativi. Essi prediligono l’uso di una lingua storica-naturale. Bisogna considerare la presenza di una comunicazione verbale (tramite l’uso della lingua) e di comunicazione paraverbale (tramite i gesti del corpo). La comunicazione è pervasiva, cioè che ci raggiunge fino alle nostre case, oltre che essere complesso, perchè coinvolge delle dimensioni diverse. Innanzi tutto coinvolge dimensioni linguistico-semiotiche (il modo di vestire, la pettinatura). Ma molto si comunica tramite dimensioni psicologiche, socio-culturali e antropologiche (comunicazione tra individui che vivono in un contesto sociale) oltre che tramite le dimensioni tecnologiche. Sono angolature diverse su cui ci si interroga sulla comunicazione. 1 Il comunicazionista è colui che è a conoscenza delle dinamiche costitutive della comunicazione verbale, e che sappia assumersi di fronte alla società civile la responsabilità della buona salute della comunicazione dove essa si inceppa. Può incepparsi per varie nature: - natura testuale , come il film “La strada” di Fellini. C’è stato uno spostamento del soggetto che cambia totalmente il senso della frase, stravolgendolo. Mettendo il soggetto sulla destra, si comunica l’elemento nuovo, mentre se si mette all’inizio (a sinistra) si cambia il senso e comunica qualcosa di già noto (=> NO, soggetto in posizione rematica, invece che tematica). I messaggi devono avere sensatezza, il messaggio deve avere rapporto con la realtà. Es. “Mia moglie è un’ottima cuoca!”, detto da uno scapolo la comunicazione non ha senso e si blocca. Oppure, Es. “Mio cugino è farmacista.”, detto da uno sconosciuto blocca la comunicazione perchè il contenuto del messaggio deve essere sensato per l’altro, e viene quindi meno l’interesse dell’altro. —> differenza tra informazione (messaggi fuori contesto) e notizia (messaggio che ti crea interesse nell’altro). 06 Ottobre 2020 LA COMUNICAZIONE VERBALE. Capitolo 1. I numeri pari possono essere definiti con una regola fissa: 2x x 3 —> fa sempre un numero pari. Anche nella comunicazione verbale, si puó dare una definizione di tipo deduttivo. Si parte da una regola generale e si arriva ai singoli eventi comunicativi. L’etimologia (discorso sull’etimo, riflessione sulla storia della parola) fa un percorso sull’origine della parola dai popoli che la utilizzavano e da cui è nata. —> il termine “comunicazione” discende dal latino “communio” che si lega a “communis”, quindi mette in comune 2 o più persone. Anche in inglese il verbo “to comunicate” deriva dal latino, così come il francese. Se andiamo invece al tedesco, esistono 2 termini: “kummunizieren” e “” che è un calco sul latino. Rimanda al latino “cum” che dal latino significa “relazione”, quindi la comunicazione presuppone che ci siano 2 soggetti diversi che debbano entrare in rapporto. Le parole nel tempo subiscono mutamenti di significato, anche per quanto riguarda la loro strategia di comunicazione. Il termine “munus” significa allo stesso tempo “dono” e “compito”. Questi due aspetti sono correlati tra loro —> Es.: “hai voluto la bicicletta, ora pedala”. C’è sia il dono che la responsabilità. Tutto ciò che è caro e gradito, comporta una responsabilità. 2 La retorica classica ruota intorno ad un concetto chiave: pistis/fides, parola polisemica (con più significati). Essa interpella il mittente (formula un messaggio), il destinatario e il logos, o messaggio. La fide si sofferma soprattutto sul mittente deve essere credibile, e questa credibilità si fonda sul suo comportamento, che deve essere benevolente. La fides interpella anche il messaggio, che deve essere caratterizzato dalla pistis che assume il significato del legame che deve avere con la realtà => la comunicazione persuasiva deve essere aderente e legata alla verità. La persuasione è un processo che chiede di aderire, ma ti da’ la motivazione per la quale vuole starci. Il momento dell’adesione è quello in cui aderisco con un’affezione (affectus: metafora del cuore). To learn by heart → imparare a memoria. È un atto della ragione. (Apprendre par coeur) Sono due facce della stessa medaglia. Sono due momenti che agiscono contemporaneamente. Il preconcetto ci impedisce di aderire al messaggio con l’affectus, se esso prevale. Non è il criterio del giudizio il preconcetto. È inevitabile che si crei, e non impedisce di aderire. Ma non deve prevalere sulla natura della ragione. Aristotele ha posto il punto fondamentale per discriminare l’uso sano, dall’uso perverso della parola. Quando si persuade sia il mittente che il destinatario usano la ragione. Aristotele ci fa vedere che gli strumenti che usiamo nella comunicazione sono analoghi a quelli della logica. C’è un rapporto di parallelismo tra gli strumenti della logica e della ragione quando ci muoviamo nell’ambito della persuasione manipolativa. In ambito persuasivo si una ragione che opera in sede anche logica, e Aristotele segnala che c’è un rapporto di parallelismo tra i procedimenti usati in ambito logico e i procedimenti usati in ambito dell’argomentazione. ANTISTROFIA FRA PROCEDIMENTI DELLA LOGICA E DELLA ARGOMENTAZIONE. Nella comunicazione persuasiva, l’interlocutore (destinatario) è un giudice → impegno critico (committment). Il critico per noi è la persona polemica. È una riduzione del suo significato. Aristotele segnala un rapporto di parallelismo/antistrofia tra i ragionamenti usati in ambito logico e in argomentazione → antistrofe dal teatro greco. Nella cultura greca 5 aveva un ruolo significativo. Il coro cantava la strofa, muovendosi anche da est a ovest. E alla strofa seguiva l’antistrofe, accompagnata da un movimento da ovest verso ovest. → parallelismo tra questi due momenti (come in logica-argomentativo) Ragione-logica-argomentazione → la ragione umana procede in due modi: 1. Dall’universale al particolare → si muove per deduzione (sillogismo → tutti gli uomini sono mortali → premessa maggiore, principio generale → Socrate è uomo, particolare). Tutti i canidi sono carnivori (premessa maggiore → anapodittico, da apodeiknymi, ovvero che è incontrovertibile, è un dato universale) → la volpe è un canide (premessa minore) → la volpe è un carnivoro (conclusione). Se siamo in ambito argomentativo, questo modo deduttivo produce una struttura argomentativa che si chiama Entimema → thymós (animo) 2. Dal particolare all’universale → tanti gatti con la coda, e a partire da questa caratteristica in questa occorrenza, lo estendiamo alla totalità dei gatti. Estendiamo una proprietà da uno a tutti (generalizzazione/exemplum → basta un caso diverso per smontarla) → induttivo. Sillogismo → da una premessa maggiore + premessa minore → conclusione Entimema →strategia comunicativa usata per persuadere, deve suscitare l’adesione del destinatario. È un sillogismo retorico. ha una specificità retorica. Non esplicita tutti i passaggi. Non viene esplicitata la premessa maggiore che deve essere ricostruita con un processo inferenziale (completiamo il messaggio e ricostruiamo i messaggi non detti nella costruzione del messaggio → sono molti di più i non detti). deve favorire l’adesione. Questo accade nell’ambito argomentativo (differenza dal logico/ sillogismo, tace la promessa maggiore che però in questo caso non è un dato incontrovertibile). Questa premessa maggiore contiene una verità alla quale c’è una adesione naturale dai più saggi della comunità. È importante conoscere la cultura del destinatario. Inferenza → quando costruiamo un messaggio usiamo la semiosi (processo attraverso il quale si costruiscono i segni) deriva dal termine infero. È un processo che attuiamo quando siamo raggiunti da un messaggio e partendo da ciò che viene esplicitato, concludiamo la costruzione del messaggio 6 “Enrico invita Simone al suo matrimonio” → la invita perché è amico/parente (inferenza → ho ricostruito il messaggio). Quanto più è estesa l’esperienza i valori condivisi con l’interlocutore, più viene favorita l’interferenza. Aristotele evidenzia che quando persuadiamo usiamo la ragione a 360 gradi e interpelliamo quella dell’interlocutore. Come in ambito logico ma con delle differenze (logico devo dimostrare, argomentativo devo far aderire). Entimema → “Luigi è pazzo. Va a 100km in centro città”. Prende posizione sulla realtà e da una ragione a sostegno di questa sua posizione. C’è una tesi (luigi è pazzo → presa di posizione) e un argomento (va a 100km…). La premessa maggiore → ci invita a aderire facendo leva a ad un principio. Il principio è che c’è un limite di velocità. L’abbiamo ricostruita con un processo inferenziale. Questa premessa → endoxon (principio condiviso dall’opinione pubblica). È il punto che crea l’aggancio tra chi argomenta e il destinatario. L’entimema presuppone il ragionamento deduttivo. Premessa minore → luigi va a 100km in centro città. Conclusione → coincide con la tesi: luigi è pazzo. Ci arrivo deduttivamente. BOZZA DI MEDIAZIONE CONFLITTO ARABO-ISTRAELIANO. Negoziazione → concetto fondamentale per ricostruire l’endoxon (premessa taciuta). → negotium (business). Delle interazioni che scattano quando si ha un conflitto di interesse (economico, politico…), una trattativa su base argomentativa. Mediazione → in relazione alla negoziazione. Quando c’è un conflitto, interviene la mediazione (questa terza figura → al di sopra delle parti → terzietà) → si può uscire con un guadagno per entrambe le parti, vedendo un aspetto non visto dalle parti (win- win) Nel conflitto l’allora presidente Bush si propone come mediatore tra le parti con un discorso pronunciato a Washington nel 2004. STRATIFICAZIONI NEL MITTENTE E NEL DESTINATARIO. La ricerca moderna ha evidenziato una serie di ruoli che entrambi possono svolgere. Ci appogiamo a considerazioni di linguisti come Austin, searle, goffman, glark e anche Aristotele). 7 Questo orologio ha come causa efficiente/produttori orologiai svizzeri (PREMESSA MINORE). Questo orologio è di alta qualità (CONCLUSIONE). Esempio entimema (3). Questa casa è solida (TESI). È tutta di cemento armato (ARGOMENTAZIONE). Le case solide sono costruite col cemento armato (HOOKING POINT). Esempio entimema (4). Questa piazza è molto bella. L’ha progettata il Bernini. MANIPOLAZIONE. Quando analizziamo i processi manipolatori partiamo da testi empirici, prodotti dai regimi totalitari. I testi sono: 1) testi fondativi-programmatici, quelli in cui viene definita l’ideologia al potere. 2) Poi si possono usare i testi mediatici, quelli che servono per propagandare. 3) Testi scolastici, usati per ricostruire le tipologie manipolatori, o i dizionari, che contengono le definizioni delle parole. Un messaggio è manipolatorio quando piega la visione della realtà del destinatario, impedendogli un atteggiamento sano rispetto al suo potere decisionale —> distorsione della realtà. Tipologia dei processi manipolatori: - Violazione delle presupposizioni. Il sostantivo fa scattare dei presupposti di esistenza, cioè quando si usa un nome la cosa a cui la cosa si riferisce, nell’immaginario collettivo la cosa è percepita come esistente —> i presupposti sono dei significati taciuti. I nostri messaggi hanno dei significati impliciti. GATTO = entità con una X Possiamo descriverlo in logica con Ǝx: P1^ P2^ P3^ noi sappiamo che gatto è un’entità vivente, non umana, ma animale, un mammifero, un felino, ecc. più ne sappiamo di scienze naturale, più possiamo caratterizzare questa entità. Il simbolo ^ è il simbolo usato in logica che indica la congiunzione logica “e”. La lettera “Ǝ” è il quantificatore esistenziale, ovvero il suo significato è “esiste una X tale che …”, quindi ci permette questo presupposto esistenziale. Proprio per la natura semantica del sostantivo, i nomi hanno un forte potere comunicativo e immaginiamo la sua esistenza concreta, anche in termini manipolatori. Lo studioso ottocentesco tedesco Gottlob Frege nel suo testo Über Sinn und Bedeutung (1892) mise in guardia rispetto 10 all’espressione der Wille des Volkes – la volontà del popolo. Quando parliamo delle parole, esse hanno un significato e un denotato. Per definire il denotato, prendiamo espressioni in italiano come “Giacomo Leopardi” o “il poeta nato a Recanati” oppure ancora “l’autore di A Silvia”, ovvero con queste 3 espressioni io individuo nella realtà una stessa persona, quindi denoto lo stesso referente, cioè Leopardi, ma cambia il modo di esprimerlo. Frege inoltre fa l’esempio della STELLA DEL MATTINO (Morgenstern) e della STELLA DELLA SERA (Abendstern), mentre invece noi in italiano li chiamiamo “Lucifero” (lux + fero) e “Vespero”. Tuttavia, segnala Frege, a partire da Pitagora, che la prima stella a comparire al mattino e alla sera è sempre Venere, quindi un unico astro: quindi Lucifero e Vespero sono parole diverse, ma denotano un unico astro. ATTENZIONE: quando si usa la volontà del popolo, sto parlando di una struttura nominale può essere usata in modo manipolatorio, ci fa immaginare che esista nel denotato, una volontà che è universale. Esistono però le singole volontà. Si interviene sul presupposto di esistenza ed essendo un’espressione nominale, pensiamo sia una volontà universale. Parlare di volontà del popolo è generalizzare. Su questi effetti impliciti dei nostri messaggi, esercitiamo un controllo critico minore. Quando nel discorso scattano i nomi, in noi accade un processo di presuppositional accommodation (noi aderiamo ad una presupposizione di esistenza). Questo significa che quando formuliamo i nostri messaggi, c’è sempre un asserted content e un presupposed content (“Luigi parte a Roma” = è vietato esplicitare ciò che è ovvio, in questo modo il discorso procede). Sul controllo presupposto noi esercitiamo un controllo logico minore, ovvero su ciò che è nascosto, perciò è più facile essere manipolati ed è difficile capire come siamo manipolati. Dobbiamo perciò diventare esperti di capire ed essere coscienti di noi essere parlanti, il che è un antidoto contro la manipolazione (fenomeno delle fake news). Riprendendo il concetto di common ground, gli interlocutori devono essere diversi, ma bisogna che vi sia un minimo di conoscenze di base per far avvenire la comunicazione, insomma tutti quegli elementi che costituiscono una condivisione. Grazie a questi elementi, l’individuo aderisce alle presupposizioni, al common ground condiviso con gli altri, e ciò agisce come “test di fedeltà” alla società a cui si appartiene: introduciamo il termine weness. Rifiutando i presupposti, viene visto come un tradimento alla weness, quindi alla speech community di cui si fa parte. - In noi ci sono tendenze umane, per esempio quello di riferirci alla totalità, al tutto. Queste strategie manipolatorie di riferirsi alla totalità sono manipolazioni che fanno passare uno sbaglio piccolo come uno sbaglio grande. Sono manipolazioni che 11 tendono al falso (si fa passare una parte per il tutto). Un altro processo manipolatorio è l’istinto umano di riferirsi alla totalità. Le strategie manipolatorie di questo tipo hanno rilevanza storica, ad esempio intorno si 1940 si usò l’espressione il nemico del mio nemico è mio amico, quando l’Europa si unì all’URSS contro la Germania di Hitler. Ma sarà vero o si tratterà di una strategia manipolatoria? Supponiamo di avere una bici, ma un ladro arriva e ce la ruba. Arriva un secondo ladro che ruba la bici del primo ladro. Perciò possiamo dire che il ladro 2 è un nostro amico dato che ha rubato la bici al nostro nemico? NO, SI TRATTA SEMPRE DI LADRI. Un altro esempio può essere l’operazione di agenda setting: le notizie è un dato per noi pertinenti, che ci interessa e ci coinvolge, creando involvement. Al contrario, l’informazione è un dato che non va realmente ad arricchirci. In ogni caso, c’è una parte di eventi fatta passare per la totalità: in un giornale non possono essere presentati TUTTI gli eventi di una giornata. Però possiamo notare come alla fine dei telegiornali i giornalisti dicano “queste sono le notizie per oggi”, andando a significare che queste sono le notizie che sono state scelte, cioè tutto quello che noi vediamo non è la totalità, ma una parte di tutto ciò che è avvenuto nel mondo in quella giornata o nella giornata precedente. Questo processo di riferirsi alla totalità, viene spesso usato nel processo della cake temptation: è stata spesso utilizzata nelle risorse, presentate spesso come risorse fisse (fixed pie). Questa strategia manipolatoria è stata sfruttata da certi regimi totalitari (dalla proprietà privata alla proprietà di Stato, proponendo una lettura fissa delle risorse). - Altre strategie manipolatorie si fondano su un’altra tendenza umana: l’istinto di appartenenza. Con questa strategia, si minaccia l’inclusione del famigerato gruppo di coloro che credono che…. - L’ultima strategia manipolatoria è quella della polarità (in ambito politico e sociale), dove la realtà viene divisa in due parti, bene e male, il gruppo del noi (buoni) e il gruppo dei voi/loro (non buoni), qualità positive e qualità negative. È molto sottile e complessa e, per comprenderla, occorrono diversi passaggi. La strategia manipolatoria della polarity temptation può essere definita come una strategia manipolatoria che scatta da un’interpretazione errata dell’implicazione che comporta la negazione di un aggettivo (buono/non buono), che gioca su un errore linguistico. Innanzitutto, riprendendo il concetto di paradigma, osserviamo il paradigma dei colori: un paradigma è un insieme di elementi che possono stare fra loro in alternativa (rosso, giallo, bianco, blu, verde, ecc.). Esempio: Io posso dire questo vestito è rosso, ma anche questo vestito non è rosso, perchè può essere 12 abbiamo una parte tramite presa diretta, un’altra parte attraverso informazioni, ma la maggior parte di esse sono conoscenze che si fondano su un credito dato da qualcuno. L’epistemologia Si occupa della caratterizza opzione del metodo utilizzata da una certa disciplina e descrive, analizza le conoscenze raggiunte da una certa disciplina. Essa dimostra che solo una piccola parte delle nostre conoscenze le abbiamo effettivamente dimostrate (es. teoremi di geometria). Ma la maggior parte delle nostre conoscenze le abbiamo ottenute grazie ad un intermediario autorevole, per cui la nostra conoscenza è enciclopedica —> noi soggetti A conosciamo un oggetto B grazie ad un intermediario C. La linguistica storica ha ricostruito con vari studi le matrici delle lingue europee. MAPPA DEL LESSICO DELL’AFFIDABILITÀ Notiamo come la radice *BHIDH e *BHEIDH si ritrova nelle lingue europee e classiche. La Linguistica nasce nell’Ottocento come disciplina autonoma (sebbene la riflessione sulla lingua avvenisse già da tempi molto antichi), in un periodo caratterizzato da un orientamento storico particolare: si guarda alla lingua in una prospettiva diacronica, ovvero attraverso il tempo. La Linguistica storica confronta le lingue indoeuropee esistenti, riconoscendo una protolingua da cui hanno avuto origine, ovvero l’indoeuropeo. Da questo elemento *BHIDH - *BHEIDH nascono una s e r i e d i t e r m i n i r i g u a r d o i l l e s s i c o dell’affidabilità umana: 1. Condivisione e fiducia reciproca: già per gli uomini antichi, questa intesa reciproca era presieduta da Giove/ Juppiter era chiamato fidius, in quanto garante della fiducia reciproca a fondamento dell’intesa tra gli uomini. Chi fonda questo rapporto di fiducia reciproca è il fidus, ovvero una persona fidata e fedele. Mentre chi tradisce questo rapporto è il perfidus. Questa intesa fondata sulla reciproca fiducia, quando diventa stabile, produce un esito, ovvero il foedus, (= patto/alleanza), termine importante in lingua italiana, basti pensare al termine “federazione”, “federale”, “federalismo”. Una federazione è un insieme di parti/regioni/stati che tendono ad unirsi sulla base di un patto. Questo significato di federalismo ha proprio un termine corrispondente ad uno Stato vicino all’Italia: la confederazione elvetica, dove troviamo il termine 15 Eidgenossenschaft (= stare insieme dopo un patto di giuramento). Tornando sul termine “patto”, in greco troviamo diathéke, ovvero patto/contratto, ma anche testamento/disposizione testamentaria: con questo duplice significato, il termine per indicare i testi biblici, fu indicato nel latino testamentum, andando a perdere il significato di quel patto tra Dio e l’uomo. 2. Mondo bancario: abbiamo la documentazione del rapporto fides – mondo bancario in un passo del De Bello Civili di Cesare quando egli, giunto in un villaggio, afferma che nulla erat fides, ovvero non vi era nessuno disposto a prestargli denaro. Ritroviamo nuovamente questo rapporto nel termine fideiussione, dove una terza figura (garante di fides) si inserisce tra un creditore e debitore, facendosi garante del creditore: garantisce che il debitore adempierà agli obblighi del creditore. In italiano, troviamo un sinonimo in ambito bancario-finanziario, ovvero compare la radice legata all’espressione latina credo. 3. Credo: costituito da un primo elemento cre e do, cioè crescere per dare. In latino, il verbo credo si costruisce con il dativo, ma anche con il dativo seguito da accusativo e verbo transitivo: credo tibi pecuniam (ti presto denaro). L’accezione latina si è andata perdendo in italiano, ma è rimasta nelle figure del creditore e del credito. 4. Mondo matrimoniale: fondato sul fidarsi, affidarsi e fede. 5. Matrice tedesca: il termine BHIDH (= far fare qualcosa a qualcuno nel rispetto della sua volontà) continua nel verbo bitten (= chiedere a qualcuno con una certa forza/chiedere per avere) troviamo la matrice di “obbligare” e “convincere”. 6. Matrice russa: la radice indoeuropea ha sviluppato il verbo slavo antico da *BHIDH. In russo moderno è rimasto il sostantivo beda (= costrizione/ necessità), da cui si è sviluppato il termine bednyj (= povero/colui che vive in costrizione), poi abbiamo pobedit’/pobeda (= sopraffare/vincere). Oltre alla retorica classica, troviamo altri modelli di comunicazione verbale sviluppati nel Novecento. Non esiste una definizione unica e consolidata di “comunicazione” e neanche un modello condiviso di comunicazione verbale. Nel Novecento troviamo diversi modelli di comunicazione verbale: 1. Teoria dell’informazione 2. Riflessione linguistica 3. Riflessione pragmatica (comunicazione verbale come azione che compie l’uomo) 16 MODELLO DI SHANNON (1948) Claude Shannon (1916 – 2001) inventa un modello alla base degli approcci matematici e informatici, dove non ci sono interagenti umani, ma si limita alla trasmissione dell’informazione. Abbiamo un device tecnologico (information source), da dove parte uno scambio informativo che va verso il destinatario (receiver —> device tecnologico), ma qui non interviene la lingua. Poi, abbiamo il passaggio dell’informazione da un’information source a un receiver. La trasmissione dell’informazione avviene tramite un canale, che tuttavia può essere disturbato. Ci potrebbe essere un disturbo in questo processo, provenienti dal canale —> noise source. Poiché questo scambio potrebbe essere disturbato, Shannon cerca di individuare una situazione ideale di passaggio attraverso il suo teorema: questo teorema fissa la capacità di un canale (quantità massima di scambio informativo che può essere trasmessa). Con il teorema di Shannon, viene stabilita la quantità massima di scambio informativo che può passare dalla sorgente al receiver, perché la trasmissione sia priva di rumore, basterà che la quantità di informazione trasmessa sia inferiore/minore della capacità massima del canale. Questo modello di Shannon è un modello di tipo matematico – informatico, dove non intervengono né interagenti umani né le lingue storico – naturali, per cui l’informazione sarà codificata attraverso un sistema di codificazione che non coincide con la lingua storico – naturale. MODELLO DI SAUSSURE. Modello della comunicazione verbale con interagenti umani con lingue storico – naturali. Ferdinand de Saussure (1857 – 1913) è un pilastro della linguistica del Novecento, in particolare con la sua opera “Cours de linguistique générale”, dove il suo metodo, circuit de la parole, diventa fondamentale. Per Saussure la “parole” è la messa in atto della comunicazione che lui chiama “longue”, che è un codice linguistico, che deve essere condiviso dagli interlocutori per comprendersi a vicenda. Saussure è fondatore dello strutturalismo, ovvero la ricerca della struttura della lingua. Per Saussure gli interlocutori producono segni materiali, che hanno una natura fonetica-acustica, e sono in grado di decodificarli grazie ad una condivisa della lingua che lui caratterizza in vario modo —> patrimonio mnemonico virtuale, che vive in sede mentale. In questo modello parlare vuol dire scegliere messaggi adeguati. Il parlante sceglie in sede mentale dei segni/regole che permettano di combinare questi segni, in modo da trasmetterli all’interlocutore che sarà in grado di decodificarli. Il passaggio che porta il passaggio di un suono alla comprensione è detto decodificazione —> interlocutore, 17 La terzina dantesca “Nel mezzo del cammin di nostra vita..” C’è un’equivalenza di sillaba (ci sono sempre undici sillabe in ciascun verso): sull’asse della combinazione c’è un’equivalenza di numero di sillabe. L’equivalenza che nei testi non poetici c’è nel paradigma dei nomi, nel testo poetico c’è un’equivalenza a livello di struttura. Dante seleziona ciascun di questi elementi tra elementi equivalenti tra loro. Jakobson e la traduzione. Jakobson ha approfondito il concetto di traduzione e ha scoperto la centralità della traduzione nell’attività di parlanti. La traduzione non avviene sempre da una lingua all’altra, ma la traduzione ha una sua rilevanza linguistica ancora prima del rapporto tra lingue diverse. Quando noi abbiamo un segno, lo interpretiamo Quando noi comprendiamo un segno, per darne il significato bisogna fare delle trasposizioni in altri segni della lingua italiana. Es. Ippogrifo—> figura mitologica, un cavallo alato. Ambrosia—> nettare degli dei Jakobson si rifà a Peirce e segnala che la destinazione di un segno sta nella sua traduzione in altri segni. (Tradurre=Interpretare) Se rimaniamo all’interno della lingua italiana, per interpretare i segni dobbiamo tradurli in altri segni sempre nella lingua italiana. La traduzione è il cuore della comprensione di un segno. Jakobson fa un’obiezione a Russell, Russell aveva detto che non è possibile capire il significato di una parola se non si ha un’esperienza extralinguistica riguardo alla parola (noi non comprendiamo il significato di formaggio se non l’abbiamo mai visto). Per Jakobson invece è possibile (vedi il concetto di ippogrifo). Jakobson individua tre tipi di traduzione: 1. Traduzione endolinguistica: quando noi abbiamo un segno lo traduciamo in altri segni, rimanendo all’interno di uno stesso contesto linguistico. (formaggio=alimento prodotto dal latte) 2. Traduzione interlinguistica: quando si passa da un sistema linguistico ad un altro. (formaggio=fromage) 3. Traduzione intersemiotica: quando si passa da un sistema semiotico all’altro, ad esempio la trasposizioni da un romanzo a un film, oppure quando viene descritta un’opera pittorica trasponiamo da un sistema linguistico (la pittura), all’altro (testo letterario). LA SVOLTA PRAGMATICA Gli autori della linguistica pragmatica osservano il nostro dire come azione. Non è del tutto vero il fatto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare —> il dire a volte è un’azione. Agli inizi della riflessione sulla lingua era un tutt’uno con la riflessione 20 filosofica, ma qui abbiamo una vera e propria svolta: la parola non è più solo filosofica, ma un’azione vera e propria. John Austin (1911-1960). Il suo testo è Quando il Dire è Fare, dove Austin riflette sulle nostre azioni di dire. In un primo momento della sua riflessione, distingue fra enunciati constativi come “oggi splende il sole”, che rappresentano la realtà; da enunciati performativi come “ti prometto che ti porto al cinema”, la promessa avviene solo attraverso le parole. Ci sono azioni che avvengono solo con la parola. In un secondo momento, Austin rivela che tutte le nostre espressioni sono azioni. Oltre agli enunciati performativi, ogni enunciato/discorso ci permette di rivelare un’azione: ogni uso del linguaggio permette al parlante di compiere un’azione (Speech Act). Ogni speech act si può articolare in tre momenti, tre atti che compiamo: 1. Atto locutivo: l’atto del dire. Quando noi formiamo un enunciato, noi compiamo l’atto del dire. 2. Atto illocutivo: è l’azione che il parlante compie con il preciso atto linguistico. Quando diciamo “Chiudi la porta”, oltre a compiere un atto locutivo, diamo un ordine. Con illocuzione si intende l’azione che si compie col discorso. 3. Atto perlocutivo: gli effetti del contesto che il nostro speech act provoca. Ogni atto linguistico produce effetti all’interlocutore, perché accade qualche cosa. La situazione comunicativa cambia, cambia anche il rapporto tra gli interlocutori, anche se l’interlocutore non chiude la porta. John Searle (1932 -) Ha ripreso la teoria degli speech acts di Austin, approfondendo il livello illocutivo (atto linguistico che ci permette di fare). Descrive le diverse azioni che il parlante può compiere con uno speech act, che può essere un rappresentativo, un direttivo o un commissivo. “Paolo fuma abitualmente” è un atto rappresentativo. “Chiudi la porta!” è un atto direttivo, è un comando. “Ti prometto aiuto” è un atto commissivo, in quanto apre un impegno da parte di colui che formula l’atto linguistico. Se cambia l’azione, cambia la forza illocutoria. Paul Grice. (1913-1988) Ha messo a tema il modello della comunicazione fondato sul principio della cooperazione. Mette in luce che mittente e destinatore agiscono con un atto di cooperazione comunicativa, e sottolinea le massime comunicative che guidano i due 21 per far sì che la comunicazione sia adeguata —> vanno alla ricerca del senso del messaggio, che deve essere corrispondente ed adeguato allo scopo. 1. Massima della quantità. L’apporto comunicativo deve essere calibrato dal punto di vista della quantità, non deve dire né più né di meno. 2. Massima della qualità. L’apporto comunicativo non deve formulare un contenuto falso, e deve essere fondato su un’evidenza fondata. 3. Massima della relazione. “Sii pertinente”, il messaggio deve essere pertinente, che colga quindi l’interesse dell’interlocutore. 4. Massima del modo. È importante che nel messaggio l’espressione sia chiara, che non sia ambiguo, evitare prolissità e procedere in modo indicato Se viene disattesa una delle massime: “Dov’è Carlo? C’è una VW gialla davanti alla casa di Anna” —> è una formulazione che viola la pertinenza, però quando sentiamo questa risposta si applica il principio di cooperazione perchè andiamo alla ricerca del senso, dato che ci DEVE essere un senso comune. La risposta non è insensata, ma invita il destinatario a trovarne il senso —> Carlo si trova a casa di Anna, perchè Carlo ha una Volkswagen gialla, che è davanti alla casa di Anna. Dan Sperber e Deirdre Wilson. Riprendono una delle massime di Grice riguardo la pertinenza, e formulano la teoria della pertinenza. Mettono a tema la centralità del contesto, per interpretare un messaggio è necessario far riferimento al contesto comunicativo di cui fanno parte i parlanti. Infatti il messaggio produce degli effetti contestuali, che consistono in un cambiamento sia del mittente che del destinatario —> cambiamento dell’intersoggettività. Fondamentali sono i processi inferenziali, che integrano il messaggio formulato attraverso l’utilizzo di segni. Tali processi sono quelli che permettono al destinatario di ricostruire l’intenzione comunicativa del mittente —> quel senso preciso viene ricostruito dal destinatario interpretando i segni con un dispendio minimo di sforzo interpretativo. Un messaggio sarà tanto più pertinente tanto più produrrà messaggi, richiedendo uno sforzo cognitivo minimo. Effetti comunicativi. La svolta pragmatica permette di capire cosa producono i mittenti per comunicare: gli eventi. Semantica di “evento” —> semantica latino-romanza e germanica. 22 Ciascuno dei 2 soggetti riesce a soddisfare il suo scopo, intrecciando la sua catena di realizzazione, sodisfando l’altro. => l’interazione è l’intreccio di 2 agenti, che agiscono per raggiungere il proprio scopo, necessitando di intrecciare le loro catene di realizzazione a vicenda. Come il cliente ha bisogno del barista, anche il barista ha bisogno del cliente. 3) Interazione vs. cooperazione. Nella cooperazione abbiamo 2 co-agenti, che condividono lo scopo. Es.: pensiamo a due che devono soccorrere un ferito. Entrambi i co-agenti hanno la condivisione di common ground, ma anche il desiderio, che è la molla che fa scattare l’azione —> immaginano uno stato di cose che gli permettano di realizzare il loro desiderio comune. Decidono, quindi, di perseguire il loro scopo attivando una serie di atti che permetteranno loro di, per esempio, soccorrere il ferito. Gli atti linguistici, in questa situazione, saranno atti con i quali i 2 organizzano la propria cooperazione. Si ha competizione quando i 2 agenti desiderano lo stesso oggetto, che però NON può essere condiviso. Es.: 2 agenti vogliono una stessa fetta di torte, ma solo uno può averla. Iniziano una catena di realizzazione per arrivare al loro scopo. Qui ciascuno degli agenti usa la comunicazione per dimostrare la reale e importante necessità di avere quella cosa. Spesso questi atti linguistici hanno una natura argomentativa. I fattori della comunicazione verbale. 1) Semiosi, eventi semiotici vs. non semiotici. . Prendiamo 2 eventi non semiosici come una penna e un microfono, e chiediamoci: questi due eventi non semiotici hanno senso? Il loro senso coincide con la funzione che ci permettono di svolgere. Se io scrivo o dico “penna” e “microfono” questi sono due eventi semiotici la loro fisicità sta nel dirlo, trasmettendo onde sonore, e se lo scrivo occupa uno spazio fisico e uso un inchiostro di una penna. La semiosi è quell’atto tramite cui i parlanti costituiscono un segno. Il senso che quei due oggetti hanno è un concetto a cui ci rimandano —> abbiamo una successione di suoni che veicolano due concetti. Sono infatti segni semiosi, associando a dei suoni un determinato concetto —> semiosi verbale. La correlazione semiotica è la corrispondenza di una successione di suoni ad un immagine (al concetto) di quel segno. 25 Ogni comunità linguistica associa a ciascun concetto una correlazione semiotica. Per cogliere il senso di un segno dobbiamo interpretarlo in modo da arrivare al concetto che quei suoi veicolano. Un primo tratto della correlazione semiotica è l’arbitrarietà —> non c’è nessuna ragione per cui al concetto di una parola si debba usare quella determinata successione di suoni. Ciò comporta stabilità della lingua, perchè permette che questa relazione arbitraria non possa essere ripattuita e dover creare nuovi suoni, e non ci sarebbe più quindi la condivisione della lingua. Il fonosimbolismo è quell’orientamento che cerca di trovare una motivazione nel suono. Ossia cerca di giustificare nel suono una parola. Anche nel caso delle onomatopee c’è un margine di arbitrarietà, perchè cambiano da cultura a cultura. Un secondo tratto è la convenzionalità —> è un nesso stabilito all’interno di una comunità linguistica, è istitutum. Quindi le correlazioni semiotiche vengono tramandate di generazione a generazione, da genitori ai figli, i quali quindi iniziano ad apprendere la lingua materna. Quando insegniamo a dare i nomi alle cose, passa anche tutta una dimensione affettiva del mondo degli adulti nei confronti del mondo dei piccoli. Es.: esperimento di Federico II di Svevia, alla ricerca della “lingua originale”, divise i bambini dalle mamme e li diede alle balie che li allattavano, senza mai parlare per vedere cosa sarebbe successo. Essi si intristirono e morirono, quindi attraverso l’apprendimento della lingua nel nido familiare passa anche tutta una dimensione d’affetto, che non è meno importante alla crescita del piccolo rispetto all’alimentazione. Es.: altro episodio fu la scoperta di un bambino, Victor, nei boschi che era cresciuto coi lupi, e che quindi non sapeva parlare perché gli era venuto meno l’apprendimento del dare nomi alle cose => aveva una lesione profonda nella sua psiche, dato che non riusciva ad integrarsi nella realtà. La semiosi è caratterizzata dal fenomeno della cornice, cioè quella linea più o meno immaginaria che delimita una porzione di realtà in cui opera la semiosi. Una volta interpretato il segno, possiamo trovare nella realtà l’oggetto cui fa riferimento —> Stat pro alio, perchè i segni instaurano un rimando alla realtà. Cancellare la barra semiotica con la realtà è un segnale di psicosi. Non tutte le parole, usate in momenti temporali diversi e da persone diverse, rimanda sempre allo stesso concetto. MA se abbiamo una parola come “io”, usata da me o usata da qualsiasi altra persona, ha significato diverso. Così come se dico “ora splende il sole”, faccio riferimento al momento in cui viene detto, che potrebbe essere diverso dal giorno dopo o da ieri. —-> è la semiosi deittica. Deissi, che vuol dire additare, indicare. Parole come io, 26 tu, adesso, ora, qui, così. Hanno una parte di significato che viene dalla parola stessa che viene dal dizionario, che però diviene il contenuto di un istruzione. L’altra parte ci dice di andare a prendere il soggetto specifico cui fa riferimento quella parola in quella specifica situazione comunicativa, per specificare il significato. Es.: Luigi dice “questa penna è blu” e Andrea che dice “questa penna è rossa”. I due enunciati sono contraddittori? Il principio di contraddizione dice che non è possibile parlare di A e di non A nello stesso tempo e sotto il medesimo aspetto. Se parlano della stessa penna sono contraddittori, se parlano di due penne diverse allora non lo sono. Dicendo “questa” il deittico si avvina al soggetto che si trova vicino al mittente che parla in quel momento. Sono deittici diretti i pronomi personali: io/noi/tu/voi; e anche i pronomi possessivi: mio, tuo, nostro, vostro. Fanno parte dei deittici diretti i deittici spaziali: questo/quello/qui/là; i deittici temporali: adesso/prima/oggi; i deittici di maniera: così, i deittici di maniera sono accompagnati da un gesto. I deittici testuali sono i pronomi di terza persona (egli, ella, esso), singolare e plurale, e svolgono una funzione particolare: permettono di svolgere funzioni di coesione del testo. “Ho visto Chiara e le ho detto che domani c’è il seminario”—> hanno funzione anaforica (riprendono dei denotati che sono stati instaurati nel contesto che precedono, permettono di evitare le ripetizioni); e cataforica (non riprendono elementi che sono già stati utilizzati nel segmento di testo che precede, anticipano qualcosa che verrà detto): “Ti telefono per dirti questo: è nato Marco!”. Questo è un pronome dimostrativo, non è un deittico spaziale, ma un testuale, in quanto anticipa una cosa che segue nel co-testo. A differenza dei deittici testuali, i deittici personali (io, tu, noi) non hanno il genere. Noi dobbiamo immaginare la comunicazione come una scena teatrale: sulla scena teatrale i protagonisti sono presenti vis-à-vis. Io , tu sono pronomi che indicano i due interlocutori presenti nello stesso spazio comunicativo—> questo rende inutile comunicare il genere. Quando invece si parla di un terzo, una terza entità che non è presente sulla cena, pertanto va specificato il genere grammaticale. I deittici indiretti: hanno una componente deittica i tempi verbali. Prendiamo il verbo piove: quando usiamo questo vero al presente indicativo, lo collochiamo in contemporaneità col discorso. Se io dico “piove”, significa che sta accadendo adesso. Questi tempi hanno una componente deittica perchè collocano un evento in un discorso comunicativo che cambia. L’evento accade in un momento che si colloca rispetto al momento del discorso. L’imperfetto permette di agganciarsi ad un momento del passato, l’imperfetto 27 2) Perché occuparsi della riflessione linguistica che ci precede? Per confrontarci con quello che sappiamo e con quello che è la tradizione che ci precede. Goethe dice che ciò che hai ereditato dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo realmente —> NON scartare la tradizione perchè passata, ma usarla per confrontarla e rispondere alle domande che abbiamo oggi. La linguistica è antica da quando l’uomo riflette. Nasce nell’800, coincidente con la pubblicazione dell’opera di Franz Bopp nel 1816 sul sistema di comunicazione sanscrito a confronto con quello del sistema di coniugazione greco, latino e germanico —> la linguistica nasce come storico-comparativa, attraverso comparazioni ricostruisce una lingua originaria da cui essa viene. => la linguistica ha prospettiva diacronica, cioè osserva le lingue nel loro sviluppo. Poi nell’800 c’è la necessità di sapere la struttura della lingua, desiderio che muove Sussure, che comporterà la nascita dello strutturalismo. Anche altri autori, senza leggere Sussure, hanno idee analoghe: Baudouin de Courtenay e Kruszewski, che sono precursori dello strutturalismo. Baudouin segnala che nel caratterizzare nell’oggetto della fonetica, ha 2 oggetti che deve studiarli nei suoni, nel loro sviluppo nel tempo, ma anche indagare come funzionano i suoni nel meccanismo della lingua. Kruszewski è allievo di Baudouin, e in lui si pone attenzione a momenti di interazione della lingua. La lingua è un tutto strutturato, cioè se osserviamo una lingua troviamo delle parole originarie ma anche di altre origine. Ma, pur avendo origine diverse, queste parole si adeguano nel loro aspetto formale agli aspetti fonetici di tale lingue. E queste parole devono avere un significato diverso rispetto a quelle che già esistono. => Ciascuna lingua vede intervenire delle leggi che governano la sua struttura, dall’aspetto fonetico all’aspetto semantico. Ogni lingua è un tutto strutturato. Egli fa, inoltre, una considerazione sul modo in cui un parlante apprende le parole della sua lingua. Ciascun parlarne ricorda senza difficoltà un repertorio molto ampio di parole. Quando noi apprendiamo le parole, non le impariamo isolatamente. Es.: parola “conduce” la prima parte “ conduc-“ è già nota per una serie di altre parole che si conosce; così come la parte finale “-e” è associata ad altre parole che finiscono per “e” => quando apprendiamo una parola, essa è associata ad altre parole per associazione per somiglianza o similarità. E ciò ci aiuta nell’apprendimento delle parole. Le parole, però sono legate anche per altri motivi. es.: “Luigi ha corrisposto a Pietro una ingente…”. Ci viene naturale terminare la frase per contiguità, per cui 30 una volta che abbiamo due parole contigue siamo immediatamente portati a completare la frase. Ciascun enunciato si colloca all’intersezione dei due assi portanti che strutturano la lingua: similarità o equivalenza e della contiguità. Kruszewski si sofferma su un momento temporale ben preciso e analizza strutture della lingua. Ferdinand de Saussure. Padre dello strutturalismo (1857-1913). Opera fondamentale è Cours de linguistiche générale (1916), scritto insieme a due suoi studenti Bally e Sechehaye, i quali prendevano appunti durante le sue lezioni. Leggendo la sua opera si nota che Saussure precisa il suo metodo, proponendo una serie di opzioni metodologiche tra le quali ne sceglie una. Dovremmo osservale la lingua in un suo momento temporale, quindi in un momento sincronico. 1) Diacronico vs sincronico. Dovremmo osservare la lingua in un suo momento temporale, quindi in un momento sincronico. 2) Lingua esterna vs interna. La lingua ha dei fattori esterni concomitanti, cioè è collegata in un certo contesto geografico. Se invece si vuole studiare una lingua bisogna entrare in una prospettiva interna. Qui decide di operare nella linguistica interna, data la scelta della sincronia, prescindendo dalla struttura esterna. 3) Langue vs parole: duplice funzione. Sono due momenti costitutivi della struttura di una lingua. Per “langue” intende un sistema di segni, il suo uso poi coincide con la “parole”. Saussure definisce la lingua in un sistema di segni, e non un insieme, perchè è un gruppo di elementi nel quale ci sono rapporti reciproci di solidarietà segnica —> “Dans la langue tout se tient”. Proprio perchè questi elementi fanno parte di un sistema, ciascun segno è quello che è in quanto vive in questo sistema e si oppone a tutti gli altri => il segno ha natura oppositiva. Es.: la lingua francese dice “bois” in cui non si oppongono altri significati, la lingua italiana a “bosco” si oppongono altri segni come “legna”, “legno” o “legname” ed è quindi più circoscritto. —> La langue è il momento sociale (condiviso da tutti i parlanti che non si può cambiare) e la parole è il momento individuale. In questo modo però lo fa ricadere in una linguistica esterna, perchè li considera nei suoi fruitori esterni (va contro quello che aveva detto prima: aporia). Caratterizza anche il segno linguistico, dicendo che è ha due facce: signifié e signifiant, sono due facce della stessa medaglia che non si possono separare. Es.: se prendiamo un voglio di carte e ci tagliamo una figura, otteniamo una figura che 31 non presenta la separazione fra parte superiore ed inferiore. Il signifié è il concetto e il signifiant è il significante, ma non lo descrive come un qualcosa di fisico ma intende che rappresenta l’immagine acustica, la scia che la lingua lascia. => il segno unisce un concetto ad un’immagine acustica. Quindi anche il significante per Saussure ha natura psichica. Per gli stoici, invece, il segno era costituito dal semaion (significato) e la identificata col sensibile (qualcosa di fisico), e identificavano anche il semainomenon con l’intellegibile (il signifié suassuriano). Egli dice che il segno è arbitrario, perchè non c’è nessuna ragione per cui il concetto di “casa” è associato all’associazione dei suoni. E questo garantisce la stabilità della lingua. La linearità riguarda tutto il segno, riguardando sia la faccia del significato e significante. Nasce un grande dibattito su che cosa volesse intendere con la concezione che anche il significato abbia una sua linearità. Probabilmente si riferiva alla linearità riferita ai diversi significati che l’ordine delle parole può veicolare —> es.: “John loves Mary” vs. “Mary loves John”, sono costituiti dagli stessi segni ma cambia qualcosa: il soggetto. È importante l’ordine delle parole per differenziare il soggetto dal complemento oggetto. Ci da’ delle informazioni sulla strutturazione sintattica della lingua inglese. Es.: “Giovanni lesse il romanzo” vs. “Il romanzo lo lesse Giovanni” . C’è dislocazione del soggetto per farlo diventare rema. Qui Giovanni è il tema della prima frase, nella seconda è il romanzo a diventare il tema => l’ordine delle parole veicola un significato diverso rispetto all’inglese, legata al senso morfo-sintattico, qui si concentra sulle funzioni comunicative di tema e rema. L’inglese per rematizzare il soggetto, si ricorrono 2 strutture: si usa il passivo, oppure il cleft-sentence (“It’s John who Read the book”). L’ordine delle parole guarda ai segni nella catena sintagmatica. Esso, in quanto momento di manifestazione della linearità, veicola diversi aspetti del significato (morfo-sintattici o logici). Per entità si intende il segno in quanto unione inscindibile di signifiant e signifié. Per unità ci dice che è l’entità in quanto delimitata nella catena fonica. Ma precisa che questa entità è intensa in maniera funzionale —> es.: il treno Milano-Firenze delle ore 20. Quando definiamo questo treno, non ci riferiamo alla materialità di questo treno, ma viene definito in base al punto di partenza (Milano), al punto di arrivo (Firenze) e l’orario, che non coincide con la stessa locomozione, al giorno o l’orario di tutti i treni. => non intende la materialità. 32 Altri esempi: “piove. Non esco” —> “piove, quindi non esco” —> inferenza consequenziale L’inferenza interviene nei testi argomentativi (entimema) Es: Luigi è pazzo. Va a 100 km in autostrada” Inferenza voluta: “stasera vieni in piscina?” “Sono raffreddata” (il secondo interlocutore non rifiuta) Inferenza non voluta: “meridionale, però gran lavoratore” Inferenza e principio di buona volontà Grice —> principio di cooperazione, i due agenti vanno alla ricerca di un senso Moeschler —> principio di carità I due interlocutori cooperano nella costruzione di un senso. Opera sia nel destinatario (ricostruzione senso) che nel mittente (lo presupponiamo all’opera del nostro destinatario). Grazie all’inferenza, possiamo capire il processo di comprensione: Spesso, esso è inteso come procedimento euristico (cioè di scoperta graduale e continua del senso, operato dal parlante, mittente) di interpretazione (rischio —> non si sa mai cosa intenda veramente un mittente. Perché si legge un’ennesima volta un romanzo? Ogni volta inferiamo significati ulteriori, c’è sempre una seconda lettura, con nuove inferenze) e non di decodifica. Processo di doppia traduzione: supponiamo di avere un romanzo formulato in tedesco e che questo venga tradotto in italiano. Supponiamo che la traduzione italiana venga sottoposta a una retroversione, tornando al tedesco: in questo modo si dovrebbe avere un testo identico al testo di partenza. Però questo non avviene—> il traduttore interpreta, non è oggettivo al 100%. “Che bello! Ho fatto un incidente”—> l’espressione sembrerebbe contraddittoria: dopo un’espressione di sorpresa positiva ci aspettiamo una mossa comunicativa ch esprima qualcosa di bello. Però qui invece è descritto un fatto negativo. —> qui opera il principio di cooperazione, andiamo alla ricerca di un senso. Cosa voleva dirci il mittente? Cosa afferiamo? Attuazione di inferenze più audaci: Potremmo ipotizzare che sia ironia, che ci sarà l’assicurazione ecc.. 35 Inferenze comunicative vs comunicate Comunicative —> inferenze che il mittente lascia compiere al destinatario. “Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio” attuiamo l’inferenza: i due sono amici/si conoscono. Comunicate—> il mittente esplicita l’inferenza. “Enrico aveva invitato Andrea al suo matrimonio. Perciò lo conosceva.” —> esplicita l’inferenza. A: “io non voto ancora” B: “hai meno di 18 anni” —> inferenza diventa la risposta. B attua un’inferenza comunicativa che diventa comunicata. Questo permette di strutturare un dialogo. Che cosa possiamo inferire? “Appena chiusa la porta, Paolo si accorse con orrore di aver dimenticato le chiavi”. Inferriamo che Paolo è rimasto fuori, che non può più entrare in casa, che non ha con sè altre chiavi... L’inferenza è decisiva nella dimensione comunicativa, non solo nella comunicazione verbale, interviene anche nell’ambito delle arti figurative. Es: davanti alla Sagrada Familia a Barcellona. Di fronte al portale della natività, ci sono angeli che suonano strumenti. Ne vediamo uno che suona l’arpa, a cui però mancano le corde.—> cionostante noi vediamo l’arpa per intero. L’artista :“..voglio che sia completata da chi l’osserva..” —> principio di cooperazione nel fruitore della sua opera d’arte. OSTENSIONE . È un fattore costituitivo della comunicazione verbale. Deriva dal latino “ostendere” = mettere davanti, far vedere. Comunica la realta senza che si traduca in semiosi verbale —> comunica la realtà per come è, senza bisogno delle parole. È la comunicazione muta che arriva dalla realtà —> cose, persone ecc. che si lasciano vedere per la loro esistenza. Espressione ironica: mamma che entra in camera del bambino e dice “che bell’ordine!” —> la camera stessa comunica disordine, non c’è bisogno di parola. 36 37