Scarica Arte Moderna a cura di F. Poli e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! Insieme al futurismo, la metafisica è il maggior contributo italiano all'arte europea degli anni dieci e venti anche, in particolare, per l'influenza che questa tendenza ha avuto nell'ambito del surrealismo in Francia e della Nuova oggettività in Germania. L'incontro a Ferrara, nel 1917. di Giorgio de Chirico e suo fratello Alberto Savinio con Carlo Carrà dà l'avvio alla formazione di un gruppo che, grazie alla diffusione della rivista "Valori Plastici" (1918-1922) e alle mostre organizzate dal suo direttore Mario Broglio, si afferma anche a livello internazionale. Gli anni della rivista, caratterizzati da un intenso dibattito teorico, segnano il passaggio dalla metafisica a una fase classicista e arcaista in de Chirico e Carrà e l'inizio per Morandi della sua ricerca più originale. Ma nel caso di de Chirico, l'avventura metafisica riprende negli anni venti durante il suo soggiorno a Parigi contrassegnato in particolare dal suo burrascoso rapporto con i surrealisti. Anche Savinio verso il 1925 inizia ufficialmente nella capitale francese la sua carriera di pittore, a pieno diritto metafisico, essendo stato insieme al fratello precursore di questa poetica già all'inizio degli anni dieci, durante il primo soggiorno parigino. È proprio di qui che bisogna partire per mettere a fuoco la "scoperta" della pittura metafisica, ben prima, quindi, della nascita del gruppo in Italia. De Chirico e la "scoperta" della metafisica "Lasciatemi raccontare come ebbi la rivelazione di un dipinto che presenterò quest'anno al Salon d'Automne, intitolato Enigma di un pomeriggio d'autunno. In un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo questa piazza: ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi in uno stato di morbosa sensibilità. Tutto il mondo che mi circondava, finanche il marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. Al centro della piazza si erge una statua di Dante (..) il sole autunnale, caldo e forte, rischiarava la statua e la facciata della chiesa. Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta e la composizione del dipinto si rivelo all'occhio della mia mente". Così nel 1912 a Parigi de Chirico descrive il momento dell'ispirazione di quello che, insieme a L'enigma dell'oracolo (entrambi del 1910), rappresenta la prima opera metafisica, inizio della straordinaria serie delle "piazze d'Italia". In effetti però questa "rivelazione" non è improvvisa, ma è il risultato di una ricerca pittorica e di una riflessione teorica caratterizzate da influenze artistiche e riferimenti estetico-filosofici che è possibile individuare con sufficiente precisione. Dopo aver compiuto i primi studi in Grecia, dove era nato nel 1888 a Volos da genitori italiani, Giorgio, morto il padre ingegnere delle ferrovie, si trasferisce con la madre e il fratello Andrea a Monaco di Baviera per frequentare l'Accademia di Belle Arti. Dopo essere rimasto circa tre anni nella capitale bavarese, nel 1910 vive a Firenze presso uno zio. Quindi approda a Parigi dove rimane fino al 19915, quando viene arruolato e destinato a Ferrara. A Monaco è affascinato in particolare dal classicismo romantico simbolista di Arnold Bocklin e di Max Klinger. La pittura di Böcklin diventa il principale punto di riferimento per la sua prima fase di lavoro, Quadri come Tritone e sirena, Centauro morente e Prometeo, del 1909, sono direttamente ispirati alle composizioni mitologiche di Böcklin. Dal punto di vista della teoria estetica fondamentali sono le letture dei testi di Arthur Schopenhauer, Friedrich Nietzsche e di Otto Weininger. A Nietzsche l'artista attribuisce il merito di aver scoperto "la strana e profonda poesia, infinitamente misteriosa e solitaria, che si basa sulla Stimmung del pomeriggio, quando il cielo è chiaro e le ombre sono lunghe". Per quello che riguarda la particolare accezione estetica del termine "metafisica", riferimenti specifici si possono trovare in La nascita della tragedia, dove Nietzsche, "il sognatore amico degli enigmi", definisce l'arte come vera attività metafisica dell'uomo. Una definizione che si collega direttamente alla concezione schopenhaueriana dell'arte, alla "consolazione metafisica” derivante dalla contemplazione estetica. Ufficialmente sarà Guillaume Apollinare nel 1913 a definire per la prima volta i quadri di de Chirico "pitture stranamente metafisiche", un fatto da ricordare perché in Italia, alcuni anni dopo, Carrà cercherà in qualche modo di rivendicare a sé l'invenzione della fortunata definizione. I primi due quadri metafisici dipinti a Firenze sono ancora influenzati da Böcklin, ma già incomincia a precisarsi una visione nuova e personale, a partire dall'elaborazione di uno spazio figurativo caratterizzato da una singolare e intenzionale scenograficità che ha il suo riferimento più significativo nell'opera dei due grandi innovatori della scena moderna, Adolphe Appia e Edward Gordon Craig, la cui influenza deriva sia dagli elementi figurativi sia dagli scritti teorici. De Chirico e Savinio a Parigi. 1911-1915 Nel 1911 de Chirico arriva a Parigi, dove era si era trasferito il fratello. In campo musicale rimane memorabile il concerto tenuto da Savinio il 24 maggio 1914 nella sala della rivista "Les Soirées de Paris" diretta da Apollinaire. Su questa rivista Savinio pubblica Le drame et la musique, un testo teorico in cui ricorre spesso il termine "metafisica" attribuito alla sua musica, che non ha lo scopo di descrivere impressionisticamente degli stati d'animo, ma di far scaturire, attraverso sorprendenti accostamenti di suoni e voci, il senso profondo della drammaticità del reale. Sempre nella stessa rivista, pubblica il poema drammatico Les chants de la mi- mort, dove si avverte l'influenza di Apollinare ma dove sono presenti anche molte suggestioni metafisiche, a iniziare dall'uomo senza voce, senza occhi e senza volto", che per ammissione dello stesso de Chirico è una delle fonti di ispirazione dei suoi manichini. Il carattere peculiare della visione dechirichiana nasce dalla definizione di uno spazio architettonico-teatrale dai confini all'apparenza ben tracciati, ma instabile, obliquo, "inquieto", sfuggente per la presenza di tensioni prospettiche volutamente estremizzate e spesso incongrue, scandito da geometriche campiture di luce e ombra. Si va dalla più semplice impostazione delle prime "piazze d'Italia" a scorci architettonici più problematici e labirintici come nel Viaggio inquietante (1913); dalla presenza di piani spezzati e obliqui nei dipinti con ribalte inclinate del 1914 alla combinazione più complessa di righe, squadre, carte geografiche, biscotti e altri oggetti negli "interni ferraresi" del 1915-1918, dove la dialettica fra dentro e fuori acquista un'articolazione ambigua attraverso la presenza di finestre e quadri nel quadro. In questi dipinti compaiono anche elementi della scomposizione cubista, ma in termini del tutto originali. L'enigmaticità dello spazio è strettamente connessa a quella del tempo. La scena metafisica è pervasa da un'atmosfera immobile, rarefatta e silenziosa, da una strana assenza di azione e da un misterioso senso di attesa: qui pare che il tempo si sia fermato, sospeso fra passato, presente e futuro. Elementi di carattere antico convivono con elementi della modernità e della quotidianità. Le stazioni sono una presenza centrale e sono connesse al tema del viaggio, motivo ricorrente in tutta l'opera dechirichiana, la quale si svilupperà, dopo il periodo metafisico, anche come una sorta di percorso attraverso la pittura e la sua storia. La stazione (come il porto) è la soglia fra l'al di qua e l'al di la, fra l'essere e il divenire, fra una condizione statica di attesa e l'incognita dell'avventura sia dell'esistenza che dall'immaginario e della memoria. Le piazze e le stanze metafisiche sono abitate solo da ombre e simulacri della figura umana, in un trionfo dell'assenza, del vuoto, del doppio. Un’analoga immobilità e assenza di vita si riscontra nei primi personaggi bockliniani, nelle nere silhouette delle ombre, nei marmorei signori risorgimentali in piedi su bassi piedistalli, nelle sculture e calchi classici e infine nei manichini veri e svuotamento di identità degli individui nella società capitalista. Emblematiche in questo senso sono opere come la Testa meccanica di Hausmann, una testa di manichino in legno con strumenti di misura, e come Automi repubblicani, Il bel Fritz, Il giocatore di diablo, dipinti di Grosz dove personaggi-manichini abitano spazi urbani di squallida freddezza geometrica. Un caso diverso è quello di Schlemmer, la cui ricerca in pittura e nel teatro ha specifici risvolti metafisici. L'artista incentra la sua attenzione sulle figure umane elaborate come sintetici corpi plastici e manichini in relazione allo spazio architettonico o scenico. Bisogna ora parlare del Novecento italiano, nato come gruppo ristretto e poi sviluppatosi come ampio movimento nazionale, per iniziativa del critico Margherita Sarfatti. Anche se non c'è una connessione diretta fra la metafisica e il Novecento, le indicazioni metafisiche e quelle relative ai valori di un rinnovato classicismo, proposte dalle opere di Carrà, de Chirico e Martini, hanno senza dubbio avuto un'influenza determinante su molti aspetti del novecentismo. Un'influenza particolarmente sentita da Mario Sironi e Achille Funi, tra i fondatori del gruppo e protagonisti dello sviluppo di quello stile novecentista che sarà caratterizzato anche da valenze monumentali. Il gruppo dei sette pittori del Novecento italiano nasce nel 1922 a Milano. In termini generali, la Sarfatti teorizza un'arte antiavanguardista fondata su basi di solida. plasticità classica e su una visione della realtà concretamente definita, in stretto rapporto con un'ideologia del ritorno all'ordine, da intendersi anche in senso politico. Il Novecento si allarga diventando un movimento nazionale nel 1926 a partire dalla grande esposizione curata dalla Sarfatti alla Permanente di Milano, una mostra con opere di centodieci artisti, in pratica quasi tutti i principali artisti italiani, tra cui anche Carrà, de Chirico, Martini e Morandi. È questa la prima di una serie di manifestazioni espositive organizzate anche all'estero. In Sironi l'influenza metafisica, che è uno degli elementi della svolta decisiva nei confronti della precedente fase futurista, è evidente in quadri come La lampada (1919) e in molte Periferie (del 1919-1925). Queste desolate scene urbane sono però caratterizzate da una tensione espressionista spesso cupa e inquietante, bloccata nella sintetica spazialità delle case, degli edifici industriali e degli scorci obliqui delle strade. Particolari connotazioni metafisiche si ritrovano anche in quadri di solida plasticità come L'allieva (1924) e Solitudine (1925). Ma negli anni successivi la visione sironiana acquisterà soprattutto valenze mitiche e monumentali, anche con diretti riferimenti all'ideologia di regime. Parigi. Secondo periodo metafisico di de Chirico. Savinio pittore Nel 1925 de Chirico si trasferisce a Parigi, dove rimarrà fino alla fine del decennio. Questa decisione è dovuta soprattutto alla crescente attenzione per il suo lavoro nella capitale francese. In questi cicli la tensione metafisica si allenta, ma la qualità pittorica diventa più elaborata e si accentua la dimensione letteraria, fantastica, classico-mitologica, e anche ironica. Il ciclo dei Mobili nella valle è forse il più affascinante e straniante: poltrone, armadi e letti collocati su delle piattaforme in legno, simili a palcoscenici, sono dislocati nel silenzio irreale di solitari paesaggi. Alberto Savinio, anche lui a Parigi, inizia la sua carriera di pittore con una personale alla Galerie Berheim nel 1927. presentato da Jean Cocteau. Anche in passato aveva sempre disegnato, ma in modo saltuario; tuttavia l'inizio vero e proprio della sua ricerca pittorica è nel 1924-1925. I primi lavori sono disegni e acquerelli con interventi di collage: in spazi obliquamente scomposti compaiono architetture urbane e portuali, navi e treni sullo sfondo, personaggi della memoria personale e citazioni classiche. Qui l'ironia arriva anche all'umorismo caricaturale. I primi quadri del 1927 spesso sono monocromi e fanno riferimento a foto della propria infanzia, come in Autoritratto da bambino e Souvenir calligraphique, o a immagini di vecchi repertori di arte classica variamente connessi con altri elementi iconici. In Atlante (1927) passato preistorico, antico e ottocentesco sono paradossalmente compresenti simboleggiati da un dinosauro, una sagoma di scultura classica e una elegante signora (la madre), con sullo sfondo una carta geografica inventata. I dipinti sul tema dei giocattoli nella foresta (1928), che si legano da un lato alle inquietudini dell'infanzia e dall'altro a suggestioni di una dimensione primordiale, sono di singolare fascino surreale: nella misteriosa solitudine di una foresta in bianco-nero cumuli di giocattoli multicolori si presentano come enigmatiche rovine di mitiche civiltà. Più liberamente fantastici sono i dipinti del 1928-1929, dove incominciano a comparire deformazioni metamorfiche. Sono isole incantate e stanze con finestre aperte su cieli con Tempeste di strani segni colorati e con atmosfere surrealisticamente apocalittiche; personaggi mitici con lunghi corpi deformati e piccolissime teste senza volto; animali mostruosamente irreali. Successivamente entrano in scena figure con teste di uccelli, mammiferi e pesci, con riferimenti alle divinità egizie, ai disegni di Grandville e anche a certe figure di Max Ernst. Metafisica e surrealismo Nelle sue memorie de Chirico dà un giudizio irrimediabilmente negativo su Breton e i surrealisti, ma in realtà i rapporti furono buoni dal 1919 al 1925. Sulla rivista "Littérature" vengono riprodotte sue opere e Breton recensisce molto positivamente la monografia edita da "Valori Plastici"', e nel 1922 scrive la presentazione della mostra di de Chirico da Paul Guillaume. Max Ernst, nel famoso quadro Au rendez-vous des amis, raffigura il "pictor optimus" in forma di erma classica fra gli amici surrealisti. Sul primo numero de "La Révolution Surréaliste" viene pubblicato un suo testo ed è fotografato in copertina da Man Ray insieme ai surrealisti. Infine, tre suoi dipinti sono esposti alla prima mostra surrealista del 1925. La rottura definitiva avviene l'anno successivo per il boicottaggio da parte dei surrealisti dei quadri classicheggianti esposti all'Effort Moderne. Tra gli artisti surrealisti l'influenza della metafisica si fa sentire particolarmente in Ernst, Yves Tanguy, Pierre Roy, Salvador Dali, René Magritte e Paul Delvaux. Chiari sono i riferimenti dechirichiani in lavori di Ernst come la serie di litografie Fiat modes. Pereat ars (1919), dove compaiono manichini da sartoria, e in vari quadri come La révolution. La nuit (1923), dove c'è una citazione da Il cervello del bambino (1914). Anche in molti quadri degli anni successivi riaffiorano non di rado echi metafisici. L'enigmatica solitudine metafisica acquista in Tanguy un carattere più indeterminato, misterioso, ambiguo, fluttuante, come quello dei fondali marini o delle distese desertiche: un mondo desolato abitato solo da strane e fantastiche forme che sembrano emergere dagli abissi dell'inconscio. Trasformati dal personale procedimento "paranoico-critico", molti elementi metafisici entrano nelle farneticanti scene surreali di Dali. Il tutto è portato a un livello di parossistica e allucinata deformazione metamorfica, anche con tante ossessioni sessuali e di morte. Riguardo a Magritte, infine, si può dire che è forse il più dechirichiano di tutti, anche se in termini decisamente originali. Più di una volta l'artista belga ha sottolineato il debito verso de Chirico.