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Appunti Sociologia della Comunicazione (Vittadini) AA 20-21, Appunti di Sociologia Della Comunicazione

Appunti di sociologia della comunicazione per l'anno accademico 2020-2021 integrati alle slides.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 22/06/2023

sonolamonny
sonolamonny 🇮🇹

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Scarica Appunti Sociologia della Comunicazione (Vittadini) AA 20-21 e più Appunti in PDF di Sociologia Della Comunicazione solo su Docsity! S. PROCOPIO 1 SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE Prof.ssa Nicoletta VITTADINI CAPITOLO 1. L’OPINIONE PUBBLICA I social fanno ormai pienamente parte del sistema mediale e sono le piattaforme più importanti della contemporaneità, utilizzate e riconosciute persino dalle istituzioni. Ad oggi, perciò, è più opportuno definirli SOCIAL MEDIA piuttosto che SOCIAL NETWORK, in quanto non sono più esclusivamente legati alla costruzione di networking e relazioni tra utenti, abbandonando così la concezione originale con cui sono stati concepiti. Ma cosa rappresentano oggi i media in Italia? Premesse: i media oggi in Italia Le statistiche fornite dal CENSIS1 forniscono un quadro chiaro della situazione comunicativa contemporanea, che è chiaramente evoluta rispetto agli anni passati. Consideriamo il lasso di tempo tra il 2017 ed il 2019: la TV rimane il mezzo di comunicazione principale, che coinvolge il 95,5% e 94,2% della popolazione, senza significative differenze d’età. Contemporaneamente, l’uso del dispositivo mobile è cresciuto presso tutte le fasce d’età ed è passato dal 86,9% del 2017 al 91,5% nel 2019. L’Italia si presenta come una nazione ampiamente digitalizzata, Internet è molto diffuso e raggiunge il 79,3% nel 2019. Internet risulta un mezzo altamente competitivo, ma non riesce ancora a divorare i mezzi più tradizionali e stabili della comunicazione. È sorprendente, invece, la stima dei prodotti cartacei, che mostrano una piccola ripresa della distribuzione dei quotidiani, settimanali e/o mensili. Rimane stabile il consumo di libri, che tocca rispettivamente il 45,7% e 43,7%. Negli ultimi anni è cresciuto anche l’utilizzo della radio via internet e cellulare; aumentano anche gli utenti di SMART TV e MOBILE TV, che utilizzano device per prodotti distribuiti via internet. Secondo il Sedicesimo Rapporto sulla comunicazione, gli italiani che guardano la TV via internet sono 34,5% (+4,4% nell’ultimo anno), mentre quelli che guardano la mobile TV sono 28,2% (+2,3% nell’ultimo anno). L’importanza del mobile è sempre più evidente e, non a caso, dal 2007 al 2018 la spesa delle famiglie per l’acquisto di cellulari è aumentata del +298,8% e nell’ultimo anno gli italiani che usano lo smartphone sono il 75,7%; intanto, scende la spesa per i servizi di telefonia del -16,0%. 1 Istituto di ricerca socioeconomica italiano fondato nel 1964. Monitora i settori della comunicazione attraverso ricerche quantitative su un campione della popolazione italiana. S. PROCOPIO 2 L’opinione pubblica Qual è la relazione tra i media ed il processo sociale della formazione dell’opinione pubblica? I primi studi sul rapporto tra media e società focalizzano l’attenzione sulla formazione dell’opinione pubblica. È risaputo, infatti, che dal punto di vista sociologico la comunicazione e i media sono in grado di attivare processi di scambio di informazioni e, soprattutto, di legare la società. La parola comunicazione ha diverse radici e accezioni. Nell’ambito dei media, viene intesa come uno strumento attraverso cui “legare” la società. Nell’ambito della sociologia, la comunicazione è “mettere in comune”, intesa come un fondamento del vivere sociale. Questo perché si mettono in comune strumenti ed oggetti che ci permettono di vivere in società, ovvero parole che trasmettono valori e significati sociali, elementi di comportamento e modi di vita. La comunicazione, infatti, produce un racconto condiviso che ci permette di partecipare ad un processo di costruzione di senso condiviso (il racconto collettivo della realtà sociale). Basti pensare al processo della memoria: ricorrenze collettive che costruiscono, anche grazie ai media, il racconto nel nostro presente attraverso il passato e l’evoluzione futura. In breve: comunicare ci permette di legarci assieme attorno ad una serie di valori. Uno dei primi veri studiosi dell’opinione pubblica fu Walter LIPPMAN (1889-1974), che iniziò la propria analisi poco dopo la Prima Guerra Mondiale, contestualmente alla diffusione della propaganda con i regimi totalitari: un momento storico in cui la rappresentazione tra media e costruzione pubblica era cruciale. “Ciò che l’individuo fa si basa non su una conoscenza diretta e certa, ma su immagini che egli forma o che gli vengono date.” Non è possibile avere esperienza diretta su tutto, perciò, sulla base della nostra conoscenza riusciamo a costruire il mondo che ci circonda. Tuttavia, al momento di “agire”, è indispensabile appoggiarsi ad immagini e racconti forniti dai mezzi di comunicazione. Qui, nasce l’idea per cui i MDC, fornendo racconti contribuiscono alla formazione della nostra opinione. A partire da Lippman, si tenta di definire l’opinione pubblica. Cos’è l’opinione pubblica? Si tratta del giudizio e modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini. Non è un’informazione o un dato preciso, ma piuttosto un giudizio collettivo che, in quanto pubblico, riguarda la maggioranza dei cittadini. I media contribuiscono alla formazione di questo giudizio. Alcune definizioni: • L’opinione pubblica è l’insieme delle idee che un determinato agglomerato umano (città, nazione, gruppo di nazioni) ritiene giusto e vero in un determinato momento e luogo. L’opinione pubblica è in continua evoluzione e matura in base a spazio e tempo: ogni set di giudizi ed opinioni è proprio ad ogni territorio e momento storico. • È un sistema di credenze sulla cosa pubblica, un insieme di convinzioni. L’opinione pubblica non è mai qualcosa di unitario, ma è l’insieme delle correnti di opinione anche opposte S. PROCOPIO 5 campagne per le presidenziali, analizzano gli elementi che entrano in gioco nella definizione della propria opinione, espressa dalla propria scelta di voto. Si tratta di un’indagine condotta sul singolo individuo e sul suo impatto sull’opinione pubblica. Dopo qualche anno, i due sociologi americani rielaborano le inchieste svolte precedentemente e, nel 1955, viene pubblicato “Personal Influence – The part played by People in the Flow of Mass Communication”. L’opera analizza l’influenza dei mass media nell’ambito delle scelte di acquisto; in particolare, le scelte di consumo delle donne della cittadina di Decatur, negli Stati Uniti, nelle aree dei prodotti di mass market, fashion e cinema. Anche qui, il procedimento analizzato è focalizzato sulla scelta del singolo individuo. Ricordiamo che in questi anni, la funzione mediale è la comunicazione di massa, che vede la televisione come protagonista principale, affiancata dalla carta stampata. Dalle interviste, emerge che rispetto alle scelte di voto: 1. Molto più della radio o della stampa, erano le discussioni politiche quotidiane a esercitare una grande influenza 2. Le discussioni politiche più importanti all’interno di questo processo di formazione sono quelle che avvengono all’interno delle reti familiari o di pari, poiché creavano una grande omogeneità di opinioni all’interno dei gruppi primari (famiglia, rete di amici stretti). E ancora: “Those who changed their vote intentions were largely people who, early in the campaign, had reported that they intended to vote differently from their family or friends”. 3. Alcuni individui più esposti a media avevano la capacità di condizionare le scelte degli altri. Questi individui hanno capacità di orientare i processi di formazione dell’opinione e vengono definiti proprio opinion leader. A questo punto gli autori cercano di trovare modalità simili per determinare come i flussi di comunicazione che intercorrono all’interno dei gruppi sociali possano influenzare (seppur indirettamente) le scelte d’acquisto. Essi, infatti, si accorgono che all’interno delle reti sociali esistono leader d’opinione in qualsiasi tema della vita sociale, come fashion, cinema, gestione della casa. Si tratta di persone più informate ed appassionate di particolari consumi culturali, che diventano punti di riferimento per la rete sociale. Potremmo considerare gli influencer come una declinazione contemporanea degli opinion leader. In particolare, esiste un forte legame tra influencers e gli opinion leaders studiati dalla ricerca di Personal Influence in quanto soggetti in grado di contribuire ad orientare le scelte di consumo; sono invece più lontani dalle figure analizzate in The People’s Choice relative all’ambito politico. A differenza degli influencers, gli opinion leader individuati da Lazarsfel e Katz non facevano parte di un meccanismo commerciale, cioè non erano retribuiti; quindi, potremmo associarli più precisamente alla categoria dei Citizens, ovvero semplici cittadini che operano nella rete portando le loro conoscenze e competenze nelle discussioni di gruppo per contribuire a maturare una scelta. IL MODELLO A partire dalle prime osservazioni sugli opinion leader, Lazarsfel e Katz elaborano un modello, che può essere così schematizzato: S. PROCOPIO 6 MEDIA → STEP 1: AGISCONO SUGLI OPINION LEADERS → STEP 2: GLI OPINION LEADER AGISCONO SULLE MASSE All’interno delle reti sociali, esistono attori sociali più disponibile all’esposizione ai media e più competente nell’uso dei media; essi esercitano una funzione di filtro (gatekeeping) e di modellazione (framing). Questo processo può essere sintetizzato così: “Ideas often flow from media messages, radio and opinion leaders and then the leaders leads the message to lesser active users in the population”. In seguito allo studio di Katz e Lazarsfeld, si evolve l’idea del pubblico da massa indistinta a rete di individui interconnessi attraverso la quale la comunicazione di massa viene veicolata. I media, quindi, entrano in relazioni con reti sociali formate da una molteplicità di persone in relazione tra esse, che parlano dei contenuti mediali e sviluppano un pensiero. LE CARATTERISTICHE DELL’OPINION LEADER Chi sono gli opinion leader all’interno delle reti sociali? Nel modello di analisi dell’opinion leader, Lazarsfel e Katz individuano le quattro caratteristiche principali per definire la figura dell’opinion leader, tutt’ora considerate nelle strategie di analisi: • LITERACY: l’opinion leader, in quanto tale, gode di un’elevata esposizione ai media e ha una tendenza alla ricezione di maggiori informazioni; perciò, gli vengono riconosciute una maggiore competenza e conoscenza specifica nella ricerca delle informazioni. • COMMITMENT: elevato coinvolgimento ed un sincero interesse per determinati argomenti; • SOCIEVOLEZZA: capacità di trasferimento di informazioni a gruppi di individui (gregari) che appartengono allo stesso gruppo sociale; l’opinion leader deve avere una personale capacità comunicativa • LEADERSHIP: riconoscimento, dal basso, parte del gruppo dei pari del possesso di maggiori conoscenze. Esistono poi due tipologie di opinion leader: - VERTICALI: soggetti che hanno le caratteristiche dell’opinion leader e comunicano attraverso i media (tradizionali e digitali); - ORIZZONTALI: soggetti che hanno le caratteristiche dell’opinion leader e che agiscono all’interno delle reti sociali più o meno ampie. Si tratta delle figure individuate da Katz e Lazersfeld. Gli opinion leader, infatti, possono essere anche orizzontali e informali: ciò avviene quando i membri di un gruppo sociale, che hanno tutte le caratteristiche necessarie per essere un opinion leader, non comunicano attraverso i media. In questo caso, sono sempre leader d’opinione per uno specifico gruppo di persone e chiaramente non corrisponde sempre alla stessa tipologia di persona (varia al variare dei temi). Infine, essi sono sempre leader d’opinione per uno specifico gruppo di persone e sono sempre leader d’opinion per uno specifico tema o argomento o area di interesse. S. PROCOPIO 7 OPINION LEADER VERTICALI E “MONOMORFICI” Il momento storico come quello della pandemia da COVID-19 ha visto l’emergere di personalità preparate ed appartenenti a precisi settori di riferimento. I dati e le informazioni che contribuiscono al processo di formazione dell’opinione passano in secondo piano, portando al centro del focus credenze, convinzioni e giudizi attorno alla cosa pubblica di cui, certamente, il COVID-19 fa parte. A tal proposito, sono entrati in gioco dei soggetti che guidano il processo di formazione dell’opinione pubblica su questo tema; tra questi, vi sono degli opinion leader verticali e monomorfici. Sono specialisti del loro settore e godono di un riconoscimento locale o internazionale (literacy); si rendono disponibili a comunicare questo tema a diversi gruppi sociali in modo intensivo e anche dispendioso rispetto al proprio lavoro, ma con un interesse percepibile (commitment & socievolezza); tra i tanti esperti, questi hanno ottenuto un riconoscimento, anche dal basso, di autorevolezza (leadership). Li definiamo opinion leader verticali poiché hanno visibilità attraverso i media; hanno una specifica area di influenza (in base alle loro competenze e conoscenze); sono punto di riferimento per gruppi sociali/culturali diversi. All’interno del mondo contemporaneo, si è sviluppato un oggettivo processo di frammentazione delle opinioni, per cui tendiamo a riconoscerci in opinioni non necessariamente nazionali, ma che rispondono a narrazioni e giudizi che sviluppiamo e condividiamo con una rete più circoscritta di persone a cui sentiamo di appartenere; è un processo che segue un’evoluzione della società già analizzato da Thorsten Quandt. Questo atteggiamento rappresenta un’ulteriore difficoltà nella gestione della pandemia in termini di opinione pubblica. Davanti ad un fenomeno inaspettato per cui è necessario formare un’opinione da zero, in quanto non categorizzato nei nostri schemi di interpretazione della realtà, una coesione nell’interpretazione del fenomeno aiuterebbe l’azione sul territorio. Assistiamo al problema generato dallo scontro tra il processo di costante frammentazione (fenomeno di lungo corso) ed il bisogno di unità di opinione davanti ad un fenomeno nuovo. Al momento, vi è una progressiva moltiplicazione di leader, ognuno dei quali fornisce una lettura ed un’interpretazione del fenomeno seguita e riconosciuta da gruppi sociali e culturali diversi. I media digitali, poi, consentono la localizzazione degli opinion leader. Si parla di CYBERBALCANIZZAZIONE, un processo per cui le piattaforme favoriscono la frammentazione dell’opinione pubblica: gli utenti rinunciano al confronto e si confermano nell’ambito della propria opinione costruendo reti sociali tra simili ed individuando opinion leader che confermano il proprio punto di vista. Opinion leader e social media Il processo di individuazione degli opinion leader sui social media è più complesso rispetto ai media tradizionali. Per farlo, è necessario classificare le diverse tipologie in base alle seguenti caratteristiche: obiettivo e area di influenza, il comportamento, la prospettiva temporale di sviluppo della loro figura di opinion leader. • SCOPE OF INFLUENCE: LOCALI o GLOBALI in base all’orizzonte di influenza e raggio d’azione; • DOMAIN OF KNOWLEDGE: o MONOMORFICI: specializzati su un singolo tema; S. PROCOPIO 10 leader, quasi facendosi portavoce dello stesso; INTENTION TO FOLLOW THE ADVICE: sia nella pratica che nella ricerca di quanto suggerito. Su Instagram, ai seguenti fattori, corrispondono le seguenti aree di influenza: • PERCEIVED ORIGINALITY & PERCEIVED UNIQUENESS → Key factors that lead a poster to be perceived as an opinion leader. • PERCEIVED ORIGINALITY, PERCEIVED UNIQUENESS, INTENTION TO INTERACT & INTENTION TO RECOMMEND → Followers are involved in the value-creation process: attraverso l’interazione ed il coinvolgimento che li porta a farsi ambassador del profilo, creandone il valore ed aumentandone la reputazione. • PERCEIVED ORIGINALITY, PERCEIVED UNIQUENESS, INTENTION TO INTERACT, INTENTION TO RECOMMEND, INTENTION TO TO FOLLOW THE ADVICE & PERCEIVED FIT WITH PERSONAL INTERESTS → Fit with personal interests influence the most the intention to follow the advice: ultimo passaggio che porta all’azione dell’utente e scatta solo in seguito al percorso PERCEIVED ORIGINALITY → PERCEIVED FIT WITH → INTENTION TO FOLLOW THE ADVICE. GLI STUDI SU TWITTER Twitter è stata la piattaforma su cui è stato più studiato il fenomeno del Two step flow of Communication in quanto esso è più visibile all’interno delle piattaforme in cui il rapporto tra gli utenti non è biunivoco; social come Facebook, ad esempio, richiedono la reciprocità di amicizia tra i profili privati (esiste la possibilità di creare pagine pubbliche, ma questa è solo una possibilità e non un meccanismo di base). Oltre a questo, Twitter è stata scelta per la centralità delle news e per la molteplicità dei flussi e delle relazioni. WHO SAYS WHAT TO WHOM ON TWITTER (2011) Il saggio si propone di studiare le informazioni che circolano attraverso Twitter con l’ausilio di retweet di news e tweet originali di url contenenti news grazie all’intervento di soggetti intermediari. Esistono infatti soggetti particolarmente importanti, che condividono spesso contenuti e notizie rilanciandoli ai followers, i quali creano dinamiche ed hanno un forte riecheggio. Si inizia a studiare la figura di questi personaggi ed analizzando le reti, si scopre che la maggior parte degli intermediari non appartengono alle élite (blogger, giornalisti, personaggi politici, etc.) ma sono utenti comuni. Ciò che li contraddistingue e li accomuna è il fatto di essere più esposti a più fonti mediali degli altri utenti; avere più follower degli altri utenti; essere più attivi (coinvolti) degli altri utenti: tutte caratteristiche assimilabili all’identikit dell’opinion leader costruito da Lazarsfeld e Katz. MEASURING USER INFLUENCE IN TWITTER: THE MILLION FOLLOWER FALLACY (2010) “Those with the largest number of followers may be “popular” Twitterers, but that’s not necessarily related to their influence. High follower counts don’t always mean someone is being retweeted or mentioned in any meaningful ways.” Quest’altro saggio analizza i fattori che definiscono l’opinion leader: i follower non bastano a configurare un utente come tale. S. PROCOPIO 11 Perciò, quali sono gli elementi che definsicono l’influenza su twitter? Su Twitter, essa ha tre dimensioni: 1. POPOLARITÀ: definita Indegree influence, è legata al numero di follower di un utente; indica direttamente la dimensione dell’audience che è in grado di raggiungere. 2. COMUNICAZIONE: definita Retweet influence, è legata e misurata dal numero di retweet che un soggetto è in grado di generare; indica l’abilità di generare contenuto con un valore aggiunto. 3. REPUTAZIONE: definita Mention influence, è legata al numero di tweet in cui un utente viene citato; indica l’abilità di un certo utente di ingaggiare gli altri nella conversazione. THE TIPPING POINT: How Little Things Can Make a Big Difference “The tipping point is that magic moment when an idea, trend, or social behavior crosses a threshold, tips, and spreads like wildfire.” Il saggio di Malcolm Gladwell descrive le tre diverse tipologie di opinion leader che esistono e agiscono all’interno delle piattaforme social, ognuna delle quali fa leva su una delle diverse caratteristiche dell’OL: 1. CONNETTORI → SOCIEVOLEZZA: persone che hanno un’ampia rete di connessioni e “fanno stare insieme” le persone. Esercitano il proprio ruolo di OL attraverso la capacità di coinvolgimento e di costruire una propria community di followers. 2. ESPERTI → LITERACY: “procacciatori di informazioni”, risolvono i problemi e forniscono risposte. Costruiscono la loro leadership sulla loro capacità di offrire informazioni utili, ma anche inedite e originali. 3. PERSUASORI → COMMITMENT & LEADERSHIP: leader carismatici riconosciuti dal basso in grado di catalizzare il consenso attraverso la comunicazione di un set di valori e la passione verso un tema. In base ai valori comunicati, gli OL possono esser classificati anche in ambito commerciale (oltre a quello sociologico), il che permette di scegliere una figura idonea al progetto. S. PROCOPIO 12 CAPITOLO 3. LA SPIRALE DEL SILENZIO In seguito agli studi di Lazarsfeld e Katz degli anni ’40 e ’50, l’attenzione al tema dell’opinione pubblica rimane molto viva tra gli anni ’60 e, soprattutto, negli anni ’70. Si tratta di un momento storico di tensione e forti cambiamenti, in cui formarsi l’idea sulla cosa pubblica è fondamentale – vengono sviluppate nuove osservazioni sui fenomeni del rapporto tra media-opinione pubblica- contesto sociale. Elisabeth NOELLE-NEUMANN lavora in Germania e proprio negli anni ‘70 sviluppa la teoria della Spirale del Silenzio, che, proprio come quella dell’opinion leader, troviamo applicata anche al mondo contemporaneo. Con la sua analisi, la Neumann aggiunge un punto di attenzione nella formazione dell’opinione pubblica ed individua che l’opinione pubblica si forma all’intersezione tra media, comunicazione interpersonale, manifestazione individuale d’opinione e percezione dei climi di opinione. La domanda di partenza: perché durante le elezioni in Germania del 1972 il risultato elettorale risulta inatteso rispetto alla percezione dei sondaggi e dell’opinione dominante che ne avevano cittadini e personaggi pubblici? Sappiamo che le scelte politiche sono direttamente legate alla formazione dell’opinione, tant’è che potremmo porci la stessa domanda anche su elezioni più recenti. Durante le elezioni presidenziali americane del 2016, si è verificata una situazione analoga: sebbene i sondaggi e la percezione comune dei cittadini dessero per vincente Hillary Clinton, Trump conquistò le elezioni. I punti di partenza L’opinione pubblica in una società ha una funzione integrativa: serve a costruire coesione sociale a partire dalla natura sociale degli individui – i cittadini condividono un senso di appartenenza alla propria comunità e si rafforzano i legami che li tengono assieme. “Opinione pubblica è il frutto di un lavorio sociale teso all’allineamento.” Quando viviamo all’interno di una società, cerchiamo di allinearci e trovare punti comuni che ci aiutino a vivere in modo più coeso. L’opinione pubblica si forma all’intersezione di diversi fattori: • MEDIA • COMUNICAZIONE INTERPERSONALE E RAPPORTI SOCIALI • MANIFESTAZIONI INDIVIDUALI DI OPINIONE • PERCEZIONE DEI CLIMI DI OPINIONE DOMINANTE NEL PROPRIO AMBIENTE SOCIALE In conclusione, l’opinione pubblica si forma nell’interazione tra il monitoraggio compiuto sull’ambiente sociale circostante (comprensivo di tutti i suddetti fattori) ed i comportamenti dell’individuo stesso (il modo in cui le persone sono portate ad esprimere pubblicamente la loro opinione). Un passo indietro Gli studi di Elisabeth Neuman si basano sull’approccio del sociologo statunitense David RIESMAN. Laureato alla Harvard University, è l’autore di The Lonely Crowd: a Study of the changing American Character (New Haven, 1950). All’interno dell’opera, Riesman presenta una analisi critica del S. PROCOPIO 15 Ad ogni modo, pur in un contesto mediale diversificato come quello attuale, i media continuano ad esercitare una funzione di orientamento riguardo ai temi e alle posizioni dominanti nel dibattito pubblico (Chadwick 2013). I media tradizionali sono presenti all’interno delle piattaforme social e con i loro profili vi portano contenuti di rappresentazione dell’opinione dominante, generando flussi di discorso che vanno verso quella direzione. All’interno del sistema mediatico esiste un fenomeno di ECOLALIA per cui blog, social media e media tradizionali si richiamano reciprocamente nell'offerta di notizie e di rappresentazioni che insistono sul racconto di un’opinione pubblica come dominante (seppur, chiaramente, persistano opinioni di nicchia). Rispetto all’effetto dei media nell’ambito della Spirale del Silenzio, Elisabeth Noelle-Neumann riconosce che i media, quindi, possono talvolta definire e proporre un’opinione come dominante anche se non lo è, fornendo talvolta una rappresentazione distorta della realtà. In sintesi, possiamo dire che i media suggeriscono cosa non dire. Le minoranze rumorose La teoria della Spirale del Silenzio può essere percorsa anche in modo inverso. Esistono infatti alcune opinioni minoritarie o percepite come tali, che riescono a farsi spazio all’interno dei sistemi mediatici dando voce a minoranze diverse dalla percezione dominante. Si tratta di un fenomeno che rientra nei processi di formazione pubblica per ribollimento, dal basso verso l’alto. Tuttavia, perché questo avvenga sono è necessario che si manifestino delle caratteristiche specifiche, che approfondiremo più tardi. Il discorso sulle minoranze rumorose emerge inizialmente come un limite alla teoria di Elisabeth Neumann, la quale non aveva tenuto conto della loro presenza e del fatto che le opinioni pubbliche possono formarsi anche dal basso. Tra chi avanzava queste critiche, c’era anche Elihu Katz, che in quegli anni lavorava presso la Columbia University, dove comincia a maturare l’idea che esistono minoranze rumorose proprio accanto alle maggioranze rumorose. Analizzando questo fenomeno, egli comprende che anche i “gruppi minoritari” sono in grado di generare un effetto di “spirale” e configurare “nuovi” movimenti di opinione. Ciò può avvenire purché si presentino due condizioni imprescindibili: • Le opinioni minoritarie esistenti all’interno del contesto sociale devono avere accesso ai media permettendo loro di esprimersi attraverso gli stessi; rendersi notiziabili passando anche attraverso a degli opinion leader; • Presentino alcune caratteristiche: coerenza e difesa ad oltranza di alcune posizioni chiari e coerenti (tendenzialmente due al massimo) attorno cui costruire la propria identità. Black Lives Matter è un movimento d’opinione che si oppone a quello suggerito come dominante da parte di istituzioni che cerca di sensibilizzare i vertici – ha una posizione molto precisa che difende ad oltranza, con cui le persone possono identificarsi facilmente e che i media possono raccontare per via dell’idea fondamentale. I MOVIMENTI AMBIENTALISTI Quando negli anni ’70 nascono i primi movimenti ambientalisti, essi rappresentavano un caso di minoranza rumorosa contro l’opinione maggioritaria favorevole al progresso S. PROCOPIO 16 dell’industrializzazione, la ricerca sul nucleare ed una serie di altre attività in cui i movimenti ambientalisti vedevano potenziali rischi per il pianeta. PRIMA DI GRETA: GREEN PEACE Di recente, Greta Thunberg ha riportato alla visibilità mediale il fenomeno del cambiamento climatico attraverso un movimento partito dal basso, oggi divenuto mondiale. Ma prima ancora dei Skolstrejk for Klimatet, già altre personalità si erano mosse per la salvaguardia del pianeta. Nel 1971 nasce il movimento ambientalista GREEN PEACE, un’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata a Vancouver da Jim BOHLEN che, insieme ad altri attivisti, punta alla diffusione di una sensibilità a cui la maggioranza era indifferente e contraria. Il movimento, partito da pochi componenti, riesce a promuoversi sino a diventare una minoranza rumorosa. Le missioni di Green Peace iniziano nell’anno della sua fondazione, quando negli Stati Uniti si stavano svolgendo esperimenti nucleari privi di controlli rigidi. GP ne segnala la pericolosità e le possibili conseguenze e decide di agire: nello stesso anno, un’imbarcazione dal nome Green Peace con a bordo attivisti e giornalisti parte per l’Alaska, una zona più isolata e scarsamente abitata dove si stavano svolgendo gli esperimenti nucleari USA. L’intento è quello di fermarsi in una zona che sarebbe stata investita dalle radiazioni se gli esperimenti fossero continuati. Green Peace riesce a conquistare una delle premesse menzionate da Elihu Katz: il progetto ottiene risonanza mediatica e si comincia costruire un modello di narrazione tipico di GP in cui la notiziabilità si basa sul gesto eroico degli attivisti, che hanno una forza mediatica e materiale decisamente inferiore rispetto al soggetto che vanno a combattere. LE BALENE (1975) Qualche anno più tardi, nel 1975, complice il rallentamento degli esperimenti nucleari, l’attenzione di GP si sposta sulla caccia indiscriminata alle balene ed il rischio di estinzione e di riduzione estremamente significativa del numero di balene che nuotano negli oceani. L’obiettivo, anche in questo caso, risponde alle premesse individuate da Katz: è preciso e ben identificabile. Le imbarcazioni di Greenpeace (gommoni, motoscafi) sfidano ed ostacolano l’azione delle baleniere, dalle dimensioni decisamente più ampie. L’archetipo della narrazione all’interno del sistema dei media rimane invariata, e anche questo progetto ottiene risonanza mediatica a partire dal gesto eroico svolto degli attivisti. I MONUMENTI (2006) Per vent’anni, GP e balene rimangono un binomio saldamente congiunto ed il modello di azione e comunicazione utilizzato è sempre lo stesso. La monotonia della narrazione, però, rischia di riportare GP all’interno della spirale silenziosa. Perciò, a partire dalla metà degli anni 2000, GP amplia i propri orizzonti e decide di dedicarsi alla salvaguardia del pianeta nella sua complessità. Cambia l’oggetto, ma perdura il modello di azione simbolica sul territorio che la rende visibile – nel 2006 GP si fa notare attraverso una serie di banner esposti su monumenti di notorietà mondiale, come quello esposto sul Cristo Redentore a Rio de Janeiro. L’elemento di novità viene meno rispetto all’azione degli anni ’70, all’epoca inedita e mai vista prima, perciò, per ottenere risonanza mediatica, GP si aggancia a due ulteriori fattori: S. PROCOPIO 17 • Resta il gesto eroico degli attivisti, che mettono in gioco la loro vita per esporre i banner arrampicandosi su monumenti imponenti; • La notorietà si basa sui luoghi, attraverso incursioni su monumenti simbolo delle nazioni, che diventano immediatamente notiziabili e suscitano il racconto automaticamente. EVENTI (2011 & 2014) Nel 2011 torna il bisogno di agganciarsi ad un movimento più preciso rispetto a quello del 2006, decisamente più generale – e infatti, nonostante la notorietà legata a monumenti e gesti eroici, la campagna risultò meno efficace. GP mantiene il suo modo di farsi vedere e rendersi notiziabili, e questa volta passa ad esporre banner durante eventi sportivi molto seguiti, resi visibili da attivisti che si calano su corde dal tetto dello stadio. Anche in questo caso, GP ottiene risonanza mediatica e basa la sua notorietà sui luoghi che sceglie e resta il gesto eroico degli attivisti. Il modello narrativo, seppure in tante declinazioni e campagne diverse, rimane quello di Davide contro Golia. L’attenzione dei media in questi anni è fortemente focalizzata sugli eventi, che i media sono sempre pronti a raccontare. Nel 2014, durante la Milano Fashion Week, GP lancia una campagna contro l’uso delle pellicce di animali nei prodotti della moda. L’obiettivo è preciso, ed è difeso ad oltranza; resta il gesto eroico degli attivisti, che in questo caso si arrampicarono per appendere il banner all’interno della Galleria Vittorio Emanuele II, ottenendo una forte risonanza mediatica, in cui la notorietà si basa ancora una volta sui luoghi degli eventi, in questo caso non tanto la Galleria in sé, ma Milano come città della moda. FLASH MOB (2014) Nel 2014, però, qualcosa cambia nella sensibilità dei media, che hanno esaurito l’interesse verso i gesti eroici. GP organizza una flash mob per la campagna di sensibilizzazione sul rischio di ripulire i vani che ospitano il petrolio nelle petroliere in mare aperto, generando un inquinamento per l’ambiente – la denuncia nasce a partire dall’abitudine di Shell, un operatore del trasporto del petrolio. La strategia comunicativa varia man mano che l’attenzione dei media si solleva per fenomeni e comportamenti diversi. Il gesto eroico ed estremo diventa gesto performativo e viene sostituito da attività performative sul territorio, un elemento di rottura che interrompe la quotidianità e suscita interesse da parte dei media. Questo nuovo linguaggio attrae ed ottiene risonanza mediatica; la visibilità si basa sulla forma del flash mob, notiziabile ed effettivo, rimane impresso nella mente degli spettatori. MONDO VIRALE (2014) Nello stesso anno, GP si mobilita per interrompere la collaborazione tra Lego e Shell, che ora vuole scavare nuovi pozzi nell’Artico – e lo fa attraverso una serie di attività performative che recitano “Shell is polluting our kids’ imaginations”. Anche in questo caso, la visibilità si basa sulla forma del flash mob che conquista i media tradizionali, ma anche le piattaforme social, che stanno diventando sempre più importanti. Qui, iniziano a circolare i video dei flash mob e addirittura ne vengono creati alcuni su misura, ideati per circolare e diventare virali all’interno dei social: entra in gioco un nuovo modello comunicativo legato alla comunicazione digitale. Il video legato a questa causa è chiaro, ha un forte impatto visivo e fa parlare di sé toccando la dimensione dello stupore e della spettacolarità; l’impatto sarà così importante che Lego deciderà di dissociarsi da Shell per evitare lesioni alla propria immagine. S. PROCOPIO 20 Gli utenti dei social media risultavano più o meno propensi a esprimere la loro opinione nella vita reale, a seconda di quella che percepivano fosse l’opinione dominante tra i loro contatti social. “This was especially true if they did not feel that their Facebook friends or Twitter followers (piattaforme allora più dominanti) agreed with their point of view.” L’uso dei social media accresce la percezione dei propri utenti di essere in grado di monitorare maggiormente l’opinione delle persone che li circondano, rispetto a chi invece non utilizzava i social. Chiaramente l’effetto di spirale del silenzio è rafforzato da questa percezione. Concludendo la presentazione dei risultati di ricercar, i ricercatori del Pew Research Center affermano che: “The typical Facebook user— someone who logs onto the site a few times per day— is half as likely to be willing to have a discussion about the Snowden-NSA issues at a physical public meeting as a non-Facebook user.” The “Spiral of Silence” Revisited Matthes, Jörg, Johannes Knoll, and Christian von Sikorski. “The ‘Spiral of Silence’ Revisited: A Meta-Analysis on the Relationship Between Perceptions of Opinion Support and Political Opinion Expression.” Communication Research 45, no. 1 (February 2018): 3-33. La prima ricerca effettuata dal PRC nel 2014 individuò come l’effetto a spirale si replichi anche in un sistema mediatico in cui i social media sono presenti. Negli anni a seguire quest’analisi venne approfondita e portò a nuovi lavori di ricerca in cui vennero presentati ulteriori casi esemplari in grado di incrementare più o meno l’effetto a spirale all’interno dei social media. Tra questi, troviamo “The Spiral of Silence” Revisited, che mette in luce come avviene l’effetto a spirale all’interno dei social media. Lo studio venne pubblicato nel 2018 su Communication Research, una rivista internazionale molto accreditata. Sulla base di analisi statistiche, la ricerca confermò che l’effetto della spirale del silenzio è evidente all’interno delle piattaforme social, e ciò avviene a partire da meccanismi particolari. Anche nelle piattaforme social i media possono influire (attraverso i profili istituzionali) rappresentando le opinioni dominanti – perciò, l’effetto per cui i mezzi di comunicazione rappresentano alcune opinioni come dominanti non è limitato alla TV, ma si traduce in tutta l’attività di comunicazione che i media tradizionali continuano a fare attraverso i loro canali social. All’interno dei social media esistono poi altri modi di monitorare l’opinione: tra questi, vi è il CLICK SPEECH: i like, le condivisioni, così come i commenti degli utenti possono essere strumenti di interpretazione del pensiero della maggioranza o quella minoritaria (von Sikorski & Hänelt, 2016). Chi teme maggiormente l’isolamento è molto più attento e monitora costantemente questi indizi per individuare l’opinione dominante. ISOLAMENTO In caso di espressione di un’opinione dissonante dalla maggioranza nei social media possono verificarsi forme di isolamento offline legate alla sovrapposizione delle reti sociali online e offline. Online l’isolamento si manifesta nella forma dell’hate speech e degli attacchi personali, volti a ridurre al silenzio o cancellare l’identità di coloro che esprimono un’opinione diversa da quella dominante. S. PROCOPIO 21 FATTORI INTERVENIENTI Esistono dei fattori che intervengono sul modo in cui la spirale del silenzio si genera all’interno dei social media: • In primo luogo, il livello di “divisività” dei temi trattati: più sono divisivi e più si verifica l’effetto spirale del silenzio; • I soggetti verso cui si esprime il dissenso: all’interno dei social si crea un effetto a spirale soprattutto quando i soggetti coinvolti sono vicini a chi parla e fanno parte di una rete di legami più stretti; • Questo fenomeno è legato alla necessità di conservare la propria affidabilità sociale, ovvero confermare la propria immagine di soggetto in sintonia positiva con le persone con cui interagisce all’interno delle piattaforme, e non incrinare la propria rete di relazioni. Si sottolinea l’importanza di una rete sociale, soprattutto quella più stretta, armoniosa, senza scontri e fatture. ELEMENTI SPECIFICI Esistono anche elementi specifici del modo con cui le persone si incontrano all’interno dei social in relazione al meccanismo della spirale di silenzio. Si osserva che la scelta di restare in silenzio quando si esprime un’opinione è indipendente dell’opinione della propria rete sociale più stretta. Se si percepisce di fare parte di una minoranza si preferisce restare in silenzio. La ragione che spiega questo comportamento è che “It is hard for people to estimate or predict what their opinion targets truly think and how they may act after a minority view is disclosed.” Perciò anche la varietà e moltiplicità di relazioni sui social favoriscono l’effetto a spirale. Sulla base di quanto detto, gli autori di “The Spiral of Silence” Revisited, ha applicazione anche nella contemporaneità poiché nei social media si crea l’effetto a spirale. S. PROCOPIO 22 CAPITOLO 4. LA TEORIA DELLA COLTIVAZIONE La teoria della coltivazione nasce e si sviluppa negli anni Settanta. La figura di riferimento è Georg GERBNER, che pone l’attenzione su un aspetto specifico della formazione dell’opinione pubblica o meglio, sulla cultura. Infatti, con la fine degli anni Settanta l’attenzione si sposta sul rapporto tra media e sviluppo della cultura di un Paese. Oltre alla cosa pubblica, vengono considerate anche le opinioni, i valori ed i giudizi che riguardano complessivamente tutta la sfera di vita degli individui. Rispetto agli argomenti già affrontati, Gerbner introduce due nuovi spunti di riflessione: la dimensione della cultura e quella dello storytelling – la teoria vuole dimostrare come i media contribuiscano alla formazione dell’opinione pubblica attraverso il loro storytelling. Gerbner si focalizza sulla dimensione narrativa propria al mondo mediale: attraverso i mezzi di comunicazione, infatti, vengono trasmessi dei racconti sia all’interno di trasmissioni prettamente narrative (come film o serie tv) e non, come i talent in cui vengono messi in atto storytelling in cui si raccontano gli aspetti positivi, emotivi, valori ed in generale tutti gli elementi che Gerbner ritiene propri alla narrazione storytelling. Le storie, proposte e ripetute dai media, contribuiscono alla formazione della cultura poiché si riflettono sul nostro modo di vedere e interpretare il mondo e producono una visione che diventa sempre più omogenea e mainstream. FUNZIONE BARDICA Ai media viene riconosciuta la “funzione bardica”, ovvero racconta le storie della comunità. Il bardo tradizionale trasformava la vita quotidiana e le sue preoccupazioni in versi; oggi i media trasformano le nostre percezioni della vita quotidiana in un sistema di linguaggio, ovvero ci propongono mondi, comportamenti e atteggiamenti sotto forma di storie che narrano presente e passato (Fiske & Hartley, 1978). I media ci propongono piccoli spaccati della realtà che ci circonda che ci permettono, attraverso una serie di valori, costruzioni e atteggiamenti, di costruire il nostro racconto personale. Le funzioni dei media A partire dal 1978, John FISKE e David HARTLEY (Polytechnic of Wales) sviluppano ulteriormente la teoria della coltivazione oltre quanto già individuato da Gerbner. Individuano con più precisione il ruolo dei media all’interno del sistema sociale: • Articolare l’interpretazione della realtà proponendo elementi di narrazione della contemporaneità utili per interpretare aspetti di mondo di cui non abbiamo esperienza diretta; • Coinvolgere in un sistema di valori; • Spiegare le azioni dei singoli; • Rassicurare la cultura della sua adeguatezza o svelarne le inadeguatezze pratiche per farla evolvere; • Rassicurare che lo status e l’identità degli individui è garantito dalla cultura • Trasmettere un senso di appartenenza culturale. S. PROCOPIO 25 Coltivazione e nuovo sistema dei media Questioni di fondo: il nuovo sistema dei media è caratterizzato dalla molteplicità di canali, offerte e piattaforme, il che comporta che l’effetto di coltivazione di una stessa rappresentazione del mondo ed asset valoriali sia meno semplice rispetto al sistema media contemporaneo alla ricerca; vi è una differenziazione dei modi e tempi del consumo ed una maggiore selettività del consumo. Perciò quali sono i problemi che il nuovo sistema dei media pone alla teoria della coltivazione? Anche se il mezzo televisivo continua ad essere centrale nel consumo, verrebbe a mancare il sistema comune di messaggi che genera l’effetto di coltivazione. La demassificazione della comunicazione di massa rende difficile immaginare la coltivazione di una visione del mondo mainstream, uno storytelling di massa. Lo stesso sistema dei media produce contenuti a volte tra loro contraddittori, e ciò contribuisce alla coltivazione di una visione del mondo che non è necessariamente uguale per tutti. Si deduce che nel mondo contemporaneo lo storytelling è targettizzato: vi sono più storytelling che coltivano diverse visioni del mondo a seconda dei contenuti di cui fruisce l’utente e non più un effetto di coltivazione mainstreaming. Insomma, la teoria non viene meno, ma per via della molteplicità che caratterizza la società contemporanea, l’effetto di coltivazione è frammentato e continua ad esistere all’interno di gruppi diversi. Già nel 2001, Chaffee e Metzeger affermarono: “Visto che ci sono numerose visioni del mondo disseminate all’interno dei nuovi media, la teoria della coltivazione può slittare verso una visione nella quale gli individui sono coltivati da specifiche visioni del mondo selezionate in base alle loro scelte”. Nel 2017, Jamieson e Romer sottolinearono quest’aspetto e notarono che “Questa personalizzazione della coltivazione può anche aumentarne gli effetti”: il consumatore può scegliere i prodotti mediali rispetto a quanto accadeva negli anni, il che crea processi di coltivazione anche personalizzati. L’effetto non è ridotto ma, al contrario, è aumentato dall’effetto di sintonia. Grazie al fenomeno della risonanza l’effetto di coltivazione si potenzia anche nei nuovi media quando le visioni del mondo proposte collimano con quelle del pubblico. Bisogna approfondire il concetto di selettività: si può avere effetto di coltivazione a partire dai contenuti scelti, che raccontino mondi simili a quelli che l’utente vive. L’esposizione selettiva nei media digitali La moltiplicazione di canali e contenuti pone la società contemporanea in una situazione di OVERLOAD INFORMATIVO. Di fronte alla sovrabbondanza di canali e di contenuti, il pubblico è necessariamente chiamato a realizzare forme di consumo selettivo. Vengono operati processi di selezione a livello di piattaforme (vengono scelte le piattaforme di elezione) e contenuti (tipologie, formati e contenuti più consoni). A tal proposito è stato coniato il termine Information Stratamentation: i contenuti vengono segmentati e stratificati poiché scegliamo le piattaforme e contenuti di cui fruire per poi ordinarli gerarchicamente secondo le proprie preferenze. SELETTIVITÀ La selettività del consumo è spesso motivata dalla volontà di evitare forme di dissonanza cognitiva, per crearci un ambiente di consumo confortevole e consonante. Il processo di selezione permette di cercare contenuti coerenti con le proprie attitudini preesistenti e sottarsi a quelli discrepanti (Mutz 2006). La selettività è applicata sia alla dimensione dello storytelling, ma anche il consumo di news, in cui scegliamo fonti informative in sintonia con la propria visione. Ancora, ci permette di S. PROCOPIO 26 cercare contenuti coerenti con le attitudini del proprio network: il monitoraggio delle opinioni che ci circondano è importante, il che motiva la ricerca di contenuti sintonici all’interno del proprio network. La selettività del consumo è finalizzata a: • Ridurre la dissonanza cognitiva; • Cercare sostegno informativo e rendere più articolata la propria idea; • Ridurre il costo di elaborazione delle informazioni, che assimiliamo più facilmente; • Attribuire un giudizio di qualità ai media, per cui selezioniamo alcune piattaforme e fonti che riteniamo di maggiore qualità e in grado di darci una prospettiva più obiettiva sul mondo proprio perché in sintonia con le nostre idee; • Media audience homopily: cercare una consonanza con l’audience attraverso la selezione ed esposizione di contenuti identitari, che creano un senso di appartenenza. Gli effetti della selettività possono avvenire a livello di contenuto: • Evitare il discorso pubblico e politico o le news in favore di un mondo di consumi evasivo. È considerato un effetto rischioso, rende più difficile la costruzione di una società democratica partecipe; • Focalizzare il consumo mediale su specifici argomenti con la complicità nel funzionamento delle piattaforme, che ci presentano costantemente prodotti simili a quelli già scelti e distribuiscono una gerarchia di consumi simili alle nostre preferenze (vedi Netflix) ci incoraggiano ad un consumo ripetitivo focalizzato, appunto, su specifici argomenti • Privilegiare alcuni media rispetto ad altri perché ritenuti più affidabili; • Privilegiare contenuti e media vicini alle proprie posizioni culturali e politiche. Echo chambers All’interno del panorama delle piattaforme digitali, gli effetti di selettività risultano molto più accentuati ed il consumo selettivo della rete e dei social dà vita alle cosiddette echo chambers. La rete, infatti, produce (anche attraverso i social media) una diffusione indistinta di informazioni da molte tipologie di fonti diverse e spesso “disintermediate”, ovvero pubblicate direttamente prive dei filtri dell’intermediazione giornalistica o professionale. In questo contesto è chiaro che la distinzione tra notizie vere e false è più difficile l’opinione pubblica si struttura a fatica (soprattutto in un’unica opinione pubblica), tra opinioni frammentate e diverse narrazioni della realtà. Gli individui si confinano nelle echo chambers che orientano gli utenti all’interno dell’overload informativo, in cui trovano conferma e continua ripetizione del medesimo punto di vista, scelto proprio perché sintonico con il proprio. L’eco chamber è una selezione di fonti e contenuti che gli utenti tendono a privilegiare all’interno dei loro consumi di rete e delle piattaforme social in sintonia con il proprio punto di vista. Davanti alla sovrabbondanza di contenuti, l’utente è portato alla creazione di una comfort zone che, seppur non escludendo completamente opinioni divergenti, genera un effetto di chiusura. ECHO CHAMBERS: I RISCHI Fondamentalmente, il rischio delle echo chambers è quello della polarizzazione e della contrapposizione tra individui che influenza anche le dinamiche sociali (dinamiche di assunzioni, S. PROCOPIO 27 ecc.); quanto più si è immersi in un ambiente informativo che tende a privilegiare i contenuti in sintonia con la propria posizione, tanto più si percepisce come nemico o meno intelligente chiunque la pensi diversamente. Questo atteggiamento può portare ad un ulteriore rischio, ovvero il fenomeno delle cybercascades: promozione di campagne d’odio comunicative verso “nemici”, minacce per il gruppo o #idioti. Vi è poi il rischio di autosegregazione e difficoltà di dialogo per la ricerca di soluzioni comuni, questo perché all’interno delle echo chambers si creano facilmente gruppi omogenei e difficilmente la discussione avviene all’esterno di questi gruppi ristretti. Questo effetto ha un forte impatto sulla vita sociale, in cui diventa più difficile trovare un punto d’accordo tra posizioni contrapposte anche riguardo semplici questioni della vita quotidiana. La chiusura delle echo chambers ha influenza sul dibattito pubblico: la capacità di espressione aggressive e violenta di chi è chiuso nelle echo chambers porta i politici a costruire relazioni specifiche con questi gruppi se non ad assumerne le forme comunicative. L’ultimo rischio del meccanismo delle echo chambers è la diffusione e credibilità delle fake news: le echo chambers producono cascate informative che portano a propagare online contenuti che sostengono una specifica posizione. Se all’interno del circuito che l’utente si costruisce sulla base di fonti giornalistiche e personaggi a sé simili entrasse in circolazione una fake news che sostiene le sue idee, è facile che questa si diffonda e trovi credibilità. La possibilità di smascherarla sarebbe molto più difficile, perché queste cascate informative portano a confermare contenuti che sostengono l’idea che l’utente ritiene valida, e che perciò accetterà come tale senza effettuare ulteriori accertamenti. I modelli di narrazione della realtà che circola all’interno delle echo chambers Questa preoccupazione è stata espressa anche da studiosi ricercatori che si sono occupati dell’argomento. Tra questi ricordiamo Cass SUNSTEIN che nel 2018 ha scritto un libro incentrato proprio su questo fenomeno; le echo chambers non favoriscono lo sviluppo democratico e, soprattutto, la coesione sociale. Nell’opera, si legge che «in una democrazia che meriti tale appellativo le vite – comprese quelle digitali – devono essere strutturate in modo che le persone si imbattano spesso in prospettive o temi che non hanno specificamente selezionato.» Filter Bubble Le echo chambers sono potenziate dalla presenza della cosiddetta filter bubble. Con questo termine indichiamo il risultato del sistema di personalizzazione effettuato dagli algoritmi, che utilizzano informazioni sull’utente per selezionare e presentare selettivamente dei contenuti all’interno della rete e delle piattaforme social o di intrattenimento. È il meccanismo dei media algoritmici, che ci propongono contenuti e forme di consumo sulla base di processi di scelta già compiuti dagli utenti o con cui essi hanno interagito. La filter bubble è stata identificata come fenomeno tipico della rete in seguito ad una recente ricerca americana effettuata in ambito politico e che ha coinvolto dieci milioni di utenti di diverso orientamento politico (conservatori, liberali, neutri) che esprimevano dichiarandolo apertamente sui social (post, likes, commenti). L’inchiesta: Cosa differenzia l’esposizione di questi utenti alle social news? Per trovare una spiegazione al quesito, sono stati individuati gli elementi che influenzavano i contenuti e le notizie che comparivano sulle bacheche di conservatori, liberali e neutri all’interno delle piattaforme social. La loro esposizione a determinate social news sembrava determinata da: • La tipologia di “amici”: la rete sociale costruita all’interno dei social; • I tipi di news condivisi da loro e le testate giornalistiche con cui interagiscono di più; • Le modalità di interazione con il newsfeed; • Frequenza di connessione; S. PROCOPIO 30 CAPITOLO 5. COMUNICAZIONE DIGITALE E SOCIETÀ Quali sono gli effetti sulla società dello sviluppo delle tecnologie digitali? In realtà, è più corretto parlare di un’evoluzione integrata della dimensione comunicativa all’interno di quella sociale. I mezzi di comunicazione, infatti, si collocano all’interno di una società e ne favoriscono lo sviluppo di alcuni aspetti o raccolgono elementi tipici e caratteristici di un dato contesto sociale – dinamiche a cui i media apportano il proprio contributo. Il rapporto tra tecnologia e società si sviluppa su tre livelli: network, connective e platform society. Network society Manuel Castells, sociologo spagnolo, iniziò la riflessione sulla network society negli anni Ottanta. Vennero riprese le teorie elaborate in precedenza ed adattate al nuovo contesto mediatico. in questi anni, i fenomeni che rappresentano il passo evolutivo della comunicazione mediale sono: o Il pubblico e la comunicazione mediale sono sempre meno «di massa» (demassificazione): viene meno il modello di comunicazione che si appoggia a media broadcast, con pochi centri di emissione e molti punti di ricezione (parte da un’origine ed arriva ad una grande quantità di utenti); o Le audience sono sempre più segmentate: sono viste come insiemi di soggetti, divisi in gruppi che negli anni ’80 si distinguono tendenzialmente sulla base di caratteri sociodemografici, psicografici, stili di vita; o I prodotti mediali riescono a soddisfare le esigenze dei singoli; o L’offerta mediale si pluralizza e diversifica: nascita di canali tematici classificati per temi ed oggetti dell’offerta; o Il consumo si personalizza anche grazie all’evoluzione della tecnologia e l’introduzione di nuovi device: walkman (portabilità del consumo e possibilità di distribuirlo all’interno degli spazi umani), videoregistratore (personalizzazione dei tempi del consumo televisivo e dei contenuti libera dai palinsesti), videocamera (primo strumento per la produzione di contenuti audiovisivi passa dal basso), device personali e portatili tattili e connettivi. Questa evoluzione avviene in sintonia e in sinergia con l’evoluzione del contesto sociale verso la «Network Society». Tra il 1996 e 1998 Manuel Castells scrive la trilogia in cui descrive lo sviluppo della network society. Il primo, The Information Age: The Rise of the Network Society, pone le basi per la sua analisi ed individua gli elementi che favoriscono lo sviluppo della Network Society: o Si afferma un nuovo paradigma tecnologico dominante all’interno della società che ha al suo centro le tecnologie dell’informazione; o I modelli economici prevalenti (capitalisti – economia basata su un mercato che si autoregola, o statalisti – Stato come coordinatore e pianificatore dell’attività economica) entrano in crisi; o Si affermano alcuni movimenti culturali «portatori di valori sociali» (ambientalismo, difesa dei diritti umani…). La struttura portante della network society è il paradigma tecnologico, che negli anni ’90 è profondamente influenzato dalla nascita di internet e le reti di comunicazione sociale. S. PROCOPIO 31 Nel terzo libro, The End of Millennium, egli descrive la network society come «una nuova struttura sociale dominante, la società in rete; una nuova economia, l’economia informazionale/globale; e una nuova cultura, la cultura della virtualità reale» (Castells 1998). L’economia è globale (scambi di borsa, acquisizioni, investimenti ed acquisto di azioni) e poggia sulla circolazione delle informazioni, un flusso di informazioni da cui nascono scelte di acquisto, salite e cadute di borsa…. La cultura fa i conti con il mondo virtuale: siti web, nascita di prodotti culturali, comunità in rete, che non poggiano direttamente su scambi o attività nello scambio reale. Nei nuovi grandi modelli economici, il peso della dimensione dei contenuti che circolano in internet è descritto come tipico della network society. Vengono poi approfonditi gli elementi definiti come tipici della network society: 1) L’informazione (intesa come il flusso di contenuti che circolano negli spazi virtuali ed hanno effetti sulla realtà che internet ha provveduto a costruire) è centrale nella nuova società; 2) Techno-socialità: le tecnologie di rete agiscono in profondità sulle dinamiche individuali e collettive. Nascono forum, community (di interessi, solidaristiche…) che non hanno fondamento sul territorio. Internet abilita nuovi modi di relazionarsi con gli altri, generano community che non esistevano sul territorio; 3) Network logic: ogni sistema o insieme di relazioni che poggia sulle tecnologie è dominato dalla logica della rete; 4) Cambiamento: la società evolve in modo costante grazie alla spinta dell’evoluzione tecnologica; 5) Convergenza: le tecnologie convergono in un unico sistema integrato; GLI EFFETTI Castells delinea alcuni effetti dello sviluppo della network society, soprattutto sulla dimensione mediale: 1. Effetti sui «pubblici» e sulla società (gli effetti individuati come ‘pubblici’ hanno anche ricadute sulla società) o Differenziazione sociale e culturale diffusa: ▪ La personalizzazione dell’offerta e del consumo (sia nelle forme del marketing, sia in quella della scelta di contenuti molto personalizzati) creano una frammentazione culturale; ▪ La differenza di competenze nell’accesso ai media digitali crea una stratificazione sociale degli utenti, che con l’entrata in scena di nuovi modelli, si sono trovati davanti alla necessità di acquisire nuove competenze, che siano tecniche, culturali… Il divario di competenze separa la società tra have/have not (differenza sociale); competenti/non competenti (stratificazione). 2. Effetti sui «contenuti» e sulla cultura: la rete è l’infrastruttura tecnologica su cui appoggia tutta la network society, in grado di ospitare e far circolare potenzialmente tutti i media. o L’esistenza di un unico ambiente mediale convergente (la rete) favorisce l’integrazione dei messaggi in un unico schema comune in cui i codici si mescolano ▪ All’interno della comunicazione in rete, esistono codici, forme e modelli comunicativi di gamification (confezionamento in forma di gioco di altre attività: apprendimento, survey) e misinformation, ovvero dimensione di gioco e community diventano pervasivi e dominanti. Nella network society di oggi esistono nuove linee di sviluppo oltre alla rete, come i social network. S. PROCOPIO 32 Connective Society Con la nascita dei social network tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000, la dimensione della connettività peer to peer assume sempre più importanza. Sono molti gli studiosi che si occupano di questo fenomeno, tra cui anche Giovanni Boccia Artieri. Vengono osservati i primi due fenomeni introdotti dallo sviluppo della rete: l’innovazione tecnologica porta alla pervasività della condizione di connessione online o della propensione all’essere online networked; le condizioni di esistenza online e offline sono senza soluzione di continuità, un comportamento che persiste anche nelle relazioni sociali, diversamente da quanto succedeva su forum e community dei primi anni ’90, in cui porzioni di esperienza venivano vissute esclusivamente online. GLI EFFETTI 1. Networked individualism: gli individui networked sono caratterizzati da forme di appartenenza parziale a molteplici network e fanno meno affidamento su forme di appartenenza permanente a gruppi stabili (Rainie, Wellman 2012). Le reto sono “io centrate”. 2. Effetti sulle relazioni sociali Social Network Revolution: gli individui gestiscono i legami in modi più complessi e si accresce l’importanza delle reti di legami deboli che vengono attivate da interessi e passioni comuni. I social permettono di recuperare anche i legami latenti, che vengono portati ad un continuo presente. In generale, si investe più tempo nella gestione della socialità. Normalmente, gli individui attivano tre tipi di legami sociali (sia online che offline): rete di legami forti (famiglia, amici più stretti), rete di legami deboli (che, seppur importanti, non raggiungono la sfera dei legami forti), rete di legami latenti (persone legate ad esperienze concluse con cui non si hanno legami attivi). La gerarchia tra questi legami è modificata dai social, che ci consentono di coltivare reti di legami deboli. I legami forti privilegiano altri canali e strumenti di comunicazione più diretti (instant messaging, chat private). 3. Effetti sulla posizione degli utenti nella comunicazione Internet revolution: le relazioni sono alimentate da nuovi tipi di contenuti prodotti e condivisi dagli utenti che hanno assunto maggiore potere comunicativo. All’interno delle piattaforme, l’uso della parola è affiancato dalla realizzazione di piccoli prodotti culturali (come le Instagram stories), dal repertorio linguistico complesso. Al loro interno, si sono codificati modelli di rappresentazione ed interpretazione di riferimento: una foto di 4 piatti con 4 mention racconta di una cena con amici senza che ciò sia scritto esplicitamente. 4. Effetti sul rapporto tra tecnologia e vita quotidiana Mobile Revolution: la tecnologia è definitivamente portatile e pervasiva e l’accesso al mondo della rete passa prettamente attraverso la dimensione mobile. Ciò implica che la possibilità di essere in relazione con le proprie reti sociali è costante nell’ambito della vita quotidiana e che la possibilità di realizzare prodotti culturale è pervasiva. Si parla di tele cocooning, la possibilità di connetterci con la propria rete sociale è a portata di mano ed attivabile nell’immediatezza, viviamo in una condizione di socialità perennemente aperta e disponibile e ciò ha un effetto rassicurante ed avvolgente. La solitudine e l’approccio individuale vengono meno. 5. Effetti sulla comunicazione mediata Mass self-communication (coniato da Castells): la connective society introduce una modalità di comunicazione ampliata inedita. All’interno della rete si realizza una comunicazione che: S. PROCOPIO 35 possiamo esprimere per interagire con gli altri. Facebook è sicuramente la piattaforma che ha codificato in modo più ampio la dimensione espressiva attraverso una vasta gamma di reactions. Le reactions su Instagram sono una gamma emozionale incentrata sulla popolarità, tant’è che troviamo reactions come applausi, festeggiamenti... Si parla di un meccanismo di datafication: codifica dei comportamenti e delle emozioni per poterle standardizzare ed elaborare in forma di dati. Articolare una vasta gamma di emozioni permette di standardizzare e rielaborare sottoforma di dati le reazioni di apprezzamento in modo più preciso rispetto al vago like. La platform society è caratterizzata anche da una dinamica di mercificazione, ovvero la trasformazione di contenuti ed emozioni in merci che possono essere scambiate all’interno e all’esterno delle piattaforme. I dati raccolti (tag, sharing, reactions…) sono scambiati tra le piattaforme e le aziende e/o istituzioni attraverso un processo di mercificazione (compravendita). Il loro valore economico aumenta tanto più i dati sono precisi ed articolati. Selezione: gli utenti vengono indirizzati verso specifici contenuti e oggetti secondo un principio data driven, ovvero alimentato dal flusso di informazioni originato dagli utenti. In conclusione, le affordances offerte dalle piattaforme contribuiscono a modellare il modo in cui si producono, si consumano e si condividono i contenuti. S. PROCOPIO 36 CAPITOLO 6. PLATFORM SOCIETY La platform society si contraddistingue per una serie di specifiche caratteristiche. In primis, si tratta di una piattaforma è un’architettura digitale programmabile, progettata per organizzare interazioni tra utenti; non solo per gli utilizzatori finali, ma anche imprese commerciali e istituzioni pubbliche. Pensiamo ad Amazon, che attraverso transazioni commerciali mette in relazione ed organizza le interazioni tra gli utenti e soggetti coinvolti a vario titolo (imprese commerciali, distributori, produttori di beni materiali e contenuti audiovisivi) sulla base di un progetto ben definito e programmato all’interno del software che permette alla piattaforma di funzionare. La Platform society si basa su un ecosistema di piattaforme che non possono essere considerate separate le une dalle altre: ogni singola piattaforma fa parte di ecosistemi brandizzati, in relazione l’una con l’altra. Esempi sono le piattaforme del mondo Google, o Microsoft. Un “ecosistema di piattaforme” è un assemblaggio di piattaforme interconnesse, sia perché appartenenti allo stesso brand, o perché risentono l’una dell’evoluzione dell’altra. Queste piattaforme sono poi e governate da un particolare insieme di meccanismi (ovvero logiche e processi comuni) che modellano le pratiche quotidiane. All’interno di quest’ecosistema coesistono due tipi di piattaforme: 1. Le piattaforme infrastruttura, più generaliste, che formano il cuore dell’ecosistema su cui le altre app e piattaforme vengono poi ad appoggiarsi. Si tratta delle Big Five o FAMGA: Facebook, Apple, Microsoft, Google & Amazon. Funzionano da online gatekeeper gestendo, incanalando e archiviando il flusso di dati che circola in rete. 2. Le piattaforme di settore che sono incorporate nell’ecosistema complessivo all’interno di specifici settori (news e giornalismo, spostamento e alloggio, medicina, istruzione, ecc.). Dipendono dalle Big Five soprattutto per quel che riguarda l’approvvigionamento di servizi e informazioni, che non sono in grado di raccogliere autonomamente. Vengono sviluppate e spesso integrate influenzando l’organizzazione di specifici settori, in quanto la loro capacità di influenza è mirata. Un esempio è Airbnb: la nascita della piattaforma ha imposto una riconfigurazione del settore, che ha dovuto ridefinire regole nuove ed aspetti di accettabilità dell’offerta di servizio e di soggiorno. GLI ELEMENTI COSTITUTIVI Tutte le piattaforme sono accomunate da elementi comuni, su cui poggia la nuova trasformazione delle attività quotidiane e del contesto sociale: 1. DATI Viviamo in un contesto in cui l’infrastruttura comunicativa è in gran parte mediata da un sistema di comunicazione in cui le piattaforme raccolgono automaticamente grandi quantità di dati relativi ai contenuti prodotti e circolanti e relativi ai comportamenti degli utenti. La raccolta di dati è consentita e modellata da hardware e software: - HARDWARE: devices utilizzati per accedere alle piattaforme, che incorporano software e app che raccolgono i dati (smartphone, pc, tablet); S. PROCOPIO 37 - SOFTWARE: clik del mouse (indirizzi, geolocalizzazioni, interessi); social buttons, ovvero pulsanti che consentono di condividere contenuti all’interno del proprio profilo social; pixel di tracciamento, uno strumento per le campagne pubblicitarie che traccia il passaggio degli utenti sul sito web di un’azienda per riproporne gli annunci su Facebook. 2. GLI ALGORITMI Le piattaforme utilizzano gli algoritmi per filtrare automaticamente l’enorme quantità di dati raccolta e per connettere utenti, contenuti e pubblicità. Esistono insiemi di istruzioni automatizzate per trasformare i dati di input, ovvero una serie di informazioni raccolte su un sito o una pagina (numero di link alla pagina, descrittori della pagina) in output, il risultato dell’elaborazione dei dati restituito agli utenti (rilevanza della pagina web nella ricerca). Gli algoritmi non sono trasparenti né noti, sono considerati «segreti industriali», parte del patrimonio aziendale al pari dei brevetti e soggetti a continui mutamenti. In breve, i dati raccolti vengono raccolti e poi rielaborati su una serie di criteri non noti e trasformati dagli algoritmi in risultati della nostra relazione con le piattaforme; un esempio è il Page Rank di Google, la gerarchizzazione secondo un ordine di importanza definito da tutti i dati raccolti sul sito e restituiti all’utente. Sono dettati dai comportamenti dell’utente e procedure. 3. LE INTERFACCE Tutti i contenuti passano attraverso delle interfacce, che rendono visibili e accessibili i contenuti, orientano la produzione e la connessione e accesso ai contenuti. Agiscono secondo una logica predittiva: favoriscono alcune azioni e/o interazioni e ne disincentivano altre, tant’è vero che le interfacce sono in continuo aggiornamento. L’interfaccia di Instagram, ad esempio, si sta evolvendo in favore di una progressiva centralizzazione della produzione dei contenuti (icona “+” in continuo spostamento), incentivando soprattutto la produzione di video (icona reels ora si trova in basso) in vista anche del competitor TikTok. Sono anche in grado di interagire con le norme e le rappresentazioni sociali. La scelta di inserire emoji che rappresentano le varie etnie, ad esempio, venne ritenuta opportuna al fine di creare una rappresentazione più differenziata e non più legata ad un unico modello umano, così che tutti possano raccontarsi anche visivamente attraverso queste icone. 4. STATUS PROPRIETARIO Ogni piattaforma ha uno status giuridico ed economico ed hanno: • Proprietà: è di qualcuno; • Scopo: lucro o no profit (piattaforme); • Luogo: è legalmente situata in un luogo e devono sottostare alle leggi dello stesso (es. Privacy). Airbnb, quotata in borsa, è di proprietà di una company statunitensi e di una serie di azionisti tra cui diversi venture capitalist che investono su startup o piccole aziende per avere in cambio parte del profitto o azioni. Fa riferimento ai sistemi di regolamentazione americani rispetto alle transazioni economiche e alla tassazione. Tuttavia, quest’ultimo aspetto ha sollevato un problema giuridico a livello internazionale (a riprova delle ricadute concrete dell’attività di queste piattaforme) soprattutto in seguito allo scandalo Cambridge Analytica, connesso alla gestione dei dati per influenzare le campagne elettorali. Se in America non vennero applicate regolamentazioni più stringenti (complice l’atteggiamento di Facebook), in Europa venne istituita una nuova normativa GDPR. S. PROCOPIO 40 IL BUG Nel 2013, anno in cui vennero raccolti i dati, i ToS di Facebook non impediscono che terze parti raccolgano dati sia sui soggetti che hanno dato l’autorizzazione sia sui loro amici e contatti in Facebook. Ciò permise a GSR di acquisire le risposte del test, così come i dati dei profili Facebook che avevano partecipato e quelli dei loro amici, per un totale di 87 milioni di utenti (su 50 milioni che hanno fatto il test). Oggi, tutto questo è impossibile, perché le nuove regolamentazioni sulla privacy hanno imposto un limite sui dati possibili da raccogliere da parte di terzi. Aleksander Kogan cede i dati raccolti a Cambridge Analytica, società dedicata al marketing politico e consulenze di comunicazione in ambito politico, che li usa per elaborare i profili psicometrici degli utenti che hanno aderito al test, ricostruendo a partire da questi dati il target delle elezioni per individuare l’affiliazione al partito, i soggetti più sensibili a certi tipi di campagne, i temi più efficaci per i singoli. È una strategia di forte vantaggio per mirare ai soggetti più fragili e sensibili, o che sono potenzialmente affiliati ad un altro partito – per inviare loro messaggi specifici che li indirizzassero, ad insaputa dell’utente. Durante la campagna elettorale di Donald Trump vengono inviati ai cittadini statunitensi messaggi di propaganda elettorale calibrati sui loro profili psicografici così da essere più persuasivi. Il tutto avviene all’oscuro dei cittadini, i quali non sanno di essere destinatari di una campagna personalizzata che fa leva sui propri caratteri costruiti a partire da questa raccolta dati. IL PROBLEMA Facebook è una piattaforma (anche) di comunicazione politica, e l’uso dei dati a fini elettorali non è inusuale (Obama), né illegale, purché sia trasparente. Lo scandalo di CA deriva dal fatto che la società di consulenza raccolse questi dati senza che gli utenti si rendessero conto di quante informazioni stessero cedendo o come lo stessero facendo. Soprattutto gli amici e amici di amici di coloro che avevano fatto il test, a cui erano stati sottratti dati, ma che non avevano mai dato il consenso alla raccolta dati su di sé per partecipare ai quiz. Anche gli scopi della raccolta non erano mai stati dichiarati. Facebook sarebbe stata a conoscenza dell’utilizzo illegittimo dei dati dei suoi utenti (tanto che nel 2016 ne ha chiesto la cancellazione, che poi in realtà non avvenne). Facebook non avrebbe informato gli utenti dell’uso illegittimo di dati di cui era a conoscenza, e nemmeno vigilato sui dati dei propri utenti e non si è impegnata ad evitarlo. LA GESTIONE DA PARTE DI FACEBOOK Zuckerberg rassicurò gli utenti, assumendosene la responsabilità ed impegnandosi ad evitare un episodio simile. Dichiara “È stato un mio errore e mi dispiace. Io ho creato Facebook io lo gestisco ed io sono responsabile di ciò che accade” e rivelò che il bug era stato risolto. Zuckerberg sottolineò che il loro operato era corretto sulla base dei ToS: “Ci sono molti pregiudizi su ciò che facciamo che non siamo riusciti a chiarire per anni. Quindi, innanzitutto, la stragrande maggioranza dei dati che Facebook conosce su di te è perché hai scelto di condividerlo. Giusto? Non è monitoraggio. Ci sono altre società Internet o broker di dati o persone che potrebbero provare a tracciare e vendere dati.” La strategia comunicativa proseguì rassicurando i suoi utenti. Vennero rintracciati tutti gli utenti i cui dati erano stati acquisiti (80% negli USA, in Italia 241 mila) e diffuse statistiche a riguardo. Viene messo a disposizione un tool su Facebook dove l’utente poteva S. PROCOPIO 41 verificare se fosse stato vittima del leak di dati (che effettivamente non cambia la situazione, ma è solo uno strumento di rassicurazione) e un pulsante per rivedere quali app accedono al profilo. A questo punto Facebook negozia le contromisure: in quanto tech company, non si ritiene responsabile della circolazione illecita dei dati. In Europa, lo scandalo CA porta alla creazione del GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati che definisce una necessità di estrema trasparenza nell’accesso dei dati (cookies). Oggi il GDPR vale per i dati raccolti sui cittadini europei (anche da companies americane). Negli USA, infatti, il GDPR non venne mai adottato, optando solamente per nuove soluzioni per la gestione della privacy. L’unica soluzione effettiva è uscire completamente da internet, il che non rappresenta una libertà di scelta dell’utente ma più che altro un impedimento. L’effetto è paradossale: per quanto gli utenti possano essere sensibili al tema e preoccupati per la sorveglianza dei loro dati, concretamente ciò si esaurisce, per cui non agiscono effettivamente. L’effetto di fiducia desiderato, però, non c’è stato. Dai sondaggi di quegli anni, emerge che il totale/maggior parte degli utenti di Facebook non ha nessuna fiducia nei confronti della piattaforma e, sempre la maggior parte, utilizza Facebook con meno frequenza. Un passo indietro: Big Five e Piattaforme di Settore LE BIG FIVE Al cuore del Sistema c’è Alphabet (company a cui appartiene tutto il mondo Google), che fornisce numerose risorse chiave per l’ecosistema. Sono molte le infrastrutture che Alphabet mette a disposizione e su cui ci appoggiamo per i più svariati servizi: motore di ricerca (Google Search), browser (Google Chrome), app store (Google Play), sistema operativo (Android), servizi di pagamento (Android Pay, Google Wallet), programmazione pubblicitaria (adsense), sito di video sharing (YouTube), sistema di informazione geospaziale (Google Earth), sistema di videoconferenze (Google Meet), sistema di cloud (Google Drive), sistema di programmazione pubblicitaria. Al momento, Alphabet rappresenta la piattaforma con la copertura ed offerta infrastrutturale più ampia. Accanto al cuore c’è Facebook. Google non ha un sistema di social network, salvo YouTube – nel 2011 sbarcò con Google+, una piattaforma piuttosto generalista che non fu in grado di competere con Facebook che aveva ormai consolidato un numero troppo alto di utenti. L’azienda Facebook, grazie a tutte le sue piattaforme è in grado di fornire: • 80% dei servizi di social network nel mondo (monopolista del settore: non esistono infrastrutture comunicative che detengono una quantità di utenti simili) • 60% della pubblicità online (insieme a Google) • Servizi di identificazione online (Accedi con Facebook) – detiene il monopolio anche in questo campo (competitors: Apple, Google ed Amazon). Si tratta di un sistema di tracciamento della navigazione degli utenti che permette a Facebook l’acquisizione e capitalizzazione dei dati, che sono archiviati, gestiti e processati dall’azienda. • Controllo sul traffico dati mobile degli individui (App) In ascesa c’è Amazon, che vuole aumentare la propria rilevanza all’interno del mercato delle infrastrutture. In questo momento, Amazon non ha competitors: è una rete digitale di vendita leader di mercato nel campo dei server per il cloud, per la distribuzione di contenuti Business to Business (Amazon Web Services) e la ridistribuzione degli stessi agli utenti. S. PROCOPIO 42 Al centro della produzione hardware c’è Apple, leader della produzione di hardware. Apple non si limita a produrre hardware, ma fornisce servizi di tipo software: è il gestore del secondo app store per grandezza e fornitore di servizi di cloud e streaming. Come abbiamo visto con Amazon, fornire spazi di archiviazione di documenti e prodotti audiovisivi e multimediali che possono essere ridistribuiti all’utente è fondamentale nell’ambito della Platform Society. La company storica è Microsoft, la prima company a muoversi nella distribuzione dei software (nonché core business). Distribuisce anche piattaforme per il gaming (Xbox), strumenti di social networking (Linkedin), strutture professionali e conference (Skype), Cloud (Microsoft Azure). Le Big Five forniscono infrastrutture anche alle piattaforme più innovative: • Spotify si appoggia a Google Cloud • Netflix ad Amazon Web Service • Games agli App Store • Le applicazioni pubbliche alle infrastrutture private (Immuni) PIATTAFORME DI SETTORE Le piattaforme di settore sono CONNETTORI tra utenti e fornitori. La nascita delle PDS ha fatto sì che si sviluppasse un settore economico di microimprenditori. Questi sistemi di microimprenditoria nascono spesso spontaneamente, in seguito ad attività generate sul territorio che perciò sono prive di sistemi di regolamentazione (e generano spesso problemi di gestione). Un esempio è Uber – Google ne possiede il 20%: in presenza di investimenti interessanti, le Big Five entrano all’interno del segmento delle PDS. L’attività imprenditoriale può altrimenti essere appoggiata ad imprese complementari tradizionali che hanno una propria fisionomia e riconoscimento giuridico, e si appoggiano a piattaforme di connessione per raggiungere più utenti. A questa seconda tipologia appartengono Booking, ma anche tutti i servizi di delivery come Deliveroo, la cui impresa complementare tradizionale è il ristorante; si è generata una categoria di lavoratori a partire da questa connessione: i driver, anch’essi soggetti a problemi di riconoscimenti e regolazioni per via di quanto suddetto. I meccanismi delle piattaforme Le piattaforme social non sono strumenti neutri, al contrario, questi hanno un forte impatto sul nostro agire sociale. In particolare, all’interno della platform society i meccanismi delle piattaforme nascono all’incrocio di tecnologie (dati algoritmi, interfacce), strategie commerciali e pratiche degli utenti. Questi tre elementi sono i tre poli dell’attività delle piattaforme, che ne definiscono i meccanismi e che incidono sull’organizzazione della società attraverso una forma di modellamento reciproco, una coevoluzione. Gli autori identificano tre meccanismi tipici delle piattaforme: datificazione, mercificazione e selezione. 1. DATIFICAZIONE L’idea su cui si appoggia la datificazione: aspetti del mondo mai quantificati prima vengono trasformati in dati (Mayer-Schönberg & Cukier 2013). Sono esempi geolocalizzazione e pagamenti: la nostra posizione nello spazio, così come le transazioni economiche non erano mai state S. PROCOPIO 45 I mercati multisituati hanno coinvolto anche ulteriori tipologie di soggetti che tradizionalmente si appoggiavano su mercati diversi – un esempio sono le testate giornalistiche, che in precedenza funzionavano esclusivamente come un mercato economico two sided: lettori/inserzionisti. Per riuscire a connettere lettori e inserzionisti, le testate devono passare dalle piattaforme digitali per vari motivi: intercettare nuovi utenti, acquisire una conoscenza più approfondita sul proprio target di lettori, il che a sua volta consente di migliorare la relazione con gli inserzionisti o sviluppare meglio il proprio prodotto. È chiaro che le piattaforme sono diventate gateways tra cittadini/consumatori e istituzioni/aziende anche attraverso questo meccanismo di mercificazione. Attraverso la pubblicazione di contenuti e la propria autopromozione gli utenti sostengono questo processo perché incrementano click e like e il traffico dati. 3. SELEZIONE I contenuti a cui gli utenti accedono sono frutto di un processo di selezione basato su utenti e algoritmi, al posto di esperti professionisti del settore (giornalisti, producer) come nel caso dei media tradizionali. Possiamo definire questo sistema di piattaforme come MEDIA ALGORITMICI e un processo di selezione dei contenuti che arrivano agli utenti che è DATA DRIVEN, cioè guidato dai dati raccolti dalle piattaforme. Ci troviamo davanti ad un processo di SELEZIONE di PIATTAFORMA che si appoggia sulle capacità tecnologiche delle piattaforme di attivare e filtrare l’attività dell’utente (e processarle in dati) attraverso le interfacce e algoritmi. Ma l’algoritmo funziona in collaborazione con l’attività degli utenti: gli utenti, infatti, sono il motore del processo di selezione, che, interagendo con le piattaforme, possono condizionare la visibilità e la disponibilità online di determinati contenuti, servizi o persone. È chiaro quindi che il processo coinvolge entrambi i soggetti: • UTENTE: input in termini di like, commenti, azioni • ALGORITMO: elaborazione degli input sulla base di logiche prefissate Quindi la selezione di piattaforma non è di fatto prevedibile perché gli algoritmi agiscono in combinazione con le azioni degli utenti, a differenza della selezione effettuata dagli esperti professionisti nell’ambito dei media tradizionali, basata su logiche condivise (es. notiziabilità degli eventi). Nel processo di selezione ha ruolo centrale la TRASPARENZA. La seleziona algoritmica appare agli utenti come più trasparente e bottom up (operata dal basso), poiché gli utenti visualizzano i contenuti scelti da loro stessi attraverso i loro like. Tuttavia, il passaggio attraverso gli algoritmi non rende la selezione trasparente, poiché questi sono come delle black box: ne conosciamo il funzionamento in ingresso e in uscita, ma non le logiche interne. I processi di selezione algoritmica si basano su diverse logiche a cui corrispondono tre tipologie: PERSONALIZZAZIONE; REPUTAZIONE E TREND; MODERAZIONE. PERSONALIZZAZIONE Il meccanismo su cui si appoggia il processo di selezione e, in particolare, il binomio algoritmo- utenti è la personalizzazione. Si basa sull’analisi predittiva di interessi, desideri, esigenze di ciascun S. PROCOPIO 46 utente a partire dalle azioni passate a cui l’algoritmo risponde con offerte coerenti. Per ciascun utente, il flusso di contenuti e di advertising è personalizzato a partire dai segnali che vengono dai singoli utenti, ma anche aggregati in insiemi più ampi. I contenuti sono calibrati anche a partire dall’affinità (interazioni personali e scambi globali) di ciascun utente ai follower, ai following e alle pagine/gruppi: prossimità con la propria rete sociale, prossimità con le persone che segue, prossimità alle pagine e ai gruppi. Si basa anche sulla popolarità, ovvero il bilanciamento a partire da un’analisi previsionale tra tema di interesse per il singolo e popolarità globale. Tuttavia, questi meccanismi tendono ad essere facilmente sbilanciati sulla personalizzazione e, quindi, la risposta costante alle esigenze del singolo considerato come parte di reti affini – come già visto, il rischio è quello dell’effetto filter bubble. «Se mostriamo un aggiornamento a cento utenti ma solo un paio di loro ci interagisce (…) non lo mostriamo nel feed di tutti gli utenti potenzialmente interessati.» REPUTAZIONE E TREND Le piattaforme selezionano e offrono agli utenti i contenuti che rappresentano dei “trend” tra gli utenti delle piattaforme ed hanno una reputazione maggiore (determinata da like e commenti positivi). I temi che appaiono come “trending” in alcuni momenti specifici vengono proposti con maggiore frequenza. Definiamo Trending Topics come la selezione algoritmica di contenuti, parole ed elementi che hanno generato l’incremento più ampio nel coinvolgimento degli utenti in un determinato momento. Non conta la diffusione quanto la spreadability dei contenuti: la selezione algoritmica privilegia i contenuti che generano un ampio e veloce incremento di coinvolgimento degli utenti. Si tratta di contenuti adatti a una veloce e rapida diffusione: la spreadability è quindi la caratteristica che hanno alcuni testi mediali di essere adatti alla diffusione (Henry Jenkins, Spreadable Media). La selezione algoritmica privilegia i contenuti caratterizzati da una “buona reputazione”. Agli utenti costantemente chiesto di recensire per costruire la reputazione degli altri utenti e dei contenuti/prodotti; si tratta quindi di un meccanismo collaborativo. L’attività di recensione può essere più o meno elaborata, dai likes alle stelle o testi. La reputazione va costruita e nutrita regolarmente: la pressione per spingere gli utenti a recensire è funzionale a garantire un materiale sufficiente per sostenere questo meccanismo di selezione algoritmica. Sulla base di questa reputazione si propone di attribuire fiducia agli altri o ai prodotti/servizi recensiti definita da una rete di pari. Tipicamente, i siti che ospitano scambi tra pari o commerciali si affidano al concetto di reputazione. Per questo sono disposti diversi indicatori reputazionali nell’interfaccia delle piattaforme: reputazione del venditore, feedback e soddisfazione dei clienti, numero di pezzi già venduti. Ranking: metriche della reputazione non sono semplicemente un riflesso della qualità e dello status di un servizio offerto, ma un vero e proprio standard. Sono modellate e definite in primo luogo dagli operatori della piattaforma. MODERAZIONE Oltre a selezionare le piattaforme da mostrare agli utenti, le piattaforme selezionano alcune tipologie di contenuti che non ritengono “adatte” nell’ambito della comunicazione sociale che avviene al loro interno e sono quindi da rimuovere. I contenuti vengono selezionati sulla base dei criteri di accettabilità definiti da ciascuna piattaforma. Il lavoro di moderazione si basa sull’identificazione di alcuni principi di etica sociale e proposti come propri di una buona attività di relazione sociale in rete, validi internazionalmente. Facebook, ad esempio, basa i propri criteri S. PROCOPIO 47 di accettabilità su sicurezza ed autenticità (comunicazione fuorviante), valori che propone come propri e che suggerisce come valori da rispettare a tutti coloro che comunicano all’interno della piattaforma. Insomma, attraverso il processo di moderazione, le piattaforme si fanno portatrici di valori. All’interno delle piattaforme esistono poi regolamenti precisi in cui sono indicati dettagliatamente i contenuti non accettati. Ma esistono eccezioni a questo processo: è il caso di The Terror of War, una foto scattata da Nick Ut in Vietnam (1972) divenuta tristemente popolare perché ritrae la crudeltà del conflitto vietnamita. Nonostante il messaggio storico della foto, Facebook censurò la foto per nudità in quanto violava i termini della community. “An image of a naked child would normally be presumed to violate our community standards, and in some countries might even qualify as child pornography,” aveva dichiarato Facebook. “In this case, we recognize the history and global importance of this image in documenting a particular moment in time.” I contenuti da rimuovere sono identificati attraverso: - Tecnologie di rilevamento automatiche che ricercano contenuti non conformi all’interno della piattaforma (software in grado di riconoscere tipologie di contenuti visivi o testuali); - Moderatori «umani» che valutano attività e contenuti non conformi; - Collaborazione degli utenti chiamati a segnalare eventuali contenuti non conformi (valutazioni e segnalazioni peer to peer). S. PROCOPIO 50 È in questo momento che la vicenda suscita un interesse esterno a questa prima enclave prettamente legata al partito repubblicano ed attira l’attenzione di altri utenti della rete, di diverso schieramento politico, ma anche di emittenti e testate giornalistiche. A questo punto si sono sviluppati tre flussi di comunicazione attorno all’evento: 1. Il primo è diretto al manager della compagnia di autobus identificata attraverso le foto postate da Tucker: il manager inizia a ricevere mail e telefonate in cui vengono chieste spiegazioni riguardo la vicenda. 2. Interesse dei media tradizionali: un reporter locale della FOX TV chiede un’intervista per un servizio televisivo allo stesso manager. 3. I social media: la diffusione dell’informazione cresce attraverso Facebook (tramite il repost della pagina Right Wing News), sino ad arrivare a blog come Gateway Pundit, che si occupano di smantellare le bufale che circolano online. A questo punto, il manager della società si premura di rispondere a tutte le mail ricevute ed accetta la richiesta di intervista. Finalmente, si scopre ciò che era effettivamente successo: gli autobus visti da Tucker erano lì per trasportare i partecipanti della convention nazionale organizzata dalla Tableau Software della sede di Austin. Infatti, proprio quel giorno la società aveva organizzato la propria convention aziendale ed aveva raccolto nella casa madre i propri lavoratori di tutto il Texas. Si trattava di un evento privato, di cui chiaramente non era stata fatta notizia online e, anche se fosse, difficilmente il motore di ricerca avrebbe restituito l’evento aziendale tra i primi risultati di ricerca di Tucker (che non era a conoscenza della compagnia). La rivelazione viene ribadita anche attraverso l’intervista pubblicata sul sito web di FOX News, un portale locale che raggiunge un pubblico circoscritto. Contemporaneamente, anche il Gateway Pundit pubblica sulla propria pagina la spiegazione dell’inaffidabilità della notizia, allegando anche l’intervista della Fox. Anche quest’attività, però, non raggiunge tutti. L’articolo pubblicato dal blog viene condiviso 44.000 volte su Facebook – una cifra molto elevata ma comunque inferiore rispetto alle condivisioni che il tweet originale aveva ormai raggiunto. Insomma, la circolazione esponenziale della fake news non riesce ad essere contrastata dalle operazioni di smentita, in quanto queste avevano toccato un pubblico diverso, oltre che ristretto. I seguaci repubblicani difficilmente sarebbero andati a cercare delle prove che confutassero le proprie ipotesi, che, appunto, sostenevano accanitamente. In pratica, chi aveva letto le smentite non aveva letto il tweet e viceversa, in quanto viaggiavano su canali (fisici ma soprattutto ideologici) diversi. 11 NOVEMBRE In seguito a questi sviluppi, solo dopo due giorni dall’apparizione dei tweet, i flussi divergono e sviluppano processi di circolazione diversi, che tra loro non si toccano: • Il tweet originale (ed anche nella versione composita) continua a diffondersi i vari social media in cui era apparso. • La comunicazione dei media continua con interviste ad alcuni dei protagonisti della vicenda (come il manager di Tableau Software), diffuse attraverso emittenti locali o siti web di quotidiani locali. Viaggiano su canali diversi rispetto a quelli che tocca il tweet originale – la sovrapposizione dei due target rimane esiguo. • Tucker e alcuni siti di confutazione di bufale online, allarmati dal tumulto creato, pubblicano delle rettifiche online per smentire la sua interpretazione della vicenda. S. PROCOPIO 51 A tal proposito, Tucker condivide attraverso Twitter un link al proprio blog in cui descriveva come si erano svolti realmente i fatti. Poi, attraverso un lavoro di post-produzione, posta il suo tweet originale con sovrapposta la parola FALSO per arginarne la circolazione. Questo tweet però, ha una diffusione più ristretta e riceve solo 27 retweets e 25 likes: i riflettori ormai si erano spostati dal giovane texano, che era tornato a scrivere per il suo pubblico di 40 followers. Come detto prima, ormai i margini di sovrapposizione del target di chi aveva visto la notizia circolare e di chi aveva letto gli interventi di Tucker, delle emittenti o del blog Gateway Pundit, ecc. sono completamente diversi. Il tentativo di ‘ritrattazione’ non centra il bersaglio ed il tweet continua ad essere diffuso attraverso le principali pagine dei conservatori. Addirittura, mentre il tweet viaggia, è soggetto ad ulteriori rielaborazioni (titolo, contenuti) che ne cambiano la forma. Ad esempio, all’interno di Right Wing News, viene pubblicato un articolo attraverso un link esterno dal sito I Have The Truth, racconta una vicenda lontanissima dal tweet di partenza, che calca eccessivamente la mano sulla violenza. Secondo questa fonte, i supporter democratici della Clinton che non solo avrebbero manifestato, ma avrebbero creato rivolte, bruciato oggetti per le strade e molto altro ancora. Si tratta di una vera e propria mina vagante per chi non si era mai imbattuto nel tweet originale e legge per la prima volta questo articolo. Il tentativo di rimediare da parte di Tucker fallisce: alla fine, la diffusione del tweet originale, raggiunge i 16.000 retweet e continua anche in seguito alla pubblicazione della confutazione dell’informazione da parte di un altro sito di debunking: Snoper (condivisa solo 5.800 volte). 12 NOVEMBRE Tucker cancella il suo tweet. Alle spalle del case history, non c’è una notizia falsa costruita apposta: Tucker non è un produttore di fake news e non vuole influenzare l’opinione pubblica, così come la maggior parte di coloro che avevano ripreso questa notizia (Reddit, Free Republic, o condivisioni su Facebook). Tutto è partito dall’espressione di un’opinione personale, che ha scaturito un meccanismo che è andato a confermare idee ed opinioni già espresse in alcune piattaforme. E proprio questo meccanismo le aveva permesso di diventare immediatamente vera, perché confermava il pregiudizio che queste persone avevano già in mente – si parla di pregiudizio di conferma: un’interpretazione che conferma qualcosa di sentito dire, di cui è colpevole anche lo stesso Tucker, che ha collegato il fatto dei pullman alle manifestazioni. Questo esempio dimostra che all’interno delle piattaforme esistono meccanismi che contribuiscono alla rapida diffusione di fake news basate su un presupposto forzato: l’improvvisa visibilità, l’effetto di veridizione delle immagini, e l’apparente esaustività delle ricerche in rete. Tucker aveva effettuato un lavoro a sua insaputa giornalistico e di reporting diffuso a cui si somma la totale affidabilità che lo stesso aveva attribuito a Google attraverso un meccanismo cognitivo per cui i primi risultati, gerarchizzati sulla base dei propri interessi, sono considerati come una restituzione dell’universo mondo nella sua complessità e totalità; cui si aggiunge infine l’interazione tra il mondo social e quello dell’informazione. S. PROCOPIO 52 Questa vicenda mette in luce tre fenomeni tipici della comunicazione in rete: 1. FLUSSI DI CONDIVISIONE 2. OMOFILIA DELLE RETI 3. LOGICHE DI CREDIBILITÀ 1. FLUSSI DI COMUNICAZIONE A CASCATA All’interno delle piattaforme social, soprattutto su Facebook, esistono dei cosiddetti flussi di comunicazione a cascata. È proprio questo fenomeno che ha determinato la diffusione esponenziale del tweet di Tucker, attraverso ben 350.00 attività di sharing. Il nome si basa sull’idea che esistano tanti flussi che alimentano la cascata generale e che questo tipo di notizie arrivano agli utenti delle piattaforme apparentemente in tante forme diverse. Alcune di queste fonti sono legate tra loro da fonti interdipendenti: i membri del gruppo su Reddit, per esempio, sono anche membri del forum Free Republic e hanno una pagina personale su Facebook – un solo utente riceve la stessa notizia proveniente da fonti diverse. L’utente è più portato a ritenere queste informazioni come vere, dapprima perché riproposte su diversi social a lui noti e, in secondo luogo, perché pubblicate da profili che lui ritiene affidabili in quanto li segue su queste piattaforme. A queste si aggiungono fonte non interdipendenti, legate dalle attività di social sharing da parte degli utenti le cui bacheche sono state raggiunte da post (o tweet) condivisi da profili e pagine differenti, oppure da amici. Anche in questo caso si crea uno stesso effetto di veridizione e di comunicazione a cascata, perché un utente social è raggiunto dalla stessa notizia da una quantità di fonti più o meno ufficiali, apparentemente diverse (e che per questo ne rafforzano la credibilità) ma che, in realtà, si diffondono a partire da un unico fulcro. Infatti. i fenomeni di cascata all’interno delle reti sociali si attivano quando la condivisione avviene a partire dall’osservazione delle attività degli amici connessi di cui vengono ulteriormente distribuiti i contenuti. Ogni utente contribuisce e diventa potenziatore del meccanismo attraverso la condivisione di un post che riteniamo affidabile a partire dall’insistenza di altri amici connessi. Questo è un ulteriore aspetto che lo rende difficile da arrestare. Gli effetti a cascata sono attivati nei social media da contenuti pubblicamente visibili (per esempio nelle bacheche) che vengono introdotti in una particolare rete sociale da diverse fonti non connesse tra loro. Ciò genera l’effetto di verità. Diversi soggetti di cui l’utente non vede una connessione apparente, stanno raccontando una stessa storia su diversi social. Su Facebook ed in generale nei social media, l’informazione può diffondersi attraverso una sovrapposizione su larga scala di brevi catene di condivisione che raggiungono l’utente in modo simultaneo: un utente vede condiviso un post su diverse piattaforme. Si tratta di un turbinio di catene, tutte iniziate da diverse persone che agiscono indipendentemente, ma che spesso convergono su un gruppo di amici e conoscenti. L’utente che fa parte di questo gruppo, le percepisce come comunicazioni indipendenti ma allo stesso tempo si sente convinto della verità di queste catene. La diffusione attraverso i social media può avvenire anche a distanza dalla fonte originaria delle informazioni (ovvero soggetti che sono lontani dalla fonte originaria e che ri-condividono contenuti condivisi da altri). In alcuni casi, la ri-condivisione avviene accreditando la fonte che ha condiviso il contenuto, in altri casi no. Nel primo caso si condivide direttamente il post del contatto attraverso cui si è venuti a conoscenza del contenuto; mentre nel secondo caso, la fonte non viene accreditata e si recupera direttamente una fonte più lontana (un sito, un forum o un blog) anche se non si tratta necessariamente di quella originale. Queste dinamiche rendono molto difficile S. PROCOPIO 55 3. Creazioni di reti simili e concatenate tra loro da pregiudizi di conferma, che tendono a fidarsi le une delle altre sulla base della loro somiglianza ed a condividere contenuti che confermino i loro giudizi. 3. LOGICHE DI CREDIBILITÀ All’interno delle piattaforme social vengono privilegiate logiche di credibilità differenti da quelle applicate nella vita offline. La fiducia è intesa come una precondizione della comunicazione ed è definita come principio di carità o principio di benevolenza interpretativa. Si tratta di un accordo portante su cui si basa ogni forma e relazione comunicativa, per cui l’utente apre la fiducia ed è caritatevole e benevolente nei confronti di chi entra in comunicazione con lui. Questo atteggiamento dipende da diversi aspetti ed elementi fondanti dell’atto comunicativo, presenti su piani differenti e messi in gioco dalla relazione e la comunicazione sulle piattaforme social in quanto base prerazionale della vita sociale: - Apertura alla comprensione: l’utente può confidare che l’altro possa ascoltarlo e capirlo e che l’altro abbia qualcosa di significativo da comunicarmi. - Autenticità dei soggetti in gioco: fiducia reciproca nel fatto che l’altro sia come appare e sia qual che dice e si mostra di essere. - Veridicità dello scambio, contenuti ed identità: confidare che l’altro creda alla verità di quello che dico ed alla verità della mia ‘faccia’. - fiducia reciproca nel fatto che l’altro non manipolerà la comunicazione; sarà cooperativo e rispetterà gli impegni; sarà sincero su di sé e sul mondo. La fiducia intesa come elemento costitutivo si costruisce sulla base della credibilità reciproca tra i soggetti che interagiscono, un elemento che attiva, sostiene e consolida la dinamica di fiducia. La credibilità si compone di due aspetti: credibilità proiettata (ciò che faccio per rendermi credibile) e credibilità percepita (ciò che gli altri fanno per riconoscermi credibile), basate su meccanismi di concessione di fiducia e riconoscimento di credibilità. Fiducia e credibilità riguardano l’intero sistema sociale: sia relazioni interpersonali, che tra soggetti più articolati (fonti/media e pubblico). Come si sviluppa la fiducia nei social media e quali sono gli elementi che la alimentano? 1. La MISURA DELLA CERTEZZA che un soggetto o più soggetti si comporteranno nel modo previsto: la fiducia è un aspetto preliminare e fondamentale nell’ambito dei processi di comunicazione in rete. Gli atti di comunicazione implicano che l’utente attribuisca fiducia alle persone con cui l’utente comunica, ma anche ai media, perciò egli condividerà un contenuto che ritiene degno di fiducia. PREMESSA: nel 2012, Quandt nota che all’interno della co-evoluzione tra modelli di comunicazione attivi in un contesto sociale e fiducia si sono creati e modificati diversi assetti. Il nuovo modello favorisce una fiducia locale (sociale, territoriale o culturale) rispetto alla fiducia più ‘astratta’ delle regole a cui si attiene l’informazione di servizio (seppur rimanga comunque utile ed in gran ripresa durante la pandemia) – complici la frammentazione della società e lo sviluppo delle piattaforme social. È caratterizzato dalla progressiva riduzione della cosiddetta fiducia sistemica nei confronti dei media tradizionali e nel funzionamento delle organizzazioni ed istituzioni nelle loro regole: un’affidabilità propria del sistema che sinora gli era sempre stata riconosciuta per la rappresentazione credibile ed affidabile ricondotta ai meccanismi propri del lavoro degli operatori dell’informazione (accesso a fonti primarie, certe e verificate). Con il tempo, i media tradizionali S. PROCOPIO 56 hanno perso il proprio credito (in termini di fiducia) e sempre più persone credono che vengano fornite narrazioni di parte, orientate a sostenere specifiche posizioni (politiche per esempio), piuttosto che narrazioni credibili ed oggettivi. Al contrario, vi è un incremento nella fiducia nelle reti e nelle fonti comunitarie, pensate per audience specifiche che consentono un dialogo ed un coinvolgimento diretto degli utenti. Sono fonti comunitarie tutte le reti sociali che rappresentano comunità locali o specifici punti di vista in cui circolano le informazioni. In questo caso, viene attribuita una fiducia interpersonale basata sulla rete di relazioni reciproche e le sue qualità. 2. FIDUCIA INTERPERSONALE, un fenomeno generale basato sulla qualità della rete di relazioni reciproche che si attivano in rete, costituite da persone che si riconoscono come simili; è sostenuta nei social media dall’intensità delle relazioni reciproche, cooperative e regolari che attivano meccanismi che costruiscono una fiducia reciproca: like reciproci, l’attenzione costante, ecc. Quest’attività di relazione promuove un senso di familiarità diffusa, che potenzia ulteriormente la dimensione di fiducia reciproca. Esistono tre grandi tipologie di credibilità su cui si reggono i meccanismi di fiducia: 1. COGNITIVA: dimensione per cui sulla base delle relazioni e della comunicazione mediata con il soggetto, lo si può definire competente: si crede in chi parla perché è competente e gli vengono riconosciute conoscenze e competenze specifiche in uno specifico settore che lo rendono un esperto. Ospitare un esperto è un modo attraverso cui fonti di informazione e mezzi di comunicazione si rendono credibili sul piano cognitivo. Si tratta di un atto di fiducia su base razionale: gli vengono accordate perciò credenza e fiducia razionale, ovvero basata anche su costi e benefici. Ma se diversi esperti non sono in accordo tra loro, la base fondamentale della credibilità cognitiva vacilla e crea una situazione più complessa che ci spinge a ricercare ed attingere ad ulteriori fonti. Talvolta, poi, la richiesta supera la disponibilità e porta alla presenza di esperti e personaggi mediamente esperti, il che crea meccanismi confusivi per la nostra fiducia cognitiva. 2. NORMATIVA: sulla base delle relazioni con il soggetto, lo si può definire espressione di valori o status desiderabili – la fiducia basata sulla stima e il rispetto, e quindi espressione di valori vicini ai nostri e status desiderabile (esperto più quotato). Si crede in chi parla perché incarna valori che si ritengono desiderabili: il “modello ideale” (ad esempio, preferire un medico che piace di più, piuttosto che uno dalla credibilità scientifica più ampia). È credibile per l’insieme di valori che rappresenta: è la figura del leader carismatico, che, per via del suo carisma riesce ad attrarci verso un insieme di valori ideali che ci fanno sentire a lui prossimi e che lo fanno apparire credibile anche su aspetti in cui non è oggettivamente competente. Quando cala la rilevanza della credibilità cognitiva, ci orientiamo a partire dalla credibilità normativa, in cui la dimensione della competenza viene messa da parte in favore di diversi meccanismi. 3. AFFETTIVA: le relazioni con cui il soggetto hanno permesso lo sviluppo di una relazione affettiva che creano una fiducia basata sull’identificazione e sulla familiarità. Si crede in chi parla perché condivide con noi un rapporto affettivo, come un amico o un familiare. Si attiva quando anche i personaggi che rappresentano la credibilità normativa iniziano ad essere discordi da noi o vi sono contraddizioni e smentite rispetto a delle prese di posizione; o quando le tematiche vertono su vicende legate alla nostra vita direttamente personale. Non sempre le tre tipologie vengono attivate in riferimento ai giusti oggetti. Allo stesso tempo, all’interno delle piattaforme social esistono tipologie di credibilità che funzionano meglio rispetto ad altre, il che contribuisce alla creazione di meccanismi di scala o di ridistribuzione della S. PROCOPIO 57 credibilità. La credibilità cognitiva si trova in una posizione di difficoltà: è più complesso definire un soggetto come competente all’interno delle piattaforme, non già perché non vi siano esperti che comunicano all’interno delle piattaforme, ma per due ragioni principali: lontananza dalla fonte originaria e la presenza di molteplici livelli di comunicazione. Infatti, non sempre gli utenti hanno accesso ai contenuti direttamente dalla fonte primaria che perciò non è immediatamente identificabile; poi, anche gli esperti, nel momento in cui si collocano in relazione con gli altri all’interno dei social, sono esperti nell’ambito di una relazione di fiducia interpersonale. Ci affidiamo a loro per la quantità e la qualità delle relazioni ed il modo in cui si pongono in qualità di referenti di insieme di valori, e la loro credibilità passa in secondo piano. L’esperto entra nell’ambito di un’arena comunicativa completamente diversa: la diffusione unisce i racconti della vita personale dell’esperto ad elementi di vicinanza e familiarità percepiti dagli utenti, il che rende più difficile un riconoscimento razionale in termini di fiducia cognitiva. Seppur i social oggi sono un vero e proprio media, che ospita istituzioni, enti ufficiali, aziende ed emittenti televisive il modello comunicativo rimane quello interpersonale, in cui la rete di relazioni è tendenzialmente paritetica. Dunque, all’interno delle piattaforme, le radici di credibilità dominanti sono la radice normativa (particolarmente sostenuta dall’omofilia delle reti) e quella affettiva (sostenuta dalla frequenza delle relazioni mediate che si instaurano soprattutto all’interno delle reti omofile che le sostengono). Il meccanismo di adesione affettiva e valoriale e l’unione di fatti ed opinioni che anima la rete è strettamente legata ed applicata anche al processo di attribuzione, costruzione e riconoscimento di verità e post verità (un’associazione già vista nel case history di Austin). LA PROPAGAZIONE DELLA CREDIBILITÀ La propagazione della credibilità all’interno dei social network è stata descritta come simile al passaparola: passa da un soggetto ed un altro attraverso contatti interpersonali. Per questo, si dice che la credibilità si propaga ed è sostenuta attraverso i meccanismi di condivisione. La credibilità si basa anche sulle forme di accreditamento con cui un individuo proietta la sua credibilità su di un altro: parte della credibilità di un amico viene trasferita su di un suo altro amico. Nei social media, ciò dipende dal cosiddetto FOAF (friend of a friend network), attraverso cui la credibilità si propaga verso altri utenti che non si conoscono sulla base del numero di amici che hanno già attribuito loro credibilità e fiducia. Un utente può attribuire fiducia e credibilità ad un soggetto che non è direttamente connesso con lui, sulla base delle raccomandazioni di diverse altre catene di amici. La fiducia è composta combinando diverse catene fiduciarie, che ad ogni passaggio si caricano della credibilità di chi condivide un contenuto, riconosciuta anche da chi, a sua volta, lo ricondivide. FIDUCIA E ATTUALE SISTEMA MEDIALE Il sistema dei media tradizionali agisce seguendo routine e automatismi affidabili, il che ha portato alla creazione di una fiducia sistemica condivisa da parte del pubblico. Con il tempo, la fiducia attribuita verso il sistema dei media ha virato progressivamente verso una credibilità cognitiva e normativa personale: dalla fiducia nel sistema con cui vengono prodotte informazioni e notizie, alla credibilità della fonte, il singolo soggetto che produce la notizia in quanto esperto e coerente con il proprio ruolo ed incarna un set di valori. Il passaggio verso questa fase di personalizzazione della fiducia comporta anche il passaggio da una fiducia di radice cognitiva ad una fiducia di radice normativa: mi fido perché so che l’inviato ha un contatto diretto con la fonte. Le piattaforme social hanno portato un carico sulla credibilità affettiva personale, basata sull’affettività, sull’omologia e sulla credibilità del mediatore (ad esempio di chi condivide una notizia perché con lui si ha una S. PROCOPIO 60 velocità, aumento del coinvolgimento e diminuzione delle frequenze di rimbalzo. Le organizzazioni giornalistiche consegnano i loro contenuti alle piattaforme dove possono essere consumati e connessi con le inserzioni. Sono caratterizzati da formati multimediali nativi: sono veloci e di qualità, nascondono la presenza dell’editore dietro la notizia, uniformandola agli altri contenuti digitali. Sono un programma di hosting che consente agli editori di estendere le campagne pubblicitarie o di attivarne di specifiche. Riduce il controllo degli editori sul rapporto con l’audience. Sono vantaggiosi per le piattaforme perché mantengono gli utenti sulle stesse e permettono loro di controllarne i dati. FACEBOOK NEWS: sezione presente nell’interfaccia mobile del social network introdotta negli USA, che diffonde articoli di stampa e di altri media tradizionali. Le notizie sono scelte in base a ciò che gli utenti leggono e condividono: il flusso è dunque personalizzabile. Le notizie del giorno definiscono il sommario della giornata e sono invece selezionate da un team di giornalisti assunto dalla compagnia. I tre meccanismi in gioco sono dunque algoritmi, personalizzazione e fattore umano. Gli editori aderiscono a Facebook news ed i loro contenuti entrano nel flusso – sono interessati ad approdare su questa piattaforma poiché guadagnano sulla base delle visite o della pubblicità presente sulla piattaforma. A differenza degli Instant Articles, che non portano l’utente sul sito dell’editore, Facebook News permette di accedervi e di contare i dati relativi ai lettori. Ciò permette ai suoi inserzionisti pubblicitari di contare la quantità di utenti che un post consente di raggiungere, e con un’ampia audience, la testata può far pagare le pubblicità a dei prezzi più elevati. Contemporaneamente, Facebook offre compensi per le testate che riscuotono il maggior successo perché chiaramente ciò comporta un guadagno importante per la piattaforma. Gli introiti dell’inserzione venduta nell’homepage di Facebook News sono divisi in proporzione tra Facebook e gli editori. Strategie di network e strategie native Le strategie di network: le piattaforme social consentono la circolazione a link di contenuti che reindirizzano le audience al sito web dell’editore. Facebook ospita post scritti dalle testate giornalistiche che contengono link che rimandano l’audience alle piattaforme. Le strategie native, come gli Instant Articles e la sezione Discovery su Snapchat, sono contenuti ospitati dalle piattaforme social dall’editore e li connettono alla pubblicità. La datificazione delle news I dati guidano la circolazione e la produzione delle news. La possibilità di analizzare le capacità di riscontro delle singole notizie, la loro viralità, l’efficacia dei titoli attraverso i dati disponibili e forniti dalle piattaforme generano una produzione data-driven dell’informazione, creata a partire dai contenuti e la loro efficacia in rete. TRATTAMENTO DELLA CIRCOLAZIONE DEI CONTENUTI All’interno delle piattaforme e social media, la circolazione delle notizie è sempre più tracciata (pubblico, hot topic). Il monitoraggio può avvenire attraverso sistemi, tra cui SISTEMI NON SPECIFICI, che raccolgono dati relativi alle molteplici attività svolte dagli utenti nelle piattaforme ed alle informazioni con cui gli utenti hanno maggiori interazioni. S. PROCOPIO 61 - Panel meterizzati: grandi società di ricerca di mercato (come nielsen) svolgono survey richiedendo ad un campione rappresentativo (panel) non vastissimo di installare un piccolo software che registri le proprie attività – un esempio è auditel, che registra tutte le attività svolte dagli utenti a partire dalle quali si ricavano dati importanti. - Dati che provengono dai web server: strumenti come google analytics registra i dati relativi alle attività degli utenti, che consente il tracciamento di come circolano le informazioni all’interno della rete. - Dati che provengono dalle piattaforme relativi all’engagement del pubblico: restituiscono i dati relativi a like, share e commenti per ogni testata (facebook analytics). Si tratta di sistemi non pensati appositamente per le news, ma utilizzati anche da parte delle testate per il monitoraggio della circolazione delle notizie online. Oltre a questi sistemi, il tracciamento passa anche attraverso SISTEMI SPECIFICI: - Pre-test di titoli e formati - Identificare la viralità - Tracciare la diffusione delle news nelle diverse piattaforme Sono sempre più utilizzati dalle testate per produrre contenuti sempre più efficaci per le piattaforme social. La capacità di tracciamento influisce sulle modalità di produzione delle news. PRODUZIONE DATA-DRIVEN DELL’INFORMAZIONE I processi decisionali e la produzione subiscono l’influenza della pressione a produrre contenuti che sollecitino l’engagement degli utenti. Soprattutto le testate tradizionali privilegiano le richieste degli utenti, proponendo una selezione dei contenuti più apprezzati a partire da dati quantificabili, e non basata su un’autonoma valutazione giornalistica. Vengono premiati i contenuti che suscitano una maggiore adesione emotiva e dibattito. A partire da questo meccanismo sono nate apposite testate data driven, con una copertura giornalistica basata sul modello data driven, gerarchizzando le proprie homepage e scegliendo collaboratori che creano produzioni suscitano il maggior engagement (BuzzFeed, Business Insider). Questo modello editoriale genera successo ma non garantisce una copertura informativa completa (temi diversi ed internazionali) come quella dei progetti editoriali più tradizionali, poiché raccoglie contenuti funzionali alla logica delle piattaforme. PUBBLICITÀ & NATIVE ADVERTISING Come abbiamo visto, con l’avvento delle piattaforme il sistema pubblicitario è stato disaggregato, apportando importanti modifiche soprattutto sul piano economico. Il rapporto tra informazione e pubblicità nasce in uno momento di scarse risorse informative, in cui vi sono pochi canali e testate giornalistiche/radiotelevisive disponibili con cui comunicare e raccontare i prodotti. Dunque, accedere a questi supporti esclusivi permette ai brand di raggiungere platee di consumatori molto elevate – di conseguenza, il costo è molto alto. Ma l’odierno esponenziale incremento dei canali attraverso cui si possono raggiungere gli utenti è uno svantaggio dal punto di vista della vendita di spazi pubblicitari e di prezzi sono crollati. La presenza di un solo canale attraverso cui raggiungere molti utenti, questo costerà molto, come nel caso della testata giornalistica a stampa o televisiva. Con molti canali attraverso cui raggiungere gli stessi utenti, ciascun canale sarà meno costoso, come nel caso delle testate giornalistiche ed i canali digitali. La relazione tra contenuti, S. PROCOPIO 62 pubblico e pubblicità online genera meno ricavi di quanto non avviene offline ed è più difficile quantificare il costo di ogni singola inserzione in modo accurato come prima. L’acquisto delle copie non è sufficiente per garantire una produzione di qualità, perciò questi introiti devono essere accompagnati dalla pubblicazione di pubblicità anche all’interno di prodotti informativi. Una comunicazione di prodotto corretta e chiaramente identificata come pubblicità è pur sempre informativa. Per rispondere al bisogno di sostegno economico delle testate sono nate forme di pubblicità innovative, che stabiliscono un rapporto diverso tra contenuto ed advertising e perciò richiedono una diversa attenzione. Si tratta del NATIVE ADVERTISING, che fa riferimento ad annunci a pagamento coerenti con il contenuto della pagina, con il design ed il comportamento della piattaforma in cui sono ospitati, in modo che l’utente li percepisca semplicemente come parte di essa. Non interrompono la fruizione dei contenuti con inserti completamente distinti e sono coerenti con la struttura ed i temi della pagina. È caratterizzato da diversi elementi: - VALUE: il native advertising aggiunge valore all’esperienza dell’utente nella host platform in ragione della sua coerenza con la pagina, e non ne disturba la lettura; - INTEGRATION: è presentato seguendo lo stile del contenuto editoriale organico; - TRANSPARENCY: l’ad deve essere contrassegnato chiaramente come tale, così che gli utenti non confondano erroneamente sezioni di pubblicità e di testo; - RELEVANCE: il contenuto è contestualmente rilevante al contenuto editoriale in cui si colloca ed è pertinente al brand advertising. Nel caso del native advertising, si dice che la pubblicità è calata nel contesto dell’esperienza del fruitore. Il metodo pubblicitario è contestuale, dove la pubblicità è parte dell’esperienza del fruitore, e non il frutto di campagne di interruption marketing. Nasce per ovviare il tentativo costante di sfuggire alla pubblicità, la cosiddetta banner blindness: in presenza di pubblicità troppo interruptive, l’utente tende a scappare dall’inserzione – ciò è meno consueto davanti a pubblicità relative a ciò che egli sta ricercando e dunque è nel suo interesse. Con il native advertising contenuto ed advertising si adattano reciprocamente: ibrida contenuti ed annunci pubblicitari, che li rende compatibili senza perdere la distinzione tra i due. Il native advertising porta con sé importanti vantaggi: - Aumenta la reach del messaggio di fronte alla banner blindness attribuita ad i contenuti dallo stampo pubblicitario. - Creare engagement con l’utente, che è stimolato nella lettura di contenuti relativi. - Creare forme di continuous campaign: instaurare una relazione e conversazione continua con gli utenti a differenza delle campagne tradizionali di interruzione. Il rapporto tra testate giornalistiche e contenuti pubblicitari sta evolvendo verso forme più pertinenti al mondo giornalistico rispetto alla classica pubblicità interruptive. Le campagne possono avere diverse relazioni con il contenuto, ma in tutti i casi si tratta di contenuti brandizzati (e quindi non informativi e/o giornalistici) e sponsorizzati da un’azienda. Di preciso, il contenuto brandizzato può parlare di temi legati al brand, il che permette a quest’ultimo di presidiare temi legati al suo business ed al tempo stesso dare al lettore un contenuto rilevante. Poi, il contenuto brandizzato può parlare di temi a cui il brand si vuole legare: permette al brand di presidiare temi di interesse pubblico che arricchiscono la sua identità. S. PROCOPIO 65 panoramica di notizie pubblicate da fonti riconosciute come affidabili. Il team dunque non si occupa della stesura delle singole notizie, ma della content curation, con un rimando alle fonti. Anche piattaforme esterne al mondo Facebook si sono attivate. Ad esempio, TIKTOK decide inizialmente di rivolgersi ai creatori di contenuti, spronandoli a verificare i contenuti pubblicati sulla piattaforma relativi al virus, allegando i link necessari dei siti d’informazione ufficiali per la consultazione di siti e fonti attendibili. DOPO UN MESE: TikTok inserisce un proprio prodotto editoriale, definito come uno strumento di supporto per aiutare la community a rimanere protetta ed informata. Si tratta di una pagina informativa che propone nozioni attendibili provenienti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), tra le quali si trovano risposte alle domande più comuni e consigli su come proteggersi, ma anche smentite su falsi miti relativi al virus. Si comporta da riaggregatore, ma proponendo un formato è più dinamico ed adatto al pubblico giovane. Si trovano raccomandazioni fornite dal Ministero della Salute su come evitare un’ulteriore diffusione del virus, una serie di pratiche FAQ ed una pagina contenente tutti i numeri regionali da cui contattare in caso di bisogno. È presente solo in Italia. Anche qui, in risposta alla chiave di ricerca Covid-19 vengono mostrati in prima linea video ed account verificati, che forniscono informazioni affidabili e provenienti da fonti attendibili (CICR, WHO). Anche PINTEREST è intervenuta in modo analogo: a febbraio, sollecita i propri creators alla condivisione responsabile, evitando la condivisione di info mediche false o dannose e segnalando i contenuti che violano le linee guida della community. DOPO UN MESE: non produce contenuti, ma continua a favorire pin provenienti da fonti istituzionali in risposta alle chiavi di ricerca relative al virus. Pinterest agisce in modo più deciso rispetto alle altre piattaforme, limitando i risultati di ricerca ai Pin provenienti da organizzazioni sanitarie riconosciute a livello internazionale. Nel primo mese di pandemia, tutti i social media prendono parole in nome di due obiettivi comuni: orientare i loro utenti verso un’informazione affidabile (concetto di ufficialità) ed intervenire sul funzionamento degli algoritmi in modo da rendere più visibili le fonti affidabili. Alla fine della prima ondata, i social agiscono come fonti informative originali, in grado di proporre aggregatori editoriali propri. A partire da marzo, le piattaforme sviluppano una propria offerta editoriale sul tema COVID-19: viene proposta una selezione ed aggregazione di contenuti che provengono da fonti istituzionali (Ministero della salute, OMS, ISS) o da testate giornalistiche (quotidiani, canali all news) ritenute ufficiali. Si tratta di un cambiamento strutturale che investe la natura della piattaforma social ed il loro rapporto con il contenuto da cui non si potrà facilmente tornare indietro. In generale, vediamo cadere per la prima volta la seconda definizione associata alle piattaforme social: le piattaforme social regolano la visualizzazione dei contenuti E ANCHE la loro natura. Viene smentita definitivamente la loro identità di mere tech company, e ne viene riconosciuta la responsabilità: la loro è un’identità di soggetti aggregatori, che agiscono nel mondo dell’informazione e nella sfera pubblica, orientando la formazione di opinioni e comportamenti concreti, agendo e portando le proprie logiche a livello internazionale. S. PROCOPIO 66 Le campagne social delle istituzioni Enti ufficiali come il Ministero della Salute, l’ISS, il Dipartimento di protezione Civile, CICR e Presidenza del Consiglio dei ministri hanno usato Facebook e Instagram come strumento per le campagne di sensibilizzazione a tema Covid-19. Si tratta di micro-campagne della durata massima di 3 o 4 settimane, spesso condivise e rilanciate tra diverse istituzioni, che costruiscono un racconto per grandi fasi dell’epidemia. FINE GENNAIO: IL VIAGGIO In questa prima fase, vennero istituite campagne rivolte al target dei viaggiatori, che devono adottare comportamenti per la quarantena, i viaggi all’estero ed i sintomi. Per tutto il mese di gennaio, l’epidemia resta un problema di chi vive in prima persona la globalizzazione, ovvero i frequenti viaggi e scambi con l’estero. FEBBRAIO: IL PROTOCOLLO Le campagne mirano ad informare sulle procedure da seguire ed i numeri da chiamare. Sostengono la relazione tra malato e l’istituzione sanitaria ed attivano i cittadini sul tema della prevenzione. FEBBRAIO/MARZO: LA CONOSCENZA Le campagne mirano a spiegare le caratteristiche del virus, con un focus sulle domande frequenti ed il debunking, per segnalare e smentire le fake news, spiegandone le ragioni. Sono portate avanti trasversalmente e spesso attraverso partnership (WHO feat. Ministero della Salute). MARZO: LA PROTEZIONE Le campagne sottolineano l’importanza di restare a casa per la nostra protezione: #iorestoacasa, #vogliamocibene. Viene sottolineata l’importanza della solidarietà: #besafe, #besmart; il CICR, ad esempio, condivide campagne per la promozione dei comportamenti da seguire dedicate sia a chi ha una dimora o viceversa. APRILE: LA QUARANTENA & DEBUNKING Le campagne mettono a tema l’esperienza della quarantena ed offrono istruzioni su come gestire la permanenza in casa (corretta alimentazione) o su come cercare sostegno psicologico. Vengono istituite campagne che mirano a smentire la fake news che continuano a circolare, tenendo conto delle nuove fake news e domande sorte durante il periodo della quarantena. Attraverso le piattaforme social, le campagne istituzionali hanno contribuito alla costruzione del racconto istituzionale dell’evoluzione della pandemia rivolto ai cittadini. Piattaforme, social, istituzioni e media hanno interagito in modo quasi inedito nello sforzo di arginare le fake news. Il Covid-19 è stato una palestra di comunicazione tra cittadini ed istituzioni attraverso chiavi responsabilizzanti, solidaristiche e protettive. Lo sviluppo della pandemia ha aperto lo sviluppo delle piattaforme, posizionandole ed accrescendo la loro natura editoriale ed un rapporto tra istituzioni, piattaforme e cittadini