Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

ARTE. UNA STORIA NATURALE E CIVILE VOL. 3 (Dal '400 alla Controriforma) di Salvatore Settis e Tomaso Montanari, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto del volume "Arte. Una storia naturale e civile vol. 3 - dal '400 alla Controriforma" di Tomaso Montanari e Salvatore Settis per l'esame di storia dell'arte moderna del Prof. Lorenzo Finocchi Ghersi, secondo anno ASEC, Università IULM

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 26/01/2021

beatricemantelli
beatricemantelli 🇮🇹

4.6

(285)

16 documenti

1 / 113

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica ARTE. UNA STORIA NATURALE E CIVILE VOL. 3 (Dal '400 alla Controriforma) di Salvatore Settis e Tomaso Montanari e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! ARTE. UNA STORIA NATURALE E CIVILE - VOL 3 (DAL 400 ALLA CONTRORIFORMA) Tomaso Montanari e Salvatore Settis Sezione I - il Gotico internazionale Lineamenti storici Nel 400, quando vi erano solo monarchie anche a causa della centralità che ancora aveva il sistema feudale, vediamo il sorgere dei primi Stati Nazionali in seguito ad eventi epocali; LA GUERRA DEI 100 ANNI fu combattuta tra Francia e Inghilterra per più di un secolo (1337-1453) e si concluse con la vittoria della Francia che portò alla sua unificazione. Simbolo di questa vittoria fu Giovanna d’Arco, contadina che si mise alla guida delle truppe francesi nel 1429 rompendo l’assedio della città di Orleans, venne poi catturata e bruciata sul rogo come eretica nel 1431. LA GUERRA DELLE DUE ROSE invece fu una guerra civile tra la casata dei Lancaster e quella degli York x il trono d’Inghilterra (1455-1485). Il nome dato alla guerra deriva dal simbolo delle due casate che erano una rosa rossa (L) e una bianca (Y). Durante questa guerra l’aristocrazia feudale si indebolì e molte famiglie nobili decaddero. Al termine della guerra venne incoronato Enrico VII (Lancaster) che poi sposò Elisabetta di York diventando il primo sovrano Tudor. LA RECONQUISTA E IL NUOVO MONDO; nel 1469 Ferdinando d’Aragona sposa Isabella di Castiglia unificando le 2 casate, in particolare questa unificazione venne consacrata nel 1492 con la presa di Granada e il completamento della Reconquista scacciando definitivamente gli arabi. Sempre nel 1492 Cristoforo Colombo scoprì il Nuovo Mondo dando inizio alla stagione delle scoperte geografiche nella quale fu protagonista anche il Portogallo in particolare in Asia e Africa GUTEMBERG E LA STAMPA inventata nel 1455 e che venne consacrata stampando come primo libro la Bibbia. Nello stesso periodo iniziarono a diffondersi anche le armi da fuoco. L’ITALIA DIVISA nel 400 l’Italia si presentava divisa e rimase tale fino alla fine del secolo; a Nord gli stati più potenti erano la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano mentre al sud vediamo che nel Regno di Napoli decade definitivamente la casa angioina in favore di quella d’Aragona. Gli scontri regionali videro poi una tregua nel 1454 con la pace di Lodi; la Repubblica di Venezia riconobbe signore di Milano Francesco Sforza e nacque la Lega italica che riuniva Rep di Venezia, Ducato di Milano, Stato della Chiesa, Regno di Napoli, Repubblica di Firenze e stati minori. La stabilità temporanea data da questa lega terminò a causa delle brame dei nuovi regni nazionali europei. VERSO UNA NUOVA CIVILTÀ Questi nuovi stati italiani divennero centro di una nuova civiltà che riscopriva le lettere classiche greche e latine e iniziò a guardare al mondo con più razionalità e modernità cambiando la storia dell’arte. Il 400 dunque è il secolo del Rinascimento e dell’Umanesimo proprio grazie alle novità italiane che, sicuramente, convissero a lungo con la tradizione gotica. IL SECOLO DEL GOTICO INTERNAZIONALE si diffuse in Europa nella 2 metà del 300 un stile colto e raffinato che viene indicato come Gotico Internazionale, nome che fa riferimento alla matrice gotica e alla sua propagazione in tutta Europa, resa possibile dai viaggi degli artisti in tutte le varie corti. Nell’Italia del primo 400 c’erano delle testimonianze dell’arte antica, rappresentata in particolar modo dall’architettura anche se non bisogna pensare a quella greca, dato che a quel tempo non era conosciuta. Il rapporto con l’antico a partire dal 400 è qualcosa che si differenzia molto rispetto a quello che si era vissuto nel 200 e nel 300. Mentre nel 300 l’antico era modello, nel 400 si fa avanti la netta convinzione del termine di una civiltà, ovvero quella antica che si avverte come definitivamente terminata. Si avverte la necessità di rifondarla. La pittura non viene presa in considerazione perché non si conosceva, in quanto ovviamente sepolta sotto il terreno. La nascita di una nuova arte italiana nel 400 costituisce una reazione a quello che era stato il limbo dell’arte trecentesca. Già all’interno della cappella degli Scrovegni vediamo come Giotto riesca a coniugare la naturalità delle figure con la loro plasticità. Questo deriva dall’attenzione per la scultura antica e la volumetria. Non si dimentichino gli elementi tridimensionali che per Giotto hanno una importanza non indifferente. È un chiaro tentativo di recuperare quei valori di spazio e volume che erano propri dell’arte antica. Oltre a ciò c’è anche una grande attenzione per il sentimento umano, si pensi alla scena del compianto. In quest’ultima i personaggi diventano partecipi della storia che non viene più narrata solo simbolicamente. I personaggi sono caratterizzati da forti ombreggiature che danno l’idea del peso delle masse. Ci sono poi dei riferimenti propri dell’osservazione dei pezzi antichi, si pensi alla base dei coretti o alla rappresentazione dei vizi e delle virtù. C’è inoltre una struttura marmorea che Giotto riprende chiaramente da modelli antiquariali. Da questo momento in poi nasce una caratteristica arte italiana, grazie anche ai continui spostamenti di Giotto in giro di 1 113 per l’Italia. Questa cultura policentrica giottesca avrà nel corso del 300 una sua evoluzione. Ci si troverà di fronte una serie di pittori giotteschi che piano piano abbandoneranno l’insegnamento di Giotto. Effettivamente nel corso del XIV secolo si impone una linea che riprende altri modelli come quello di Simone Martini. Per capire la differenza con Giotto si prenda in considerazione la Maestà per il Palazzo Pubblico di Siena: la tridimensionalità viene abbandonata in favore di una maggiore superficialità, in senso anche decorativo. Altra opera famosa di Simone Martini, conservata a Napoli, è l’incoronazione di San Ludovico, osservandola è chiaro come la preziosità prevalga sulla tridimensionalità. Esempio eclatante è l’Annunciazione, dove il fondo e la cornice si fondono creando uno spazio prezioso e piatto. Verso la fine del 300 la scuola giottesca fiorentina di cui fanno parte diversi artisti, ritorna ad una cultura immobile e martiniana completamente distaccata dall’avvio plastico/volumetrico della prima pittura giottesca. Si pensi all’affresco di Giovanni Da Milano all’interno di Santa Croce nella Cappella Riuccini: le figure sono molto stilizzate da un punto di vista dell’andamento dei corpi, effettivamente il tutto è dominato da un forte linearismo. Molto rappresentativo di questo momento è il Polittico di Andrea Orcagna conservato all’interno di Santa Maria del Fiore: ci si trova di fronte a Cristo con i vari Santi e ad uno spazio dove quella cubicità propria della Cappella degli Scrovegni viene abbandonata in favore di un gusto materico legato all’arricchimento del supporto dove la cornice viene concepita un tutt’uno dell’opera. I vari santi vengono rappresentati con delle aureole molto elaborate che contribuiscono a dare un grande preziosismo. Allo stesso tempo i valori spaziali vengono completamente ignorati. È evidente quindi come a Firenze verso la fine del 300 s’imponga un’arte completamente diversa rispetto a quella di Giotto. La successiva arte del 400 a Firenze sarà una risposta a questo tipo di arte dominante a cavallo fra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. In generale, mai come nel 400 in Italia si avrà la fioritura di diverse scuole artistiche regionali, assai differenti fra loro anche a poca distanza. Emblematico è il caso di Padova e Venezia, seppur poco distanti fra loro la prima rimarrà legata alla tradizione classica romana, mentre la seconda sarà sempre più legata alla tradizione del gotico fiorito. CAPITOLO 1 - LO STILE DELLE CORTI EUROPEE 1. Le miniature dei fratelli De Limbourg: Les tris ricuse heures du Duc de Berry Nel castello di Chantilly è conservato un codice miniato del tardo Medioevo; tale codice è un breviario, raccolta di preghiere da recitare secondo i diversi periodi dell’anno e del giorno. Il proprietario era Jean de Berry, uno dei più grandi signori dell’Europa del periodo e fu realizzato dai fratelli De Limbourg, nati in Olanda e poi spostatisi come miniatori in Francia. IL MESE DI APRILE Le immagini più importanti sono quelle presenti nelle 12 pagine di apertura che, riprendendo un tema tipicamente medievale ma trattandolo con maggior raffinatezza, descrivono i mesi. In questo caso, infatti, i mesi non alludono ai lavori del popolo ma alle abitudini delle classi agiate. In particolare il mese di aprile è rappresentato come il mese del fidanzamento; nel semicerchio in alto abbia un calendario astrologico con in carro del sole e i segni zodiacali del mese (Ariete e Toro), intorno nelle caselle vuote ci sarebbero dovuti essere i giorni, i mesi e i segni. Nel disegno sottostante abbiamo la descrizione di quello che avviene durante il mese; vediamo due fidanzati che si scambiano l’anello, vestiti elegantemente e con alle spalle due giovani che raccolgono fiori, simbolo della passione per la natura. Importante è la commistione tra elementi naturali realistici e descrizione fiabesca della scena. IL MESE DI LUGLIO I soggetti cambiano, l’interpretazione no; in questo caso vediamo che protagonista è il lavoro delle classi inferiori, attività dure che però sono rappresentate quasi come fossero passatempi. Come nell’altra scena, parallelamente a questa visione fiabesca, abbiamo una minuziosa descrizione degli elementi naturali e architettonici; importante è il dato del cielo che differentemente dalle rappresentazioni medievali non è un azzurro e immobile, ma indica realmente il tempo atmosferico. Centrale, in ultima analisi, è il connubio tra massimo artificio e massimo naturalismo di dettaglio. 2. La pittura: uno stile cortese Lo stile delle opere analizzate è cortese nel senso che riflette i gusti dei signori raffinati delle corti con un carattere laico e profano e attenzione alla moda, alla fantasia e all’eleganza in connubio con una dettagliata analisi della natura. Non si fa invece particolare attenzione alla resa tridimensionale degli spazi in favore della decorazione. Tutto questo si lega al gotico francese ed è per questo che questo stile si dice anche Tardogotico. LA MADONNA DELL’UMILTÀ: AVIGNONE E LA RETE DELLE CORTI Per capire questo stile e la sua diffusione possiamo fare riferimento alla Madonna dell’umiltà, iconografia mariana che ebbe particolare diffusione in questo periodo. Essa prevede la Madonna seduta a terra con il bambino sulle ginocchia e fu di 2 113 Gentile da Fabriano nacque intorno al 1370 a Fabriano, Marche, polo manifatturiero della carta e dominato dal signore Chiavello Chiavelli. Grazie al rapporto tra questo e GGV, Gentile potè lasciare Fabriano e andare a formarsi a Pavia. LA GIOVANILE PALA DI BERLINO Una delle sue opere più antiche è una pala rappresentante la Madonna col Bambino, i Santi Nicola, Caterina d’Alessandria e un donatore. È stata dipinta verso il 1400 per una chiesa di Fabriano ed è oggi conservata a Berlino. La pala è rappresentativa del gotico visconteo e questo si vede dall’eleganza e raffinatezza delle linee, decorazioni e colori e dalla lavorazione dell’oro. Una volta morto GGV, il signore di Fabraino cambiò alleanze e si schierò con la Repubblica di Venezia così che Gentile si traferì. VENEZIA E LA FAMA LETTERARIA A Venezia Gentile ottenne la fama grazie a un ciclo di affreschi rappresentante Storie di Alessandro II e Federico Barbarossa realizzato x il Palazzo Ducale tra il 1409-14. Oggi di questo ciclo xò non rimane nulla se non un ricordo di un letterato che nominò Gentile tra gli uomini illustri del suo tempo. IL POLITTICO DI VALLE ROMITA Verso il 1410 Gentile dipinse un polittico x l’eremo di Val di Sasso (o Valle Romita) presso Fabriano, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera. Il registro principale presenta; - al centro l’Incoronazione della Vergine dove vediamo Maria e Gesù fluttuanti sullo sfondo oro, sovrastati dall’Eterno e circondati da figure angeliche - scomparti laterali: Martirio di S Pietro martire, San Giovanni Battista nel deserto, Stimmate di S Francesco, S Antonio da Padova che legge La cornice, ornata di guglie e pinnacoli rimanda al linguaggio gotico più antico, ma non è del 400 bensì una ricostruzione del 1925, realizzata x ridare un’impressione generica dell’opera. La pittura di Gentile è delicata e lontana da un crudo realismo; il pittore è più attento ai colori e alle carni che alla rappresentazione realistica dei gesti. 2. Gentile a Firenze e Roma La parabola artistica di G si ebbe a Firenze dove lavorò dal 1420-25. Firenze non ospitava in realtà una forte ma era capitale di uno stato ondato su vari repubblicani la cui ricchezza si doveva al commercio. In questo periodo vediamo artisti come Lorenzo Ghiberti, massimo esponente del gotico internazionale o come Donatello, Brunelleschi, Masaccio che stavano facendo nascere il gusto rinascimentale. Nonostante questo nuovo gusto i ricchi fiorentini continuavano ad imitare i signori delle corti settentrionali anche nell’amore x un’arte non rappresentativa della realtà. L’ADORAZIONE DEI MAGI L’opera fiorentina + importante di G è la pala dell’Adorazione dei Magi, originariamente conservata nella sagrestia di Santa Trinita, cappella sepolcrale degli Strozzi (a commissionarla fu Palla Strozzi), oggi agli Uffizi. L’opera di G non è suddivisa in scomparti ma ha un unico piano, coronato da archi gotici, su cui si staglia l’intera scena. La storia inizia - in alto a sx; i Magi avvistano la stella cometa sul monte Vettore - arcatella centrale; viaggio dei magi accompagnati da fastosa scorta - primo piano; epilogo, i Magi rendono omaggio al Bambino e alla Sacra famiglia. Alle loro spalle vediamo un affollato seguito rappresentato con lo stile tipico delle scene di corte, ricco di eleganti dettagli e episodi divertenti e lontano dalla rappresentazione prospettica e spaziale. C’è comunque un tentativo di rappresentazione verosimile; alla base del dipinto troviamo delle storie nella predella e, se prendiamo ad esempio la scena della Fuga in Egitto, notiamo come G abbandoni il fondo oro in favore della rappresentazione di un vero cielo, novità assoluta x il periodo. L’ESPERIENZA ROMANA Nel 1425 G si trasferisce a Roma dove ottiene l’incarico x la navata della Cattedrale di San Giovanni in Laterano, colossale ciclo di affreschi che non ci è giunto se non in un generico schema realizzato dal Borromini. Il ciclo infatti è stato disturbi alla metà del 600 x fare spazio a un nuovo volto barocco della chiesa. Vediamo comunque nella rappresentazione del Borromini la strutta; al di sopra delle arcate vi erano 2 registri; uno narrativo (Storie del Battista) e uno ornamene e illusionistico (profeti al centro di tabernacoli gotici). G comunque non completò l’opera xche morì nel 1427, fu Pisanello, suo allievo, a completarla tra il 1431-32. 3. Il miglior allievo di Gentile: Pisanello di 5 113 Antonio Pisano, detto il Pisanello, nacque intorno al 1395 in una famiglia originaria di Pisa ma trasferitasi a Verona. Egli fece il suo apprendistato presso Gentile ed è proprio a Verona che troviamo le sue opere più significative. IL MONUMENTO BRENZONI Pisanello lavorò nella chiesa francescana di S Fermo al monumento sepolcrale di Niccolò Brenzoni, morto nel 1422. Il complesso porta anche la firma dello scultore fiorentino Nanni Bartolo, allievo di Donatello. Il monumento è incentrato sul gruppo scultoreo in marmo rappresentante la Resurrezione dovuto proprio a Nanni. A Pisanello invece attribuiamo delle parti dipinte, anche se è possibile che egli abbia realizzato l’intero insieme dove la decorazione tende a predominare. Vediamo chiaramente la lezione di gentile nella morbidezza delle carni e nella raffinatezza cromatica. Questo in particolare nella scena della Vergine annunciata, disposta in un tempio d’avorio gotico e accompagnata da un cagnolino. In questo monumento vediamo bene come artisti diversi x formazione e provenienza possano collaborare proficuamente, così come sarà prassi nel 400. LA STORIA DI S GIORGIO Circa 10 anni dopo Pisanello affresca la parte sovrastante l’arcane d’ingresso della cappella della famiglia Pellegrini nella chiesa domenicana veronese do Sant’Anastasia. Realizza qua la scena di S Giorgio e la principessa, rappresentante Giorgio mente sta x salire sul cavallo. In questa scena Pisanello privilegia il linguaggio cavalleresco rispetto a quello devoto, nonché avventuroso (Giorgio) e cortese (principessa). In origine l’affresco era ulteriormente impreziosito dall’uso di lamine metalliche e decori a pastiglia. 4. Pisanello e la “medaglia rinascimentale” L’ultima fase della carriera di Pisanello si svolse prima a Mantova e poi a Ferrara, infine a Napoli. In questi anni la sua fama era legata soprattutto all’attività di ritrattista grazie anche all’invenzione della “medaglia rinascimentale”. LA MEDAGLIA DI GIOVANNI VIII PALEOLOGO Tra il 1438-39 prima a Ferrara e poi a Firenze si svolse un concilio atto a riunificare chiesa d’oriente e di Roma al quale partecipò anche l’imperatore bizantino Giovanni VIII paleologo. In questa occasione Pisanello ritrasse il sovrano in quella che si ritiene il più antico esempio di medaglia rinascimentale. Essa veniva usata dome dono diplomatico o memoria e si impose dalla metà del 400 come oggetto privato e forma di autorappresnetazione del potere. A Pisanello si deve inoltre la consuetudine di rappresentare sul diritto della medaglia il profilo del signore e sul rovescio un emblema o episodio narrativo; questa consuetudine in particolare arriva dalle monete antiche e dai contornati tardo antichi (oggetti bronzei a forma di moneta con un solco circolare su entrambe le facce). In particolare in questa medaglia vediamo sul diritto il profilo dell’imperatore con un copricapo alla greca, e sul rovescio sempre lui accompagnato da un cavaliere, e di fronte al crocifisso, il tutto cavalcando un cavallo. P è vero che trasse spunto dalle monete romane ma non dal punto di vista stilistico che invece stava influenzando gli artisti del tempo. RITRATTI DI LIONELLO D’ESTE Una delle medaglie più celebri però è quella di Lionello d’Este che voleva celebrare le sue nozze con Maria d’Aragona; sul diritto vediamo il profilo del signore che si presta al confronto con il Ritratto di Lionello d’Este dell’accademia Carrara di Bergamo dove il volto si staglia su fondo scuro ravvivato dalla siepe gotica fiorita di un giardino. 5. Due cantieri di Jacopo della Quercia: Lucca e Siena Tra i maestri del Gotico internazionale vediamo anche scultori, uno di questi fu Jacopo della Quercia che fece da ponte con il nuovo linguaggio rinascimentale. LA TOMBA DI ILARIA DEL CARRETTO A LUCCA Ilaria del Carretto era la moglie del signore di Lucca Paolo Guinigi, ella morì di parto a 26 anni e il marito volle seppellirla nel Duomo. La tomba fu realizzata da JdQ che al classico monumento a parete di stile italiano preferì una tomba isolata. Il gisant (giacente, rappresentazione scultorea di un defunto sdraiato) è disteso sul sarcofago con ai piedi un cagnolino e si distingue x il naturalismo del volto e l’eleganza dell’abito. Ai fianchi del sepolcro abbiamo un motivo di spiritelli reggifestone, tema iconografici della scultura antica ma interpretato in stile gotico. C’è anche da aggiungere che Lucca durante gli anni della signoria di Paolo Guinigi visse una notevole fioritura artistica grazie alla passione delle signore x il gotico internazionale e ai continui cambi commerciali e culturali con Lombardia e Francia. LA FONTE GAIA A SIENA Nel 1408 JdQ torno a Sina e ottenne dal comune la commissione della Fonte Gaia per la Piazza del Campo. Siena in quegli anni si era distinta come uno dei centri artistici più rilevando del 300 in eu e il comune dunque chiese a J di realizzare la fontana pubblica. Per la decorazione egli scese di 6 113 temi connessi ai temi civili rappresentati negli affreschi del Palazzo Pubblico. La piazza appariva come un trono con ali aggettanti intorno alla vasca, al centro la Vergine con il figlio e nelle nicchie le Virtù. Sui fianchi ancora troviamo le scene della Creazione di Adamo e del Peccato originale. Sopra, scuòture di Rea Silvia e Acca Larentiam madre e nutrice di Romolo e Remo ad alludere alla leggenda secondo la quale Siena fosse stata fondata da Senio e Aschio, figli di Remo. La versione della fontana fu comunque sostituita nel 1869 a causa del forte deperimento. I frammenti rimasti sono esposti nell’antico ospedale di Santa Maria della Scala. 6. San Petronio a Bologna: una chiesa civica e un portale di Jacopo Nell’ultimo decennio di vita JdQ si mosse tra Siena e Bologna e nel 1425 ebbe l’incarico di realizzare il portale x la chiesa di San Petronio in Piazza Maggiore a Bologna; la chiesa era stata fondata nel 1390 come tempio civico dall’autorità comunale ed era stata progettata come un edificio monumentale a 3 navate. Di fronte troviamo: palazzo del Podestà e Fontana del Nettuno, di lato: Palazzo comunale e dei Banchi. Il cantiere pullulava di maestri d’oltralpe e venne eretta nel giro di poco tempo, seguendo il progetto di Antonio di Vicenzo che lo aggiornò in base a quello che si stava facendo nel cantiere del duomo di Milano. Comunque la decorazione marmorea della facciata non fu mai completata. IL PORTALE CENTRALE A JdQ si deve il progetto del portale centrale che però completò solo parzialmente. Manca infatti il coronamento gotico sopra la lunetta con il gruppo della Madonna col bambino e i S Ambrogio e Petronio. Furono invece realizzati i rilievi dei fianchi con i Profeti e storie dell’Antico testamento; qui le figure si ergono su una superficie liscia dando l’effetto di statue a tutto tondo. Questa modalità rappresentativa è chiara nella scena del Peccato originale dove i nudi di Adamo ed Eva dominano la scena affiancati dall’albero e dal serpente. Il giardino invece è spoglio, senza decoratissimi gotici. Adamo in particolare è rappresentato in “contrapposto”; una posa che alterna parti in tensione e rilassate creando attrito tra forze contrastanti che enfatizza il movimento e l’espressività. In questo caso la testa scarta rispetto al corpo. il braccio dx si stira e la gamba so piega, gli arti opposti rimangono in riposo. Si dixe xciò che questa figura abbia ispirato il David di Michelangelo che in effetti soggiornò a Bologna e studiò le sculture di S Petronio, decisive x la sua formazione. LA CHIESA GOTICA E GLI AFFRESCHI DI GIOVANNI DA MODENA Nonostante questa originalità rappresentativa, S Petronio rimane una chiesa gotica; troviamo infatti una pian ta longitudinale, 3 navate a crociera sostenute da pilastri a fascio che sostengono archi acuti. Anche l’architettura delle cappelle che si aprono sulle pareti delle navate laterali è gotica e in particolare una mantiene l’aspetto originale: parliamo della cappella voluta da Bartolomeo Bolognini, ricco mercante di seta e uomo politico che volle qua la sua sepoltura. Il tutto culmina negli affreschi del migliore pittore emiliano dell’epoca: Giovanni da Modena; egli può infatti essere considerato il + alto rappresentate del gotico internazionale in emilia e questo ciclo è il suo più famoso. Sezione II - Firenze e il primo Rinascimento Lineamenti storici A Firenze all’inizi del 400 inizia una stagione di riscoperta dell’antichità che dà il via alla primavera del Rinascimento. UMANESIMO CIVILE E DIFESA DELLA LIBERTÀ All’inizio del 400 Firenze si proclamò erede diretta del modello di vivere civile dell’antica Roma che si basava su un governo antitirannico, sulla libertà e sull’impegno diretto di ogni cittadino nella difesa di questi valori. ARTI MAGGIORI E MINORI La Repubblica di Firenze era fondata sul lavoro e x essere ammessi agli uffici era necessario essere iscritti a un’Arte: una delle Corporazioni nelle quali si riunivano i membri di una categoria professionale x difenderne gli interessi. Le corporazioni in tutto erano 21; 7 erano quelle “maggiori”, meno manuali e più lucrose, 14 quelle “minori”, più a carattere artigianale. DALLA CONQUISTA DI PISA ALLA BATTAGLIA DI ANGHIARI Nella prima metà del 400 vediamo Firenze coinvolta in una serie di campagne militari che spesso l’hanno vista protagonista. Nel 1406 Firenze conquista Pisa garantendosi così l’accesso al mare ed eliminato una storica avversaria. Presto però torna di 7 113 Tra scultura e pittura si vivrà un vero e proprio gap. Si prenda ad esempio un trittico di Lorenzo Monaco. Monaco è il miglior esempio della persistenza dello stile giottesco nel corso del 400. Nel trittico spicca il fondo oro su cui si stagliano figure bidimensionali. Il trittico presenta segni di interesse per lo sviluppo spaziale: Monaco cerca di collegare spazialmente i 3 scomparti della pala. Questo clima tardogotico della pittura fiorentina nei primi 2 decenni del 400 lo vediamo anche in una Madonna in Trono di Gherardo Stannina il cui stile pittorico tardogotico è estremamente raffinato e caratterizzato dai ricchi panneggi e dai luccicanti fondi oro. Nelle sculture di Francesco di Valdambrino si nota come la scultura lignea e dipinta sia di gran moda. Gli Evangelisti della facciata del Duomo Nel 1408 l’opera del Duomo commiss ionò 3 scu l tu re d i Evangelisti x la facciata del Duomo. Donatello realizzò San Giovanni, Nanni di Banco San Luca e Niccolò Lamberti S Marco. Si voleva implicitamente dare il via a una competizione fra gli artisti x poi affidare al migliore S Matteo che invece alla fine sarà realizzato da Bernardo Ciuffagni. Nel 1415 le figure vennero collocate sulla facciata e qua rimasero fino allo smantellamento della stessa nel 1587 e oggi si trovano al Museo dell’Opera. L’accostamento delle 4 sculture rende chiaro lo spartiacque tra 2 mondi artistici: Ciuffagni e Lamberti ancora fortemente legati all’artificiosità gotica, mentre Donatello e Nanni di Banco mostrano una solidità e un linguaggio nuovo e concreto. Orsanmichele: Ghiberti, Nanni di Banco e Donatello Questa nuova strada presa dalla scultura fiorentina si palesa durante i lavori x le pareti esterne della chiesa gotica di Orsanmichele; il nome deriva dalla contrazione italiana di Hortus Sancti Michaelis che si riferisce all’orto del monastero di S Michele (al posto di questo venne costruito un mercato del grano e poi la chiesa di una confraternita). Sulle pareti esterne di questa chiesa, comunque, le arti fiorentine posero le statue dei loro santi patroni creando uno dei complessi di scultura pubblica più complessi d’europa composta da 14 nicchie con sculture eseguite x lo + nei primi decenni del 400. In particolare sono 4 i tabernacoli che esprimono chiaramente la svolta dell’arte fiorentina del tempo e lo sviluppo dell’arte rinascimentale. S GIOVANNI BATTISTA DI GHIBERTI Fu di nuovo l’arte di Calimala a rivolgersi a Ghiberti x una scultura bronzea di S Giovanni Battista che venne eseguita tra il 1412 e 16 e nella quale tradusse in grande il linguaggio delle formelle della Porta Nord. Il Santo con la posa inarcata mette in risalto la piega del panneggio, importanti sono anche i dettagli minuziosi della barba, anche se il lessico figurativo pare ancora quello del Gotico. Quelle che vediamo nelle nicchie, comunque, sono delle copie, gli originali sono stati posti x ragioni di sicurezza nel museo di Orsanmichele. I QUATTRO CORONATI DI NANNI DI BANCO Tra il 1409-17 Nanni di Banco invece allestì qualcosa di radicalmente diverso: la corporazione venerava come santi i Santi Quattro Coronati lo scultore realizzò una sorta di conversazione tra questi ritratti nelle vesti di patrizi romani e disposti a semicerchio, a seguire l’incurvarsi della parete IL S GIORGIO DI DONATELLO La volumetria e il recupero dell’antico vengono xo confermati nel S Giorgio di Donatello (1417) che fu una delle statue rinascimentali più note e amate in tt Eu. Il S è privo di ogni abbellimenti, si erge a guardare l’orizzonte e ostenta il grande scudo con i piedi ben piantati a terra. La figura è fortemente armonica e proporzionata come una statua antica. In questa fase convivono comunque linguaggi diversi, e infatti Donatello inserisce una scultura dal linguaggio moderno in una nicchia gotica. Vediamo ancora nel basamento una scenetta raccontata con forte senso del realismo. S GIORGIO CHE SCONFIGGE IL DRAGO La storia viene narrata sulla predella del tabernacolo di Donatello ed è il più antico esempio di prospettiva giuntoci. D utilizza qua la tecnica dello stiacciato, ovvero un rilievo molto basso con effetti simili al disegno che sarà parte d’ora in poi del repertorio donatelliano. Qui egli colloca il gruppo del cavaliere che uccide il drago al centro di una rappresentazione tridimensionale di 10 113 delimitata sx da un antro roccioso e a dx dal palazzo segnato da archi a tt sesto di fronte al quale vediamo comparire la principessa. Queste norme prospettiche Donatello probabilmente le aveva apprese da Brunelleschi, considerato l’inventore della prospettiva lineare. Questo nuovo sentimento spaziale accresce l’impatto emotivo della scena. S LUDOVICO DI DONATELLO Sempre x Orsanmichele Donatello realizza la sua I grande prova in bronzo x il tabernacolo della parte Guelfa che era il partito dominante a Firenze. Poi nel 1436 i guelfi cedettero la nicchia all’Arte della Mercanzia che vi pose il gruppo con l’incredulità di S Tommaso del Verrocchio; la scultura di Donatello verrà posta sulla facciata di S Croce e oggi si trova nel museo della stessa. Questa scultura è assemblata in più pezzi e, differentemente da S Giorgio, pare privo di struttura; questo è il segno di come Donatello fosse in grado di far evolvere il suo linguaggio e, inoltre, da questo momento in poi molte sue sculture saranno realizzate in bronzo. Inoltre, x la prima volta in Orsanmichele, al coronamento gotico si preferisce un arco a tt sesto che sarà poi uno degli elementi cardine del nuovo linguaggio architettonico. L’invenzione della prospettiva Brunelleschi è considerato l’inventore della prospettiva lineare o centrale; una tecnica usata x rappresentare razionalmente gli oggetti nello spazio ottenendo un effetto tridimensionale su una superficie bidimensionale, cercando di far apparire le cose come l’occhio le vede nella realtà e ridando un certo senso di volume, profondità e distanze. Se Giotto aveva tentato di compiere questa impresa tramite accorgimenti empirici, Brunelleschi lo fa con un rigoroso metodo matematico; egli individua sulla superficie un punto di fuga che corrisponde al centro dell’orizzonte verso il quale l’osservatore guarda e fa convergere in direzione di esso una serie di linee che creano una gabbia spaziale dentro la quale collocare gli oggetti, così che ai nostri occhi ciò che è vicino appare più grande e viceversa. Tutto questo deriva dallo studi che Brunelleschi è stato in grado di fare a Roma sulle sculture/architetture antiche trovando un modello da imitare che però non poteva trasporsi in pittura in quanto non aveva conosciuto i dipinti antichi; egli dunque escogitò la prospettiva x rendere quei caratteri anche in pittura e tutto ciò divenne stimolo x adottare nuove relazioni proporzionali in scultura e architettura. UNA TAVOLA PROSPETTICA DI BRUNELLESCHI B avrebbe spiegato ai fiorentini la prospettiva tramite una tavoletta (oggi persa) sulla quale avrebbe rappresentato il Battistero visto dal portone della cattedrale. X aumentare la veridicità della scena, inoltre, il cielo sarebbe stato composto da lamine di metallo. La veduta del battistero era poi stata rappresentata tirando delle linee prospettiche dal punto di fuga centrale in modo tale che chi si fosse posto nel punto in cui B aveva realizzato il dipinto, osservando la tavoletta riflessa i uno specchio attraverso un foro posto in corrispondenza del punto di fuga, avrebbe visto una veduta identica al vero. IL FONTE BATTESIMALE DI SIENA E UN CONVITO DI ERODE IN PROSPETTIVA Nel giro di un decennio Donatello sarebbe andato oltre con un rilievo in bronzo (1423-27) per il Fonte del Battistero di Siena. Il soggetto della scena è il Convito di Erode rappresentato tramite lo stiacciato e la prospettiva. In primo piano vediamo la testa del Battista presentata a un Erode inorridito, di fianco Salomè danza sulle note suonate da dei musicisti in II piano dietro una loggia. Ancora dietro vediamo un ulteriore momento precedente, quando la testa è offerta a Erodiade. Chiaramente l’architettura, gli archi e il paramento murario sono tutti elementi ispirati all’antichità. La prospettiva in questo caso, dunque, viene usata x raccontare scene che avvengono in momenti diversi. Il Convito di Erode, comunque, è parte di un ciclo di Storie del Battista realizzato x decorare le pareti esterne della vasca della Fonte battesimale. A quel ciclo parteciparono anche Jacopo della Quercia con l’Annuncio a Zaccaria nella quale egli tentò di imitare le novità donatelliane senza successo, e Ghiberti con il Battesimo di Cristo, anche egli tentò di usare lo stiacciato; chiaramente si creò una sorta di competizione dalla quale Donatello emerse come il più moderno degli scultori del tempo. La nuova architettura di Brunelleschi Il Duomo Fiorentino venne ricostruito agli inizi del 300 su progetto di Arnolfo di Cambio, non venne xo realizzata la cupola. Infatti x le dimensioni che essa avrebbe dovuto avere non si sapeva come costruirla. Così nel 1418 l’Opera del Duomo bandì un concorso x risolvere la questione e vennero nominati due capomastri Bruenelleschi e Ghiberti. LA CUPOLA Alla fine B divenne l’unico direttore del cantiere; il suo progetto prevedeva una cupola composta da 8 costoloni e 8 vele costruita senza centine di 11 113 e retta grazie a una serie dei espedienti tecnici e architettonici. Qui B mise a frutto ciò che aveva imparato a Roma e realizzò una cupola a doppia calotta con una muratura con mattoni a spina di pesce concependo addirittura x il cantiere specifici macchinari edili. Venne ultimata nel 1436. B comunque guardò all’antichità x le tecniche ma non x la forma che venne imposta goticheggiante da ragioni strutturali che vollero l’utilizzo di grandi costoloni ogivali. Differentemente in altri cantieri degli stessi anni, B esprime la sua nuova visone architettonica nella quale gli elementi antichi di archi a tt sesto e colonne sono definitivamente recuperati. Vediamo questa svolta in particolare nella loggia dell’Ospedale degli innocenti e nella Chiesa di S Lorenzo. LA LOGGIA DEGLI INNOCENTI Nel 1419 B riceve l’incarico di costruire l’Ospedale degli Innocenti, che doveva avere la funzione di accogliere i bambini abbandonati. Tra il 1421-24 venne innalzato il loggiato; esso è composto da una successione di campate contraddistinte da identiche proporzioni in larghezza e h e dal susseguirsi di arcate a tt sesto impostate su colonne. In questo senso non è sbagliato definirla la prima architettura del Rinascimento, infatti qui x la prima volta il vocabolario classico risorge a una vita nuova, diversa da quella antica. S LORENZO Fin dai primi anni 20 B si occupa pure dalla ristrutturazione della chiesa di S Lorenzo; questo perché B era legato al parrocchiano Giovanni di Bicci de’ Medici x il quale stava già ricostruendo la cappella di famiglia. Il progetto della chiesa prevedeva 3 navate che alternavano copertura piana al centri e volte ai lati, utilizzando x le campate lo stesso modulo proporzionale cubico del loggiato degli innocenti. La pianta era simile a quello delle basiliche gotiche ma gli elementi architettonici erano nuovi nel senso che erano ispirati all’antico. Il cantiere fu piuttosto lungo e la fase finale venne avviata solo quando Cosimo divenne vertice della fam (1442). Nonostante i cambiamenti apportati nei secoli successivi la chiesa continua a mantenere il segno del disegno di B nella fuga prospettica dello spazio. Inoltre sempre lui x la decorazione degli altari non volle polittici gotici ma tavole quadrate, a indicare come le nuove idee avessero già fatto breccia anche in pittura. La Sagrestia Vecchia di San Lorenzo LO SPAZIO BRUNELLESCHIANO E I RILIEVI DI DONATELLO Prima che Cosimo iniziasse a imporsi a Firenze, già suo padre, Giovanni di Bicci aveva promosso un importante cantiere, quello della ristrutturazione della Sagrestia di San Lorenzo (detta Vecchia per distinguerla da quella che verrà realizzata poi da Michelangelo). Il progetto venne affidato a Brunelleschi e pensato come mausoleo mediceo. La sagrestia si configura come uno spazio cubico con pareti dal colore neutro (pietra serena = pietra arenaria grigia divenuta da allora cara all’architettura toscana). Sui 4 lati vediamo delle lunette a tutto sesto sopra le quali su imposta una cupola sorretta da pennacchi che accolgono lo stemma mediceo composto da palle rosse in campo oro. Al centro, sotto il tavolo di marmo dove i sacerdoti depongono le vesti vediamo la tomba di Giovanni de’ Medici il quale si riflette nella scarsella (vano rettangolare che ospita l’altare). Risaltano poi i rilievi colorati che Donatello realizzò per i pennacchi, gli arconi e i sovrapporta, nei quali si alternano figure di Evangelisti e Santi con storia di san Giovanni Evangelista. Vediamo ad esempio l’episodio della Resurrezione di Drusiana nel quale la donna in nero, miracolata, risorge provocando l’esaltazione degli altri personaggi che, bianchi, riassumano sul fondo color mattone. Tutta la scena si sviluppa in uno spazio architettonico ordinato da archi a tutto sesto. Il Capitolo de’ Pazzi in Santa Croce Brunelleschi aveva appena finito questa impresa quando fu coinvolto in un nuovo progetto; Andrea Pazzi, nobile di famiglia fiorentina, voleva partecipare alla costruzione di alcuni ambienti di Santa Croce distrutti da un incendio e scelse di realizzare una propria cappella. Brunelleschi, sul modello della Sagrestia Vecchia, realizzò un edificio a pianta centrale impostato su un’aula cubica con cupola e scarsella. La differenza stava nella decorazione: al posto degli infervorati rilievi donatelliani abbiamo un apparato scultoreo più lineare e posato, in terracotta invertita attribuibile alla bottega robbiana. Il cantiere però fu molto lento e probabilmente né Brunelleschi né Andrea Pazzi cedettero l’opera completata. Il prospetto è composto da un porticato con due terzetti di colonne corinzie interrotti da un arco a tutto sesto, non si sa comunque se la facciata dipenda da un progetto originale di B. di 12 113 impresa comunque non verrà vista finita né da Masaccio né dal committente, infatti i lavori proseguiranno fino al 1425 x poi interrompersi: Masolino verrà chiamato in Ungheria. Masaccio tornerà poi a lavorare presso la cappella Brancacci dopo il 1426 (dopo aver terminato il Polittico di Pisa). Le storie del registro inferiore verranno terminate da Filippo Lippi. La collaborazione tra Masolino e Masaccio dimostra già una differenza di approccio alla pittura che vediamo soprattutto in 2 scene che si collocano una di fronte all’altra; -Cacciata Adamo ed Eva (sx); Nella cacciata di Adamo ed Eva (Masaccio) invece si rende la scena in termini decisamente più drammatici; viene usato uno stile pittorico in cui vengono presi certamente in considerazione i modelli statuari antichi come si vede nei corpi nudi di Adamo e Eva ma sempre in termini realistici; vediamo ad es il viso di Eva, per nulla abbellito ma con l’espressione atta a sottolineare fortemente il sentimento di disperazione, così come fa il gesto di Adamo di coprirsi il volto. Grande forza viene data anche alla rappresentazione del sesso di Adamo. Vediamo una tendenza a rappresentare tragicamente la storia del genere umano; la pittura si pone così a uno stesso livello di progresso al quale erano arrivate l’architettura e la scultura. - Tentazione di Adamo ed Eva (dx); Nella tentazione, realizzata da Masolino, vediamo un recupero dei modelli classici anche tramite la rappresentazione dei corpi in maniera morbida ed elegante, quasi a ricordare il gotico cortese; entrano quindi in contatto il passato gotico e la nuova sensibilità antichizzante. Anche la testa del serpente che diventa testa di una donna interviene nella scena in termini vagamente favolistici. Masolino e Masaccio rappresentavano proprio 2 mondi diversi che si incontrarono nella loro impresa più grande: la decorazione della Cappella Brancacci (x Felice Brancacci, mercante) all’interno della Chiesa del Carmine a Firenze e fu proprio qua che vediamo come dominò la personalità di Masaccio su quella di Masolino. STORIA DELLA CAPPELLA I lavori vennero avviati verso il 1424 e il ciclo intendeva rappresentare Storie di S Pietro, anche se l’aspetto attuale è frutto di secoli di stratificazioni (ad es. nel 1746-8 le vele e le lunette vennero distrutte da una ristrutturazione tardobarocca e la tavola della Madonna del popolo risalente al 1200 gemme posta sull’altare solo dopo il 1458). Masolino e Masaccio comunque non tenrminarono il ciclo che venne completato nei primi anni 80 del 400 da Filippino Lippi (registro + basso). ADAMO ED EVA Nel registro superiore della parete di ingresso abbiamo 2 scene della Genesi che sono gli antefatti fondamentali della venuta di cristo e poi delle storie di S Pietro. Masolino realizza La tentazione di Adamo ed Eva; qui i 2 sono ritratti nudi su uno sfondo neutrale solo ravvivato dal serpente con la testa di uomo, uomo che però non ricorda la violenza dei diavoli giotteschi, ma pare un delicato damerino del gotico internazionale. Molto diverso è come Masaccio narra La cacciata dal paradiso terrestre; AeE escono dalle porte del paradiso sotto lo sguardo giudicante di un angelo, essi camminano in un paesaggio brullo e concreto sul quale proiettano le loro ombre. Le figure di Masaccio sono tormentate da un fortissimo dolore e ricordano in questo senso l’espressività dei Profeti rappresentati da Donatello x il Campanile di Giotto tra i quali spicca Abacuc, detto lo Zuccone proprio x la sua espressione tanto pronunciata. Oltre a queste due scene, in questa Cappella si raccontano una serie di storie legate alla vita di San Pietro. La volontà dell’artista è quella di creare una sorta di connessione emotiva dando la possibilità allo spettatore di immedesimarsi. IL TRIBUTO Gli stessi elementi li ritroviamo in un’altra scena del ciclo, quella del Tributo, scena del Vangelo dove di narra il pagamento della gabella, la tassa d’ingresso alla città di Cafarnao. La storia è divisa in 3 momenti rappresentati xo in continuità; al centro vediamo Cristo attorniato dagli apostoli e bloccato dal gabelliere; egli indica Pietro x ordinargli di andare a pescare la moneta dalla bocca di un pesce e così a sx vediamo Pietro che esegue l’ordine e, infine, a dx che paga l’imposta. La scenografia è unica e tridimensionale e tiene conto delle scoperte prospettiche brunelleschiane. Il paesaggio sullo sfondo, inoltre, è spoglio e illuminato da un vero cielo atmosferico, i trinchi degli alberi digradano a seconda della distanza e l’edificio a dx è costruito prospetticamente verso il centro della scena e, dunque, verso Cristo, unico personaggio sul quale ha messo mano Masolino. Le aureole, inoltre, non sono più rappresentate di piatto ma in scorcio a indicare come anche l’immateriale adesso necessita di una certa corporeità. Ultimo elemento importante sono le ombre proiettate da ogni personaggio a terra. I volti degli apostoli, infine, sono fortemente caratterizzati di 15 113 delle barbe, ombre, sopracciglia, nasi; c’è dunque una novità nell’attenzione alla fisionomia da parte di Masaccio. SAN PIETRO CHE RISANA CON LA PROPRIA OMBRA Altra scena rappresentata nel ciclo, qui Masaccio rappresenta uno scorcio della Firenze urbana in prospettiva, il tutto rappresentato con sconcertante realismo. Nella scena del miracolo di S Pietro vediamo una serie di dettagli molto particolareggiati e che danno l’idea di come fosse Firenze all’epoca, con torri e merlature, da cui si distacca il porticato a sx che invece rimanda più chiaramente all’antico. BATTESIMO DEI NEOFITI Lo stesso realismo lo vediamo anche in quest’altra scena; sullo sfondo si staglia una quinta di monti disposti in prospettiva che in lontananza sovrastano le figure umane; i corpi sono studiati sia dal punto di vista anatomico che nelle sensazioni; in secondo piano vediamo un giovane che attende il battesimo e appare chiaramente impaziente xche infreddolito; questo nudo dall’espressività così intensa segna un punto di non ritorno nella storia dell’arte occidentale. La scena del battesimo di Cristo è poi una delle più espressive dal punto di vista dell’importanza del modello dall’antico. La pittura tra 300-400 compie una salto importante verso un maggior pathos e profondità che favorisce la narrazione della storia. I pittori del 400 fiorentino avranno poi sempre il lavoro di Masaccio come esempio, lo stesso Michelangelo studierà gli affreschi della cappella Brancacci. 3. Il Polittico di Pisa Nel 1426 Masaccio si sposta dai lavori nella Chiesa del Carmine a quelli nella chiesa di Pisa x la quale realizza, sotto commissione di ser Giuliano degli Scarsi, in polittico x la sua cappella dedicata ai ss. Giuliano e Nicola. L’opera ci è giunta in frammenti divisi in diversi musei. Su richiesta del committente M dovette realizzare una pala in formato gotico dallo sfondo dorato, probabilmente xo nello scomparto centrale la scena era unificata in un solo spazio; probabilmente vi erano i santi laterali rappresentati su piani diversi rispetto alla Madonna con il bambino in base alle regole prospettiche: così facendo nonostante l’oro del fondale che appiattisce Masaccio sarebbe riuscito a donare tridimensionalità alla scena. LA PREDELLA Alla base del polittico vi era una predella con 5 scene, ognuna delle quali riferita ai personaggi che la sovrastavano. Al centro vi era l’Adorazione de Magi nella quale ritroviamo tutti gli elementi di altre rappresentazioni di Masaccio: spoglio paesaggio montano, cielo atmosferico, ombre, aureole in scorcio, ponderata disposizione delle figure nello spazio. I Magi si presentano con solennità ma l’unica concessione al lusso la troviamo nella sedia della vergine che imita la sella curule, la seduta pieghevole da viaggio tipica delle più alte magistrature romane. In questa scena vediamo la Madonna seduta su quella che appare essere una sedia militare romana; Masaccio fa qua riferimento alle sedie che potevano essere visibili sui sarcofagi antichi. Tutta la scena è pensata per esprimere il pathos del momento e la dimensione religiosa, differentemente da quella di Gentile da Fabriano che invece si concentra di più sull’aspetto cortese e la sontuosità degli abiti, creando differenza tra le due opere nonostante ci troviamo circa negli stessi anni;. Si può dunque osservare come nella stessa città enegli stessi anni troviamo due tipi di stile pittorico estremamente differenti. MASACCIO E GENTILE: DUE MADONNE Alla National Gallery a Londra si conservano sia la Madonna con bambino e Angeli del 1425 di Gentile da Fabriano, sia lo scomparto centrale del Polittico di Pisa di Masaccio, che rappresenta sempre una madonna in trono, nonostante il linguaggio sia antitetico. Nell’opera di Gentile vediamo ancora broccati eleganti e un linguaggio spiccatamente gotico, mentre in quella di Masaccio vediamo i 2 angioletti che danno le quinte della scena, mentre il panneggio della Vergine struttura la sua figura e il bambino, con il nimbo in scorcio, si protende verso lo spettatore. Altro elemento è l’utilizzo di una luce molto forte, al quale si deve il forte contrasto tra le parti in luce e quelle in ombra, contrasto chiarissimo nel trono in pietra dove non c’è più traccia di elementi gotici. LA CROCIFISSIONE DI CAPODIMONTE In origine la crocifissione si trovava al vertice del polittico di Pisa, mentre ora è conservata a Capodimonte, Napoli. In questa rappresentazione Masaccio esplicita la 3 di 16 113 dimensione tramite la figura della Maddalena piangente di schiena, la posizione dei piedi di S Giovanni e la testa di cristo alla quale “manca” il collo, omesso immaginando realisticamente la visione che si sarebbe dovuta avere vedendo la scena dal basso. 4. La Trinità di S Maria Novella M fa un passo in più quando usa la prospettiva x affrescare la parete di S Maria Novella, creando un’architettura illusionistica che finge una vera cappella. In mezzo all’arco trionfale vediamo Dio che sorregge la croce di Cristo e al centro lo SS rappresentato dalla colomba che si getta in picchiata verso lo spettatore. Ai piedi della croce vediamo la Vergine e S Giovanni, alla soglia dello spazio della cappella, invece, i committenti: Berto di Bartolomeo (architetto) e la moglie Sandra. Nel registro inferiore, sotto l’altare, giace uno scheletro che allude a quello di Adamo e proclama che la passione, morte, resurrezione di Cristo hanno sconfitto la morte di ogi uomo; la morte fisica però, comunque, rimane e domina l’esperienza quotidiana. Se nell’arte medievale era tipico che committenti e devoti venissero rappresentati + piccoli rispetto alle figure sacre, Masaccio rivoluziona questa prassi in funzione del realismo richiesto dalla prospettiva. L’EPILOGO ROMANO DI MASACCIO Quest’opera segna la fine dell’esperienza fiorentina di Masaccio che si sposta a Roma quando venne chiamato per lavorare nella chiesa di San Clemente nella Cappella di Santa Caterina. x poi morire giovanissimo nel 1429. Nonostante la morte precoce già in molti erano stati influenzati dalla sua arte. PAOLO UCCELLO Altro protagonista del primo rinascimento fu Paolo Doni, detto Paolo Uccello x le decorazioni di animali che aveva realizzato nella sua casa. Egli si innamorò della prospettiva arrivando a studiarla attentissimamente. Con lui l’importanza del modello antiquariale diventa sempre più pressante. Egli lavora prima a Venezia e poi a Firenze. IL MONUMENTO EQUESTRE DI GIOVANNI ACUTO Esso è un monumento funerario monocromo nel Duomo di Firenze. L’artista sceglie una visione scorciata dal basso con la firma dell’artista. La celebrazione del condottiero avviene tramite l’utilizzo del modello della statua equestre (Marco Aurelio), la cosa poi è accentuata ancora dall’uso delle lettere capitali romane. Risale al 1436 il Monumento equestre a Giovanni Acuto affrescato su una parete del Duomo di Firenze x rendere omaggio a John Hawkwood il quale aveva servito la repubblica di Firenze un secolo prima. Egli fa riferimento all’illusionismo della Trinità di Masaccio e arriva a risultati impressionanti, sia nella resa spaziale della cassa che nel plasticismo del gruppo cavallo-condottiero. LA BATTAGLIA DI SAN ROMANO Nel 1438, poi, PU dipinse 3 tavole, su commissione di Cosimo de’ Medici, che raccontano le fasi cruciali della Battaglia di S Romano combattuta tra sensi e fiorentini nel 1432 durante la “guerra di Lucca”. I 3 pannelli nel corso dei secoli sarebbero finiti nelle mani dei Medici, a Palazzo Medici, e infine esposti in diversi musei. Essi rappresentano: - Niccolò da Tolentino alla testa dei Fiorentini - Il disarcionamento del condottiero senese Bernardino della Carda - Michele Attendolo guida i Fiorentini alla vittoria In queste tavole in particolare notiamo una forte attenzione x gli scorci difficili e le geometriche volumetrie dei copricapo; è chiaro quanto PU si sia impegnato x realizzare la prospettiva di una scena cosi complessa, che non rappresenta architetture ma una calca affollatissima. Nettissimo poi il contrasto tra l’impeto della battaglia e la tranquillità dei paesaggi in lontananza nei quali vengono evocate preziosità gotiche. In origine il formato rettangolare doveva essere completato da cuspidi e sulle armature brillavano lamine d’argento; retaggi di un mondo gotico che stava sbiadendo. SCENA DELL’USCITA DI NOÈ DALL’ARCA, CHIOSTRO VERDE DI SANTA MARIA NOVELLA Vediamo qua di nuovo l’eredità di Masaccio che si vede molto bene nel nudo sul fondo che ricorda il battesimo dei neofiti. importante è anche la monocromia dell’opera. Vi sono anche dettagli di solidi geometrici, si vede ad esempio un collare che ricorda il mazzocchio, un anello che gli uomini tenevano in testa a forma di prisma in modo da sostenere il cappuccio che i patrizi portavano. CAPITOLO 6 - PITTURA DI LUCE di 17 113 rispettasse la corrispondenza della tipologia di scene. La narrazione inizia nella lunetta a dx con la Morte di Abramo nella quale si vede il figlio Seth mettere nella bocca dell’anziano il germoglio dal quale crescerà l’albero il cui lego sarà usato x realizzare la croce. SALOMONE E LA REGINA DI SABA Nel successivo riquadro abbiamo 2 scene; vediamo a sx un paesaggio brullo nel quale la regina di Saba, durante il viaggio x andare a incontrare Salmone, si ferma inginocchiandosi di fronte a un ponte avendo avito la preveggenza che il legno di questo sarebbe stato quello usato x costruire la croce. A dx abbiamo poi la scena dell’incontro tra la regina e Salomone sotto un porticato all’antica; questa soluzione di usare 1 solo spazio x narrare 2 scene è stat ripresa dal Tributo di Masaccio; P nonostante le 2 scene si svolgano una in un interno e una in un esterno riesce a dare unità usando l’espediente della colonna centrale. URBINO E LA CORTE DI FEDERICO DA MONTEFELTRO Alcuni dipinti che realizza sono rappresentativi di Urbino, il cui signore era Federico II da Montefeltro. Piero inizia a far parte della sua cerchia di artisti, e Urbino sarà poi la città scelta da P x trascorrere la sua vita. 1. Il Palazzo Ducale Federico da Montefeltro fa costruire un grande palazzo sulla cui facciata vediamo una loggia aperta sulla campagna con 3 balconi inseriti nell’appartamento del duca. Il palazzo inizia ad essere costruito da un architetto di origini dalmate (Luciano Laurana) negli anni ’50 del 400 e la costruzione dura + di 20 anni e si susseguono diversi personaggi. Si parla di Urbino come una “città in forma di palazzo”. Riguardo al carattere “arioso” del palazzo, aperto verso la campagna, notiamo come l’architettura perde il carattere difensivo tipico medievale, abbiamo un precedente nel Palazzo Piccolomini di Pienza (dintorni di Siena) Nel ‘400 Urbino divenne una delle capitali del Rinascimento, nonché capitale del Montefeltro che comprendeva gran parte della zona settentrionale delle Marche e parte della Romagna, dove confinava con i territori malatestiani. L’area era sicuramente strategica ma non ricca e divenne tanto importante solo perché il suo signore, il duca Federico da Montefeltro, investì gran parte dei ricavi militari nella promozione delle arti e del territorio, scegliendo anche per la composizione della sua corte non solo amministratori e guerrieri, ma anche letterati, matematici e artisti provenienti da ogni dove. La sua dimora fu il Palazzo Ducale, il quale si estende su gran parte del centro della città, avendo inglobato nel corso dei decenni anche molti edifici preesistenti. All’esterno il palazzo si presenta tramite la “facciata dei torricini”, un paramento murario composto da 4 logge sovrapposte e inquadrato da da torri rotonde angolari. Le due logge più in alto spiccano per la candida muratura marmorea, chiaramente riferendosi all’antichità anche per le decorazioni a lacunari delle volte. Si può, partendo da questi elementi, pensare che alla progettazione abbia partecipato anche l’Alberti. Troviamo qui anche rimandi importanti: il modello x i torricini del palazzo si pensa siano i minareti delle moschee orientali (ad es). Il carattere incompiuto della fronte del palazzo fa capire la logica degli interventi che vengono pensati in maniera molto diversa rispetto a come accadrebbe oggi; infatti si dava avvio a progetti già sapendo che probabilmente non sarebbero stati terminati dall’architetto che li aveva inziati, ma questo era normale x lo sviluppo dell’economia del tempo. Nel grande cortile centrale del palazzo di Urbino vediamo un’interessante soluzione angolare; a differenza del Palazzo Medici di Michelozzo negli angoli qua non compaiono colonne; la volontà è dare forza maggiore alla soluzione angolare non proponendo una colonna ma un pilastro “a L”; vediamo un salto rispetto alla pratica brunelleschiana di usare la colonna come sostengo. Il pilastro inoltre ha un collegamento diretto con le architetture romane. LUCIANO LAURANA E IL CORTILE D’ONORE Ma sovrintendente della progettazione e costruzione della facciata fu l’architetto dalmata Luciano Laurana. Egli progettò anche il cortile d’onore al centro del palazzo, utilizzato da Federico x accogliere gli ospiti. Il cortile è contraddistinto per i loggiati laterali costruiti con archi a tt sesto che si combinano, originalmente, grazie a pilastri angolari. Sopra le arcate vediamo una descrizione in latino che elogia le imprese di Federico. LO STUDIOLO DI FEDERICO A questo carattere monumentale si contrappone l’atmosfera intima e racchiusa del cd Studiolo del duca. La stanza, attigua alla facciata dei torricini, è decorata nella parte alta da un ciclo di Uomini illustri realizzato dal francese Giusto di Gand e dallo spagnolo Pedro Berruguete. La cosa più particolare, xo, è l’arredo ligneo costituito da tarsie prospettiche realizzate nella bottega fiorentina di Giuliano e Benedetto da Maiano. Questa tecnica di origine medioevale venne usata nel ‘400 per realizzare effetti di illusione prospettica e resa veristica dei dettagli. di 20 113 IL DITTICO MONTEFELTRO Tra tutti gli artisti ai quali Federico si affidò il più celebre fu sicuramente PdF, e una delle sue opere più importanti è il cd Dittico Montefeltro, realizzato nella prima metà degli anni ’60. Qui P rappresenta Federico e la moglie, Battista Sforza, entrambi di profilo e a mezzobusto, secondo la lezione di Pisanello. I due si stagliano poi su un fondo di paesaggio che ricorda, invece, la lezione fiamminga, anche per l’attenzione ai dettagli, l’utilizzo di una luce nitida e chiara e della pittura ad olio. Federico è rappresentato con la parte alta del naso smussata, questo perché l’aveva persa, insieme all’occhio dx durante un torneo. Battista invece ha il viso pallido ed è impreziosita da un’elegante acconciatura e splendidi gioielli, e in questo possiamo trovare un’analogia con la pittura di Lippi. L’opera è dipinta anche sul retro, qua P rappresenta il trionfo dei due protagonisti affiancati dalle figure allegoriche di virtù (x Federico sono le 4 virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, mentre per Battista le 3 teologali: fede, speranza e carità). Sullo sfondo ancora una volta, il paesaggio del Montefeltro e in basso un’iscrizione a mo di epigrafe antica nella quale si elogiano i due committenti. Vediamo dunque bene in quest’opera come ad Urbino convivano interesse per la cultura antiquaria, sguardo nuovo al paesaggio e pittura nordica. LA MADONNA DI SENIGALLIA In quest’opera in particolare P dimostra la sua dimestichezza con il linguaggio fiammingo; le figure sono maestose e volumetriche, inserite in un intimo interno rischiarato dai raggi chiari della luce filtrata da una finestra a sx. A dx vediamo invece una nicchia rinascimentale su cui poggia una natura morta di panni e sopra un contenitore, dettagli esplicitamente fiamminghi. LA PALA MONTEFELTRO Questo è il primo dipinto devozionale organizzato secondo un’unica visione centrale. Vediamo la Vergine che siede al centro circondata da Santi. Sulle ginocchia posa il bambino, ed esse sono molto evidenti. Riconosciamo a sx San Giovanni Battista e dx San Francesco. Notiamo la grande importanza che ha la luce in quanto rivelatoria dello spazio che viene reso come fosse vuoto con questa lama di luce; il contrasto tra luce e ombra viene perseguito al meglio in modo che ci sia senso di tridimensionalità. Il soffitto a botte è coperto da lacunari con rosette e il fregio presenta decorazioni chiaramente classiche. Vediamo anche qua l’insinuarsi della cultura fiamminga; la rappresentazione del Federico da Montefeltro è realizzata non tralasciando le imperfezioni del suo viso mettendo in chiaro la passione di Piero x la messa in evidenza di tutti quei tratti del che caratterizzano la persona. Altro punto importante è l’armatura; non assomiglia alle armature abitualmente usate in questo momento del 400; esse infatti erano molto + agili e meno strutturate rispetto a quella che si vede e che invece è legata alla tradizione 300esca e ha l’utilità di rifrangere la luce. La grande novità di Piero (rispetto a Lippi) anche dal punto di vista geografico (non parliamo di Firenze ma Umbria), sta nell’adozione di una struttura architettonica sostanzialmente muraria, non composta da colonne; questa pala è la dimostrazione della volontà di Piero di proporre un’architettura romana, ma al contempo viene applicata una decorazione enfatica e completa. Oggi essa è conservata alla Pinacoteca di Brera (x questo spesso chiamata “Pala di Brera”), venne realizzata da P per Urbino. Il protagonista è di nuovo Federico e lo vediamo inginocchiato a dx, sempre di profilo (quello “buono”), mentre indossa la sua armatura rilucente che dà luminosità a tt la scena. Egli si trova nella posa del devoto committente difronte alla Madonna che tiene sulle ginocchia il Figlio e circondata da una corte di santi e angeli. La scena è inquadrata in un’edificio perfettamente in prospettiva (del quella la Vergine fa da asse di simmetria e il punto di fuga si trova in mezzo al suo viso), di gusto certamente antiquario; lo vediamo infatti negli elementi dei riquadri con marmi policromi, le lesene scanalate e i capitelli. Inoltre interessante è la valva di conchiglia nella calotta absidale e i lacunari della volte a botte. All’uovo di struzzo sono spesso state date diverse interpretazioni, la realtà probabilmente è che P lo inserì, in quanto suppellettile liturgica del tardo Medioevo, per accentuare l’effetto tridimensionale della scena. Vediamo ancora il dettaglio della mano di F gonfia per la gotta, questo non si deve a P, ma probabilmente a Pedro Berruguete. 3. Presenze fiamminghe ad Urbino: Giusto di Gand e Pedro Barruguete GIUSTO DI GAND E LA PALA DEL CORPUS DOMINI Giusto di Gand dopo essere sceso in Italia dalle Fiandre, terminò la pala per la Compagnia del Corpus Domini di Urbino. La pala era stata iniziata da Paolo di 21 113 Uccello il quale aveva realizzato solo la predella, il resto venne poi commissionato a PdF, senza però mai essere eseguito. Alla fine fu chiamato Giusto di Gand che dipinse la Comunione degli apostoli. La scena rappresenta il culmine dell’ultima cena, quando tutti hanno abbandonato il tavolo e si apprestano, inginocchiati, a ricevere la comunione da Gesù in piedi. La scenografia, la cura dei dettagli, le fisionomie, l’irrazionalità della composizione, gli edifici visibili al di là della finestra, tutto è assolutamente non-italiano, fatta eccezione x il profilo di Federico, riconoscibile nel personaggio a dx che precede il gruppo di cortigiani. LA PREDELLA DI PAOLO UCCELLO Egli nel gradino aveva narrato in 6 episodi Il Miracolo dell’ostia profanata; la storia racconta di un ebreo parigino che aveva oltraggiato il sacramento, era stato scoperto e condannato al rogo con tutta la sua famiglia. La prima scena della vicenda rappresenta la vendita dell’ostia all’ebreo, ambientata in un interno, cosa che ha permesso a P di rappresentare un’essenziale scatola prospettica. PEDRO BERREGUETE E IL RITRATTO DI FEDERICO CON IL FIGLIO Pedro, pittore spagnolo che aveva maturato un linguaggio eyckiano, collaborò con Giusto alla realizzazione del ciclo degli uomini rillustri dello studiolo. Altra sua opera per Federico è un ritratto nel quale vediamo il duca riposarsi, ancora con l’armatura addosso, leggendo un libro. La rappresentazione è sempre di profilo. A fianco a lui, poggiato al suo ginocchio, è il figlio, Giudobaldo da Montefeltro, all’epoca non più grande di 6 anni. L’atmosfera del dipinto è intima, rischiarata da una luce soffusa e indagata in ogni dettaglio. 4. Fortezze e città ideali FRANCESCO DI GIORGIO MARTINI Tra gli intellettuali che Federico accolse ad Urbino vi fu anche il senese Francesco di Giorgio Martini, al quale fu affidato il cantiere del Palazzo ducale ma anche il compito di rendere più sicuri i domini del Montefeltro tramite la realizzazione di nuove fortificazioni. egli fu il primo grade interprete di un nuovo tipo di architettura militare che teneva conto della potenza delle nuove armi da fuoco che si stavano diffondendo in Eu, tanto che scrisse addirittura un trattato sull’architettura su questo tema. SASSOCORVARO Tra tutte le fortezze spicca quella di Sassocorvaro, realizzata sulla base di una pianta che ricorda la forma di una tartaruga. L’aspetto è massiccio e questa predilezione per gli edifici a pianta antropo o zoomorfa trova il suo senso nel bisogno di realizzare strutture con pareti curvilinee, oblique, scarpate (con un inclinato spessore alla base), onde evitare di lasciare bersagli facili come le pareti rettilinee. Dunque tipici erano torrioni circolari e corpi avanzati che servivano anche da postazioni x poter colpire di lato o da dietro chi cercasse di avvicinarsi. LA ROCCA DI SAN LEO Altra fortezza è la Rocca di San Leo che Francesco di Giorgio Martini si occupò di rinnovare. La piazzaforte era posizionata al confine con lo stato riminese e per difendersi F realizzò una coppia di torrioni cilindrici innalzati sul limitare della rupe e uniti da una cortina. IL TEMA DELLA CITTÀ IDEALE Ma non solo le fortezze cambiarono il paesaggio urbanistico della seconda metà del ‘400; infatti si erano ormai affermati gli ideali razionali del Brunelleschi e dell’Alberti, i quali portarono alla volontà di progettare città tanto razionali da essere definite “ideali”. Esempio di quest’idea lo abbiamo in una tavola, conservata alla Galleria Nazionale di Urbino, che rappresenta la piazza di una città, priva di abitanti, che si apre come delle quinte teatrali e si poggia su un edificio a pianta circolare al centro, affiancato da una serie di palazzi. Protagonista assoluto della scena, la prospettiva. Rimangono xo ignoti autore e funzione della tavola, si ipotizza Luciano Laurana o un giovane Donato Bramante. LA FLAGELLAZIONE DI URBINO Sul fondo abbiamo la scena della flagellazione, con la figura dell’imperatore (copricapo tipico dell’ultima fam degli imperatori di Bisanzio, i Paleologi) che osserva l’evento. La descrizione dello spazio avviene tramite la prospettiva e l’utilizzo di elementi architettonici classici. I 2 episodi sono uniti in un unico spazio, quest’opera è una prova di prospettiva nata sostanzialmente x dimostrare le doti del pittore. A sx abbiamo la flagellazione vera e propria mentre i 3 personaggi in primo piano che non sono stati ancora ben identificati, si stagliano su un paesaggio urbano. In fondo vediamo il profilo di Pilato che assiste alla scena della flagellazione e che è stato chiaramente ispirato al profilo di Giovanni VIII Paleologo di 22 113 dell’Umiltà (1430), uno dei temi tipici del gotico che venne xo tradotto in termini masacceschi e lo fa rinunciando alla ridondanza della decorazione floreale e sostituisce al fondo dorato uno azzurro. Le figure sono salde e compatte e tra questi in particolare riconosciamo 2 carmelitani; martire Angelo di Sicilia con sulla testa una spada che lo uccise e Alberto da Trapani che invece si riconosce x il giglio fiorito. La Madonna trivulzio è conservata a Milano, è opera giovanile dove domina ancora una certa pesantezza scultorea delle figure. La figura a sx non si sapeva chi fosse, adesso è stata identifica come S Anna, madre della Madonna. Intorno al 1420 Filippo viene messo in seminario (madre povera, padre morto), cresce nel convento del Carmine e poi prenderà i voti trovandosi anche a lavorare nei lavori x la cappella Brancacci. Il passaggio a una maggiore lievità delle forme lo vediamo anche in un altro dipinto che segna un po’ un passaggio nella carriera di Lippi e ci riferiamo a S Girolamo con il leone; è un dipinto oggi conservato in Germania e si vede chiaramente qualcosa di diverso; le figure sono investite dalla luce e hanno una forte corporeità, ma questa luce sfalda un po’ tt questa durezza e dà al tt un carattere + delicato. UN PICCOLO TRITTICO DI FILIPPO LIPPI Lippi ebbe esordi, come abbiamo visto, masacceschi, ma seguì con opere le cui figure si fanno più pacate e larghe. Questo lo possiamo vedere ad esempio in un trittico conservato al museo di Cambridge; il fondo è ancora oro ma la struttura del trittico (carpenteria) rinuncia a cuspidi e decorazioni varie culminando in un timpano anticheggiante che conserva lo stemma del committente il quale, inoltre, compare in basso “in abisso” (ovvero tagliato nella parte inferiore del corpo, cosa che fa sembrare che compaia dal basso); egli accoglie la benedizione del Bambino retto dalla Madonna la quale a sua volte è circondata da angeli che le reggono dietro al schiena un ampio cuscino., la volumetria dello spazio è resa dalle 3 colonne sullo sfondo. Negli comprati laterali possiamo ancora vedere San Giovanni Battista e S Giorgio. - Madonna di Tarquinia; l’opera venne ritrovata da Pietro Toesca a Tarquinia e la attribuisce a Filippo Lippi. In quest’opera del 1437 (maturità) egli ha già cominciato ad avere un certo tipo di incarichi che lo hanno portato ad elaborare un linguaggio specifico ed esempio dei modelli che egli tiene in considerazione, ovvero il sentimentalismo di Masaccio e la scultura di Donatello che vediamo nella definizione sempre + precisa ad es del corpo della vergine. La rappresentazione dunque non parte dalla figura vestita ma dal corpo nudo che da Lippi in poi assume un grande ruolo rappresentativo. Il carattere scultoreo della vergine viene connotato da una grande espressività tipica di Donatello, alla quale fa riferimento anche la rappresentazione del bambino; interessante è il rapporto affettivo tra i due. Il dipinto richiama poi chiaramente alla pittura fiamminga che in questi anni si sta diffondendo in Italia e in particolare a Firenze; molti infatti sono i banchieri e i centri di scambio economico e finanziario sono le città del nord Europa; molte famiglie dunque comprano opere degli artisti nordeuropei che quando arrivano in ita hanno molto successo. La caratteristica fondamentale di queste opere era la definizione dei dettagli e dei particolari; la descrizione degli interni iniziamo a vederla nella pittura di Lippi ad esempio nella stanza da letto della vergine che sia apre su un paesaggio che è un’altra caratteristica impo della pittura del nord, così come importante è la pluralità delle fonti di luce; 1. dall’alto 2. dal fondo 3. dalla finestra laterale; questo serve a mettere in evidenza gli oggetti che costituiscono l’arredo della stanza. LA MADONNA DI TARQUINIA Questa tavola viene da Santa Maria Valverde ma si pensa che in origine stesse nel palazzo di Giovanni Vitelleschi, potente prelato di Tarquinia che avrebbe commissionato l’opera e Lippi (frate carmelitano). Nonostante la cornice gotica, la tavola è di chiara matrice rinascimentale masaccesca. Questo vale certamente per i soggetti, che ricordano quelli della Cappella Brancacci, mentre senza possibilità di confronto è l’ambientazione; ci troviamo infatti in un interno domestico, una camera da letta rischiarata da una luce tenue. Sono inoltre definiti con minuzia i dettagli. Questi elementi sono certamente ripresi dalle novità fiamminghe che da una decina di anni si stavano imponendo grazie all’opera di va Eyck e si stavano diffondendo anche a Firenze. In questa tavola, si può dire, convergono tradizioni fiorentine e novità fiamminghe. - Annunciazione; vediamo bene questo avvio al particolare e alla prospettiva tipico dell’arte del nord. Grande impo è dato al paesaggio e alla natura. Vediamo anche come questa apertura sul verde, sulla natura, sui fiori, sulla raffinatezza delle stoffe, siano tt aggiustamenti della pittura di Masaccio portandola a livelli di raffinatezza intentati fino ad allora. MATURITÀ DI LIPPI Nella sua maturità L inizia ad aver una certa complessità spaziale e inizia ad esserci una fluidità maggiore rispetto alla fase giovanile. Vediamo anche un’accentuazione dei caratteri cromatici e luministici che porta a una forte raffinatezza esecutiva. di 25 113 - All’interno della basilica di S Lorenzo realizza un’altra opera che è importante x l’attenzione nella resa dell’episodio: ambiente elegante dove vediamo l’angelo inginocchiato. Qua in particolare è impo la lezione fiamminga, ma quello che è interessante è che questa visione in prospettiva viene usata x la messa in evidenza degli spazi interni. - Incoronazione della Vergine, Uffizi, realizzata x la Chiesa di S Spirito (chiesa brunelleschiana); commissionata dalla fam dei Marilli. è un dipinto particolarmente emblematico di questa coralità che assume la pittura di Lippi e interessante è l’attenzione x la narrazione di una storia dove troviamo una forte gerarchizzazione. Vediamo anche una serie di dettagli interessanti dal punto di vista decorativo. Si pensa che il carmelitano a sx sia un autoritratto. Questa comunque è una pittura di storia; si narra di grandi eventi e questa è una caratteristica della Firenze 400esca; la pittura di storia viene arricchita da carattere festoso con decorazioni particolarmente curate. - Tondo Bartolini, Uffizi; vediamo ancora meglio questa caratteristica fiamminga di rappresentare la vergine con il bambino in primo piano con sul fondo la nascita della vergine; sviluppo ancora maggiore della poetica fiamminga. L’ANNUNCIAZIONE MARTELLI Lippi dipinse anche la pala della famiglia Martelli per la Chiesa di San Lorenzo (FI). Brunelleschi che si era occupato della ristrutturazione aveva raccomandato che le pale fossero eseguito in formato quadrato, e fu questo che Lippi fece. Dipinge qua la scena dell’Annunciazione in un solo spazio architettonico, con colonne anticheggianti che si aprono su un giardino deliziato da palazzi. A dx vediamo Gabriele che si inginocchia di fronte a Maria, la quale si scansa incredula. A sx invece vediamo a bilanciare la composizione due angeli. Dettaglio importante è l’ampolla di vetro a dx, inserita in una nicchia apposita; questa minuzia di dettagli si deve sicuramente alle influenze fiamminghe. La tradizione dell’affresco di cui abbiamo parlato dobbiamo ricordare che è di origine giottesca ed è una cosa completamente italiana (ad es nell’Europa del nord non c’era questa tradizione). L’uso dell’affresco x narrare grandi cicli storici è tipico della pittura fiorentina del primo 400. MADONNA DELL’UMILTÀ DI DOMENICO DI BARTOLO Egli era un pittore senese e questa sua opera è oggi conservata nella Pinacoteca di Siena. Il formato è semplice e rettangolare e abbandona il decoratissimo gotico, e anche la rappresentazione stessa si lascia alle spalle tutto l’apparato decorativo vegetale e animale tipico delle Madonne dell’Umiltà tradizionali; viene mantenuto un prato fiorito ma la scena è incentrata sulla figura di Maria vestita con un manto azzurro le cui pieghe sottolineano le forme delle gambe. Il Bambino è steso sulle sue gambe, solido e dotato di aureola in scorcio la quale sottolinea la conoscenza di Masaccio. Inoltre i personaggi sullo sfondo, angeli e musicanti, sembrano la traduzione in pittura delle figure composte e quiete di Luca della Robbia. CAPITOLO 8 - INTORNO A COSIMO IL VECCHIO: VECCHI E NUOVI PROTAGONISTI Michelozzo di Bartolomeo, architetto di Cosimo Michelozzo si era formato nel cantiere della Porta Nord di Ghiberti, sapendosi poi ben affermare come architetto e diventando l’architetto di fiducia di Cosimo il quale gli affidò il progetto della sua dimora in Via Larga. PALAZZO MEDICI Fu costruito tra il 1444-60 ed è esempio di palazzo gentilizio (appartenente a fam nobile) rinascimentale. La magnificenza dell’edificio rimane sempre sobria, per mostrare il potere e la ricchezza del proprietario senza però farlo pesare sui cittadini offendendoli. Inizialmente la struttura era cubica e organizzata intorno al cortile, in epoca moderna poi venne modificata; si aggiunsero nel 500 le finireste al piano terra (Michelangelo) e la facciata venne allungata sulla via nel 600 dalla fam Riccardi alla quale i Medici avevano venduto l’edificio. Per il resto, le bifore con archi a tt sesto e il bugnato che a ogni piano diventa di volta in volta “rustico”, sono parte del progetto originario di Michelozzo. BEATO ANGELICO Le novità artistiche fiorentine vennero comprese tra i primi da Stefano di Giovanni detto il Sassetta, il quale fu protagonista della pittura senese del primo 400 e fu in questo periodo che dipinse un polittico x l’Arte della Lana di Siena, il quale è andato smembrato. Quello che ne è rimasto xo fa capire bene quanto a queste date le novità brunelleschiane cominciassero ad essere note oltre i confini fiorentini. Vediamo ad esempio il frammento di Sant’Antonio battuto dai diavoli, nel quale vediamo un cielo atmosferico e i demoni disposti in cerchio intorno al santo, a dare profondità e senso dello spazio. Anche Beato Angelico (Guido di Pietro) si trovò a fare i conti con la tradizione del gotico internazionale con la quale si era formato; egli era anche un frate domenicano e spesso venne chiamato a lavorare x il suo ordine e il suo nome stesso indicava una fama di santità che gli venne formalmente riconosciuta da Papa di 26 113 Giovanni Paolo II nel 1982. La sua opera si colloca nel primo periodo dopo la morte di Masaccio (si colloca, dunque, dopo la primissima fase del Rinascimento che vede protagonisti Brunelleschi, Donatello e Masaccio) e, ad esempio, nella sua Annunciazione si vedono i risultati di questa prima fase di studi artistici. Egli viene indicato come l’angelico anche x eleganza delle forme, la brillantezza colori ecc. Beato Angelico al Convento di San Marco Michelozzo si occupò anche della ristrutturazione del convento di S Marco, finanziata da Cosimo il Vecchio. Nel chiostro e nella biblioteca vediamo anche la mano di Beato Angelico (fra’Giovanni da Fiesole). L’ANNUNCIAZIONE Uno degli affreschi rappresenta la scena dell’Annunciazione nella quale Angelico dialoga con la severità delle forme architettoniche michelozziane realizzando anche in pittura una struttura sobria e misurata; lo vediamo nel porticato dove Gabriele appare a Maria. La scena è priva di decorazioni e anche il giardino (hortus conculsus) , terminato da una staccionata, è estremamente sobrio, così come il bosco che si apre al di là di questa. si vede qui l’importanza della definizione dello spazio prospettico il quale può essere espressivo di una storia narrata, quello che si nota è la gentilezza, la dolcezza che emerge dalla scena. L’Angelico viene ad essere molto influenzato da Masaccio ma anche da Gentile da Fabriano (che ha dipinto a Firenze ad es la Pala Strozzi); questo lo vediamo nella forza volumetrica dei volti (Masaccio), mentre x quanto riguarda la gentilezza delle linee dobbiamo pensare a Gentile. In un dipinto come questo va notata l’importanza della luce; a fronte di una certa pesantezza delle figure di Masaccio qui vediamo una brillantezza generale della rappresentazione. LA PALA DI SAN MARCO La pala per l’altare maggiore della Chiesa di San Marco è sempre opera dell’Angelico. Egli sua qua il formato quadrato che sarebbe poi diventato tipico delle pale d’altare rinascimentali. I santi, che di solito stavano negli scomparti laterali, sono qua raggruppati intorno a Maria e ognuno ha un ruolo; alla sx di maria vediamo i frati, poi dall’altro lato Lorenzo, Giovanni (fratello e padre di Cosimo) e Marco e inginocchiati in primo piano abbiamo Cosma e Damiano. In origine la pala doveva avere più elementi anche nella predella, che oggi sono smembrati in diversi musei. Vediamo ad esempio la scena con la Guarigione del diacono Giustiniano nella quale si illustrano le capacità curative di Cosa e Damiano all’interno di un ambiente domestico colpito da una luce che riporta all’influenza dei fiamminghi e in particolare di Van Eyck, che stava riecheggiando in Toscana. L’INCORONAZIONE DELLA VERGINE, LOUVRE vediamo qua un’orchestrazione ancora più ampia di questa folla all’incoronazione ambientata in un baldacchino ancora decorato in stile gotico. CHIESA SAN MARCO, FIRENZE qua troviamo una parte importante della produzione dell’Angelico, in quanto egli si dedica a lungo alla decorazione della chiesa e anche delle singole celle dei frati. Vediamo in particolare in una Madonna in trono con bambino che rievoca chiaramente la Madonna di Masaccio del Polittico di Pisa; la Madonna è posta al centro in forma di statua, con il panneggio che fa intravedere bene la struttura corporea e il bambino che ha una forma muscolare che ricorda le rappresentazioni di Masaccio. La pt sx del trono è + in ombra rispetto alla Dx con un espediente pittorico che ha lo scopo di “bucare lo schermo”; egli infatti deve fare in modo che queste figure siano tridimensionali, reali, umane. Nel Santo a dx si vede l’interesse dell’artista x la caratterizzazione fisionomica (barba, baffi, occhi profondi…). SAN GIOVANNINO NEL DESERTO, NATIONAL GALLERY DI WASHINGTON la scena si trova in una formella della predella della pala. San Giovanni si trova nel deserto, qui trova una pelle con cui ripararsi durante il suo eremitaggio. In questo paesaggio con montagne aride spicca una figura del “giovinetto” che di nuovo fa riferimento allo spinario (= formella Brunelleschi). PALA CON DEPOSIZIONE DI CRISTO, CAPPELLA STROZZI, CHIESA DI SANTA TRINITA Troviamo qua una grande novità dal punto di vista compositivo. Il dipinto dimostra di aver travalicato i limiti posti dal polittico che tradizionalmente è diviso in pannelli invece uniti qua in un’unica scena. Importante è la resa drammatica della scena. La calata del corpo dalla croce è una rappresentazione iconografica che verrà poi molto usata del ‘500 in Toscana, in particolare in quanto mette bene in luce il peso e la sofferenza di Cristo, rappresentata tramite l’espressione del peso reale del corpo di Cristo. Interessante è proprio la complessità dell’opera di falegnameria di fondo della pala che rappresenta bene la coralità di lavoro attuabile in una bottega del tempo con una caratterizzazione ancora medievale. di 27 113 committenti dell’opera racchiusi in una scena domestica che si inginocchiano davanti alle statue dei SS Sebastiano e Antonio Abate, rese in trompe l’oeil come da tradizione eyckiana. Essi erano assolutamente adatti al contesto ospedaliero nel quale erano immersi, in quanto protettori contro la peste e il fuoco di sant’Antonio. UNA MINIATURA DI VAN DER WEYDEN Van der Weyden durante la sua carriera realizzò anche una miniatura per il frontespizio di un manoscritto, le Chroniques de Hainaut, un testo latino di fine 300 tradotto poi in francese. In questo frontespizio troviamo la scena nella quale Filippo il Buono riceve le Chroniques de Hainaut. La scena è pienamente cortese e il gesto è un atto di vassallaggio. Vediamo un uomo vestito di grigio inginocchiato di fronte al sovrano, egli non è però l’autore ma il committente. Tipico della pittura fiamminga è inoltre il cane che vediamo ai piedi del sovrano. L’arte del gotico internazionale dai tratti fiabeschi e fantastici lascia lo spazio a una scena che pare più domestica che regale, una scena che si potrebbe dire “quotidiana”, infatti il pittore preferisce rappresentare fedelmente i dettagli reali piuttosto che ostentale la sontuosità degli oggetti. VAN DER WEYDEN IN ITALIA Sappiamo che l’artista tra il 1449-50 sarebbe sceso in Italia. Ne abbiamo un ricordo nella Deposizione conservata agli Uffizi. Qui vediamo che il modello della Deposizione di Cristo nel sepolcro di Beato Angelico è stato tradotto in termini di pittura veristica fiamminga, sottolineando il dolore dei personaggi e aprendo il paesaggio all’orizzonte mediante due strade che si inerpicano in alto. RITORNO A BRUXELLES Quando tornò a Bruxelles ci rimase fino alla morte formando una nuova generazione du maestri fiamminghi, nonché autori come il lombardo Zanetto Bugatto. Hans Memling: un protagonista del secondo 400 Memling nacque in Assia ma fece illuso apprendistato nelle Fiandre con VAN DER WEYDEN. Quando il maestro scomparve egli si spostò definitivamente a Bruges dove aprì una bottega che lo portò alla fama e ad essere considerato il più importante attore della pittura fiamminga, fino a raggiungere successo in tutta Europa, dimostrando rispetto ai suoi predecessori un notevole sviluppo stilistico. IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI DANZICA Il trittico con il Giudizio universale è una delle opere epiu importanti di Memling. Esso oggi si trova a Danzica in quanto, durante il viaggio che avrebbe dovuto portarlo a Firenze venne trafugato da una corsaro polito che lo portò dove ancora oggi è conservato. Memling rilegge il Giudizio dipinto da VAN DER WEYDEN ma con notevoli differenze: gli scomparti da 9 diventano 3, la corte celeste è relegata al solo scomparto centrale dove troviamo anche l’Arcangelo Michele che divide beati e dannati. I beati li ritroviamo poi nello scomparto sx dove vengono accolti da San Pietro ai piedi della Porta del Paradiso, la quale è rappresentata con fattezze gotiche. I dannati invece si trovano a dx tra le fiamme dell’inferno. Essi sono rappresentati nudi, con forte espressività e emotività, il che rappresenta un forte scarto rispetto all’arte dei predecessori di Memling. IL TRITTICO DONNE Oltre a questi grandi trittici, Memling ne realizzò altri più piccoli destinati alla devozione privata. Uno di questi fu realizzato per un cliente gallese, Sir John Donne, un diplomat ico. In quest’opera Memling mant iene le caratteristiche dell’arte fiamminga, avvicinandosi però anche a quella italiana e unificando lo spazio dei 3 scomparti. La madonna con bambino al centro è affiancata da angeli e dalle Sante Caterina d’Alessandria e Barbara. Inginocchiati vediamo i committenti con la figlia, affiancati negli scomparti laterali da San Giovanni Battista ed Evangelista. La scena è poi ambientata in una stanza con la quale si sottolineano gli elementi prospettici tramite le geometrie del pavimento. Non si abbandona il gusto fiammingo per il paesaggio sullo sfondo e l’utilizzo di una luce tenue. I RITRATTI CON PAESAGGIO Questo gusto per la descrizione paesaggistica porterà Memling ad aggiornare la tradizione ritrattistica, sostituendo allo sfondo scuro un fondale di paese. Vediamo ad esempio il Ritratto d’uomo con moneta romana conservato ad Anversa, qui vediamo un paesaggio verdeggiante illuminato dal chiaro azzurro del cielo e di uno specchio d’acqua alle spalle di un uomo abbigliato di nero e posto di 3/4. Tutte queste caratteristiche tipiche del ritratto nordico sono poi sommate a una novità aggiunta da Memling; l’uomo infatti tien in mano una moneta romana con l’effigie di Nerone. Questo dettaglio si connota come un omaggio alla passione per l’antico in voga in Italia in quel periodo, si ipotizzò anche che l’uomo raffigurato fosse l’umanista veneziano Bernardo Bembo. Questa tipologia ritrattistica arrivò presto in Italia e venne interpretata egregiamente da artisti come Perugino e Leonardo. di 30 113 CAPITOLO 10 - TRA FRANCIA E ITALIA: BARTHÉLEMY D’EYCK E JEAN FOUQUET 1. Non solo Fiandre: le esperienze francesi Non solo i pittori fiamminghi rinnovarono la pittura nordica, ma anche quelli francesi diedero il loro contributo. Tra di essi possiamo ricordare personaggi come Barthélemy d’Eyck, pittori di fiducia di Renato d’Angiò, e Jean Fouquet, pittore di corta dei re di Francia Carlo VII e Luigi XI. La loro attività attesta anche il fatto che nel 400 i pittori italiani ebbero rapporti non solo con i fiamminghi ma anche coi francesi. 2. Renato d’Angiò, Barthélemy d’Eyck e la scuola provenzale Come abbiamo detto Barthélemy d’Eyck fu per molti anni pittore di fiducia di Renato d’Angiò, il quale fu un colto mecenate, appassionato d’arte e legato soprattutto alla Provenza. IL TRITTICO DI AIX-EN-PROVENCE Questo trittico, realizzato per la cattedrale della città si assegna tra il 1443-5 proprio a Barthélemy d’Eyck. La commissione venne dal mercante Pierre Corpici. Nello scomparto centrale troviamo l’Annunciazione dipinta dentro una solenne struttura gotica che ricorda le cattedrali nordiche e che si sviluppa in due navate che si prolungano diagonalmente. Dai finestroni arriva poi una luce tiepida che rimanda alle caratteristiche dell’arte fiamminga e nelle tavole laterali ritroviamo i profeti Germia e Isaia, sopra le quali teste il pittore ha rappresentato libri e oggetti vari, quasi come fossero dei brani di natura morta a sé stanti. Fu proprio questa tecnica a far ricollegare Barthélemy d’Eyck a Van Eyck e a imporsi come “marchio di fabbrica” dell’artista. ENGUERRAND QUARTON Quando Renato dovette ritornare in Provenza si portò con sé BE, cosa che portò alla nascita di una scuola che ebbe come artista di spicco Enguerrand Quarton. Tra le sue opere ricordiamo l’Incoronazione della Vergine commissionatagli nel 1453 per la Certosa di Villenueve-les- Avignon. La gerarchia dell’opera porta a rappresentare più grandi i personaggi principali e a rappresentare più piccoli il Giudizio universale, relegato ai lati e la visione di Gerusalemme e Roma. La prospettiva è inesistente e la scena è unificata da una luce zenitale (dall’alto) che pervade tutta la rappresentazione donando volume e compattezza alla Vergine nonché ai dettagli microscopici del paesaggio, paesaggio che, comunque, non è realistico in quanto la reale distanza geografica tra Roma e Gerusalemme è annientata in favore della rappresentazione simbolica delle due città nonché dell’attenzione per i dettagli. Questo nuovo modo di vedere e rappresentare il paesaggio si rifletterà in tutta Eu. LA PESCA MIRACOLOSA DI KONRAD WITZ Nel 1444, consapevole delle novità di Eyck, W dipinse per la cattedrale di Ginevra la pesca miracolosa, che egli ambienta non in Galilea, ma a Ginevra. A dominare la rappresentazione è il paesaggio, il quale viene rischiarato da una luce alpina che definisce anche i dettagli di cose e persone con estrema precisione. Queste novità apportate da KW dovettero avere immediata fama in quanto sembrano essere modello per i paesaggi di Quarton, e verranno portate fino in Italia meridionale da Antonello da Messina, il quale fece un proficuo viaggio in Provenza. 3. Jean Foquet: un francese e l’Italia All’opposto vi furono anche artisti che seppero confrontarsi con la prospettiva che si stava sviluppando in Italia e in particolare a Firenze e fu proprio questo che portò J Fouquet ad essere uno dei maggiori artisti francesi rendendolo famoso anche in Ita per le sue capacità di “ritrarre il naturale”. Egli potè addirittura soggiornare a Firenze e vedere le novità dei pittori italiani, portandole poi in Francia. IL DITTICO DI MELUN In quest’opera JF mette in luce le novità apprese in Italia. L’opera gli venne commissionata da Étienne Chevalier, tesoriere di Carlo VII, il quale lo volle dedicare alla moglie (Chaterine Budè) che era morta nel 1452. Dalla cornice del dittico ci rimane un piccolo tondo con un autoritratto (mezzobusto, 3/4, sfondo scuro, monocromo) e la firma dell’artista che mette in luce le sue abilità da miniaturista. Le ante, poi, richiamano alle novità italiane. A sx vediamo Étienne in veste scarlatta con Santo Stefano, riconoscibile per la pietra preziosa, simbolo del suo martirio avvenuto per lapidazione. Qui il riferimento all’Italia lo si può ritrovare nella parete di fondo, posta diagonalmente in prospettiva e decorata con forme geometriche composte da marmi preziosi. Inoltre, la luce nitida e e la definizione dei volti e delle teste rimandano a Beato Angelico. I due guardano a verso dx (loro sx) verso la figura di una Madonna con bambino, circondata sa serafini e cherubini. La scena è illuminata da una luce fredda e astratta e la Vergine è rappresentata con un’affascinante donna dalla vita stretta e i seni prorompenti, con una carnagione cristallina che fa contrato con gli accessi blu e rosso degli angeli. Possiamo dire con certezza che l’aspetto statutario e compatto delle figure ricordi quelle di Piero della Francesca. di 31 113 Sezione IV - La diffusione del Rinascimento in Italia Lineamenti storici Durante la metà del ‘400 il Rinascimento si propaga da Firenze al resto dell’Italia. MILANO AGLI SFORZA E NAPOLI AGLI ARAGONESI In questi anni la guerra è una presenza costante e non sono rari i casi di condottieri che finiscono al potere. Uno di questi casi è quello di Francesco Sforza, per lungo tempo al servizio di Filippo Maria Visconti, duca di Milano. Francesco, dopo aver sposato la figlia di Filippo Maria, il quale non aveva avuto eredi maschi, divenne signore di Milano. A Napoli invece per lungo tempo si contesero il trono angioni e aragonesi, fino alla sconfitta definitiva nel 1442 di Renato d’Angiò con il passaggio di potere a Alfonso d’Aragona. Egli, che fu sorpannominato il Magnanimo, costruì una potenza estesa a tutta l’Italia meridionale e alcuni territori della Spagna. Egli inoltre fu particolarmente interessato alle lettere e alle arti, e in particolare alla pittura fiamminga. GLI UMANISTI E LE CORTI In questi anni la cultura umanistica prosperò nelle corti dove i signori facevano a gara per ospitare i maggiori intellettuali. Esempi sono la corte di Niccolò III d’Este a Ferrara, Gianfrancesco Gonzaga a Mantova, Federico da Montefeltro a Urbino e Sigismondo Pandolfo Malatasta a Rimini. PAPI UMANISTI E NUOVI SANTI Questo amore per le lettere coinvolse anche gli uomini di Chiesa e infatti Roma stava diventando una capitale del Rinascimento. Protagonisti di questa rinascita furono Tommaso Parentucelli (Niccolò V) e Enea Silvio Piccolomini (Pio II), due umanisti eletti poi papi. L’ultimo in particolare seguì il cantiere della città di Pienza, una sorta di città ideale, considerabile il primo progetto urbanistico moderno. Inoltre, dal punto di vista spirituale, vennero proclamati alcuni nuovi santi, e da punto di vista politico Niccolò V incoronò imperatore Federico III il quale portò a termine la pace di Lodi (1454) stipulata tra le maggiori potenze italiane. LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI A regnare era proprio Niccolò V quando Costantinopoli fu conquistata nel 1453 dai Turchi di Maometto II, il quale mise fine all’Impero d’Oriente. Il suo successore, Calisto III cercò di organizzare una crociata per riprendere Bisanzio, ma nessuna spedizione andò veramente in porto perché nessuno voleva imbarcarsi davvero in questa impresa. LA REPUBBLICA DI VENEZIA Il ‘400 fu poi anche un secolo di espansione per la Repubblica di Venezia che arrivò a comprendere il Veneto, gran parte del Friuli, fino alla Lombardia, Ravenna, l’Istria e la Dalmazia e nel 1489 venne annessa anche Cipro, creando così uno stato multiculturale e multiterritoriale il quale fondava la sua ricchezza sui rapporti commerciali con l’Oriente. Importante all’interno della repubblica veneziana era la città di Padova, nella quale aveva sede una delle più antiche università italiane che formava grandi umanisti, inoltre Donatello stette proprio qua per lungo tempo, portando il linguaggio rinascimentale oltre i confini fiorentini, in Italia settentrionale. CAPITOLO 12 - VERSO UNA ROMA MODERNA 1. Il rinnovamento della città pontificia Nel 1443 Eugenio IV tornava da Firenze a Roma, la quale non era più una capitale culturale di prim’ordine dai tempi di Bonifacio VIII ed era molto diversa dalla Roma antica (e da quella che è oggi). 2. Filarete e la Porta di San Pietro Filarete si era formato a Firenze con Ghiberti, si recò a Roma per realizzare sotto richiesta di Eugenio IV i battesti nella nuova Basilica di San Pietro, che ancora oggi chiudono il portone principale. Questi portano rappresentano le immagini di Cristo, Vergine e S.S. Pietro e Paolo e le storie del loro martirio. Filarete, dal greco amante della virtù, era particolarmente interessato all’antichità anche se non si aggiornò sulla visione moderna apportata da Donatello, ma mantenne una visione che non contemplava l’uso della prospettiva e la rielaborazione delle decorazioni. Le sue opere dunque erano prive di profondità e la decorazione e la fantasia dominavano sulla razionalità prospettica. Nonostante questo egli ebbe una fiorente carriera grazie alla quale si affermò nella Milano di Francesco Sforza. LEON BATTISTA ALBERTI Altra regione importante che però ha un’evoluzione artistica diversa è lo Stato Pontificio; dalla donazione di Costantino in poi esso era costituito da quello che oggi è la zona del Lazio-Umbria-Marche-Romagna. I rapporti con la Toscana sono immediati, ma ci si trova di fronte a un’evoluzione parallela che però comporta delle diversità, dovuta al fatto che Marche-Umbria ecc erano molto legate alle vicende di Roma. Martino V in particolare è il primo Papa che torna a Roma dopo Avignone e che cerca di ricucire i legami con queste zone. Figura importante in questo contesto è quella di LEON BATTISTA ALBERTI; architetto e teorico, vive nel ‘400, nasce intorno ai primi anni del secolo e muore nel 1472; la sua attività si sviluppa circa dagli anni di 32 113 una chiesa moderna quella che si pensa potesse essere la facciata di un tempio all’antica. A metà del ‘400 bisognava ancora terminare la decorazione della facciata iniziata un secolo prima con l’utilizzo di marmi bicorni bianchi e verdi tipici della tradizione medievale fiorentina. Rucellai, in quanto committente dell’opera, decise di far mettere nell’architrave sotto il timpano il suo nome con la data di completamento (1470). Egli infatti era diventato ancora più importante da quando era riuscito ad imparentarsi con i Medici, dopo che il figlio Bernardo aveva sposato Lucrezia, sorella di Lorenzo il Magnifico e nipote di Cosimo. Per quanto riguarda il rinnovamento della facciata egli dovette in questo caso studiarsi delle soluzioni innovative non potendo ricorrere a un “involucro” come aveva fatto con il Tempio Malatestiano. Egli in questo modo dimostrò particolare abilità nel raccordare il recupero dall’antico con la tradizione architettonica fiorentina tardomedieavale. Lo spirito classicista emerge dalla parte inferiore con le colonne corinzie e dal timpano, comunque decorato con motivi romanici fiorentini. Egli, comunque, studia anche nuovi espedienti come le volute di raccordo tra la parte inferiore e l’attico della facciata, utili a nascondere il dislivello tra le navate materiali e centrale. 2. Palazzo Rucellai Prima ancora LBA dovette lavorare alla realizzazione del palazzo di famiglia di Giovanni Rucellai; il lavoro era nuovamente di intervento su un edificio già esistente è consisteva nel raccordare insieme edifici preesistenti per accorparli e dotarli di un’unica facciata. La direzione del cantiere fu affidata a Bernardo Rossellino. La facciata del palazzo appare simile a quella di Palazzo Medici che in quegli anni Michelozzo stava realizzando; essa infatti è suddivisa allo stesso modo su 3 ordini e presenta esternamente al piano terra un sedile che serve da raccordo e collegamento tra lo spazio pubblico e privato. Le differenze, comunque, ci sono. Infatti, nonostante entrambi gli edifici siano realizzati in bugnato, quello di Palazzo Rucellai è uniforme e liscio mentre quello del palazzo mediceo si alleggerisce a ogni piano. Inoltre Alberti utilizza, su modello del Colosseo, tutti e 3 gli ordini di colonne antiche; al piano terra dorico, primo piano ionico, secondo corinzio. Le finestre sono bifore in entrambi i palazzi ma in quello Rucellai sono inquadrate in lesene decorate da peducci (= capitelli incassati nel muro e che sostengono un volta o un arco). 3. Sepolcri all’antica: Bernardo Rossellino e Desiderio da Settignano Nella chiesa francescana di S Croce troviamo diversi sepolcri illustri, ma 2, che si trovano uno di fronte all’altro, sono particolarmente interessanti. I monumenti funebri di Rossellino e Da Settignano sono di una tipologia nuova definita “tomba umanistica”, in quanto realizzate x degli umanisti. Si passa da quello che poteva essere un semplice affresco a una vera e propria struttura tridimensionale realizzata su ispirazione dell’arco trionfale; troviamo un sarcofago all’antica con il letto del defunto con il giacente. Il monumento è ispirato all’antico e manifesta tt la cultura del personaggio. MONUMENTO A LEONARDO BRUNI - BERNARDO ROSSELLINO Bruni fu cancelliere della Repubblica e un grande umanista tanto da meritare un mausoleo in S Croce. Esso fu innalzato da Bernardo Rossellino, uno dei promettenti allievi di Alberti. Egli realizzò in quest’occasione un monumento sepolcrale ispirato palesemente all’antico come ancora non si era visto. Il monumento è realizzato sul modello di un arcosolio, ovvero un sepolcro inserito in una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto e affiancato da lesene scanalate, il tutto riccamente decorato. Dietro alla figura del gisant vediamo delle decorazioni in porfido e solo nella lunetta con la Madonna con Bambino e angeli trova spazio il tema cristiano. Interessante è anche la presenza in questo contesto antiquariale, e quindi anche pagano, della Vergine con il bambino e gli angeli; questa figura ha una funzione connessa alla mediazione che avviene x i credenti tra il momento del trapasso e l’entrata in paradiso; la vergine in posizione cosi preminente ha funzione di mediatrice. Si crea di nuovo un collegamento stretto tra il contesto del passato con il mondo presente e la civiltà cristiana di quegli anni Vediamo qui come, alla morte del Brunelleschi, anche la scultura intraprende la strada della ripresa del gusto classico. - Monumento funebre del cardinale di Portogallo, San Miniato al Monte, Firenze; cappella funeraria; in questo caso abbiamo un intero ambiente dove una parete viene progettata da ANTONIO ROSSELLINO (fratello di Bernardo); vediamo in questo senso come ci sia una sinergia di artisti che fanno riferimento a varie botteghe. Oltre alla presenza del canonico giacente, sarcofago ecc, troviamo anche la vergine con il bambino fatta xo in terracotta invetriata (bottega Robbiana). La volta di questo ambiente quadrato viene rivestito completamente di maioliche dalla bottega di di 35 113 Andrea della Robbia (fratello) e questo rivestimento è realizzato da queste mattonelle con al centro la colomba dello spirito santo e ai lati 4 angeli. Desiderio da Settignano fu un allievo di Donatello. MONUMENTO MARSUPPINI - DESIDERIO DA SETTIGNANO Carlo Marsuppini succedette al Bruni in quanto cancelliere di stato e la sua tomba venne posta di fronte a quella del suo predecessore. In questo caso però la progettazione fu affidata a Desiderio da Settignano, un giovane scultore che, differentemente da Rossellino, preferì un’interpretazione più espressiva e virtuosistica, quasi di stampo donatelliano, ma proponendo una sorta di “ingentilimento” del modello di Donatello. In questo periodo viene ripresa la filosofia platonica e il concetto del mondo delle idee - in particolare il disegno rappresenta a Firenze in questo periodo la rappresentazione delle idee. Questi 3 monumenti sono accomunati dal fatto di essere “tombe umanistiche”, le quali sono tombe costruite a parete sul modello dell’arco trionfale all’antica, con una tomba al centro, l’arco che la sovrasta e la figura della Madonna che diventa “mediatoria” tra la vita terrena e quella ultraterrena. I SORRIDENTI BAMBINI DI DESIDERIO Desiderio inoltre, ricorda il Vasari, fu in grado di scolpire teste di grande grazia e leggiadria. Egli fa probabilmente riferimento in particolari alle teste di femmine e fanciulli e in particolare al Bambino sorridente destinato a una dimora fiorentina. La dolcezza e la spensieratezza che la figura del bambino trasmettono sono esempio eclatante della bravura nell’imitazione della realtà e della naturalità di Desiderio. - S Girolamo; lo vediamo inginocchiato davanti a Cristo del quale ha una visione nel deserto. Tutto il paesaggio è rappresentato in stiacciato. Si vede qua come la maestria e la delicatezza di questo interprete di Donatello creino una scena molto delicata e raffinata dandoci l’idea di come certi risultati vengano perseguiti sia in pittura che scultura. La figura è maggiormente definita nella parte alta e solo abbozzata sotto. IL DE STATUA DI LEON BATTISTA ALBERTI Dopo aver scritto 2 trattati sull’architettura e sulla pittura, LBA, sempre in latino, scrisse il de statua, un trattato sulla scultura all’interno del quale fa la famosa distinzione tra scultura “per via di porre” e “per via di levare”, distinguendo dunque quella che prevede la lavorazione di materia plasmabile da quella che invece scava la pietra. LBA inoltre qua afferma che il fine della scultura è l’imitazione della natura e propone addirittura un metodo scientifico che si basa sull’individuazione delle proporzioni del corpo umano e delle caratteristiche individuali (definite, rispettivamente, dimensio e definitio). LEON BATTISTA ALBERTI E MANTOVA Alberti arriva nell’Italia del nord e presenta 2 progetti alla fam Gonzaga, la quale sarà molto importante tra il 5-600 e che già aveva chiamato alla sua corte Mantegna. A Mantova l’Alberti progettò una serie di chiese e al momento della costruzione si appoggiò a un apposito direttore dei lavori, Luca Fancelli. LA CHIESA DI S SEBASTIANO Il prospetto è classico e originale è il fatto che la struttura sia rialzata su una cripta. Inoltre essa è pensata a pianta centrale x mettere insieme proporzionalmente il cerchio e il quadrato. Questa chiesa annuncia in questo senso la predilezione x gli edifici piante centrale che si avrà nel ‘500. LA CHIESA DI S ANDREA Viene realizzata nell’ultima parte della vita dell’Alberti. La facciata assume una dimensione muraria ancora più decisa, e vediamo come lo schema adottato dall’Alberti è quello di un arco trionfale romano scavato in una muratura e chiuso da paraste. Anche qua l’arco è sostenuto da pilastri laterali. L’interno invece ha una grande estensione in un’unica navata. Nel 1470 M è incaricato di ricostruire in forme moderne la chiesa medievale di S Andrea, dove si conservava la reliquia del sangue di Cristo. L’edificio fu poi completato solo nel XVIII sec con la cupola di Filippo Juvarra. Anche qua la facciata è ispirata a un tempio antico e l’interno è a pianta basilicale, in particolare nei lacunari della navata e delle cappelle laterali ricorda la Basilica di Massenzio a Roma. di 36 113 In entrambi i progetti, comunque, l’Alberti ha la peculiarità di compattare le superfici preferendo allo colonne le lesene. CAPITOLO 16 - PIO II E PIENZA 1. Pienza L’ASCESA DI ENEA SILVIO PICCOLOMINI Nel 1458 ESP fu eletto papa e scelse il nome di Pio II con esplicito riferimento al “pio Enea” di Virgilio. Egli infatti fu un colto uomo di lettere appassionato in particolare di cultura antica. Altra sua ossessione era il pensiero che la Cristianità dovesse organizzare una crociata per riprendere Costantinopoli dai Turchi. Ma la sua impresa più famosa fu la costruzione di una nuova città con il suo nome, Pienza, impresa che descrisse nella sua autobiografia in latino, i Commentari. La città fu costruita a partire dal villaggio di campagna nel quale egli era cresciuto, Corsignano, nella Toscana meridionale. IL PROGETTO DI BERNARDO ROSSELLINO Il grande intervento è quello di restaurare la piazza con la cattedrale, il palazzo della fam, quello comunale e quello vescovile; ci troviamo di fronte a una serie di architetture che sono opera di un architetto-scultore fiorentino che si chiama Bernardo Rossellino. Il palazzo Piccolimini diventa esternamente la copia del Palazzo Rucellai di Firenze (Alberti); la formula antiquariale viene riproposta nel palazzo Piccolomini che da un lato si affaccia sulla piazza e dall’altra ha dei loggiati che si affacciano sulla campagna. Dal punto di vista dell’organizzazione urbanistica della città c’è la volontà di ricreare un tracciato romano con una certa gerarchizzazione del centro caratterizzato dai palazzi principali sulla piazza centrale. Il progetto della città fu affidato a Bernardo Rossellino, il quale realizzò il primo piano urbanistico della storia moderna. Il progetto era incentrato sulla piazza dominata dalla facciata dell’antica Cattedrale. Rossellino studiò poi un espediente prospettico per far risultare lo spazio più ampio, costruì infatti la piazza in forma di trapezio, lasciando ai lati della chiesa due vuoti come dei cannocchiali che si aprivano sul paesaggio, coinvolgendolo nella scenografia urbana. LA CATTEDRALE DI PIENZA Si innalza al centro della piazza, la facciata in travertino è suddivisa da 3 grandi arcate sulle quali si innalza un timpano con al centro lo stemma del pontefice, questi elementi ricordano i lavori dell’Alberti e in particolare il tempio Malatestiano. L’interno invece è gotico e questo si evince dalle volte a crociera sostenute dai pilastri e dai grandi finestroni che donano luce a tutto l’interno. Questo è costruito sul modello delle Hallenkirchen, ovvero le “chiese ad aula” nordiche, modello voluto da Pio II in memoria dei suoi soggiorni germanici. IL PALAZZO PICCOLOMINI A dx della piazza invece vediamo Palazzo Piccolomini, ispirato a quello che l’Alberti aveva fatto a Firenze con palazzo Rucellai. Il palazzo era la dimora del pontefice durante i periodi di vacanza trascorsi a Pienza e divenne dunque simbolo del potere della famiglia sulla città. La cosa più interessante del palazzo però la si coglie entrandovi; parliamo di una loggia aperta sul giardino pensile dal quale si apre un panorama mozzafiato descritto anche nei Commentari di Pio II. TAVOLE QUADRATE SENZA PINNACOLI Per la cattedrale di Pienza il Papa richiese ai maggiori pittori senesi che dipingessero non più dei polittici ma delle “tavole quadrate senza pinnacoli”, dunque sul modello Rinascimentale che prevedeva formati quadrati e l’assenza di pinnacoli gotici. Il modello di base fu probabilmente progettato da Rossellino. Esempio di questo genere di pala è quella realizzata da Matteo di Giovanni; nel registri onciale andiamo una Madonna con Bambino e Santi racchiusa da 2 lesene scanalate e sopra una lunetta con la Flagellazione. In questa scena le figure si distinguono x il loro dinamismo aggressivo. L’unico elemento gotico rimanente è il fondo oro, ma comunque dopo questa esperienza i politici a Siena iniziarono a passare di moda e questa nuova tipologia di pala d’altare iniziò progressivamente a perdere anche questo ultimo rimando al passato. CAPITOLO 17 - PADOVA Francesco Squarcione In quegli anni il principale attore di Padova era Francesco Squarcione, il quale fu anche un uomo d’affari e riuscì nella sua bottega a formare ben 137 pittori, il più famoso dei quali fu Andrea Mantegna. IL POLITTICO DE LAZARA S testimoniò il suo profondo interesse x il linguaggio pittorico fiorentino del cd Polittico De Lazara nella Chiesa del Carmine a Padova. Il formato è ancora gotico; al centro abbiamo S Girolamo posizionato in un particolare studio la cui parete si apre dando su un paesaggio. Ai lati abbiamo 4 santi che si trovano ancora su un di 37 113 1. Vediamo Ludovico Gonzaga seduto affianco alla moglie (Barbara di Brandeburgo) e circondato dalla corte. Un messaggero gli porta una lettera con la quale si pensa fossero state comunicate le cattive notizie sulla salute di Francesco Sforza. 2. Vediamo Ludovico che incontra il figlio Francesco, divenuto cardinale (il I della famiglia) che tiene x mano il fratello minore Ludovico che a sua volta tiene per mano Sigismondo. Accanto a Ludovico, il nipote Francesco che ne erediterà il titolo di marchese. Tutto questo nel proseguo delle pareti è corredato da servitori, cani e destrieri e alle spalle del cardinale vediamo un paesaggio con una città fortificata la cui cinta muraria è ispirata alle mura di Roma e anche gli edifici hanno foggia antica. IL SOFFITTO È uno degli aspetti più interessanti per la soluzione prospettica trovata. Nella volta M realizza una serie di elementi architettonici e una sequenza di busti di Cesari clipeati (in un cerchio che ricorda la forma di un clipeo ovvero uno scudo rotondo) come se fossero eseguiti a rilievo. Questa decorazione fa da contorno a un oculo centrale che si apre sul cielo e dal quel si affacciano alcuni spiritelli: questa, fondamentalmente, è l’espediente prospettico innovativo e originale. IL CRISTO MORTO, Pinacoteca di Brera Le capacità prospettiche di M raggiungono il loro culmine nella tela (e non tavola, inusuale x il ‘400) rappresentante il compianto sul Cristo morto. Tutto in questo dipinto è inusuale, infatti i piangenti si collocano a sx, relegati all’angolo e la scena è dominata dal corpo di Cristo, steso sulla pietra dell’unzione (dove si era preparato il corpo x la sepoltura). Dal bacino fino alle caviglie il Cristo è coperto da un sudar io e i l suo corpo è ana l i zza to dettagliatamente dal punto di vista anatomico e la scelta di farcelo vedere dal basso esalta le capacità prospettiche di M. L’atmosfera e i colori sono cupi e spenti. LA PALA DELLA VITTORIA, 1496, Santa Maria della Vittoria, Mantova: venne dipinta per il nipote di Ludovico Gonzaga, Francesco il quale divenne signore di Mantova nel 1484 e doveva celebrare la vittoria di Fornovo. M inserisce la madonna con il bambino in un pergolato con frutti e animali che ricorda la sua formazione con Squarcione. Questo gruppo è posizionato su un piedistallo sul quale vengono rappresentare Storie della Genesi e ad accompagnarlo vediamo San Giovannino, due santi “mantovani” e due santi “guerrieri”. In ginocchio a sx vediamo inoltre Francesco Gonzaga in armi che riceve la benedizione di Maria. All’opposti santa Elisabetta, patrona ed eponima della moglie di F, Isabella d’Este. Isabella d’Este e le arti Ella era primogenita di Ercole e quando non aveva ancora 16 anni andò in sposa a Francesco Gonzaga spostandosi alla corte di Mantova sapendola rendere una corte colta. Ella infatti era appassionata di arti, lettere, musica, moda e fu collezionista di arte antica e moderna. Accolse alla sua corte inoltre Leonard quando fuggì da Milano nel 1499 a seguito dell’invasione francese. Egli realizzò x lei un ritratto che si conserva in un foglio del Louvre. -Lo studiolo di Isabella: Poco dopo essere arrivata a Mantova Isabella decise di allestire nel castello di s giorgio 2 ambienti emblematici del suo impegno intellettuale: uno studiolo e una grotta, la quale era destinata a conservare una raccolta di antichità. Lo studiolo, invece, accolse dipinti che I commissionò ai maggiori artisti dell’epoca, ciclo oggi conservato al Louvre. -Parnaso, 1497, Mantegna, Louvre: il primo dipinto fu opera di A Mantegna che raffigurò le muse intente a danzare al suono della cetra di Apollo. Vennero xo raffigurati anche una serie di santi come Mercurio con Pegaso in primo piano, Vulcano nella sua grotta e Marte e Venere uniti al centro con ai piedi l’amore celeste: questi dovevano essere immagine di Francesco e Isabella, sotto il governo dei quali fiorivano le arti rappresentate dalle Muse. I poi si rivolse anche ad altri artisti come il Perugino il quale avrebbe realizzato una Lotta tra amore e castità, che però era molto diverso nello stile dall’opera di M e non era nemmeno una delle opere migliori dell’artista. CAPITOLO 19 - FERRARA E GLI ESTENSI di 40 113 1. Nella Ferrara di Lionello e Borso d’Este Prima di recarsi a Mantova Mantegna era stato anche a Ferrara, qua regnavano gli Estensi, una famiglia che aveva il suo potere sulla città fin dal 1200 e capi di un territorio che arrivava fino a Modena, Reggio Emilia e la Garfagnana. Anche Ferrara era una capitale culturale in quanto Niccolò III d’Este aveva accolto alla sua corte grandi umanisti. Questa propensione fu condivisa dal figlio Lionello che fece incontrare a Ferrara artisti eterogenei come Pisanello, Piero della Francesca, van der Weyden e l’Alberti. L’”ARCO DEL CAVALLO” Nella principale piazza di Ferrara ai piedi del Palazzo Ducale e di fronte alla facciata della cattedrale si erge un monumento pubblico che segna il passaggio dell’Alberti (1444). Il monumento, detto “arco del cavallo”, era stato eretto da Niccolò Baroncelli x sostenere un gruppo equestre in bronzo di Niccolò III d’Este che nel 1796 venne distrutto e poi sostituito d una copia nel ‘900. Niccolò Baroncelli aveva realizzato il cavallo mentre la figura del signore era stata realizzata da Antonio di Cristoforo. Il modello preso è chiaramente quello del Gattamaleata di Donatello, ma con ancora maggiore finezza antiquaria, cosa che si vede nella decisione di porre la scultura al di sorta di un arco. Alla morte di Lionello, poi, Ferrara passò al fratello Borso d’Este, il quale fu altrettanto appassionato nelle arti. 2. Cosmè Tura LA MUSA BELFIORE Al tempo di Borso nacque una scuola pittorica ferrarese che ebbe uno dei suoi maggiori esponenti in Cosmè Tura. L’icona di questa scuola è una Musa oggi conservata alla National Gallery di Londra e identificata in Calliope o Erato. La tavola originariamente era parte di una serie di 9 Muse che avrebbero decorato lo studiolo della residenza degli estensi a Belfiore, la quale non è giunta fino a noi. La figura si distingue per estroso e sembra mettere insieme le caratteristiche di ogni grande artista che aveva frequentato Ferrara: vediamo Pisanello nel tono cortese, PdF nella perfezione dell’ovale del volto, nella monumentalità, nella luce tersa e nel panneggio aderente, la pittura fiamminga di van der Weyden invece nei colori accesi e nella precisione descrittiva. Tutti questi caratteri messi insieme vanno verso un linguaggio eccentrico che ricorda anche sicuramente la pittura di Squarcione (Padova) e come Tura abbia avuto sicuramente contatti con essa. 3. I Mesi di Palazzo Schifanoia Uno degli esempi migliori della pittura ferrarese del ‘400 è il salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, sorto per godersi i piaceri della vita. Nel salone di rappresentanza Borso decise di far rappresentare da un’equipe di pittori aggiornati sulle novità di Tura, un ciclo allegorico dei 12 mesi che celebrasse la corte. FRANCESCO DEL COSSA Il suo è l’unico nome documentato. Il tema dei mesi godeva già di notevole fortuna in ambito cortese durante il Gotico Internazionale. Qua Cosa organizza lo spazio in 3 registri: - in alto abbiamo il trionfo della divinità mitologica del mese - al centro il segno zodiacale con figure allegoriche (i decani = 36 stelle del cielo a cui era associata 1 ora della notte) - in basso uno scorcio della vita di corte. Aprile: il mese dominato dal segno del Toro è associato alla figura di Venere trionfante accompagnata da una coppia di cigni. Qui compare anche Marte incatenato e intorno un gruppo di giovani accompagnati dalle 3 grazie. Intorno conigli che ricordano come la passione d’amore rinasca in primavera. In basso abbiamo Borso che rientra da una battuta di caccia accompagnato dal suo seguito e dona una moneta al giullare. In lontananza vediamo poi il racconto del palio di S Giorgio. Riconosciamo la capacità del Cossa di disporre le figure nel giovane seduto sul cornicione nel proscenio, che divide le 2 scene. ERCOLE DE’ ROBERTI Egli affresca invece il mese di Settembre: qua l’atmosfera è meno idilliaca e più cupa; troviamo Vulcano trionfante e un gruppo di ciclopi che realizzano le armi nella sua Fucina, notiamo in particolare uno scudo con la lupa, Romolo e Remo. Di contro vediamo il prologo della storia: Marte e la vestale Ilia si accoppiano su un letto, coperti da un lenzuolo increspato, da questa unione nasceranno i gemelli fondatori di Roma. 4. L’evolversi della Pala d’altare Questo stile eccentrico ebbe successo non solo x tematiche profane ma anche nelle pale d’altare delle chiese. PALA ROVERELLA, COSMÈ TURA, SAN GIORGIO FUORI LE MURA, FERRARA Tura dipinse di 41 113 un trittico x la Cappella della fam. Roverella nella Chiesa di San Giorgio fuori le mura a Ferrara. Nello scomparto centrale vediamo una Madonna con Bambino e angeli e, anche se la pala cita la tipologia del polittico, vediamo che lo spazio tende ad essere unificato grazie alla prospettiva e all’architettura delle arcate in scorcio. Le figure poi hanno lo stesso estro della Musa di Belfiore e dei Mesi di P Schifanoia. PALA GRIFFONI, FRANCESCO DEL COSSA, SAN PETRONIO, BOLOGNA Francesco del Cossa si traferì a Bologna a seguito di dissapori con Borso. Qui eseguì una pala per la Cappella Griffoni in San Petronio. Il trittico di formato rinascimentale al centro pone San Vincenzo Ferrer (domenicano) e nel registro superiore pone i santi Floriano e Luicia. Per i santi nei pilastrini e le storie di S Vincenzo Ferrer nella predella, Cossa si fece aiutare da Ercole de’ Roberti. Con lui, dunque, la pittura ferrarese inizia a diffondersi tra l’Emilia e la Romagna. PALA DI RAVENNA, ERCOLE DE’ ROBERTI, SANTA MARIA IN PORTO, RAVENNA In questa pala emerge come Ercole con il maturare della carriera iniziò a sviluppare un linguaggio più “pacato” e meno eccentrico. Questa pala è l’unica opera documentata del de’ Roberti. Il suo linguaggio qua è decisamente + moderno di quello di Tura e Cossa; mancano le cornici divisorie e lo spazio è definitivamente unificate. Lo spazio è connotato d aut quadriportico all’antica all’interno del quale siede su un imponente baldacchino la vergine con il figlio, affiancata da Anna ed Elisabetta. Dietro a quest’opera possiamo sicuramente riconoscere studi sull’altare padovano di Donatello, che si rivede anche nelle scenette evangeliche alla base e al coronamento del trono. Ai lati vediamo s Agostino e il beato Pietro degli Onesti, il quale aveva fondato la chiesa in seguito a un ex voto x essere scampato a una tempesta; si capisce il riferimento nella rappresentazione in lontananza di una marina, che si vede grazie alla soprelevazione del trono. Il paesaggio xo connotato da alture e rocce scheggiate non ricorda le piatte spiagge della Romagna. 5. L’addizione erculea - Biagio Rossetti Insieme agli aggiornamenti pittorici, a Ferrara si andò anche nella direzione dell’aggiornamento degli spazi urbani in senso razionalistico. Questo si vede nella cd “addizione erculea”, così chiamata in quanto attuata da Ercole d’Este, fratello e successore di Borso. Il progetto permise di quasi raddoppiare lo spazio, migliorare le difese e donare una dimensione + aperta rispetto alle strette strade medievali. Nel 1484 l’architetto Biagio Rossetti realizzò un progetto urbanistico che dimostrò come si potessero mettere in pratica le riflessioni sulla città ideale. Il progetto prendeva le mosse sul modello romano tramandato da Vitruvio che si fondava sul piano ortogonale incentrato attorno al cardo e al decumano. I 2 viali di Ferrara: uno collegava la città in direzione sud-nord, unendo il castello Estense con la nuova parte della città, l’altro invece andava in direzione est- ovest, unendo Porta Po e Porta Mare. Il fulcro stava nel cd “quadrivio degli Angeli”, dove si univano i 2 viali, qui sorge anche il Palazzo dei Diamanti, progettato da Rossetti x Sigismondo d’Este, figlio di Niccolò. L’edificio di tipo rinascimentale prende il suo nome dal bugnato che copre i prospetti e che è realizzato in forme di punta di diamante. Questo tipo di intervento segna il dominio incontrastato del signore e ani di riorganizzare gli spazi in senso razionale, ispirandosi ai modelli antichi. CAPITOLO 20 - GLI SFORZA E IL PRIMO RINASCIMENTO A MILANO IL CASTELLO SFORZESCO E LA TORRE DEL FILARETE Il ducato di Milano era passato dai Visconti agli Sforza; nel 1447 Filippo Maria Visconti era morto senza eredi e la figlia Bianca nel 1441 aveva sposato Francesco Sforza, con lui la corte milanese iniziò ad aprirsi al linguaggio rinascimentale. Con loro il paesaggio di Milano venne segnato per sempre, ad esempio con il Castello Sforzesco, edificio preesistente che Francesco aveva fatto ristrutturare per porvi la sua nuova residenza fortificata. Per proteggere l’ingresos fu innalzato un torrione merlato, di gusto gotico, che ancora oggi è uno dei simboli di Milano (la torre originale andò distrutta, quella di oggi è una ricostruzione). La torre è detta “del Filarete”, in quanto la tradizione vuole la sua costruzione affidata ad Antonio Averlino, architetto fiorentino soprannominato Filarete. egli in effetti fu chiamato alla corte sfornisca con il compito di ammodernarne il linguaggio. SFORZINDA Durante questo soggiorno a Milano il filerete scrisse un trattato dedicato alla progettazione di una città ideale: Sforzinda. Essa avrebbe dovuto avere una pianta assolutamente razionale, a forma di di 42 113 LA PALA DI SAN GIOBBE, DALLA CHIESA DI SAN GIOBBE, VENEZIA, 1480, G BELLINI In questo dipinto Bellini riprende l’assetto della pala di Antonello, oltre a questo riprende anche le qualità luministiche e naturali delle figure e degli oggetti. Sia in questa che nella pala di Antonello, poi, San Domenico appare con la tonsura e intento a leggere, ma queste non sono le uniche corrispondenze: simile è soprattutto lo stile, infatti le due scene si svolgono all’interno di un’abside ampia e moderna, rappresentata in prospettiva e con una calotta decorata a mosaico che esalta le radici bizantine di venezia. SAN GIROLAMO NELLO STUDIO, 1475, LONDRA, NATIONAL GALLERY, A DA MESSINA Questa fu un’altra opera che A lasciò a Venezia. Viene rappresentato il Santo come un umanista del ‘400 seduto alla sua scrivania e circondato di oggetti e libri vari. La scena si svolge al di là di una finestra illusionistica dalle forme di arco gotico catalano, lo stesso stile catalano che si ritrova nelle maioliche della pavimentazione. L’intera scena si costruisce prospetticamente e tridimensionalmente, con chiaro gusto italiano, in particolare questo si vede nella figa prospettica della galleria in cui passeggia il leone e nel palchetto. Qua troviamo la moltiplicazione delle fonti di luce tramite diverse finestre, nonché l’attenzione per la definizione del paesaggio. Le finestre di cattura ancora gotica si aprono sul cielo. Nei paesaggi al di là delle finestre gotiche si curano in maniera particolare i dettagli e la luce, così come all’interno dello studio sono importanti dettagli come il pavone, la pernice e i vari oggetti; tutto questo parla un linguaggio decisamente nordico. Altro elemento importante del lavoro di Antonello è la ritrattistica. Famosissimo è il Ritratto d’uomo. Antonello è di formazione fiamminga e dunque ha particolare facilità nel rappresentare i dettagli più minuti dei volti e della realtà. Antonello si sposterà poi anche a Milano dove svilupperà in maniera particolare la ritrattistica. La novità della ritrattistica di Antonello sta nella vitalità che i suoi volti trasmettono. Antonello inoltre riprende il busto marmoreo all’antica, riprendendo la figura a 3/4 e facendo in modo che il volto abbia una vivacità insolita per quanto riguardava l’attività dei pittori italiani dell’epoca. Un esempio di ritratto di Hans Memling ci dà l’idea di come la ritrattistica di Antonello si rifaccia a quella fiamminga e nordica con particolare interesse anche ai paesaggi. DUE RITRATTI: -RITRATTO DI GIOVANE CON VESTE ROSSA, 1474, ANTONELLO DA MESSINA; ritroviamo la solita rappresentazione di 3/4 su fondo scuro e il dettaglio del cartellino che riporta nome e data - RITRATTO DI GIOVANE CON VESTE ROSSA, 1480, G BELLINI: usa il medesimo schema di Antonello L’ANNUNCIATA, PALERMO, MUSEO REGIONALE DI PALAZZO ABATELLIS, A DA MESSINA Anche quest’opera fa l’effetto di un ritratti fiammingo. Il volto della vergine è malinconico e la composizione è essenziale, ella guarda verso di noi con il libro aperto sul leggio, posto di spigolo e delineato dalla luce a dare senso di uno spazio tridimensionale. Si può dunque dire che Antonello fosse un pittore nordico (nonostante viva in Sicilia). Quando Antonello nel 1475 si sposta da Messina a Venezia si muove via mare, probabilmente fermandosi a metà nelle Marche venendo così in contatto con la cultura albertiana e pierfrancescana, in quanto si nota chiaramente nelle sue opere elementi nuovi che denotano il contatto con culture artistiche lontane dalla sua cultura di formazione. Però rispetto alle figure di Piero della Francesca le opere di Antonello dimostrano una maggiore dolcezza e accentuazione di sentimento. SAN SEBASTIANO, DALLA CHIESA DI SAN GIULIANO A VENEZIA, 1476, DRESDA, A DA MESSINA Si pensa fosse un laterale di un trittico eseguito x la Chiesa di San Giuliano. In quest’opera A si rivela italianissimo, e questo si vede nei comignoli tipicamente veneziani dello sfondo nonché nelle rigorosa costruzione prospettica e nel plasticismo del nudo del santo che ricorda PdF. Il palcoscenico sul quale Sebastiano subisce il martirio è profondo ed è enfatizzato dalle linee prospettiche del pavimento, dagli scorci del frammento di colonna in primo piano a dx, e dall’uomo steso a sx. Può essere paragonato anche al San Sebastiano di Mantegna, il quale è molto più stentoreo e impavido, rispetto al volto dolce e sofferente del santo di Antonello. Nell’opera del Mantegna lo studio dell’antico prosegue nelle architetture classicheggianti, e al contempo traspare il carattere nordico dalla definizione delle di 45 113 espressioni e dei volti con un gusto espressionista tipico del nord. Fu questa una delle ultime opere di Antonello. Sezione V - Verso il nuovo secolo: umanesimo e cultura antiquaria Lineamenti storici LA PACE DI LODI A Lodi, Lombardia, nel 1454 venne firmata una pace tra Repubblica di Venezia e Ducato di Milano che almeno x un po’ di temp stabilizzerà gli equilibri in Italia. Le principali potenze dell’epoca erano: Ducato di Milano, Repubblica di Venezia, Stato della Chiesa, Repubblica di Firenze (Medici), Regno di Napoli (Aragonesi i quali estendevano i propri domini fino alla Sicilia, Sardegna e Spagna), Mantova (Gonzaga), Ferrara (Estensi), Urbino (Federico da Montefeltro). LA CONGIURA DEI PAZZI Nel 1464 Cosimo de’ Medici morì e lasciò il potere al figlio Piero il Gottoso, ili aule xo morì di lì a poco (1469) e gli succedettero i figlio Giuliano e Lorenzo i quali seppero mantenere il controllo su Firenze. Nel 1478 xo dovettero affrontare una congiura organizzata dalla famiglia de’ Pazzi alla quale parteciparono anche Sisto IV e Ferdinando d’Aragona (re di Napoli). I due fratelli furono aggrediti nel Duomo, Giuliano morì mentre Lorenzo si salvò. I Fiorentini a questo punto si schierarono dalla sua parte eliminando i Pazzi e i loro alleati. Firenze venne attaccata da un esercito di alleati della Chiesa, gli Aragonesi e la rep di Siena. Lorenzo xo dimostrò grandi doti politiche riuscendo nel giro di un paio d’anni a sancire una pace che consolidò i confini della Rep di Firenze e dando avvio all’era di Lorenzo il Magnifico. SISTO IV: MECENATISMO E NEPOSTISMO Sisto IV era il ligure Francesco della Rovere il quale fece carriera entrando nell’ordine francescano e grazie a una solida formazione umanistica. Il suo pontificato fu famoso x il mecenatismo e x il nepotismo: egli inaugurò la Biblioteca Vaticana e fece costruire la Cappella Sistina e favorì con cariche e ecclesiastiche o politiche parenti come il nipote Giuliano che divenne poi papa (Giulio II). LA PRESA DI OTRANTO E MAOMETTO II Lorenzo de’ Medici fu aiutato inaspettatamente d aMaometto II il quale nel 1480 inviò una flotta contro l’Italia meridionale la quale occupò Otranto e massacrò i suoi abitanti, minacciando poi anche Napoli e Roma. A questo punto Ferdinando d’Aragona e Sisto IV fecero la pace con Firenze e si allearono x riprendere Otranto, scopo raggiunto nel 1481, anche grazie alla morte di Maometto II. VENEZIA SI ESTENDE NEL MEDITERRANEO Alla vicenda non prese parte Venezia che nel 1479 aveva firmato un accordo di non-belligeranza con il sultano, favorendo scambi commerciali ed artistici. FRANCESI IN ITALIA: CARLO VIII A NAPOLI A sconvolgere i precari equilibri italiani arrivò poi anche un altro fatto, ovvero le mire dei sovrani francesi. Il re di Francia Carlo VIII, nipote di Maria d’Angiò, vantava un diritto ereditario sul regno di Napoli, così che nel 1494 varcò le Alpi x cacciare gli Aragonesi, impresa che riuscì ma che durò x poco tempo, infatti dopo essere entrato a Napoli nel 1495, egli vi rimase solo pochi mesi cacciato da un’insurrezione filo-aragonese. Gli stati italiani a questo punto costituirono una lega x bloccare la sua riturata, scontrandosi a Fornovo (Parma) con i Francesi in una battaglia che non ebbe né vincitori né vinti. MILANO FRANCESE E NAPOLI SPAGNOLA La campagna di Carlo VIII inaugurò il periodo delle “guerre d’Italia” così che la penisola divenne campo di scontro x le grandi potenze europee. Il francese Luigi XII rivendicava il trono di Napoli e il ducato di Milano, così che nel 1499 prese Milano e mise fine al potere degli Sforza (duca Ludovico il Moro). Nel 1501 toccò a Napoli, ma qui egli si scontrò con gli interessi del re di Spagna Ferdinando il Cattolico. Alla fine nel 1504 dopo uno scontro i due sovrani ratificarono il Trattato di Lione: Milano diventava francese e Napoli spagnola. A questo punto l’Ita era in gran parte in mano straniera. FIRENZE SENZA MEDICI: IL RIGORE DI SAVONAROLA La calata di Carlo VIII lasciò il suo segno anche a Firenze. Lorenzo il Magnifico era morto e la città era rimasta in mano al figlio Piero il Fatuo, il quale non aveva le stesse doti politiche del padre e non seppe opporre resistenza a Carlo VIII, venne dunque cacciato da Firenze. A questo punto nacque x qualche anno una repubblica guidata dal domenicano Girolamo Savonarola, il quale voleva creare il perfetto idea di città cristiana imponendo un regime che si opponeva a ogni lusso, tramite un devoto e penitenziale rigore. Ad un certo punto Firenze che non lo sopportava + lo accusò di eresia e egli venne impiccato e arso in Piazza della Signoria (1498). Dopo di lui prese vita una nuova repubblica che avrebbe rilanciato le arti come strumento x esprimere i propri valori civili. LE LICENZE DI PAPA BORGIA Tra i bersagli di Savonarola oltre alle tendenze pagane di Firenze vi erano anche gli eccessi di libertà che il ceto ecclesiastico si prendeva. Queste libertà in quegli anni vennero simboleggiate in particolare dallo spagnolo Rodrigo Borgia, papa come Alessandro VI. Egli è famoso x il stand numero di amanti e le dissolutezze compiute. Sotto di lui, comunque, Roma continuò a crescere dal punti di vista artistico; venne scoperta la Domus Aurea di Nerone lanciando la moda dei motivi decorativi di 46 113 antiquari detti “grottesche”. Alla fine del secolo, inoltre, il giovane Michelangelo stupì tutti con la capacità di imitare le sculture antiche e lavorare il marmo, indirizzando l’Italia verso la “maniera moderna”. CAPITOLO 23 - LA FIRENZE LAURENZIANA Il Palazzo Medici nel 1459 era terminato, si iniziò dunque con la decorazione della cappella nella quale si unirono moduli architettonici brunelleschiani e gusto antiquario dell’Alberti. Il ciclo d’affreschi fu realizzato da Benozzo Gozzoli, allievo dell’Angelico. IL VIAGGIO DEI MAGI, BENOZZO GOZZOLI Cosimo volle che BG affrescasse la scena del viaggio dei magi, nella quale egli celebrava la gloria della famiglia ritraendone i principali componenti e i loro + stretti amici. Vediamo Lorenzo il Magnifico ritratto come Gaspare sul cavallo bianco. Dietro, x primo, Piero il Gottoso che precede il padre Cosimo e dietro un folto seguito nel quale Benozzo si è ritratto. Dietro Gaspare, poi, è rappresentata una scena di caccia. In quest'opera vediamo come G ignori le novità del linguaggio rinascimentale, non trasponendo la volumetria delle figure umane nel paesaggio che all’opposto appare tardogotico e fiabesco e, inoltre, lontano da quella che era la campagna fiorentina: questo sta a indicare le mire feudali dei Medici che iniziavano a pensarsi come una casa regnate, dunque in questo senso è naturale che si utilizzi nuovamente un linguaggio cortese. Lorenzo il Magnifico: collezionismo, umanesimo e cultura antiquaria L grazie alla sua passione x la cultura aveva favorito un gruppo di letterati guidati da Marsilio Ficino e raccolti nell’Accademia Neoplatonica. Oltre a questo aveva dato la possibilità a un gruppo di giovani artisti (tra cui Michelangelo) di formarsi studiando la sua ricca collezione di sculture raccolte in un giardino vicino alla chiesa di S Marco. Questo è emblematico della passione di L x il collezionismo che nel 400 prese piede presso le maggiori corti d’Italia. La F di Lorenzo il Magnifico fu poi emblema dell’umanesimo: qui si dava credito illimitato alle possibilità dell’uomo visto come la creatura + splendida del mondo e dotato di libero arbitrio, nonché capace di oltrepassare i confini fisici del mondo tramite la cultura, le lettere, le arti e la filosofia. Marsilio Ficino e il neoplatonismo In quest’ambito Marisilio Ficino, umanista e filosofo, aveva dato vita presso la Villa di Careggi e x volontà di Cosimo, all’Accademia Neoplatonica, un gruppo di intellettuali che volavano resuscitare l’antica accademia ateniese e propugnavano una pia philosphia basata sugli insegnamenti di Platone e in particolare del neoplatonico Plotino (III sec) e sulla convinzione di poter unire pensiero filosofico e spiritualità cristiana. Ficino credeva inoltre nell’immortalità dell’anima e aveva la convinzione che l’uomo potesse elevarsi rispetto alla bassezza della materia tramite la bellezza. La Firenze di Savonarola Nel 1492 Lorenzo il Magnifico morì, gli succedette il figlio Pier “il Fatuo” che venne cacciato nel 94. Così Firenze fu sottoposta al rigido controllo di Girolamo Savonarola. Questo cambio di comando ebbe forte impatto sulle arti figurative in quanto Savonarola detestava le immagini pagane, considerate peccaminose, e tutte le rappresentazioni classicheggianti rischiavano di essere distrutte, come avvenne nel carnevale del 1497 quando ebbe luogo il falò delle vanità. I seguaci di Savonarola, x le continue pratiche penitenziali e la vita austera assunsero l’appellativo di “piagnoni”, tra questi vi erano molti artisti, come anche Sandro Botticelli, che passò dal neoplatonismo al misticismo. Questo cambiamento lo vediamo in alcune opere come: -Compianto sul Cristo morto, 1495, Botticelli: la pala venne realizzata x s Paolino ed è strutturata con un assoluto rigore. B mantiene la sua bidimensionalità. Le figure di dolenti si stagliano sul fondo scuro della grotta della sepoltura. L’aspetto cupo e funereo dell’opera rispecchia bene il clima della Firenze di Savonarola, clima che i fiorentini sopportarono fino al 1498 quando GS venne giustiziato in piazza della signoria su ordine del papa Alessandro VI Borgia. Comunque, per rispondere alle esigenze della spiritualità di GS la pittura fiorentina seppe anche intraprendere una strada meno tetra. Lo vediamo ad es nella pittura matura di Perugino, che in quegli anni si era trasferito a Firenze; -Crocifissione, 1494-6: la scena, realizzata x la sala capitolare dell’ex convento di s maria maddalena, è essenziale e si situa entro un’architettura rigorosa. Le figure sono a un tempo solenni e languide e si stagliano su un fondo di paesaggio sereno illuminato da di 47 113 Il terzo periodo del Rinascimento è legato all’attività di Andrea del Verrocchio la cui bottega fiorentina è molto attiva e grande e vede tra i suoi allievi personaggi come Leonardo e Botticelli, oltre che altri tra i maggiori artisti della fine del 400; in questo senso l’arte del Verrocchio è considerabile quella che inaugura la “terza fase” della pittura fiorentina. Si può notare in questo periodo un accentuato naturalismo che riprende elementi anche della pittura fiamminga. L’arte del Verrocchio prende infatti in considerazione una rappresentazione più legata all’osservazione della realtà e alle circostanze atmosferiche, naturalistiche e paesaggistiche. ANDREA DEL VERROCCHIO E I MEDICI Simultaneamente emergeva anche un altro artista, A del Verrocchio, il cui soprannome si deve al suo primo maestro, l’orafo Giuliano del Verrocchio. Egli assunse una posizione dominante nell’ambito della scultura e realizzò x la fam Medici una scultura in bronzo del David. In + in San Lorenzo realizzò il monumento sepolcrale di Piero il Gottoso e del fratello Giovanni (i Cosmiadi, figli di Cosimo). L’opera è distintiva x i materiali, l’assenza di immagini e la posizione: il sarcofago non è conto una parete ma in un’intercapedine a forma di arcosolio il quale divide la chiesa di S Lorenzo dalla Sagrestia Vecchia del Brunelleschi. Si può dire che il gusto antiquario rimandi alla tombe Bruni e Marsuppini in S Croce. V rinuncia alle immagini e mette al centro un sarcofago in porfido con elementi decorativi in bronzo che culminano nella grata bronzea a finta corda che chiude l’arcata. Dunque la sobrietà dell’opera è solo apparente e viene compensata dall’uso di materiali preziosi. - David; Prendendo in considerazione il Davide (commissionato dai Medici) vediamo come quello del Verrocchio presenti notevoli differenze rispetto all’esemplare di Donatello. La scultura del Verrocchio, infatti, sicuramente, presenta una fisicità decisamente più dolce e meno muscolare rispetto a quella di Donatello, riuscendo a somigliare ai ragazzi reali che l’artista può aver usato come modelli. - Il Verrocchio realizzerà anche dei monumenti funebri, uno di questi è la Tomba commissionatagli dalla famiglia Medici e posta nella Sagrestia di San Lorenzo a Firenze. Verrocchio costruisce una tomba sormontata da un arco a tutto sesto, creando una “grata” che dà l’illusione di essere una corda. Il sarcofago è particolare perché non sembra di tradizione cattolica, anzi, l’utilizzo di marmi rossi e verdi riporta alla tradizione normanna. L’INCREDULITÀ DI S TOMMASO, A DEL VERROCCHIO, ORSANMICHELE V realizzò anche sculture in bronzo di grandi dimensioni, come il complesso rappresentante l’incredulità di S Tommaso e che avrebbe sostituito il San Ludovico di Donatello in una nicchia di Orsanmichele. V elabora una nuova composizione che doveva accentuare il senso del movimento. Nella nicchia Cristo accoglie Tommaso alzando la dx, la quale diviene l’apice di una piramide che ha base nel piede di Tommaso, il quale fuoriesce dalla nicchia. Egli poi va a cercare la piaga del Cristo. La strategia è volta a coinvolgere lo spettatore. Qui sia la figura di Cristo che quella di S Tommaso sono rappresentate in modo da avere un atteggiamento particolarmente colloquiale l’una con l’altra, raccontando la loro storia in termini estremamente veristi e intimistici. Questo in Donatello, ad esempio, ancora non c’è: egli crea figure autonome le une dalle altre, mentre con Verrocchio vediamo come i soggetti discorrano facilmente gli uni con gli altri. Il Bartolomeo Colleoni, A DEL VERROCCHIO A Venezia le novità importate dal Bellini iniziarono a cambiare l’aspetto della città e nella seconda metà degli anni 80 si iniziò a ristrutturare la Scuola Grande di San Marco la cui facciata era stata progettata da Mauro Codussi. Nella piazza prospiciente (“campo” in veneziano) si voleva innalzare un monumento equestre che avrebbe superato il Gattamelata di Donatello. La statua doveva rendere onore al condottiero Bartolomeo Colleoni e nel 1480 la repubblica di Venezia reclutò Andrea del Verrocchio (fiorentino) che fu incaricato di realizzare una statua a dimensione naturale. Verrocchio xo morì senza completare l’opera che venne completata da Alessandro Leopardi (veneziano). Sono 2 i modi che dimostrano il superamento del modello del Gattamelata: 1 accentuando l’espressività del condottiero e 2 il dinamismo del cavallo che si erge su 3 zampe, alzando l’anteriore dx. Questo dimostrava come a Firenze, dopo la morte dei pionieri del I Rinascimento, si era inaugurata una nuova stagione artistica che stava esplorando nuove strade le quali avrebbero portato alla “maniera moderna”. IL BATTESIMO DI SAN SALVI E LEONARDO IN BOTTEGA V inizia a utilizzare il formato piramidale anche in pittura e lo vediamo in una pala rappresentate il Battesimo di Cristo, realizzata x la Chiesa di San Salvi a Firenze e oggi conservata agli Uffizi. Lo stile è in linea con quello dell’incredulità di San Tommaso sia nelle gestualità accentuate che nella rappresentazione dei panneggi modellati dalla luce. Inoltre la definizione anatomica del Cristo testimonia la diffusione delle novità del di 50 113 Pollaiolo. Ma la Pala deve molta della sua celebrità ai dettagli realizzati dal giovane Leonardo che negli anni 70 stava facendo il suo apprendistato nella bottega del Verrocchio che era la + importante di Firenze. L dipinse la testa dell’angelo a sx e il paesaggio retrostante, dando già immagine della sua attenzione x il naturale. Vediamo qui una fortissima attenzione al dato naturale e l’interesse dell’artista si concentra anche sulle cromie che si differenziano in base anche alla distanza e alle caratteristiche atmosferiche di luce e ombre. Questa caratteristiche saranno poi trasmesse al giovane Leonardo che le apprende proprio in questo periodo fiorentino. - Madonna di Berlino: Un altro dipinto che definisce la tendenza naturalistica ella bottega del Verrocchio è la Madonna del Museo di Berlino, nella quale si vede anche una forte attenzione per un certo tipo di ombreggiature che accrescono ancora di più il senso di naturalismo dei personaggi, i quali inoltre assumono un’aria decisamente più sentimentale e naturale. In quest’opera ad esempio si vede anche nel gesto di Gesù che ricorda un normale gesto di un bambino verso la madre. - Dama con il mazzolino: Un’altra opera conservata al Museo del Bargello (FI) è la dama con il mazzolino, nella quale rivediamo gli elementi cari al Verrocchio. La figura della donna è estesa fino alla vita, facendo vedere braccia e mani e non solo il, classico, busto. La sua espressione, inoltre, non è astratta (come tipico dei busti), ma meglio definita, anche dal punto di vista della capigliatura. Dunque, sicuramente si parte dal busto all’antica che, però, viene trascinato nella realtà e nella moda del tempo. Dal punto di vista della pittura in questo periodo è anche centrale lo studio della realizzazione del panneggio che diventa fondamentale per gli artisti dell’epoca. Possiamo vedere in questo senso alcuni disegni di Leonardo, molto importanti per capire la centralità che la realizzazione dell’abbigliamento assume per gli artisti di quest’epoca. Infatti la realizzazione dei soggetti deve essere basata su modelli veri e reali per poter realizzare non solo i corpi naturalisticamente, ma anche gli abiti e il loro modo di cadere ed essere colpiti dalla luce. In alcuni di questi disegni Leonardo tenta di trasmettere tridimensionalità solo rappresentando un abito e creando un oggetto a sé stante. SANDRO BOTTICELLI la gioventù Ma il grande protagonista dell’ultima fase del ‘400 è Sandro Botticelli. Botticelli è una figura chiave per comprender l’epilogo di questa fase. Egli è allievo di Filippo Lippi e da lui prende diverse caratteristiche come la purezza e la perfezione del disegno. A sua volta Botticelli prenderà come allievo il figlio di Filippi (avuto con una monaca), Filippino Lippi. ADORAZIONE DEI MAGI, Botticelli, 1475, Uffizi Insieme a L a Firenze vediamo un altro artista che si forma e ha il suo successo negli stessi anni. Alla metà degli anni 70 Botticelli realizza x Santa Maria Novella un’Adorazione dei Magi, con una composizione simile a quella di L. Maria e il bambino sono al centro all’interno di una rovina. La tavola doveva essere posta nella cappella di Gaspare del Lama, banchiere amico dei Medici, i quali all’interno di questa opera sono stati omaggiati con una serie di ritratti. Nel mago anziano inginocchiato ai piedi di Cristo vediamo Cosimo, mentre gli altri 2 in veste rossa e bianca sono Piero il Gottoso e Giovanni (figli di C) e i nipoti Lorenzo e Giuliano sono il giovane pensoso a dx e quello il primo piano a sx. B si è poi ritratto a dx in primo piano nel personaggio che guarda verso lo spettatore. Se la composizione è simile a quella di L il risultato è diverso, infatti B non dà un senso dinamico all’opera ma definisce le figure con contorni netti. Gli inizi con Filippo Lippi All’inizio Sandro fu messo a studiare con un orafo chiamato “Botticello”, e da qui deriverebbe il suo nome. Le sue + antiche opere, xo, somigliano alle ultime di Lippi, il che fa presupporre una sua formazione insieme a questo arista. Mentre F moriva B iniziava ad affermarsi e nel ’70 dipingeva x il Tribunale della Mercanzia un’immagine della Fortezza; qui mostra chiaramente la sua volontà di aggiornarsi sulle novità apportata dal Verrocchio e dal Pollaiolo, ma sempre con grandi capacità di assimilare e interpretare queste novità in modo originale. Botticelli realizza una serie di opere estremamente significative e lo fa anche per committenze importanti. Vediamo ad esempio La Primavera e La nascita di Venere realizzate per Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici. Entrambe le opere hanno impostazione profana ma da sempre sono oggetto di molteplici interpretazioni. La cultura umanistica della Firenze laurenziana si associa al nome di Botticelli e in particolare di 51 113 a 2 dipinti che sono diventata il manifesto di questo periodo, commissionati probabilmente x la dimora medicea di Via Larga da Lorenzo di Pierfrancesco, cugino di L. La loro fama oggi si deve sostanzialmente al soggetto profano e mitologico e al gusto estetizzante. - LA PRIMAVERA, 1478-82, Uffizi Al centro Venere si erge in un bosco di aranci e infinite specie vegetali, sopra di lei vediamo Cupido bendato e alla sx il vento di primavera Zefiro rapisce x amore la ninfa Clori che dopo essersi unita a lui rinasce come Flora, la personificazione della Primavera vestita con un abito ricamato di piante, la quale cammina spargendo fiori. a dx vediamo le 3 grazie che danzano e Mercurio che scaccia le nubi. Osserviamo il rigoglio e l’attenzione ai dettagli che, nuovamente, ci riporta alla pittura fiamminga. Dal punto di vista iconografico, però, gli interrogativi sono tanti. Le scene rappresentate, infatti, vengono tratte da testi antichi - come spesso facevano gli artisti di questa epoca. Noi non abbiamo però spesso a disposizione questi testi, e questa cosa crea ovviamente difficoltà interpretative. Dal punto di vista formale, invece, è più facile capire i presupposti che portano alla realizzazione di queste opere. Botticelli, infatti, riprende la pittura di Lippi e la porta sempre di più verso una notevole fisicità, naturalismo, morbidezza, che distinguono le opere di questo artista da quelle degli artisti del primo ‘400, che invece erano ancora legati a tratti immobilistici e rigidi. I volti della Primavera e della Venere, inoltre, rappresentano un certo ideale di bellezza femminile, il tutto enfatizzato anche dal biancore della luce che colpisce i loro corpi. - LA NASCITA DI VENERE, 1482-85 , Uffizi Al centro di nuovo Venere su una conchiglia, nasce dal mare e approda sull’isola di Cipro sospinta dal veno di Ponente, Zefiro abbracciato a una figura femminile (un altro vento o una ninfa). Venere viene accolta da un’ancella che le porge una veste fiorita x coprirsi. L’episodio è tratto dalle metamorfosi di Ovidio e l’opera rappresenta la maturità di B il quale rinuncia alla prospettiva fiorentina 400esca. Egli infatti delinea con precisione le specie botaniche o i dettagli del mare, con un gusto che idealizza le figure anche delimitandole all’interno di precisi contorni che danno loro bidimensionali e le pongono in un paradiso ideale. La Venere di Botticelli è rappresentativa di purezza e virtù, differente da un’altra versione e interpretazione di questa dea che, invece, diventa simbolo di erotismo e sensualità. Questo genere di dipinti di Botticelli non sono meri pezzi decorativi ma sono manifesti dell’etica del tempo e esprimono i valori che quella civiltà vuole perseguire, rimandando agli stessi valori che guidarono le civiltà antiche. - Marte e Venere: Un altro dipinto conservato a Londra e rappresentante Marte e Venere è emblematico dell’eleganza che la tecnica del disegno raggiunge a Firenze. Vediamo Marte a dx e Venera a sx e poi questi satiri che importunano Marte addormentato. Filippino Lippi e Domenico Ghirlandaio Completamento dalla Cappella Brancacci Essa divenne una palestra x la formazione dei pittori e lo rimarrà fino alla metà del 500. Negli anni 80 le storie incompiute di S Pietro di Masaccio e Masolino vennero terminate da Filippino Lippi, figlio di Filippo il quale o aveva avuto da una relazione illecita con una suora. Egli fece il suo apprendistato con Botticelli e dalla pittura del maestro infatti dipendono le sue opere + antiche. Xo quando si cimentò nel completamento della C Brancacci capì l’importanza di dialogare e modellare il suo stile sull’austerità di Masaccio. Lavorando x il registro inferiore infatti adotta un linguaggio severo e semplificato, senza attenzione x gli ornamenti. Lo vediamo nella Crocifissione di S Pietro. Comunque notiamo l’influenza di Botticelli nei volti e nei panni, in ogni caso terminata la Cappella Brancacci L si era ormai emancipato dal gusto del maestro. Filippino e la pittura fiamminga -Pala con l’Apparizione della Vergine a San Bernardo da Chiaravalle, Filippino Lippi, 1484-5, Firenze, Badia Fiorentina Si vede in quest’opera chiaro riferimento e influenza della pittura fiamminga, e questo lo notiamo nella precisione dei dettagli (libri) e nel realismo della rappresentazione del committente Francesco del Pugliese, rappresentato “in abisso”, di 52 113 inoltre vennero distrutte alcune immagini di papi e le scene della Nascita di Mosè (sx) e della Natività di Cristo (dx) che eran quelle iniziali delle storie del II registro che raccontano la vicenda di Mosè e di Cristo: Mosè era guida del popolo eletto e dunque immagine di Certo che a sua volta aveva continuità in Pietro che prefigurava il Papa, legittima autorità del popolo cristiano. Per la realizzazione di questi affreschi Sisto IV chiamò diversi pittori. Molti vennero mandati da Lorenzo il Magnifico che voleva così sancire la pace tra Roma e Firenze. Tra questi vediamo il Ghirlandaio, Botticelli e Cosimo Roselli. - Ghirlandaio - Vocazione di Pietro e Andrea la scena si apre sulla veduta del lago di Tiberiade e sul fondo vediamo i pescatori che si faranno apostoli. Cristo chiama a sé a dx Pietro e Andrea e a sx Giovanni e Giacomo. L’atmosfera è serena e ordinata. - Botticelli - Prove di Mosè - Prove di Cristo - Punizione dei ribelli Questa in particolare ha un grande significato xche funge da monito per tutti coloro che non rispettasse l’autorità ecclesiastica. La scena è un episodio dell’antico testamento qua ambientato in un paesaggio dell’Italia centrale dominato da un arco di trionfo. Vediamo Core, Datan e Abiram che capeggiarono la rivolta dei 250 israeliti contro Mosè, rappresentato a sx nel vecchio dalla veste verde e barbuto che schiva i colpi delle pietre, Giosuè più avanti cerca di proteggerlo. Al centro abbiamo la II scena nella quale Mosè scaccia i ribelli che a dx vengono mandati agli inferi. La scena è decisamente concitata e le figure, spesso lumeggiate d’oro, sono più che altro tendenti alla bidimensionalità. Altro artista che collaborò alla realizzazione del ciclo sistino fu Pietro Perugino (dopo) - Consegna delle chiavi: la scena è ordinata, al centro abbiamo Pietro che si inginocchia e riceve da Crisi una grande chiave che è la chiave per le porte del Paradiso. La scena è osservata dagli apostoli, indicati dalle aureole, e da altri personaggi. Due di questi a dx tengono in mano un compasso e una squadra e probabilmente rappresentano Baccio Pontelli (progettista) e Giovannino de’ Dolci (direttore). La scena è ordinata su una grande piazza ricoperta da lastre di marmo che indicano anche la fuga prospettica la quale si indirizza nell’edificio a pianta circolare al centro che allude al tempio di Salomone. A fianco abbiamo 2 archi che ricordano la struttura di quello di Costantino. In lontananza un quieto paesaggio con alture che riflettono l’azzurro del cielo e alberi dal fusto sottilissimo. In II piano abbiamo molte figure che si muovono e narrano altri episodi evangelici come il tributo della moneta e la lapidazione di cristo. Come nella punizione dei ribelli anche qua abbiamo 3 episodi che xo diversamente sono affrescato in maniera orinata e precisa, scanditi du piani diversi e anche le architetture e i personaggi sono coerenti con i gusti 400eschi. oltre a questa scena Perugino realizzò anche le pitture perdute della parete dell’altare e 3 altre storie della cappella. Dunque in lui si può vedere il vero regista del ciclo e in tutte le scene torna lo stesso paesaggio sereno con alberi esili che ricorda i paesaggi della sua terra natia (vicino Perugia). PIETRO PERUGINO (1446-1523) Allievo del Verrocchio La nitidezza e l’attenzione alla prospettiva nella scena della sistina derivano dalla formazione di P che avvenne a Firenze presso la bottega del Verrocchio, le figure del Cristo e degli Apostoli, infatti ricordano la grazia compositiva dell’incredulità di San Tommaso proprio del Verrocchio x Orsanmichele. Anche dal Verrocchio deriva la pratica di piegare i panneggi in grandi pieghe messe in evidenza dalla luce e lo vediamo sia nel Cristo che nella figura di spalle a sx, al quale ricorda un’altra figura di un’opera del Perugino, ovvero San Bernardino risana una fanciulla parte di una serie di 8 storie x l’oratorio perugino di S Bernardino. Il personaggio è quello di palle dal bizzarro copricapo che sta nella stessa posizione dell’apostolo nella consegna delle chiavi. Abbiamo poi anche qua nella luce e nella prospettiva un impianto derivante dal Verrocchio. Il linguaggio maturo di 55 113 Finiti i lavori x la Sistina P continuò a lavorare tra Perugia, Roma e Firenze, dove stabilì la sua bottega. Egli in questi anni sviluppò un nuovo linguaggio che ben si riassume in una pala realizzata x s Domenico a Fiesole e oggi agli Uffizi: -Pala di S Domenico, 1493, Uffizi: davanti a un semplice loggiato vediamo la Madonna seduta con il bambino sulle gambe, posta su un piedistallo dall’ornamentazione antiquaria. Al fianco si trovano S Giovanni Battista che addita il bambino e a dx s Sebastiano coperto dalle frecce del martirio ma che comunque mantiene un’espressione quieta. Sullo sfondo un dolce paesaggio umbro. Le figure sono delicate e aggraziate ed è proprio grazie a questo modo di rappresentare che P ottiene notevole successo in tutta italia, fono ad arrivare in Lombardia dove Ludovico il Moro gli commissionò una pala x la Certosa di Pavia rappresentate la Madonna col bambino e un angelo e i S Michele Arcangelo e Raffaele con Tobiolo, mentre Isabella d’Este un dipinto x lo studiolo di Mantova (avanti). - Collegio del Cambio, Perugia, 1496-1500: P affresca a Perugia la sala delle udienze del Collegio del Cambio, la quale era la sede di una delle + importanti corporazioni, ovvero quella dei banchieri. Nella Sala delle udienze vediamo in basso le pareti coperte da scranni lignei intarsiati e in alto le pitture del P. Nella volta di grottesche vediamo le lunette con la Trasfigurazione e la Natività insieme a immagini di Profeti, Sibille, Virtù, Eroi antichi. Il programma iconografico fu stilato dall’umanista Francesco Maturanzio il quale prese i soggetti da scritti di autori antichi. L’impianto ideologico accosta ognuna delle 4 virtù cardinali a un terzetto di personaggi antichi che sono esempio delle dette virtù. Ad esempio vediamo la Prudenza e la Giustizia alla prima corrispondono Fabio Massimo, Socrate e Numa Pompilio, alla seconda Furio Camillo, Pittaco e Traiano. I soggetti scelti dovevano essere esempio del vivere civile e dell’esercizio del bene pubblico in un luogo dove si amministrava la giustizia e sono stati rappresentati da P nel suo sdolcinato stile maturo. Pinturicchio Fu allievo del Perugino. Nella cappella Sistina P ebbe diversi assistenti primo fra i quali Bernardino di Betto detto il Pinturicchio che aveva collaborato anche nelle Storie di San Bernardino. Egli si sarebbe poi affermato a Roma, ma nel frattempo notiamo la somiglianza con la Consegna delle chiavi nei Funerali di San Bernardino x la chiesa di s Maria in Aracoeli a Roma, che fa parte di un ciclo di Storie di S Bernardino x la cappella dell’avvocato Niccolò Bufalini. Pinturicchio fu in grado di unire alle tenerezze umbre l’ossessione x l’antico favorita anche dagli studi perseguiti all’interno della Domus Aurea. Il rapporto con Alessandro VI Egli fu uno dei primi interpreti della decorazione a grottesca, cosa che gli permise di imporsi presso una clientela ricca e affascinata dalla tendenza antiquaria di quegli anni. Quando Rodrigo Borgia divenne papa come Alessandro Vi si rivolse a Pinturicchio x affrescare i suoi appartamenti. Egli decorò le 5 sale con una pittura ridondate d’oro e ricca, attenta ai dettagli e alle decorazioni come si vede nella Resurrezione con Alessandro VI inginocchiato o nella Disputa di Santa Caterina d’Alessandria. P dunque si allontana dalla severità compositiva del Perugino per perdersi in minuzie decorative richiamando alla tradizione cortese. Spello e Siena - Cappella Baglioni, 1500-1 Santa Maria Maggiore, Spello (Perugia): qui realizza un ciclo con Storie della Vergine. Nell’annunciazione sulla parete dx vediamo posto accanto alla parasta con le grottesche, un suo autoritratto. -Libreria Piccolomini, 1502-8, Siena: Finito questo lavoro P stipula un contratto con il cardinale Francesco Tedeschini Piccolomini x decorare la Libreria Piccolomini a Siena. queso era un vasto spazio atto a conservare i volumi del defunto zio, Pio II. L’opera venne inclusa solo nel 1508, ma il committente già nel 1503 morì riuscendo ad essere papa x meno di 1 mese come Pio III. Sulla volta vediamo le grottesche che poi si estendono nelle paraste dipinte che dividono le pareti in 10 finestroni nei quali sono narrate le vicende di Enea Silvio Piccolomini dalla giovinezza agli anni del pontificato. Realizza così una sorta di biografia dipinta che x una di 56 113 volta non racconta la vita di cristo, santi o eroi ma di un personaggio vissuto fino a pochi decenni prima. Anche qua usa uno stile carico di dettagli avvalendosi comunque di molti aiuti e in una scena venne usato il progetto di un giovane pittore come Raffaello. Luca Signorelli Il cantiere della sistina venne frequentato anche da Luca Signorelli, nato a Cortona (tra umbria e toscana) alla metà del 400. Nella ristia collaborò direttamente con il Perugino dipingendo x la Consegna delle chiavi 3 teste degli apostoli; a sx alle spalle di gesù il 1,2 e 5, distinguibili x un fare + arcigno e per una preferenza, rispetto all’equilibrio e alla serenità di P, il dinamismo e la possenza. Signorelli era stato allievo di PdF ma nel corso degli anni 70 era anche entrato in contatto con il Verrocchio. In paragone con Piero possiamo vedere la rappresentazione della stessa scena, ovvero la Flagellazione di Cristo; alla composizione salda di Piero, Signorelli preferisce un maggiore dinamismo e una maggiore complessità nelle ose e nelle torsioni dei corpi; questa è la variabile che trae dall’insegnamento del Pollaiolo e del Verrocchio. Non si dimentica però l’antico che ritroviamo nella colonna sovrastata dalla statua (come in Piero) e negli ornamenti sullo sfondo. -Cappella di San Brizio, 1499-1500, Orvieto, Duomo: ottenne nel 1499 la commissione di affrescare la cappella di san Brizio nel duomo di Orvieto, eretta agli inizi del 400 come un’aula gotica. La commissione voleva che Signorelli rappresentasse le storie della fine del mondo e del giudizio finale. Egli svolse il tema in forme drammatiche, riempiendo le scene di nudi studiati attentamente nelle anatomie e nelle pose complesse. Nell’episodio La resurrezione della carne vediamo i nudi che fuoriescono da un terreno candido, alcuni ancora in forma di scheletri. Nell’Inferno sempre i nudi in pose complicate. La pittura di S costituisce un precedente essenziale per quella di Michelangelo. Oltre a queste immagini il ciclo prevedere alla base delle pareti riquadri con illustri poeti del presente e del passato, vediamo ben riconoscibile Dante circondato da 4 medaglioni con scene del purgatorio e da motivi di grottesche. Questa modalità decorativa ricorda quella della Domus Aurea, rinvenuta proprio alla fine del 400 e divenuta poi luogo di studio x gli artisti del tempo. Queste decorazioni fatte di figure esili e mostruose, fantastiche, intrecciate o simmetriche vennero definite “grottesche” in quanto la Domus era stata trovata sottoterra e le stanze si presentavano come delle “grotte”. CAPITOLO 25 - MILANO E LA LOMBARDIA sotto Ludovico il Moro BRAMANTE (1444-1514) l’esperienza milanese Donato Bramante, originario di Urbino, divenne uno degli artisti di spicco della maniera moderna, sempre mantenendo uno stretto legame con l’esperienza di PdF e l’arte fiamminga. - Cristo alla colonna, abbazia di Chiaravalle milanese, 1490, Pinacoteca di Brera: questo legame con Piero è qua ben esemplificato. B raffigura mezza figura di Cristo analizzato dettagliatamente nella sua anatomia e legato a un pilastro decorato con motivi antiquari. Il linguaggio è modellato su una luce netta e decisa che leviga il busto del cristo come quello di una statua e anche i capelli riflettono questa luce, che li fa sembrare quasi fili metallici. All’eucarestia allude inoltre la pisside (oggetto liturgico usato nella Chiesa cattolica ed in altre confessioni cristiane per conservare le ostie consacrate dopo la Celebrazione eucaristica) poggiata sul davanzale in secondo piano, il quale si apre su una finestra che lascia vedere un paesaggio con colline verdeggianti e montagne rocciose, anche questa colpite dal tono caldo della luce, e che inoltre rimandano all’arte fiamminga. Questo senso di monumentalità si ritrova anche nella progettazione architettonica; egli sicuramente riporta anche qua i caratteri appresi dalla formazione urbinate x quanto riguarda la prospettiva e la tridimensionalità: -Santa Maria presso S Satiro: B tuttavia si specializzò nel campo dell’architettura dando voce alle sue competenze prospettiche. Questo lo vediamo nella chiesa di s maria presso san satiro a milano non lontano dal duomo. Qui B fu incaricato di trovare una soluzione all’estensione limitata della muraglia infondo alla chiesa, di 57 113 serena Medea. Sezione VI - Gli esordi e la Maniera Moderna Lineamenti storici L’Italia era divisa in 5 stati: Papato, Napoli, Venezia, Milano e Firenze e vi era una sorta di qequilibrio in quanto ognuno di questi era attento a mantenere il suo primato e contemporaneamente a evitare che gli altri stati si espandessero. Fu l’arrivo dei Francesi a rompere questo equilibrio; vedendo mano a mano cadere le città gli stati assunsero un atteggiamento passivo cercando semplicemente di evitare di incorrere nello stesso destino e le guerre si fecero sempre più improvvise e violente. La lega di Cambrai: agli inizi del secolo il Ducato di Milano era già sotto i francesi e anche Napoli passò alla corona aragonese di Spagna. A questo punto fu presa di mira anche Venezia tanto che nel 1508 il Papato, gli Asburgo, la Spagna, la Francia, Mantova e Ferrara si coalizzarono nella lega di Cambrai contro la rep veneziana. L’obbiettivo non venne xo raggiunto in quanto alle sconfitte veneziane fecero da contrappunto sconvolgimenti interni alla lega. Giulio II: nel 1503 Giuliano della Rovere divenne Papa col nome di Giulio II; egli si distinse x il mecenatismo e x le imprese militari. Egli comprese che più che Venezia erano pericolosi gli stati stranieri, fece dunque sciogliere la lega di Cambrai e creò la Lega Santa nella quale papato e Venezia si unirono x riprendere Milano dai francesi e scacciarli dall’italia. A questo punto il re francese Luigi XII promosse il Concilio di Pisa (1511) cercando di far sì che alcuni cardinali deponessero Giulio II, cosa che xo non avvenne. Nel 1512 i francesi sconfissero la Lega a Ravenna ma abbandonarono Milano che temporaneamente tornò agli Sforza. Intanto i domini del papa si ampliavano inglobando anche Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Si può dire che Giulio II fosse riuscito nel suo intento: morì nel 1513. Leone X: a questo punto venne eletto Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo, con il nome di Leone X. Egli, a differenza del predecessore, era più incline al mecenatismo che alle imprese militari, e inoltre difese sempre molto la sua famiglia, riuscendo anche a far tornare i Medici a Firenze, nominò inoltre Giulio de’ medici, suo cugino, arcivescovo e poi cardinale, lo stesso sarebbe stato eletto poi papa come Clemente VII. Lutero: nel 1517 il frate agostiniano Martin Lutero aveva affisso alla porta della chiesa di Wittemberg in germania le su 95 tesi; egli le aveva elaborate in seguito a un viaggio a Roma dove rimase sconvolto dalla corruzione e dal fasto della Chiesa, nonché dall’uso delle indulgenze: metodo da secoli praticato dalla chiesa x accumulare fondo. Le indulgenze, infatti, garantivano ai fedeli che avessero compiuto buone azioni o avessero donato denaro alla chiesa, di poter ottenere + facilmente un posto in Paradiso. Altro intellettuale che criticò questo sistema fu Erasmo da Rotterdam, ma Lutero elaborò una vera e propria dottrina secondo la quale il paradiso non si ottiene tramite le buone azioni, ma tramite la fede e x decisione di dio. Nel 1521 Lutero venne scomunicato ma continuò la sua battaglia con la Dieta di Worms di fronte all’imperatore Carlo V, che xo rimase cattolico. La questione riformista continuò poi fino alla metà del 600, con guerre e scontri n tt Europa e che vedevano contrapposti sostenitori del papato e di Lutero. Carlo V venne eletto imperatore del Sacro romano impero all’età di 19 anni, inoltre egli da qualche anno era anche sovrano di Spagna e Napoli e deteneva diritti sul Ducato di Borgogna, si devono poi aggiungere le terre del nuovo mondo che vennero ampliate dai conquistadores. Per più di 30 anni Carlo V fu uno dei maggiori protagonisti della polita europea e venne a scontrarsi con il suo + grande rivale, Francesco I, re di Francia, x la questione di Borgogna; egli aveva riconquistato Milano, ma venne poi sconfitto da Carlo e venne egli stesso imprigionato e liberato solo sotto pagamento di un riscatto e con la ratifica del Trattato di Madrid con la quale egli rinunciava a ogni pretese sul Regno di Napoli e sul ducato di Borgogna. Nel frattempo morì Leone X, x 1 anno lo succedette Adriano VI (olandese) e, infine, Clemente VII (Giulio de’ Medici). Fu negli anni del suo pontificato che Carlo V (1527) mise al sacco Roma. LEONARDO (1452-1519) la gioventù Leonardo è un artista molto scettico nei confronti del culto dell’antico; egli sarà per sempre innamorato della natura e dei corpi, oltre che della storia. Per questa ragione non sarà mai troppo toccato da questo culto anticheggiante tipico di Firenze. Molto importante per lui sarà dunque il passaggio a Milano, dove troverà un contesto maggiormente teso all’osservazione della realtà. L nel 1473 aveva solo 20 anni quando realizzò su un foglio l’immagine di un paesaggio estremamente moderno, con tratto rapido e deciso definisce in questo disegno una veduta del Valdarno. Egli già qua rinuncia alla minuzia descrittiva fiamminga e delinea gli oggetti naturali con intensità dando il senso atmosferico delle cose. Da subito L propone un nuovo tipo di pittura atta a dare la percezione del mondo tramite uno studio scientifico della natura. L’ANNUNCIAZIONE DI MONTEOLIVETO, Leonardo, 1475, Uffizi Con questa pala realizzata x la chiesa di S Bartolomeo a Monteoliveto L dà di 60 113 avvio alla sua carriera. Realizza qua l’immagine dell’Annunciazione ponendo Gabriele in ginocchio in un hortus conclusus di fronte alla Vergine seduta davanti alla sua dimora. Ella, secondo l’iconografia tradizionale, ha di fronte un leggio, infatti astenne stata intenta a leggere l’Antico Testamento e in particolare un passo nel quale il profeta Elia annunciava l’incarnazione di cristo tramite una donna. La lezione del Verrocchio emerge dai panneggi plasmati dalla luce, dai volti delicati e dalle fisionomie, nonché dalla costruzione piramidale della figura di Maria. Altri elementi invece sono personali di leonardo come la mortadella delle capigliature e il paesaggio lontano nel quale tra la nebbia si delineano promontori rocciosi che avrebbero caratterizzato la sua opera anche negli anni a venire. ADORAZIONE DEI MAGI, Leonardo, 1481-2, Uffizi Queste giovanili sperimentazioni si convogliarono poi in questa tavola commissionata x l’altare maggiore di S Donato a Scopeto (FI). L’opera venne solo abbozzata, vediamo xo diversi dettagli importanti e novità compositive, infatti normalmente l’Annunciazione era impostata con la capanna di lato in primo piano e il corteo dei Magi che arrivava sul proscenio (Gentile da Fabriano es). L invece posiziona la madonna con il bambino al centro sotto un albero e pone il corteo adorante tutto intorno, in secondo piano vediamo le scale e gli archi di un edificio in costruzione alternato cn un paesaggio roccioso. I personaggi che attorniano il gruppo sacro sono posti in maniera anche scomposta: questo anticipa la visione di Leonardo che ritiene che la venuta di Cristo non sia pacificante, bensì sconvolgente. Si nota un’attenzione importante per il paesaggio naturale, completato da architetture che paiono incompiute o comunque instabili. Le competenze prospettiche di L sono qua ben evidenti nell’uso di una griglia tridimensionale focalizzata su un punto di fuga. Ancora, cavalli e uomini realizzati rapidamente x dare senso di dinamismo, elemento centrale della pittura di L. Importante nel lavoro di Leonardo è il disegno che egli utilizza come mezzo di indagine della natura. Dipinto della giovinezza di Leonardo è Ginevra Benci, nel quale retro vediamo un’istrione in caratteri capitali romani che allude all’altezza sociale di questa figura, in cui compare l’alloro e la fogli di palma che alludo alle virtù della donna, mentre le foglie di ginepro rimandano al suo nome. Questo genere di ritratti non venivano esposti, ma quasi sicuramente venivano conservati all’interno di mobili o all’interno di copertine rigide. All’Ermitage di San Pietroburgo è poi conservata la Madonna Benois, un dipinto che ancora una volta dimostra come nella Firenze del tardo ‘400 vengano introdotti elementi di carattere nordico, lo stile di Leonardo comunque si distingue da una grande colloquialità tra i personaggi. Altro punto interessante è uno studio di paesaggio che testimonia l’attenzione per l’uso del disegno nell’investigazione della natura e del paesaggio. Quello che è interessante e che Leonardo stesso afferma è che egli ritiene che realizzare i paesaggi non sia facile come molti ritengono, per questo afferma l’importanza di studiare i paesaggi in maniera scientifica e analitica. Nel 1482 L si reca a Milano e lascia incompiuta quest’opera. l’esperienza milanese L dunque nel 1483 si sposta a Milano e vi rimarrà come bramante fino al 1499 con l’arrivo dei francesi. Egli qui fu al servizio della corte di Ludovico il Moro (L Maria Sforza), figlio di Francesco Sforza che alla morte aveva lasciato il ducato nelle amni del primogenito Galezza Maria, arrogante che attirò le inimicizie della nobiltà tanto che verrà assassinato nel 1476 lasciando posto al fratello, colto e appassionato. L alla corte non si presentò solo come pittore am come artista a tutto tondo mettendo in evidenza anche le sue conoscenze in quanto ingegnere militare e progettista di macchine da guerra. - Monumento equestre di Francesco Sforza: Tutto questo L lo disse in una lettera di presentazione nella quale prometteva anche di innalzare un monumento equestre x F ispirandosi al Gattamelata di Donatello e al Bartolomeo Colleoni del Verrocchio. I cavalli erano uno dei soggetti preferiti da L x rappresentare il movimento e il dinamismo e x questo monumento L progettò un’immagine originale e ambiziosa che vedeva F in groppa a una cavallo impennato su due zampe al di spora dell’immagine di una figura distesa e sconfitta rappresentante il nemico. Questo progetto è attestato in un disegno e avrebbe dovuto superare i 7 metri di altezza cosa che si scontrava con seri problemi di statica tanto che l’opera non verrà mai portata a compimento. - Progetto x i navigli: dato che nella lettera L aveva anche dichiarato di essere in grado di condurre l’acqua da un luogo a un altro, L gli chiese di realizzare un progetto x occuparsi del sistema dei Navigli. egli dunque studiò un sistema di chiuse utili a risolvere il problema del dislivello sta la parte alta e bassa della città permettendo così la navigazione tra le due zone. in particolare open nella cd “conca dell’Incoronata” progettando dei portelli tramite i quali si poteva diminuire o aumentare la portata dell’acqua secondo di 61 113 necessità bilanciando così il livello del corso del naviglio. oggi qui non vi è acqua ma si conservano ancora i portelli. - La vergine delle Rocce (versione 1, 1483-5, Louvre; versione 2, 1494-1508, National Gallery): nel 1483 L ebbe la sua prima grande commissione pittorica che consisteva nella realizzazione di una pala x la cappella della confraternita dell’immacolata concezione nella chiesa di s francesco grande. nonostante l’edificio si andato distrutto conserviamo addirittura 2 versioni dell’opera, questo probabilmente a seguito di una lite tra L e l’ordine riguardo al pagamento. -versione 1: la vergine siede a terra in un paesaggio roccioso dove xo crescono piante diverse analizzate con cura naturalista. Ella allarga la dx a proteggere con il mantello S Giovannino inginocchiato a mani giunte e rivolto verso il Cristo il quale si trova nudo in primo piano con le gambe incrociate e le mani nel gesto della benedizione, nel frattempo la sx di Maria si apre verso di lui. accanto al cristo abbiamo ancora un angelo adolescente che indica. La composizione si regge su una disposizione piramidale e la scena palpita di vita anche grazie all’uso dello sfumato una tecnica che attenua i contorni tendendo a fondere le figure con latria umida e leggera creando immagini intime e raccolte. - versione 2: quella che sarà apposta nella cappella della confraternita. L’immagine è decisamente + limpida grazie anche all’azzurro del manto della vergine e delle montagne in lontananza. Compaiono le aureole sulla testa della madonna, di s giovannino (che tiene anche una croce) e del cristo. inoltre l’angelo non indica. in quest’opera L probabilmente si è valso di collaboratori infatti ormai la sua pittura aveva fatto scuola. - La dama con l’ermellino, 1489-90, Cracovia: la sua fama a milano si deve anche all’abilità di ritrattista che vediamo in quest’opera. Qua la giovane emerge dal fondo scuro, il volto è un ovale perfetto incorniciato dai capelli lisci coperti da un velo e uniti sulla nuca da una treccia, secondo l’acconciatura tipica della moda lombarda. tra le mani tiene un’ermellino, simbolo di purezza ma anche probabilmente allusivo all’ordine cavalleresco dell’Ermellino al quale appartenne anche Ludovico. La donna è stata identificata in Cecilia Gallerani, donna amata da Ludovico prima del matrimonio con Beatrice d’Este. Cecilia e l’anima si rivolgono a sx come se stessero in ascolto. Il fondo scuro e la figura di 3/4 ricorda i ritratti alla fiamminga di Antonello da Messina, ma sicuramente l’opera di L ha un carattere più dinamico in quanto i volti scartano dal busto in una gestualità che suggerisce movimento. -Il Cenacolo, 1498, refettorio di S Maria delle Grazie: questa fu la più ambiziosa opera milanese di L. Egli la realizzò non ad affresco ma dipingendo direttamente con la tempera sull’intonaco asciutto, potendo così continuamente correggere le figure x arrivare all’effetto desiderato. Questa modalità sicuramente non era adatta all’umidità del luogo, tanto che l’opera ci è pervenuta assai deteriorata. Questa decisione deriva dal fatto che tramite la tradizionale tecnica dell’affresco era molto + complicato rendere il chiaroscuro e il dato atmosferico rispetto all’uso della tempera che invece permette + strati (velature) gli uni sugli altri fino al risultato desiderato. Vediamo anche qua le caratteristiche tipiche della pittura leonardesca come lo sfumato, anche se al paesaggio soffuso si preferisce l’architettura rigida di un salone senza ornamenti, aperto sul fondo da 3 finestrini rettangolari dai quali arriva la luce. Ritroviamo la composizione rettangolare che scandisce la figura del cristo come i gruppo degli apostoli, divisi in terzetti. La scena è presentata in modo originale, considerando che solitamente si rappresenta la tradizionale istituzione dell’eucarestia. Qua, invece, L rappresenta il momento dell’annuncio dell’imminente tradimento, cosa che suscita sgomento e turbamento negli apostoli, cosa che esplicitano nei gesti e nelle pose. Questo carattere nello specifico differenzia quest’opera da quella del Ghirlandaio nella quale egli rappresenta lo stesso momento, ma decisamente con meno intensità emotiva. L inoltre costruire una struttura iconografica nuova: tradizionalmente infatti gli apostoli sono tt da un lato del tavolo e cristo di fronte, a manifestare il tradimento nei confronti di Cristo. Dopo essere andato via da Milano, dopo un breve soggiorno a Venezia, torna a Firenze dove intesse una serie di rapporti che lo portano a lavorare a una Pala x la chiesa della Santissima Annunziata. Lavora su figure della vergine con San Giovannino e Sant’Anna. di 62 113 più nelle volumetrie che nel colore. Già da qua emerge la convinzione di M secondo la quale la scultura aveva il primato sulla pittura. -La Pietà, 1498-99; il cardinale e ambasciatore francese a Roma Jean Bilhéres de Lagraulas commissionò x la Cappella si Santa Petronilla in S Pietro, cara ai re di Francia, una pietà. Il tema della pietà non era tanto diffuso in Italia ma derivava dai Vesperbilder nordici (è un tipo di scultura devozionale nata nel XIV secolo in  Germania  e che consiste nella  Pietà, cioè nella Madonna con in grembo il corpo di Gesù morto). L’ambizione di M non era soltanto quella che il complesso fosse naturalistico e realistico, ma anche che venisse realizzato “ex uno lapide” come da tradizione antica riportata da Plinio il Vecchio. Questo ben presto, con il ritrovamento del Lacoonte nel 1506 che chiaramente era realizzato con più blocchi di marmo, si rivelò solo un topos pliniano che derivava dal fatto che le giunture erano così ben fatte e ben nascoste che il tutto sembrava realizzato con un solo blocco di marmo. Il gruppo della pietà, inoltre, è l’unica opera che reca la firma di M. Il topos archeologico e anticheggiante ritorna anche nei volti del Gesù e della Madonna, rappresentata giovanissima differentemente da quello che si era iniziato a fare negli ultimi anni. La statua rappresenta la tensione ideale di M x la rappresentazione di un’idealità dell’amore della madre x il figlio morto. L’opera è rappresentata con grande raffinatezza e l’interesse di M non è quello di raccontare una storia secondo la prassi di Masaccio e Donatello agli inizi del ‘400, ma vuole rappresentare l’essenza dell’amore filiale tra madre e figlio; non si parla di realismo o naturalismo, ma di idea. L’opera chiudeva un secolo e ne preannunciava un altro, nel quale si sarebbe affermata la “maniera moderna” con il ritorno di M a Firenze. Fu Vasari a definire “Maniera moderna” la fase più matura dell’arte rinascimentale e a identificare in Leonardo, Raffaello e Michelangelo i suoi massimi esponenti, anche se furono diversi gli artisti a parteciparvi; parliamo di Giorgione e Tiziano a Venezia e Coreggio e Parmigianino in Emilia, anche se il motore principale rimase la Roma di Giulio II e Leone X. - David, 1501-4: la statua venne inizialmente commissionata a M x essere posta su uno dei contrafforti del Duomo. a M venne fornito un enorme blocco di marmo (5m) nel quale egli scolpì il giovane David, che prima di diventare re degli Israeliti aveva ucciso il gigante Golia, capo dei Filistei. Questa storia aveva un importante valore politico x Firenze, in quanto simbolo della supremazia e della libertà dello stato, ed era stata già in precedenza rappresentata in bronzo ad es da Donatello e dal Verrocchio. La differenza con la statua di M è xo abissale: egli infatti non ritrae il momento successivo all’azione, ma quello immediatamente precedente; vediamo dunque una figura carica di tensione, sia fisica che emotiva. David sembra guardare Golia con il volto corrucciato, il peso è tutto sulla gamba dx sulla quale si stende il braccio, il sx è invece piegato sulla spalla nel gesto di caricare il colpo di fionda. Il corpo del giovane è atletico e studiato nei più minuziosi dettagli anatomici. La statua sembrò da subito sprecata x il contrafforte del Duomo, venne dunque nominata una commissione x deciderne una degna collocazione, e alla fine fu deciso di porla proprio davanti a Palazzo Vecchio, dove oggi si trova una copia, l’originale invece è conservato alla Galleria dell’Accademia. M aveva profondamente ammirato Donatello che aveva lavorato praticamente 1 secolo prima, egli disegna le opere di Donatello ma porta la sua arte verso orizzonti nuovi, connessi al gusto x la monumentalità che fino ad allora non era stato sperimentato. Esso è poi incrementato dal piedistallo, che fa si che lo spettatore veda la statua in senso estremamente monumentale. M rappresenta la figura dell’eroe in termini moderni, facendo emergere anche il senso di smarrimento che si ha di fronte al pericolo. La forza emotiva dell’espressione coinvolge molto lo spettatore dal punto di vista emozionale. M prende a modello la statuaria classica monumentale connessa xo alla volontà moderna dell’artista che mostra tutta la forza eroica e umana dell’eroe che si dirige verso la dura lotta. - Tondo Doni, 1507, Uffizi: sappiamo già come M ritenesse la scultura un’arte più elevata della pittura. Questo emerge chiaramente nei suoi dipinti che trasmettono sempre una certa forza scultorea. Questo si vede chiaramente in quest’opera, realizzata secondo una tipologia molto diffusa tra le famiglie abbienti della Firenze Rinascimentale (desco da parto) e che prende il suo nome dal committente, Agnolo Doni e realizzata probabilmente x la nascita di 65 113 e che prende il suo nome dal committente, Agnolo Doni e realizzata probabilmente x la nascita della primogenita di Agnolo e Maddalena Strozzi. Vediamo qui già delle caratteristiche che segnano il distacco di M dalle logiche rappresentative del tempo. Rispetto alle opere di Raffaello e Leonardo (es Vergine delle rocce) questo è completamente diverso, infatti manca ogni naturalezza. M infatti non vuole rappresentare una realtà fisica, egli ci presenta un groviglio ideale di figure; non vuole egli rappresentare una realtà naturale, raccontare delle storie, il suo interesse sta nell’individuare delle forme perfette che rappresentino delle identità spirituali. Ci troviamo dunque di fronte a un’ambiguità nella figura della Vergine; egli vuole rappresentare un’idea e lo fa cercando delle forme pure che ritrova nei modelli dell’arte classica. L’arte di M dunque non è di facile interpretazione in quanto naturalistica, anzi è estremamente complessa, poiché ricerca la rappresentazione di un’idea. In questo senso M rappresenta una continuità tra antico e innovazione fiorentina di quegli anni. Il dipinto è dominato dal gruppo “scultoreo” della Sacra famiglia, ritratta in una posa decisamente innaturale. Maria, dalle fattezze muscolari e mascoline, infatti si piega all’indietro verso sx per prendere il figlio e Giuseppe si poggia a lei da dietro. In secondo piano assiste alla scena San Giovannino, diviso da essa da una trincea al di là della quale vediamo un gruppo di nudi di difficile interpretazione; recentemente è stato xo proposto che possano essere le anime del limbo, ad alludere ai 4 figli della coppia prematuramente morti. Inoltre in un paio di quei nudi M sembra omaggiare 2 sculture antiche: nella 2 da sx rivediamo l’Apollo del Belvedere e il Lacoonte che era stato scoperto solo nel 1506 e che M potè studiare da vicino. La statua venne rinvenuta nel terreno di un gentiluomo romano, Felice De Fredis, e raffigurava il sacerdote troiano Lacoonte nel momento in cui veniva strangolato con i figli da un serpente marino mandato da Atena in quanto egli aveva cercato di convincere il suo popolo a rifiutare il cavallo donato dai Greci. Il gruppo scultoreo venne fatto inserire da Giulio II nel giardino del Belvedere dove il papa aveva incaricato il Bramante di allestire un “cortile delle statue”, luogo che divenne prediletto di artisti, intendenti d’arte e viaggiatori x studiare le antichità. questo favorì la creazione di un canone ispirato all’antico e le pose ed espressioni divennero modelli per pittori e scultori. Fu poi lo stesso Michelangelo a rendersi conto che la scultura non era scolpita in un unico blocco di marmo come aveva descritto Plinio, cosa che invece lui era riuscito a fare con il David. Questo è l“unico” dipinto compiuto prima della decorazione della Sistina ed è l’unico dipinto veramente documentato. -Tondo Pitti, 1505, Museo del Bargello: la stessa energia potenziale del tondo doni la ritroviamo in quest’altra opera, scolpita x Bartolomeo Pitti e che presenta il gruppo della vergine con gesù e san giovannino. Qua M usa i diversi spessori e le diverse finiture del armo x dare vitalità e x dividere gerarchicamente le figure. Vediamo infatti che la madonna è realizzata ad alto rilievo con la testa quasi a tutto tondo, costretta nella porzione circolare della superficie scultorea e che pare quasi voler fuggire dalla stessa. Diversamente, Gesù a il capo realizzato a alto rilievo mentre il corpo è più schiacciate e le braccia paiono quasi inconsistenti, ancora più schiacciato e Giovanni. Michelangelo e Leonardo - Sala dei 500 Il Gonfaloniere di Firenze Pier Solderini decise di far affrescare la Sala del Consiglio Grande di Palazzo Vecchio e decise quindi di commissionare i lavori a Michelangelo e Leonardo che si trovarono a realizzare 2 affreschi rappresentare in modo molto diverso 2 battaglie che videro i fiorentini vincitori. -Battaglia di Anghiari, Leonardo: L dovette rappresentare una battaglia nella quale i Fiorentini avevano sconfitto Filippo Maria Visconti, Duca di Milano (1440). L era profondamente appassionato dei moti, sia del corpo che dell’animo, vediamo dunque in quest’opera una zuffa di cavalli e cavalieri decisamente dinamica e intensa. L decise di usare qui la tecnica romana ad encausto (l’encausto è un'antica tecnica pittorica applicata, che si basa sull'uso di colori mescolati alla cera attraverso il calore), cosa che non ebbe successo e che portò L a non poter terminare l’opera, oggi non ci rimane nemmeno il cartone preparatorio ma solo alcune riproduzioni. - Battaglia di Cascina, Michelangelo: in questa battaglia invece i fiorentini avevano vinto contro i Pisani (1364). M decise xo di usare l’occasione x fare uno studio anatomico di nudi e dunque non rappresentò il momento dello scontro ma il momento dell’annuncio ai soldati dell’arrivo dei nemici, quando questi stavano facendo un bagno nell’Arno. L’opera è interamente basata sulla tensione dei corpi, sulle espressioni e sulle pose innaturali. Probabilmente il cartone era pronto nel 1505 quando xo M venne chiamato a Roma da Giulio II, non terminando dunque il di 66 113 lavoro. Monumento funebre di Giulio II Nel 1505, come abbiamo detto, M venne chiamato a Roma da Giulio II. L’intento iniziale era quello di realizzare un grandioso monumento funebre per il papa, che egli avrebbe posto nella nuova Basilica di Si Pietro. Il primo progetto: questo prevedeva un monumento isolato a pianta rettangolare, ogni parete doveva essere fornita di nicchie con statue e tra una nicchia e l’altra ci sarebbero state altre statue di prigioni che rappresentassero le arti liberali, anch’esse imprigionate dalla morte dopo la perdita di un mecenate come Giulio II. L’unica statua che alla fine M realizzò fu il Mosè. Nel coronamento vediamo l’arca sostenuta da due angeli. Al centro un portale dava ingresso al monumento nel quale si trovava una stanzetta con un cassone di marmo, seppellimento del papa. A completamento sarebbe stato anche realizzato un ciclo di rilievi in bronzo con le gesta del pontefice. M si recò a Carrara a reperire i marmi, ma quando tornò a Roma il papa non lo ricevette, offeso tornò a Firenze, il papa però lo recuperò a Bologna e una volta pacificatisi il papa decise di commissionargli una statua in bronzo da collocare sulla facciata di S Petronio, la quale non ci è arrivata. Il progetto della tomba intanto stagnava, e M si imbarcò nell’impresa della decorazione della volta della Cappella Sistina. Secondo progetto: Solo nel 1513-16 il progetto per la tomba di Giulio II ripartì. alla morte del pontefice (1513) infatti parenti decisero di modificare e semplificare il progetto originario, pensando a un sepolcro parietale, decorato con culture sul fronte e sulle pareti laterali. La camera mortuaria fu eliminata e sopra il catafalco in alto venne aggiunta una statua della madonna con il bambino. Terzo progetto: Nel 1516 un terzo pronto semplificava ulteriormente l’impresa, riducendo numero di statue e spessore delle pareti, preferendo al catafalco il pontefice sorretto da due figure, come fosse una pietà. In questa versione si intravede il Mosè, non ancora posto al cento come sarà in S Pietro in Vincoli (collocazione attuale del monumento di Giulio II). Versione finale: quando M si sposterà a Roma nel 1534 riprenderà anche il progetto della Tomba di Giulio II. Nel 1532 stipula un contratto con la famiglia della Rovere che prevedeva un importante cambiamento, il monumento infatti non i sarete più trovato in S Pietro ma in San Pietro in Vincoli. La versione finale era decisamente meno grandiosa di quello a cui aveva pensato Giulio. Si tratta di una tomba parietale su due registri. Sul registro superiore al centro troviamo il gisant e sopra di lui una madonna con bambino. Solo in basso troviamo le sculture autografe di M: al centro il Mosè scolpito già anni prima e nelle nicchie due figure dell’antico testamento, le figlie di Labano andate in spose a Giacobbe: a sx Rachele, velata e in preghiera e a dx Lia. Esse sono allegoria della vita contemplativa e di quella attiva. In questo modo M si inseriva nella questione decisiva riguardante le modalità di salvezza dell’uomo, questione sulla quale si scontravano Luterani e Cristiani. I primi infatti pensavano che la salvezza arrivasse tramite la preghiera e la contemplazione, i secondi tramite le opere. Sempre in quegli anni M lavorò anche ad altre sculture per il sepolcro, i cd Prigioni o Schiavi. Uno in particolare è detto “morente”: M lo studia dettagliatamente nelle anatomie e nel volto aggraziato. La posa è contorta, con la gamba e il braccio sx piegati che rimandano al Lacoonte, da poco rinvenuto. Come abbiamo detto questa serie di sculture avrebbero dovuto corredare il sepolcro di Giulio II ma non vennero mai terminate. In questo senso possiamo parlare di una vera e propria produzione michelangiolesca di “non finiti”; vediamo ad esempio un prigione conservato alla Galleria dell’Accademia a Firenze, non terminato, che esprime in maniera assolutamente potente il vigore con il quale egli tenta di liberarsi dal blocco di marmo: espressione simbolica della scultura “per via di levare” di M, il quale riteneva che la forma fosse già contenuta all’interno del blocco di marmo, allo scultore il compito semplicemente di “liberarla”. -La cappella Sistina, 1508-12: La Cappella Sistina fu ordinata da Sisto VI. Si costituisce come un cubo di muratura molto alto che pare + una fortezza che una cappella. Il soffitto originariamente era a fondo blu con stelle dorate e sulle pareti vi sono affreschi narrativi del Vangelo e di 67 113 - Il Giudizio Universale, 1536-41: nel 1515 Michelangelo era ripartito x Firenze (mandato dal papa in quanto sua città natale), manca così da Roma x 20 anni e vi ritorna sotto ordine di Papa Paolo III Farnese che gli commissiona il Giudizio Universale della Cappella Sistina. Quest’opera alterava profondamente il ciclo tardo quattrocentesco delle pareti della cappella cancellando completamente 3 affreschi del Perugino. Questo portò prima dell’inizio dei lavori a una lunga fase progettuale, l’affresco sarebbe stato terminato solo nel 1541. Questo affresco porta alle estreme conseguenze il linguaggio michelangiolesco composto da figure possenti e serpentinate in pose complesse. Esse, differentemente dalla volta della stessa cappella, sono libere di muoversi nello spazio non costrette in alcuna struttura architettonica. Esse diventano le protagoniste assolute della composizione ma anche la struttura stessa di questa. In realtà la narrazione della scena è molto semplice da seguire: tt ruota intorno al neo del Cristo giudice che illuminato alle spalle da un bagliore alza il braccio. Alla sua dx vediamo la figura serpentina di Maria e intorno una moltitudine di santi. Sotto il piede sinistro di Gesù san Bartolomeo tiene il coltello con il quale venne scuoiato e in mano la sua pelle che reca un autoritratto di M. Nelle lunette in alto vediamo angeli senza ali che portano gli strumenti della Passione e sotto l’Empireo altri angeli senza ali suonano le trombe, salvano le anime dei beati e cacciano quelle dei dannati. Nel paesaggio inferiore vediamo a sx la resurrezione dei corpi dalle viscere della terra e a dx l’inferno. In mezzo un fiume solcato da Caronte, al margine dx vediamo ancora Minosse, re di Creta, con il compito di giudice delle anime: egli appare avvinghiato nella sua stessa coda. Il Giudizio venne molto criticato per diverse ragioni: l’enorme n di nudi, il dinamismo e l’organizzazione spaziale non tradizionale, gli angeli senza ali e i santi senza aureole, inoltre la presenza di personaggi pagani come Caronte e Minosse. Sostanzialmente quello che turbava era l’infrazione del decoro e vediamo infatti anche figure in pose decisamente sconvenienti; ad es nel gruppo di dx vediamo due giovani che si baciano appassionatamente o ancora Santa Caterina d’Alessandria (si riconosce x la ruota del martirio) piegata e dietro di lei s Biagio che può dare l’impressione di possederla. Inoltre la versione che vediamo adesso è quella censurata da Daniele da Volterra, allievo e amico di Michelangelo. Nella versione originale la santa era nuda e il santo era voltato verso di lei. Nel 1564, dopo la morte di M, a Daniele fu affidato il compito di coprire le oscenità del Giudizio, egli si limitò a coprire i nudi con delle “braghe” che gli costarono il soprannome di “braghettone”. Nel più recente restauro le correzioni di Daniele vennero mantenute mentre le altre successive censure vennero eliminate. Nonostante le critiche il Giudizio ebbe enorme fortuna diventando il più importante manifesto della Maniera e ispirando diversi pittori centroitaliani della metà del ‘500. -Cappella Paolina: Paolo II aveva fatto costruire nel Palazzo Apostolico una Cappella che prese il suo nome. Qua M dimostrò di saper adattare le modalità figurative del Giudizio anche ad latri soggetti. La cappella venne intitolata ai s Pietro e Paolo e allora Michelangelo realizzò due episodi cruciali della vita dei due santi, la Conversione di Paolo e la Crocifissione di S Pietro. Il lavoro anche qua fu uno xche M era preso da altri impegni e l’età avanzata lo faceva faticare molto. La narrazione è giocata sul movimento delle figure e su un paesaggio scarno e dai colori tenui. Risalta poi il contrasto tra il cielo livido e il bagliore che folgora Paolo. Gli abiti non hanno sfarzo e paiono come una seconda pelle, attillati a far vedere le forme muscolose dei corpi. Altro carattere peculiare dell’arte di Michelangelo è il fatto che egli non è interessato a terminare le opere, per lui era importante il lavoro continuo sull’opera e non tanto il risultato finale che considerava qualcosa di difficilmente raggiungibile in quanto avrebbe dovuto essere un risultato assoluto. Per questa ragione egli lascia spesso le opere incompiute e si parla in questo senso di “non finiti” michelangioleschi. Vediamo ad es: -Pietà Bandini, 1547-55, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo: intorno ai 70 anni M inizi a scolpire un folto gruppo di pietà che egli voleva per la sua sepoltura. In queste pietà non vi erano solo Cristo e la Vergine ma anche Maddalena e Nicodemo in un intreccio di figure che ricordavano quello che M stava facendo in pittura. Qui M volle ritrosi nel volto di Nicodemo, anche se l’opera non fu mai terminata. Infatti verso il 1555 egli scoprì un’imperfezione nel marmo che lo fece infuriare al punto da prendere l’opera a martellate. di 70 113 - Pietà Rondanini, 1552-64, Milano, Castello Sforzesco: è l’ultima opera, mai finita, di M. Il copro di Cristo scivola sotto il peso della morte, la Madonna lo sorregge. Dopo una prima versione M stravolse l’opera modellando i due corpi in una compenetrazione. Il corpo di Cristo, infatti, venne scolpito dal blocco di Maria, la testa nella spalla dx di questa e le braccia dove erano i fianchi e le gambe della madre. In questo modo all’effetto di scivolamento si aggiunge intimità e fusione tra le due figure. M stava lavorando all’opera ancora nei giorni precedenti la morte. Queste sono due opere incompiute di grande effetto emotivo, rimangono nella casa di Michelangelo alla sua morte e verranno poi ereditate dalla famiglia. Esse testimoniano il rapporto che Michelangelo aveva con il marmo, continuando a lavorarci sempre e senza mai abbandonarlo. Con queste opere Michelangelo dimostra quello che è il suo grande cruccio che si palesa dopo l’avvento della riforma luterana, momento che lui vive molto intensamente da fervente cattolico e i temi di critica portati dalla riforma luterana fanno breccia in Michelangelo che si rende conto che alcuni di questi dovevano essere giusti e condivisibili. E proprio queste opere sono emblematiche della sua partecipazione al dibattito religioso del tempo. Michelangelo architetto - Piazza del Campidoglio: Paolo III affidò a M anche progetti architettonico e in particolare la sovrintendenza per i Palazzi Apostolici. Inoltre avviò la riqualificazione del Campidoglio. Con il Palazzo Senatorio iniziava a prende forma la piazza, iniziata da M e terminata dopo la sua morte seguendone i disegni. Prima dell’intervento il Palazzo Senatorio guardava verso il Foro mentre ora si rivolge verso il centro della città. Alla pazza si accede da una grande scalinata. Il Palazzo Senatorio venne dunque rinnovato da M che vi pose una doppia scalinata addossata da una fontana con gruppi scultore antichi. Lateralmente a dx vediamo il Palazzo dei Conservatori. Per ideare questa piazza M usò lo stesso stratagemma di Bernardo Rossellino a Pienza, creandola su pianta trapezoidale per farla apparire più grande di quanto fosse, per questa ragione i due palazzi materiali (Conservatori e Palazzo Nuovo) sono posti in obliquo. Questi due edifici sono gemelli e si identificano per il profondo porticato al pian terreno, l’ordine gigante delle paraste e la balaustra di coronamento, elementi tipici della tarda grammatica architettonica michelangiolesca La piazza è pavimentata con un elegante motivo geometrico disegnato da M ma realizzato solo nel 1940. Al centro troviamo la statua equestre di Marco Aurelio, oggi una copia, mentre l’originale è conservato nel Palazzo dei Conservatori, sede dei Musei Capitolini. - Palazzo Farnese: Paolo III coinvolse M anche nel cantiere di Palazzo Farnese, sua dimora di famiglia. Egli si dedicò principalmente a terminare la facciata con un imponente cornicione concepito come una scultura. Inoltre rimodellò il finestrone centrale aggiungendovi sopra il grande stemma pontificio. Con questo palazzo si può dire si arrivi al vertice del genere dei palazzi rinascimentali che aveva come precedenti Palazzo Medici e Strozzi di Firenze. -Cupola di S Pietro: la visione ciclopica dell’architettura di M culmina con la realizzazione della Cupola x la Basilica di S Pietro. Nel 1547 egli infatti si ritrova a dirigere il cantiere di S Pietro che ormai da anni stagnava. Egli abbandona la pianta longitudinale proposta da Raffaello e recupera l’idea di una pianta centrale come aveva proposto Bramante. Immagina egli la chiesa dominata da una grande cupola a sesto rialzato (simile a quella del Brunelleschi a Firenze e diversa da quella del Pantheon, che è rotonda). M pero non avrebbe mai visto la fine di questo progetto in quanto la cupola venne terminata alla fine del ‘500. La modernità di M sta nel fatto che quello che gli importa non è tanto il risultato finale, quanto la perfezione dell’opera. X M l’artista ha il compito di estrarre dalla materia quella che ritiene essere una forma ideale e perfetta. Egli non crede che la scultura possa essere qualcosa di progettato attraverso la definizione di un bozzetto in terracotta, ma l’importanza della produzione scultorea sta nel processo che l’artista deve attraversare x estrarre una forma perfetta dal marmo: questa è l’idea che guida M in una pratica compositiva molto lenta e meditata. Dall’osservazione delle sue opere ci si rende conto anche della complessità di questa operazione; quando si lavora con uno scalpello sul marmo, se si sbaglia non si riesce + ad avere il risultato voluto. L’artista dunque deve sapere molto bene cosa vuole estrarre, altrimenti non può più tornare indietro. Il suo quindi è un lavoro di grande attenzione sia nel lavoro stesso che nella comprensione di quello che si vuole fare e anche nella scelta dei materiali. di 71 113 Daniele da Volterra: - Deposisione, 1545-47, chiesa della Trinità dei Monti, Roma: Le novità apportate all’arte dal Giudizio Universale anziano a diffondersi in tutta Italia. Tra gli artisti influenzati vediamo Daniele da Volterra. Egli si formò in Toscana ma seppe aggiornarsi in base all’arte di Michelangelo e questa opera ne è la prova. I colori sono quelli acidi usati da M e i corpi sono costruiti in un groviglio di figure muscolose e studiate di scorcio. RAFFAELLO (1483-1520) la gioventù Raffaello Sanzio Nacque ad Urbino nel 1483 da Giovanni Sarti, pittore attivo alla corte di Montefeltro ma che potè insegnargli ben poco a causa della sua morte nel 1494. Il precoce talento di R fu riconosciuto da Perugino che lo accolse nella sua bottega facendogli ottenere già dai primi anni del 500 importanti commissioni in Umbria. Egli quando si spostò a Firenze incontrò anche Leonardo. - Crocifissione Gavari (o Crocifissione Mond) 1502-3, da San Domenico a Città di Castello, National Gallery, Londra: All’inizio si può dire che R fosse un alter ego del maestro e questo si vede bene in quest’opera, dipinta con la stessa composizione da lì a poco anche da Perugino. Questa crocifissione venne dipinta x la Cappella Gavari nella chiesa di San Domenico a città di castello. Vediamo cristo accompagnato da una coppia di angeli, maria, il battista e la maddalena (i dolenti), ma anche, inginocchiato a sx San Girolamo, inserito xché la cappella era titolata a lui. Il dipinto corrisponde alla pittura del perugino nella composizione ordinata e negli equilibrati accordi cromatici, nonché nella tenerezza delle figure e nel quieto paesaggio. -Sposalizio della Vergine, 1504, da San Francesco a Città di Castello, Pinacoteca di Brera: anche questa è un’opera, dipinta x la cappella della famiglia Albizzini dedicata a S Francesco a città di castello, che rimanda alla pittura di Perugino e prende come protagonista il titolare della cappella nel momento in cui sta sposando Maria. In particolare il rimando è con la consegna delle chiavi della cappella sistina e inoltre nello stesso anno anche perugino aveva realizzato uno sposalizio oggi conservato in francia (Caen) ma in origine nel duomo di Perugia. È una delle sue prime opere ed è interessante x la grande imponenza che la sperimentazione dell’edificio a pianta centrale assume all’interno della rappresentazione. La pala prende spunto da una serie di sperimentazioni che Pietro Perugino aveva compiuto in precedenza. Vi è xo già qualche differenza tra l’opera di Raffaello e quella di Perigino; nella prima infatti l’edificio spicca con maggiore evidenza int tanto vediamo che R, rispetto al maestro, ha alzato il punto di vista e atteggiato i personaggi con maggior scioltezza, laddove quelli del P sembrano discorsi rigidamente l’uno accanto all’altro. Firenze Il momento di passaggio di R verso una nuova maturità connotata da un monumentalismo aperto alla natura si ha quando egli si reca a Firenze, qua ottiene una serie di commissioni che lo conducono verso un nuovo modo di dipingere che ha grandi affinità con Leonardo: L’arte di Michelangelo e di Leonardo potevano apparire incompatibili, ma nonostante questo R fu in grado di prendere caratteri di entrambe e rielaborarli in maniera originale, anche alla luce della sua formazione urbinate e peruginesca, ma comunque emancipandosi da questa. R decise nel 1504 di stare x qualche tempo a Firenze dove conobbe artisti della generazione precedente come Botticelli e Perugino, ma anche artisti giovani come Piero di Cosimo e Fra Bartolomeo. Vi rimase fino al 1508 quando venne chiamato a Roma da Giulio II. -Madonna del cardellino, 1506, Uffizi: chiaro qua il riferimento al gruppo della sant’Anna di Leonardo (<—). Il nome dell’opera deriva dall’uccellino presentato da Giovanni a Gesù che lo accarezza. Vengono ripresi qua chiari caratteri leonardeschi, come la composizione piramidale, anche se il paesaggio rimane umbro, distanziandosi xo dal Perugino. A tt questo si aggiunge anche la conoscenza di Michelangelo, cosa che emerge dalla testa sì dolce della madonna, ma anche scartata di lato e dalle fattezze di Giovanni. -Sacra famiglia Canigiani, 1507, Monaco: in quest’opera dove vediamo la sacra famiglia con Giuseppe, Maria, Elisabetta e i due bambini, è ancora + accentuata la composizione piramidale che culmina nella figura di 72 113 rinnovata da cristo), mentre a dx abbiamo Paolo con la spada (simbolo del suo martirio), egli è simbolo dei gentili, non è infatti un apostolo ma un miscredente che si converte poi a Cristo e combatte x la diffusione del cristianesimo - i 2 sono rappresentativi, simboli veri e propri della chiesa. pietro infatti rappresenta la progressione ali cristianesimo degli ebrei, mentre Paolo la conversione dei pagani. Sotto di Gesù quattro angioletti mostrano le Sacre Scritture (uno per evangelista, con brani di ciascuno, da sinistra Matteo, Marco, Luca e Giovanni) Tra i santi si riconoscono da sinistra san Pietro, Adamo (senza aureola), Giovanni evangelista, Re David con una cetra, santo Stefano e Geremia; a destra Giuda Maccabeo, san Lorenzo, Mosè con le tavole della Legge, un apostolo (san Matteo o san Giacomo maggiore o san Giacomo minore), Abramo e san Paolo Le figure sono relative alla tradizione che riunisce il percorso di evoluzione che porta al trionfo del cristianesimo. Sotto vediamo una serie di teorici che si sono battuti x la chiesa nei secoli. vediamo dunque i padri fondatori della chiesa come San Girolamo, San gregorio magno (sx), e sant’agostino e ambriogio (dx) considerati questi i padri della chiesa latina e greca. Tutto questo intorno all’ostia che è rappresentazione della manifestazione di cristo sulla terra e che unisce terra e cielo. Vediamo anche le figure di francescani come s francesco e s tommaso. Insomma una serie di personaggi battutisi x la diffusione della fede di Cristo. tra questi vediamo anche Dante e forse nel monaco nero che sbuca a dx riconosciamo Savonarola, e poi un omaggio voluto prob da Giulio II di Sisto IV della Rovere, suo nonno e che lo aveva favorito come papa; egli aveva favorito i francescani come anche Giulio. Quello che è anche interessante è vedere come al grande fondamento della chiesa rappresentato dal basamento indistinto sulla destra a sx fa riferimento una visione paesaggistica molto dolce e intima in cui vediamo una piccola chiesa di campagna; c’è una sorta di contrapposizione nella quale alcuni studiosi hanno visto la rappresentazione della chiesa ufficiale e sulla sx come veniva vissuta la religione anche in sedi + umili. Importante è anche la presenza della Vergine vicino a Cristo che nel ’400 era stata sempre oggetto di discussioni teologiche, cosa invece molto sentita proprio dai francescani, tornando al legame che sisto e giulio avevano con l’ordine francescano. questo ci dà l’idea di come il papa fosse legato al culto della vergine (cosa invece additata dai luterani, che non accettarono mai la santità della madonna). In questo affresco si sente l’influenza di Perugino ma anche il peso del soggiorno fiorentino nelle gestualità leonardesche e nella rigidità della composizione. Il tratto distingue chiaramente Raffaello dal panorama artistico del tempo, e si nota come R non consideri ancora le novità che Michelangelo stava apportando. Vediamo particolare grazia compositiva che lega R all’attività fiorentina, nella quale vediamo ancora l’influenza di Leonardo. - La scuola di Atene: nella parete di fronte troviamo la scena rappresentante la filosofia. La scena è ambientata in un edificio all’antica, uno spazio immenso con una volta a lacunari che evoca la basilica di massenzio, ma in realtà quello che R vuole fare e farci vedere come Bramante aveva pensato l’interno della nuova basilica di s pietro. all’incrocio delle 2 navate si innalza una cupola (non si vede) e le pareti fingono delle nicchie nelle quali troviamo un corredo scultoreo all’antica di soggetti paganti come a sx Apollo nudo con la cetra e a dx Minerva in armi con lo scudo con la testa di Medusa. Qua R si distacca molto dalla sue origini umbro-fiorentine, gli fa invece scuola l’arte di Bramante soprattutto nella disposizione del fondo. Non abbiamo infatti alcuna rappresentazione della natura (che ancora lo collegava a Leonardo), si fa spazio invece una rappresentazione architettonica dalla potenza senza precedenti. Anche questa scena rappresenta un concetto astratto, ovvero la filosofia, facendo riferimento alla pratica umana di interrogarsi sulle origini, sulla natura e sui rapporti tra gli esseri. Questa scena nn a caso è posta di fronte alla rappresentazione della religione, come somma delle due sfere della speculazione della chiesa. Al centro Aristotele e Platone (in lui, anziano e stempiato, si tende a credere che R abbia ritratto Leonardo), uno con il Timeo e l’altro con l’Etica. Platone indica il cielo, il mondo delle idee, mentre Aristotele la terra, a indicare la sua visione materiale delle cose. Intorno a loro, una schiera di filosofi impersonati da personaggi dell’epoca: colpisce la presenza di alcune figure legate alla filosofia di Platone come Socrate circondato da quelli che notoriamente sono i suoi allievi. Altre figure che si possono vedere sono Pitagora e Archimede. A sx Epicuro in atto di scrivere ritratto prob nelle vesti del bibliotecario del papa Tommaso Inghirami (cd “Fedra”), mentre chinato a misurare con il compasso Bramante nelle vesti di Euclide, alle sue spalle con la sfera celeste in mano Zoroastro, prob l’umanista Pietro Bembo, mentre quello con la sfera terrea è Tolomeo. Vediamo anche molti giovani che discutono intensamente con anche la presenza di personaggi appartenenti alla corte papale; ad es il giovane che sbuca da dietro il Fedra è Federico II Gonzaga. La figura seduta sulle scale è invece Diogene. La scena si conclude poi con R e il Sodoma (cappello nero e bianco). In primo piano, solitario, con la testa sul braccio, Eraclito, impersonato da Michelangelo, essa è stata identificata come un’aggiunta non prevista da Raffaello in un I tempo. Nella pinacoteca ambrosiana a Milano troviamo poi il cartone preparatorio x questo affresco con il progetto iniziale dove, infatti manca la figura aggiunta dopo di Eraclito/Michelangelo. di 75 113 1 • Zenone di Cizio 2 • Epicuro o Rito orfico | Fedra Inghirami 3 • Federico II Gonzaga 4 • Severino Boezio o Anassimandro o Aristosseno o Empedocle o Senocrate 5 • Averroè 6 • Pitagora 6 • Telaugue 7 • Alcibiade 8 Antistene o Senofonte 9 Kalokagathia greca (cosiddetta Ipazia) | Il Sodoma 10 Eschine o Senofonte o Alcibiade 11 • Parmenide o Senocrate o Aristosseno 12 • Socrate 13 • Eraclito 14 • Platone 15 • Arisotele 16 • Diogene di Sinope 17 • Plotino 18 • Euclide o Archimede | Bramante 19 • Zoroastro | Baldassarre Castiglione 20 • Claudio Tolomeo 21 • Apelle | Raffaello 21 • Protogene | Il Sodoma o Perugino o Timoteo Viti - Il parnaso: sopra la finestra che si apre sulla collina del Belvedere vediamo una scena dedicata alla Poesia e ambientata sul monte della Grecia Parnaso, consacrato ad Apollo e alle Muse protettrici delle arti. Troviamo qua Apollo al centro che suona la lira da braccio affiancato dalle 9 muse. Vediamo Clio con la tuba e indica la diffusione nel mondo della fama degli artisti stessi, a dx Euterte, musa del canto e canta al suono della lira di A e poi tutte le altre. Sotto, ai lati della finestra, diversi poeti del presente e del passato: Saffo, che si poggia alla cornice della finestra e tiene un cartiglio con il suo nome e sopra di lei dante, Virgilio e Omero. Vediamo dal pt di vista figurativo uno sviluppo in senso volumetrico dell’arte di R, ad esempio nelle figura di Saffo a sx della finestra, tt caratteristiche che riprende certamente dalla volta della sistina. importante è la fuoriuscita sempre di Saffo dalla cornice, cosa che nn era mai stata fatta prima. Vediamo dunque assoluto novità dal pt di vista della crescita della pittura di Raffaello il quale rimescola sempre e comunque tutti gli stimoli ai quali viene sottoposto, infatti nei volti di alcune muse vediamo ancora caratteri fortemente leonardeschi: R dipinge non dimenticando mai quello che ha visto. - Virtù e la Legge: troviamo qua le virtù celebrative della giustizia del potere temporale della Chiesa. Ai lati della finestra abbiamo 2 scene; 1. storica, con Giustiniano (attività legislativa che deriva dalla storia antica dell’impero) e 2. (dx) Papa Gregorio IX che apprezza le leggi decetali. In questo senso il potere pontificio si fa carico di riunificare le attività legislative dell’antica Roma e della Chiesa. La chiesa può vantarsi in questo senso di essere la continuatrice dell’attività legislativa dell’impero romano. Alcuni studiosi ritengono che la scena di sx potrebbe essere di mano di Lorenzo Lotto, dal verismo dei volti e dal poco accademismo, ma questa è solo un’ipotesi. 2. Stanza di Eliodoro Qui il papa aveva le udienza pontificie e x questo il programma iconografico si connota x una forte valenza politica che racconta la storia millenaria della chiesa. Inoltre non mancano le allusioni al difficile momento per il papa; nel 1511 infatti Bologna era stata riconquistata dalla fam Bentivoglio grazie al re di Francia che stava cercando di far deporre il pontefice. In queste scene quindi si fa un monito ai nemici della chiesa. Il linguaggio usato da r è inedito, drammatico e segnato dalle novità di Michelangelo e da quelle della pittura veneziana. -La volta: rinuncia ai toni antiquari e viene spartita in 4 storie dell’antico testamento allestito come finti arazzi con personaggi grandiosi e paesaggi spogli. L’autore non è Raffaello, ma una serie di altri pittori. dipingono qua le storie di Mosè. quello che si nota sono una serie di caratteristiche della decorazione che riprendono i temi e di 76 113 moduli dall’antico. x quello che riguarda le scene sono stati fatti vari nomi di pittori. Sui lati poi vediamo una serie di pitture riprese da rilievi antichi romani (come già nella copertura della stanza della segnatura) e una serie di storie che fanno riferimento a quella che è la tradizione biblica e quindi alla decorazione canonica di una stanza del genere. - Eliodoro cacciato dal Tempio: la stanza prende il nome dal primo episodio narrato. esso è tatto da un episodio apocrifo dell’antico testamento. Vediamo a dx un gruppo dove un cavaliere, accompagnato da 2 giovani, travolge un uomo in armatura caduto a terra e mette in fuga il suo seguito. Le figure sono tipicamente michelangiolesche. Il vaso caduto e pieno di ricchezze in primo piano indica che si tratta di Eliodoro d’Antiochia, emissario del re di Siria Seleuco IV che l’aveva incaricato di profanare il tempio di Gerusalemme. Lo mise poi in fuga un cavaliere inviato da Dio in seguito alle preghiere del sacerdote Onia, che si vede inginocchiato al centro sotto la navata del tempio che fugge in prospettiva e si illumina con i bagliori dorati delle volte. L’architettura è diversa da quella della sala della segnatura, infatti si abbandona il gusto fortemente antiquario in favore di una resa incisiva e potente della realtà. A sx vediamo entrare in scena Giulio II sulla sedia gestatoria sorretto da palafrenieri. Il messaggio è quello di una chiesa che non protegge se stessa ma i deboli, cosa che vorrebbe anche giustificare un diritto ai beni temporali. Questo affresco implica una grande attenzione da pt di R x un pericoloso avversario appena arrivato da Venezia, parliamo di Sebastiano del Piombo; egli porta a Roma una pittura di luce, memore dei mosaici marciani; questo affresco è una sorta di espressione dell’interessamento di Raffaello x questo pittore, anche xche R probabilmente non è mai stato a Venezia. -Messa di Bolsena: troviamo qua il miracolo della messa di Bolsena del 1263, quando si diede origine alla festa del Corpus Domini. In questo episodio un prete che non credeva nella trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di cristo celebra la messa durante la quale l‘ostia inizia a gettare sangue, dissipando i suoi dubbi. La scena è tenebrosa e si svolge in una chiesa simile a quella dell’episodio di Eliodoro. A dx vediamo Giulio II inginocchiato e la sua corte di cardinali e palafrenieri. In questa scena in particolare notiamo in ogni dettaglio un gusto spiccatamente veneziano. - La liberazione di S Pietro: Anche questa scena ha una forte valenza politica e un carattere veristico e veneziano. Pietro è il primo papa e quindi la figura che fonda la chiesa di Roma e in lui si riconoscono tt i sui successori. Qui si racconta l’episodio della liberazione di S Pietro grazie all’apparizione di un angelo, scena che alluderebbe alla liberazione dei territori della Chiesa della minaccia francese (1512). L’affresco è diviso in 3 parti: al centro in un bagliore di luce compare l’angelo di fronte a pietro dormiente, a dx vediamo la fuga al cospetto di 2 carcerieri addormentati e a sx la scoperta della fuga. Ormai nei volti si vede che nulla hanno + a che fare con il primo Raffaello e, anche qua, vediamo l’uso della luce veneziana. -Incontro di Leone Magno con Attila: l’incontro avviene tra il papa e Attila sotto la benedizione dei Ss. Pietro e Paolo. Anche qui si asserisce che la chiesa ha un suo potere temporale ben stabile sullo stato pontificio e su Roma come vediamo nella figura del papa che si dirige verso Attila (è il personaggio con le piume sulla testa a dx). Il papa rappresentato non è + Giulio II il quale muore durante la realizzazione dell’affresco. Sullo sfondo vediamo il Colosseo e la colonna traina e l’acquedotto Claudio. Qui si vuole rappresentare la stabilità della corte papale a Roma. 3. Stanza dell’Incendio di Borgo Nel 1513 alla morte di Giulio II venne eletto papa Giovanni de’ Medici, che prese il nome di Leone X. Con lui Raffaello proseguì il suo lavoro nelle stanze vaticane. Questa era la sala da pranzo. -L’incendio di Borgo: si racconta qua un episodio dell’847, quando nel quartiere romano di Borgo davanti al Vaticano scoppia un incendio che viene rappresentato ai lati della lunetta e che funge da quinta architettonica. qui vediamo i personali che fuggono dalle fiamme e, al centro, la facciata dell’antica basilica paleocristiana di s pietro, più avanti la loggia da cui si affaccia Leone IV che placa l’incendio con la sua benedizione, alludendo alla politica pacificatori di di 77 113 Dopo Giulio II il pontefice fu Leone X, al suo periodo ormai M si era dedicato unicamente alla scultura e l’unico a poter competere con R era Sebastiano del Piombo, considerabile l’ambasciatore della pittura veneziana a Roma nel primo 1500. Il cardinale Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII, era anche arcivescovo di Narbonne in Francia. Per la cattedrale della stessa decise di commissionare due pale d’altare, una a Raffaello e una a Sebastiano, mettendoli in chiara competizione. In quegli anni i sostenitori di R affermavano che egli fosse pari in bravura a Michelangelo e che anzi lo superasse nel colore. Sebastiano non si schierò in questa disputa, cosa che lo fece prendere in simpatia da Michelangelo il quale decise di sostenerlo fornendogli i disegni x alcune opere. -La pietà di Viterbo, 1516, Sebastiano del Piombo: La sua prima opera michelangiolesca fu una pietà realizzata x l’altare della chiesa di S Francesco a Viterbo. In quest’opera egli mette insieme un notturno reso alla maniera veneta con le sole figure della madonna e del cristo morto. Esse si distinguono x solidità michelangiolesca e studio anatomico. In quest’opera vediamo sostanzialmente una sintesi tra colore veneziano e disegno fiorentino. -La resurrezione di Lazzaro, 1516-20, Narbonne, Sebastiano del Piombo: in quest’opera S segue l’idea michelangiolesca e dispone Lazzaro sulla dx del dipinto, nudo e intento a liberarsi dalle bende con le quali lo avevano inumato. Sotto lo sguardo di personaggi monumentali Cristo si alza a indicare Lazzaro con le sue sorelle. Marta e Maria, che lo guardano. Anche qua il paesaggio con il cielo nuvoloso e lo specchio d’acqua ha sapore veneto. -La trasfigurazione, San Pietro in Montorio, Roma,1518-20, Raffaello: questa tavola si divide in due parti, in quella in alto vediamo Cristo che si leva in cielo sul monte affiancato dall’apparizione dei profeti Mosè ed Elia mentre gli apostoli Giovanni, Pietro e Giacomo si sdraiano sconvolti dall’apparizione. In basso invece vediamo una della che accompagna un bambino posseduto dal demonio il quale sarebbe stato guarito da Cristo una volta sceso dal monte. Quest’opera mette insieme ordine della visione con la rappresentazione drammatica dalla scena in basso, composta da personaggi monumentali che preannunciano la pittura di Maniera. Raffaello morì nel 1520 a soli 37 anni, questo evento crea grande sconvolgimento nella produzione artistica del tempo a causa dei tanti cantieri rimasti aperti. Uno di questi è quello della: - Villa Madama: Giulio de’ Medici (poi Clemente VII) inizia a costruire una villa sulle pendici di Montemario (subito fuori centro storico Roma) e immersa nel verde. Il progetto è particolarmente interessante xche prevedeva un grande cortile circolare al centro dal quale si poteva accedere a una loggia che dava su un giardino segreto. L’entrata nella villa invece era prevista in maniera tale da ascendere lungo una scalinata per arrivare in un cortile che poi portava a un’altra scalinata e all’ingresso. La villa era costruita in pendenza in modo che nella sommità si potè realizzare anche un teatro all’antica in cui le gradinate erano scavate nella collina stessa. Questa villa venne costruita solo x metà; il teatro non è stato costruito ad es. La loggia è un esempio dell’intento di R di utilizzare lo stucco e l’affresco x ornare la nuova architettura risorta sul modello dell’antico. Non è più dunque legata alla disposizione delle colonne, ma potente dal punto di vista murario e ornata con una serie di stucchi colorati e pitture con figurate osservabili nella domus aurea, recentemente riscoperta. Altre opere di Sebastiano del Piombo: - San Ludovico e San Sinibaldo (portelle aperte): si tratta di due ante d’organo su tela oggi alle Gallerie dell’Accademia a Venezia, in origine presso la chiesa dei Tedeschi. Esse rappresentano bene quello che è stato il progresso della pittura veneziana e ci fanno capire la diversità di questa pittura rispetto a quella romana. Vi è un “tonalismo” che investe le figure, ovvero i contorni sono meno accentuati e le zone ombra-luce diventano meno evidenti, senza particolari distinzioni tra le due zone facendo eccezione rispetto all’importanza che ad es Raffaello dava al disegno. - San Sebastiano e San Bartolomeo (portelle chiuse): vediamo qua come anche a Venezia a questo punto si fosse affermata l’ispirazione classica. SS è connotato dalla freccia, SB del pugnale del martirio in quanto fu martirizzato x scuoiamento. - Giudizio di Salome: in questo dipinto si ritrova la necessità dell’artista di inserire la scena in un fondale architettonico che fosse in grado di rappresentare la novità rinascimentale compositiva. Al contempo vediamo anche un luminismo tratto da Giorgione e Raffaello che dona alle figure una certa pastosità (non troviamo questo ad es in Michelangelo di 80 113 che invece venendo da Firenze dona grande importanza alla linea). Evidente è anche l’eredità leonardesca. L’impostazione “colonnare” dell’architettura è un retaggio della tradizione 400esca, infatti Raffaello propone + un’architettura “murale” abbandonando le colonne singole, troppo “esili”, e acquisisce una monumentalità muraria più vicina all’architettura romana. Sezione VII - dal Sacco di Roma alla Controriforma Lineamenti storici IL SACCO DI ROMA Impauriti dalla vittori di Carlo V a Pavia il Papato e le Repubbliche di Firenze e Venezia si unirono insieme alla Francia di Francesco I nella Lega di Cognac (1526). Nel frattempo (1523) Giulio de’ Medici venne eletto papa come Clemente VII e diede vita a una nuova stagione di mecenatismo. Nel 1527, xo, un evento tragico investì Roma, infatti Carlo V con un esito di lanzichenecchi (soldati tedeschi) prese e saccheggiò Roma. Il papa a questo punto si rifugiò a Castel Sant’Angelo costretto a cercare una tregua che venne trovata con la Pace di Cambrai del 1529 con quale la Francia si riappropriava della Borgogna mentre l’Italia rimaneva all’impero. Nel 1530 il papa incoronò Carlo V imperatore del Sacro Romano impero e poco tempo dopo le truppe imperiali conquistarono Firenze imponendo una signoria medicea tanto che nel 1532 Alessandro de’ Medici divenne Duca di Firenze. IL TRATTATO DI CATEAU-CABRÉSIS Dopo l’incoronazione Carlo V passò gran parte del suo tempo a combattere. Nel 1555 concluse la Pace di Augusta riconoscendo la fede riformata e stabilendo che ogni popolo dovesse seguire la religione del sovrano. L’anno dopo Carlo abdicò in favore del figlio Filippo II il qual ratificò il trattato di Cateau-Cambrésis con il quale si metteva fine alle guerre d’Italia dando alla stessa un assetto destinato a durare fino all’epoca napoleonica e lasciando come Repubblica autonoma solamente quella di Venezia. PAOLO III A Clemente VII succedette Alessandro Farnese con il nome di Paolo III il quale fu capace allo stesso tempo di favorire la sua famiglia e fare grandi cose x la Chiesa. Egli infatti attuò una politica di difesa contro la minaccia dei protestanti e nel 1540 approvò la regola dei Gesuiti i quali si impegnavano a combattere le eresie e a evangelizzare il nuovo mondo e l’Asia. Inoltre venne riorganizzata l’inquisizione e nel 1545 si diede avvio al Concilio di Trento. LA CONTRORIFORMA Papa Paolo III morì nel 1549 e il concilio venne concluso solo nel 1563 da Pio IV dando avvio all’età della “controriforma” o Riforma Cattolica. In questo periodo vennero attuati i rinnovamenti previsti dal concilio x contrastare la Riforma protestante e ristabilire l’assoluta autorità spirituale e temporale della Chiesa di Roma. L’arte figurativa in tutto questo ebbe un ruolo centrale creando chiese stazione x favorire il dialogo con il popolo e immagini semplici che raccontassero il Vangelo e rinunciassero agli artifici della Maniera. La chiesa in tt questo trovò il suo più fedele alleato in Filippo II di Spagna il quale alleandosi nel 1571 con Papato, Serenissima e altri stati fermò l’espansione die Turchi a Lepanto, mentre la sua Invincibile Armata venne sconfitta dall’Inghilterra, ormai protestante. Qui infatti già dal 1533 Enrico VIII aveva dato vita alla Chiesa Anglicana che assorbiva molti dei precetti protestanti. Egli in questo senso aveva dato vita a uno stato laico. L’Italia invece fu estranea ai conflitti religioso rimanendo sottomessa in gran pt (meno Venezia) al dominio Spagnolo. Giulio Romano L’erede più proficuo della bottega raffaellesca fu Giulio Romano, il quale alla morte del maestro terminò (con altri) la Sala di Costantino delle stanze vaticane, lasciata incompiuta da R. - Sala di Costantino: l’ambiente è così chiamato in quanto gli episodi narrati parlano della vita dell’imperatore che nel 313 riconobbe la libertà del culto cristiano. Le scene sono: - Visione della croce - Battaglia di Ponte Milvio - Battesimo di Costantino - Donazione di Roma Le scene sono pesante come arazzi e sono affiancate da figure di pontefici. Esse sono composte da personaggi spesso in pose difficili che ricordano la pittura di R degli ultimi anni, quando egli tentò di portare la pittura di Michelangelo alle estreme conseguenze innervando le figure di ancora maggiore potenza muscolare e tensione. Si coglie qua lo spirito della Maniera. Nella sala di Costantino lavorò anche un altro allievo di R, parliamo di Pietro Buonaccorsi detto Perin del Vaga. Egli inoltre realizzo delle Storie della Vergine per la chiesa di S Trinità due Monti: qui nella lunetta centrale dipinse la Visitazione nella quale vediamo l’influenza di R nell’impostazione delle figure, nelle vivaci cromie e nella composizione. La scena infatti è impostata come una scena teatrale nella quale troviamo al centro gli attori principali e ai lati le comparse. di 81 113 Mantova Nel 1524 GR si trasferì alla corte di Federico Gonzaga a Mantova, evitandosi dunque il sacco di Roma. - I modi: fu per Federico Gonzaga che Correggio eseguì gli Amori di Giove che documentano una propensione per la pittura sensuale. Anche GR era esperto di questo tipo di pittura e questo si è visto ne i modi, delle incisioni x le quali Giulio fornì i disegni. Le incisioni descrivevano le diverse modalità di accoppiamento tra uomo e donna. Esse vennero ovviamente distrutte nella Roma di Clemente VII e l’incisore venne imprigionato. Giulio riuscì a scampare dalle conseguenze in quanto trasferitosi a Mantova. - Palazzo Te: Giulio Romano ha la possibilità di sposarsi da Roma a Mantova nel 1524, chiamato al servizio di Federico II Gonzaga per realizzare la Delizia di Palazzo Te. La Delizia era una sorta di tenuta di caccia utilizzata per le feste e i momenti di svago. La decisione di Giulio Romano di spostarsi a Mantova deriva anche dal fatto che il papa Adriano VI si arrabbia molto con lui a causa della realizzazione di una serie di incisioni erotiche diffusesi per Roma. Nel 1526 G iniziò il suo progetto più importante, Palazzo Te, sull’Isola di Teieto (da qui il nome) ai margini di Mantova. Il palazzo venne costruito per Federico Gonzaga e per i suoi svaghi, ma anche x ricevimenti importanti. Il palazzo è a pianta quadrata e si sviluppa intorno a un grande cortile centrale su un solo piano. GR inoltre si occupò anche della decorazione degli interni. Nell’ambiente più sontuoso destinato a ricevimenti e banchetti egli dipinse le storie di Amore e Psiche. A queste diede un forte senso di movimento con accessi scarti cromatici. Nelle scene delle pareti, ad esempio, i personaggi sono intenti a preparare il banchetto di nozze e in alto vediamo una scritta latina che allude alla funzione del palazzo. Sul prospetto interno che dà sul giardino vediamo un ingresso a serliana che porta a una loggia con una decorazione a stucco, rappresentativa della formazione di Giulio Romano con Raffaello rimandando anche a Villa Madama. Questo Palazzo è poi rappresentativo della maniera, e lo vediamo ad esempio nella muratura dove troviamo dei conci che sembrano sul punto di cadere, semplicemente come scherzo, gioco di assemblaggio. Questo “scherzo” lo ritroviamo in particolare nella: -La Caduta dei Giganti, 1532-4: il palazzo di Federico Gonzaga oltre che per il riposo era utile anche per mostrare la magnificenza del signore. Questo lo vediamo in un’altra sala dove G narra la storia della caduta dei Giganti, quando essi che cercarono di assalire l’Olimpo vennero fulminati da Giove con chiara allusione alla vittoria dell’imperatore contro i suoi nemici. Le figure sono enormi e ultraespressive, l’intento infatti è quello di stupire lo spettatore con un linguaggio nuovo e coinvolgente, cosa che G tentò di ottenere addirittura smussando gli angoli delle pareti. Sempre in Palazzo Te troviamo le Storie di Cupido e Psiche nella Sala di Psiche, dove vediamo le sfide che Psiche deve superare e le varie vicende della storia. Troviamo una serie di figure fortemente sensuali ed erotiche, rappresentative dell’evoluzione della scuola di Raffaello. L’intento è quello di far apparire questa sala come una sala romana antica. Vediamo le scene delle sfide affrontate da Psiche nei lacunari della volta. VENEZIA E IL VENETO A Venezia nell’ultimo decennio del 400, una serie di protagonisti emblematici per la pittura nella seconda metà del 400, riconoscevano un caposcuola assoluto in Giovanni Bellini. GIOVANNI BELLINI (1430-1516) Giovanni Bellini lavora in parallelo al Mantegna, ma a Venezia. Inoltre, sua sorella era la moglie del Mantegna. Gli esordi di Giovanni Bellini sulle orme del Mantegna L’APERTURA DI VENEZIA AL RINASCIMENTO Nel ‘300 Venezia era restia ad aprirsi alle novità apportate da Giotto a Padova, tendendo fortemente legata alla tradizione bizantina. Nel ‘400, differentemente, la Padova di Donatello, Squarcione e Mantegna stimolò Venezia ad aprirsi al Rinascimento. Ancora, dopo il passaggio di Antonello da Messina la luce e il colore divennero gli strumento fondamentali per una pittura diventata poi tipicamente veneziana che si imporrà poi in tt Eu. BELLINI IN UNA FAM DI ARTISTI Il protagonista principale di questa rivoluzione fu Giovanni Bellini, detto Giambellino. Egli ebbe la capacità di prendere elementi da maestri e anche dagli artisti + giovani e ricombinarli in maniera personale, x questa ragione il suo lavoro è emblematico dei cambiamenti avvenuti tra il 400 e il 500. Egli era nato nel 1430 a Venezia in una fam di artisti devoti al gusto del Gotico internazionale. Il padre Jacopo era un pittore che aveva frequentato Gentile da Fabriano, e la sua bottega divenne presto famigliare. Inoltre la sorella del Bellini, Nicolosia, avrebbe sposato Mantegna. di 82 113 - Festa del Rosario, 1506, Praga: la pala venne realizzata x la chiesa di San Bartolomeo in Rialto, vicino al Fondaco dei Tedeschi. Sullo sfondo vediamo un paesaggio latino sul quale si staglia una scena colorata e festosa dove la madonna con il bambino incoronano l’imperatore e il papa, maggiori autorità terrene, mentre S Domenico e alcuni angeli incoronano il seguito della scena dove si colloca anche il pittore che si è ritratto in alto a dx con i capelli lunghi e rossi e con un cartiglio in mano che reca la data di esecuzione. In basso sotto al trono, al centro, vediamo un angelo musico, elemento tipico della pittura di Bellini alla quale D sembra voler fare omaggio, in quanto suo amico. Agli inizi del ‘500 Bellini, ormai anziano, era ancora protagonista della pittura veneziana. Anche Bellini si interessa di ritrattistica (come Antonello da Messina) - Ritratto doge Leonardo Loredan, 1501, National Gallery Londra: GB lo ritrae alla maniera di Antonello da Messina, posto dietro un davanzale che presenta un cartiglio con la firma del pittore. il Doge è do 3/4, con la veste damascata e il copricapo dogale (corno) realizzati secondo uno schema quasi geometrico, il tutto risalta bene sullo sfondo luminoso azzurro lapislazzuli. È uno dei suoi ritratti più famosi. Il Doge si riconosce dal corno dogale (copricapo). L’opera è datata 1501, postumo alla morte del Doge. Bellini opera qui una trasformazione tra la sua formazione che lo portava a riprendere il ritratto in forma classica, con il busto tagliato sotto le spalle, ma al contempo aggiunge una veste patrizia che lo copre come fosse un manichino, dunque una certa eleganza fiamminga viene calata su una struttura scultorea classica, a sottolineare come ormai il riferimento alla scultura e all’arte classica è qualcosa di imprescindibile anche in ambiente veneziano. Questa attenzione per la pittura fiamminga si ritrova anche nelle ultime pale di bellini, come nel Battesimo di Cristo (Chiesa di Santa Corona a Vicenza) del 1503, o la Pala con San Giovanni Crisostomo a Venezia del 1506-7. Qua le pale si aprono a grandi paesaggi naturalistici, aperti all’infiniti e molto dettagliati. Continua dunque l’interesse paesaggistico anche all’interno di opere sacre. Il tema del paesaggio sarà portante per tutta la pittura veneziana del ‘500 e già un artista come Bellini, di passaggio, inserisce l’elemento paesaggistico anche nelle sue opere religiose. Questo avviene anche nelle opere religiose di tipo privato, ad es nella Madonna degli Alberetti o nella Madonna della Pera. Quest’ultima ha una struttura fortemente nordica che si vede anche nel parapetto, il quale aveva una funzione prospettica, consentendo all’artista di porre il soggetto su un piano scalato in profondità. - Pala di S Zaccaria, 1505, Venezia, San Zaccaria: in questa monumentale sala x la chiesa di S zaccaria Bellini ricorre alla tipologia della sacra conversazione con il trono sopraelevato con la madonna e il bambino, all’interno di un abside coperto da una volta a mosaico, rivediamo anche l’angelo musicante tipico della sua pittura. Quello che è completamente nuovo, però, è la collocazione dell’abside che non si trova nell’interno di una chiesa ma in un loggiato aperto sul paesaggio. Inoltre, i santi Pietro e Girolamo ai lati hanno un carattere assorto e ombroso e i loro volti sono realizzati tramite lo sfumato. Bellini stava dunque mutando, facendo tesoro della lezione di Leonardo passato a Venezia nel 1500 nonché delle novità che stava apportando Giorgione (in seguito). Questa nuova modalità pittorica si riflette poi in una serie di dipinti x devozione privata rappresentanti la Vergine con il figlio e ambientati in una campagna poco umanizzata costruita tramite accostamenti di colore secondo la tecnica del tonalismo. Questo lo vediamo ad esempio nella Madonna con Bambino della Pinacoteca di Brera. - Festino degli dei, 1514, National Gallery Washington: Giovanni Bellini operò anche a Ferrara presso la Corte degli Estensi. Per tutto il 500 Ferrara rimase capitale dello stato di questa famiglia e alla morte di Ercole gli succedette il figlio Alfonso d’Este, fratello di Isabella, marchesa di Mantova, con la quel condivideva la passione per le arti. Nel castello Estense la famiglia fece realizzare la cd “via coperta”, un camminamento tramite il quale la famiglia poteva spostarsi in sicurezza dal castello al Palazzo Ducale. Quei Alfonso volle i suoi appartamenti composti da 5 stanze con soffitti intagliati e dorati e pavimenti di marmo. Il primo ambiente venne decorato da rilievi del veneziano Antonio Lombardo, e in generale egli riuscì a mettere in siete una serie di opere che documentavano gli esiti della pittura veneziana dopo la morte di Giorgione. In un camerino troviamo invece un’opera di Giovanni Bellini nella quale si rappresenta un festino degli dei. Una scena pastorale nella quale si raccolgono ninfe e satiri, a sx vediamo Priapo che solleva la veste di Lotide dormiente. La scena è giocata tt sul colore documentando una virata di Giovanni verso la pittura dei suoi allievi Giorgione e Tiziano. di 85 113 Cima da Conegliano Alle novità apportate da GB guarda con interesse e bravura il pittore Giovanni Battista Cima da Conegliano. -Pala di Conegliano, 1492-3, Conegliano, Cattedrale: questa influenza e rielaborazione la troviamo in una tavola realizzata x la città natale nella chiesa di s maria dei battuti. Vediamo qua la tipica sacra conversazione con la madonna, il bambino, gli angeli musicanti e i santi. La scena è collocata in un quadriportico con elementi antiquari e mosaici di gusto bizantino sui pennacchi e sulla cupola, manca però l’abside e il fondo è rischiarato da un cielo azzurro con nuvole. -Madonna dell’arancio, da Santa Chiara a Murano, 1496-8: cardine della pittura di Cima è lo studio della rappresentazione del paesaggio, che ritroviamo nella cd Madonna dell’Arancio. La scena è ambientata nella campagna di Conegliano. Vediamo qua San girolamo mezzo nudo con il sasso in mano che ha usato x percuotersi x fare penitenza e san Ludovico di tolosa in veste francescana coperta da un piviale. La madonna al centro non siede su un trono ma su una roccia e dietro di lei si innalza un albero di arancio. Vediamo comunque anche molte altre specie vegetali, che creano un paesaggio poco intaccato dal passaggio dell’uomo. Dietro vediamo un asino con il padrone, ovviamente Giuseppe e un sentiero che porta a un borgo murato in alto su un’altura. Sullo sfondo, vediamo anche le dolomiti colorate dall’azzurro del cielo. Cima spicca dunque x lo studio della natura e l’utilizzo della luce nel plasmare le figure. Dal punto di vista dell’attenzione di Giovanni Bellini per la scultura possiamo far riferimento al fregio dipinto su tela, conservato alla National Gallery di Washington. Proviene probabilmente da un palazzo partizio veneziano e rappresenta il trionfo di Scipione attorniato da soldati. Questa è una dimostrazione di come l’artista sia connesso a questa grande rivalutazione dell’antico che connota l’arte italiana di questo periodo. Una delle ultime opere di B è la nuda di Vienna, in quanto conservata al museo di storia dell’arte di Vienna. Esso manifesta questa attenzione nuova di un artista anziano che però dimostra di sapersi rinnovare continuamente. Vediamo qua una sintesi dei temi dell’opera di Bellini: scorcio sul paesaggio, luce che proviene dal retro e che illumina il corpo particolarmente pieno, reale e naturale anche nei gesti, nonché nell’espediente del doppio specchio che ci presenta dei dettagli che non vedremmo altrimenti. Un’altra volta vediamo come gli artisti italiani tendano ad unire caratteristiche pittoriche antiche e fiamminghe. Il paesaggio qua non è più però fortemente dettagliato come tipico dell’arte fiamminga, ma è decisamente sintetico che rimanda all’arte di un pittore della generazione successiva come Giorgione. Questa idea di paesaggio sintetico, a macchie, è una novità giorgionesca di cui Bellini si appropria anche lui al termine della sua carriera. Teleri e scuole: Gentile Bellini e Vittore Carpaccio Il fratello di Giovanni, Gentile Bellini, realizza un’opera conservata oggi a Brera la quale sarà terminata dal fratello Giovanni dopo la sua morte. Anche quest’opera proviene da una Scuola veneziana, quella di San Marco. La scena che vediamo qui è la Predica di San Marco ad Alessandria. Il contesto qua è di grande interesse per quanto riguarda la visione che i due fratelli hanno della loro città in questo momento. Alessandria infatti viene rappresentata sul modello di Venezia, il complesso romanico sullo sfondo della grande piazza che fa riferimento a quella di San Marco, corona una serie di edifici scatolari che fanno riferimento ai famosi mercati che si trovavano a Damasco, Costantinopoli ecc, i quali erano i porti ai quali i veneziani facevano riferimento per i propri commerci. le città orientali del tempo costituiscono dunque una sorta di visione fantastica di Alessandria, il cui carattere orientale è esaltato anche dagli obelischi e dalle palme. Dal punto di vista organizzativo c’è la volontà di usare la pittura per una grande narrazione. Questo tipo di pittura narrativa ha grande successo a Venezia. Punto di grande interesse in questo dipinto è il rimando al prospetto di San Marco con tutte le colonne antiche provenienti da Costantinopoli e che i veneziani avevano da qua razziato nel 1204. Con l’inizio del nuovo secolo anche a Venezia si sviluppa l’interesse di ripresa dell’antico che però è più quello bizantino che quello di Roma. Altro punto di interesse dal punto di vista sociale è l’unione pacifica tra i mercanti veneziani, abbigliati secondo la moda del tempo (berretta e abito nero) e gli uomini e le donne orientali. Questo è rappresentativo della politica veneziana dell’epoca, infatti queste opere non avevano indirizzo privato ma erano rappresentative dello spirito civile della repubblica, il quale la portava ad un buon rapporto con l’Islam volto al commercio. Venezia in questo momento è una città estremamente moderna in quanto non vive sulla “terra” ma sull’acqua, creando una potenza finanziaria che non si basa sullo sfruttamento del suolo, cosa assolutamente avanzata per l’epoca. di 86 113 Mentre gli altri stati italiani erano ancora legati al feudalesimo, Venezia si voleva alla creazione di una ricchezza fondamentalmente finanziaria. Un importante intervento veneziano del quale non ci è arrivato quasi nulla è quello della decorazione di Palazzo Ducale, che rappresentava + temi civili che sacri, andata in gran parte persa nell’incendio del 1577 e realizzata da Giovanni e soprattutto da Gentile Bellini. Altro elemento di disturbo è la forte umidità della laguna che deperiva velocemente gli intonaci e quindi gli affreschi. X risolvere il problema Gentile Bellini utilizzò i “teleri”, grandi tele cucite, dipinte smontate su telai, cosa che darà una spinta alla pittura ad olio su tela che iniziò a diffondersi in tt Eu fino a soppiantare definitivamente quella su tavola. In questi anni Gentile diventa pittore ufficiale della Repubblica e tra il 1479-80 viene mandato a Costantinopoli x eseguire un ritratto del sultano Maometto II. Le “scuole” di Venezia I teneri ebbero rapida diffusione in sostituzione agli affreschi x realizzare cicli narrativi e vennero ampiamente utilizzati dalle confraternite che a Venezia si chiamavano “scuole” e che erano organizzazioni non sottoposte al controllo della Chiesa che esercitavano un importante ruolo di coesione sociale raccogliendo confratelli di ogni ceto. I soggetti rappresentati in questo ciclo spesso avevano a che fare con la storia e la devozione della scuola richiamando comunque sempre la quotidianità attraverso vedute di città e ritratti di cittadini illustri. Le scuole verranno poi soppresse in epoca napoleonica. -Processione in Piazza S Marco, 1496, Gentile Bellini: una di queste scuole era la Scuola Grande di S giovanni evangelista, decorata con una serie di teleri. Una di questi al centro della storia aveva la reliquia di un frammento della vera croce, venerata dalla confraternita. Gentile B realizzò un telero con la storia della processione in piazza s marco che avveniva ogni 25 aprile (qui si parla di quella del 1444); in questa occasione le scuole sfilavano x la città con le reliquie che ognuna di esse conservava nella propria sede. Assistendo a questa cerimonia il mercante bresciano Jacopo de’ Salis chiese la guarigione del figlio morente, che gli venne concessa. La vicenda, comunque, è un pretesto x allestire una veduta di Piazza S Marco; vediamo la basilica sulla quale risaltano i mosaici dei portali, accanto un angolo di palazzo ducale e poco avanti la basilica del campanile di s marco. La piazza comunque ha un aspetto diverso da quello ce conosciamo; mancano molti edifici e alcuni presenti sono stati poi abbattuti. La pavimentazione non è in marmo ma in mattoni, non si vede la Torre dell’orologio e le procuratie vecchie e nuove (1500). La scena aderisce fedelmente al vero dandoci immagine di come dovesse apparire Venezia a quel tempo, utilizzando uno stile nitido e ritrattistico che sarà alla base della pittura di Canaletto. In primo piano vediamo i confratelli che sfilano vestiti di bianco mentre portano i ceri il baldacchino sotto il quale si trova l’urna reliquiario. La scena è sostanzialmente civile e laica, e l’episodio del miracolo è marginale. - Miracolo della reliquia della croce al ponte Rialto, 1494, Vittore Carpaccio: al ciclo della scuola grande di s giovanni evangelista lavorò anche Perugino, le cui opere sono xo perdute. Ci rimangono quelle di altri pittori come Vittore Carpaccio. Quest’opera in particolare ci presenta una scena ambientata sul Canal Grande in corrispondenza del ponte Rialto. Vediamo il ponte con la passerella mobile x far passare le imbarcazioni + grandi e i palazzi connotati dalle finestre gotiche e dai comignoli alla veneziana. La scena pullula di personaggi e gondole, una delle quali è condotta da un moro, simbolo di una Venezia multietnica. Il primo palazzo dopo il ponte, inoltre, è il Fondaco dei Tedeschi, la base dei mercanti di lingua tedesca. Sulla sx vediamo poi la loggia lignea in prossimità del mercato di Rialto e sulla facciata di un palazzo vediamo un insegna con un pesce che indica l’albergo dello Storione. Vediamo sul ponte la processione dei confratelli di S giovanni, che prosegue poi nella via vicina dove si innalza lo stendardo della scuola. Poco sopra vediamo la loggia rinascimentale del palazzo di S Silvestro e a sx il patriarca Francesco Querini libera un ossesso dal demonio, questo episodio in particolare sale al 300 ma carpaccio lo trasporta nel presente. L’immagine ci dà bene l’idea dell’attivismo della Venezia di allora. - Le storie di S Orsola, 1495, Vittore Carpaccio: quando venne coinvolto in questo ciclo, C stava già compiendo un altro lavoro x la Scuola di Sant’Orsola, per la quale realizzò 9 teleri nei quali racconta la storia di Orsola, principessa cristiana di Bretagna la quale sposò il principe inglese Ereo ponendo come condizione che egli si convertisse e venisse in pellegrinaggio con lei a Roma. Qui i due dovevano di 87 113 La pala venne destinata alla cappella fondata da Tuzio Costanzo dopo la morte del figlio Matteo, vediamo lo stemma di famiglia sopra il sarcofago che allude sia alla scomparsa del giovane sia all’importanza della famiglia, cosa che si riscontra nell’uso del porfido (materiale associato agli imperatori). Inoltre, dato che la famiglia Costanzo aveva origini siciliane, Tuzio richiede di far ritrarre il santo guerriero Siciliano Nicasio, che G raffigura con un’armatura e il vessillo miliare con la croce bianca in campo rosso. Questa pala è molto innovativa perché viene eliminato qualsiasi riferimento all’architettura. Al suo posto appare un grande sfondo naturalistico che testimonia la presenza e l’interesse a Venezia per una descrizione del paesaggio vicina ai termini usati da Leonardo per la sua descrizione. Il tipo di ombreggiature nel panneggio, nella Madonna sono di chiara natura leonardesca e testimonia l’influenza che dalla Lombardia Leonardo ha trasmesso. Viene data forte volumetria e monumentalità al trono della Vergine. Si riprendono inoltre effetti atmosferici a macchia, ancora di natura leonardesca. L’armatura di San Liberale esalta la riflessione della luce. -La tempesta, 1506-8, Venezia, Gallerie dell’Accademia: in questo dipinto G dà talmente tanto spazio alla natura che per diverso tempo si è pensato che potesse essere classificato come il primo paesaggio della storia. Si rappresenta qua realisticamente una tempesta che si abbatte sulla campagna veneta dove troviamo seduta una donna che allatta il figlio e un giovane che la osserva. Il tema è discusso, alcuni pensano si tratti di Adamo ed Eva: Eva che allatta Caino, Adamo che tiene in mano uno strumento di lavoro, la saetta rappresenterebbe l’ira di Dio: sarebbe questa una metafora della condizione umana. Il soggetto non è religioso ma profano, questo testimonia il fatto che dev’essere stato dipinto per un committente probabilmente parte di una classe colta. L’opera si caratterizza sicuramente per il tema della nascita, per la presenza della donna che allatta il figlio che dà un’idea dello svolgimento della vita umana, certificata anche alle colonne spezzate che sembra riferirsi alla morte fisica (poco chiaro). È stato accettato è che si possa riconoscere la città di Padova con chiesa del Carmine sul fondo e le due rive, le mura ecc. - Il doppio ritratto, 1502-5, Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia: il tema misterioso della tempesta ritorna anche in altri dipinti e in particolare G rinnova la tipologia del ritratto, riuscendo in maniera originale ad esprimere i moti dell’animo die suoi personaggi. Vediamo in particolare qua un giovane elegante che si affaccia da una finestra pensieroso, poggiando la testa sul braccio destro e nella mano sx tien un melangolo, varietà più amara e aspra dell’arancio che x tradizione rappresenta l’amore infelice e malinconico. Alle sue spalle compare un secondo giovane che sembra trattenere un sorriso beffardo, il tt a creare un’immagine decisamente anticonvenzionale. - I tre filosofi, 1506-7: Vi è qua attrazione per lo sviluppo dell’ambiente naturale e i 3 personaggi sono posti su un lato, tre sapienti di tradizioni diverse. Forse sono i re Magi intesi come figure emblematiche della cristianità, rappresentata nella figura a sx, dell’islam e dell’ebraismo a destra. L’uso del colore acceso di Bellini viene ripreso da Giorgione, diventando particolarmente originale per aver saputo trarre una sintesi nuova dal colore di Bellini e l’estensione del paesaggio di Leonardo. Il paesaggio esteso verso l’orizzonte, in cui vediamo delle case, ha poco a che vedere con quello veneto, ma ricorda più il paesaggio tedesco, infatti grande aiuto per la definizione dei paesaggi veniva dall’osservazione delle stampe dell’origine tedesca. - Concerto campestre, Giorgione o Tiziano: Assegnato a Giorgione con alta sicurezza fino alla metà del 900, negli ultimi anni c’è l’idea che possa spettare a Tiziano. Abbiamo qua la forte volontà di delineare un paesaggio idilliaco, una natura equilibrata e accogliente, con dolcezza nelle linee delle colline, luci soffuse che si contrastano l’una con l’altra attraverso le nuvole. L’antico proviene dalle donne nude e dai musici, in un clima di pace e rilassatezza come si pensava dovesse essere il mondo antico. (Equilibrio tra uomo e natura). (Dejeuner sur l’herbe di Manet, riprende le mosse proprio da questo dipinto). -Venere dormiente, 1507-10, Dresda: in quest’opera vediamo Venere dormiente ritratta in una posa ispirata all’antica che si copre pudicamente con la mano sx. Il dipinto pare essere stato commissionato per il matrimonio tra Girolamo Marcello e Morosina Pisani, infatti per le famiglie nobili del tempo la grande ricchezza era la fertilità della famiglia. Anche a Venezia il culto dell’antico si faceva largo. Con questo dipinto G mette a punto un modello di bellezza femminile che farà scuola nell’arte e nel tema erotico dei secoli successivi (Tiziano, Goya, Manet es). di 90 113 Fu con quest’opera che si concluse la breve carriera del pittore che seppe dare una svolta alla pittura italiana e che lasciò come erede spirituale Tiziano. Il colore e la luce danno un clima monumentale alla pittura mettendola in parallelo con le conquiste di Raffaello in questi stessi anni. D’ora in poi il disegno avrà un’importanza minore, con importanza maggiore nell’ambito del colore e delle luci e ombre, a differenza della scuola toscana. TIZIANO (1490-1576) gli esordi Tiziano nacque da una famiglia agiata tra il 1488-90 a Pieve di Cadore, all’epoca parte dei territori di Venezia. Egli era figlio di un notaio e iniziò la carriera di pittore a Venezia legandosi a Giorgione con il quale collaborò x gli affreschi del Fondaco dei Tedeschi. Egli inoltre sembra aver dato il suo contributo nella Venere di Dresda dove avrebbe completato il paesaggio e aggiunto a dx della Venere un cupido che gioca con un uccello, cosa confermata dalle indagini radiografiche. Inoltre alcuni studiosi ritengono che sia sua opera anche il drappo sul quale si distende la dea. -Noli me tangere, 1511, Londra, National Gallery: in questo episodio vediamo il cristo risorto che viene riconosciuto dalla Maddalena, la quale cerca di toccarlo ma Cristo non lo permette. Non vediamo rappresentato il sepolcro, ma il paesaggio e il borgo a dx sono sicuramente giorgioneschi. Cristo poi tien in mano una zappa, questo a indicare la tradizione secondo la quale inizialmente la Maddalena lo avrebbe scambiato x un giardiniere. Nel 1511 x scappare dalla peste Tiziano si sposta a Padova dove realizza le sue prime opere documentate: - Storie di S Antonio da Padova: egli innanzitutto realizza degli affreschi x la Scuola del Santo commissionati dalla confraternita ed illustra 3 dei più famosi miracoli di questo: - Antonio che fa parlare il neonato per scagionare la madre dall’accusa di adulterio - Antonio che riattacca un piede a un giovane - Antonio che risana una donna pugnalata dal marito geloso: in primo piano pone il tragico evento; all’ombra di una rupe l’uomo impugna il pugnale con il quale si sta per accanire sulla donna. Le due figure risaltano sul paesaggio grazie ai colori vivi delle vesti, a bande bianche e rosse per lui e bianca e arancio per lei. Lui lo si ritrova poi sullo sfondo dove si pente davanti al santo. Non vediamo però la scena del miracolo. - Amor sacro e profano, 1514-15, Roma, Galleria Borghese: vediamo due donne che si appoggiano a una vasca ispirata all’antico e decorata con dei rilievi. Una è completamente vestita l’altra quasi completamente nuda e al centro vediamo Cupido. Nei secoli all’opera è stata data un’interpretazione moraleggiante secondo la quale le figura nuda rappresenterebbe l’amore sacro e quella vestita l’amore profano. Ultimamente invece si è più concordi nel dichiarare che sia stata realizzata x le nozze tra il veneziano Nicolò Aurelio e la padovana Laura Bagarotto, riconosciamo infatti gli stemmi delle rispettive famiglie sulla vasca e sul bacile soprastante. Secondo questa interpretazione vedremmo Venere che accompagna la sposa (forse vero ritratto di Laura Bagarotto), la quale ha in testa una corona di mirto e in mano un mazzo di rose. Alle spalle vediamo 2 conigli, auspicio di fertilità. Notiamo da quest’opera come Tiziano stia crescendo, distaccandosi dal maestro x avere sempre + interesse per l’antico e rendendo le sue figure sempre più monumentali. - L’Assunta dei Frari, 1516-18, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari: l’effettiva consacrazione di Tiziano come maggior pittore di Venezia avviene con la commissione della gigantesca pala per l’altare maggiore della chiesa dei Frari. Con quest’opera si apre ufficialmente un nuovo capitolo dell’arte veneziana, lasciandosi alle spalle la tradizione di Bellini. Vediamo qua la tematica dell’assunzione con i colori veneziani che si adattano all’enfatica gestualità, al dinamismo e alla monumentalità delle figure. La scena è divisa in 3 registri: in basso gli apostoli sorpresi, al centro la Madonna circondata da un emiciclo di angeli e sopra Dio all’interno di un empireo dorato. Quest’opera nonostante tutto nella Venezia ancora legata alla tradizione belliniana non di 91 113 ebbe immediato successo, ma passò poco tempo e tutti si resero conto del suo immenso valore innovativo. Qui T prende spunto dalla Madonna Sistina di Raffaello. -I baccanali, 1520-3: come già aveva fatto Giovanni Bellini anche Tiziano partecipò alla decorazione degli appartamenti di Alfonso d’Este. Egli in particolare riprodusse 3 dei dipinti descritti nelle Immagini di Filostrato, un’opera del II sec d.C nella quale si descrivono dipinti veri e fittizi. Quest’opera rappresenta l’evoluzione dello stile eroico per il paesaggio e le figure che lo popolano. I dettagli sono allusivi di un classicismo imitativo dei modelli dell’antico, come vediamo dai bambini e dalla donna ubriaca nuda. l’episodio si svolge sull’isola greca di Andros. La donna nuda che dorme evoca la Venere di Dresda ma anche un’antica e famosa statua greca, l’Ariadne. L’uomo reclinato al centro invece è tratto d aut dettaglio del cartone preparatorio della battaglia di Cascina di Michelangelo e a dividere i due vediamo un putto, vicino vi è la partitura musicale del canone che diviene la colonna sonora del baccanale. - Bacco e Arianna: la scena è ambientata su una riva boscosa vicino al mare, in lontananza vediamo la nave di Teseo che ha abbandonato Arianna sull’isola. A sx Arianna si volta in una posa di matrice raffaellesca attirata dal corteo di Bacco che si è innamorato di lei a prima vista. Uno dei compagni del dio lotta con un serpente, chiaro richiamo al Lacoonte da poco scoperto. -Offerta a Venere: vediamo qua un prato in piena estate, la scena è ricoperta di frutti e sull’erba si agitano animatamente un gruppo di Amorini (Cupidi x i latini). Essi sono tutti fratelli e si sono riuniti sotto la statua della madre, Venere. Sono inoltre armati di arco e frecce con le quali fanno innamorare dei e mortali e giocano al ritmo delle Grazie che suonano dei cembali. Tiziano riesce qua a dipingere la forza disordinata e indomabile dell’amore che domina il mondo. - Roma Nella Roma di Paolo III Farnese nel 1545 arrivò anche Tiziano. - Danae, 1544-6, Capodimonte: il cardinale Alessandro Farnese fu colui che invitò Tiziano a Roma, il quale già dal 1544 stava lavorando per lui a una Danae, un soggetto mitico ed erotico che Tiziano riprenderà diverse altre volte (es. Danae del Prado). Il soggetto è la figlia del re di Argo, posseduta da Giove in forma di una pioggia dorata. La nudità femminile è un tema tanto caro alla pittura veneziana e che qua assume forme corpulente sicuramente tratte dall’arte di Michelangelo. La cosa che qua colpisce xo è certamente il colore liquido, vibrante e luminosissimo tipico della pittura veneziana e che colpì gli artisti centroitaliani, incerti invece sulla poca attenzione al disegno che questo artista (e gli altri veneziani) davano. - Ritratto di Paolo III Farnese con i nipoti Alessandro e Ottavio, 1546: in quest’opera il vecchio papa è ingobbito allo scrittoio e si volta verso il nipote Ottavio che accenna un inchino, alle spalle invece vediamo Alessandro, cardinale, che ci guarda con autorevole devozione. Il verismo della scena è estremo ed è dato dai colori accesi giocati tt sulle differenti tonalità di rosso, tanto che l’intenzione del dipinto appare molto cupa. Questo quadro finisce x essere una raffigurazione del tema del nepotismo, infatti gli sguardi e i gesti ci parlano degli intrighi e delle ambizioni di questa famiglia, il tt rappresentato con realismo psicologico e cinismo. T abbandonò Roma prima di completare l’opera ma l’effige del Papa era già sufficientemente realistica. La pittura di T, però, non ebbe effetti sulla Maniera romana. la maturità - Pala Pesaro, 1519-26, Venezia, Chiesa dei Frari: il vescovo Jacopo Pesaro richiese a T una grande pala x l’altare di famiglia nella Chiesa dei Frari. La Pala Pesaro si può dire che fu un’opera estremamente innovativa. Essa venne costruita con un’immagine in diagonale, la Madonna col Bambino è seduta in alto di 3/4 su un podio monumentale che domina sulle figure sottostanti. Di fianco troviamo i Ss Francesco e Antonio da Padova e sulle scale S Pietro emerge dalla sua lettura x guardare verso il committente che è effigiato di profilo e pregante, inoltre è accompagnato da un soldato col vessillo e da un personaggio con di 92 113 Questa pala non ebbe successo ma L continuò a lavorare e nel 1552 decise di trasferirsi a Loreto, luogo lontano dalle capitali artistiche europee. Nonostante l’infelice destino, comunque, L ebbe un ruolo fondamentale nella pittura veneziana del '500 alla quale apportò grande modernità. Sebastiano del Piombo (1485-1547) prima di Roma Nella Venezia del primo ‘500 si forma anche un pittore che avrà fortuna nella Roma dei papi tanto da diventare nel 1531 “piombatore” delle bolle pontificie, ovvero colui che apponeva il sigilli di piombo ai decreti e alle lettere del papa; da qui Sebastiano Luciani venne chiamato “del Piombo”. Egli nacque a Venezia nel 1485 e la sua prima professione fu quella di suonatore di liuto, decise poi di dedicarsi alla pittura prima con Giovanni Bellini e poi con Giorgione. - Pala di S Giovanni Crisostomo, 1510-1511, Venezia, San Giovanni Crisostomo: le poche pitture che conosciamo del periodo veneziano di Sebastiano sono sicuramente debitrici alla pittura giorgionesca. In quest’opera vediamo le figure realizzate tramite lo sfumato e tramite campire cromatiche, i personaggi appaiono grandiosi cosa che fa riflettere sull’attenzione che S dava alla solennità e all’equilibrio compositivi, cosa che si vede anche nella precisione della fruga prospettica del pavimento. L’aspetto più importante e innovativo è la scenografia che lascia poco spazio al paesaggio ed è dominata da un’imponente architettura rinascimentale composta da colonne, alle quali si appoggia San Giovanni Crisostomo di aglio e intento a scrivere, è affiancato da 6 santi. Si puo vedere quest’opera come una nuova modalità di intendere la pala d’altare. La svolta per S venne quando nel 1511, Agostino Chigi, ricco mercante e banchiere senese stabilitosi a Roma, conobbe S in viaggio a Venezia. Decise dunque di invitarlo a Roma, facendo decollare la sua carriera che lo fece divenire uno dei protagonisti della Maniera moderna. Dosso Dossi (1486-1541/2) Giovanni Luteri, detto Dosso Dossi nacque tra Mantova e Ferrara e si formò tra Venezia e Mantova prima di passare al servizio di Alfonso d’Este a Ferrara. Qua anche lui come Tiziano Giovanni Bellini lavorò alla decorazione della “via coperta” mettendo a punto uno stile fantasioso che ben esprime gli ideali figurativi degli estensi realizzando alcune scene tratte dal contemporaneo Orlando Furioso di Ariosto. In una tavola vediamo Melissa, la maga buona che profetizza la discendenza della casata estense dall’unione tra Ruggero e Bradamante. La libertà cromatica di ispirazione tizianesca viene declinata per dare idea di ricchezza alle vesti e trasformando il paesaggio giorgionesco in una visione fantastica ed onirica, secondo la cifra tipica del pittore. Melissa nell’epopea è la maga che libera i cavalieri cristiani e saraceni dall’incantesimo della maga Alcina che li aveva resi alberi, pietre ed animali e restituisce loro le armi. Questo è indicato dalle armi in primo piano e dalle bambole vudù appese a sx, nonché dal cane. In secondo piano i soldati liberati sembrano comporre una specie di concerto campestre. Tintoretto (1518-1594) A Venezia inizia a emergere alla metà del secolo una nuova generazione di pittori, tra questi vi erano Jacopo Tintoretto e Paolo Caliari detto il Veronese. Essi segnarono profondamente la pittura veneziana della seconda metà del ‘500. -Il miracolo di S Marco (o miracolo dello schiavo), 1548: questa opera lo impose all’attenzione della scena veneziana. La tela gli venne commissionata dalla Scuola Grande di S Marco e raffigura un miracolo attuato proprio da questo santo. Vediamo qua una folla gesticolate che si accalca intorno a un corpo nudo a terra entro una scenografica cornice architettonica. Molti personaggi hanno un turbante, infatti ci troviamo in Oriente, ad Alessandria. Qui uno schiavo contro il volere del padrone ha osato venerare le reliquie di S Marco e dunque deve essere punito. Egli è steso nudo in diagonale e lo circondano frammenti di legno degli oggetti che sarebbero serviti a straziarlo, sono stati xo frantumati dallo steso santo che vediamo scagliarsi dall’alto in uno scorcio ardito. Il dipinto è costruito x masse di colore che creano una pittura rapida e fremente. T usa animare la scena con bagliori di luce e lo vediamo particolarmente nel nimbo del santo. È chiaro che T si sia aggiornato sulle novità di Michelangelo e del Giudizio infatti le sue figure sono diventate + muscolose e serpentinate: così la Maniera arriva a Venezia. - Il ritrovamento del corpo di S Marco, 1562-66, Pinacoteca di Brera: Il dipinto precedente era solo uno di quelli realizzati x il ciclo della Sala Capitolare della Scuola di S Marco. Un altro è questo. L’atmosfera di 95 113 della scena è spettrale, ci troviamo infatti in un cimitero nelle antiche catacombe di Alessandria di notte dove sta avvenendo un furto. Due mercanti veneziani si sono recati in Egitto x trovare il corpo di S Marco e riportarlo a Venezia. I due hanno appena trovato il cadavere quando s Marco stesso a sx appare a fermare il misfatto. Il corpo si trova poi in scorcio ai piedi del santo e viene adorato da un anziano abbigliato con la ricca veste dei patrizi veneziani, si tratta di Tommaso Rangone, medico il quale aveva commissionato la tela. In primo piano un indemoniato viene guarito a testimoniare la veridicità della reliquia. In questo dipinto le forme michelangiolesche sono palmate con il colore e la luce. - Scuola di S Rocco, 1564: in quest’anno T viene un concorso x decorare la sede della confraternita di S Rocco. Il concorso prevedeva che alcuni pittori presentassero dei disegni x la decorazione di un soffitto ma T presentò direttamente l’opera finita che fu accettata. Egli dipinse un San Rocco in gloria che venne effigiato con un difficile scorcio di fronte a Dio e alla corte angelica e andò a decorare il soffitto della Sala dell’Albergo. Per la principale parete della sala invece dipinse una colossale Crocifisisone: la scena è vista da sottinsù ed è livida nei colori. Il Cristo è issato al centro, muscoloso e illumino alle spalle da un bagliore. Ai suoi piedi vediamo i dolenti e intorno figure, i ladroni stanno x essere esposti ai suoi lati, uno viene legato e l’altro viene tirato su già sulla croce. Troviamo qua sapienza spaziale che va di pari passo con foga espressiva, senza di disegno e predilezione x i bagliori luminosi. Paolo Veronese (1528-1588) Paolo Veronese invece a differenza di Tintoretto ebbe alcuni problemi con le istanze della Controriforma. Egli si formò a Verona dove ebbe la possibilità di assorbire i modi della Maniera mantovana ed emiliana elaborando uno stile solare e sfarzoso. Paolo Veronese nasce a Verona come figlio d’arte, in una bottega di scalpellini. Lui xo si distingue subito dimostrando le sue capacità pittoriche. -Palazzo Ducale, Venezia: Nel 1553 Veronese ebbe il suo esordio qua dove gli venne commissionata la decorazione x il soffitto della Sala del Consiglio. In particolare è una delle tele x questo ciclo a illustrare bene le caratteristiche della sua pittura, parliamo di Giunone getta doni su Venezia. In quest’opera vediamo le figure femminili della divinità e della personificazione della Repubblica che assumono forme voluminose e scorci arditi, segno della sua conoscenza della Maniera. Maniera che V xo riesce a rasserenare con una pittura chiara leggera e gioiosa. Questo stile facile e sontuoso gli assicurò il successo. -Trionfo di Venezia, 1579-82: nel 1577 un incendio distrusse la decorazione della Sala del Maggior Consiglio, la Repubblica chiamò dunque Veronese x rinnovarlo. Egli dipinse in particolare questa scena nella quale si celebra Venezia e la potenza della Repubblica. La visione è da sottinsù, Venezia è una regina incoronata e siede in un Olimpo in gloria. Dalla balaustra sottostante la nobiltà veneziana si sporge a guardare la sua regia, mentre il popolo in basso è sorvegliato da cavalieri. Ad aumentare la magnificenza è la resa illusionistica dell’architettura entro la quale la scena è circoscritta, con il loggiato e le colonne tortili. -Tentazioni di Sant’Antonio, Paolo Veronese, 1551: le tentazioni sono i 2 mostri, femminile e maschile, che si avventano sul santo. Il dipinto rappresenta bene il fascino che il pittore subisce dalla Maniera del centro Italia. La muscolatura delle figure subisce l’influenza di Michelangelo. Verona infatti è vicina a Mantova dove troviamo il lavoro di Giulio Romano (Palazzo Te) che è stato un grande manifesto dei risultati figurativi della scuola di Raffaello. Dunque il contatto tra Verona e Mantova implica una conoscenza da pt di Veronese delle novità della scuola raffaellesca. Il dipinto oggi si trova a Caen, in Normandia ed è stato realizzato in origine x la fam Gonzaga. - Sala principale libreria marciana: edificio costruito dalla Repubblica di Venezia x conservare in particolare i manoscritti greci. Venezia costruisce una sorta di sede x la conservazione di documenti che la rendono l’erede morale di Costantinopoli. Qui ci troviamo di fronte a un tipo di decorazione che ci fa capire come anche a Venezia si arrivi alla volontà di decorare i soffitti e le volte in modo da dare all’edificio l’aspetto di un’antica fabbrica classica. Questa novità è una novità di maniera in quanto è proprio la maniera a far emergere l’esigenza di collegare la modernità con i canoni antichi. di 96 113 Il cantiere è diretto da Sansovino e Tiziano, quest’ultimo dimostra apprezzamento verso il giovane Veronese e lo indica come suo successore x le principali commissioni. vediamo in questa sala ad esempio: - Allegoria della musica: la difficoltà sta nel rappresentare le figure senza che queste avessero scorci eccessivi che potessero limitare la visione o renderla difficoltosa. In questo dipinto si vede che non ci sono alternate luce-ombra troppo forti e la visione anche se presa dal basso mantiene una visibilità molto chiara. La novità di Veronese sta nell’eliminare le ombre bistrate e attenuare i toni di colore nel zone di ombra. In questo modo la pittura mantiene in carattere brillante e il dipinto rimane leggibile in maniera molto chiara. - Villa Maser, 1561: tra i clienti di P vi furono anche i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro. Essi avevano commissionato una villa dal carattere classico a Maser all’architetto Andrea Palladio, fecero poi decorare gli interni da PV. La villa era composta da un corpo centrale con una facciata che ricordava un tempio antico e du ali laterali adibite a funzioni lavorative chiamate in veneziano “barchesse”, esse erano precedute da un elegante portico. Nel 1561 PV affrescò come abbiamo detto gli interni del corpo centrale con una pittura illusionistica composta da architetture dipinte che si amalgama perfettamente con l’ordinata architettura di Palladio. AL fasto eccessivo V preferisce una pittura fresca, con la quale si diverte a rappresentare diversi soggetti come un gentiluomo che rientra dalla caccia con i suoi cani o la signora della casa, moglie di Marcantonio che si affaccia dal balcone con la nutrice, un cane e un pappagallo. Veronese realizza poi una serie di “Cene” poste nei refettori di vari conventi. Esse sono realizzate con grande attenzione per la decorazione architettonica all’antica e la scena è imposta con una scena teatrale. - Nozze di Cana, 1563: In origine realizzata x il refettorio di S Giorgio a Venezia, oggi è al Louvre. Vi è qui grande attenzione per l’architettura antica impostata in maniera teatrale. Le nozze di Cana sono un famoso miracolo narrato nel Vangelo secondo il quale Cristo avrebbe tramutato l'acqua in vino durante un matrimonio. É una storia sacra, l’occasione di una grande festa. Colori e atteggiamenti fanno il parallelo di ciò che poteva verificarsi nell’ambito dell’aristocrazia cristiana del tempo. Ciò segna differenza tra Veronese (che trasforma scene della storia sacra in senso profano esaltando i toni ludici, conviviali) e Tintoretto che invece sarà scelto da congregazioni religiosi di minore impatto sociale. Veronese si trovò nei guai per questo suo modo di interpretare storie sacre in termini liberi e per la Cena a casa di Levi fu processato dall’inquisizione. Il quadro aveva come scena l’Ultima Cena di Cristo ma era interpretata in modo gioioso. -Cena in casa di Levi, 1573: fu poi assolto cambiando il titolo al dipinto (ultima cena). Vediamo qua un’architettura dipinta con grandissima attenzione nel valutare gli spazi e le proporzioni. V ha una padronanza non comune nella definizione della scenografia architettonica, un modo veneziano di portare all’interno degli edifici questo tipo di decorazione in termini di pittura, non potendo farlo in termini di architettura classica effettiva (per muratura e solai piatti molto fragili, le volte sarebbero pericolose per l’equilibrio degli edifici). V qua si trova in pieno clima manierista declinato a Venezia con effetto luministico e chiaroscurale. Jacopo Bassano (1510-92) Un’immagine differente della natura ce la dà Jacopo del Ponte detto Bassano, poiché nato a Bassano del Grappa. Egli dopo la sua morte avrebbe lasciato ad alcuni figli una bottega prospera nella quale la produzione tipica erano scene sacre popolate di animali e ambientate nella natura dotate di un particolare timbro rurale. Egli guarda particolarmente al colore di Tiziano e alla sua natura, ma anche ad altro, come alla Maniera centroitaliana. - Riposo durante la fuga in Egitto, 1547, Milano, Pinacoteca Ambrosiana: la scena è ambientata nella campagna dell’entroterra veneto. La Madonna con il Bambino siede al centro all’ombra di un albero, ai suoi piedi un brano di natura morta composto dalle fasce per il bambino. Al suo fianco Giuseppe, stanco e anziano, osserva il bambino e dietro di lui vi è un cane. A sx occupano 1/3 della tela 3 contadini occupati con l’asino che aveva trasportato nel loro viaggio Giuseppe e Maria. La pittura di Bassano piaceva particolarmente a quella parte della Controriforma che guardava agli umili per il suo carattere domestico e la sua semplicità. Andrea Palladio (1508-1580) di 97 113