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Riassunto Arte Contemporanea Poli - Appunti lezioni Portinari - Unive, Sintesi del corso di Arte

Riassunto del libro a cura di Francesco Poli con appunti delle lezioni della prof. Portinari.

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 22/06/2015

maumat
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Scarica Riassunto Arte Contemporanea Poli - Appunti lezioni Portinari - Unive e più Sintesi del corso in PDF di Arte solo su Docsity! NUOVI REALISMI E POP ART(S) I “prelievi” diretti della realtà prosaica e popolare (fumetto, manifesti, spazzatura, oggettistica) che si contrappone alla cultura dominante e all’”arte”. Negli anni ’50 le condizioni socio-economiche sono molto diverse, in Europa e negli Usa: qui c’è una forte spinta dell’idea nazionale e lo sviluppo della “società dei consumi”. Nascono anche nuovi sbocchi pubblicitari e promozionali a favore della “vita moderna”. Nell’ambito delle arti plastiche, gli artisti si oppongono alla modernità rappresentata dall’astrazione e confinata nell’introspezione  arte considerata elitista ed egocentrica per affrontare il reale e la società di massa. Termina la dimensione eroica dell’artista: il ruolo sarà sempre più anonimo e con un contatto più diretto con il pubblico. Nel contestare la modernità, gli artisti riattiveranno le avanguardie  Picasso e Duchamp (ancora attivi nel 2° dopo guerra) sono gli eredi dello spirito delle avanguardie e saranno i fari per le nuove generazioni. Questa nuova generazione di artisti oscilla tra il cubismo e il dada  gusto per l’oggetto quotidiano, uso delle tecniche del collage, dell’assemblage, del prelievo e della copia. Da questa fusione nascono le due correnti che si sovrapporranno durante gli anni ’60: “nuovi realismi” e pop art(s). I nuovi realismi: nouveau realisme, neo dada, junk art Il termine “nouveaux realistes” è coniato nel 1960 dal critico d’arte francese Pierre Restany (coalizione attorno ad un manifesto). Verrà esteso ad un gruppo di artisti americani (tra il neo dada e le prime sperimentazioni pop) che comprende Chamberlain, Jasper Johns, Rauschenberg, Robert Indiana  rappresentano i precursori della pop art ma è opportuno considerarli come l’espressione americana di un “nuovo realismo” che contesta radicalmente la supremazia acquisita dall’espressionismo astratto dopo la guerra  contestazione dei valori alla base dell’arte astratta e proposta di un’arte impegnata nel reale. Il collage, l’assemblage, il deplacemant e la performance sono le pratiche che permettono loro di porre al centro dell’arte l’oggetto reale, preso a prestito dall’universo quotidiano e triviale. Il realismo implica una relazione impegnata, di natura politica, al reale e introduce una differenza radicale nei confronti di un’arte astratta troppo “egocentrica”. Le premesse: l’Indipendent group Nasce a Londra nei primi anni ’50 ed è animato dal critico d’arte Lawrence Alloway: riflessione sulla nascente società dei consumi, nuovo paesaggio urbano, la meccanizzazione e la pubblicità. Rifiutano la distinzione tra arte colta e arte popolare, tra cultura inglese e americana, proponendo una estetica del reale fondata sulla pubblicità! Gli artisti principali sono Eduardo Paolozzi e Richard Hamilton. La riflessione è sull’arte e la produzione di massa, esortando gli artisti a sviluppare un’estetica dell’eccesso. L’esposizione This is Tomorrow (1956) segnerà il culmine dell’attività di quelli che saranno considerati i “padri della pop”. I neo-dadaismi americani Negli Usa, il ricorso al reale si iscrive nel processo stesso di costituzione dell’opera mediante l’inserimento nell’opera di elementi presi a prestito dal quotidiano e si afferma tra le fine degli anni 50 e l’inizio dei 60 come manifestazione del rifiuto di protrarre ulteriormente l’esperienza dell’espressionismo astratto. Fondamentali saranno le attività di John Cage e le esperienze collettive e interdisciplinari del Black Mountain College. Nel 1953 RAUSCHENBEG cancella un disegno di De Kooning, traducendo il desiderio di libertà degli artisti e la loro volontà di rifondare l’arte. L’uso di materiali di recupero, il calco, il riciclaggio, il collage sono modi diretti per affrontare il mondo. Pittura e scultura si riducono a una “combinazione di oggetti” (Rauschenberg chiama le sue opere combine paintings). Il postulato dominante è “iscriversi tra arte e vita” (Rauschenberg). Un gruppo di pittori rimetterà in vigore un tipo di pittura figurativa principalmente fondato sull’oggetto e sull’immagine quotidiana; si ricorre ad un’iconografia trovata nella strada o nei rotocalchi. Rauschenberg realizza BED nel 1955. Il “nuovo realismo” europeo Il 27 ottobre 1960 viene firmata la Declaration constitutive de Nouveau Realisme, redatta da Pierre Restany. Grazie al manifesto, si legittimano e teorizzano posizioni fino ad allora individuali e isolate. In tutti queste pratiche diverse si nota una esplorazione di nuovi metodi di percezione del reale. Gli artisti si proclamano testimoni e rivelatori della società del loro tempo. Abbandono del soggettivismo a beneficio di un’attitudine di ricettività che lascia libero corso al caso e ai procedimenti aleatori. I materiali si vanno a cercare tra i rifiuti, nei mercati e nelle carrozzerie  forte interesse per gli oggetti. Arman accumula oggetti banali (come le maschere a gas), Spoerri cattura le tavole dopo il pasto, Christo impachetta gli oggetti. Yves Klein espone il vuoto nel 1958  Arman il pieno  entrambi nella galleria Iris Clert!!! Nella compressione di Cesar è evidente la distanziazione dell’artista dall’esecuzione della sua opera. Dal movimento alla performance Gli happening svolgono un ruolo fondamentale nell’avvicinamento dell’arte e del reale operato dai nuovi realismi. Il movimento è la compente essenziale del lavoro di Jean Tinguely. Le tecniche usate sono nettamente distinte da quelle tradizionali: de-collage di manifesti pubblicitari (Mimmo Rotella), tavole imbandite (Spoerri), bidoni di rifiuti (Arman), fino agli spettacoli antropometrici di Klein e ai Tiri di Niki de Saint Phalle. Le opere costituiscono le azioni preliminari alla costituzione dell’oggetto d’arte nella coscienza del pubblico, il cui intervento arriva talvolta alla partecipazione. Tinguely realizza nel 1960 la macchina autodistruggente (Omaggio a New York) per il giardino del Moma. Legame tra Europa e USA: interesse condiviso per l’oggetto trovato per caso e la manipolazione, dettato anche da una serie di esposizioni comuni. Allan Kaprow presenta il primo happening nel 1959 a New York. La performance costituirà il legame comune tra diversi movimenti coevi fondati su estetiche e filosofie molto diverse tra loro, come la pop art, Fluxus, la minimal art, l’azionismo viennese. Tra il 1959 e il ’60 si arriverà, in Europa, alla definizione delle nuove linee di ricerca  non più il gesto libero e i grumi di materia pittorica propri dell’informale, con le conseguenti linee interpretative affidate ad una critica pensosa ma il rigore di una sorte di “ritorno all’ordine”, fatto di un rifiuto sostanziale del colore (cromofobia); realizzazione di opere neutre, elaborate da collettivi di lavoro, cioè gruppi che agiscono impersonalmente. Quasi contemporaneamente, tra Parigi, Milano e Padova (tra il ’59 e il ’60), si formano i principali gruppi che animeranno la scena dell’arte cinetica e programmata. Nel 1959 a Milano viene formato il gruppo T  Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Giovanni Anceschi, Davide Boriani e dal 1960 Grazia Varisco. Nel 1959 nascerà la rivista Azimuth, diretta da Enrico Castellani e Piero Manzoni, che testimonierà un malessere vissuto e la necessità di produrre opere diverse dai “quadri”. Nel 1957 a Dusseldorf nasce il Gruppo Zero  Heinz Mack, Otto Piene, Gunther Uecker. Nel 1959 a Padova nasce il Gruppo N  Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Gabriele Landi, Manfredo Massironi. NESSUNO DI QUESTI FIRMA INDIVIDUALMENTE LE OPERE, NEL NOME DI UNA POETICA E DI UNA PRODUZIONE COLLETTIVA. Colombo, lasciandosi alle spalle le premesse poste dallo sperimentalismo spregiudicato di Lucio Fontana, ha costruito situazioni spaziali para-architettoniche paradossali, destabilizzanti. Provenendo da una famiglia di industriali dell’elettricità, era stato in grado di adoperare con consapevolezza il mezzo elettrico per ottenere risultati differenti, ma sempre indirizzati alla manipolazione e all’alternazione degli stati di quiete della forma, reale o virtuale che fosse. L’affermazione europea di questa Nuova Tendenza è stata propiziata dal clima risultante sia da una serie di apporti disparati (compresa anche la pittura monocromatica) sia dalle proposte provenienti dalle posizioni espresse dalla Galleria Azimut e dalla rivista Azimuth. In ciascuno vi è la volontà di respingere una pratica della pittura giudicata estenuata ed estenuante e pertanto incapace di esprimere valori e significati di quell’era “spaziale”. Tra il 1960 e il 1968 è attivo a Parigi il GRAV (Groupe de Recherche d’Art Visuel)  Francois Morellet, Joel Stein, Jean-Pierre Yvaral, Horacio Garcia Rossi, Francisco Sobrino. Gruppo con una forte anima sudamericana. Loro sono contrari anche all’impiego della parola “arte”, intendendo collocare le loro ricerche “sul piano immateriale situato fra l’oggetto plastico e l’occhio umano”. Loro vogliono contestare l’elaborazione di opere per le elites e la dipendenza dal mercato dell’arte. Lo fanno creando opere moltiplicabili, cercando nuovi tipi di realizzazioni al di la del quadro e della scultura; liberare il pubblico dalle inibizioni prodotte dall’estetismo tradizionale. Il premio conferito a Le Parc nella biennale di Venezia del 1966 era già stato un segnale di ineludibilità dell’integrazione individuale al sistema: il gruppo si scioglierà ufficialmente nel 1968. Se gli ottico-cinetici erano andati contro il lirismo e l’autobiografismo informali, l’impersonalità seriale delle forme minimaliste contestavano non l’espressionismo astratto (da tempo storicamente concluso) ma piuttosto l’invadenza iconica della pop art. RICERCHE MINIMALISTE E ANALITICHE Insieme alla pop art, l’altra principale tendenza protagonista del radicale cambiamento del clima artistico intorno al 1960, in totale contrapposizione all’allora dominante soggettivismo espressivo e dell’informale europeo, è quella minimalista, in pittura e scultura. Una tendenza caratterizzata dall’antiespressività, dall’impersonalità e freddezza emozionale, dall’enfasi sull’oggettualità e fisicità dell’opera, dalla riduzione alle strutture elementari del linguaggio plastico e pittorico, con interventi bidimensionali, segnici e cromatici. Le ricerche riduzioniste e analitiche di Klein e Manzoni si possono considerare anticipatore del fenomeno americano, unico fenomeno al quale andrebbe applicato in senso stretto il nome “minimalismo”. In america, la divisione è tra SCULTURA articolati (installazioni ambientali):  DONALD JUDD  ROBERT MORRIS  CARL ANDRE  DAN FLAVIN  SOL LeWITT E PITTURA:  FRANK STELLA  ROBERT RYMAN  AGNES MARTIN  BRICE MARDEN  RICHARD TUTTLE  ROBERT MANGOLD Precursori:  BARNETT NEWMAN  AD REINHARDT La situazione europea è più complessa e frazionata, con ricerche individuali anche molto diversificate. Ad usare per primo la definizione di minimal art è stato il critico Richard Wollheim nel 1965. Termine inizialmente rifiutato dagli artisti perché considerato troppo riduttivo (altre etichette precedenti erano Cool Art [nel senso di fredda], Primari structures ecc.). Questa definizione si riferisce al contenuto artistico, costituito da oggetti indistinguibili dalla realtà quotidiana (come i ready made rettificati di Duchamp) o con valenze fredde, impersonali e assenza di forma articolate. Nel 1965 Barbara Rose analizzerà la nuova sensibilità fredda, giudicando sia i quadri POP di Warhol che il lavori di Stella come GROSSE COSE VUOTE, IMPERSONALI E ANONIME, FREDDAMENTE STERILI, RIPETITIVE dove soggettività e tragicità sono azzerate per lasciare il posto alla mera dimensione fattuale. Si vede il fondamentale ruolo sia di Duchamp (nei readymade vi è l’annullamento di ogni valore assoluto, l’indifferenza per la qualità formale ed espressiva dell’oggetto artistico, che è nient’altro che un oggetto direttamente prelevato dalla realtà quotidiana) che di Malevic (qui vi è una tensione verso la trascendenza, l’universale, l’assoluto  pittura ridotta a forme geometriche primarie, come il quadrato nero su fondo bianco del 1915 e il quadrato bianco su fondo bianco del ’18). Importante anche il contributo di Rodcenko e della sua teoria sul monocromatismo del 1921. La pittura minimalista americana Reinhardt ha come punto di riferimento essenziale Malevic, prendendo l’aspetto relativo alla riduzione purista della pittura, lasciando da parte il misticismo. Autore di una pittura “non oggettiva, non rappresentativa, non espressionista, non soggettiva”. Inizia i suoi quadri simmetrici monocolori nel 1951 e nel 1953 arriva a quelli neri. Newman realizza quadri con ampie campiture piatte di colore che si espandono in modo uniforme sulla superficie della tela, scandite solo da qualche striscia verticale di altro colore. Per il critico americano Clement Greenberg, la pittura è un oggetto bidimensionale autonomo: la pittura non deve far riferimento a nulla oltre a se stessa. Altro precedente importante è la serie White Paintings di Robert Rauschenberg del 1951. Frank Stella è considerato il primo importante esponente del minimalismo nella scultura (realizza i quadri Black Paintings el 1959-60, influenzato dalle bandiere e dai bersagli di Jasper Johns)  “La mia pittura è basata sul fatto che solo quello che può essere visto la è la. Quello che vedi è quello che vedi”. La volontà di Stella è quella di fare una nuova pittura, in assoluta opposizione rispetto a quella espressione astratta. Adotta schemi concentrici, simmetrici e ripetitivi nella stesura delle strisce nere dipinte sulla tela con un grosso pennello da decoratore. La grande dimensione delle tele accentua la forza d’urto visiva delle opere. A partire dal 1960-61 inizia a realizzare le tele sagomate (shaped canvas) con le Alluminium Series. Il rigore minimal verrà abbandonato per dar vita a composizioni che presentano elementi curvilinei e cromacità vivaci anche con caratteri pop. Agnes Martin (unica donna) ha una poetica meno fredda, rigida e impersonale: le sue sono superfici quadrate monocrome quasi bianche, ricoperte da una finissima griglia di linee orizzontali o verticali tracciate a mano a matita  vibrazione visiva. Robert Ryman ha portato alle estreme conseguenze il processo di riduzione minimale del fare pittura: non concepisce (come fa Stella) l’opera come oggetto, ma semplicemente come superficie pittorica. A partire dal 1959 lavora solo con il bianco, con pennellate su lastre di acciaio perché è un colore che “non interferisce”, neutrale  voglio fare un dipinto attraversato dalla pittura. La più grande mostra collettiva è “Systemic Painting” del 1966 curata da Lawrence Alloway al Guggenheim di NY. Gli scultori minimalisti americani Le prime mostre con installazione di scultura minimaliste si tengono a NY tra il 1963 e il 65. Sarà la mostra del 1966 “Primari Structures. Younger American and British Sculptors” al Jewish Museum di NY a sancire l’affermazione dei minimalisti e la specificità dei loro lavori. I minimalisti non attribuirono nessun significato dimostrativo alla modularità geometrica che utilizzano,e non sono interessati a implicazioni di carattere scientifico, filosofico o sociale come gli europei. In comune tra loro, gli artisti hanno:  Uso di consistenti volumi geometrici di diretto impatto visivo  Uso di unità primarie, monolitiche  Uso di elementi modulari standard organizzati in strutture aperte e sequenze seriali  Uso di materiali di tipo industriale e edilizio  Colori originali dei materiali oppure bianco e grigio Con le vide va oltre la pittura e il colore per dimostrare l’esistenza di “un’essenza immateriale dell’arte”: l’evento fu preparato con grande cura dal punto di vista mediatico e fu un successo scandalistico. La galleria è vuota e tutta verniciata di bianco, i vetri all’esterno sono in blu IKB e intorno alla porta di ingresso viene installato una specie di baldacchino con tendaggi sempre blu. Allo spazio vuoto e immateriale e puro di Klein si oppone quello pieno, caotico, intasato di cose impure e degradate, presentato nella mostra “Le Plein” (nella stessa galleria) da Arman (porta all’estremo il dadaismo di Schwitters). Riempie fino al soffitto con oggetti vecchi e da buttare. Provocatoria estetizzazione della dimensione più degradata e caotica dell’ambiente urbano in cui siamo immersi e di un’ironica e paradossale critica della società dei consumi. La caverna dell’antimateria di Pinot Gallizio Pinot Gallizio realizza nel 1959 un ambiente pittorico ancora legato ad una poetica pittorica informale, dovuta alle sue connessioni con le teorie situazioniste. La caverna dell’antimateria è un ambiente realizzato con 145 metri di tela dipinta, creando uno spazio di intensa ed esplosiva energia organica. Gli environment di Allan Kaprow Viene influenzato da John Cage e dallo spirito neo-dada degli assemblage, Kaprow porta alle estreme conseguenze la fusione dell’attività artistica con la vita reale (diretto intervento degli spettatori: non esiste il pubblico!). NECESSITA’ DI UN RAPPORTO PIU’ STRETTO TRA ARTE E REALTA’ VITALE. Kaprow è il primo a definire teoricamente le caratteristiche degli happening e degli environment. Ambienti pop di George Segal e Claes Oldenburg I due artisti dell’area pop americana che hanno dato il maggior contributo all’arte ambientale sono Claes Oldenburg e George Segal. Segal tenta di assorbire la dimensione dell’esistenza nell’opera d’arte: realizza calchi al vero di persone in atteggiamenti quotidiani collocati nei più diversi contesti di vita. Le opere appaiono come tranche de vie congelate (similitudine con le opere di Hopper). Oldenburg abolisce completamente la presenza umana nei suoi lavori, che sono segnati dal trionfo ironico e grottesco degli oggetti del quotidiano e del consumismo di massa. Ambienti minimalisti, concettuali, poveristi La maggior parte dei lavori degli artisti della minimal art possiedono una tensione estetica che deriva dal rapporto fra gli elementi plastici oggettuali e lo spazio espositivo. Alla fine degli anni ’60 la ricerca minimalista giunge alla realizzazione di veri e propri ambienti costruiti (artisti come Robert Irwin, James Turrell, Bruce Neumann et al. Sono ambienti che focalizzano l’attenzione sullo spazio, la luce, il suono, il tempo e il vuoto, tendono a creare delle situazioni di percezione sensoriale pura, assoluta, primaria, priva di caratterizzazioni particolari. Irwin e Turrell realizzano un ambiente totalmente buio e insonorizzato, in cui il visitatore, completamente isolato dalla realtà, arriva a percepire in modo amplificato la propria esperienza interna. Bruce Nauman realizza ambienti che analizzano aspetti primari della relazione tra corpo e spazio, con particolare enfasi sul comportamento del visitatore. Daniel Buren utilizza le bande colorate verticali come segnali per focalizzare l’attenzione su tutto ciò che l’artista ritiene importante evidenziare. Per Beuys vedi libro 113-114 Land art Land art è il titolo del film-documentario di Gerry Schum del 1969 che documenta i lavori di Walter DeMaria, Robert Smithson, Denis Oppenheim, Richard Long et al. Con questa etichetta (ma anche con quella di “earth work”, come preferivano chiamarsi loro) vengono definite quelle operazioni artistiche che vanno al di là degli spazi espositivi dell’arte, e anche delle aree urbane, intervenendo direttamente nei territori naturali. Sviluppo maggiore negli USA (grandi spazi desertici). I land artisti NON collocano delle sculture nella natura, ma utilizzano lo spazio e i materiali naturali direttamente come mezzi fisici dell’opera, attraverso interventi su grande scala. La quasi inaccessibilità dei luoghi e il progressivo degrado degli interventi tendono a rendere queste opere praticamente invisibili e immateriali. Quello che rimane da vedere (progetti, foto, filmati) si trova nelle gallerie e nei musei. Christo è noto per i suoi interventi spettacolari e scenici (come i vari impacchettamenti) o le barriere (come la running fence del 1972-76). Turrell ha lavorato per moltissimi anni all’interno di un vulcano spento. De Maria ha realizzato il “lightning Field” (1973-79), in una piana arida del New Mexico. Si tratta di 400 alti pali metallici disposti in sequenza regolare. Fondamentale la lentezza della visita e la sensazione di solitudine. Robert Smithson: vedi appunti!!! Opera fondamentale: spiral jetty, 1970. PROCESS ART E ARTE POVERA Le due mostre storiche e fondamentali, organizzate in parallelo ad Amsterdam e Berna nel 1969, propongono il più importante ed esaustivo quadro internazionale. Le divergenze tra Europa, America, Germania e Italia pongono in risalto l’originalità dei percorsi individuali, non annullando la comune appartenenza alla stessa epoca artistica. 1. STATI UNITI Process Art, antiform I titoli delle mostre di quel periodo aprono a nozioni che lasciano trasparire un’inequivocabile presa di posizione rispetto all’orientamento minimalista, impostato sull’organizzazione rigorosamente logica di anonimi e nitidi oggetti geometrici, standardizzati e prefabbricati. Interesse per procedimenti che eludono univocità e chiarezza, a favore di situazioni aperte, mutevoli, aleatorie. L’uso funzionale dei materiali è soppiantato da una libera manipolazione e sperimentazione della materia e delle sue possibilità di interazione con l’instabilità e la mutevolezza dei fattori contingenti. La preminenza del processo sul prodotto porta a situazioni di equilibrio precario. Attenzione su materiali che si lasciano sospendere, tagliare, piegare, strappare, riempire: che MUTANO NEL TEMPO. Questi materiali stimolano una libera manipolazione che riqualifica l’importanza del gesto, della manualità, del processo operativo, BANDITI TANTO DALLA POP ART QUANFO DALLA MINIMAL ART. I lavori presentati nel 1968 nella galleria di Leo Castelli a NY hanno in comune il principio di indeterminazione ma sono diverse i metodi della sua applicazione. Le opere sono limitate solo dal confine architettonico dello spazio espositivo; la loro durata è limitata al tempo della sua esposizione Land Art, Earth art In ambito USA, gli assunti antiformali e processuali trovano un significativo riscontro nelle ricerche designate come “land art” o “earth art”, sviluppate tra il 1967 e i primi anni ’7 da artisti come Micheal Heizer, Walter De Maria, Dennis Oppenheim e Robert Smithson. Questi artisti estendono il proprio campo operativo oltre i limiti dello spazio espositivo, intervenendo direttamente nel paesaggio naturale con azioni di incisione, sottrazione, demarcazione e dislocazione. I lavori hanno carattere effimero e spesso di loro non resta che una traccia fotografica o cartografica: ciò focalizza l’attenzione sul processo e l’esperienza in situ. 2. EUROPA Le attitudini “antiformali” maturate in Europa fra il 1967 e il 70 possono essere divise in 3 situazione:  Europa settentrionale: ricerche affini al contesto americano della process art, earth art e land art (Richard Long, Barry Flanagan, Jan Dibbets)  Germania: con l’epicentro artistico a Dusseldorf (dove insegnava Beuys)  Italia: centro a Torino, dove si concentrano le ricerche dell’arte povera  designazione coniata da Germano Celant nel 1967, è l’etichetta che designa i percorsi individuali di 13 artisti italiani: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, PP Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio. Flanagan, Dibbets, Long Caratterizzati dallo spirito antiformale e dall’approccio processuale di matrice statunitense, cosi come dalla volontà di scavalcare tutte le “cornici”. L’attività di Flanagan tra il 1966 e il 1971 si manifesta in operazioni elementari affrancate da ogni premeditazione formale: impilando sacchi di yuta, questi “si fanno da se”, assumendo una forma imprevedibile e amorfa; sono quello che sono. Dibbets realizza prevalentemente interventi all’aperto (come il taglio di un quadrato di erba, successivamente arrotolato). Nel 1967 Richard Long cammina ripetutamente in linea retta su un prato (A line made by walking): opera di durata effimera. Fondamentale in Long la relazione con le distanze fisiche e la presenza umana in territori desolati, a volte modificati con piccoli interventi circolari realizzati con pietre e materiali trovati sul posto. Nelle gallerie porta le informazioni (mappe, foto e text works) di queste azioni. Joseph Beuys Il lavoro di Beuys mostra un insieme eterogeneo e incongruo di oggetti e materiali organizzati tra parete e suolo, accostati o sovrapposti: una sorta di “cantiere” caratterizzato da condizioni e proprietà fisiche antitetiche. Ma ciò che si vede non funziona mai solo per quello che è: cosi il feltro è accumulatore di calore, il metallo conduttore di energia, il grasso è generatore di calore, la lepre animale simbolo dello sciamano. Per Beuys il calore è l’elemento evolutivo che consente la trasformazione di uno stato irrigidito in un nuovo stato di energia attiva. DAL CORPO CHIUSO AL CORPO DIFFUSO Le premesse storiche e culturali Tra le nuove tecniche che hanno caratterizzato il XX secolo, uno degli aspetti di maggiore impatto è stato ciò che definiremo “pratiche performative”. Si tratta di una galassia di procedimenti la cui base è generalmente il coinvolgimento del corpo dell’autore, dello spettatore o di entrambe le parti. Vi è una netta differenza tra happening, Fluxus, performance, body art, arte relazionale. Da una matrice romantica, che accentua il ruolo dell’interiorità dell’artista, nascono quadri, sculture o azioni fatte di impulso. Una premessa individuabile nelle pratiche surrealiste come lo sgocciolamento di Ernst e Masson, che aveva le radici nel dripping di Pollock. Questa matrice si contamina con la manipolazione del proprio corpo (autoritratti en travesti di Duchamp). Dal ceppo delle serate futuriste, invece, si prende lo spirito di stupire i borghesi, creando un processo in cui il singolo autore stimola la partecipazione collettiva e consente che la propria opera abbia margini indefiniti. Il percorso generale è quello che porta da una corporalità chiusa ad una diffusa! Il nuovo valore attribuito alla persona porta al bisogno di ripensare i rapporti con la corporeità, propria e altrui. In questi anni il corpo viene liberato dalle obbligazioni precedenti e questa liberazione si manifesta in tutti gli aspetti della vita quotidiana ma anche di quella artistica (nella danza non sono più obbligatorie le punte e i codici rigidi del balletto classico; nel teatro, con le formazioni del Living Theatre o del teatro povero di Jerzy Grotowsky). Le azioni nelle arti visive di questi anni, anche se spesso insensate e incomprensibili, sono evidentemente figlie di questo tempo di sperimentazione e radicale mutamento, di libertà e di nuovi canoni. Dal quadro gestuale alle prime azioni Georges Mathieu dipingeva spremendo freneticamente il colore da tubetti tenuti in mano, nel minor tempo possibile per non dare il tempo alla sfera razionale di contaminare l’espressione emotiva diretta. Entrerà in contatto con i membri del gruppo Gutai nel 1957. L’influenza di questo gruppo si rivelò molto significativa in Europa, interessando molto Yves Klein: per lui il corpo era il centro dell’energia sia fisica che spirituale. Nelle antropometrie ottiene i quadri usando come colore solo l’IKB e come pennelli il corpo vivente di numerose ragazze. Nel 1960, di fronte ad un vasto pubblico, arricchì l’esibizione con una Monotone Symphony. Esponendo (nel 1958) il vuoto, punta ad una piena sensibilità, per poi venderla dietro compenso di foglie d’oro che disperderà nella Senna; nel frattempo offriva cocktail blu che rimanevano nelle urine dei visitatori per giorni, spostando l’opera dal corpo dell’artista a quello collettivo. Atteggiamento simili in Manzoni, in cui è ancora più evidente il passaggio dall’io al pubblico. Date queste premesse, attorno agli anni ’60 gli artisti si sentirono liberi di presentare se stessi in carne e ossa, esasperando il potere sciamanico della fisicità o usandola come via per rendere pubblico un disagio. L’Aktionismus viennese Tra la malattia mentale e rito si collocano le attività del Aktionismus viennese. Gli azionisti mostrano se stessi nelle condizioni più estreme: Hermann Nitsch si è fatto crocifiggere e ricoprire di sangue (1962). Gunther Brus ha camminato nudo per il centro di Vienna, con una sutura nera al centro del cranio. Grande utilizzo delle funzioni corporali (urine, feci, masturbazione). Anche se in termini amplificati, anche qui ritroviamo il senso austriaco del peccato che tocca la sfera fisica, ma che nel dolore e nell’orrore vede la via di purificazione. In tutte queste azioni, il pubblico è escluso dal processo attivo, riproponendo la stessa opposizione opera/spettatore che connota il rapporto tra quadro e sguardo di chi lo assimila. Il contributo di Joseph Beuys L’unico performer che è stato in grado di creare un rapporto empatico con il pubblico è stato Joseph Beuys. Meno crudo delle immagini generate dagli austriaci, ma mosso da una simile volontà di sottolineare l’aspetto rituale e sciamanico delle azioni artistiche. Salvato da una tribù di tartari dopo un incidente aereo, Beuys elevò i mezzi con cui venne guarito a elementi simbolici universali del curare, non solo la persona ma l’umanità, la civiltà, la natura. Il feltro della coperta e il grasso ricompaiono in decine delle sue azioni. A questi elementi si aggiungono di volta in volta animali, oggetti, materiali preziosi. Le sue azioni più famose ebbero una preparazione quasi teatrale: in “Come spiegare la pittura ad una lepre morta” (1965, Galleria Schmela, Dusseldorf), l’artista, con il volto ricoperto da una foglia d’oro, faceva toccare all’animale con la zampa quei quadri che avrebbe potuto capire con il tatto meglio degli uomini con la vista; durante questa azione, il pubblico era fuori dalla galleria e poteva solo ascoltare quello che l’artista, in una lingua incomprensibile, diceva alla lepre. In “I like america and america likes me” (1974, Galleria Rene Block, NY) arrivò in america con una coperta di feltro e visse 5 giorni chiuso con un coyote, cercando di comunicare con esso, assumendolo come simbolo sia dell’america selvaggia, sia del suo sogno capitalista. L’indagine interpersonale negli Stati Uniti Negli USA le relazioni tra individui, tra anni ’60 e ’70, vanno letto in connessione alla mutazione delle relazioni tra persone non solo di classi ma anche di razze, etnie, continenti. Solo ora si inizia a porre veramente il problema di come integrare le etnie. Le azioni di Vito Acconci si sono svolte all’insegna del rapporto tra la persona e il pudore, dei limiti invalicabili oltre i quali una relazione tra individui si trasforma in fastidio o insulto. Ha cercato di avvicinarsi talmente tanto da superare quella barriera di sicurezza tra individui fino a suscitare una reazione di difesa e aggressività. Chris Burden (Shoot,1971) si fece sparare ad un braccio da un amico. Adrian Piper esibiva la differenza, spesso generando reazioni altamente aggressive. Performance come protesta nei paesi dell’Est Europa -- Essere femmine Il rapporto io/tu diventa drammatico attorno al tema dell’emancipazione femminile. Il lavoro di Gina Pane è sintomatico, con il suo autolesionismo e l’uso di elementi figurativi ben definiti (le vesti bianche, le rose, i rasoi). La storiografia da grande importanza all’attività performativa di Marina Abramovic. Le sue opere appaiono come il frutto di una preparazione che ricorda quella dei gimnosofisti e di tutti coloro che hanno sottoposto il proprio corpo a forme di disciplina che potevano essere considerate come insegnamenti spirituali. In Rhythm 0 (1974) l’artista serba di offriva sdraiata al pubblico, a disposizione di chiunque volesse usare su di lei uno degli oltre settanta oggetti posati su un tavolo. Le sue performance con il compagno Ulay parlavano dei legami collusivi che si creano all’interno della coppia. Fortissima in lei la componente sacrificale e purificatore. Il corpo narciso Esiste anche un ceppo della performance che nasce dal travestimento, dall’esibizione di un corpo separato dall’identità di chi indossa il travestimento. Statue viventi è la definizione che hanno dato di se’ Gilber&George. L’operato della francese Orlan risente ancora della cruenza tipica delle prime performance ma si serve di un vocabolario nuovo per mostrare la nuova schiavitù ai dettami della seduzione: si sottopone a estenuanti operazioni di chirurgia plastica, trasformando la sala operatorio in un atelier. E’ incrociando le tematiche legate alla canonizzazione della bellezza e ai problemi a questa legati che si comprendono le performance di Vanessa Beercroft: in lei è evidente come l’evento si presenti come un set cinematografico e la regia è molto più vicina a quella teatrale. Protesi, plastiche, mutazioni Emerge anche il corpo mutante che espone l’impatto di protesi e innesti. Antesignana fu la tedesca Rebecca Horn che incominciò ad inventare prolungamenti degli arti. In questi anni, la libertà guadagnata negli anni ’70 diventa, tra aspirazioni al look e soggiacenza al controllo della tecnologia, una nuova prigione. Eventi di gruppo: happening, Fluxus, arte relazionale In un contesto influenzato dalle esperienze di Rauschenber e Cage, si formò colui che per primo avrebbe dato una teoria a ciò che egli stesso definì happening, Allan Kaprow. Il termine è connesso alle idee musicali di John Cage, in quanto implica l’accettazione di quanto accade all’interno di un tempo e un luogo prefissati. In questi eventi una parte era stata decisa dall’autore, lasciando libero il pubblico di dare forma compiuta all’operazione. La sua prima realizzazione pratica sono i 18 happenings in six parts (Reuben gallery di NY nel 1959). Gli intervenuti erano invitati a svolgere le attività più diverse, a seguire istruzioni su cosa fare: fu la prima opera in cui il pubblico, da semplice spettatore, diventava anche autore e in cui l’aspetto estetico dell’opera cedeva il passo all’importanza dell’intenzione umana. In Yard (1962) il pubblico era invitato a interagire con una stanza piena di vecchi copertoni, avendo la libertà di fare quello che si voleva. I fondatori Nam June Paik esordisce sulla scena europea come performer e compositore. In Germania si interesserà alle potenzialità racchiuse nella radiotrasmissione televisiva, sottoponendo le regolari tele-trasmissioni a esperimenti con magneti e dall’estate 1962 inizierà a lavorare sulla possibilità di modulare le immagini elettroniche. Nel 1963, alla Galleria Parnaso di Wuppertall, Paik e Wolf Vostell presenteranno i loro primi esperimenti con le immagini. Il modello era quello dei pianoforti preparati di Cage mista con l’inventiva dei Fluxus, con un personale tocco di spiritualità zen: Paik dispone sul pavimento 13 televisori preparati per la distorsione delle immagini  INIZIO DELLA VIDEO ART IN PUBBLICO. In quegli anni conoscerà Charlotte Moornam, che sarà sua compagna e con la quale sperimenterà molto. Nel 1965 ha la possibilità di utilizzare uno dei primissimi videoregistratori portatili, il portapak della Sony: questa “liberazione”permetterà al suo spirito giocoso e vicino alle filosofie Zen di dedicarsi ad un’arte elettronica non prigioniera della macchina ma in grado di sapersene servire e distaccare. La nuova danza e la musica sperimentale covarono le prime esperienze di utilizzo del video in contesto live. Nauman sviluppa azioni ripetitive in tempo reale, testando limiti e possibilità del processo artistico nel suo farsi. Porta avanti come in un flusso ininterrotto l’esecuzione di un’attività corporea, “senza inizio né fine” ma con la “tensione dell’attesa di qualcosa che potrebbe accadere”. Nauman inizia a realizzare “i corridoi” nei quali la condizione percettiva è d’impersonalità verso se stessi, ogni visitatore è disorientato. L’attività di Dan Graham si è sempre spinta a sradicare le tradizionali barriere tra opera, spettatore e ambiente, utilizzando in modo originale e precursore i ritardi (time delay), le proiezioni e ri/trasmissioni, gli specchi e le tecniche di videosorveglianza. L’esperienza della tv creativa Nel 1969 Gerry Schum apriva a Berlino la “Tv gallery”, dove iniziò a programmare mostre che venivano trasmesse via televisione sul territorio. La prima di queste fu ”Land Art” (artisti: Boezem, Walter De Maria, Jan Dibbets, Barry Flanagan, Micheal Heizer, Richard Long, Dennis Oppenheim, Robert Smithson), trasmessa dalla WDR, il primo canale della tv tedesca, il 15 aprile 1969. Nei suoi intenti questo permetteva di superare i ristretti circuiti di studio/atelier- collezionista-museo, per cercare di mettere l’arte d’avanguardia alla portata e alla comprensione di tutti. In Italia, nel 1972, Maria Gloria Bicocchi fonda a Firenze Art/Tapes/22, centro per la produzione e distribuzione di video d’artista. I nastri realizzati coinvolgo artisti italiani, europei e americani: anche Bill Viola collaborerà in questo esperimento. Gli “elettronici” e le nuove ricerche Nei primi anni ’70 in America vengono introdotte, in sedi importanti, delle buone rappresentanze di ricerche condotte con/sul video. Nel 1971 si inaugura l’Everson Museum, primo dipartimento museale dedicato espressamente alla video arte. I Vasulka fondano nel 1971, a NY, il The Kitchen, storico centro per il Video, Musica, Performance e Danza. Video d’artista L’inizio degli anni ’70, in coincidenza con una prima disponibilità della strumentazione tecnica, dimostrò un reale interesse alle possibilità offerte dall’uso di video e videocamere. Negli anni 69-70 l’uso del video nelle performance diventa sistematico: le azioni, le sequenze, partiture vere e proprie predisposte dall’artista vengono registrate per la durata di un’intera bobina. La possibilità di ricorrere a una tecnologia sufficientemente compatta e trasportabile aveva reso un notevole servizio a molti artisti (Nauman, Vito Acconci, Dennis Oppenheim, Paul McCarthy, Marina Abramovic, Gina Pane, Ketty La Rocca ecc.) La portata del lavoro svolto da Martha Rosler tocca ambiti più vasti, partendo sempre dall’azione militante: sono performance predisposte per la videocamera, che mirano al punto di vista dell’esperienza al femminile. Video Installation Art Mass Media e realtà mediatica Punto di non ritorno I protagonisti degli ultimi 10 anni Nel corso degli anni ’90 si da strada una sensibilità in cui emergono tendenze certo più spettacolari, attente a una dimensione narrativa. Artisti come la svizzera Pipilotti Rist prestano particolare attenzione al rapporto ”spaziale” tra l’opera e l’ambiente. Notevole è anche il lavoro di Matthew Barney, i cui lunghi video (film) sono zeppi di creature mitologiche, rimandi e citazioni e apparizioni di creature zoomorfe e soprannaturali (la serie Creamaster). PITTURA E SCULTURA DEGLI ANNI ’80 – Transavanguardia, neoespressionismo, graffiti art, nuova scultura inglese I likes America and America likes me Gli artisti invitati da Achille Bonito Oliva e Harald Szeemann a esporre alla “Mostra Internazionale dei Giovani” alla Biennale di Venezia del 1980 erano sia italiani che americani: Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino e Jonathan Borofsky, Julian Schnabel, David Salle. Nella stessa edizione il padiglione della Germania ospitava Georg Baselitz e Anselm Kiefer. Alla fine degli anni ’70 si accende il dibattito sul “ritorno alla pittura”. La transavanguardia al di là della storia “Negli anni ’60 era prevalsa un’arte di pura presentazione, l’artista esibiva materiali e tecniche compositive che contenevano in sé una sorta di regola interna, una coerenza operativa, che divenivano esse stesse le ragioni dell’opera. Alla fine degli anni ’70, con la transavanguardia, si è passati a un’arte della rappresentazione in quanto l’opera denuncia volontariamente e con grande naturalezza l’impossibilità di darsi come misura di sé e del mondo” (Achille Bonito Oliva  teorizzatore della transavanguardia. Attingere alla tradizione figurativa e pittorica non è un indice di regressione né di anacronismo, ma è il sintomo di una rivendicata libertà eclettica. Sandro Chia adotta il metodo di dipingere di Chagall, de Chirico o Picasso, facendosene una maschera per affrontare la crisi di identità del soggetto contemporaneo nella cosiddetta epoca della fine delle ideologie. L’arte de-ideologizzata esce dall’impasse del forzato sperimentalismo e osa una libertà espressiva che non caso coincide con il fatto che ”le opere tornano ad avere un titolo, non hanno più paura di trovare un rapporto di comunicazione con il mondo, tanto da adottare un modulo linguistico che tende verso il figurativo”. LEGGERE ARTISTI DA 228 A 235 La pittura in Europa: istruzioni per l’uso Il 1980 è un anno cruciale per l’affermazione internazionale dei protagonisti dell’avanguardia italiana cosi come quegli artisti americani definiti i “boonies” (Julian Schnabel, Ross Bleckner, David Salle). Il ritorno alla pittura è palese in tutte le occasioni di esposizione, espressione di uno “spirito del tempo” al quale conccorrono le esperienze di artisti provenienti da contesti e paesi differenti. La scena del cosiddetto ritorno alla figurazione è molto eterogenea nel Vecchio Continente. La scena “riconfigurata”. Pittura e scultura negli “Eighties” Nel giro di pochi mesi, le fallerei di NY e il mercato internazionale decretano il clamoroso successo del “ritorno alla pittura”. Sono soprattutto le individualità di David Salle e Julian Schnabel a interpretare la pittura come proficua “inattualità”, libero territorio eclettico. Schnabel avrà sempre grande attenzione al simbolismo dei propri supporti e alla valenza talvolta alchemica dei materiali da impiegare (sfondi che abbiano una storia dietro, una cultura propria). Sono invece i muri dei sobborghi urbani che diventano il supporto della graffiti art. La bomboletta rovescia la piramide sociale, riportando il politico nell’arte: si fa portavoce d’istanze libertarie e rivendica attenzione per chi vive in condizioni di marginalità. Jean Micheal Basquiat è accomunato a Keith Hering da una forte amicizia, oltre che dalla comunanza nei lavori sui muri urbani: quest’ultimo creerà i suoi “radiant boy”, delle figure animali e umane simili a pittogrammi stilizzati. Negli anni ’70 si vive anche un ritorno alla scultura che sembra, però, perdere ogni connotazione sociale e si riscopre come “immagine/concetto”. Il riciclaggio è la strategia compositiva di Tony Cragg tutti gli oggetti che raccoglie concorrono a disegnare un’unica silhouette. Questo lavori creano intorno a loro un’atmosfera d’irreale sospensione e di silenzio. Sospensione e incanto sono forti anche in chi incontra le opere di Anish Kapoor, i suoi dispositivi per collegare cielo e terra come un”sacerdote”. La polvere di pigmento riveste oggetti o sculture concave che assorbono in modo inquietante la vista dello spettatore e paiono presagire un vuoto capace di aprire passaggi ad altre dimensioni. ULTIME TENDENZE DEGLI ANNI ‘90 Anni novanta La morte di Felix Gonzalez-Torres nel 1996 ha portato via il personaggio chiave dell’arte degli anni ’90, che ha saputo parlare dell’esistenza attraverso un linguaggio nuovo. E questa novità dipende dalla semplicità dei mezzi, dalla loro vicinanza ai luoghi e ai tempi