Scarica Appunti relativi ad applicazioni di tecniche analitiche in mineralogia (prof. Malferrari) e più Appunti in PDF di Mineralogia Applicata solo su Docsity! APPUNTI SU PDF A1, A2, A3, A4 DI MINERALOGIA ANALITICA ED APPLICATA PDF A2 - Miniera Pigelletto:_________________________________________________________________________ Le Riserve Naturali possono essere utilizzate come strumento di recupero e valorizzazione delle aree minerarie abbandonate: esempio di estrazione di Hg dai suoli e dai sedimenti della riserva naturale del Pigelletto (Piancastagnaio, Siena, Italia, istituita dalla Regione Toscana nel 1996). Miniera del Siele: l’attività mineraria inizia nel 1841, il 1870 è l’anno del decollo dell’attività mineraria sul Monte Amiata. Nel 1900 il bacino mercurifero amiatino copriva quasi l’8% della produzione mondiale con oltre 800 addetti. Le miniere sono poi state chiuse per mancanza di richiesta Geologia e mineralizzazioni a Hg: il mercurio ha una stabilità che varia con la temperatura; perciò, sono stati condotti nel suolo degli studi termici per determinare la speciazione. Mineralizzazione in matrice argillosa (scuro); Mineralizzazione dei galestri di copertura (medio scuro); Mineralizzazione nella pietraforte (chiaro). HgS è presente nel sottosuolo “profondo” nelle arenarie e in superficie nelle argille. N.B.: nelle zone limitrofe alle miniere superficiali, si nota l’assenza di vegetazione; questo a causa della leggera solubilizzazione dello zolfo in acqua che, formando H2SO4, ha abbassato il pH del suolo, non permettendo lo sviluppo di vegetazione. Questa massiccia presenza di zolfo è dovuta al fatto che il Hg si estrae riscaldando HgS (cinabro), che rilascia lo zolfo come gas; parte di esso ricadeva nel suolo sottoforma di specie diverse (speciazione). Speciazione chimica Hg/pH da sale facilmente solubile (nitrato): A pH “normali” (non troppo acidi quindi, circa di 5-6) il Hg precipita sottoforma di Hg(OH) 2, questo è un vantaggio perché il catione Hg2+ in soluzione legherebbe con la materia organica. Metodo di investigazione: l'obiettivo principale della ricerca è quello di identificare la speciazione chimica del Hg nei sedimenti provenienti da aree minerarie abbandonate. Nell’indagine è stato utilizzato uno spettrometro gas-massa accoppiato con un apparato di riscaldamento (es. analizzatore termogravimetrico). I vantaggi dell’utilizzo di queste tecniche analitiche sono stati: determinazione qualitativa e quantitativa di specie che reagiscono simultaneamente; elevata flessibilità nella modulazione dei range di temperatura. N.B.: la spettroscopia EXAFS è probabilmente lo strumento migliore per comprendere la speciazione chimica dei metalli pesanti nei terreni (inquinati) e nei sedimenti. Tra i metalli pesanti il Hg è uno dei più sensibili alla temperatura e la sua speciazione chimica può essere valutata rilevando i valori di temperatura ai quali il Hg viene rilasciato come gas. Estrazioni sequenziali selettive estrazione di cationi legati a diverse specie chimiche; i vantaggi e gli svantaggi dell’utilizzo di queste tecniche per l’estrazione dei cationi sono stati: determinazione qualitativa e quantitativa (vantaggio); facili da eseguire, non richiedono molto tempo, non sono costose (vantaggio); non sono specifiche per un singolo elemento (sai vantaggio che svantaggio); parziale sovrapposizione delle fasi di estrazione (svantaggio); solubilità non completa delle specie ad elevata concentrazione (svantaggio). Miniera del Siele - Monitoraggio ambientale: In base alla legge italiana (Piano Regionale, Legge 29/93) Siele fu la prima miniera dell'area mineraria dell'Amiata dove è stato attivato il progetto di bonifica. I lavori sono iniziati nell'Agosto 1999 e sono stati completati nel Dicembre 2001. Diversi (non tutti) gli edifici sono stati completamente restaurati ed i terreni e i sedimenti attorno ad essi sono stati rimossi fino a 50 cm di profondità. Obiettivi della ricerca: Ricercare la speciazione chimica del Hg nei sedimenti provenienti dalle aree minerarie del Siele che non sono state interessate dalle strategie di risanamento ambientale. PDF A3 - Applicazione delle zeoliti:___________________________________________________________________ “Funzionamento” della zeolite: L’azoto ammoniacale può essere rilasciato “on-demand”, ossia quando il suolo ne risulti impoverito per richiesta da parte delle piante in fase di crescita e produzione scambiando al suo posto altri cationi (ad es. H+, Na+, Ca2+). La zeolite è in grado di “intercettare e trattenere momentaneamente” l’azoto ammoniacale presente in soluzioni acquose circolanti nei suoli (ad esempio per dissoluzione di fertilizzanti o spandimento di liquami). Lo stesso meccanismo, sebbene con dosaggi e modalità completamente differenti, si applica anche per apportare micro-nutrienti attraverso trattamenti fogliari. In questo caso il controllo dell’apporto e del rilascio è ancora più “delicato” poiché, nella maggior parte dei casi, si fa riferimento ad elementi quali rame e zinco e basta poco perché da micronutrienti si trasformino in inquinanti (sono pur sempre metalli pesanti). Chiariamo alcuni aspetti: gli ammendanti per terreni a base di zeoliti naturali NON sono formati esclusivamente da zeoliti, ma contengono anche altri minerali e, spesso, vetro vulcanico; in Italia esiste una specifica normativa (DECRETO LEGISLATIVO 29 APRILE 2010, N. 75) che permette di classificare una roccia contenente zeoliti come “zeolitite”. In estrema sintesi prevede che la roccia contenga almeno il 50% in peso di zeoliti ed abbia una CSC maggiore di 120 mEq/100 grammi; per i trattamenti fogliari dove i dosaggi sono molto più bassi sono in fase di valutazione anche zeoliti sintetiche, ma i costi sono maggiori ed inoltre nel biologico non sono consentite. Non tutte le zeoliti sono uguali: le zeolititi (naturali) presentano notevoli differenze non solo dal punto di vista della struttura, ma anche del chimismo; pertanto la maggiore presenza dell’una o dell’altra specie all’interno di una zeolite cambia notevolmente la risposta; questa risposta dipende, inoltre, anche dal tipo di suolo ammendato o dal tipo di nutriente che si vuole apportare; è infine fondamentale porre una notevole attenzione ai cationi scambiabili originariamente presenti (sia che vadano nel suolo o debbano essere recuperati vanno comunque controllati). Le principali zeoliti naturali contenute nelle zeolititi sono essenzialmente tre: Chabazite; Phillipsite; Clinoptilolite. Vediamo quali sono le principali differenze fra queste ultime: Chabazite: elevata capacità di scambio cationico; canali, contenenti i cationi scambiabili, con geometria “circa lineare”. Scambia il catione facilmente ed in modo lineare. Phillipsite: elevata capacità di scambio cationico; canali, contenenti i cationi scambiabili, con geometria “NON lineare”. Scambia il catione con un “movimento a zig-zag” che rende quindi più difficile lo scambio. Clinoptilolite: sostanzialmente simile alla chabazite, ma con una minore disponibilità di cationi scambiabili e minore ritenzione idrica. ESEMPIO: Preparazione di un concime a base di rame: TEST DI ADSORBIMENTO: si può notare che la quantità di rame assorbita dalla Chabazite è minore. TEST DI RILASCIO: la Chabazite è in grado di liberare più rame della Philipsite in quanto quest’ultima, quando utilizzata in campo, fa più fatica a rilasciare i cationi (movimento a zig-zag). Trattamenti in campo con zeoliti arricchite in rame: questa è una possibile soluzione per limitare l’impiego del metallo. PERSISTENZA DEL Cu SULLE FOGLIE: DIFFUSIONE DEL FORMULATO SULLE FOGLIE: le microparticelle di zeolite si vanno ad incastrare sulla foglia e, anche se viene a piovere, non si distaccano; il concime normale invece, ricco di solfato di rame, si solubilizzerebbe. “NUOVA” PERSISTENZA DEL Cu SULLE FOGLIE: andamenti simili ma è stato usato 65% in meno di rame. Si può osservare che con la zeolite ne rimane molto di più. Ovviamente gli aspetti ambientali (visti sopra) sono importanti, ma l’utilizzo delle zeoliti deve portare anche ad un aumento della resa/efficienza del campo. OLTRE LE ASPETTATIVE! Riduzione del fertilizzante ed aumento della resa produttiva rispetto al controllo. Vediamo ora il caso del mais: Maggiore è il contenuto di zeoliti nei terreni minore sarà il contenuto di azoto ammoniacale (derivato da eventuali fertilizzanti). risparmio idrico medio compreso tra il 13 ed il 49% (su tre anni). Sul mais la richiesta di acqua è maggiore rispetto ad altre coltivazioni. il risparmio di fertilizzante nella parcella a 50 ton/ha è ovviamente inferiore rispetto all’anno precedente poiché la zeolite precaricata si è “scaricata”. Effetti collaterali: nella parcella zeo-precaricata l’azoto rimasto nella zeolite (successivamente al ciclo di coltivazione) ha causato una nuova germogliazione delle piante precedentemente coltivate; questo non è un bene, soprattutto se io voglio sfruttare quell’azoto residuo per un altro tipo di coltivazione. Rapporto costi/benefici: in estrema sintesi, una azienda di grandi dimensioni (circa 300ha) per ammendare i propri terreni con zeolitite spenderebbe circa 3450 €/ha. Al fine di recuperare questi costi sono necessari periodi di ammortamento variabili tra i 10 e 15 anni, tenuto anche conto delle oscillazioni dei prezzi dei prodotti. Come già detto, l’addizione di zeolite va fatta una sola volta e la sua azione è inesauribile nel tempo. Si possono stimare quindi miglioramenti del valore fondiario fino a 3850 €/ha. Ulteriori vantaggi si possono ottenere dalla vendita di zeolite caricata di ammonio. Sono inoltre innegabili i miglioramenti ambientali soprattutto in termini di produzione sostenibile. PDF A4 - Intercalazione e interazione solido- gas:________________________________________________________ Reazioni all'interfaccia tra minerali stratificati, fasi liquide e gassose: l’interazione di minerali stratificati con fasi gassose ha assunto un grande interesse grazie alla possibilità di intrappolare gas più o meno tossici dentro strutture minerali. L’obbiettivo è ovviamente quello di trovare un sistema per ottenere un gas ripulito (o comunque con una concentrazione inferiore) dei composti inquinanti, il tutto ad un basso costo. Caso dei silicati stratificati: I silicati stratificati adatti al “gas-trapping” possono essere suddivisi in due gruppi principali: argille naturali; argille colonnate fillosilicati in cui tra uno strato e l’altro c'è un a molecola che eviti il collasso dello strato; dopo riscaldamento queste argille perdono acqua e rimangono quindi dei “canali” liberi per l’ingresso di altre molecole. Strato superiore Strato inferiore Studi recenti, per lo più relativi alla montmorillonite, identificano i seguenti fattori di controllo: grado di idratazione (argilla naturale); natura dei cationi interstrato o del pilastro; Tempo di esposizione, temperatura e pressione al gas. Esempio: Adsorbimento di anidride carbonica mediante montmorillonite in presenza di acqua in diverse concentrazioni. Quadrati: Ca montmorillonite; Cerchi: Na montmorillonite; Triangoli: Cs montmorillonite; Montmorillonite con calcio è quella che assorbe di più CO2 in particolare se ho poca acqua (0,2 g/cm3 di H2O). QUALI SONO LE FORZE CHE GUIDANO L'ADSORBIMENTO DEL GAS NEGLI STRATI DI SILICATI? micro-porosità; bagnabilità; carica superficiale negativa. Queste caratteristiche fisiche e chimiche rendono i silicati a strati un materiale favorevole al sequestro del gas e adsorbimento selettivo di CO2, CH4 e H2S. L'anidride carbonica, essenzialmente a causa del suo momento quadrupolare, interagisce fortemente con il campo elettrostatico definito dall'argilla. Il metano ha un momento quadrupolare pari a zero ma può interagire con l'argilla a causa della sua elevata polarizzabilità. H2S ha un momento quadrupolare pari a zero, ma ha molta più affinità con la struttura idrofila della montmorillonite rispetto all'anidride carbonica e al metano. Preparazione della trappola per tioli volatili in fase gassosa: non è possibile l'adsorbimento diretto di tioli idrofobi su un'argilla naturale idrofila, come la montmorillonite o la caolinite. La superficie dello strato di silicato deve essere trasformata da idrofilica a idrofoba senza compromettere le proprietà di adsorbimento, come il comportamento di rigonfiamento della montmorillonite Natural Mt: Reazione fra Mt-Fe3+Phen e composti tiolici volatile: rimozione selettiva, semplice ed efficace dei derivati organici volatili dello zolfo utilizzando la montmorillonite intercalata con un Fe+3-complesso di fenantrolina. + ESEMPIO DI ADSORBIMENTO E SUCCESSIVA ANALISI DELL’EPTANTIOLO SU Mt-Fe3+Phen. (Si è poi visto sperimentalmente invece che la kaolinite adsorbe più tiolo rispetto quello che ci si aspetta sperimentalmente, questo perché è diversa la cinetica del meccanismo, che non raggiunge un equilibrio preciso e quindi continua ad adsorbire.) Desorbimento dipendente dalla temperatura: N.B.: il materiale per essere utilizzabile deve essere rigenerabile. Adsorbimento reversibile dipendente dalla temperatura: N.B.: il riadsorbimento è molto più lento dell’allottamento. Reazione all'interfaccia solido/gas tra materiali ibridi Mt-Fe3+Phen con H2S: N.B.: la regione XANES è utile per capire lo stato di ossidazione e quantificare eventualmente la speciazione, il tutto costruendo una retta di taratura. STATO DI OSSIDAZIONE SULLA BASE DELLA POSIZIONE DELLA SOGLIA DI ASSORBIMENTO: il valore 2,4 denota che parte del metallo (Fe) si è già ossidato in conseguenza della esposizione al gas; quindi, è presente nelle forme II e III. Interazione della Cu-Phen montmorillonite con H2S: esempio di un altro tipo di materiale che può “intrappolare” H2S, sempre con substrato di montmorillonite. Anch’esso, dopo l’intercalazione, espande. Captazione dopo differenti cicli di adsorbimento/desorbimento: come si può notare dai grafici sottostanti la cinetica di ricaptazione è quindi fondamentalmente la stessa (materiale rigenerabile e riutilizzabile). Cinetica di captazione di naftalene e cloro naftalene da parte della MtFe(III)Phen con quantitativo di complesso ottimizzato (picco massimo di adsorbimento) dopo 0 (bianco), 10 (grigio) e 20 (nero) cicli di adsorbimento/desorbimento con desorbimento eseguito a 200°C per 10 minuti. Conclusioni: se gli spazi presenti nell’interstrato tra le molecole di complesso sono sufficientemente grandi, possono aversi interazioni di π-stacking tra anelli naftalenici adiacenti. In aggiunta, molecole con grandi regioni aromatiche come i naftaleni, producono interazioni di stacking intermolecolari più forti di quelle del benzene (e suoi derivati). Questi aspetti spiegherebbero sia il massimo di assorbimento non coincidente con la massima saturazione sia la maggiore affinità di Mt-Fe(III)Phen per i naftaleni rispetto ai benzeni. In altre parole, il complesso svolge simultaneamente il ruolo di pillar e di legante. Questo aspetto, unitamente alla selettività, rappresentano un notevole passo avanti rispetto alle classiche pillared-clay e/o organo-clay, che, pur mostrando interstrati altamente idrofobici, non sono selettive. N.B.: per i composti aromatici, dato che non danno reazioni redox, deve essere presente abbastanza spazio fra i pian in modo da dare interazione tra gli anelli. Il picco di assorbimento avviene per valori differenti di saturazione quando considerato in funzione della temperatura (a 50°C è richiesta una maggiore saturazione). Questo è probabilmente legato al fatto che la temperatura, sebbene aumenti la pressione di vapore, sfavorisce entropicamente ed entalpicamente il processo di adsorbimento che è esotermico. La captazione di Cl-naftalene è sempre maggiore rispetto a quella del naftalene nonostante la maggiore pressione di vapore di quest'ultimo. Questo effetto potrebbe essere legato al dipolo indotto dal cloro. Tuttavia, non è possibile soppesare il peso di ciascun parametro da cui dipende la captazione stessa. Tobermorite: la tobermorite è una via di mezzo tra un inosilicato ed un fillosilicato. Presenta parziale sostituzione (fino al 15%) di Fe+3 o Al+3, con cationi di compensazione all’interstrato. Sono minerali molto rari e poco conosciuti che possono anche essere sintetizzati in laboratorio. CRISTALLOCHIMICA DELLA TOBERMORITE: con il nome di tobermorite si identifica un gruppo di minerali (silicati a strati idrati di calcio) composto dai tre politipi: plombierite, tobermorite e riversideite (McConnel, 1954) che si differenziano per la diversa periodicità basale (rispettivamente uguale circa a 14.0, 11.3 e 9.30 Å) in relazione con il differente contenuto di molecole d’acqua (e di cationi in grado di solvatarla). Chimicamente: tobermorite 9Å: Ca5 Si6O16(OH)2; tobermorite 11Å: variabile tra Ca5 Si6O17(OH)2 x 5H2O e Ca4 Si6O15(OH)2 x 5H2O; tobermorite 14Å: Ca5 Si6O16(OH)2 x 7H2O. Ca5 Si6O17(OH)2 x 5H2O ci interessa perché, al posto del silicio, si possono inserire altri cationi generando così una differenza di carica che porta all’entrata di altri cationi (es. Ca) e/o alla sostituzione di alcuni ossigeni con gruppi ossidrili. I tetraedri (più scuri), rispetto ai fillosilicati, non sono completamente planari ma sono disposti in su ed in giù. I tetraedri di uno strato si vanno poi ad unire a quelli di un altro strato condividendo un vertice con all’interno catione Ca+2 facilmente rimovibile. Il silicio si trova sempre in coordinazione tetraedrica con anioni ossigeno oppure ossidrile e, nei termini naturali, può essere parzialmente sostituito da alluminio e/o da ferro trivalente; queste sostituzioni isomorfe, che possono arrivare fino al 15% degli atomi di silicio presenti, sono compensate da concomitanti sostituzioni di O2- con (OH)- e/o cationi compensatori in interstrato (prevalentemente calcio, ma anche sodio e potassio). Questi cationi sono scambiabili. Il calcio, invece, forma due differenti poliedri di coordinazione: uno con struttura tipo CaO in cui l’atomo di calcio è coordinato da sette anioni (ossigeno e ossidrili); uno in cui è solvatato a molecole di acqua in numero variabile a seconda del politipo (frazione scambiabile, debolmente legato) in posizione di interstrato (nei termini ove servono le compensazioni di carica). TOBERMORITE NATURALE E DI SINTESI: La tobermorite, in natura, è un minerale piuttosto raro e si forma per alterazione idrotermale a bassa temperatura (tra 100 e 130°C circa). Dalla formula chimica è intuibile che la composizione del sistema iniziale deve necessariamente ricadere entro certi limiti che, espressi in termini di rapporti molari, sono: 0,80 < Ca/[Si+Al+Fe] < 0,85 e 0,00 < [Al+Fe]/[Si+Al+Fe] < 0,17, questo materiale quindi, in natura, si può formare se e solo se nell’ambiente di genesi persistono (strettamente) queste condizioni sia di temperatura che di rapporti molari. In letteratura sono note procedure di sintesi in cui la composizione dei sistemi di partenza ricade sensibilmente al di fuori dei limiti sopra citati, ma che comunque portano alla formazione di tobermorite. In nessun caso, tuttavia, è stato possibile sintetizzare una forma pura del minerale. SINTESI DELLA TOBERMORITE UTILIZZANDO END-OF-WASTE: anche partendo da reagenti puri non si riuscirebbe ad ottenere tobermorite pura e poi questi ultimi sarebbero comunque molto costosi; per questo motivo, per la sintesi della tobermorite, si parte da materiali grezzi. Tenendo conto di quanto detto sui rapporti molari da rispettare per ottenere per sintesi la tobermorite è relativamente semplice pensare a possibili miscele di partenza per produrre tobermorite sintetica. Di fatto la procedura consiste nel simulare (accelerandolo) lo stesso processo idrotermale che avviene in natura. Diffrazione X da polvere ed analisi quantitativa (metodo Rietveld) del materiale sintetizzato. N.B.: come risulta anche da altre evidenze di letteratura, per sintesi non si possono ottenere tobermoriti pure, ma solo in associazione con altri minerali. La reazione (1) è relativa al rilascio di acqua di solvatazione. La reazione (2) alla deossidrilazione di idrossidi. La reazione (3) è relativa alla decarbonatazione della calcite ed aragonite. La (4) non è stata rilevata. È importante osservare che non vi sono reazioni ascrivibili alla deossidrilazione della tobermorite. Quindi le eventuali sostituzioni sono compensate solo da cationi compensator (e non grazie ad ossigeni con gruppi ossidrile, in questo modo si potrà avere quindi una grande capacità di scambio cationico). Si può notare: una forte selettività nell’adsorbimento dei differenti cationi presenti in eguale quantità nelle differenti soluzioni; cinetica relativamente veloce anche a bassa concentrazione dei cationi; non sono presenti effetti di desorbimento/rilascio nel tempo. Caso dell’istamina: L'istamina è un composto azotato coinvolto nei meccanismi digestivi, nella risposta infiammatoria e come neurotrasmettitore in diverse funzioni cerebrali. Nel corpo umano, l'istamina si forma per decarbossilazione dell'amminoacido L-istidina. La tiramina è il prodotto derivante dalla decarbossilazione dell'amminoacido tirosina. Sono presenti in tutti i formaggi stagionati, pesce e carni conservate, vino rosso, birra e diversi tipi di frutta (concentrandosi nei prodotti essiccati). Per mantenere in piena efficienza i canali quindi i sedimenti devono essere periodicamente rimossi dal fondo dei canali. DOVE LI METTIAMO I SEDIEMNTI RECUPERATI DATO CHE, IN BASE ALLE LEGGI ATTUALI, QUESTI ULTIMI DEVONO ESSERE TRATTATI COME RIFIUTI TOSSICI? Possibili soluzioni: 1. conferimento in discarica; 2. chiudere il canale inquinato (anche se può sembrare strano, la legge lo permette); 3. lasciare i sedimenti sul bordo del canale (non sembra male, ma la prossima soluzione è forse la migliore); 4. elaborare una strategia per l’inertizzazione, il recupero e la valorizzazione dei sedimenti. 1) Conferire i sedimenti (rifiuti) in apposite discariche significherebbe trovare un luogo in cui riporre milioni di tonnellate di sedimenti inquinati! Facendo due conti: lo “sfango” del canale Zalotta, svolto di recente, ha prodotto circa 24000 tonnellate di sedimento inquinato. Se dovesse essere tutto conferito in discarica avrebbe comportato un costo di 2,88 milioni di euro. A prescindere dal fatto che un simile costo non è affrontabile dal Consorzio (sono previsti 7-10 sfanghi di diversi canali all’anno), non esistono discariche in grado di ospitare un simile quantitativo di materiale. 3) Dragare il fondo del canale depositando il sedimento sulla sponda del canale stesso contribuendo quindi, allo stesso tempo, al rialzo della sponda senza “spostare” più di tanto il materiale inquinato dalla sede di origine: trattandosi (i canali) di manufatti l’attuale normativa non lo permette. Essendo però al momento l’unica soluzione tecnicamente possibile viene spesso concessa la deroga. La concentrazione totale degli inquinanti (metalli pesanti) presenti nei sedimenti recuperati dai fondi dei canali talvolta supera i limiti di legge. Considerando però la “speciazione chimica” di questi inquinanti si può facilmente andare a valutare la concentrazione dei diversi inquinanti impiegando il metodo delle “estrazioni selettive sequenziali”. 4) Inertizzazione, recupero e valorizzazione dei sedimenti inquinati una strada che può essere percorsa riguarda l’inertizzazione termica impiegata, ad esempio, per fanghi ceramici e scorie radioattive. In pratica esistono alcune procedure che impiegano un processo di cottura per ottenere un prodotto finale (solitamente un vetro) inquinato ma inerte quasi ad ogni tipologia di attacco esterno. Questo metodo potrebbe essere applicato anche ai sedimenti prelevati dai canali. Il vantaggio sarebbe avere un minore ingombro ed una maggiore stabilità a fronte di un notevole dispendio energetico è quindi possibile ottenere questo risultato, valorizzando al contempo il prodotto finale? Occorre inizialmente effettuare una buona caratterizzazione del materiale di cui si dispone: COMPORTAMENTO TERMICO: DIFFRAZIONE X A TEMPERATURA CONTROLLATA: 1. Le stesse specie mineralogiche sono presenti sia nei sedimenti inquinati sia in quelli puliti tra i minerali argillosi le principali componenti sono: caolinite, illite e smectite, tra gli altri minerali troviamo: calcite, quarzo, feldspato. 2. La composizione quantitativa varia in funzione di diversi parametri sia chimici sia fisici (ad esempio pH, T, TOC, flusso, etc.). 3. XRDP a temperatura controllata (in-situ) evidenzia che: i) nei sedimenti si formano le fasi tipiche di alta temperatura; ii) complessivamente il comportamento è refrattario (a 1200°C la fusione è solo parziale). 4. Non sono presenti riflessi relativi a sostanza organica, ossidi ed idrossidi. N.B.: se in diffrazione ci sono dei picchi vuol dire che è presente una fase cristallina, quindi il campione non è allo stato fuso. Recupero e valorizzazione dei sedimenti: l’analisi XRPD suggerisce che la composizione mineralogica dei sedimenti (inquinati e puliti) è molto simile a quella impiegata per la preparazione di impasti per laterizi (di tutti i tipi) e piastrelle (di basso costo). Le analisi termiche indicano con esattezza le temperature a cui avvengono le varie reazioni MA ANCHE che tutti i campioni in seguito al riscaldamento sono soggetti a notevoli variazioni di massa conseguenti soprattutto alla presenza di sostanza organica. Per i motivi appena citati, mettere a punto un processo di cottura, e trovare opportuni additivi in grado di compensare la notevole variazione di massa permetterebbe di ottenere l’inertizzazione termica del sedimento inquinato producendo, al contempo, un prodotto utilizzabile nell’edilizia. Questo equivarrebbe non solo alla messa in sicurezza del materiale inquinato, ma anche ad una sua valorizzazione. Risultati: I MIGLIORI RISULTATI SI SONO OTTENUTI SOTTO QUESTE CONDIZIONI DI MISCELA PER LA PREPARAZIONE DELL’IMPASTO: campione (sedimento) 43%; acqua 52%; perlite 5% (equivalente ad un recupero di circa il 95% di sedimento secco). La perlite è un vetro vulcanico con composizione intermedia tra riolite e dacite, ricco in acqua e capace di espandersi quando riscaldato a T > 800°C ed in grado, al contempo, di formare uno scheletro di sostegno durante la cottura. Sono stati preparati provini per la produzione di laterizi seguendo le procedure tradizionali della produzione di laterizi (estrusione) e ceramica (pressaggio). N.B.: la perlite contiene acqua intrappolata nella struttura, a T > 800°C l‘acqua si libera e la struttura si espande. La decomposizione organica va controllata termicamente altrimenti il materiale si rigonfia ed anche il raffreddamento va controllato altrimenti il materiale forma crepe. Se il riscaldamento è lento il materiale è meno stressato. Prodotti: Efficacia del processo di inertizzazione: per testare l’efficacia della procedura applicata è stato eseguito un test di lisciviazione. Sfortunatamente non esiste una procedura univoca per effettuare questo tipo di test (in letteratura ne sono descritte almeno un centinaio). Per questo esperimento il più opportuno è stato ritenuto quello messo a punto da Fleming et al. 1996 (J. Soil Contam. 5/1 53-59). Una porzione (10x150x5 mm) ritagliata da ciascun provino è stata messa in un contenitore in teflon a tenuta stagna e a contatto DINAMICO con una soluzione a pH debolmente acido (pH=4.0) ed alla temperatura di T=50°C (impiego della stufa con piano oscillante).