Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Arte contemporanea: le ricerche internazionali dalla fine degli anni '50 a oggi. a cura di Francesco Poli, Sintesi del corso di Arte

Riassunto completo del libro, a computer. Il libro è una raccolta di saggi di diversi autori, ognuno riferito a un periodo/movimento/corrente artistica dalla nascita della pop art ad oggi.

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

In vendita dal 30/06/2017

francibarti
francibarti 🇮🇹

4.7

(6)

11 documenti

1 / 48

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Arte contemporanea: le ricerche internazionali dalla fine degli anni '50 a oggi. a cura di Francesco Poli e più Sintesi del corso in PDF di Arte solo su Docsity! Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a oggi a cura di Francesco Poli Europa: arte contemporanea = dagli impressionisti a oggi Stati Uniti: modern art = impressionisti fino a seconda guerra mondiale, contemporary art = dagli anni quaranta a oggi (punto di partenza è l’espressionismo astratto, ovvero il primo movimento d’avanguardia d’oltre oceano che si impone internazionalmente). La vera svolta inizia sia in Europa che in America nella seconda metà degli anni 50, sviluppandosi nel successivo decennio. Questa svolta va verso un definitivo sfondamento dei confini tradizionali della pittura e della scultura, con un coinvolgimento concreto della realtà oggettuale quotidiana, un’apertura provocatoria della cultura d’élite all’universo della cultura di massa. Nuove tecniche, nuovi materiali, nuove procedure operative. Come punti di riferimento essenziali: esperienze estetiche avvenute nelle avanguardie storiche (vedi ad esempio Marcel Duchamp). NUOVI REALISMI E POP ART[S] Con i giovani artisti del dopoguerra si inaugura una nuova fase dell’arte, l’arte contemporanea, che ha come obbiettivo quello di condurre l’arte alla riconquista della vita e del reale. Graffiti, art brut, la caricatura, il fumetto, i manifesti, la pubblicità, sono tutti prelievi diretti su una realtà popolare. Negli USA si sviluppa la cultura underground e si propaga velocemente. Anche le novità nel campo musicale (rock and roll, pop) contribuiscono a rendere popolare il modello anti-cultura e celebrano invece una cultura alternativa. Abolizione delle frontiere culturali e disciplinari, dimensione collettiva = nuova condizione di spirito. Nel post guerra diverse sono le condizioni economiche e sociali di Europa e Stati Uniti. Questi ultimi iniziano un’azione emancipatrice a favore di un’identità nazionale forte che modifica l’equilibrio culturale internazionale nel quale era stata l’Europa ad avere ruolo dominante. Poi, con la società dei consumi e il trionfo della meccanizzazione, si ristabilisce un contesto unificato: si impone una rivoluzione nel modo di vivere e nel paesaggio quotidiano = nuova sfida per gli artisti. Nell’ambito delle arti plastiche gli artisti si oppongono alla modernità rappresentata dall’astrazione, affrontando il reale e allontanandosi da qualsiasi posizione eroica o morale. Questo ottimismo contestatario è ciò che meglio caratterizza questo periodo. L’artista assume un ruolo sempre più anonimo e sempre più a diretto contatto con il pubblico; la dimensione antieroica culminerà soprattutto nelle arti visive. Contestando la modernità, gli artisti riattivano le avanguardie: Picasso (cubismo) e Duchamp (Dada) sono le due figure chiave. Gli artisti della nuova generazione oscillano tra questi due poli ritrovando il gusto per l’oggetto quotidiano, le tecniche del collage e dell’assemblage, del prelievo e della copia. Cercheranno ispirazione anche in altri movimenti, come il surrealismo e CoBrA. Da ciò nascono le due tendenze che si delineeranno sovrapponendosi durante la maggior parte degli anni sessanta: i nuovi realismi e le pop art(s). - I nuovi realismi: Nouveau rèalisme, neo-dada, junk art Il termine nouveaux rèalistes viene coniato nel 1960 dal critico d’arte francese Restany per designare un gruppo di artisti costituiti in movimento sotto questa sigla e con un loro manifesto; il termine verrà ripreso a New York nel 1962 per associarci artisti che fanno parte in realtà di differenti correnti di natura indefinita (coesistono le correnti neo-dada e le prime espressioni della cultura pop, no scuola o gruppo particolare). 1961: esposizione “arte dell’assemblage” al Moma, altro modo in cui chiamarono questi artisti. Questi artisti tra Europa e Stati Uniti contestavano i valori alla base dell’arte astratta, proponendo un’arte impegnata nel reale (attenzione al reale nelle sue componenti più ordinarie e anche svalorizzate): “nuovo realismo”. Nuova considerazione per il reale nutre il loro spirito di contestazione. - Le premesse: l’Independent Group Si è costituto a Londra nei primi anni 50, artisti e intellettuali che riflettevano in modo originale sulla nascente società dei consumi, sul nuovo paesaggio urbano, meccanizzazione e pubblicità. Immagini di massa proposte come modelli di creazione spontanea per artisti contemporanei. Definisco la pubblicità come la nuova arte popolare e su questa propongono la loro estetica del reale. Riflessione sperimentale sulla relazione tra arte e la produzione di massa. Nel 1956 esposizione “this is tomorrow” che prende la forma di un’opera d’arte collettiva e segna il culmine dei “padri della pop”. - I neo-dadaismi americani Negli Stati Uniti il ricorso al reale si afferma a fine anni 50. Già dall’inizio di questo decennio erano stati introdotti assemblage e collage con elementi presi a prestito dal quotidiano; erano state fatte esperienze che favorivano la dimensione collettiva e gli happening (es. John Cage ed esperienze condotte al Black Mountain College). L’artista è un ricettore nel quale la società imprime se stessa, l’artista è impresso dall’arte di cui è in grado di definire solo i vettori (non più la forma). Pittura e scultura si riducono a una combinazione di oggetti dettata dal caso, l’artista è sempre più passivo nell’elaborazione della creazione. Altra manifestazione del legame rivendicato tra vita e arte sono l’iconografia popolare in pieno sviluppo, il riavvicinamento tra pittura e arti rappresentative (Dine, Rauschenberg, Oldenburg) e l’uso di immagini recuperate. Ricorrendo ad un’iconografia da strada e da rotocalchi, quest’arte aderisce al mondo contemporaneo nelle sue manifestazioni più libere. Nelle tele la pittura (e quindi l’artista) viene mimetizzata, così la relazione con l’oggetto è immediata e primordiale. Scomparsa progressiva dell’artista = nuova definizione di pittura: il movimento pop, nel quale si riuniranno due filiazioni distinte, quella nata dai nouveaux rèalistes (superato di molto il concetto di figurazione in senso stretto) e quella più accademica degli artisti realisti americani degli anni 40 (costa ovest). - Il nuovo realismo europeo Quando nel 1960 Restany utilizza il termine nouveaux rèalistes, non fa altro che riconoscere pratiche che già avvenivano da anni, spesso a livello individuale; ora il potersi definire un movimento afferma la priorità innovatrice dello stesso. Le parole d’ordine intorno alle quali questi artisti si raggruppano sono supremazia dell’esperienza e rivendicazione del reale. L’attenzione per gli oggetti della vita quotidiana si sviluppa attraverso diversi procedimenti di appropriazione che costituiranno per ogni artista una sorta di firma (interesse critico in Arman che accumula oggetti banali ma anche maschere a gas, ironico in Spoerri che - Pop critico Contemporaneamente al trionfo della pop art, appaiono opere deviate e di derisione della stessa, dando il via ad una critica interna al repertorio delle immagini e alla neutralità ideologica di quest’arte. Queste manipolazioni appaiono nel senso di affermazioni politiche denunciatrici, ritrovando lo spirito dadaista dei fotomontaggi e la sovversione di immagini emblematiche. Questa reintroduzione dell’interpretazione all’interno dell’immagine segna la fine della pop art, che si esaurisce quindi nelle modulazioni che trasformano la sua natura. Il 1966 è il momento in cui raggiunge il suo pieno sviluppo ma anche quello in cui si indebolisce, in cui i principali artisti operano un ritorno su se stessi. L’impulso pop è terminato, al suo posto diversi movimenti da esso derivati reintroducono la narrazione e la critica al centro della pittura figurativa. I SITUAZIONISTI L’Internazionale Situazionista (IS) nasce nel luglio 1957. La storia della sua nascita è rintracciabile in un vocabolario di concetti, articolato poi in vero e proprio sistema. Il principale teorico dell’IS è Guy Debord, e in un suo testo sul cinema del 1952 appare per la prima volta la parola “situazione”. Lui è un esponente del lettrismo, dal cui si stacca per fondare l’Internazionale Lettrista (IL). È qui che nascono parole che saranno importanti per i situazionisti: urbanismo, psicogeografia, deriva, détournement. Per l’IL il campo d’azione è la città e le sue forme simboliche e concrete: architettura e urbanistica. L’urbanismo è il tentativo della loro modificazione nel presente, attuato attraverso delle pratiche di ricognizione dell’urbano. La psicogeografia è lo studio delle leggi e degli effetti dell’ambiente geografico sul comportamento affettivo degli individui. I lettristi prima e i situazionisti poi, scendono in strada come squadre di psicogeografi dotate di una tecnica (la deriva, che mostra affinità con la pratica del collage – la città, campo del suo esercizio, ne fornisce i materiali) destinata a una raccolta di risultati. Anche il détournement è una tecnica utilizzabile nell’immediato: si muove corrosivamente verso l’edificio linguistico, legittimando l’abusivo e libero utilizzo del corpus letterario e artistico dell’umanità, ai fini di propaganda di parte. Nei confronti della nozione di opera originale sottolinea l’indifferenza per un originale svuotato di senso. Questa tecnica si colloca tranquillamente nella pertinenza del collage e dei procedimenti di associazione di matrice dadaista e surrealista. Votate allo statuto clandestino dell’invisibilità, le pratiche situazioniste mostrano affinità formali rispetto al clima comune contemporaneo. Avranno continuità soprattutto dopo il 1968, anno di maggior diffusione dell’IS, per giungere sino alle più recenti operazioni di decostruzione del linguaggio massmediatico. - I contributi dell’arte nella prima fase dell’IS L’IS nasce dalla messa in comune dell’IL, del Comitato psicogeografico di Londra e del MIBI (Mouvement International pour un Bauhaus Imaginsite), fondato da Asger Jorn nel 1953. Il principale elemento che li salda è nella critica al concetto di architettura. Per l’IL è la città a costruire il laboratorio privilegiato del progetto radicale; per il MIBI i territori di elaborazione di una critica contro l’industrial design sono l’arte e un laboratorio sperimentale. I due gruppi concordano sul dover fissare un’azione da condurre all’indirizzo comune dell’urbanismo unitario, lasciando il ruolo dell’arte in sospeso. Invece l’arte verrà inclusa poi nel’IS, soprattutto durante il suo primo corso: la pittura farà ingresso solo in qualità di détournement. Vedi Pinto Gallizio e l’invenzione della pittura industriale, vero e proprio détournement, oggetto teorico e concreto insieme, che nella sua estensione in rotoli vendibili a metro inflaziona il conetto stesso di valore artistico. Pittura con funzioni ambientali: 1959 a Parigi, la caverna dell’antimateria. La pittura industriale è la garanzia tipologica per la costruzione di uno di quegli ambienti o scenari che i situazionisti vogliono come precedenti delle future “situazioni costruite”, fondate sull’individuazione di “desideri precisi” sotto la direzione di un “regista”. Modello di riferimento per questi ambienti: il barocco. Il risultato finale – la caverna, un anti-mondo – è causa della rottura tra Gallizio e Debord, che però poi cambia idea riposizionando al centro degli interessi del gruppo l’urbanismo unitario come teoria critica all’urbanistica. Due esperienze: - Constant, costruttore di città in miniatura, predispone psicogeograficamente due case labirinto e zone collettive, separando lo spazio della vita da quello della circolazione; il suo piano di città sospesa è sostanzialmente una maquette utopistica; - Il Bureau des recherches pour l’Urbanisme Unitarie di Amsterdam (voluto da Constant) progetta un labirinto per lo Stedelijk Museum, su due piani, un ambiente misto con caratteri esterni e interni. Entrambi questi progetti virtuali possono essere assimilati agli happening contemporanei. Il labirinto rimane irrealizzato e può essere letto come ultimo tentativo di oggettivazione compiuto da una teoria collettiva che da quel momento in avanti sceglierà ostinatamente di non realizzare opere. - Una neoavanguardia senza opere I situazionisti rifiutano la cornice e qualsiasi elemento che sottolinei il fatto estetico. Dell’opera rimane quindi solo il gesto, il “rovescio della merce”. L’esperienza situazionista segna il passaggio dalle avanguardie alle neoavanguardie (indirizzo rivoluzionario e critica ai linguaggi). Il rifiuto della produzione artistica è programmatico ed esercitato proprio a partire dalla rilettura del desino delle avanguardie. Il termine “situazione” evoca contemporaneamente il tempo e lo spazio, il luogo e l’azione, e i situazionisti si sono dati strumenti che insistono incessantemente su questa compresenza. Tornano alle loro esplorazioni registrando i fogli dello loro ricognizioni in documenti che non sono opere e non sono destinate all’esposizione. L’arte non scompare mai dall’IS ma la attraversa sino al 1969. ARTE PROGRAMMATA Il confronto della scienza con le arti visive avvenne sin dai tempi di Brunelleschi, e coi i divisionisti e i neoimpressionisti si impone al riguardante una sorta di integrazione ottica e dunque di recezione attiva. La modernità ottocentesca e poi quella novecentesca formulano un’idea anti-simbolica, anti-romantica e anti-accademica dell’arte. Nel tempo si sviluppa una sorta di concezione ingegneresca e razionalista dell’arte che ha attraversato con certa costanza tutto l’arco temporale del novecento. La questione del movimento viene affrontata da Degas e Rodin in alcune loro sculture, più tardi dai pittori futuristi italiani e dai costruttivisti russi. I procedimenti tecnologici e i fondamenti scientifici risultano invece ascrivili nel filone dell’arte astratta. Il modulatore di luce e spazio (1930-31) di Moholy-Nagy è un meccanismo mobile, un oggetto-macchina. Proprio nel primo novecento si era revocato in dubbio il fondamento dell’opera d’arte come oggetto estetico a favore di una produzione di oggetti artistici; in qualche caso essi si sono posti come veri e propri paradigmi di una visione programmata in movimento e del movimento. In quest’epoca, con cosa deve dialogare l’arte? Cosa deve essere? Ha valore intrinseco o morale? Nei primi anni cinquanta del novecento, la visione pessimistica generale del dopo guerra si traduce nell’esperienza dell’arte informale. L’atto più o meno spontaneo dell’artista si contrappone alle certezze della scienza e della tecnologia. L’idea di un’arte ricondotta sotto il dominio dell’esattezza e della regola armonica sembra poter superare la divisione tra pensiero artistico e pensiero scientifico. “Le arti devono usare gli stessi mezzi delle scienze e delle tecniche, vale a dire dei mezzi contemporanei” cit. Nicolas Schoffer, artista arte cinetica e programmatica. La sintonia con l’era della meccanizzazione è l’assunto di partenza di questi artisti, assunto ottimistico ma allo stesso tempo problematico e interrogativo. Max Bill per i gruppi parigini protagonisti delle vicende dell’arte programmata e cinetica fu mediatore parziale tra la tradizione della cultura progettuale europea, il concretismo e le esperienze dell’avanguardia sudamericana. Gli anni tra i 50 e i 60 furono cruciali: si elaborano i concetti guida delle imminenti neoavanguardie, l’arte è dominata dalla presenza dei grandi maestri della generazione dell’ottanta (Picasso, Braque, Le Corbusier..)e il linguaggio più diffuso è l’informale, un parallelo europeo dell’espressionismo astratto statunitense. Vi sono eccezioni italiane, come Fontana o Capogrossi. Alla base dell’arte programmatica sta la volontà di investigare le ragioni oggettive del guardare, del vedere, del percepire, dell’ingannare otticamente e del creare opere da imporre un comportamento integrativo e attivo da parte dello spettatore. Definita dallo storico Giulio Carlo Argan come gestaltica (dal tedesco gestalt=forma). Vi sono però degli aspetti ideologici e di programma che vanno in direzioni differenti. Ad esempio, la tendenza al lavoro di gruppo, l’attribuzione di significati politici contestativi del sistema dell’arte mercantile e borghese. L’agire di questi gruppi nell’ambito dell’arte programmatica e cinetica di estrazione costruttivista e concretista avviene in sintonia, tecnicamente, con le realtà moderniste degli anni ’20. Raramente è accaduto che il medium travalicasse il suo ruolo ausiliario per assumere integralmente anche il ruolo di forma e di immagine. Nel caso degli operatori dell’arte cinetica, il confronto si pone nei termini di un impiego consapevole di strumenti ritenuti neutrali. Il 1960 segna una linea di spartiacque tra un prima e un dopo; ci si inizia a proiettare verso il duemila. L’Italia confermerà il suo ruolo centrale sulla scena internazionale dell’arte, Si precisano le circostanze che porteranno alla definizione delle nuove linee di ricerca: non più gesto libero e grumi di materia dell’informale ma un rigoroso ritorno all’ordine fatto di un rifiuto sostanziale del colore e dalla realizzazione di opere neutro, elaborate da collettivi di gruppo (gruppi che agiscono impersonalmente). Una risposta europea, quindi, fortemente connotata all’arte statunitense, a sua volta ampliamente alimentata dall’apporto di grandi artisti immigrati. Tra il 1959 e il 1960 si formano anche i principali gruppi che animeranno la scena dell’arte cinetica e programmatica. schemi concentrici, simmetrici e ripetitivi. La configurazione ripetitivi è coerente alla forma della tela e la larghezza della striscia dipinta ripetutamente su di essa coincide con lo spessore del telaio. Ciò esalta la fisicità del supporto e la presenza del quadro come oggetto. Dal1960-61: Alluminium series, tele sagomate con forma geometrica del supporto particolare e strisce dipinte in coerenza a ciò; in seguito il rigore minimal viene abbandonato e le composizioni hanno elementi curvilinei e colori vivaci. Altri due pittori di interesse: - Agnes Martin, pittura differente dal minimalismo più tipico (manca la freddezza e la rigida impersonalità). Superfici quadrate monocrome quasi bianche ricoperte da finissima griglia di linee orizzontali o verticali tracciate a mano con matita = sorta di dematerializzazione della superficie e alleggerimento della rigidità quadrangolare. - Robert Ryman, porta alle estreme conseguenze il processo di riduzione minimale nel fare pittura. I suoi quadri: supporti concreti connotati dalla materialità della stesura pittorica. No rigidità della configurazione geometrica e no concezione dell’opera come oggetto, ma solo come superficie pittorica. Inizia a lavorare solo col bianco, perché non interferisce, è neutrale. Supporti diversi: lastre di acciaio, fogli di carta, lino, cotone. Prima grande mostra collettiva: Systemic Painting nel 1966 al Guggenheim. - Gli scultori minimalisti americani Le mostre newyorkesi sanciscono l’affermazione dei minimalisti e la specificità dei loro lavori. Loro non attribuiscono significati dimostrativi alla modularità geometrica e alla serie di derivazione matematica che utilizzano, no interesse a implicazioni di carattere scientifico, filosofico o sociale. Ci sono differenze visibili, ma molte sono le caratteristiche di fondo che accomunano questa ricerca: i lavori sono costituiti da volumi geometrici di diretto impatto visivo, unità primarie, monolitiche, elementi modulari standard organizzati in strutture aperte e sequenze seriali. Utilizzano materiali di tipo industriale o edilizio, colori o coincidono col materiale stesso o sono bianco e grigio. Lo spazio espositivo è relazionato all’opera e ne è parte. La percezione delle relazioni tra spazio esterno e oggetti plastici è enfatizzata (mentre le relazioni interne sono rese, appunto, minimali). Le sensazioni sensoriali dello spettatore sono così più immediate sensorialmente e coinvolgenti fisicamente. Punto di riferimento essenziale per land art e arte ambientale. Dunald Judd: minimalista più freddo e rigoroso, utilizza strutture geometriche elementari in moduli seriali e in sequenze semplici o in progressione geometrica; uso di materiale di tipo industriale. Ogni tipo di intervento manuale personale è eliminato, i lavori sono realizzati con tecniche e processi industriali e ciò permette di raggiungere la massima impersonalità e precisione nell’esecuzione. Judd inizia come pittore ma ritenendo che nella pittura sia impossibile sfuggire all’illusionismo spaziale, passa alla scultura, in realtà specific objects perché non sono sculture con elaborazioni formali interne. Dal ’64 inizia a produrre le sue grandi scatole in metallo: estremo purismo geometrico ottenuto dalla scansione spaziale e dal rapporto col contesto. La ricerca di Robert Morris, invece, si sviluppa in maneira più diversificata. Uno dei protagonisti di questa tendenza e del suo superamento, dal ’67, in chiave antiformale e processuale (Felts e installazioni ambientali). Anche interventi land art significativi. Fondamentale la componente concettuale duchampiana, come ad esempio nel process work di Box with the sound of its own making (cassetta di legno con all’interno registrazione dei suoni della sua fabbricazione, sottolineato il rapporto tra processo produttivo e oggetto). Ironici sono anche i suoi unitary objects, elementi volumetrici semplici che sembrano prodotti industrialmente se non per qualche dettaglio (come un angolo smussato, ad esempio) e che hanno nella relazione spaziale con lo spazio espositivo la loro vera forza. Esempio le L- beams, grandi strutture a forma di elle uguali fra loro ma che appaiono diverse perché la loro posizione nello spazio espositivo è diversa (capovolte ecc). Dan Flavin utilizza, dal 1963, come moduli di base dei suoi lavori dei tubi al neon fluorescenti di normale produzione industriale. Collocati in modo semplice e seriale, creano delle installazioni di spazio-luce che annullano a prima vista la fisicità del neon per poi farla risaltare freddamente. Quando però capisce che per Tatlin, Stella e Johns la fisicità è importante, cambia il suo giudizio sottolineando anche lui quest’ultima. Realizza vari cicli di opera dedicate a diversi personaggi; alcuni suoi lavori sono site specific. Altro artista minimalista: Sol LeWitt, lavora con strutture modulari geometriche ambientali (soprattutto dal 1965 – quadrato e cubo e colore bianco costituiscono il suo linguaggio formale = concentrare l’attenzione sull’artefatto in se). Prima la sua opera spaziava da dipinti tridimensionali a strutture a forma di ziggurat. Serie di Wall drawings, connessi strettamente allo spazio espositivo (alle pareti che venivano pitturate). - Tendenze riduttive e analitiche in Europa Il processo di azzeramento delle pulsioni e della materia in Italia è avviato già nel 1958-60, con Manzoni e Castellani a Milano, il primo con gli Achromes (quadri monocromi bianchi ricoperti di gesso bianco o stoffa a pieghe e poi tele bianche cucite a scacchiera) e con le Linee (tracciate su rotoli di carta chiusi in rotoli cilindrici = tracce pittoriche minimali con marcato carattere concettuale – cedi la più estrema: la linea infinita), il secondo con superfici monocrome. Manzoni morirà nel 1963, ma in questo arco di tempo sviluppa una ricerca straordinariamente innovativa sul rapporto tra vita e arte, connotato concettualmente da matrice duchampiana. La sua influenza più diretta è quella di Yves Klein; non secondaria l’amicizia con Lucio Fontana. Nel ’59 Manzoni e Castellani fondano la rivista Azimuth (solo due pubblicazioni). Anche a Roma artisti con ricerche riduttive: Mario Schifano e le sue tele monocrome del 1960, Francesco Lo Savio la cui ricerca è incentrata sul rapporto spazio-luce 1959-1962. A Torino, invece: Giulio Paolini, esponente di arte povera e concettuale, nelle cui prime opere (1960-66) l’analisi degli strumenti del fare arte si presenta come operazione di azzeramento, di riduzione di elementi primari del linguaggio. Punto di partenza è Disegno geometrico, tela bianca con solo la squadratura lineare = luogo puro di ogni possibile rappresentazione. Ci sono poi Gianni Piacentino, il più vicino alla scultura minimalista (prima lavori 1967 strutture oggettuali di grandi dimensioni) e Giorgio Griffa, esponente della pittura minimalista: dal 1968 ricerca pittorica utilizzando tele non preparate che diventano campo di azione di una pratica del dipingere basata su procedure elementari. In Francia, oltre al già nominato precursore Klein con le sue tele monocrome blu iniziate nel 1957, ricordiamo Morellet e Opalka. Il primo di matrice razionalista, con un particolare metodo concettuale sistematico, si pone certe regole di esecuzione a cui si attiene scrupolosamente. Il titolo stesso dei suoi lavori annuncia il programma: l’interesse non è tanto verso l’opera in se quanto verso il processo di realizzazione, razionale ma ironicamente arbitrario. Il secondo, polacco trasferitosi in Francia, a partire dal 1965 su tele di misura sempre uguale, riempie la superficie nera e inizia una progressione numerica in bianco che occupa tutta la superficie e continua nella tele seguente. E così via, schiarendo piano piano la superficie nera che alla fine diventerà bianca e l’artista dipingerà bianco su bianco. Il nome dell’opera è Detail ed è un’inquietante operazione concettuale di analisi del tempo dell’esistenza individuale, una specie di singolare performance che tende a far coincidere arte e realtà. Abbiamo poi il gruppo BMPT (Buren, Mosset, Parmentier, Toroni), con una pittura letterale che non significa altro che se stessa, e il gruppo Support Surface, per i quali il ritorno alla pittura è inteso come un lavoro autoriflessivo incentrato sugli elementi costitutivi materiali del linguaggio pittorico. Vogliono rimettere radicalmente in gioco la storia della pittura da una prospettiva materialista, attraverso un processo di decostruzione analitica delle componenti primarie concrete della pittura. Infine alcuni artisti tedeschi. Blinky Palermo cerca di annullare ogni valore tradizionalmente collegato alla concezione illusionistica della pittura, coinvolgendo la dimensione ambientale. Ruckriem lavoro molto con la pietra (esperienza nelle cave fondamentale, rimane colpito). Blocchi di pietra, scultura ridotta all’espressività primaria della sua materia più classica, alle forme e masse elementari connesse agli elementi base della costruzione architettonica, e all’intervento essenziale dell’uomo nei confronti della pietra. Richter ha una rinnovata concezione della pittura, la sua ricerca si è sviluppata come una verifica di tutte le possibilità espressive del linguaggio pittorico. ARTE E AMBIENTE Viene superata l’idea di ricerca autonoma dall’ambiente circostante, l’attenzione si sposta radicalmente verso la dimensione dello spazio ambientale, che diventa parte integrante dell’opera e dell’elaborazione creativa. Si crea l’idea di una mutualità reale tra arte e ambiente: l’arte crea uno spazio ambientale come l’ambiente crea l’arte. In questa categoria – lavori con caratteristiche ambientali – rientrano sia gli ambienti veri e proprio che le installazioni ambientali in spazi interni ed esterni che la land art. - Precedenti nelle avanguardie storiche Li troviamo nel futurismo, dove Boccioni ipotizza una relazione dialettica con l’ambiente, e Balla e Depero creano ambienti fantasiosi. Anche esponenti del De Stijil, del costruttivismo e del Bauhaus lavorano con interventi su ambienti architettonici decorativi. Un contributo importante è dato anche da Duchamp, con gli interventi di allestimento per esposizioni surrealiste, a Parigi1938 e a New York 1942, con sacchi di carbone appesi al soffitto di una sala nel primo caso, e 12 miglia di filo che attraversa lo spazio a modo di ragnatela nel secondo. - Gli ambienti spaziali di Fontana Fontana ebbe un fondamentale ruolo anticipatore, realizzando opere ambientali costituite da spazio e luce. I suoi interventi puntano a degli effetti di spaesamento spazio-temporale, cambiano la percezione dello spazio architettonico esistente. - Ambienti ottico-cinetici Gli interventi di natura ottico-cinetica utilizzano lo spazio architettonico come campo d’azione per coinvolgere dinamicamente lo spettatore all’interno di nuove strutture percettive: si creano effetti psicologici spiazzanti da mettere in crisi la normale percezione della realtà spazio-temporale (vedi Foligno, Castellani, Colombo. Quest’ultimo soprattutto crea ambienti “abitabili” che da astratti e neutri diventano progressivamente sempre più progettati con elementi architettonici messi in scena in un modo tale da mettere in crisi radicale i presupposti classici dello spazio architettonico razinalista). valenze diverse legate ai materiali. Si tratta di forme geometriche e primitive artificiali e destinate a essere riassorbite dalla natura col tempo. I luoghi sono spesso inaccessibili e il loro degrado nel tempo li rende visibili per il pubblico solo nelle gallerie sotto forma di progetti, foto e filmati. Sono i musei ad ospitare quello che resta visibile delle opere, proprio quegli spazi da cui gli artisti volevano sfuggire. Tra gli artisti, Christo è noto per i suoi interventi di impacchettamento i monumenti cittadini e naturali (vedi Running Fence, barriera di tessuto lunga 24 miglia come una sorta di muraglia cinese ma effimera e leggera. Sul libro: Valley Curtain). I lavori di Heizer sono soprattutto scavi cubici e rettangolari in Sierra Nevada. Il suo intervento più famoso è Double Negative nel 1971, due scavi enormi posti simmetricamente ai lati di un canyon. Vogliono far riflettere sul destino della nostra civiltà. Altro artisti è De Maria, uno dei suoi interventi più riuscito è The Lighting Field (1973-79) installato in una piana arida del New Mexico: 400 alti pali disposti in sequenza regolare su un’area rettangolare. Studiata è la relazione tra cielo e terra, gli effetti di luce e i fulmini attirati dai pali: tutto ciò deve essere fruito dallo spettatore nella massima solitudine. La mostra “The land show”, in una galleria a Monaco nel 1968. Lo spazio espositivo viene riempito di uno strato di terra spesso che crea un corto circuito tra esterno ed interno, spazio naturale e spazio culturale. L’opera d’arte arriva a coincidere con la materia primaria per eccellenza. Roberti Smithson realizza “Non-sites” dal 1968, contenitori di varie forme geometriche semplici, con all’interno materiali grezzi raccolto dai site, rimandando i visitatori al luogo reale costantemente. Nel 1970 realizza Spiral Jetty, una grande banchina a forma di spirale nel Great Salt Lake nello Utah. È una testimonianza della forza delle tecnologie moderne (l’energia di trasformazione dello spazio attraverso macchine da scavo e trasporto). - Gli sviluppi successivi Dagli anni settanta in poi sono sempre più numerosi gli interventi ambientali. Le principali linee operative sono tutt’ora ancora in espansione e sono: 1) Le costruzioni di ambienti architettonici e abitativi (Kabakov ricostruisce nostalgiche situazioni di vita quotidiana nell’ex Unione Sovietica; Schneider ha maniacalmente incentrato il suo lavoro sullo sdoppiamento degli spazi interni della casa dove vive). 2) Gli ambienti costituiti da accumulazioni di elementi e oggetti legati al contesto reale. 3) Gli ambienti con particolari connotazioni spettacolari e multimediali. 4) I videoambienti, il settore più dinamico e di maggior sviluppo; la ricerca va verso l’innovazione della modalità di messa in scena nello spazio ambientale delle immagini video, al fine di innescare nuove esperienze percettive e creare nuove atmosfere visive e sonore. PROCESS ART E ARTE POVERA Troviamo in quest’arte differenze tra le varie nazioni, divergenze che pongono in risalto l’originalità dei percorsi individuali ma non per questo annullano la comune appartenenza alla stessa arte. 1) Stati Uniti - Process art, antiform L’interesse si sposta verso procedimenti che si allontano dalla minimal art rigorosa e logica, a favore di situazioni aperte e mutevoli. Si vuole superare l’idea dell’oggetti chiuso in se concentrandosi sul processo del fare e del situare. Il processo prevale sul prodotto, questo porta a situazioni di equilibrio precario = l’opera è un possibile episodio di un processo potenzialmente illimitato. L’importanza del gesto manuale è riconsiderato, il processo operativo riqualificato, dopo esser stati banditi dalla pop art e dalla minimal art. Di conseguenza ci si trova di fronte ad un’inedita sollecitazione sensoriale legata alla manualità. Tre lavori di Richard Serra: Splashing (getta in un luogo pubblico 120 chili di piombo fuso nella giuntura tra parete e pavimento, che solidificandosi aderisse alla parete visualizzando l’azione della forza di gravità e modificando la percezione delle coordinate spaziali), Scatter Piece (strappa e getta a terra pezzi di caucciù per ottenere un disordinato ammasso di materia), Prop Piece (situazione precaria di una lastra di piombo trattenuta contro il muro da un puntello cilindrico). Il principio di indeterminazione è il comune denominatore di questo tipo di lavori, anche se diversi sono i metodi della sua applicazione. Nei lavori di Nauman il carattere processuale si manifesta anzitutto attraverso l’instabilità dell’esperienza percettiva, che spinge le cose fino al punto in cui si rovesciano inevitabilmente in qualcos’altro. Serra, invece, focalizza l’attenzione sull’arte processuale e integra il principio di indeterminazione nella manipolazione non organizzata della materia grezza. Come contesto da cui queste indagini traggono i loro maggiori spunti si può considerare Pollock e la situazione ampliata dell’esperienza estetica minimalista (il risultato finale è l’immagine stessa dell’azione che ha prodotto). - Land art, eath art In queste ricerche trova un significativo riscontro gli assunti antiformali e processuali; il carattere effimero dei lavori focalizza l’attenzione integralmente sul processo operativo e sull’esperienza in situ. L’interazione con agenti fisici incontrollabili che col tempo alterno l’opera è amplificata. Altri interventi sottendono un grado variabile di implicazioni antiformali, concettuali, fenomenologiche e simboliche. Ci sono poi i lavori legati agli spazi interni (dialettica fra due dimensioni inconciliabili). 2) Europa Le attitudini antiformali maturate in Europa tra il 67 e il 70 possono essere divise in tre situazioni. Nell’Europa settentrionale emergono ricerche più affini al contesto americano. In Germania l’epicentro artistico è Düsseldorf e il terzo centro di interesse e Torino, dove si sviluppano le ricerche dell’arte povera, termine coniato da Germano Celant nel 1967 per promuovere il contributo di giovani artisti italiani nel contesto internazionale di rinnovamento artistico. - Flanagan, Dibbets, Long Tra Amsterdam e Londra, spirito antiformale e approccio processuale come negli stati uniti. Per Flanagan l’adesione ai materiali si traduce in operazioni elementari liberate da ogni premeditazione formale; la processualità inscritta nel lavoro coincide con il significato del lavoro. Dibbets realizza interventi all’aperto in un’ottica fenomenologica, nell’intento di proporre delle possibilità percettive. La pratica artistica di Long è invece definita così: il materiale è il paesaggio naturale preesistente, l’azione il suo attraversamento, il risultato è l’impronta effimera del proprio passaggio (tragitto-segno generato dal cammino). Queste pratiche vengono accompagnate da testimonianze che presentano informazioni o situazioni plastiche che riportano l’eco dei gesti effimeri lasciati dal passaggio. - Joseph Beuys I lavori di Beuys, oltre a funzionare in relazione all’ambiente e allo spettatore, funzionano anche come interpretazione del mondo; l’aspetto del tempo e della dimensione del passato occupano un ruolo di primo piano. Per il funzionamento di ciò che si vede, la decifrazione delle informazioni visive deve essere prima convertita in attività di pensiero e processo mentale. La sua opera Warmeplastik (grasso spalmato tra parete e pavimento con registratore che ripete lo stesso verso e una catasta di panni di feltro con lastra di metallo sotto tensione) mette in opera l’idea del principio termico (che è il cardine del pensiero dell’artista) secondo cui il calore è l’elemento evolutivo che consente la trasformazione di uno stato freddo – la condizione ammalata e alienata dell’uomo contemporaneo – in un nuovo stato di energia attiva e aperta – nuovo concetto di società senza dualismi. L’opera vuole essere l’epicentro di un processo evolutivo e rigenerativo di ampia portata, uno strumento di trasmissione di impulsi ideali. I contenuti processuali esposti nella materia devono essere ritrovati e riattivati dallo spettatore. - Arte povera Anche se accostabile alla sensibilità di Beuys, nel contesto europeo l’arte povera si distingue per un approccio vitalistico e un’intuitiva naturalezza propri della cultura italiana. Ogni artista manteneva comunque una forte individualità nel lavoro. I lavori di Anselmo erano caratterizzati da una forte processualità attiva, al presente. Ad esempio un suo lavoro è formato da due pezzi di granito tenuti insieme da un filo di rame, tra i quali è posta una lattuga fresca che va cambiata regolarmente perché il consumarsi di questa provocherebbe la caduta del pezzi di granito più piccolo che è “attaccato” a quello più grande. Kounellis nei suoi lavori contrappone forti valenze visuali e simboliche – struttura rigida e chiusa (supporto rigido) a sensibilità calda e mutevole (materia antiformale o viva): inerzia della moderna ratio humana e il potenziale energetico della forza naturale e primordiale. Zorio attiva forti tensioni fisiche e psicologiche , reazioni chimiche, gesti esplosivi, intesi come eventi energetici indiziari di una situazione fluida e vitale. Esempio Piombi è costituito da due vasche di piombo contenenti in una acido cloridrico e l’altra solfato di rame con una barra di rame che passa da una vasca all’altra per provocare la formazione di Sali e cristalli. Merz lavora con flussi di energia mentale e ideale, condensati in gesti plastici che funzionano secondo una dinamica di concentramento o, contrariamente, di illimitata estensione. Come in Kounellis la grammatica dei lavori è binaria, materiali organici sono investiti come veicoli fisici e metaforici di energia per attivare in maniera immediata e spontanea una struttura inerte. In Calzolari la presenza fisica è imprescindibile da un potenziale astratto: la corporeità del ghiaccio, dei metalli, degli elementi vegetali e la spiritualità della dimensione ineffabile del sublime corrono valenze alchemiche, poetiche e metafisiche di antica tradizione. I suoi lavori funzionano per catene sinestetiche di associazioni. Esempio, ne Il mio letto così come deve essere, un elemento di rame coperto da muschio prende la forma della colonna vertebrale dell’artista ed è posato su foglie di banano distese a terra a formare un giaciglio. In Caard File di Morris è possibile individuare la contemporanea presenza di molti caratteri costitutivi dell’arte concettuale: è uno schedario verticale che conserva schede sulle quali sono registrate i passaggi relativi alla progettazione e alla realizzazione della stessa, in ordine alfabetico. Una sorta di readymade autoriflessivo. - Attitudini seriali Cioè lo snodo di passaggio dal minimalismo al concettuale. Bochner e LeWitt fanno il passaggio dalla dimensione ancora oggettuale dell’astrazione minimalista a quella mentale dei sistemi logici e matematici: la concezione dell’opera non come oggetto singolo ma come elemento di una progressione seriale. LeWitt utilizzava strutture vuote e trasparenti ridotte alla loro ossatura geometrica. Il Serial project no. 1 del 66 è una struttura complessa che si basa su progressivi passaggi dalle due alle tre dimensioni, da forme aperte a forme chiuse. La presenza attiva di un a priori ideale che rappresenta il vero motore dell’opera è il nucleo forte dei suoi scritti e del suo pensiero: l’idea/concetto costituisce la parte più importante del lavoro. Arte concettuale = progetto deciso anticipatamente e l’esecuzione materiale è solo un fatto meccanico. Può essere l’idea in se un’opera d’arte? Dopodiché stagione dei Wall Drawings, disegni non più su carta ma su parete, si perde il carattere oggettuale ma non la dimensione percettiva. Anche Bochner affrontò il tema della scala ambientale nella serie dei Measurements, realizzati evidenziando sulle pareti delle gallerie le misure di muri finestre e porte con linee di nastro adesivo e l’indicazione numerica: mirava a rendere visibile l’immanenza di una struttura geometrica negli ambienti in cui interveniva. - Numerazioni, catalogazioni Un’altra forma in cui si presentò il principio seriale fu con la catalogazione, la registrazione documentaria e la numerazione. On Kawara nel 66 inizia la serie dei Date Paintings, che insieme costituiscono la Today Series: ogni opera è un piccolo quadro con dipinta bianco su nero la data e viene riposta in una scatola insieme a un ritaglio di un quotidiano del giorno: registrazione dell’esperienza del tempo nella doppia accettazione di tempo individuale e storico. Successivamente avvia altre tre serie: I got up at, I met, I went: esplorazione del tempo segnata da una componente diaristica. Altri hanno preso la via della catalogazione prendendo spunto dalla ripetizione inerente ai processi fotografici e cinematografici. Graham con Homes for America, articolo simile a catalogo con raccolta fotografica di case prefabbricate fotografate in New Jersey in cui vedeva il riflesso concreto delle morfologie seriali minimaliste. Boetti invece usa forme di inventariazione che si confrontano con la variegata morfologia terrestre o con gli eventi imprevedibili della storia – es Dodici forme dal giugno ’67 dove i profili di 12 territori in guerra sono rappresentati come nelle cartografie dei quotidiani. Huebler concepisce invece la sua opera come certificazione dell’esistenza di cose o persone. L’ultimo ciclo riguardava la catalogazione della popolazione vivente, si è concluso con la sua morte. - Proposizioni Linguistiche Per Kosuth il compito dell’artista è interrogare la natura dell’arte. Il readymade muta la natura dell’arte da un questione di morfologia ad una di funzione: questo mutamento dall’apparenza alla concezione è l’inizio dell’arte concettuale (così dice). Afferma che l’opera è la rappresentazione dell’intenzione dell’artista; se quella particolare opera d’arte è arte, implicando che è una definizione dell’arte, quindi l’arte è vera a priori. Nel ’65 concepisce dei gruppi di opere basati sulla contrapposizione di elementi fisici e testuali (proto-investigations). Nel 68 un gruppo di artisti britannici le cui operazioni si basavano sul dialogo, sulla discussione e sulla didattica, si riunì chiamandosi Art & Language, e l’anno successivo fondò una rivista omonima, accompagnata da libri e mostre. Qui utilizzavano soprattutto la costruzione di indici, col meccanismo rivisitato di Card File di Morris. Anche le pratiche della scultura, della pittura e dell’installazione furono sistematicamente messe in questione attraverso confronti linguistici. Baldessari nel 69 creò la serie di Commissioned Pantings, facendo dipingere su commissione delle immagini fotografiche a dei pittori dilettanti, sulla funzione dell’indicare. Weiner usa il linguaggio come materiale per la scultura. Nel 1968 raccolse un libro con 28 dichiarazioni relativi a possibili interventi: non istruzioni per l’uso ma definizione di modelli di interventi ipotetici: l’opera può essere fabbricata ma non ha la necessita di essere fabbricata. Dal ’70 questo testo (dal nome Statements) è stato inscritto sulle pareti di gallerie e musei, acquisendo un’autonoma valenza visiva e ambientale. Nauman ha inserito l’elemento verbale nella sua opera fin dal 67, utilizzando il neon come materia per una scrittura disegnata nello spazio con i colori accesi della comunicazione pubblicitaria. Ricorrente è la ripetizione o la combinazione in serie degli elementi verbali, in confronto con il tema della violenza e della sopraffazione. - Contesti sociali, contesti istituzionali Il riferimento al readymade duchampiano assumeva, nel concetto linguistico, una valenza autoriflessiva e tautologica. Altri esponenti ne sviluppano invece gli aspetti legati all’analisi dei contesti istituzionali. In questi casi l’opera affrontava il tema della funzione legittimante svolta dalle istituzioni artistiche. Esemplare è stato il percorso di Barry, che dal minimalismo giunse ad usare materiali intangibili e invisibili e poi a mettere fuori gioco l’identità tra arte e visibilità in una seria di definizioni generiche relative a fatti mentali non ulteriormente specificabili. Arrivò a far coincidere in maniera radicale il suo intervento artistico con il riconoscimento degli aspetti strutturali del sistema dell’arte. Il progetto “Invitation Piece” propose un sistema circolare di inviti a esposizioni personali dell’artista in diverse gallerie. Questa serie con otto cartoncini d’inviti dimostra che la produzione artistica, il collezionismo e l’informazione di erano strutturati ormai in sistema. Per i francesi, come Buren, il punto di partenza fu un’analisi sistematica degli elementi costitutivi del linguaggio pittorico, che li condusse a individuare una forma-matrice per il loro lavoro. Buren già nel 66 definisce la sua sigla per tutti gli interventi successivi: l’alternarsi di fasce parallele verticali, bianche e di un altro colore. Realizza in giro per Parigi un intervento autoriale ma anonimo poiché clandestino, incollando questi fogli per la città e iniziando un ciclo di approfondimenti critici sulla funzione del museo e sulla separazione dell’arte dalla quotidianità. Altri artisti che hanno lavorato su questo tipo di riflessione, sul sistema artistico in quanto repertorio consacrato ed inesauribile di opere e di autori. Paolini, con “Giovane che guarda Lorenzo Lotto” (copia fotografica del ritratto veneziano del 500), affronta la questione della “morte dell’autore”: l’autore e l’osservatore diventano entrambi oggetto passivo di uno sguardo e degli interrogatori a questo connessi. Paolini sottraeva così importanza al valore referenziale dell’opera e ne identificava il significato geometrico di relazioni e ruoli. Il belga Broodthaers adottò il modello operativo del collezionismo museale in un’operazione critica la cui radicalità consisteva proprio nel mimetismo. Egli raccolse e allestì le diverse sezioni del Musée d’Art Moderne con una vasta raccolta di raffigurazione ed oggetti accomunati del riferimento dell’aquila (simbolo del principio di autorità); ogni reperto era accompagnato da una targhetta recante l’iscrizione “Questa non è un’opera d’arte” (magritte + duchamp). Operazione con duplice valenza, interna ed esterna al sistema dell’arte, giocando il ruolo sia di parodia politica delle manifestazioni artistiche, sia di parodia artistica di avvenimenti politici. Critica al potere istituzionale affrontata anche da altri artisti, tra cui Christo e Jeanne- Claude che impacchettarono la Kunsthalle di Berna e il museo di arte contemporanea di Chicago. Altro artista che affronta questa critica in modo radicale: il tedesco Haacke, a NY, che elaborava modelli per la lettura dei sistemi sociali e più volte utilizzò il sistema del sondaggio come mezzo per consentire al pubblico di esprimere le proprie convinzioni in forma anonima. Nel ’71, per una personale al Guggenheim, elaborò un’analisi dettagliata delle proprietà newyorkesi del più potente gruppo immobiliare della città. L’opera venne giudicata inammissibile dal direttore del museo e la mostra annullata. In America Latina le istanze politiche costituirono il fondamento dell’uso degli strumenti dell’arte concettuale. L’obbiettivo era quello di costruire oggetti artistici capaci di produrre modificazioni nella società con l’efficacia di atti politici (vedi bottigliette di cococola e le banconote sulle quali stampavano messaggi contro il regime). - Revisioni e sviluppi Nei primi anni 70 la mancata elaborazione di strategie politiche efficaci da parte degli artisti attivi a New York fu alla base della constatazione del fallimento del concettuale. In parte avviene un cambiamento di scala, dato dalla transizione dall’uso di strumenti espressivi incorporei e dal ridotto impatto visivo alla dimensione dilatata dell’intervento in spazi pubblici o dell’installazione in ambiente museale, che ha risposto in primo luogo all’esigenza di ridare all’arte udienza e capacità di coinvolgimento, dopo l’azzeramento di intensità sistematicamente proposto dal concettuale. 73: Mary Kelly fu la prima ad utilizzare le strategie concettuali di messa in relazione di testi e immagini e di costruzione di archivi allo scopo di esplorare il tema dell’identità di genere. Il suo “Post-partum document” registrò per sei anni il processo di elaborazione dell’idea di maternità e l’evolversi della relazione madre figlio, con diari, oggetti, riflessioni teoriche. È un tentativo di articolare il femminile in quanto discorso, sottolineando il carattere intersoggettivo delle relazioni che costituiscono il soggetto femminile. Fine anni 70 alcuni artisti dei paesi dell’est si sono avvicinati al concettuale, con l’obbiettivo di mettere in scacco il realismo socialista. Kabakov pose al centro dei dipinti realizzati intorno al 1980 i riti collettivi della società sovietica, utilizzando la tela come lavagna vuota su cuoi personaggi fittizi dialogavano con messaggi scritti. Holzer ha riposizionato al centro del contesto pubblico gli interessi linguistici della prima stagione concettuale (affissando manifesti con massime e luoghi comuni – con paradossi nascosti- su tabù e pratiche sociali sui muri di NY finché poté inserirsi nelle pubblicità di Times Square). Oggi l’impronta del concettuale è riconoscibile negli strumenti linguistici e nella complessità dei processi di significazione che l’uso di quei mezzi comporta, ma si è comunque ben lontani dal concettuale storico. il contesto. Come la mostra “La vide” dove Klein espose spazio vuoto, quindi solo sensibilità, per poi venderla dietro compenso di foglie d’oro che egli stesso gettava nella Senna; nel frattempo offriva ai partecipanti drink blu, che rimanevano nelle urine per giorni: anche per questa via l’opera si sposta dal corpo dell’artista a quello collettivo. Un atteggiamento simile ma con meno risonanze mistiche si trova in Piero Manzoni, nel suo lavoro l’io si espande in modo volutamente grottesco. Da valore al suo fiato soffiando in un palloncino, le sue impronte digitali impresse su uova sode passano al corpo del pubblico da quello dell’artista, la sua firma trasforma in un’opera una linea, una ragazza o un individuo famoso. Criticando all’estremo l’idea che nell’arte l’artista debba esprimere se stesso, Manzoni inscatola e vende la sua merda (doppio gioco, da un lato irride ma dall’altro afferma il valore del corpo). Date queste premesse attorno al 1960 gli artisti si sentirono liberi di presentare se stessi in carne e ossa, esasperando il potere sciamanico della fisicità o usandolo come via per rendere pubblico un disagio. - L’aktionismus viennese Le loro attività si collocano tra malattia mentale e rito, mostrandosi nelle condizioni più estreme. Ad esempio Nitsch si è fatto crocifiggere e riempire di sangue, ha scuoiato e dissanguato agnelli. Brus camminò nudo dipinto di vernice bianca e con una sutura nera nel cranio per il centro di Vienna e altre azioni che lo portarono ripetutamente all’arresto. Anche le azioni impulsive e piene di rabbia di Muehl terminarono in guai giudiziari. All’opposto Schwarzkogler agiva con severa autodisciplina, automutilandosi anche organi genitali in pubblico. In questo gruppo lo scandalo è il mezzo di comunicazione ma anche qui troviamo il senso austriaco del peccato che tocca la sfera fisica, ma che nel dolore e nell’orrore vede una via di purificazione. Sono azioni che nascono escludendo il pubblico come protagonista attivo, riproponendo l’opposizione opera/spettatore, azione/contemplazione che connota il rapporto tra il quadro e tra lo sguardo di chi lo assimila. Ciò mette in mostra l’incapacità di avere, da parte del pubblico, comportamenti solidali o reattiva, fino al punto da consentire che i performer si mettano in pericolo di vita. Ciò determina una grande distanza tra happening e performance: il rapporto tra se e l’altro sarà nodo saliente della storia delle performance. - Il contributo di Joseph Beuys L’unico performer riuscito a generare un rapporto empatico con il pubblico. La volontà era simile a quella austriaca, anche se meno violenta, di sottolineare l’aspetto rituale e sciamanico delle azioni artistiche. Ha trasformato la sua vita in un messaggio salvifico ricco di spunti cristologici. Le sue azioni più note ebbero una preparazione quasi teatrale: “Come spiegare la pittura a una lepre morta”, l’artista col viso coperto d’oro fa toccare i quadri alla lepre dicendo che avrebbe capito meglio lei col tatto che gli uomini attraverso la vista, distorta spesso da preconcetti. - L’indagine interpersonale negli Stati Uniti Qui la relazione tra gli individui viene letta in connessione ad un fenomeno più pressante, relativamente al mutamento di relazioni tra persone non solo di classi ma anche razze, etnie, continenti diversi. Si pone il problema dell’integrazione. Kusama, artista giapponese che visse a lungo a NY, in Infinity Mirror replica tutto attraverso specchi, mostrando le sue ossessioni; esponeva corpi nudi di amici in luoghi simbolo della città, facendo scandalo. Il lavoro di Acconci affronta tematiche simili; le sue azioni si sono svolte all’insegna del rapporto tra la persona e il pudore. Famosa la sua performance Seedbed del 1972, dove aveva fatto costruire una piattaforma di legno sotto cui si poteva nascondere e nel frattempo muoversi strisciando, inseguendo i visitatori che gli camminavano sopra, masturbandosi e indirizzando loro parole. In casi precedenti si era morso la pelle ovunque riuscisse ad arrivare (Trademarks,1970). L’afro-americana Piper dal 1970 ha realizzato performance che avevano luogo in sedi pubbliche: musei, metropolitane, strade. Il fine era sondare la reazione dei passanti riguardo all’indecifrabilità della sua persona; l’artista qualche volta si trovava in pericolo poiché l’esibizione della differenza può generare reazioni altamente aggressive. Un aspetto interessante di ciò che ha significato la performance in America riguarda la reazione alla civiltà dello spettacolo: il doppio volto di Hollywood è stato lo sfondo di performance estreme. Paul McCarthy in Hot Dog espose il suo corpo a un crudo trattamento culinario. Il mondo della musica si è spesso contaminato con la performance di derivazione strettamente artistica (es Yoko Ono che sarà moglie di Lennon, introducendo in lui il seme dell’avanguardia artistica visiva). In questi autori lo spettacolo della trasgressione lotta e reagisce alla società dello spettacolo; ma la performance, per quanto sia probabilmente la tecnica artistica più adatta a questo dialogo e in genere ai legami linguistici con discipline diverse, non può competere con le produzioni miliardarie di cinema, musica e televisione. - Performance come protesta nei paesi dell’Est Europa Le performance che più hanno fatto notizia sono state quelle vicine ai mezzi di informazione. Il movimento apr art e l’arte non ufficiale dei territori sovietici e limitrofi ha visto nella performance un mezzo estremamente duttile, in quanto di rapida esecuzione e in grado di non lasciare prove, quindi adatto per un clima clandestino. Motivo per cui anche l’arte russa più recente ha usato questo linguaggio. A guidare i performer russi più noti è sempre il rapporto io/tu, riletto talvolta in termini soggetto/autorità repressiva o cultura russa perdente/cultura occidentale dominante. Oleg Kulik fece comparse vestito da cane, a simboleggiare una completa sottomissione della Russia all’America, potenzialmente aggressiva ma fedele come quella di un cane. - Essere femmine Il rapporto tu/io diventa aspetto drammatico attorno al tema dell’emancipazione femminile, nuovo ampio capitolo della performance. Partendo dal Giappone, Kubota dipinse in pubblico su un supporto orizzontale con un grosso pennello guidato dalla vagina (Vagina Painting, NY, 1965). Di Valie Export, austriaca, è nota l’immagine provocatoria in cui l’artista si mostra a gambe aperte, vestita con un paio di pantaloni che lasciano scoperto il pube e la vagina. La cubana Ana Mendita rimise in scena uno stupro realmente accaduto ad una studentessa. La tedesca Schneemann fece diverse performance nuda, tra cui Interior Scroll, dove leggeva un suo componimento srotolandolo dalla vagina. Nelle performance di Gina Pane è presente il sangue, il suo: si ferisce con rasoi, lamette, spine di rose. Gli elementi della scena sono vestiti bianchi e bouquet di fiori. Vuole ricordare che il sangue femminile ha a che fare con cose tradizionalmente nascoste, il mestruo e il parto. Il suo pubblico in un’occasione le impedì di ferirsi anche la faccia. Judy Chicago mise in atto l’azione Ablutions in cui il corpo di una donna legata subiva pratiche che alludevano ad una purificazione. Marina Abramovic collega la sua attività performativa alle religioni più varie di cui ha conoscenza diretta. In Rhythm 0 l’artista di propone al pubblico sdraiata a disposizione di chiunque volesse usare su di lei uno degli oltre settanta oggetti posati su un tavolo. L’azione reca in se la memoria dell’offerta sacrificale compresa quella reale del corpo femminile quotidiano, fino ad un’indagine del sadomasochismo. Con il compagno Ulay fece numerose performance che parlavano dei legami collusici che si creano all’interno di una coppia. Prima di queste aveva fatto performance dove si metteva in pericolo (componente sacrificale e lavacro purificatore presenti in molte opere). Quello che emerge dall’intera carriera dell’artista è avere saputo definire meglio di altri la performance: una tecnica che non è improvvisazione e che si rende necessaria solo quando l’opera nasce per favorire un flusso di energia che da fisica diventa autocontrollo mentale. - Il corpo narciso Esiste un ceppo della performance che nasce dal travestimento, dall’esibizione del corpo travestito e separato dall’identità di chi indossa il travestimento. Gilbert e George hanno dato di loro la definizione di statue viventi, suggerendo che ciò che esponevano fosse una narrazione sofisticata. I due artisti erano contrari a vari aspetti dell’arte come della vita comune: ne nacque una serie di azioni tra cui la più nota The Singing Sculpture: per sette ore al giorno, per cinque giorni, stettero in piedi su un tavolo a cantare la stessa canzone, coi volti dipinti di oro e d’argento. Si mostravano in quanto statue. L’italiano Ontani ha dato luogo a Tableaux vivant ricostruendo immagini costruiti dalla storia della pittura e dell’iconografia: entriamo nell’ambito della performance come modo per raccontare il narcisismo e la sua invadenza nel nostro tempo, importante soprattutto nell’ambito femminile. Espedenti linguistici che sono stati usati dalle donne per mostrare la loro schiavitù nei confronti dei nuovi dettami della seduzione. La francese Orlan usa ancora la cruenza delle prime performance ma con un nuovo linguaggio: fece trasmettere in diretta la sua settima operazione di chirurgia plastici in musei di tutto il mondo. L’uniformarsi a un modello diventa negli anni novanta un problema tale che un’intera generazione si ammala di bulimia e anoressia. Incrociando queste tematiche con una forte tensione verso la forma classica si comprendono le performance di Vanessa Beecroft, che chiama ragazza per indossare abiti specifici, per muoversi lentamente senza guardare il pubblico per evitare di stabile con esso una qualsiasi complicità. Si compone così un’immagine che ha come motivo la ripetizione di se, della propria ricerca di bellezza, della propria ossessione per un corpo uniforme a quello altrui e rispondente a canoni benaccetti. Il vasto impiego di mezzi professionali – casting, truccatori, tecnici delle luci – dimostra che nella performance si è aperta una nuova fase. - Protesi, plastiche, mutazioni Da questi esempi emerge un altro elemento: quello del corpo mutante che espone l’impatto di protesi e altri innesti. Rebecca Horn inventa prolungamenti degli arti per comunicare: da cui performance come Arm Extensions, con le braccia prolungate da due lunghissime maniche rosse e il corpo costretto in una bendatura incrociata. Impedimento e sviluppo corporeo, evoluzione e involuzione si legano strettamente. Come a chiudere il cerchio, la libertà guadagnata negli anni sessanta diventa, tra aspirazioni al look e soggiacenza al controllo della tecnologia, una nuova prigione. supporto investito dalla pennellata dell’artista. È un’azione che contesta tutta la storia dell’arte figurativa occidentale, spostando l’attenzione dell’oggetto del quadro al soggetto che lo dipinge. Scolpisce da tronchi d’albero, le figure che emergono si impongono come presenze che si sollecitano a un’immediata identificazione e al tempo stesso appaiono compromesse dalla materia di cui sono fatte e dai riferimenti all’arte africana, come se alla prospettiva altra di un certo esotismo fosse possibile ritornare alla propria storia decostruendola e considerandola sotto un differente punto di vista. Massiccia presenza di tedeschi sulla scena newyorkese, è una generazione che pone l’essere tedesco come uno dei motivi privilegiati delle proprie opere. - La transavanguardia al di là della storia Con questa alla fine degli anni settanta si è passati a un’arte della rappresentazione in quanto l’opera denuncia volontariamente e con naturalezza l’impossibilità di darsi come misura di se al mondo. Attingere alla tradizione figurativa e pittorica è sintomo di una rivendicata libertà eclettica. Allontanandosi dalle certezze dello storicismo e della politicizzazione di ogni pratica, alcuni artisti sembrano valorizzare la sfera del personale, del frammentario, del particolare, del genius loci da contrapporre all’idealismo totalizzante e al seno di appartenenza a “una” storia che invita a considerare ogni avanguardia come una fase di un unico percorso dialettico e universale. Si assiste ad una de ideologizzazione dell’arte che non si traduce in oblio della storia, ma in un rivolgersi ad essa per recuperarne e deviarne i modelli così da lavorare “contro il tempo e, in tal modo, sul tempo”. Con gli artisti della transavanguardia si realizza pienamente quel “felice manierismo” capace di uscire dalla ripetizione del passato senza contrapporvisi. Ci si pone in una posizione laterale che consente un consapevole e creativo nomadismo nelle storie e nelle geografie. Sandro Chia nelle sue opere affronta la crisi di identità del soggetto contemporaneo nella cosiddetta epoca della fine delle ideologie; le sue tele danno sostanza all’imponderabile, a un impalpabile che pare trattenersi nella rotondità di corpi aerei. Spesso compaiono brevi testi che gli permettono di guardare con ironia la propria opera, come a mantenersi a debita distanza sia dalla scelta di uno stile sia dalla provvisoria compiutezza di ogni quadro per evitare di arrivare a sospendere la propria ricerca stilistica e formale. Parole sono dipinte anche all’interno delle tele di Clemente o di De Maria e sono la “materia” di poesie e di lunghi titoli attribuiti alle proprie opere da tutti e cinque gli artisti della transavanguardia. Per loro le parole sono soprattutto occasione di una libertà eclettica e di un gusto per un’intenzionale incoerenza narrativa che rompe con l’operatività analitica dell’arte concettuale, facendo del linguaggio non un modello, ma un pretesto per la pittura. Clemente sostiene che il compito del pittore è introdurre un oggetto nel mondo senza che si tratti della risposta a qualcosa, riconoscendo che un proposito simile è legato più all’ideologia della precedente generazione. Nel 1981 inizia una serie di opere intitolata Le quattordici stazioni: dipinti realizzati cercando di evitare un unico stile, ma assumendo per ogni lavoro una diversa personalità. Influenza di Alighiero Boetti che scelse la strada della doppia personalità con “Alighiero e Boetti”. Clemente nei Quattro quadretti per rompere l’esemplarità – 1976 - annuncia già la perdita del referente nella propria arte realizzando dei disegni che vengono ricopiati ciascuno come ombra dell’altro. Tutta l’opera di Clemente è segnata dall’apprendere e dal praticare in modo multiforme. Enzo Cucchi scopre nella propria terra e regione una forte spiritualità, a volte lugubre, che trasfigura in energia pittorica; le sue tele sono dense di pigmento e recano tracce di un uso del pennello violento e vorticoso. I dipinti non sono mai veramente bidimensionali grazie ai grumi di materia. A volte come supporti usa tavole lignee e fa sfociare i quadri in istallazioni e sculture che trasformano i materiali in segno puro. Al suo lavoro sembra far eco l’armonia, l’equilibrio e la soluzione dialettica dei frammentari motivi pittorici ricomposti da Mimmo Paladino. La sua pittura è un pacificato territorio di esibizione di un tormentato processo creativo che assimila e supera i conflitti della cronaca e della storia dell’arte per aspirare alla sacralità del classico. Lavori con carattere monumentale, dalla memoria eterna, soprattutto quando si tratta di scultura. Pittura e scultura si intrecciano quando l’artista lavora sulla tela con materiali poveri; a metà anni ’80 inizia a sagomare i telai con forme minimali da assemblare a parete in monocrome composizioni geometriche. A Napoli dimostra come sia in grado di dominare anche lo spazio urbano oltre a quello della tela, con l’installazione Montagna di sale, creando una sospensione e un incanto nell’irriflessivo fluire del mondo. La pittura di Nicola De Maria invece si offre nella dimensione intime dello spazio in cui esporre. I suoi quadri sono dipinti con tratti delicati, la sua arte murale monocroma (blu, rosso o giallo) allude all’opera come universo autonome da percorre secondo un itinerario dell’immaginazione, già dai titoli come Viaggio nel regno dei fiori dentro il pittore del 1982. È un arte al chiuso visionaria e spirituale, un’evasione richiamata anche dalle valigie dipinte o lasciate nella stanza, nelle quali è dipinto un quadro invisibile al pubblico secondo una dialettica che “opera un rovesciamento per cui l’esterno è contenuto nell’interno e la sua opera è sempre contributo alla ricerca interiore”. - La pittura in Europa: istruzioni per l’uso Il 1980 è anche l’anno dell’affermazione di pittori americani e non solo. I musei si aprono a questa nuova generazione di artisti e al nuovo spirito nella pittura, uno Zeitgeist, ovvero spirito del tempo, al quale concorrono le esperienze di artisti provenienti da contesti e paesi differenti. La transavanguardia, che ha echi e corrispondenze in Europa e Stati Unti, ha un ampio sostegno critico e visibilità grazie alla pubblicazione di un volume nel 1982, Transavantguarde International. In realtà il ritorno alla figurazione nel vecchio continente è molto eterogenea. In Francia Alberola propone quadri apparentemente allegorici e narrativi, con una forte matrice concettuale che lo avvicina a Garouste, per il quale “i significati nascono dall’enigma proposto dagli elementi dell’opera, dalla sua posizione nello spazio e dalle sue relazioni con eventuali altri oggetti”. In Francia prevale quindi l’approccio concettuale che favorisce il recupero della pittura. In Gran Bretagna il dipingere entra a far parte della grammatica di artisti che provengono dal concettuale o dalla performance. Dimitrijevic porta sulla tela l’ironico modo di affrontare la dicotomia natura/cultura caratteristico delle sue installazioni. McLean invece trasferisce il dinamismo delle proprie performance in opere dipinte con acrilico su carta fotografica, un supporto scivoloso e compiacente alle fluide e rapide pennellate dell’esuberante artista. Per entrambi il dipingere è uno dei diversi mezzi che hanno utilizzato nelle rispettive carriere per il loro specifico pensiero sull’arte. Nella penisola iberica i quadri folkloristici sono il modo per uscire dall’isolamento culturale conseguente alla lunga dittatura vissuta. Il maggiore riconoscimento è quello tributato a Barcelò. I suoi quadri sono accumuli intensi e dinamici, plastici e colti, con rivisitazioni ironiche di modelli delle avanguardie storiche. - La scena “riconfigurata”. Pittura e scultura negli “Eighties” Se la cultura europea vuol dire rimando continuo a matrici e modelli culturali, al contrario la cultura americana lavora sul prolungamento del proprio presente. In un mondo standardizzato e modulare (grattacieli NY) la ripetizione e l’accumulo quantitativo di unità omogenee sembrano fornire la strategia per riflettere quel paesaggio e quello stile di vita già tematizzati dalla serialità e dalla Factory di Andy Warhol, così come dalla geometria della scultura minimalista. Alla fine degli anni settanta l’iterazione di elementi visivi prelevati da modelli figurative di culture locali da origine alla pattern painting (maggiori rappresentanti Zakanitch e Kushner). Inoltre sempre artisti americani sembrano recuperare e spesso trasgredire la bidimensionalità della tela in una maniera memore delle opere di Jasper Johns, Jim Dine e soprattutto dei combine paintings di Robert Rauschenberg. La pittura contaminata di David Salle è molto sensibile all’immagine massmediatica al punto che sperimenterà direttamente anche il linguaggio cinematografico, mezzo che usa (in Search and Destroy 1995) anche per chiarire gli obbiettivi della propria pittura, cioè la fluidità e la sorpresa nella connessione delle immagini che si realizza nel montaggio filmico, secondo un’alchimia per la quale la successione di due sequenze le trasforma in altro, in una sorta di impensata terza immagine. Altri artisti, definiti come Metropictures, utilizzano invece un approccio più critico e concettuale, che espongono a NY e nel giro di pochi mesi le gallerie newyorkesi e il mercato internazionale decretano il successo del cosiddetto “ritorno alla pittura”. Sono soprattutto le individualità di David Salle e Julian Schnabel a interpretare la pittura come proficua inattualità, libero terreno eclettico. La stratificazione sulla tela diviene un tentativo di dare forma armonica alle visioni eterogenee che per Salle provengono dall’osservazione diretta e non dalla storia dell’arte. Per Schnabel la giustapposizione di materiali avviene su sfondi che sono spesso trovati dall’arti, impiegati per fare incontrare la propria pittura con qualcosa che già contiene sedimentazioni culturali o almeno una storia. Lui avrà sempre grande attenzione al simbolismo dei propri supporti e alla valenza a volte alchemica dei materiali da utilizzare. Invece i muri dei sobborghi urbani e le sotterranee arterie della metropolitana divengono il supporto della pittura dei giovani rappresentanti della graffiti art; la vernice spray riporta il “politico” nell’arte facendosi portavoce d’istanze libertarie e rivendicando attenzione per chi vive una condizione di marginalità come gli afroamericani o gli intoccabili colpiti dall’AIDS. Danno corpo ad un linguaggio immediato e spesso anche aggressivo. SAMO pratica quella che definisce una forma di poesia pubblica e utilizza il proprio pseudonimo come un sigillo notarile commentando ironicamente la nozione di possesso delle idee e delle opere. Con stesso spirito continua ad usare come sigla la stilizzazione di una corona, chiamandosi Jean-Michel Basquiat e dipingendo sulla tela immagine prese dalla strada, visioni infantili, simboli di morte, slogan politici, sempre con una straordinaria capacità di fare nascere la bellezza dal disordine. Keith Haring è l’autentico maestro della graffiti art; inizia la propria ricerca con studi sul linguaggio che lo portano a prendere in esame il valore iconico della scrittura e da vita ad un’iconografia prossima a primitive incisioni rupestri. Nelle sue immagini compare spesso la sagoma di “radiant boy”, una figura antropomorfa priva di connotazioni, una semplice ma flessibile silhouette animata da raggi che paiono annunciare quella che Haring definisce la de-evoluzione dell’uomo nell’era postatomica. La semplicità del suo design diviene una sorta di codice base con cui dar forma a personaggi animali e umani che riempiono spazio di tele, muri, cartelloni luminosi e materiali di recupero anche di piccole dimensioni che Haring dona ad amici per diffondere la propria arte “popolare”. Assemblare materiali obsoleti, adottare a iterare elementari moduli stilistici, ricomporre frammenti: pur con dovute differenze, analoghe attitudini sembrano diffondersi sia in America che in Europa. La scultura è stata considerata meno distante e certamente meno Folto il numero degli operatori che fanno ricorso alla fotografia come strumento di intervento concettuale sulla realtà. Gli artisti concettuali recuperano l’identità della fotografia nella nostra esperienza quotidiana e la applicano alle loro ricerche. Le ricerche del francese Boltanski sono impegnate a celebrare la dimensione del tempo perduto. Fotografia come memoria. Negli anni settanta la fotografia ha partecipato a quel clima di ricerca che aveva per oggetto il linguaggio stesso dell’arte. Il concettuale Paolini ha svolto prove fotografiche sullo sdoppiamento e la ripetizione. L’arte ha saputo raccogliere in quel periodo le tensioni e le istanze proveniente dal fenomeno del ’68. L’idea di partecipazione politica allargata si espande anche ai territori dell’arte e trova un’esemplare applicazione nell’installazione della cabina automatica per fototessere realizzata da Vaccari alla Biennale di Venezia del 1972. Il pubblico, era invitato a costruire direttamente l’opera, lasciano sulle pareti della stanza una traccia fotografica del proprio passaggio. - Anni ottanta e novanta È in questo clima che finalmente si manifesta a pieno la fusione tra fotografi artisti e fotografi puri; il motivo di questo fenomeno vanno sostanzialmente individuati nella ormai totale liberalizzazione dell’operatività artistica acquisita con la stagione del concettuale. Sul finire degli anni settanta si diffonde nettissima la sensazione che ormai si posa fare di tutto. Fotografi e artisti si mescolano senza più pregiudizi con la consapevolezza di poter dialogare alla pari. Il cambiamento dell’atteggiamento nei confronti della fotografia nasce da un’evoluzione dell’identità estetica complessiva. I grandi protagonisti della fotografia della moda iniziano ad essere ospitati in musei e gallerie, tra i più emblematici abbiamo Bruce Weber e Helmut Newton. Quest’ultimo è il più efficace interprete del clima di lusso di quegli anni, le sue immagini fanno leva su una complessa rete di concettualità narrative. L’operatore che meglio riassume l’unificazione proposta dagli anni ottanta tra fotografia pura e arte è sicuramente l’americano Robert Mapplethorpe, che riesce a coniugare il perfezionismo formale della fotografia tradizionale con il coinvolgimento concettuale richiesto dall’arte. Trova il coraggio di far coincidere l’arte con le proprie scelte di vita e comportamento sessuale, utilizzando la fotografia per lavorare in una condizione di assoluta autenticità, di testimonianza più che di rappresentazione, facendo scandalo presso coloro che giudicava l’omosessualità come tabù inattaccabile. Negli anni ottanta si fa sempre più significativa la presenza sulla scena internazionale di protagoniste femminili. Nella ricerca fotografica uno dei nomi di maggior interesse è Cindy Sherman, seguito da Barbare Kruger e altre. Il lavoro della Sherman ha sempre posto al centro del proprio sviluppo il tema dell’identità femminile e quello della messa in scena dell’io. Interessante la serie intitolata Film Still, nella quale l’artista appare come protagonista di finti fotogrammi ispirati a un cinema-commedia da anni 50-60. Nelle serie più recenti ha cominciato a sostituire la propria presenza diretta con manichini e protesi artificiali, per sollecitare la riflessione sui fenomeni di alienazione sempre più spinti presenti nella nostra cultura. In Italia Ghirri, Chiaramonte, Basilico, Jodice, Guidi, Barbieri, tutti artisti presenti nella mostra “Viaggio in Italia” del 1984, evento che può essere considerato una sorta di manifesto di questo gruppo che per altro non si diede mai una configurazione ufficiale. Tema comune: paesaggio nuovo o comunque visto con occhio diverso rispetto ad una certa tradizione fotografica. Indagato molto l’aspetto degli accavallamenti e sovrapposizioni, lavorano sulla resa del rapporto che si stabilisce tra uomo e ambiente. La fotografia conferma una propria vocazione ben distinta da quella della pittura, un’identità da medium, da strumento atto alla mediazione fisico-concettuale con il mondo. C’è una nuova sensibilità anche nei confronti dell’aspetto espositivo, si sente la necessità di instaurare un dialogo con l’ambiente e con lo spazio dell’allestimento. L’arte non si presenta ormai più come semplice evento visivo, la fruizione dell’opera tende a farsi più globale, polisensoriale, anche la fotografia quini risponde a questa esigenza. Negli anni novanta proseguono e si intensificano alcuni aspetti già emersi nelle ricerche precedenti. L’uso del mezzo fotografico si fa ancora più diffuso; tra i tedeschi si mette in luce Thomas Ruff, con una serie di ritratti realizzati in dimensioni gigantesche, realizzate freddamente (atteggiamento di impassibilità e di distacco ereditato dai suoi maestri Becher). Nella ricerca degli anni novanta si assiste a un nuovo ulteriore rilancio delle tematiche legate al corpo e alla sessualità in particolare, partendo dalle ipotesi di cambiamento e manipolazione estetica offerte dalla scienza medica e dalla cultura che ormai rende concepibile plasmare il proprio corpo a piacimento. Molti artisti di questa generazione ne rimangono coinvolti; la fotografia entra in campo dimostrandosi il miglior mezzo per mantenere conservare e attestare gesti e comportamenti. I lavori sul corpo ripropongono le strade già manifestate in precedenza: da un lato verificare i limiti fisici del corpo, dall’altro sfidare la frontiera dell’immaginario e la frontiera da se. Sul primo versante la presenza più vistosa è quella della francese Orlan che ci introduce tramite foto e video all’interno delle sale chirurgiche dove sottopone il suo corpo a interventi traumatici. Per altri corpi si tratta di trasformazioni solo virtuali inquietanti grazie alla tecnologia digitale (van Lamsweerde). Più giocose sono le trasmigrazioni di identità proposte dal giapponese Morimura che si è calato con in ironia nei panni di mitiche eroine cinematografiche. L’ossessione sessuale torna nell’opera dell’americano Andres Serrano, autore giudicato agli esordi scandaloso per la sovrapposizione tra sessualità e tematiche religiose proposta nei suoi lavori. Caratteristica fondamentale di questi artisti degli anni 90 è certamente la forte dose di personalizzazione che emerge dalle loro ricerche. Temi dell’identità, del corpo e della sessualità che sono al centro dei loro interessi non vengono mai affrontati dall’esterno ma assunti in prima persona, esito di una partecipazione diretta. Vedi l’americana Goldini, che è interessata alla forma del diario intimo, autrice nella sua opera di un lungo racconto ambientato nella vita stessa dell’artista. Vicino alla sua poetica è considerato il tedesco Wolfang Tillmans, che rinforza la sensazione di fotografia come diario personale con particolari allestimenti. L’abolizione del privato o la sua messa in comune è un altro tratto caratteristico per dell’arte degli anni novanta. Per quel che riguarda le dimensioni, quelle ridotte sembrano aver lasciato il posto ai formati extra large, imposti dalla scelta di privilegiare un’identità concettuale del mezzo: quella che attraverso un’evocazione sempre più coinvolgente del reale pone chiaramente la fotografia come erede ufficiale del readymade duchampiano. La fotografia ha finito per manifestare in modo netto altre parentele e altre afferenze, ricollegandosi alle operazioni più antipittoriche proposte dall’arte del ventesimo secolo. VIDEO ART L’attuale presenza del video è oggi elemento che non è più quasi rilevato come entità forte, così come avveniva in anni passati. Due decenni di progressiva assuefazione a ritmi sempre più concentrati e da un approccio a un’estetica che è stata definita da videoclip e pubblicità, hanno diffuso sempre più una sensibilità e una capacità di riconoscere e codificare i linguaggi visivi. Cioè avviene negli anni in cui il cinema è divenuto il paradigma di riferimento per più di una generazione d’artisti visivi. Una sensibilità diversa e capacità legate a un’operatività non lineare, mobile, discontinua, eccentrica, hanno ridisegnato le ipotesi di lavoro con l’immagine elettronica; la riflessione innescata nelle ricche potenzialità visive e descrittive delle immagini elettroniche, ha già dimostrato quali immense possibilità offrano le sempre più flessibili potenzialità dei mezzi tecnologici. Sviluppatosi in una dicotomia tra il campo del visivo e il campo del naturale, nell’arco di pochi decenni il dominio del video ha fagocitato l’insieme dei media visuali, del design, della performance art. È una forma artistica complessa che difficilmente si presta a una singola prospettiva interpretativa. - Di alcuni usi della tecnologia La diffusione della tecnologia ha comportato, fin dalla fine degli anni sessanta, una ridefinizione costante con il pubblico e con il sistema dell’arte. La forza del video ha trovato concreta espressione proprio in quegli anni in cui il sistema dell’arte passava da un’economia della produzione più semplice a diverse e più stratificate forme d’affermazione. Infatti le tendenze più significative scandiscono le fasi di trasformazione che hanno marcato i rapporti tra tv e consumo pubblico. Dagli anni ottanta la fiducia di cui il video era stato inizialmente investito va scemando. Per un decennio sembrò che il video potesse portare alla democratizzazione dell’arte. Dalla posizione marginale e sperimentale, il video divenne protagonista attraverso varie incarnazioni. Una delle potenzialità del video era la trasmissione in diretta, live, e da questa molti lavori si svilupperanno a partire dagli ambienti costruiti con dispositivi video a circuito chiuso. Il sistema stesso delle gallerie e delle ferie internazionali ha sostenuto e promosso una specifica attenzione al video. E seppure per molti anni iniziali il nuovo mezzo si sia appoggiato a una precarietà di strutture produttive e distributive, trovando spesso rafforzamento in gruppi prima che nelle grandi istituzioni museali, è proprio da queste ultime che ha ricevuto la consacrazione definitiva. - I fondatori Nam June Paik, lavora a Colonia ed esordisce sulla scena europea come performer e compositore d’avanguardia. In pochi anni s’interesserà però alla scoperta e all’esplorazione delle molteplici potenzialità racchiuse nelle radiotrasmissioni televisive, sottoponendo le regolari tele-trasmissioni a esperimenti con magneti, e nell’estate 1962 intraprende una serie di esperimenti sui tubi catodici e sulle possibilità di modulare le immagini elettroniche. Nel 1963 Paik e Wolf Vostelli presentano i loro primi esperimenti con le immagini, con un evento che verrà ricordato come l’inizio della videoart in pubblico (dispone sul pavimento, assieme ad altri oggetti, tredici televisori preparati per la distorsione delle immagini). Nel 1965 l’utilizzo di video e trasmissioni in tempo reale si diffonde con esempi rilevanti, come nel caso di Wolf Vostell e Les Levine. Martha Rosler, grazie ad un occhio lucido e disincantato, ha incluso negli anni un vasto ventaglio di temi di discussione critica, producendo sempre contributi fondamentali. Incrocia in maniera proficua diverse discipline e aree di analisi, dalla spera pubblica alla vita quotidiana, fino ai ruoli e alle responsabilità sociali dell’architettura moderna. - Video Installation Art Le variegate aree d’indagine della ricerca video in breve si sovrappongono e si sorpassano, conquistando sempre più spazio espositivo. Dagli inizi degli anni ottanta il video tende a diventare videoscultura; nascono i videoambienti quali estrinsecazioni della riflessione sul transitorio, mutevole, indescrivibile dell’elettronico. Presto si parla di video installation art; è significativo che la scena coinvolta nel portare avanti tali esperienze sarà davvero estesa territorialmente e produttivamente. La Documenta del 1977 è un grande evento internazionale dedicato al concetto dei media, caratterizzato da una vera e propria enfasi sulla ricerca tecnologica; le trasmissioni televisive sui video d’artista della D6 vengono proiettate in nove serate: il video comincia a guadagnare una prima salda posizione di piena visibilità in seno alla società. La Francia si pose in una posizione d’avanguardia nel mondo grazie alla biennale di Parigi 1977 e al Centre Pompidou che, appena aperto, rappresenta una svolta nella concezione museale (laboratorio e sperimentazione). Alla conclusione del decennio vedono luce due fra le più importanti manifestazioni, che diverranno di riferimento per l’intensa riflessione teorica: Ars Electrica (Austria1979) e VideoArt Festival (Svizzera, 1980). La nuova attenzione e curiosità nei confronti del video creano diverse occasioni per grandi manifestazioni in giro per l’Europa. Collaborazioni più strette degli artisti con i centri di ricerca e di progettazione delle nuove tecnologie permettono sensibili innovazioni che però comportano alti costi in termini di tempo e risorse impegnate. La progettazione di complesse installazioni diventa un mezzo privilegiato per indagare i rapporti tra discipline diverse in un’ottica di compresenza e dialogo, ottenendo una sintesi pluridisciplinare e spettacolare. Del resto sono gli anni di sempre maggiori collaborazioni tra le arti della scena e la tecnologia elettronica. Nuove generazioni di registi e coreografi intessono collaborazioni con alcuni creatori video, realizzando affascinanti e innovativi lavori e scambiando le rispettive esperienze. Figura esemplare della tendenza a rivendicare all’installazione video una complessità e una ricchezza inedite è lo statunitense Bill Viola, che fin dai primi anni settanta ha adoperato il video (l’elettronica, precisamente) per una costante esplorazione fenomenologica attraverso forme di percezione sensoriale quale via all’autoconoscenza. L’attenzione dell’artista si focalizza sull’esperienza umana più universale, il ciclo di nascita, crescita e morte attraverso i suoi stadi vari. Le sue ricerche hanno contribuito ha rinnovare le possibilità del video come una delle forme più vitali e innovative dell’arte contemporanea, cercando di espandere gli orizzonti sia in termini tecnologici che di contenuto. Crea ambienti globali che assorbono lo spettatore sia a livello visivo che sonoro. - Mass media e realtà mediatica Agli inizi degli anni ottanta, lo sviluppo della tecnologia permette di abbassate i costi e migliorare la qualità delle produzioni. I mezzi sono sempre più flessibili. La generazione di videoartisti dal confronto serrato e graffiante con la società dei consumi mutano una visione sempre più ironica e parodiata. Dara Birnbaum già nel 1978 apre la strada alla rilettura di frammenti della produzione d’intrattenimento di massa visti quali modelli esemplari di condizionamento. Negli USA (California) nascono collettivi di attivisti contro-informazione, artisti che si dedicano ai simboli e ai miti della società moderna, le onnipresenti presenze di tv e pubblicità, le dinamiche tra arte e commercio, capitalismo e forme di discriminazione. - Punto di non ritorno All’alba degli anni novanta, una sempre maggiore consapevolezza sembra farsi strada nel cuore delle grandi istituzioni in tutto il mondo: con il perfezionamento e il rafforzamento dei dispositivi tecnici, non solo molti musei continuano a tributare personali omaggi ad alcune figure che presto diventeranno di fama mondiale, ma si diffonde anche una più pronunciata sensibilità per la presenza dell’immagine elettronica in relazione all’insieme dei genere e delle tecniche già ampliamente sviluppatisi. “Passage de l’image” presentata al Pompidou nel 1990 è una vasta esposizione che cerca di fare il punto sulla situazione legata allo statuto dell’immagine; sono da poco nate nuove e più complesse riconsiderazioni sul terreno delle immagini riprodotte, sul loro ruolo, sulle potenzialità e sulle valenze. Portata in giro per il mondo, funge da riflessione allargata sui rapporti intercorrenti tra USA e Europa. Nel 1992 viene presentata sempre al Pompidou una retrospettiva su Gary Hill; egli rappresenta la complessità dell’artista in perenne evoluzione, una personalità chiave per seguire la trasformazione del fenomeno “video” in relazione ai periodi storici. Inizia dal 73 con riflessioni e variazioni sulle proprietà formali del video, per passare ad una fase più avanzata con l’interesse verso l’aspetto processuale, dove l’attenzione all’esperienza del linguaggio modella gli aspetti visivi. Nella seconda metà degli anni 80 si spinge oltre approfondendo lo studio delle relazioni fra semantica e osservazione analitica. Nell’utilizzo delle dinamiche fra immagine/suono e fra spazio/tempo, Hill ha sviluppato un lavoro sempre più ricco e complesso sulle possibilità di riflessione insite nel video, che sono forme di scrittura con immagini e suoni. Ha elaborato un’articolata riflessione che utilizza codici visivi differenti rifondendoli in un’unica opera. Tali rapporti tra le immagini e lo spazio che le circonda lo hanno poi spinto a creare installazioni sempre più ampie. - I protagonisti degli ultimi dieci anni La prima metà della decade sembra aver esaurito un ciclo storico, mentre dopo il 1995-96 molte nuove tendenze sono prepotentemente emerse. Se da un lato, parte della ricerca video ha continuato a sviluppare produzioni legate all’elaborazione e al trattamento di immagini astratte, molti artisti hanno utilizzato invece il video nelle sue possibilità più semplici, in relazione al dispiegamento di tecniche sofisticate create e impiegate negli anni di poco precedenti. Verso la prima metà degli anni novanta, si è assistito a un rinnovo del panorama creativo del video su scala internazionale. Computer graphic: Peter Callas (paesaggi pluristratificati, manipolazione di patrimoni iconografici del passato), Bill Viola (comunque in esplicito omaggio ed emulazione con la tradizione pittorica rinascimentale. Nel corso degli anni novanta si fa strada anche una sensibilità in cui emergono tendenze più spettacolari attente alla dimensione narrativa, ma anche esigenze ambientali che rileggono con spirito rinnovato il rapporto spaziale che la videoinstallazione intrattiene con i luoghi espositivi. La triade di artisti Gonzalez-Foerster, Huyghe e Parreno ha sviluppato un progetto multimediale sulla potenzialità legate alle affinità tra industria dello spettacolo e ricerca artistica, indagando sulle definizioni di cosa rappresenta un’identità: No Ghost Just a Shell. Sviluppato lungo l’arco di anni, ha un personaggio (Annlee) offerto a una serie di altri artisti, cui è stato commissionato di occuparsene per sviluppare una serie di narrazioni. Ogni progetto con questo personaggio diventa così un “capitolo nella storia d’un segno”, che ha una vita in rapporto alle attività dei singoli artisti e allo stesso tempo all’interno del progetto comune condiviso. Le misure di prolungamento della vita per un’esistenza a tempo, virtuale, ironizzano su pensieri di carattere quasi umanitario, testando i meccanismi economici coinvolti. Douglas Gordon ha elaborato un utilizzo forte e imponente del peso specifico delle immagini (spesso provenienti dalla storia del cinema ecc): quasi tutti i suoi lavori optano per una calibrata ed essenziale ricontestualizzazione derivante da installazioni sapienti e spettacolari. Candice Breitz ha un particolare talento visivo; ripartendo dalla prassi del cut-up ne ha estremizzato le caratteristiche creando brevi loop da registrazioni di famosi cantanti ecc., che diventano la rappresentazione concentrata e surreale delle primordiali pulsioni umane d’espressione e d’apprendimento. Stan Douglas si occupa di un’articolata elaborazione di macchine narrative sfruttando nuove tecnologie informatiche per sviluppare opere apparentemente simili al cinema, dove però non si ha nessun fine narrativo risolto, privilegiando l’analisi e la descrizione del processo comunicativo nel suo stesso farsi. Sadie Benning caratterizza i suoi lavori con posizioni più dirette e comunicative, rivolte alla rivendicazione di una sessualità lesbica. Situazione italiana: gli anni novanta a differenza degli ottanta non possono vantare una continuità e una presenza diffusa all’estero. La continua trasformazione della scena artistica internazionale ha visto eclissarsi molti degli importanti festival e appuntamenti che avevano agito come piattaforme di circolazione. Più che videoartisti, si sono affermata alcune generazioni di artisti plastici e visuali interessati a sviluppare le loro ricerche reinventando ogni volta mezzi e modalità d’uso del video. ULTIME TENDENZE DEGLI ANNI NOVANTA Felix Gonzlez-Torres, morto nel 1996 di AIDS, è stata la figura emblematica degli anni novanta, per come ha saputo parlare dell’esistenza attraverso un linguaggio nuovo, o per lo meno mai tentato in arte. La novità dipende dalla semplicità dei mezzi, dalla loro vicinanza ai luoghi e ai tempi della vita quotidiana. Ad esempio un mucchio di caramelle collocate in un angolo in una quantità pari al peso del corpo del suo compagno, costituisce un fatto scultoreo minimo, su cui lo spettatore può intervenire nel modo più diretto e gratificante che esista, mangiando le caramelle: in questo semplice atto di socializzazione c’è un pathos quasi religioso, appropriato per accompagnare il pensiero della morte, fonte di atti di affettività verso l’altro. Fa assumere agli oggetti più comuni significati nuovi e toccanti. Attraverso l’affettività, negli anni novanta l’arte contemporanea smette di sognare e si rivolge di nuovo alla realtà per come essa viene colta dall’esistenza di ciascuno, la descrive e ne produce una critica. Gli anni novanta cominciano a metà anni ottanta, con la crisi dell’estetica post-moderna; in arte significa l’allontanamento dalle teorie e dai linguaggi del neoespressionismo, che poneva al centro dell’operare artistico il soggetto creatore e il suo mondo interiore. Spesso la narrazione che l’artista intraprende prende spunto dal cinema: Eva Marisaldi, ad esempio, ricama su tele rettangolari le ultime sequenze di alcuni film famosi, o rifà attraverso cartoons altre sequenze d’azione sempre riconoscibili nella loro consequenzialità; si vuole appropriare della passionalità che lo spettacolo veicola e iniettarla nei linguaggi dell’arte. Molti artisti sentono questo bisogno di costruire un linguaggio che sappia parlare di passioni. La presa diretta col reale è caratteristica anche di molta arte inglese. Al di là di personalità come Damien Hirst, impostosi grazie ai suoi fortunati sforzi autopromozionali e al sensazionalismo delle sue opere (in primis gli animali dissezionati ed esposti in contenitori pieni di formalina), la nuova arte inglese propende ancora una volta per mezzi espressivi semplici, e per un rapporto il più possibile immediato con la realtà che intende descrivere. Sarah Lucas affronta gli stereotipi che nella comunicazione sociale afferiscono alla femminilità e alla sessualità, come un intento provocatorio di sovversione. La realtà è proposta come occasione di esperienza, e l’opera può diventare spunto per innestare relazioni interpersonali che avvengono nel qui e ora dello spazio e del tempo espositivi. Nel caso di Rirkrit Tiravanija spesso l’opera nemmeno sussiste, si tratta piuttosto di un evento collettivo, una cena, o un servizio offerto. La generazione degli anni novanta trova un rapporto organico col sociale, intervenendo sul piano della sfera esistenziale e dei rapporti interumani; la mostra diventa il momento in cui determinati momenti collettivi hanno modo di esplicarsi e l’opera un processo aperto a cui partecipa una moltitudine anonima di soggetti diversi. Fare dell’opera una fonte di esperienza è un modo per contrastare il regime della pura virtualità. In questo senso vanno le operazioni di artisti che lavorano direttamente nello spazio, trasformandolo in strumento atto a stimolare le facoltà percettive dello spettatore (Bartolini, Eliasson). Quando Vanessa Beecroft espone le sue ragazze discinte nelle gallerie o nelle sale dei musei, in realtà esterna da sé e moltiplica un’immagine che le appartiene e che nasce come idea di autoritratto; le ragazze sono esposte in qualità di sculture viventi, vengono osservate passivamente sottolineando il rapporto voyeuristico-espropriante che la nostra cultura visiva fa del corpo femminile. Anche nella pittura emerge il bisogno di partire da se: Elizabeth Peyton, ad esempio, dipinge sempre soggetti d’amore, siano essi personaggi che ha conosciuto o meno. La sua pittura nasce sempre dalla fotografia, di cui mantiene il taglio visivo: rimette al mondo l’immagine fotografica di partenza con una grande energia data dalla scelta cromatica e dalla trasformazione del soggetto in icona. L’istanza dell’esperienza e dell’autobiografia e della narrazione non esauriscono la complessità culturale elaborata dagli anni novanta. Va considerata anche la tensione riflessiva e analitica: il ricorso alle immagini è spesso accompagnato da una consapevolezza autoanalitica che non porta l’attenzione sull’opera ma sul sistema dell’arte in relazione al più generale sistema delle informazioni. Thomas Locher ha creato opere in cui gli agenti del sistema dell’arte, implicati col sistema economico cioè gallerista e collezionista, entrano nel processo artistico al pari del collezionista stesso, comparendo con le loro figure o il loro nome. L’intento di decostruire, con o senza ironia, i sistemi di comunicazione, tocca significativamente anche il cinema, che spesso è stato fonte di ispirazione per molti artisti grazie all’emotività che racchiude. Gli artisti che frequentano il cinema lo fanno per analizzarlo, sottoponendo a verifica linguistica le sue componenti espressive. Confronti tra cinema e realtà in modo implicito ed esplicito. Nel combattimento tra finzione e realtà che anima il decennio, l’immagine non viene più subita nella sua potenza di simulacro ma decostruita senza essere rigettata o elusa. Gli artisti vi ricorrono accogliendone tutto il suo potenziale di ambigua fascinazione, di allusività. Le immagini non si rivolgono più al pensiero razionale ma colpiscono sul piano dell’emotività, del pensiero intuitivo, dell’inconscio o dell’immaginario collettivo. Maurizio Cattelan è colui che meglio ha saputo operare alla costitutiva ambiguità delle immagini, con una sottigliezza e radicalità che ne fa personaggio emblematico del decennio. Ha realizzato opere capaci di diventare indicative di un modo di essere collettivo, attinente tanto all’esistere quotidiano quanto all’appartenere al mondo dell’arte, riuscendo a mettere in luce la specificità del contesto per cui le opere stesse sono create. Il narcisismo rovesciato nella parodia di se stesso è il modo tipico di Cattelan di trasformare la sua individuale insicurezza in forza propositiva. Tra le opere più recenti, il manichino del papa in grandezza naturale riverso sopra una moquette rossa perché colpito da meteorite. Sono opere che prendono senso dall’interpretazione del riguardante, l’artista non fa che lasciar agire tutto il potere significante dell’immagine. Con la sua carica auto ironica interviene in modo critico sulla natura ambigua che governa la società dello spettacolo. Gli anni novanta si concludono con l’apertura di questa stessa cultura ad altri contributi, provenienti da altre aree del mondo, al punto di mettere in discussione la centralità di cui l’Occidente ha fino oggi goduto nell’ambito della cultura visiva contemporanea. Entrano in gioco le culture di Africa e Asia: Neshat per l’Islam, Hatoum per il Medio Oriente, Cai Guo- qian per la Cina, Xhafa per l’Albania: col trasferimento di questi artisti nell’Occidente, anche quei paesi sono diventati punti di riferimento. Il valore del loro lavoro sta nell’essere testi aperti al confronto con le altre culture diverse, dove l’alterità non viene neutralizzata per omologazione ne spettacolarizzata come esotismo, ma diviene problema, necessità di confronto, fonte di contraddizioni. La posta in gioco è la trasvalutazione radicale dei nostri valori: è il rischio principe del mondo globalizzato, di cui l’arte diviene una delle articolazioni, sta a noi decidere quanto importante. PRATICHE ARTISTICHE IN RETE Questo termine coinvolge gli ambiti di ricerca creativa che dai primi anni novanta operano esclusivamente in internet o in stretta relazione con esso, condividendo caratteristiche comuni: manipolano a diversi llivelli semantici l’informazione digitalizzata e ne sfruttano l’ipermedialità senza cadere nel formalismo. Creano opere dai margini sdruciti, riproducibili e accessibili, aperte alla partecipazione attiva degli utenti. Parliamo di net.art. - Le tensioni della rete Internet ha una duplice valenza: struttura che coordina la trasmissione dei messaggi tra gli individui e pericoloso strumento di controllo dell’informazione. Tra questi estremi ci sono però spazi per la costruzione di una tela all’interno delle maglie dei percorsi convenzionati, dove gli utenti possono impiegare la tecnologia per qualcosa di diverso da ciò che era in origine, sviluppare attività che affrontano problematiche affini rispondendo unitamente alle strategie dei sistemi economici e politici con una controinformazione che mina lo strapotere dei media di massa. - Comunità artistiche virtuali e opere collaborative L’organizzazione delle strutture virtuali per il confronto e la discussione, la coagulazione di comunità tematiche virtuali, è stata una delle prime forme di concretizzazione di attività artistica in rete. The File Room di Antonio Muntadas, ad esempio, è una banca dati che teoricamente registra tutti gli episodi censurati della storia dell’umanità; nel sito le ingiustizie sono classificate in base a stato, periodo e tipologia. È uno strumento per la memoria collettiva sempre reperibile e accessibile, incrementata quotidianamente con l’aiuto di persone che diventano testimoni di un’informazione taciuta dai mass media. The Multicultural Recycler di Amy Alexander è un programma che, sfruttando immagini di webcam da tutto il mondo, permette di comporre bizzarri collage riciclando ciò che sono scarti della rete. - Dispositivi, strumenti per il détournement A causa di dinamiche monopolistiche, per molti utenti la rete ha assunto determinate interfacce. Alcuni artisti concentrano la loro attenzione sulla reinterpretazione ludica e libera del web, progettando programmi e siti che costringono l’utente a una navigazione incontrollata che agisce autonomamente trascinandolo in un sublime tecnologico in cui si perde. Mark Napier progetta browser come Shredder che mostrano altre facce della rete: ridotti a una lingua sconosciuta, cui non decifriamo i significati ma distinguiamo pittogrammi isolati, segnali in cui rimangono solo sottili riferimenti al mondo da cui proveniamo. L’arte si fa infraconcettuale, gli artisti trascendo l’universo della comunicazione umana. - Ipertesti La narrativa ipertestuale riformula la lettura. L’opera ipertestuale pensata per la rete perde i contorni, sfuma e si fa inafferrabile, negando la propria presenza. Own, Be Owned or Remain Invisible di Bunting è composto da continue riappropriazioni provocatorie che disorientano l’utente. Un testo critico dove quasi ogni parola è stata collegata ad un dominio.com, solo i termini che l’artista riconosce come esclusivamente propri e non commercializzabili rimangono intatti. Il balzo dal sito a un luogo estraneo avviene repentinamente, senza la presenza del contesto di riferimento. Tramite i collegamenti a siti commerciali l’artista denuncia il servilismo prestato dall’arte e dai centri di potere culturale consolidati alle dinamiche di mercato. Il vero spettro appare chiaro nella successione dei domini commerciali che sembrano colonizzare tutto il resto, trasformando il significato stesso delle parole e per estensione tutto il vocabolario umano in un compendio di sigle e marchi registrati. - Programmazione e codice Riguardo ai linguaggi di programmazione, Jodi e absurd.com riportano in superficie la zona sotterranea della programmazione, disegnando siti in cui un ibrido incomprensibile fa trapelare messaggi assurdi ed esilaranti. - Il binomio hacktivism e artivism L’attivismo sociale e politico che sfrutta l’hackeraggio per dar vita a pratiche comunitarie di opposizione ai poteri costituiti tramite la rete è in stretta relazione con la guerriglia mediatica attuata dagli artisti che utilizzano tattiche per provocare distorsioni creative dei tracciati informazionali. Hacktivism e artivism collimano in un attacco concreto alla spettacolarizzazione del mondo virtuale, predisponendo strategie comuni di difesa e di