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Biologia animale e vegetale, Schemi e mappe concettuali di Biologia

bio animale e vegetale

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2015/2016

Caricato il 17/02/2016

luigi_golia
luigi_golia 🇮🇹

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Scarica Biologia animale e vegetale e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Biologia solo su Docsity! 1 BIOLOGIA E BOTANICA FARMACEUTICA CAPITOLO 1 ATOMI – MOLECOLE – LEGAMI Gli organismi viventi sono formati da cellule assoggettate alle leggi della chimica e della fisica, e la Biologia è lo studio di quei sistemi che sono appunto gli esseri viventi. Le strutture molecolari sono prevalentemente formate da 6 elementi: H, C, N, O, P, S ai quali si aggiungono Na, Mg, Cl, K, Fe; presenti in quantità minore ma ognuno necessario per lo svolgimento di funzioni vitali. Ogni molecola è formata da atomi divisi a loro volta da particelle sub-atomiche: il Protone (+), il Neutrone (0) e l’Elettrone (-). In ogni atomo vi è un Nucleo in cui vi sono i Protoni, il cui numero è detto Numero Atomico (Z) che sommato al numero dei Neutroni determina il Numero di Massa. Poiché la carica di ogni atomo è 0 Z deve essere bilanciato da un numero –Z di elettroni: C = 6 Protoni 6 Elettroni 12 Numero di Massa (6 Neutroni). Una sostanza costituita da atomi con uguale Z è detto elemento, tuttavia gli atomi di un elemento possono non avere ugual numero di massa ad esempio H ha 1 Protone e 0 Neutroni ma esistono H con 1 Protone e 1 Neutrone o 1 Protone e 2 Neutroni (Deuterio e Trizio) questi sono detti Isotopi. Le molecole che contengono Isotopi diversi dello stesso elemento hanno proprietà fisiche simili ma non identiche es.: H2O punto di gelo 0°C punto di ebollizione 100°C D2O punto di gelo 3,8°C punto di ebollizione 101,4°C Gli Isotopi sono radioattivi in particolare quelli con più Neutroni e tendono a decadere emettendo particelle (Alfa, Beta, Gamma) trasformandosi in altri elementi. ORBITALI Gli Orbitali sono regioni dello spazio attorno al nucleo nei quali è massima la possibilità di trovare un elettrone del quale non è però definibile posizione ed energia (Principio di Indeterminazione di Heisenberg). Le caratteristiche di ogni elettrone sono associate ai 4 numeri quantici: N = Volume occupato dalla nuvola elettronica; L = Forma della nuvola elettronica, M = Orientamento nello spazio, S = Spin senso di rotazione rispetto al proprio asse. N ha valori tra 1 e 7, L tra 0 e N-1, M tra –L e +L compreso lo 0, S tra -1/2 e + ½. LEGAMI CHIMICI Quando lo strato elettronico più esterno comprende 1 orbitale S e 3 P tutti occupati da elettroni l’atomo è molto stabile (Ottetto). Gli atomi che hanno l’ottetto di per sé non sono reattivi (gas nobili) poiché i legami si instaurano per raggiungere tale configurazione; essa può essere ottenuta condividendo, acquistando o cedendo elettroni; nel 1° caso prendono il nome di Legami Covalenti, negli altri 2 Legami Ionici. L’Elettronegatività è il potere di attrazione verso gli elettroni di legame e conoscendo tale valore è possibile prevedere tra due atomi di che natura sarà il legame: se la differenza di elettronegatività è 0 il legame è Covalente non polare, se è 1 o < 1 il legame è Covalente polare, tra 1 e 2 Variabile, > 2 Ionico. LEGAME COVALENTE Legame che si forma nelle molecole tra atomi che condividono elettroni es.: H + H = H-H (legame covalente semplice). 2 O + O = O=O (legame covalente doppio in cui 1 Ossigeno mette in condivisione 2 elettroni assieme agli altri 2 dell’altro Ossigeno; 1s2 2s2 2p4). Il Carbonio con i suoi 4 elettroni periferici (2s2 2p2) potrebbe stabilizzarsi con 2 legami covalenti con altrettanti atomi di Carbonio, tuttavia essendo gli orbitali ibridati sp3 può condividere 4 elettroni con altrettanti atomi di C disposti ai vertici di un tetraedro. Quando il legame covalente unisce atomi dello stesso tipo gli elettroni sono equamente suddivisi ma in caso di legami tra atomi con diversa elettronegatività gli elettroni sono più attratti verso l’atomo con en > facendo si che tale atomo assuma una carica leggermente negativa indicata con Delta- viceversa l’atomo con en < sarà parzialmente positivo. FORZA DI VAN DER WAALS Le molecole apolari sono legate da forze attrattive e repulsive molto più deboli di un legame covalente chiamate forze di Van Der Waals attribuibili a movimenti casuali degli elettroni provocando una reazione attrattiva momentanea e molto debole tra le molecole, tuttavia nel momento in cui esse vanno a sovrapporsi si genera una forza di repulsione. L’effetto netto delle forze attrattive e repulsive è un compattamento delle molecole (forze attrattive) che non sia in contrasto con lo spazio minimo di ogni atomo (forze repulsive). LEGAME IDROGENO Composti contenenti atomi di Idrogeno legati ad atomi di Fluoro, Ossigeno e Azoto presentano punti di ebollizione molto alti dovuto al fatto che questi ultimi si legano all’atomo di Idrogeno di un’altra molecola con un legame detto Legame a Idrogeno es.: H2O forma 4 Legami Idrogeno con altrettante molecole di H2O. LEGAME IONICO Si realizza per cessione di elettroni da un atomo all’altro con conseguente formazione di Ioni di segno opposto così legando Na (3s1) con Cl (3p5) l’Elettrone del Na è ceduto al Cl di modo che si vengano a stabilizzare le configurazioni di entrambi. Na perdendo 1 elettrone avrà una carica + e sarà chiamato Catione, il Cl carica – Anione; verrà quindi a formarsi un’attrazione di segno opposto cha darà origine al NaCl. I Legami Ionici allo stato solido sono molto forti perché gli Ioni sono molto vicini ma questa forza si annulla in ambiente acquoso poiché i dipoli dell’acqua si interpongono tra gli Ioni allentando i legami disponendosi con l’estremità di carica opposta formando una sfera di solvatazione. 5 LE REAZIONI DEGLI AMMINOACIDI Gli amminoacidi danno derivati dei 2 gruppi funzionali tra le quali le ammidi che si formano con la reazione di 2 amminoacidi. Quando il gruppo amminico reagisce con il gruppo carbossilico di un altro amminoacido per idrolisi (liberazione di una molecola di acqua) si forma un legame peptidico CONH formando un dipeptide. I peptici in chimica sono: ammidi che per idrolisi si scindono in amminoacidi. Un peptide che contiene fino a 10 amminoacidi è un oligopeptide, più di 10 formano un polipeptide, più di 100 sono proteine. Le proteine hanno come estremità sinistra il gruppo amminico del primo amminoacido e come altra estremità il gruppo carbossilidrico dell’ultimo amminoacido. I CARBOIDRATI Sono chiamati così per la loro formula: Cn(H2O)n che vuol dire Idrato di Carbonio. Sono di origine vegetale e rappresentano i composti energetici più immediatamente utilizzabili. Solo le piante verdi sintetizzano i carboidrati con l’anidride carbonica e l’acqua (fotosintesi). Alcuni di essi fungono da riserve energetiche per le cellule (amido nelle piante, glicogeno negli animali). Altri hanno funzioni strutturali (cellulosa). Altri ancora sono legati ai lipidi (glicolipidi) o alle proteine (glicoproteine). I monosaccaridi si trovano in natura e sono formati solo da una molecola di Poliidrossialdeide o Poliidrossichetone. Fino a 10 unità sono detti Oligosaccaridi, più unità insieme formano i Polisaccaridi. MONOSACCARIDI Sono presenti in natura come molecole contenenti da 3 a 7 atomi di C che formano una catena lineare in cui tutti gli atomi di C sono legati ad un H e ad un OH eccetto 1 nei Chetosi che hanno un gruppo = CO (gruppo chetonico). Negli Aldosi invece vi è un gruppo aldeidico (CHO) a inizio catena. 6 Gli zuccheri a tre atomi di C sono detti Triosi a 4 atomi di C Tetrosi a 5 Pentosi a 6 Esosi a 7 Eptosi. Nelle formule di Haworth la molecola di zucchero nella configurazione alfa presenta il gruppo OH in basso nella forma beta in alto. Il monosaccaride è dotato di un potere rotatorio specifico, l’alfa in acqua registra un valore di 112° il beta di 19° che lasciati a riposo ruotano fino a stabilizzarsi a 52°, pertanto subiscono una mutarotazione. Gli zuccheri che differiscono per la configurazione del C in posizione 1 sono detti anomeri, se differiscono per la posizione 2 sono epimeri. I monosaccaridi sono solidi cristallini solubili in acqua, insolubili in solventi organici, hanno un sapore dolce, fondono a temperature elevate e bruciano con una fiamma azzurrina. I DISACCARIDI Per reazione dell’atomo di C di un monosaccaride con il gruppo ossidrilico di un altro si forma un disaccaride tramite un legame glicosidico, alcuni di essi sono: il Maltosio (glucosio +glucosio), il Cellobiosio (unità della cellulosa), il Lattosio (presente nel latte) ed il Saccarosio (comune zucchero). Tramite alcuni enzimi (Lattasi, Maltasi, Cellobiasi) il legame tra i 2 zuccheri si idrolizza e si può utilizzare i monomeri ottenuti a fini metabolici. TRISACCARIDI I più diffusi sono il Raffinosio (glucosio+galattosio+fruttosio) e il Melezitosio (glucosio+glucosio+fruttosio). OLIGOSACCARIDI E POLISACCARIDI Gli Oligosaccaridi sono polimeri di Monosaccaridi con legami glucosidici, in alcuni casi sono legati a Lipidi e Proteine. I Polisaccaridi sono catene di Monosaccaridi ed hanno funzione nutritiva e strutturale. POLISACCARIDI DI DEPOSITO Il Glicogeno è il principale polisaccaride di deposito delle cellule animali. Il Pancreas ha un ruolo nella digestione, e il Fegato nel metabolismo degli zuccheri, nel fegato avviene la trasformazione in glucosio delle sostanze nutritive qui accumulato sotto forma di Glicogeno per poi essere ritrasformato in glucosio e rimesso in circolo in caso di necessità. Il glicogeno è facilmente idrolizzato dalle Amilasi ed è formato da unità di glucosio legate tra loro. L’Amido è il polisaccaride di riserva delle cellule vegetali costituito anch’esso da solo glucosio con una struttura diversa dal glicogeno infatti è una miscela di 2 polimeri: l’Amilosio e l’Amilopectina. Le Amilasi consentono idrolizzando l’Amido la sua utilizzazione trasformandolo in catene più corte dette: Destrine. I Destrani sono polisaccaridi di riserva di batteri e lieviti e l’Inulina invece di alcune piante quali Dalia e Carciofo. Altri polisaccaridi di riserva sono gli Arabinani, Mannani, Xilani. POLISACCARIDI STRUTTURALI Essi sono la Cellulosa e la Chitina, la Cellulosa è il principale costituente delle cellule vegetali e del legno formata da catene di Cellobiosio. Le cellule vegetali sono poi completate da Emicellulose e Pectine. La Chitina è un polimero lineare di un amminozucchero che costituisce la parete cellulare dei funghi e l’esoscheletro dei crostacei, degli insetti e di alcuni artropodi. 7 I LIPIDI Sono un gruppo di sostanze formate da molecole con numerosi legami covalenti apolari, appartengono a questa classe: i Carotenoidi, le Cere, i Fosfolipidi, i Lipidi Neutri e gli Steroidi, tutte sostanze con funzione strutturale (Membrane della cellulosa) e energetica poiché hanno un valore calorico superiore ai Carboidrati. Possono essere estratti da vegetali o animali, sono solubili in Benzene e Cloroformio ed insolubili in acqua. Sono divisi in: Semplici (Terpeni e Steroidi) e Complessi (Grassi, Cere, Fosfogliceridi e Sfingolipidi). LIPIDI SEMPLICI I Terpeni sono ampiamente diffusi sotto forma di sostanze differenti accomunate dalla stessa struttura di base il C5H8 Isoprene di cui essi sono multipli con unità C5 del Dimetilallipirofosfato (DMAPP) e del Isopentenilpirofosfato (IPP). Essi sono definiti: • Emiterpeni C5H8 • Monoterpeni o Terpeni C10H16 • Sesquiterpeni C15H24 • Diterpeni C20H32 • Sesterpeni C25H40 • Triterpeni C30H48 • Tetraterpeni C40H64 • Politerpeni più grandi dei Tetraterpeni con formula (C5H8)n. Non tutte le sostanze contengono un numero intero di C5, gli Steroli, per esempio, contengono 27,28 o 29 atomi di C, gli Iononi ne contengono 13 e così via. Questi sono definibili Terpenoidi poiché hanno una relazione con i Terpeni ma struttura leggermente differente. Tra essi ricordiamo il Colesterolo (apporta contributo Lipidico alle membrane cellulari), i Carotenoidi (protezione fotoossidativa e fotosintetica), il Tassolo (antitumorale). I Monoterpeni si dividono in 4 classi: • Catena lineare • Ciclopentanici • Cicloesanici • Particolari. Da 2 molecole di Generanilpirofosfato (GPP) hanno origine i Diterpeni che sono caratterizzati da elevati punti di ebollizione poiché hanno caratteristiche che ne rendono complessa la separazione. Dall’unione di 2 unità di Farnesilpirofosfato (FPP) si ottiene lo Squalene precursore di Steroli e Triterpeni. La condensazione di 2 GGPP forma il Fitoene precursore dei Caroteni. I CAROTENOIDI Sono un gruppo di pigmenti il cui colore varia dal giallo all’arancio al rosso al violaceo. Diffusi in natura sono divisi in 4 gruppi: • Caroteni C40H56 • Xantofille (struttura dei Caroteni con alcuni atomi di O) • Acidi Carotenoidi • Esteri delle Xantofille. 10 CAPITOLO III CITOLOGIA La Citologia è la parte della Biologia che studia la Cellula, la più piccola parte di un organismo dotata di tutte le proprietà associate alla materia vivente ed in grado di condurre un’esistenza autonoma quanto un elemento strutturale degli organismi. Le cellule di animali, vegetali e batteri hanno la stessa organizzazione salvo alcune differenze. La forma delle cellule è estremamente variabile. Negli organismi Unicellulari sono sferiche o ovoidali; negli organismi Pluricellulari sono tubulose, prismatiche o poliedriche e stellate. In base alla struttura le cellule sono distinte in Procariote ed Eucariote. CELLULE PROCARIOTE La cellula Procariota è la cellula del regno delle Monere: la prima struttura apparsa nella vita terrestre. La cellula Procariota è costituita da: • Una Parete Rigida che separa e protegge dall’ambiente esterno • Una Membrana Cellulare o Plasmalemma che controlla lo scambio tra l’interno e l’esterno della cellula • Un Citoplasma formato da Proteine interno alla Cellula contenente Ribosomi. Essa non ha un Nucleo e il DNA è presente sotto forma di un’unica molecola grande e circolare occupante una zona del Citoplasma detto Nucleoide. Queste cellule sono anche caratteristiche di alcuni primitivi batteri studiati in Biochimica (Escherichia Coli che si trova nell’intestino umano). CELLULE EUCARIOTE Costituita da Membrana Cellulare che separa il Citoplasma dall’esterno, nel Citoplasma oltre ai Ribosomi vi sono Organelli Citoplasmatici dagli svariati ruoli, tra questi vi è il Nucleo sede delle informazioni della cellula raccolte nei Cromosomi. STRUTTURA E PROPRIETA’ DELLE MEMBRANE Le Membrane che delimitano il Nucleo ed i diversi Organelli Citoplasmatici presentano un modello a mosaico fluido costituito da un doppio strato di Fosfolipidi con i gruppi Idrofobici all’interno racchiusi tra i gruppi Idrofili. Tra le code Idrofobiche vi sono alcune molecole di Colesterolo. Il restante è composto da Proteine che possono disporsi sulla superficie della membrana oppure essere immerse parzialmente o completamente con le estremità sporgenti. Sulle Proteine possono legarsi alcune molecole di zucchero (Glicoproteine). Le Proteine che sono immerse nella Membrana anche solo parzialmente sono dette Intrinseche o Integrali, quelle che sono solo a contatto sono dette Estrinseche o Periferiche. Le Membrane Biologiche sono semipermeabili e facilitano il passaggio delle sostanze utili al metabolismo. Le sostanze attraversano la Membrana utilizzando 2 meccanismi: Trasporto Passivo e Trasporto Attivo (richiede consumo di energia sotto forma di ATP). OSMOSI 11 Quando una soluzione è separata da un Solvente Puro da una Membrana Semipermeabile che permette il passaggio delle molecole del Solvente ma non di quelle del Soluto, le molecole passano più facilmente dalla zona nella quale si trova il Solvente Puro verso la soluzione. Questo flusso è detto Osmosi. Questo passaggio può essere impedito solo esercitando una pressione detta Pressione Osmotica (pi greco). Il Citoplasma delle cellule è ricco di Sali, Zuccheri ed altre sostanze e pertanto se viene a contatto con una soluzione diluita (Ipotonica) rispetto al Citoplasma, l’acqua tende ad attraversare la Membrana dall’esterno verso l’interno; aumentando di volume la cellula provocandone in alcuni casi la rottura (Lisi). Viceversa se la cellula si trova in una soluzione più concentrata rispetto al Citoplasma (Ipertonica) a seguito dell’Osmosi la cellula raggrinzisce e muore. TRASPORTO PASSIVO Il processo di trasporto passivo può avvenire per diffusione semplice o facilitata. La diffusione semplice avviene naturalmente per osmosi, è catalizzata da temperatura e pressione che più sono elevate più è veloce la diffusione. Essa è consentita per le molecole di dimensioni compatibili con la membrana. La diffusione facilitata permette la diffusione delle sostanze tramite proteine canali in genere Transmembrana, senza modifiche strutturali di essa. Il trasporto passivo in genere è limitato a Ioni e acqua ed è catalizzato da particolari Enzimi le Permeasi. In questo caso le sostanze si legano al sito attivo dell’enzima che modificando la sua conformazione libera le sostanze all’interno della cellula pronta a riceverne di nuove. TRASPORTO ATTIVO Nel processo la cellula riesce ad assorbire sostanze utili per il fabbisogno contro il gradiente di concentrazione, essa richiede un consumo di energia chimica ottenibile tramite l’Idrolisi dell’ATP. Le proteine che permettono il trasporto legando il prodotto sono dette Pompe. Negli animali per esempio vi è la Pompa Sodio-Potassio poiché riguarda gli Ioni Na+ e K+. Na+ pompato all’esterno diminuisce la concentrazione mentre il K+ all’interno l’aumenta favorendo l’Osmosi. Nelle cellule vegetali, invece, troviamo la Pompa Protonica un’Enzima (ATPasi di membrana) che trasporta gli Ioni H+ attraverso la Membrana contro il loro gradiente. I sistemi enzimatici che prendono parte al trasporto di ioni e molecole attraverso la membrana sono detti di tipo Uniporto se possono effettuare il trasporto in una sola direzione, Simporto se permette a 2 diversi soluti di attraversare contemporaneamente nella stessa direzione e Antiporto se possono cotrasportare soluti nelle 2 direzioni. 12 TRASPORTO MEDIATO DA VESCICOLE Le molecole che non possono essere trasportate attraverso la membrana sono trasportate nel Citoplasma tramite vescicole. Se il processo avviene verso l’esterno si parla di Esocitosi (Apparato del Golgi). Le sostanze da trasportare all’esterno vengono circondate da vescicole le cui membrane si fondono con la membrana cellulare per poi rompersi e riversare all’esterno il loro contenuto, se il processo avviene verso l’interno è detto Endocitosi. Ci sono 3 tipi di Endocitosi: la Pinocitosi, la Fagocitosi e l’Endocitosi mediata da recettori. Pinocitosi: letteralmente cellula che beve. La membrana plasmatici si infossa formando una vescicola attorno alla sostanza che deve essere introdotta nella cellula. Fagocitosi: letteralmente cellula che mangia. La particella solida posatasi sulla membrana induce essa a formare protuberanze che inglobano interamente il prodotto racchiudendola in una vescicola (Batteri, Macrofagi, granulociti neutrofili). Endocitosi mediata da recettori: le molecole si legano a particolari proteine che fungono da recettore che inglobano sotto forma di vescicole il prodotto. 15 Nelle piante vi sono i Gliossisomi che convertono i Grassi in Carboidrati. I LISOSOMI I Lisosomi sono organuli citoplasmatici che si formano per la gemmazione di alcune cisterne dell’Apparato del Golgi. Nel loro interno sono contenuti enzimi digestivi detti Idrolisi Acide che catalizzano diverse reazioni (Lipasi, Proteasi, Fosfatasi, ecc.). I Lisosomi sono quindi il sito di degradazione dei prodotti alimentari e dei corpi estranei assunti per fagocitosi. CITOSCHELETRO Le cellule Eucariote contengono un complesso Reticolo di filamenti di natura proteica, il Citoscheletro. Esso interviene nella crescita, nella divisione cellulare ed è costituito da microtubili e filamenti di Astina. MICROTUBULI I Microtubili abbondano nel Citoscheletro e sono collocati vicino alla Membrana Cellulare. Ogni Microtubulo è costituito da sub-unità dette Alfa e Beta Tubulina. Esse avvolte ad elica costituiscono i Protofilamenti e 13 di essi costituiscono il Microtubulo disponendosi attorno ad un Core (Parte cava). I Microtubuli svolgono diverse funzioni: sono presenti nelle fibre del Fuso durante la divisione; formano la Piastra Cellulare; formano la Parete Cellulare dopo la divisione; costituiscono Flagelli e Ciglia. MICROFILAMENTI I Microfilamenti sono più piccoli dei Microtubuli e sono formati da Globuli di Actina (Actina G) che legandosi formano un’Actina Filamentosa (Actina F). Hanno il ruolo di: formazione della Parete Cellulare; organizzazione dell’R.E. e concorrono al movimento del Nucleo e del Citoplasma. CIGLIA E FLAGELLI Sono strutture elaborate e ben organizzate di Microtubuli. Sono chiamati Ciglia quando sono numerose e corte; Flagelli quando sono più lunghe ma in genere singole oppure a gruppi di 2 o 4. Hanno una struttura formata da 2 Microtubuli circondati da 9 paia di Microtubuli. Nei Protisti Unicellulari Ciglia e Flagelli muovono l’organismo, nelle altre cellule, invece, servono a tenere pulita la superficie allontanando sostanze estranee. Alcuni organismi presentano 9 triplette di Microtubuli definiti corpo basale precursori di Ciglia e Flagelli. I Centrioli invece sono formati da Microtubuli disposti ad angolo retto e formano il Fuso Mitotico durante la divisione cellulare. GOCCIOLINE LIPIDICHE Le Goccioline Lipidiche o Corpi Oliosi sono strutture del Citoplasma della cellula vegetale di forma globulare, sono costituite da Lipidi a vario grado di insaturazione. Esse si pensa abbiano origine dal R.E. liscio. 16 STRUTTURE PECULIARI DELLA CELLULA VEGETALE PLASTIDI Essi sono Organuli Cellulari del regno vegetale. Nelle cellule dei tessuti i Plastidi sono presenti in uno stadio non differenziato e definiti Proplastidi, che a seconda della funzione si trasformano assumendo la struttura di: • Cloroplasti dal colore verde dovuto alla Clorofilla contenenti Carotenoidi e con funzione fotosintetica • Cromoplasti mancano di Clorofilla ma anch’essi hanno funzione fotosintetica coadiuvante quella dei Cloroplasti • Leucoplasti deputati all’elaborazione dell’amido ed al suo accumulo come sostanza di riserva (Amiloplasti) oppure alla riserva di proteine (Proteoplasti) o di lipidi (Lipidoplasti). Alcuni fattori (prolungata permanenza in assenza di luce) non permettono ai Proplastidi delle foglie di trasformarsi in Cloroplasti restando incolori (Ezioplasti). Tuttavia non evolvono in Plastidi differenti e se riesposti alla luce, dopo un certo periodo, si trasformano in Cloroplasti (aspetto dei Plastidi molto comune ad alcuni batteri). I Plastidi presentano delle molecole di DNA in zone dette Nucleoidi, contengono dei piccoli Ribosomi e si riproducono per scissione durante la divisione cellulare (proprio come i batteri). CLOROPLASTI D’importanza fondamentale per l’Autotrofia delle piante. Contengono pigmenti verdi (Clorofilla) atti a captare l’energia luminosa coadiuvati da Carotenoidi. Sono delimitati da 2 Membrane separate da un piccolo spazio, ambedue sono permeabili all’Anidride Carbonica. Lo spazio tra le 2 Membrane è detto Intermembrana. All’interno dei Cloroplasti immerse nello Stroma si ritrovano le unità deputate alla fotosintesi: i Tilacoidi. Esso è un sistema complesso di membrane dalla forma di sacchi appiattiti riuniti in modo da formare un unico insieme. Nello Stroma avvengono importanti reazioni: • Fase oscura del processo fotosintetico (riduzione del CO2) • Duplicazione, trascrizione e traduzione del DNA • Sintesi tramite enzimi (Ribulosiofosfato, Carbossilasi) di amido, acidi grassi e organicazione dell’azoto. Ogni Tilacoide è connesso ad altri formando un Granum e i Grana sono interconnessi tra loro. La parte di membrana Tilacoidale che non è a contatto con lo Stroma è detta Lamella Granale quella a contatto con lo Stroma è detta Lamella Stromale. I Pigmenti Fotosintetici sono contenuti nelle membrane dei Tilacoidi. STRUTTURA DEI CROMOPLASTI E DEI LEUCOPLASTI Essi sono Plastidi non fotosintetici delimitati da una doppia membrana ma con uno scarso numero di Tilacoidi. Nello Stroma degli Amiloplasti è contenuto per lo più amido secondario la cui forma e dimensione varia a seconda degli strati di amido sul Centro di Formazione detto Ilo. Gli Amiloplasti contengono inoltre gli enzimi per la sintesi dell’amido (Amilasi). 17 I Leucoplasti sono incolori, contengono poco amido e accumulano diverse sostanze, hanno una forma variabile e sono delimitati da una doppia membrana che delimita lo Stroma contenente Carotenoidi. Essi sono presenti nei petali dei fiori cui conferiscono colori; nei frutti e nelle radici. I PIGMENTI DEI PLASTIDI Dal punto di vista funzionale i costituenti più importanti dei Plastidi sono i Pigmenti Fotosintetici contenuti nelle membrane dei Tilacoidi che consentono il processo fotosintetico. La Clorofilla è caratterizzata da una struttura basata da un Anello Porfirinico che contiene dei doppi legami che possono assorbire l’energia luminosa; al centro dell’Anello Porfirinico legato con i 4 atomi di N vi è lo ione Mg++. La Clorofilla presenta inoltre una lunga catena (Fitolo) a 20 atomi di C legato all’anello D. In natura esistono 4 diverse molecole di Clorofilla: • Clorofilla a, presente in tutti i vegetali autotrofi • Clorofilla b, presente nei Cloroplasti delle piante vascolari (alghe verdi e unicellulari) • Clorofilla c, presente nelle alghe brune • Clorofilla d, peculiare delle alghe rosse. Le differenze tra le varie Clorofilla sono in alcune sostituzioni a carico degli Anelli infatti la Clorofilla b è diversa dalla a per avere il Gruppo Metilico CH3 dell’Anello B; la Clorofilla c è diversa dalla a poiché non presenta il Fitolo e la d presenta nell’Anello A un gruppo Vinilico H2C=CH. La Clorofilla a e la Clorofilla b assorbono entrambe nella regione blu e del rosso dello Spettro Elettromagnetico, però tramite pigmenti accessori l’energia luminosa può essere captata interamente. Nel corso della Fotosintesi vi si potrebbe formate dell’Ossigeno Atomico che può causare danni ai lipidi delle membrane ma i Carotenoidi lo disperdono come calore. Ai Caroteni è dovuto il colore giallognolo delle foglie prima dell’Abscissione, infatti in autunno la Clorofilla degrada, scompare il colore verde e appare il colore giallo dovuto ai Carotenoidi. Altri pigmenti accessori sono le Ficobiline presenti nei Tilacoidi delle alghe in piccoli granuli chiamati Ficobilosomi. IL VACUOLO E GLI INCLUSI VACUOLARI Il Vacuolo è peculiare della cellula vegetale ed occupa una regione delimitata da una membrana detta Tonoplasto che racchiude una soluzione acquosa detta Succo Cellulare e nella cellula adulta, occupa la maggior parte della cellula. Il Tonoplasto è una membrana selettiva e ha un ruolo importante nel trasporto attivo e nella ritenzione di alcuni ioni, inoltre esso contiene sostanze differenti dal Citoplasma e può fungere da deposito per le sostanze metabolicamente utili. Le molteplici sostanze disciolte nel Succo Vacuolare o presenti allo stato cristallino o variamente condensate sono: • Sali di Acidi inorganici • Acidi organici diffusi nei tessuti di molti frutti. Alcuni di essi cristallizzano portando alla formazione di Rafidi di forma prismatica (cristallizzazione secondo il sistema Monoclino), la cristallizzazione secondo il sistema Tetragonale forma cristalli piramidali detti Druse oppure a cristalli di forma prismatica. A volte i cristalli frammentano in una specie di sabbia cristallina. • Carboidrati tra cui Glucosio, Fruttosio, Galattosio, Mannosio (Monosaccaridi); Saccarosio, Maltosio, Cellobiosio, Lattosio (Disaccaridi). Vi sono inoltre Polisaccaridi di interesse farmacologico tra cui le Mucillagini (formate da Glucosio, Galattosio, Mannosio, Arabinosio e Xilosio) che esercitano un’azione antinfiammatoria, proteggono le mucose dell’apparato gastro-enterico, emostatici nella terapia dell’ulcera peptica e favoriscono la 20 CAPITOLO V LA DIVISIONE CELLULARE CRESCITA CELLULARE Le cellule aumentano le loro dimensioni ma, con l’aumentare di esse, aumenta il fabbisogno di sostanze nutritizie che, raggiunto un certo limite non riescono più ad attraversare la membrana cellulare. Il punto limite oltre il quale non è più sopportabile tale situazione è definito dal rapporto nucleoplasmatico, espresso dalla formula: RNP= Vn/Vc-Vn dove RNP è il rapporto nucleoplasmatico, Vn è il volume del nucleo e Vc il volume della cellula. Il volume del citoplasma (Vc-Vn) aumenta e raggiunto un valore limite la cellula deve dividersi. La fase che precede la divisione è detta interfase ed il nucleo definito interfasico ossia a riposo sebbene in questa fase il nucleo svolga numerose funzioni; durante la divisione invece il nucleo è definito mitotico. DIVISIONE CELLULARE Raggiunto un limite massimo la cellula si divide originando 2 cellule figlie ognuna destinata a dividersi seguendo quello che è definito ciclo cellulare. Esso è diviso in 4 fasi: G1, S, G2, M. Di esse le principali sono le fasi S e M, la prima è quella in cui la cellula duplica i cromosomi; la seconda è quella in cui la cellula si divide. Queste due fasi sono intervallate dalle fasi G1 e G2 (Gap) di preparazione alla fase successiva, mentre il Nucleo svolge le sue normali funzioni (con la sintesi di ribosomi, enzimi, organelli citoplasmatici ecc.). L’interfase comprende le fasi G1, S e G2 e la fase M è definita mitosi. Il ciclo cellulare ha durata variabile è nell’uomo adulto è di circa 20 ore. IL NUCLEO INTERFASICO E’ il nucleo in condizioni standard costituito da membrana nucleare, che racchiude il nucleoplasma e lo mette in comunicazione con il citoplasma tramite dei pori nucleari, vi sono inoltre i nucleoli e la cromatina. La cromatina è una serie di sottili filamenti ammassati composti da proteine acide, fosfolipidi, DNA ed RNA. Essa riveste un ruolo importante durante la divisione cellulare e si definisce eucromatina se si colora debolmente ed è più dispersa, eterocromatina se invece si colora più intensamente ed è più condensata. I nucleoli, sono formati da proteine, fosfolipidi ed RNA simile a quello ribosomiale. Nel nucleo ribosomiale si svolgono la sintesi di ATP, la glicolisi ed il DNA è stabile, viceversa il DNA prima della divisione cellulare si duplica per essere poi trasferito alle cellula figlie. NUCLO MITOTICO – CROMOSOMI 21 I nuclei di alcune cellule sono caratterizzati dalla proprietà di dividersi attraverso una serie di trasformazioni che vengono definite Mitosi. Attraverso la Mitosi si duplica il DNA e viene quindi trasmessa l’informazione alle cellule figlie così come è presente nella cellula madre. La prima manifestazione dell’inizio della Mitosi è la trasformazione delle Zolle di Cromatina. Nelle cellule in cui sta per avvenire la Mitosi, la Cromatina condensa in strutture di a forma di Bastoncelli, i Cromosomi, che si formano per Spiralizzazione dei Filamenti di Cromatina (Cromatidi). I Cromosomi sono i portatori dell’informazione genetica e contengono migliaia di geni che codificano le proteine. La forma ed il numero dei Cromosomi costituisce il Cariotipo della specie. I Cromosomi sono composti, come la Cromatina, da DNA, RNA e Proteine; ogni Cromosoma è diviso in 2 Braccia da una costrizione definita Centromero. A seconda della posizione del Centromero si hanno: • Cromosomi Metacentrici, con il Centromero in posizione centrale (Cromosoma Isobrachiale) • Cromosomi Acrocentrici con braccia di lunghezza diversa (Cromosomi Eterobrachiali) • Cromosomi Telocentrici con il Centromero in posizione terminale (nell’uomo non vi sono tali Cromosomi). A volte su una delle braccia si può presentare una costrizione secondaria caratteristica del Cromosoma SAT. Quando il Nucleo è in Interfase i Cromatidi si avvolgono in una stretta spirale che a sua volta si avvolge in spire formano la Spirale Somatica e la zona dove tale spirale ha un diametro minore è la zona della costrizione secondaria. MITOSI Il processo di Mitosi avviene in vari stadi. nel primo, la Profase il Nucleo aumenta di volume, la Cromatina si trasforma in Cromosomi formati da 2 Cromatidi uniti dal Centromero nel quale sono presenti strutture cui sono legati i Microtubuli del Fuso (Cinetocori). Avviene quindi la formazione del Fuso Mitotico attorno alla Membrana Nucleare nella zona dove prima vi era il Nucleo. Il Fuso è formato dalle Fibre del Fuso ossia fasci di Microtubuli. In questa fase si arresta la sintesi dell’RNA i Nucleoli scompaiono e i Centrioli si staccano e vanno a disporsi in punti opposti rispetto al Nucleo. Quando la Membrana Nucleare si frammenta lo Ialoplasma viene a contatto con il Nucleoplasma formando fibre che costituiscono il Fuso Mitotico. In questa fase a livello dei Centromeri compaiono dei Microtubuli che si legano ai Centrioli. La Profase è la fase più lunga dell’Interfase, ad essa segue la Metafase nel corso della quale i Cromosomi si allineano sul piano Equatoriale formando una Piastra Equatoriale. L’Anafase (fase di minor durata) è caratterizzata dalla separazione dei Cromatidi sotto l’azione delle fibre del Fuso che sono legate ai Centromeri attraverso i Cinetocori. I Centromeri si duplicano formando quindi, per ogni Cromosoma, una coppia di Cromosomi. La fase finale la Telofase presenta i Cromosomi di nuovo Despiralizzati, la formazione di Membrana Nucleare e nella costrizione secondaria di alcuni Cromosomi si riformano i Nucleoli; mentre nel luogo della Piastra Equatoriale la Membrana Cellulare si divide, dividendo a sua volta il Citoplasma in parti uguali (Citodieresi). In alcuni casi vi è duplicazione di DNA non seguita da duplicazione Citoplasmatica e quindi da separazione cellulare. Questo fenomeno è detto Endomitosi. Nelle cellule vegetali alla Telofase si forma una struttura detta Piastra Cellulare che divide in 2 la cellula, ognuna delle quali va a depositare una parete primaria sul proprio lato della piastra così che essa diventi la Lamella Mediana. La Piastra Cellulare ha origine da vescicole prodotte dai Dittiosomi trasportate probabilmente dai Microtubuli originando il Fragmoplasto che allungandosi va a costituire la Piastra Cellulare. 22 Nel corso della fusione delle vescicole per la formazione della Piastra Cellulare alcune zone del Reticolo Endoplasmatico non vengono separate e rimanendo intatte costituiscono i Plasmodesmi che permettono la comunicazione fra le cellule. CAPITOLO VI LA RIPRODUZIONE DEFINIZIONE E GENERALITA’ La Riproduzione è in Biologia il processo per il quale gli esseri viventi raggiunta una maturità perpetuano la loro specie generando nuovi individui. A tale processo può prendere parte sia l’intero corpo (Olocarpia) che una parte di esso (Eucarpia). Esistono 2 tipi di riproduzione quella Asessuale e quella Sessuale. RIPRODUZIONE ASESSUALE Questo processo avviene in individui privi di cellule sessuali deputate alla formazione di Gameti e, senza intervento di un altro individuo. Da questo processo discendono individui geneticamente identici ai genitori ed esposti allo stesso modo alla selezione naturale. Essa può avvenire per Scissione, Gemmazione e Frammentazione. La Scissione avviene quando ad un certo stadio della vita dell’individuo in corrispondenza del Piano Mediale della cellula si forma una strozzatura che divide in 2 parti uguali la cellula, ognuna di esse indipendente e capace di ripetere il processo. La Gemmazione avviene con la formazione di una Estroflessione (Gemma) sulla superficie della cellula che ingrossandosi stacca formando un nuovo individuo. La Frammentazione è la capacità di alcuni organismi animali di formare un individuo completo da frammenti di essi, anche tramite traumi subiti dall’animale. Nel regno vegetale il processo si realizza tramite la formazione di frammenti detti Propaguli. I Propaguli che si formano per Frammentazione di filamenti di alcune colonie batteriche sono detti Ormogoni. Un altro tipo di Propaguli sono le Neutrospore che possono originare all’interno di una cellula madre (Endospore) o all’interno di esse (Esospore). RIPRODUZIONE SESSUALE Si realizza tramite un processo (Gamia) durante il quale operano delle cellule sessuali Apolidi dette Gameti che legandosi formano lo Zigote. In questa cellula, lo Zigote, i Genomi dei Gameti si mescolano nel processo di Crossino Over producendo una grande variabilità di caratteri nei discendenti. Negli animali la Meiosi avviene nelle Gonadi e specificamente negli spermi maschili prodotti nei testicoli e gli ovuli femminili prodotti nell’Ovario. La fecondazione può essere interna o esterna. Quella esterna è tipica degli animali acquatici, quella interna degli animali terrestri. Dopo la fecondazione l’embrione formato si sviluppa in 3 modi: all’esterno in cellule uovo (Ovipari); all’interno ma sotto forma di uovo (Ovovivipari); all’interno sotto forma di embrione (Vivipari). Una forma di riproduzione sessuata che non coinvolge l’organismo di sesso opposto è la Partenogenesi durante la quale il nuovo individuo ha origine da un Ovulo non fecondato (assenza di Anfimissia). 25 GAMETOGENESI Processo che porta alla formazione dei Gameti. Come sappiamo i Gameti danno origine ad una cellula diploide: lo Zigote. Poiché hanno un numero aploide di Cromosomi necessario al fatto che fondendosi ogni volta 2 cellule diploidi si raddoppierebbe il numero di Cromosomi ogni generazione. La Gametogenesi avviene nelle Gonadi (testicoli, Ovaie) e, il processo che porta alla formazione degli spermatozoi prende il nome di Spermatogenesi mentre il processo che porta alla formazione delle cellule uovo prende il nome di Oogenesi. Il primo processo avviene quando alcune cellule embrionali prima della pubertà si differenziano in Spermatogoni (diploidi) che a loro volta evolvono in Spermatociti Primari che per Meiosi formano Spermatociti Secondari e successivamente 4 Spermatidi per ogni Spermatocita Primario. Gli Spermatidi a seguito della Spermioistogenesi formano gli Spermatozoi. Essi hanno dimensioni di alcuni Micron e sono formati da testa, collo e coda. La testa contiene il Nucleo e l’Acrosoma contenente enzimi litici con capacità di penetrazione. Il collo contiene numerosi Mitocondri che forniscono l’energia necessaria al movimento (ATP) della coda. L’Oogenesi parte dalla formazione di Oogoni che maturano in Oociti Primari che a seguito della Meiosi formano 2 diverse cellule una più grande detta Oocita Secondario ed una più piccola detta Corpo Polare. La seconda divisione genera dall’Oocita Secondario un Ootide che diventerà un uovo. Le uova crescono nei Follicoli ed a partire dalla pubertà ogni 28 giorni circa un Oocita Primario raggiunge la maturità. Dopodichè, alla formazione dell’Oocita Secondario, può avvenire la fecondazione di uno Spermatozoo, completando così la sua lunghissima Meiosi. I CICLI BIOLOGICI La riproduzione degli organismi viventi comporta una serie di fenomeni ciclici che si ripetono per ogni generazione secondo il ciclo biologico con modalità diverse generando così un’alternanza di generazioni. Nel regno animale il ciclo biologico si svolge in diversi stadi. Negli adulti mediante il processo di Meiosi si formano le cellule sessuali dette Gameti. Nei maschi sono definite cellule spermatiche, nelle femmine Ovocellule, la fusione di esse porta allo Zigote che diventerà un individuo simile ai genitori. Questo ciclo è detto Omeogenesi, ma esistono anche cicli che terminano dopo una o due generazioni e si parla di Eterogenesi. Essa può realizzarsi attraverso diverse alternanze di generazioni: se alla generazione sessuale seguono una o più generazione agamiche viene detta Metagenesi se invece è seguita da una o più generazioni partenogeniche è detta Eterogonia. I CICLI ONTOGENETICI Il ciclo Ontogenetico di una pianta ha inizio con la fusione di 2 cellule sessuate e la formazione di uno Zigote che formerà un embrione nutrito dalla pianta madre. Questo embrione potrà essere autonomo solo dopo la Germinazione del seme. Vengono quindi a distinguersi 2 fasi una Eterotrofa ed una Autotrofa. Nella fase Eterotrofa la pianta si comporta da parassita della pianta madre, dopo la Germinazione si comporterà da Saprofita poiché consumerà le sostanze 26 accumulate, e dopo la comparsa delle foglie diventerà Autotrofa cosicché possa infine riprodursi con lo stesso meccanismo. La durata di questi cicli è variabile e si possono distinguere piante che si riproducono una sola volta Monocarpiche e piante che si riproducono più volte Policarpiche. Le Monocarpiche possono essere annue, bienni e perenni a seconda delle durata del ciclo. IL CICLO METAGENETICO Esso prende in considerazione i mutamenti che avvengono con il passaggio da una generazione all’altra. Infatti in alcune piante avviene il cosiddetto Ciclo Aplonte che a differenza del normale ciclo (Gamia – Meiosi – Gamia – Meiosi) vi è un ciclo (Gamia – Zigote – Meiosi – Spore – Gametofito – Gameti – Gamia). In altre piante vi è il Ciclo Apodiplonte (Gamia – Zigote – Sporofito – Meiosi – Spore – Gametofito – Gameti – Gamia). Un ulteriore ciclo è quello Diplonte (Gamia – Zigote – Diplofito – Meiosi – Gameti – Gamia). 27 CAPITOLO VII LA TRASMISSIONE DEI CARATTERI EREDITARI L’eredità in termini biologici è la proprietà degli esseri viventi di trasmettere ai discendenti sotto forma di istruzioni chimiche, contenute nei cromosomi, la propria forma e le caratteristiche individuali. E’ connessa alla riproduzione e il fatto che gli individui della stessa specie non sono uguali tra loro, fa intuire che l’eredità, oltre che conservativa, è connessa alla possibilità di variazione, la variabilità, comune a tutti gli esseri viventi. La variabilità è connessa sia a fattori genetici che ambientali. I caratteri trasmessi sono divisi in qualitativi e quantitativi. I qualitativi riguardano la qualità dell’individuo (colore della pelle, degli occhi, dei capelli), i quantitativi sono definibili con le unità di misura (peso, altezza, dimensioni, ecc.). Il fenotipo indica l’espressione somatica dei geni la cui informazione sta nel genotipo che è l’insieme dei caratteri genetici di un individuo. Il fenotipo è inoltre l’interazione tra il genotipo e l’ambiente in cui vive l’individuo. GLI STUDI DI MENDEL Mendel studiò i fenomeni ereditari in termini statistici e giunse alla scoperta delle leggi sull’ereditarietà. Mendel condusse i suoi studi su piante di pisello poiché facili da coltivare, a rapida crescita, e autoimpollinanti. Mendel selezionò 7 coppie di caratteri alternativi: • Forma del seme (liscio, rugoso) • Colore del seme (giallo, verde) • Colore del fiore (viola, bianco) • Posizione del fiore (assiale, terminale) • Forma del bacello (gonfio, moniliforme) • Colore del bacello (verde, giallo) • Altezza del fusto (alto, basso) Nel corso dei suoi studi Mendel constatò che utilizzando linee pure le piante della prima generazione (F1) erano sempre uguali ad uno solo dei genitori (P) e quindi uno dei caratteri scompariva. E quindi incrociando una pianta alta ed una nana otteneva solo piante alte e non la metà alta e la metà nana, né tanto meno di altezza media. Mendel chiamò così i caratteri che si manifestavano nella F1 dominanti, mentre nella F2 i caratteri scomparsi nella F1, riapparivano e furono definiti recessivi. Mendel riuscì a capire perché alcuni caratteri scomparissero per poi ricomparire ed intuì che i caratteri nelle piante dovevano essere in coppie di caratteri uno discendente dal padre e l’altro dalla madre. La prima legge di Mendel dice: i caratteri ereditari sono determinati da fattori interni presenti in coppie. I singoli fattori di ogni coppia sono definiti alleli, essi sono forme differenti di un dato gene e se nell’organismo vi sono alleli uguali esso è detto omozigote (GG, gg), se sono diversi l’organismo è 30 All’esterno della struttura si ritrovano le catene di zucchero-fosfato mentre all’interno vi sono le basi azotate. Le basi azotate legate del DNA sono adenina con timina e citosina con guanina, legame idrogeno del tipo N-H-O. L’accoppiamento delle basi deve essere necessariamente tra purina e pirimidina in quanto il legame tra 2 purine supererebbe il diametro di 2,37 nm, mentre il legame tra 2 pirimidine sarebbe impossibile in quanto troppo distanti tra loro per formare legame idrogeno. Questi accoppiamenti danno luogo alla cosiddetta complementarietà delle basi per la quale stabilito una sequenza di basi l’altra è immediatamente prevedibile. La struttura a doppia elica conferisce al DNA una modesta flessibilità e pertanto le soluzioni di DNA anche se molto diluite sono molto viscose. Questa viscosità è utile per seguire la denaturazione (apertura della doppia elica che comporta una notevole diminuzione di viscosità) del DNA. La denaturazione si può ottenere facendo bollire una soluzione di DNA e raffreddarla rapidamente o trattando il DNA con soluzioni o fortemente basiche o fortemente acide. Il DNA è presente oltre che nel Nucleo anche nei Mitocondri e nei Plastidi, sebbene in quantità piccolissima. IL DNA COME MATERIALE GENETICO Una serie di studi sul batterio gram-positivo della polmonite (lo pneumococco) consentì di affermare che il DNA può portare informazioni genetiche. Le prove che supportano questa ipotesi sono diverse. Innanzitutto la quantità di DNA di ogni cellula è costante e non può mai essere alterata, inoltre la quantità di DNA è in rapporto alla complessità della cellula (una cellula di un neurone contiene decisamente più DNA di una cellula batterica). Un’altra caratteristica è che esso per poter trasmettere il proprio codice deve potersi duplicare. DUPLICAZIONE DEL DNA Quando si duplicano i cromosomi la molecola di DNA si apre a livello dei legami idrogeno. A mano a mano che i 2 filamenti si separano fungono da stampo, cioè su ognuno di essi va a formarsi un filamento complementare utilizzando il materiale a disposizione nella cellula. Questo processo fu definito duplicazione semiconservativa in quanto le nuove molecole di DNA conservano un filamento del vecchio. La conferma fu ottenuta con uno studio nel corso del quale si fece crescere a lungo la E.Coli in un ambiente contenente azoto N15 in modo che il DNA prodotto fosse prevalentemente N15. Alcune di queste però furono trasferite in un ambiente N14 e lasciate in questo ambiente per il tempo di una sola duplicazione, il DNA che si isolava aveva una densità intermedia tra le molecole di DNA N15 e quelle N14. Perché la duplicazione del DNA possa avere inizio occorre che entrino in azione dei particolari enzimi (DNA elicasi) che riconoscono specifiche sequenze di nucleotidi definiti punto di origine della duplicazione. Qui si spezzano i legami idrogeno aprendo la doppia elica, contemporaneamente altri enzimi le topoisomerasi, operano in modo che la doppia elica non si attorcigli formando dei nodi che bloccherebbero la duplicazione. Successivamente alcune proteine destabilizzatici dell’elica si legano al DNA impedendo ai singoli filamenti di avvolgersi su se stessi o di rilegarsi tra loro. A questo punto intervengono le DNA polimerasi che catalizzano la formazione dei legami tra i nucleotidi e consentono l’allungamento della catena. Questa proprietà della DNA polimerasi richiederebbe di iniziare la sintesi dei filamenti a partire dalle estremità dei 2 filamenti dopo aver completamente separato la doppia elica. Questo non avviene in quanto la duplicazione dei filamenti avviene in una struttura a forma di Y definita forcella di replicazione. Nelle cellule procariote il punto di origine della duplicazione è sempre lo stesso e quando i filamenti duplicati cominciano a separarsi si formeranno due molecole di DNA circolare. 31 Nelle cellule eucariote, invece, vi sono molteplici punti di origine della duplicazione ma perché possa iniziare la sintesi occorre che vi sia una struttura che funga da innesco per la sintesi, questo innesco o primer è costituito da un breve filamento di RNA (RNA iniziatore) con una decina di nucleotidi che è portato sul DNA dalla RNA primasi. Le basi dell’RNA si appaiano per complementarietà a quelle del DNA a singolo filamento che funge da stampo. Il processo di duplicazione può quindi avere inizio con le DNA polimerasi che sintetizzano i filamenti complementari. Successivamente l’RNA primer viene degradato dagli enzimi ed il filamento che si allunga sempre di più verso la forcella di duplicazione (direzione 3) senza interruzioni viene detto filamento guida, l’altro che si allunga nella direzione opposta viene detto filamento ritardo la cui sintesi avviene con alcune interruzioni come costituito da frammenti, ogni frammento contiene un numero vario di nucleotidi ed è definito frammento di Okazaki. Infine ogni frammento nel momento in cui ne incontra un altro si lega ad esso tramite enzimi detti DNA ligasi. IL DNA RICOMBINANTE ED INGEGNERIA GENETICA Alcuni biologi osservarono che esistevano somiglianze tra i Genomi di organismi diversi tra loro ed ipotizzarono di poter trasferire geni da un organismo all’altro manipolandone la struttura genetica, tale scopo è stato raggiunto alla scoperta del DNA ricombinante che ha permesso di inserire frammenti di DNA in altre molecole di DNA capaci di replicarsi autonomamente. Il DNA di lieviti o di virus sono impiegati in queste tecnologie. Infatti tramite enzimi denominati endonucleasi di restrizione è stato possibile tagliare DNA in siti specifici formando quindi molecole di DNA con filamenti singoli e complementari. Ottenuti i frammenti di DNA da organismi diversi, è possibile legarli a questi singoli filamenti tramite le ligasi. Il DNA ottenuto è quindi un DNA ibrido che se inserito in una cellula batterica a rapida riproduzione è possibile ottenere cloni esatti della sequenza di geni desiderata. Questa tecnica è stata fondamentale nella cura di alcune malattie geniche, infatti inserendo i geni della produzione dell’insulina o dell’ormone della crescita nel DNA dell’individuo è possibile curarne le rispettive disfunzioni. RNA Il materiale genetico è posseduto sotto forma di DNA ma è necessaria che via sia anche un meccanismo capace di trasmettere tali informazioni. Le informazioni possono essere copiate in altre molecole correlate al DNA e mediante queste possono essere trasmesse. Tali molecole sono le molecole di RNA. L’RNA ha una composizione chimica affine al DNA ma struttura e funzione diversa. L’RNA è costituito da una catena non ramificata di nucleotidi (adenina, guanina, citosina, duracina) con uno zucchero (ribosio). Le molecole di RNA sono di solito a singolo filamento sebbene le zone interne di alcuni RNA possono creare piccoli tratti di doppio filamento. L’RNA è presente sia nel nucleo (nucleoli) sia nel citoplasma. Mentre la quantità di DNA è sempre la stessa in tutte le cellule, la quantità di RNA può essere varia ed è maggiore nelle cellule che sintetizzano proteine. Vi sono 3 tipi diversi di RNA: RNA ribosomiale (rRNA), messaggero (mRNA), transfer (tRNA). IL processo di sintesi dell’RNA consiste nella polimerizzazione dei ribonucleotidi secondo un ordine fissato dalle basi del DNA e non fa altro che trascrivere l’informazione del DNA nella nuova molecola di RNA, perciò sintesi di RNA e trascrizione sono sinonimi. La trascrizione del DNA inizia con il riconoscimento sul DNA di un sito detto sito promotore della trascrizione sul quale vi è una sequenza di basi posta all’inizio del gene. L’RNA polimerasi si lega al sito promotore provocando l’apertura della doppia elica ed ha inizio la trascrizione. Sullo stampo del DNA che viene trascritto, il filamento di RNA si lega alle basi con legame idrogeno e man mano che procede la trascrizione il DNA si riavvolge. Negli organismi eucarioti vi sono 3 RNA polimerasi che sintetizzano uno specifico tipo di RNA. 32 L’RNA polimerasi si lega ad una sequenza di basi collocata 30 paia di basi a monte del sito di inizio della trascrizione chiamata TATA BOX poiché ricca di timina e adenina. La sequenza di basi posta a breve distanza dal sito di inizio è detta elemento a monte del promotore (UPE). L’efficienza del sito promotore è in rapporto con il numero di UPE che esso contiene, di conseguenza un gene contenente più UPE è maggiormente espresso. In prossimità dell’estremità 5 si trova un’altra sequenza di basi detta elementi enhancer la quale aumenta la velocità di sintesi. Nelle cellule procariote la struttura del sito promotore consiste di due sequenze di DNA una detta pribnow box (o sequenza -10) posta circa 10 basi a monte del sito di inizio della trascrizione e ricca di timina e adenina, e un’altra chiamata sequenza -35 poiché collocata circa 35 basi a monte del sito di inizio. Una volta conosciuto il sito promotore l’RNA polimerasi si lega con il DNA aprendo la doppia elica e riconosce il filamento che deve essere trascritto. I meccanismi con i quali termina la trascrizione sono complessi ma in generale nelle cellule eucariote l’RNA viene liberato a seguito di un segnale inviato da una particolare sequenza di DNA. Mentre nelle cellule procariote, l’RNA trascritto funziona già da RNA messaggero, nelle cellule eucariote esso subisce una duplice trasformazione prima di essere tradotto dai ribosomi. Con la prima modifica all’inizio ed al termine dell’RNA trascritto vengono introdotte alcune sequenze di nucleotidi dette cappuccio e coda atte a proteggere l’RNA dagli enzimi, la seconda è legata al fatto che nel genoma degli eucarioti vi sono alcune sequenze di nucleotidi che non codificano amminoacidi dette introni interposte ad altre che codificano gli amminoacidi definite esoni. Gli introni vengono eliminati dopo la trascrizione del DNA e gli esoni si uniscono formando l’RNA messaggero, questo processo di taglio e ricucitura è detto splicing dell’RNA. A seguito della trascrizione le informazioni possono essere trasferite nel processo di sintesi delle proteine, la traduzione. L’mRNA è dotato di una sequenza leader che gli consente di essere riconosciuta dal ribosoma e permette ad esso di posizionarsi in modo esatto perché la traduzione abbia inizio. I ribosomi si legano ad un’estremità dell’RNA e permettono ai tRNA di decifrare il messaggio. I tRNA sono formati da circa 80 nucleotidi e sono caratterizzati da 2 importanti siti di attacco, il primo è detto anticodone costituito da una tripletta di basi complementare ad una tripletta presente sull’RNA che ne costituisce il codone. L’altro sito che si trova all’estremità 3 del tRNA è usato per legare il particolare amminoacido codificato dalla tripletta complementare all’anticodone. Tutte le molecole di tRNA hanno una caratteristica configurazione a trifoglio formata dall’appaiamento di alcune basi, due anse in una posizione laterale ed una centrale, nell’ansa centrale vi è l’anticodone e all’estremità 3 si lega l’amminoacido da trasportare. IL CODICE GENETICO Stabilito che la molecola di DNA è un codice che contiene le istruzioni per le strutture biologiche, c’è da chiarire come la successione delle basi determini la sequenza degli amminoacidi nella proteina. Le molecole di mRNA sono copie di sequenze di DNA e portano nel citoplasma le informazione per la produzione delle proteine, ma le proteine sono costituite dalla combinazione di 20 amminoacidi e le basi dei nucleotidi sono solo 4, pertanto se un amminoacido fosse codificato da un solo nucleotide potrebbero essere codificati solo 4 amminoacidi. Pertanto solo un codice a tre nucleotidi (codoni) consente la codifica dei 20 amminoacidi. Uno studio permise di confermare questa ipotesi, infatti aggiungendo un nucleotide artificiale per esempio un poliuracile (U-U-U…..-U) si formava solo phe. Mentre un messaggio costituito da (A-G-A-G…..-A-G) formava un polipeptide formato da arginina ed acido glutammico (arg e glu), mentre un polinucleotide contenente uracile e citosina formava un polipeptide costituito da serina e leucina (ser e leu). Quindi un polinucleotide con 3 differenti nucleotidi alternati regolarmente portava alla formazione di un unico amminoacido ad esempio una sequenza di adenina-guanina- 35 Nelle cellule animali tale energia è fornita dai legami chimici con le molecole del cibo, mentre nelle cellule vegetali è fornita sotto forma di energia chimica ottenuta dalla trasformazione di energia raggiante. Il termine che unisce i due principi della termodinamica è l’energia libera di Gibbs. Infatti quando indichiamo la variazione di energia libera G con l’espressione: G = H – T*S Noi teniamo conto oltre che della temperatura T anche della variazione di entalpia (primo principio) e dalla variazione di entropia (secondo principio). La variazione dell’energia libera può avere valori positivi, negativi o = a zero. Se G = 0 il sistema è all’equilibrio se G < 0 il processo è endoergonico e non spontaneo se G > 0 esoergonico e spontaneo. Ad esempio, la degradazione del glucosio che avviene nei mitocondri in presenza di ossigeno è una reazione esoergonica in quanto ∆G=-686 Kcal/mole il che sta ad indicare che la quantità di energia dei prodotti è minore dei reagenti. I valori dell’energia libera, entalpia ed entropia standard si indicano con ∆G°, ∆H° e ∆S° e sono quelli che si osservano in una soluzione (alla temperatura di 25° e alla pressione di 1 atm) nella quale il soluto abbia una concentrazione di 1M. Nei sistemi biochimici, a ph=7, la variazione di energia libera standard si indica ∆G°'. Per una generica reazione: aA+bB↔cC+dD (1) Sarà: ∆G°'reazione = ΣG°'prodotti - ΣG°' La variazione di energia libera standard per una sostanza A è data da: GA = GA°'+ 2,303 RT log [A] Dove R e T sono rispettivamente, la costante universale dei gas e la temperatura assoluta. Nel caso sia [A] = 1, sarà log[A] = 0 e quindi: GA = GA°' La variazione di energia libera per l’equazione (1) è data da: ∆G = (cGC+dGD) – (aGA + bGB) (2) Se nella (2) sostituiamo i valori dell’energia libera di ogni componente, avremo: ∆Greazione=(cG°'C+dG°'D)–(aG°'A+bG°'B)+2303 RT log[C]alla c [D]alla d / [A]alla a [B]alla b (3) All’equilibrio, essendo la variazione di energia libera uguale a zero, la (3) diventa: ∆G°'reazione= - 2,303 RT log Keq (4) Questa equazione mette in relazione la variazione di energia libera standard per una determinata reazione con la sua costante di equilibrio, ed è valida in tutte le relazioni che avvengono i ambito della biochimica. 36 CAPITOLO X METABOLISMO ENERGETICO Negli organismi la liberazione e l’immagazzinamento di energia, nonché la elaborazione di nuovi prodotti (anabolismo) e la demolizione di molecole preesistenti (catabolismo), implicano una complessa serie do trasformazioni chimiche che nel loro insieme sono definite metabolismo. Tutti i processi metabolici necessitano di energia e negli organismi viventi il glucosio ne costituisce una fonte primaria. Il Glucosio libera l’energia immagazzinata nella sua molecola tramite una serie di reazioni e si trasforma in H2O e CO2 . Nelle cellule il metabolismo del glucosio avviene in due stadi: il primo porta alla scissione della molecola di glucosio in due molecole di acido piruvico con la liberazione di una piccola quantità di energia, stadio che può svolgersi in assenza di ossigeno (glicolisi); il secondo, in presenza di ossigeno, metabolizza l’acido piruvico, attraverso il “ciclo di Krebs” e la Catena di trasporto degli elettroni, ad H2O e CO2. Questa fase è detta ossidazione del glucosio e libera una notevole quantità di energia. GLICOLISI E RESPIRAZIONE Essi sono processi che si sostanziano nella demolizione di molecole organiche in modo da ottenere da esse l’energia che vi era immagazzinata. La glicolisi avviene nel citoplasma, mentre la respirazione nelle cellule eucariotiche, si compie nei mitocondri. Nella respirazione l’energia dell’acido piruvico è ceduta tramite una serie di processi e conservata sottoforma di molecole di ATP prodotte da ADP e fosfato inorganico (fosforilazione ossidativa). GLI STADI DELLA GLICOLISI È un processo metabolico catalizzato da enzimi, ed è un processo che porta alla formazione di due molecole di NADH ed un guadagno di due molecole di ATP. Nel primo stadio, il D-glucosio ad opera di un esochinasi ed in presenza di Mg++ è fosforilato, con il consumo di una molecola di ATP che si trasforma in ADP, e trasformato in (G6P) glucosio-6-fosfato. Questo legame fosfodiestereo conserva parte dell’energia fornita dall’ATP ed avviene in ambiente idrofobico per prevenire l’idrolisi dell’ATP. Di seguito tramite una reazione che avviene in quattro stadi il glucosio-6-fosfato è trasformato in fruttosio-6-fosfato (F6P). Questo viene successivamente trasformato, tramite il consumo di una molecola di ATP, e l’intervento dell’enzima 6-Fosfofruttochinasi, in Futtosio-1,6-Difosfato 37 (F1,6DP). Questo enzima agisce in funzione della concentrazione di ATP nella cellula, ed è particolarmente funzionante quando quest’ultima è bassa. Il F1,6DP è scisso tramite un fruttosiodifosfato aldolasi in due unità a tre atomi di carbonio, il diidrossiaceton fosfato (DHAP) e la 3-fosfogliceraldeide (G3P). Essendo queste due unità tra loro affini è possibile, tramite l’azione di un triosofosfato isomerasi (composto da istidina, lisina e acido glutammico), la trasformazione della molecola di DHAP in G3P. A questo punto la molecola di G3P, ad opera della 3-fosfogliceraldeide deidrogenasi è ossidata ad acido 3-fosfoglicerico (3PG) che in presenza di Pi è ulteriormente trasformato in 1,3difosfoglicerato (1,3DPG), con un guadagno energetico (2 molecole di NADH e 2 di ATP in totale per ogni molecola di glucosio metabolizzata) di una molecola di NADH. Successivamente una fosfoglicerato chinasi trasforma il 1,3 DPG in 3-fosfoglicerato (3PG) con la produzione di una molecola di ATP tramite una fosforilazione a livello di substrato che avviene quando un enzima trasferisce un gruppo fosfato dal substrato all’ADP (processo esoergonico). Successivamente il 3PG è isomerato tramite una fosfoglicerato mutasi in 2-fosfoglicerato (2PG). Un’enolasi converte il 2PG in acido fosfoenolpiruvico (PEP) che un piruvato echinasi trasforma in acido piruvico (Pyr) con l’ulteriore guadagno di una molecola di ATP. Il processo può essere riassunto in una sola reazione: Glucosio + 2ATP + 4ADP + 2Pi + 2NAD+→2Piruvato + 4ATP + 2ADP + 2NADH + 2H+ +2H2O E quindi: Glucosio + 2ADP + 2Pi + 2NAD+ → 2Piruvato + 2ATP + 2ADP + 2NADH + 2H+ +2 H2O. LA FERMENTAZIONE Nel caso in cui la demolizione del glucosio sia avvenuta in assenza di ossigeno (glicolisi anaerobica), le molecole di piruvato che si vengono a formare si trasformeranno in etanolo (fermentazione alcolica), nei vegetali, nei lieviti ed in altri microrganismi; oppure, nelle cellule animali, si trasforma in lattato (fermentazione lattica) con un processo attraverso il quale gli enzimi NADH e NADPH cedono l’atomo di idrogeno (ione idruro) attraverso la deidrogenasi permettendo la trasformazione del piruvato. LA RESPIRAZIONE In aerobiosi le cellule ossidano il piruvato a CO2 e H2O, tramite un processo che si compie in 2 fasi: il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa. Gli enzimi responsabili di tali reazioni si trovano nella matrice mitocondriale e nella membrana interna dei mitocondri (creste mitocodriali). L’acido piruvico attraversa la membrana mitocondriale ed arriva alla matrice mitocondriale dove viene decarbossilato ad acetil Coenzima A (acetilCoA). Questa reazione è catalizzata dal complesso della piruvico deidrogenasi che ha come coenzima il tiaminpirofosfato (TPP). COENZIMA A E TIAMIN PIROFOSFATO 40 CAPITOLO XI FOTOSINTESI LA LUCE Dal punto di vista fisico la luce è un’onda elettromagnetica trasversale in cui i campi magnetico ed elettrico oscillano perpendicolarmente alla direzione di propagazione della lunghezza d’onda ed a 90° tra loro. Tale carattere ondulatorio può essere descritto, dalla lunghezza d’onda (λ), ossia la distanza tra due picchi successivi che in base al SI è espressa in nanometri (nm); dalla frequenza, ossia il numero di onde che passano nell’unità di tempo in un punto dello spazio, e si misura in base al SI in hertz (Hz); dal numero d’onda (υ), che è espresso in cm alla -1 ed indica il numero di onde in un centimetro. Lo spettro elettromagnetico comprende tutte le radiazione a partire da quelle con minore lunghezza d’onda (Raggi γ) a quelle con lunghezza d’onda nell’ordine dei Km (Onde Radio) e si distinguono così: • Onde radio: hanno bassa frequenza ma lunghezza d’onda maggiore di un kilometro esse vengono utilizzate per le trasmissioni radio e televisive. • Microonde: hanno una lunghezza d’onda che va da un metro al millimetro e vengono utilizzate nei radar e nei forni. • Infrarosso: onde che trasmettono l’energia termica emessa dai corpi e vengono utilizzati in campo civile (fotografie all’oscuro), militare (visori notturni) e scientifico (studi di spettroscopia IR per analizzare i gruppi funzionali e la struttura delle molecole). • Luce visibile: piccolo settore dello spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda da 0,8 a 0,4 micrometri, e comprende i colori dal rosso al violetto passando per l’arancio, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco ed il violetto. • Ultravioletto: hanno una lunghezza d’onda tra i 380 e i 100 nm e sono trasmesse dal Sole, filtrate dall’atmosfere e non percepibili dall’occhi umano. • Raggi X: sono emessi dal tubo catodico ed hanno un’elevata energia che caratterizza la loro capacità penetrante e pertanto sono utilizzati in medicina per le analisi radiografiche poiché attraversano i tessuti spugnosi ma non i tessuti ossei. 41 • Raggi γ : sono raggi radioattivi emessi per decadimento di elementi pesanti presenti tra gli ultimi elementi della tavola periodica, e vengono emessi insieme alle particelle α ed alle particelle β. Secondo alcuni studi la propagazione delle onde elettromagnetiche nel vuoto avviene alla stessa velocità della propagazione della Luce (3x10 alla 8 m s alla -1). La luce che a noi appare bianca in effetti non è altro che l’insieme dei colori che vanno dal violetto al rosso man mano che aumenta la lunghezza d’onda della radiazione percepita. Quindi gli oggetti che ci appaiono colorati assorbono tutte le radiazioni dello spettro ma riflettono solo il raggio responsabile di quel colore. La radiazione è costituita da Quanti o Fotoni particelle dal comportamento sia corpuscolare che di onda. Il fotone è definito dalla relazione E = hv dove E è l’energia associata al fotone, h la costante di Planck, e v la frequenza della radiazione corrispondente. Le radiazioni differiscono tra loro per lunghezza d’onda ed energia che contengono, infatti, le radiazione con minore lunghezza d’onda hanno una maggiore energia e pertanto i raggi γ, i raggi X e i raggi ultravioletti hanno una elevata energia. Gli studi effettuati sulla fotosintesi sono relativi al campo della luce visibile in quanto secondo alcune teorie, radiazioni con energia maggiore spezzerebbero i legami delle molecole, mentre al contrario, radiazioni con una energia minore non ecciterebbe a sufficienza le particelle molecolari che partecipano al processo foto sintetico. LA FOTOSINTESI Il sole è la fonte di energia che occorre per la biosintesi dei carboidrati ed il processo della fotosintesi consente di catturare l’energia radiante emessa dal sole, di convertirla e conservarla come energia libera nei carboidrati. Tale energia è utilizzata per la formazione di NADPH e ATP che sono poi utilizzati per la conversione della CO2 in carboidrati. Gli organismi in grado di effettuare il processo di fotosintesi sono le piante, le alghe ed alcuni batteri (cianobatteri). Il processo fotosintetico può essere così schematizzato: 6CO2 + 6H2O  C6H12O6 + 6O2 Non tutti gli organismi adoperano l’acqua come donatore di elettroni e di idrogeno, infatti i batteri anaerobi usano l’idrogeno solforato e liberano zolfo invece di ossigeno: 6CO2 + 12H2S  C6H12O6 + H2O +12S Lo zolfo prodotto in questo processo è accumulato nella cellula batterica oppure espulso all’esterno della cellula. Altri batteri, invece, utilizzano l’isopropanolo che trasformano in acetone: 6CO2 + 12CH3-CHOH-CH3  C6H12O6 + 12CH3-CO-CH3 + 6H2O Alla luce di queste osservazioni l’equazione della fotosintesi può essere rappresentata: CO2 + 2H2D  (CH2O) + H2O + 2D Dove D rappresenta la forma ossidata del donatore di protoni che nella maggior parte dei casi è l’acqua. Alcuni organismi fotosintetici possono utilizzare invece del CO2 il nitrato o l’azoto molecolare trasformandoli in ammoniaca: 2NO3 + H2D – 2e  2NH3 + 9D + 6H2O Oppure: N2 + 3H2D  2NH3 + 3D Il processo fotosintetico si compone di 2 fasi: la prima è la captazione dell’energia solare da parte dei pigmenti nei cloroplasti e la sua conservazione sotto forma di energia chimica in ATP e NADPH. Nella seconda fase entrambi sono utilizzati per la riduzione della CO2. L’equazione per questo processo è: H2O + Pi + ADP + NADP+  NADPH + H+ +ATP + H2O + ½ O2 42 La molecola di acqua che compare a sinistra è necessaria per donare 2 elettroni per ridurre il NADP+ e da essa si utilizza l’ossigeno nel corso del processo fotosintetico; mentre la molecola di acqua a destra si libera in seguito alla formazione di ATP. Questa è la fase luminosa. La seconda fase è detta fase oscura nella quale ATP e NADPH convertono la CO2 in carboidrati: CO2 + NADPH + H+ + ATP  (CH2O) + ADP + Pi + NADP+ Processo catalizzato dalla clorofilla. Pertanto l’equazione globale è: CO2 + 2H2O  (CH2O) + H2O + O2 Per alcuni aspetti questa reazione è simile alla respirazione mitocondriale, l’unica differenza sta che mentre nei mitocondri gli elettroni sono trasportati all’ossigeno per formare H2O, nella fotosintesi sono trasportati all’H2O per avere l’ossigeno. APPARATI E PIGMENTI FOTOSINTETICI Nelle alghe e nelle piante verdi la fotosintesi avviene nei cloroplasti. Essi sono rivestiti da 2 membrane permeabili alla CO2 che è necessaria per la sintesi dei carboidrati nella fase oscura; processo catalizzato da enzimi presenti nello stroma racchiuso dalla membrana interna. La fase luminosa, invece, avviene nelle membrane tilacoidali, organizzate in grana, dove sono localizzati i pigmenti in grado di assorbire l’energia radiante. I principali pigmenti per l’assorbimento dell’energia luminosa sono: la clorofilla a e la clorofilla b. Gli altri pigmenti, pigmenti accessori, sono i carotenoidi e le ficobiline la cui presenza consente di utilizzare tutte le radiazioni dello spettro della luce visibile. LA CATTURA DELL’ENERGIA LUMINOSA I pigmenti sono i costituenti delle unità funzionali dette fotosistemi. In ogni fotosistema si riconosce un sistema antenna ed un centro di reazione. Il primo atto a captare l’energia, il secondo atto al trasferimento di elettroni. Il sistema antenna è costituito da un complesso di proteine e clorofilla noto come LHC che contiene circa il 50% della clorofilla totale del cloroplasto. Quando i pigmenti del sistema antenna assorbono fotoni trasmettono l’energia assorbita ad una coppia di molecole di clorofilla “a” che fa parte del centro di reazione che assorbe l’energia e porta un suo elettrone ad un livello energetico superiore trasferendolo su un’altra molecola che fa parte di una catena di trasporto di elettroni e da qui origina il processo fotosintetico, trasformando l’energia luminosa in energia chimica. FOTOSISTEMA I E FOTOSISTEMA II Sulla membrana dei tilacoidi vi sono 2 fotosistemi: il fotosistema I (PS I) è un complesso multiproteico presente sulle lamelle stromali e la coppia di clorofilla ha un massimo di assorbimento a 700 nanometri; per questo motivo il PS è detto P700. La coppia di clorofilla nel centro di reazione del fotosistema II (PS II) ha un massimo di assorbimento a 680 nanometri ed è pertanto indicato P680. A differenza del I quest’ultimo si trova nelle lamelle granali e quindi non ha contatti con lo stroma. Il PS II ha un complesso per la raccolta della luce LHC II. Al fotosistema II sono associati un sistema enzimatico formato da 3 polipeptidi e contenente Mn in grado di ossidare l’H2O, protoni, 45 glicina, che lascia il perossisoma e entra nel mitocondrio, dove subisce una decarbossilazione , ad opera di una glicina decarbossilasi NAD+ dipendente, e forma NH3 e CO2. Il gruppo etilenico viene accettato dal tetraidrofolato che lo trasferisce ad un’altra molecola di glicina che ad opera di una serina idrossimetiltransferasi, forma una molecola di serina. In tal modo da 2 molecole di fosfoglicolato si sono originate 2 molecole di glicina, e da queste, una molecola di serina, una di CO2 ed una di NH3. La serina viene poi trasportata dal mitocondrio al perossisoma, dove è trasformata in idrossipiruvato, che una idrossipiruvato reduttasi NAD+ dipendente riduce a glicerato il glicerato passa infine al cloroplasto dove una glicerato chinasi ed ATP lo trasforma in 3-fosfoglicerato che può dare inizio al ciclo di Calvin. IL CICLO C4 Alcune piante riescono a concentrare la CO2 di modo che si favorisca l’ azione decarbossilante del RuBisCO a quella ossigenante. Tale processo di fissazione dell’anidride carbonica è definito ciclo di assimiliazione C4. Le piante che hanno la fotosintesi di tipo C4 a differenza delle altre si avvalgono di due diverse strutture, le cellule del mesofillo e le cellule della guaina del fascio, che a differnza delle piante C3 contengono cloroplasti. Nelle piante C4 il mesofillo non è distinto in parenchima a palizzata e parenchima lacunoso ma è disposto in modo circolare attorno alle cellule della guaina del fascio (che qui contengono cloroplasti, amido, ma pochi grana), a loro volta disposti in modo circolare attorno alla nervatura centrale della foglia; tale disposizione è definita anatomia Kranz. Le cellule del mesofillo in queste piante contengono la fosfoenolpiruvato carbossilasi (PEP carbossilasi), ma non contengono RuBisCO; viceversa le cellule della guaina del fascio presenta il RuBisCO, ma non la PEP carbossilasi. Il processo comincia con la fissazione dell’CO2 sul PEP, ad opera del PEP carbossilasi, con la formazione di ossalacetato, questo a seconda delle decarbossilasi presenti nel mesofillo si trasforma in Malato o Aspartato, ed il prodotto a 4 atomi di carbonio viene quindi trasportato nelle cellule della guaina del fascio, dove viene liberato la CO2 ed immessa nel ciclo di Calvin dal RuBisCO. A questo punto il prodotto a 3 atomi di carbonio ritorna nel mesofillo e viene ritrasformato in PEP pronto a riprendere il ciclo C4. Tale processo, rispetto al C3, si può considerare per certi aspetti meno favorevole, in quanto vi è il consumo di una molecola di ATP e una di NADPH; tuttavia non essendo tali piante soggette ad ossigenazione e quindi a fotorespirazione s, hanno una maggiore resa fotosintetica della CO2. LA FOTOSINTESI DELLE CRASSULACEAE Alcune piante, in prevalenza delle zone aride e dei climi secchi, hanno sviluppato un meccanismo di fissazione della CO2 ritenuta un adattamento alla scarsità di acqua. Questo differente metabolismo è definito metabolismo CAM (metabolismo acido delle crassulaceae). Il processo, come nel ciclo C4, inizia con la fissazione della CO2 sul PEP, con la successiva decarbossilazione del prodotto C4 formatosi. Però mentre nel ciclo C4 tali processi si svolgono nel mesofillo e nella guaina del fascio, nel CAM questi processi avvengono, sebbene in tempi differenti, tutti nelle cellule del mesofillo. Infatti durante la notte, a stomi aperti vi è la 46 carbossilazione, durante il giorno, con gli stomi chiusi ed una scarsa traspirazione, avviene la decarbossilazione. La prima fase del processo comprende la fissazione sul PEP della CO2, con la seguente formazione di ossalacetato, che la malato deidrogenasi trasforma in malato, che essendo un potenziale alteratore di Ph, viene conservato nel vacuolo fino a che non fa giorno, ed è allora che viene decarbossilato, e la CO2 emessa va a prendere parte al ciclo di Calvin, e trasformato in piruvato. Il piruvato poi viene trasformato in Amido fino alla notte, quando viene scisso in fosfoenolpiruvato che ricomincia il ciclo CAM SINTESI DELL’AMIDO La maggior parte delle piante, indipendentemente dalla tipologia di fissazione della CO2, conservano amido nei cloroplasti. Infatti la 3-fosfogliceraldeide e il diidrossiacetonfosfato, possono tanto procedere al ciclo di calvin , tanto partecipare ad un processo di sintesi dell’amido. Il processo ha inizio con la reazione tra 3-GAP e DHAP che porta alla formazione, tramite un’aldolasi, di Fruttosio-1,6-difosfato, che una fosfatasi trasforma in Fruttosio-6-fosfatog, tale prodotto, ad opera di una fosfoisomerasi, viene trasformato in Glucosio-6-fosfato che una mutasi trasforma in Glucosio-1-fosfato, infine convertito in ADP-Glucosio, ossia il monomero delle catene di amilosio ed amilopectine che vanno a formare l’amido. L’azione dell’ADP glucosiopirofosfato, l’enzima responsabile della conversione del Glucosio-1-fosfato, è in relazione alla concentrazione di 3GAP e Pi; infatti un elevato rapporto 3GAP/Pi, sintomo di una forte azione foto sintetica stimola l’azione di tale enzima, viceversa quando il rapporto diminuisce l’enzima viene inibito. L’amido conservato, di notte quando la fotosintesi è ferma, viene metabolizzato per la formazione di saccarosio. La sintesi del saccarosio avviene in tutte le piante superiori indipendentemente dal processo foto sintetico. Essa avviene nel citosol e i substrati per la sintesi sono uguali a quelli per la sintesi dell’amido, ossia 3GAP e DHAP, che trasportati da carriers specializzati dal cloroplasto al citosol dove vi sono gli enzimi specializzati a tale processo. 47 CAPITOLO XII ISTOLOGIA L’istologia è la branca della biologia che esamina la struttura microscopica dei tessuti, essa avviene tramite l’utilizzo di microscopi, microtomi e raggi x a scarsa penetrazione, che permettono di approfondire quanto meglio tale struttura. Una parte dell’istologia è la istogenesi, quel processo di differenziamento delle cellule embrionali, fino a diventare cellule specializzate che permettono all’individuo adulto di svolgere tutte le funzioni necessarie della vita. ISTOLOGIA E CELLULE VEGETALI Le cellule vegetali sono caratterizzate da una parete cellulare, più o meno rigida, da un protoplasto, separato dalla parete da una membrana plasmatica, e da un nucleo. Generalmente le cellule sono dotate di un solo nucleo, in quanto la duplicazione del nucleo, è correlata alla citodieresi; tuttavia non sono rari casi in cui la duplicazione del nucleo non è seguita da citodieresi, con conseguente formazione di cellule con più nuclei che esercitano la loro influenza su di un solo citoplasma. Tali entità sono definiti cenoblasti, la cui sfera di azione (energide) nel citoplasma, essendo duplice può essere considerata come una cellula polienergidica. Gli apocizi, sono entità polienergidiche formatesi dall’accrescersi delle cellula in seguito a numerose divisioni nucleari non seguite da citodieresi, caratteristico di alcune alghe o funghi. Se invece le cellule, inizialmente separate, per un riassorbimento delle pareti, formano cellule polienergidiche, vengono definite sincizi. Le cellule vegetali possono tanto essere unicellulari (monoplasti) che pluricellulari (poliplasti). Nel caso che gli organismi pluricellulari siano costituiti da cellule a sé stanti, senza continuita citoplasmatica, si parla di colonie, nelle colonie tutte le cellule sono uguali e senza alcuna specializzazione, tipico delle colonie batteriche e di alghe verdi. Nel caso in cui, nelle cellule pluricellulari, le cellule restano a contatto con loro e svolgono insieme le stesse funzioni biologiche, si parla di tessuti. I tessuti sono il risultato di divisioni cellulari di altre cellule che avviene nelle tre 50 • Parenchima acquifero • Parenchima aerifero • Parenchima di riserva • Parenchima conduttore PARENCHIMA CLOROFILLIANO Esso è un tessuto adulto primario e deriva dai meristemi apicali caratterizzato dalla presenza di cloroplasti ed in esso avviene la fotosintesi clorofilliana. Si trova nelle foglie ed in tutte le parti fotosintetiche della pianta. Le cellule del parenchima clorofilliano sono vive con spazi intercellulari più o meno ampi e caratterizzate dalla presenza di cloroplasti. PARENCHIMA ACQUIFERO Le cellule di tale parenchima hanno una parete sottile, citoplasma ridotto e vacuoli molto sviluppati, talora un unico grande vacuolo con sostanze mucillaginose atte alla conservazione di grande quantità di acqua. Questo parenchima è caratteristico delle foglie delle piante che vivono in ambienti aridi e può essere di origine primaria o secondaria. PARENCHIMA AERIFERO O AERENCHIMA Può essere di origine sia primaria che secondaria ed è caratterizzato dal grande sviluppo degli spazi intercellulari esistenti, infatti le cellule, che hanno una struttura ovoidale, permettono il ricambio di aria e gas tra l’organo e l’ambiente esterno ed è grazie alla presenza di questo parenchima che le parti sotterranee delle piante riescono a respirare, oppure che le foglie delle piante acquatiche riescono a galleggiare. PARENCHIMA DI RISERVA Sono dislocati in diverse parti del corpo della pianta sebbene nella maggior parte dei casi si trovano negli organi per la funzione di riserva (bulbi, rizomi e tuberi). Le cellule dei parenchimi di riserva hanno pareti sottili e spazi intercellulari ristretti. La sostanza che più frequentemente è conservata è l’amido, tuttavia vi si possono trovare carboidrati, proteine e grassi. PARENCHIMA CONDUTTORE E’ formato da cellule allungate senza spazi intercellulari ma con pareti molto sottili e ricche di punteggiature, atte a trasportare soluzioni. Viene consentito il trasporto di acqua, sali e sostanze organiche. TESSUTI TEGUMENTALI Svolgono in genere una funzione protettiva perché rivestono la superficie esterna della pianta, proteggendola dagli agenti atmosferici e dai parassiti, inoltre, regolano gli scambi gassosi della pianta. Si classificano in: primari esterni (epidermide o esoderma), primari interni (endoderma) e secondari esterni (sughero). EPIDERMIDE 51 E’ un tessuto tegumentale esterno primario. Negli organi aerei della pianta svolge la funzione protettiva, limita la traspirazione e regola gli scambi gassosi. E’ generalmente monostratificata ma vi sono casi di epidermide multipla. Tuttavia, in questi casi, lo strato esterno funziona da epidermide mentre quelli interni fungono da parenchima acquifero. Un esempio di epidermide multipla è il velamen di cui sono provviste le radici aeree di molte monocotiledoni. Le cellule epidermiche sono cellule vive appiattite ed a stretto contatto tra loro, hanno un citoplasma sottile ed un unico grosso vacuolo. Il numero dei plastidi è ridotto e spesso sono non differenziati. La caratteristica principale di queste pareti è la presenza di cutina, una sostanza idrofoba che può essere presente sia come impregnazione delle pareti (cutinizzazione) o come strato superficiale (cuticola). La cuticola ricopre tutta la pianta tranne le radici ed è più spessa in ambienti xerofitici. A volte sopra la cuticola possono trovarsi delle cere, anch’esse impermeabili all’acqua e quindi aumenta la resistenza dell’epidermide. Il rivestimento ceroso costituito da piccoli grani è detto pruina presente sui rivestimenti di numerosi frutti. Infine sull’epidermide vi si possono trovare alcune emergenze di tessuti sottostanti l’epidermide detti peli o tricomi. La struttura dell’epidermide della radice detta rizoderma presenta notevoli differenze rispetto a quella del fusto e delle foglie, infatti più che una funzione protettiva svolge una funzione assorbente, svolta dai peli radicali, strutture che consentono l’assorbimento dell’acqua e dei sali. GLI STOMI Sono degli apparati dell’epidermide delle parti aeree della pianta che consentono e regolano gli scambi gassosi. Le cellule stomatiche si formano nel momento in cui l’epidermide si differenzia dal protoderma perché alcune cellule riprendono a dividersi ed originano 2 cellule, una delle quali diventa cellula madre dello stoma e l’altra cellula epidermica. La cellula madre origina per divisione le cellule di guardia, caratterizzate dalla presenza di cloroplasti, non presenti nelle cellule epidermiche. Ingrandendosi le cellule assumono una forma a rene e la parete che le unisce è detta rima stomatica. Contemporaneamente nei tessuti sottoepidermici si forma il nucleo della camera sottostomatica. Le cellule di guardia possono essere accompagnate da cellule annesse la cui struttura è caratteristica della famiglia della pianta. Al variare del turgore cellulare si possono controllare gli scambi gassosi dei tessuti con l’ambiente esterno, infatti un aumento del turgore determina un’apertura della rima stomatica, mentre una diminuzione ne provoca la chiusura. A seconda della struttura delle cellule di guardia, in base alla presenza o all’assenza di cellule compagne o annesse, si distinguono 4 tipi di stomi: • Anisocitici, sono stomi circondati da tre cellule compagne, una più piccola delle altre due; • Anomocitici, sono stomi circondati da cellule epidermiche; • Diacitici, hanno 2 cellule compagne poste perpendicolarmente all’asse dello stoma; • Paracitici, sono stomi con 2 cellule compagne caratterizzate dall’asse parallelo a quello dello stoma. Un parametro utile per il riconoscimento delle droghe è l’indice stomatico: I=100/(E+S) dove E ed S sono le cellule epidermiche e gli stomi. La posizione ed il numero degli stomi sull’epidermide delle foglie varia a seconda dell’ambiente climatico dei luoghi dove vive la pianta: le piante acquatiche hanno foglie epistomatiche (con stomi solo sulla parte superiore), le piante xerofite hanno cripte stomatiche ossia, introflessioni dell’epidermide che raggruppano gli stomi. Altre piante presentano stomi su ambedue le superfici (foglie anfistomatiche), oppure solo sulla parte inferiore della foglia detta ipostomatica. 52 Oltre agli stomi aeriferi sono da ricordare quelli acquiferi presenti in strutture dette idatodi. Tali stomi permettono la guttazione ossia la fuoriuscita di acqua in eccesso, in questi particolari stomi le cellule di guardia sono morte e la rima stomatica è perennemente aperta consentendo la fuoriuscita di acqua. Tra le cellule epidermiche sono da annoverare le cellule bulliformi che consentono lo svolgimento e l’avvolgimento della foglia e gli idroporti, cellule delle piante acquatiche sommerse che assorbono l’acqua. RIVESTIMENTI TRICOMATOSI I peli o tricomi, uni o pluricellulari sono atti a proteggere la struttura che rivestono dalle radiazioni solari, difendono da una eccessiva traspirazione e sono elemento di riconoscimento tassonomico di alcune specie. Sono appendici costituite da singole o complessi di cellule con forme e funzioni diverse, prodotti esclusivamente per estroflessione delle cellule epidermiche. I peli di protezione sono costituiti da cellule morte e oltre a limitare la traspirazione e proteggere dalle radiazioni solari, sono anche organi di volo come nei semi di cotone o di salice. I peli aggrappanti o uncinati permettono ad alcune piante di legarsi ad altre. I peli secretori secernono sostanze di diversa composizione e funzione. I peli urticanti, caratteristici dell’ortica, sono cellule vive riunite in una struttura detta piede sulla quale poggia una grossa cellula rigonfia e prolungata costituente il collo. La parte apicale termina con un piccolo rigonfiamento che in caso di urto si stacca e l’apice della cellula acuminata e tagliente penetra nella pelle iniettando il secreto cellulare che contiene acido formico cui è dovuta la sensazione di prurito. L’apice della cellula si rigenera dopo la rottura. Le papille caratterizzano i petali di alcuni fiori tra i quali la primula e la viola del pensiero cui conferiscono un aspetto vellutato. Le setole tattili provocano al contatto una contrazione dell’organo che rivestono. I peli radicali sono destinati ad assorbire l’acqua e sono estroflessioni dello strato pilifero delle radici. ESODERMA E’ un tessuto presente nelle radici delle angiosperme e gimnosperme e si forma per suberificazione di un tessuto parenchimatico. Può essere pluristratificato e permeabile in alcuni punti. ENDODERMA E’ un tessuto collocato sotto la corteccia, tipico degli organi con funzione assorbente, ma a volte presente anche in fusti sotterranei. E’ generalmente costituito da un solo strato di cellule vive e prive di spazio intercellulare: questa fascia è detta banda del Caspary, mentre i punti del Caspary sono ispessimenti puntiformi visibili su una sezione attraversata dalla banda. Nelle radici delle piante che hanno accrescimento secondario le pareti delle cellule dell’endoderma non presentano modificazioni, mentre in quelle che non hanno accrescimento secondario, le pareti si ricoprono di suberina e cellulosa. Poiché non tutte le cellule subiscono questi processi residuano dei punti di permeazione attraverso i quali possono circolare le soluzioni. Queste caratteristiche strutturali fanno si che le soluzioni possano entrare solo per osmosi nel citoplasma. SUGHERO 55 • Vasi anulo-spiralati, presenti negli organi in cui è ancora possibile l’allungamento, caratterizzati da anelli separati da spire; • Vasi reticolati, presentano zone significate a forma di reticolo. La reticolazione può essere più o meno fitta e la parete di questi vasi è più rigida delle altre così che siano presenti solo negli organi adulti e completamente differenziati; • Vasi punteggiati, anch’essi tipici degli organi adulti, con la parete tutta ispessita salvo alcuni punti di forma circolare (punteggiature) che consentono di comunicare i vasi con altri vasi o con le cellule circostanti. Se le punteggiature sono molto allungate si parla di vasi scalariformi. Gli anelli e le spirali dei vasi possono avere distanza e spessore diverso, mentre le punteggiature possono essere semplico o areolate (con o senza toro). Le punteggiature si dicono di tipo araucarioide se sono disposte in modo alterno su alcune file longitudinali, se invece sono poche e su un’unica fila longitudinale si dicono di tipo abietoide. I vasi si possono poi differenziare in base alla presenza o meno di parete tra cellule comunicanti e sovrapposte; nel caso in cui essa sia intatta ma ricca di punteggiature si parla di vasi chiusi o tracheidi; nel caso in cui le pareti sono più o meno riassorbite si parla di vasi aperti o trachee. In generale le trachee hanno una portata maggiore delle tracheidi e svolgono quindi meglio le esigenze di trasporto delle soluzioni. Al legno secondario costituito solo da tracheidi si dà il nome di omoxilo, mentre si parla di legno eteroxilo se è costituito da trachee, tracheidi, fibre e parenchimo del legno. TESSUTO CRIBROSO Detto anche floema è adibito al trasporto delle sostanze organiche elaborate dalle foglie verso i tessuti dove vengono utilizzate o accumulate. E’ costituito da tubi cribrosi o laddove sia meno specializzato, da cellule cribrose. I tubi cribrosi sono costituiti da cellule vive con parete elastica di vario spessore. Tali cellule hanno la caratteristica che quando il tubo cribroso inizia a funzionare il protoplasto è privo di nucleo e nonostante ciò tali cellule rimangono vive. Le cellule dei tubi cribrosi sono disposte in file longitudinali, allungate nella direzione delle file e le pareti cellulari, presentano aree fittamente perforate attraverso le quali passano i cordoni plasmatici. Tali aree sono dette placche cribrose. Se le pareti trasversali sono orientate perpendicolarmente alle pareti longitudinali si ha placca cribrosa semplice, quando invece le pareti sono fortemente oblique e le placche sono separate da porzioni non perforate di parete, si ha placca cribrosa composta. La funzionalità dei tubi cribrosi è limitata ad una sola stagione vegetativa poiché le perforazioni di tali tubi sono rivestite da callosio, che man mano che il tubo invecchia aumenta e pertanto alla fine della stagione la placca cribrosa è ricoperta da una massa di callosio detta callo. Tuttavia in alcune specie vi sono enzimi che eliminano il callo permettendo ai tubi cribrosi di riprendere a funzionare. Nel caso in cui invece del tubo cribroso vi sia la cellula cribrosa, tipo primitivo di elemento cribroso le cui aree perforate sono indistinte e tutte ugualmente poco specializzate. FASCI CONDUTTORI E’ il nome dato a un complesso formato da tessuto conduttore e tessuti di tipo parenchimatico e sclerentimatico; il fascio vascolare detto anche fascio legnoso oppure xilema; il fascio cribroso è detto anche floema o libro. Nel fascio vascolare si distinguono protoxilema e metaxilema. Il primo matura quando il fascio vascolare comincia il differenziamento e termina il processo di maturazione prima che sia terminato il processo di allungamento dell’organo di cui fa parte. A mano a mano che avviene la maturazione del fascio vascolare si comincia a formare il metaxilema costituito da fasci più ampi ed eterogenei. 56 Il fascio cribroso è costituito da protofloema e metafloema. Il primo è quella parte del fascio cribroso che si forma mentre l’organo è ancora in fase di allungamento, mentre al termine dell’allungamento si forma il metafloema. Fanno parte del fascio cribroso anche le cellule parenchimatiche e le cellule compagne. Le parenchimatiche sono disposte nella stessa direzione dei tubi cribrosi e costituiscono il parenchima del libro. Le cellule compagne affiancano il tubo cribroso e comunicano con essi tramite plasmodesmi. Generalmente i fasci vascolari e quelli cribrosi sono ravvicinati e formano un unico fascio (fascio cribrovascolare) che a seconda della reciproca disposizione dei fasci è definito collaterale, concentrico o radiale. I fasci collaterali sono i più comuni e sono costituiti da un fascio vascolare ed uno cribroso molto ravvicinati, con il vascolare all’interno e il cribroso verso la parte esterna del fusto. Quando xilema e floema sono a stretto contatto tra loro si parla di collaterale chiuso. Se invece vi dovesse essere interposto un sottile strato di meristema cambiale il fascio è detto collaterale aperto. La presenza del meristema cambiale nei fasci collaterali consente l’accrescimento di spessore di tali fasci. Quando 2 fasci cribrosi affiancano un fascio vascolare si parla di fascio bicollaterale. Mentre nel caso in cui uno dei tessuti circondi completamente l’altro si ha un fascio concentrico e si distingue in perixilematico o perifloematico. Il fascio è detto radiale quando i fasci visti in sezione trasversale sono disposti come i raggi di una ruota. TESSUTO SECRETORE E’ un tessuto le cui cellule sono specializzate per la secrezione di sostanze di varia natura quali oli essenziali, resine, terpeni. Si parla di secrezione quando l’espulsione di sostanze ha motivi funzionali, escrezione, invece, è il processo di espulsione di sostanze prive di funzione, il processo riferito all’espulsione di sostanze che non hanno preso parte al metabolismo è detto secrezione. Di solito la differenza tra escreti e secreti è solamente convenzionale infatti vi sono molti casi intermedi, ad ogni modo vanno definiti tessuti secretori solo quei tessuti che originano tipi di sostanze che dal punto di vista metabolico non hanno più interesse per la vita della pianta. Vi sono 2 tipi di tessuto secretore: tessuto secretore e tessuto ghiandolare. I tessuti ghiandolari espellono le sostanze nell’ambiente esterno o all’interno della pianta stessa (secrezione extracellulare), i tessuti secretori riversano i secreti nei vacuoli delle cellule (secrezione intracellulare). Le cellule secretrici e le cellule ghiandolari sono singole cellule che svolgono la funzione secretrice all’interno di altri tessuti e sono quindi degli idioblasti. CELLULE E TESSUTI SECRETORI DI ORIGINE PARENCHIMATICA Le cellule secretrici possono essere sia isolate sia riunite in gruppi. I prodotti secreti da queste cellule sono di varia natura e sono conservati nelle cellule stesse, nei vacuoli oppure in cavità definite tasche. Esse si ritrovano in varie parti della pianta quali bucce dei semi, cortecce, foglie, radici e rizomi. Alcune cellule sono poi caratterizzate dal contenuto (oli essenziali, mucillagini, enzimi). Quando alcune cellule dopo aver elaborato il secreto entrano in lisi, si formano i serbatoi lisigeni o tasche lisigene. Quando le cellule secretrici, a seguito di divisioni di una cellula madre, e dell’allontanamento delle cellule figlie, originano una cavità nella quale riversano il loro secreto, si parla di serbatoi schizogeni o tasche schizogene. Alla categoria dei serbatoi schizogeni appartengono anche i canali resiniferi e un particolare tipo di tessuto l’epitema che concorre all’eliminazione dell’acqua dalla pianta. 57 Altri tessuti secretori sono i laticiferi così chiamati per il liquido acquoso di colore bianco (latice) in essi contenuto. I canali laticiferi sono divisi in 2 categorie: apociziali o sinciziali. Gli apociziali o anche cellule laticifere si differenziano in cellule adulte che danno luogo a tubi laticiferi non articolati, ma ramificati e tubi laticiferi non articolati e non ramificati. I tubi sinciziali originano da cellule che inizialmente separate e sovrapposte, hanno subito un riassorbimento delle pareti. CELLULE E TESSUTI SECRETORI DI ORIGINE EPIDERMICA Cellule e tessuti ghiandolari esterni sono: i peli secretori, i peli digerenti, i peli urticanti, i nettari, emergenze ghiandolari e le squame secretici. L’epidermide infatti può essere provvista di cellule epidermiche che elaborano essenze, resine ed oleoresine. Le cellule che elaborano essenze si trovano nei petali mentre le altre sono sparse su tutto il corpo della pianta. I peli ghiandolari sono formazioni dotate di cellule che secernono essenze o balsami; i peli urticanti producono sostanze irritanti. I nettari sono ghiandole della secrezione del nettare, soluzione zuccherina che si trova sui fiori ma anche in altre parti della pianta e costituisce un richiamo per gli insetti, e da esso le api ne ricavano il miele. CAPITOLO XIII IL FUSTO GERMINAZIONE DEL SEME E FORMAZIONE DELLA PLANTULA Il seme è il risultato della evoluzione dell’ovulo a seguito della fecondazione del granulo pollinico e può essere considerato un embrione che raggiunto un certo stato di sviluppo, rimane in una fase di quiescenza, dal quale si risveglia al momento della germinazione. La germinazione è funzione di alcuni parametri interni ed esterni al seme. Quelli interni sono le caratteristiche morfologiche del seme, la maturità, il grado di disidratazione e la quantità di sostanze di riserva accumulate in esso. Quelli esterni sono l’umidità esterna, la temperatura e la esposizione alla luce solare. A seconda del comportamento del seme rispetto alla luce, i semi possono essere classificati in: • Fotoblastici, obbligati o facoltativi a seconda che la germinazione sia possibile solo in presenza di luce o se questa la promuove solamente. • Afotoblastici, obbligati se la germinazione è impedita dalla luce facoltativi se questa la ritarda solamente. • Indifferenti, quelli che non risentono della presenza o della assenza della luce. Nel momento i cui si verifica la condizione ottimale di idratazione, il seme si riattiva, demolisce le sostanze di riserva conservate in esso, inizia i processi di respirazione e si verifica un accrescimento degli organi principali con la conseguente formazione della plantula. Si distinguono due tipi di plantule, quelle con seme epigeo e quelle con seme ipogeo. Le plantule con seme epigeo hanno origine, al momento della germinazione, dalla spaccatura del tegumento del seme con conseguente formazione della radichetta, che accrescendosi verso il basso, 60 esistono anche cauli tetragonali, prismatici, a palla ecc.; per quanto riguarda la consistenza, esistono cauli legnosi, carnosi ed erbacei. Sci erbacei si distinguono in: • Culmo che può essere anche legnoso e a sua volta distinto in pieno e cavo, a seconda che i fasci cribro-vascolari siano distribuiti in tutto lo spessore del cilindro centrale, o in un ristretto segmento del fusto, prossimo all’epidermide. • Scapo, fusto erbaceo che non reca rami e fogli, che si erge direttamente dalla radice e presenta solo fiori in posizione terminale. • Stelo, fusto tipico delle erbe che presenta foglie e fiori. • Alberi, quando il tronco è presente e si ramifica ad una certa altezza dal terreno. • Arbusti, quando il fusto si ramifica sin dalla base ed è alto fino a 2-3 metri. Si distinguono in frutici, con le ramificazioni completamente legnose, e suffrutici se il fusto è legnoso alla base ed erbaceo all’estremità. La superficie del caule può essere liscia, rugosa, striata, sugherosa ecc., mentre può essere rivestita di legno, peli o altro. Per quanto riguarda il portamento il caule può essere: • Eretto, se il caule si erge verticalmente. • Ascendente, se il caule è prima plagio tropo e poi eretto. • Sdraiato o Sarmentoso, se striscia sul suolo. • Volubile, se si erge avvolgendosi su sostegni. • Rampicante, se erge aggrappandosi ad altri fusti con cirri, uncini, ventose, radici o altro. Quando il fusto è eretto e i rami pendono verso il suolo,il portamento è detto piangente, mentre se i rami prima scendono verso il basso per poi risalire vengono definiti procombenti. Infine a seconda della durata, i fusti, si definiscono, annui, bienni o perenni. ANATOMIA La struttura anatomica del fusto si può dividere in varie zone, partendo dall’apice vegetativo. La zona embrionale, è formata da meristemi primari con cellule meristematiche, non differenziate e tutte uguali tra loro. La zona di determinazione, è formata da meristemi primari parzialmente differenziati, ed alla fine di essa si riscontrano sistemi meristematici destinati a dare origine ai tessuti adulti. La zona di differenziamento, è costituita da cellule che hanno perso la loro caratteristica meristematica a mano a mano che assumono le caratteristiche di quelle dei tessuti adulti, pertanto le cellule in questa zona presentano morfologia e funzionalità peculiari del tessuto in cui si trovano. La zona di struttura primaria è la zona dove termina i processi di differenziamento e vi sono i tessuti adulti primari, dotati della loro piena funzionalità. La zona di struttura secondaria è presente solo in quelle piante in cui vi sono i meristemi secondari. Zona embrionale L’apice vegetativo, o apice del germoglio, è formato da tessuti meristematici primari, senza alcuna differenziazione morfologica funzionale, e a mano a mano che iniziano tali processi ci si allontana dalla zona embrionale. Le cellule dei tessuti meristematici si dividono in due direzioni dette anticlinale e periclinale. La divisione delle cellule in direzione anticlinale comporta un accrescimento del numero delle cellule, e quindi della superficie, ma non un accrescimento in spessore, questo infatti è garantito dalla divisione cellulare in direzione periclinale. L’estensione dell’apice vegetativo rimane pressochè inalterato, infatti al protrarsi in avanti dell’apice vegetativo, per effetto della divisione delle cellule meristematiche, le cellule che prima appartenevano all’apice, e che ora si trovano distanziate da esso, cominciano il loro processo di 61 differenziazione. Le cellule che invece continuano ad avere carattere meristematico si definiscono promeristemi. I tessuti giovani invece che si trovano al di sotto dell’apice del fusto, sono detti protoderma, procambio e meristema fondamentale (protomidollo e protocorteccia), e da essi si differenziano l’epidermide, il tessuto vascolare ed il tessuto fondamentale. Nella maggior parte delle pteridofite, l’apice del germoglio è costituito da un’ unica grande cellula detta cellula apicale che per divisione genera due cellule, di cui una sarà la nuova cellula apicale, e l’altra, più piccola, avrà carattere meristematico e per divisione darà origine altre cellule. In seguito, come per accrescimento dei piani laterali di una piramide, si generano epidermide, corteccia e cilindro centrale. Nelle piante superiori invece, le cellule iniziali sono molteplici e le cellule dei meristemi che da esse derivano sono disposti in tre strati sovrapposti. Le cellule dello strato più esterno sono quelle che differenziandosi daranno origine all’epiderma, quelle dello strato intermedio formeranno la corteccia e quelle dello strato interno i diversi tessuti del cilindro centrale. Hanstein cercò con la sua teoria degli istogeni fondamentali, di spiegare la relazione tra la struttura dell’apice vegetativo, e quella del fusto, e a tal proposito, localizzò nell’apice vegetativo tre tipi di generatori di tessuto: il dermatogeno (epidermide), pleroma (cilindro centrale), periblema (corteccia). Tuttavia tale teoria si è rivelata inesatta poiché non esiste una tale rigida relazione tra la struttura del fusto e quella dell’apice. Schmidt propose allora la teoria della tunica e del corpo, secondo la quale vi sarebbe un nucleo interno (corpus), attorno al quale vi è un rivestimento stratificato (tunica). La tunica si differenzia dal corpus per la differente direzione di divisione cellulare, infatti nella tunica esse si dividono in direzione esclusivamente anticlinale, mentre nel corpus in direzione periclinale ed anticlinale. Vi è infine la teoria di Plantefol e Buvat, la teoria dell’anello iniziale, secondo la quale vi sarebbe un anello iniziale dalla intensa attività meristematica e che costituirebbe un meristema di attesa, che alla ripresa della sua attività originerebbe fiori e foglie. Zona di determinazione e zona di differenziamento Al di sotto dell’apice vegetativo vi è la zona di determinazione, costituita da meristemi parzialmente determinati, nella quale sono distinti il protoderma, il procambio ed il meristema fondamentale, diviso in protocorteccia, tra protoderma e procambio, e proto midollo, posto internamente al procambio. In questa zona le cellule del protoderma e del meristema fondamentale, riducono la loro attività meristematica e cominciano a trasformarsi in cellule adulte con le rispettive strutture vacuolari; le cellule del procambio invece presenteranno sempre carattere meristematico e pertanto viene definito anello meristematico primario. Gradualmente si passa dalla zona di determinazione alla zona di differenziamento dove, sebbene non ci sia un limite netto, terminano le divisioni cellulari ed iniziano le distensioni cellulari. Non tutti i tessuti si differenziano in tessuti adulti alla stessa velocità, infatti il protoderma diventa epidermide, il meristema fondamentale si differenzia in più modi, mentre il procambio, che ancora presenta carattere meristematico, in alcune zone forma i cordoni procambiali che, se a stretto contatto, costituiscono i cilindri procambiali. La parte del cordone pro cambiale disposta verso il centro del fusto lignifica e viene definita protoxilema, mentre la parte rivolta verso l’esterno si differenzierà in protofloema. Successivamente, sulla parte esterna del protoxilema si formerà il metaxilema, mentre sulla parete interna del protofloema si origina il metafloema. Nella parte mediana del cordone procambiale delle piante con accrescimento secondario, permangono delle cellule con carattere meristematico e non differenziate e danno origine al cambio. I fasci così strutturati sono definiti fasci collaterali e si differenziano in aperti se tra legno e libro vi è il cambio, mentre sono detti chiusi se legno e libro sono a contatto. Al termine della zona di differenziamento, inizia la struttura primaria, diversa da pianta a pianta. 62 Struttura primaria È la zona caratterizzata da tessuti che hanno terminato il loro processo di differenziamento. Nelle monocotiledoni e in alcune dicotiledoni tale struttura resta inalterata a vita; mentre nelle gimnosperme e nella maggior parte delle dicotiledoni, per azione di tessuti meristematici secondari, compare una struttura secondaria. La struttura primaria del fusto è divisibile in tre regioni: • Epidermide, derivante dal protoderma, che si identifica con il tessuto tegumentale. • Corteccia primaria, compresa tra epidermide e cilindro centrale, ha origine dal meristema fondamentale. • Cilindro centrale, ha origine dal procambio, e contiene midollo, periciclo e raggi midollari. L’epidermide del fusto è un tessuto tegumentale esterno, molto spesso, monostratificato e pareti cellulari cellulosiche e cutinizzate. Ha la funzione di limitare la traspirazione e proteggere da lesioni meccaniche. La corteccia primaria invece, è generalmente pluristratificata e i tessuti che lo compongono sono di tipo parenchimatico (parte interna del fusto), o presentano collenchima e sclerenchima (parte esterna del fusto). La corteccia primaria, presentando nella sua parte più esterna dei cloroplasti svolge una azione fotosintetica, tuttavia i cloroplasti della parte più interna essendo trasformati in leucoplasti, svolgono una funzione di riserva energetica. Di frequente lo strato più interno della corteccia è così ricco di amido da essere definito guaina amilifera, nel caso meno frequente di accumulo di ossalati si parla di guaina ossalifera. Il cilindro centrale o stele, deriva da procambio e proto midollo, e per la presenza di tessuti conduttori e per le funzioni che esplica si può definire la struttura principale del fusto. Le caratteristiche del cilindro centrale sono differenti a seconda del gruppo di piante ed a volte anche nella stessa specie. Cilindro centrale del fusto delle gimnosperme e delle dicotiledoni La struttura di tali piante è costituita da: • Periciclo, che limita la stele esternamente, • Fasci conduttori, di tipo collaterale aperto, • Midollo, che occupa la parte centrale della stele, • Raggi midollari, situato tra fascio e fascio. Il parenchima midollare, nel quale si possono distinguere dei fasci cribro-vascolari di tipo aperto, è costituito dal midollo e dal periciclo, a contatto con la corteccia. Il midollo è la parte centrale del fusto, esso è costituito da cellule prive di clorofilla, ma con la presenza di alcuni plastidi amiliferi, per cui vi si può anche attribuire una funzione di riserva. Nei fusti che vengono definiti fistolosi, il midollo viene riassorbito. Gli spazi tra i fasci conduttori sono riempiti da parenchima fondamentale, che forma i cosiddetti raggi midollari, la cui funzione è quella di collegare le zone esterne del fusto con quelle interne. Questo tipo di cilindro riproduce abbastanza fedelmente quello che è il cilindro delle Gimnosperme, che è definito eustele, mentre nel cilindro delle dicotiledoni possono presentarsi talune differenze, infatti i fasci possono presentarsi anche come bicollaterali, ossia fasci che hanno cribro sia all’interno che all’esterno del legno (floema intraxilare) e disposti in modo così ravvicinato da far sembrare legno e libro degli anelli concentrici. Cilindro centrale del fusto nelle Monocotiledoni Si differenzia da quello delle dicotiledoni e delle gimnosperme per la distribuzione e la natura dei fasci conduttori. Infatti essi invece di formare un cerchio sono disposti in maniera irregolare, caratteristica dei cilindro a atactostele. Questi vanno distinti in due gruppi, uno in cui i fasci cribro-vascolari sono disposti in tutto lo spessore del cilindro, ed uno in cui tali fasci sono disposti solo nella zona superficiale. 65 con tessuti parenchimatici (parenchima di riserva) e tessuti meccanici (fibre sclerenchimatiche che, fungono da sostegno); non è raro la presenza di tessuti secretori (tubi laticiferi, canali resiniferi). Nel legno secondario sono presenti un sistema di tessuti assiale e uno radiale: il primo svolge funzioni meccaniche, di conduzione e di riserva, il secondo, ha funzione di collegamento trasversale e di riserva. Un’ altra differenza tra il legno primario e secondario consiste nella lunghezza dei vasi, infatti nel legno primario i vasi del protoxilema, sono più lunghi di quelli del metaxilema; nel legno secondario invece i vasi sono ancora più corti di quelli del metaxilema, dovuto al fatto che le cellule del cambio mancano di allungamento. Il legno secondario delle Gimnosperme è detto omoxilo per le sue caratteristiche di omogeneità di struttura rispetto a quella delle Dicotiledoni il cui legno è detto eteroxilo. Nelle gimnosperme il tessuto vascolare è costituito da tracheidi di tipo punteggiato, e le funzioni di sostegno sono svolte da un unico tipo di tessuto, con sole tracheidi con la parete inspessita; manca però un parenchima verticale, pertanto il sistema verticale è costituito esclusivamente di tracheidi. Le tracheidi comunicano grazie a molte punteggiature areolate disposte su file semplici e appaiate (abietoide) oppure su file alterne (araucarioide). Il sistema radiale è costituito dai raggi midollari, che tramite cellule parenchimatiche o tracheidi del raggio, permettono gli scambi in direzione radiale. La struttura del legno secondario delle dicotiledoni prevede che ogni funzione sia svolta da uno specifico tipo di elemento: elementi parenchimatici (parenchima del legno), elementi di conduzione (vasi), ed elementi meccanici (fibre del libro e del legno), per lo più presenti in tutti i tipi possibili. Infatti i vasi sono costituiti da trachee e tracheidi, ma si riscontrano anche tracheo-tracheidi, tracheidi-trachee e fibro-tracheidi, senza dimenticare forme di transizione tra le cellule parenchimatiche e le fibre, come ad esempio i fibre di sostituzione. Anche i raggi midollari e gli elementi parenchimatici sono molto eterogenei e pertanto la struttura di tale legno secondario è definita eteroxila. Anche nel legno delle Dicotiledoni vi sono canali resiniferi, definiti canali municipali, contenenti oli essenziali. Quanto più abbondanti sono gli elementi sclerenchimatici e quanto più spesse sono le pareti cellulari, tanto più duro e resistente sarà la parete cellulare. Anche i fattori ambientali influenzano le caratteristiche del legno: i legni duri sono caratteristici delle piante che crescono in luoghi poveri di acqua, viceversa i legni dolci, sono propri delle piante che vivono in luoghi dalla elevata umidità. Inoltre il legno primaverile meno ricco di fibre, è meno denso del legno estivo e questo fattore consente la formazione dei classici cerchi annuali. La triplice funzione del legno (conduzione, sostegno e riserva) non durano all’infinito, ma tantomeno cessano simultaneamente. La prima funzione che viene meno è la capacità di conduzione e avviene per vari motivi, tra i quali la caduta delle foglie, la presenza di aria nelle tracheidi, la formazione da parte di alcune piante di tille che ostruiscono le punteggiature tra le tracheidi, e così via. Con l’inibirsi della funzione di conduzione va scemando anche la funzione di riserva, a causa dello scarso apporto linfatico, da parte dei vasi ai tessuti parenchimatici di riserva, con la conseguente morte del legno. A questo punto l’unica funzione attiva del legno rimane quella di sostegno, è questa parte di legno caratterizzata da cellule morte si chiama duramen ed è la parte più interna del legno, mentre quello che svolge le altre due funzioni si chiama albume. Il libro secondario Esso si forma all’interno delle pareti liberiane primarie ed ha una struttura affine a quella del legno secondario, presenta infatti un sistema assiale, costituito da tubi cribrosi, parenchima e fibre; ed un sistema radiale, costituito dai raggi midollari. Al crescere della pianta e del legno, il libro subisce delle alterazioni, e si lacera in alcuni punti, evento comunque non traumatico poiché il parenchima di dilatazione adatta il libro alle modifiche morfologiche. L’attività del tessuto conduttore è genericamente limitata ad una sola stagione, 66 tuttavia vi sono alcuni casi di piante in cui il callo prodotto, che ostruisce le punteggiature, viene riassorbito in primavera e pertanto riprendono l’attività funzionale. Il libro delle Gimnosperme è semplice ed omogeneo e ogni funzione è svolta da uno specifico elemento: elementi di conduzione, elementi parenchimatici, raggi midollari che sono il prolungamento di quelli del legno. Il libro secondario delle Dicotiledoni vi tutti gli elementi già descritti ed in più vi sono i tubi cribrosi con cellule compagne. La corteccia secondaria Conseguentemente l’accrescimento del cilindro centrale, la corteccia e l’epidermide si lacerano e si devono quindi costruire nuovi tessuti, tale funzione è svolta dal cambio sughero-fellodermico, o fellogeno, un meristema di pleurico che essendo formato da semplici cellule meristematiche, per divisione generano due cellule di cui una continua ad essere meristematica e non differenziata, mentre l’altra assume le caratteristiche di sughero o felloderma. Tali divisioni possono essere anche radiali e permettono in taluni casi l’ingrossamento del fusto. Esternamente il fellogeno genera il sughero, elaborato dalla pianta per sostituire il tessuto tegumentale oppure compare come tessuto cicatriziale. Sughero, fellogeno e felloderma, nel loro insieme costituiscono una nuova entità detta periderma. Con la comparsa del sughero comunque si interrompono le comunicazioni tra i tessuti e quindi i tessuti più esterni al felloderma muoiono e si forma la scorza o ritidoma. La caduta del ritidoma è determinata dalla formazione di uno starto di felloide nello spessore del sughero. Nonostante la scarsa traspirazione, il sughero permette comunque scambi gassosi tramite delle strutture dette lenticelle che comunque al termine del periodo vegetativo vengono otturati dalla produzione di sughero, tuttavia in primavera lo stessi fellogeno lacera il sughero che permette alle lenticelle si svolgere nuovamente la loro funzione. Accrescimento secondario nelle Monocotiledoni Nonostante i fasci collaterali delle Monocotiledoni non presentino cambio cribro-legnoso, in alcuni casi si riscontra accrescimento secondario ad opera di un meristema cambiale secondario, esterno al cilindro centrale, e con azione monopleurica. METAMORFOSI DEL FUSTO In alcuni casi il caule può adattarsi a svolgere funzioni accessorie a quelle sue peculiari, per esempio per ridurre la traspirazione, le piante xerofitiche, oltre ad attuare alcuni processi, quali l’infossamento degli stomi, la cutinizzazione, formazioni di cere e mucillagini; possono ridurre il numero di foglie, responsabili della traspirazione, oppure rimpicciolire le dimensioni del lembo fogliare. In questi casi è il fusto a svolgere le attività di fotosintesi clorofilliana, tipica funzione fogliare, assumendo una forma nastriforme e appiattendo i rami come fossero foglie. Questo tipo di metamorfosi è definito cladodo. La spinificazione è un’altra modalità di adattamento delle piante ad ambiente aridi, in questi casi i rami ricchi di tessuti sclerenchimatici, assumono l’aspetto di spine, sulle quali possono anche svilupparsi alcune foglioline con capacità fotosintetica. La spina non va confusa con l’aculeo, in quanto la spina è una sorta di ramo metamorfosato, mentre l’aculeo è una estroflessione dell’epidermide. L’eterocladia è anch’essa una metamorfosi del fusto, tipica delle conifere, caratterizzate da rami macroblasti e brachiblasti, simbolo dell’eteromorfismo del fusto. Alcune piante possono trasformare i rami in cirri o viticci che avvolgendosi su supporti di varia natura, permettono alla pianta di poter raggiungere condizioni di sviluppo più favorevoli. I cirri tuttavia, pur essendo una specie di rami, non presentano mai foglie. Le piante che effettuano la cirrificazione sono dette volubili. Altre piante sviluppano dal fusto organi dalla funzione di riserva: i rizomi ed i tuberi. 67 I rizomi sono fusti che sviluppano sottoterra, mentre i tuberi sono organi atti a conservare le sostanze nutritive che vengono consumate dalla pianta per sviluppare rapidamente la stagione successiva. CAPITOLO XIV RADICE MORFOLOGIA E FUNZIONI DELLA RADICE La radice si sviluppa dal polo radicale dell’embrione ed è l’organo sotterraneo della pianta, di aspetto assile e filiforme e, a causa della mancanza di clorofilla, incolore. L’apparato radicale è atto a fissare la pianta al substrato e ad assorbire l’acqua e i sali minerali dal terreno. Inoltre svolge un ruolo di riserva di materiale di riserva ed in essa avvengono numerose reazioni di sintesi di numerosi composti organici e di ioni contenenti azoto. In casi particolari la radice può essere aerea e fungere da organo di assimilazione, respiratoria nelle piante acquatiche e sottoforma di austori nelle piante parassite. Anche nella radice come nel caule si individua un apice, l’apice radicale, dal carattere meristematico, ma, mentre l’apice del caule è protetto da perule, l’apice radicale è protetto da un parenchima, che forma la cosiddetta cuffia o caliptra. La cuffia cresce linearmente con l’apice e la sua rottura dopo lo sviluppo facilita la diramazione delle radici nel terreno, le cellule della cuffia sono vive, ed alcune di esse contengono granuli di amido (statoliti), spesso riuniti in una parte assile della cuffia detta columella, che garantiscono alla radice una sorta di organo di percezione che le permette di orientarsi nel terreno. Al di sopra dell’apice vegetativo, vi è una zona liscia o di accrescimento, cui segue una pilifera, che svolge la funzione assorbente, di lunghezza costante, ma dal numero di peli variabile da specie a specie. Ad esempio nelle piante acquatiche mancano i peli radicali, perché in queste piante è la radice tutta a svolgere la funzione di assorbimento; inoltre mancano anche nelle piante dove si verifica la micorrizia, e che quindi presentano ife fungine sulla radice; mancano anche nelle piante con radici aeree, la cui funzione assorbente è svolta dal velamen o velo radicale. 70 • Sistema vascolare, cui corrisponde il cilindro centrale. Nel sistema tegumentale, i peli dello strato pilifero, la cui vita è limitata a pochi giorni, servono ad aumentare la superficie assorbente della radice e sono presenti solo in quelle piante che senza tale aumento di superficie non riuscirebbero a sopravvivere. Infatti i peli sono assenti nelle piante acquatiche, nelle piante che vivono in ambienti saturi di acqua e nelle piante che presentano il fenomeno della micorrizia. La lunghezza della zona pilifera è all’incirca costante perché nel mentre i nuovi peli si formano verso l’apice, i più vecchi muoiono e cadono. Il rizoderma di solito è monostratificato, anche se il velamen delle radici aeree è pluristratificato; ricordiamo inoltre che il rizoderma è privo di stomi e di rivestimenti tricomatosi. La corteccia della radice si forma dai tessuti che hanno origine dal periblema e sono situati tra cilindro centrale e rizoderma. La corteccia è delimitata da due tessuti specializzati: l’endoderma e l’esoderma, che possono essere costituiti da parenchimi (Gimnosperme e Dicotiledoni) o sclerenchimi (monocotiledoni). L’esoderma ha la funzione di sostituire e tappezzare quegli starti di epidermide che viene a mancare al momento della caduta dello strato pilifero, l’endoderma invece, oltre a rappresentare il confine tra corteccia e cilindro centrale, contengono una zona suberificata detta banda del Caspary, che appare come degli ispessimenti detti punti del Caspary. Nelle Gimnosperme e nelle Dicotiledoni, con accrescimento secondario la corteccia della radice non subisce ulteriori modifiche, nelle Monocotiledoni invece si ha una ulteriore stratificazione, lamella terziaria, che a seconda dei casi può portare alla formazione di un endoderma ad O oppure di un endoderma ad U. Schematicamente possiamo dire che la corteccia del corpo primario della radice, procedendo dall’esterno verso l’interno, si può dividere in: • Strato pilifero, • Esoderma, • Parenchima di riserva, • Endoderma. Il cilindro centrale della radice, o stele, è formato dai tessuti che derivano dal pleroma, e consta di un tessuto parenchimatico fondamentale, nel quale sono immersi i cordoni dei tessuti conduttori. I tessuti conduttori sono separati dalla corteccia da un tessuto di tipo parenchimatico, il periciclo, apposto subito sotto l’endoderma, e da esso originano le radici secondarie, viene infatti definiti strato rizogeno. Il sistema dei tessuti conduttori, è composto da una serie di fasci con elementi legnosi, arche legnose, alternati ad elementi cribrosi, arche cribrose. L’insieme di tale complesso so definisce raggio midollare. In funzione del numero di arche presenti nella radice, esse si possono definire biarche, triarche, o poliarche. La presenza di un unico raggio midollare, conferisce al cilindro centrale della radice una conformazione ad actinostele, comune a tutte le piante, meno che alle Pteridofite, nelle quali, la radice presenta un cilindro plectostele. Struttura secondaria delle radici Nelle Gimnosperme e nella maggior parte delle Dicotiledoni, si ha la formazione di tessuti secondari, infatti al termine dello sviluppo della struttura primaria, tra legno e cribro, comincia a funzionare un sistema cambiale secondario, che produce uno xilema secondario, o deuteroxilema, ed un floema secondario, deuterofloema, che oltre a allungare la radice, la allarga con divisioni periclinali. Come nel fusto, all’esterno del cambio cribro-legnoso, si genera uno strato di cambio subero-fellodermico, o fellogeno, che provvede a rimpiazzare con uno strato di sughero quelle parti 71 di corteccia primaria che si lacera e cade. All’interno il fellogeno produce il felloderma che insieme a fellogeno e sughero viene definito periderma. Al termine del ciclo di attività del fellogeno, se ne produce un nuovo creando un ritidoma. Va inoltre ricordato che il sughero della radice contiene più lenticelle di quello del fusto, che possono essere chiuse e poi riaperte l’anno successivo. LE RADICI LATERALI A differenza di quanto avviene per i rami nel fusto, nella radice, le appendici laterali, non hanno origine esogena, ossia, non crescono dalla zona apicale dei meristemi primari; bensì hanno origine endogena, e sono le cellule della parte più esterna del cilindro centrale, il periciclo, a formarle. Infatti alcune cellule del periciclo, riacquistano la loro capacità meristematica, si dividono e danno origine al tessuto meristematico della radice laterale, che come l’apice radicale, si accresce partendo dal corpo della radice madre, perforando corteccia e rizoderma, ed esce all’esterno, probabilmente anche grazie all’aiuto della lisi delle cellule provocata da particolari enzimi. Successivamente, la radice laterale come la radice principale, genera cilindro, corteccia e rizoderma con strato pilifero. I fasci conduttori presenti nel cilindro della radice laterale, sebbene più piccoli ed in numero minore, sono collegati a quelli della radice principale e ne costituiscono il prolungamento. LA RADICE E L’ASSORBIMENTO DELL’ACQUA Il suolo ha origine dalla disgregazione delle rocce, un lento processo che avviene per mezzo del vento del ghiaccio dell’acqua ecc. e porta alla graduale riduzione delle particelle rocciose. I suoli vengono classificati in base al diametro delle particelle: un diametro tra 2mm e 0,2mm è detto sabbia grossa, tra 0,2 e 0,02 mm il suolo si definisce sabbia fine, sono poi fango ed argilla quei suoli con particelle di diametro compreso tra i 20 µm e 2 µm o inferiore ai 2 µm. L’acqua che quando piove riempie gli spazi tra le particelle del suolo, essendo tali spazi troppo ampi, percola nel suolo alimentando la falda acquifera; tuttavia una parte di essa viene trattenuta per capacità capillare e per coesione, e tale parte è detta capacità di campo. La gran parte di essa è disponibile per le radici. A contatto con la superficie radicale, l’acqua fluisce dall’epidermide all’endoderma, attraverso la combinazione di tre vie: la via apoplastica, cioè tramite gli apoplasti (gli spazi intercellulari) senza attraversare nessuna membrana; attraverso la via cellulare l’acqua arriva al midollo per via transmembrana o per via simplastica; per via transmembrana, l’acqua arriva al midollo tramite il passaggio di cellula in cellula, attraverso la membrana celulare; per via simplastica l’acqua passa di cellula in cellula attraverso i plasmodesmi. La banda del Caspary non permette all’acqua che fluisce per via apoplastica di proseguire, a causa delle pareti suberificate, in ogni modo l’acqua passa attraverso l’endoderma, o per il simplasto o per mezzo di fessure che comunque sono presenti nella banda del Caspary e che si fanno più frequenti con l’accrescimento secondario della radice. 72 CAPITOLO XV LA FOGLIA La foglia è l’organo della pianta la cui funzione principale è, oltre alla traspirazione ed alla respirazione, l’organicazione del carbonio attraverso la fotosintesi clorofilliana. Le piante hanno differenti tipi di fillomi con differenti caratteristiche funzionali e strutturali, e le foglie che svolgono le funzioni dianzi descritte sono i nomofilli, che si presentano verdi per la presenza di clorofilla, disposti trasversalmente al caule e con simmetria dorsoventrale. Le prime foglie che presentano le piante sono dette embriofilli o cotiledoni, che a seconda della specie sono in numero diverso; le Angiosperme si dividono in Dicotiledoni (due cotiledoni) e Monocotiledoni; mentre le Gimnosperme ne hanno un numero vario, ma comunque sempre superiore a due. Possono essere considerate fillomi anche i catafilli presenti sulle pareti sotterranee del germoglio, le perule, gli ipsofilli, presenti sulle parti superiori del germoglio e con una funzione di protezione, gli antofilli, i petali dei fiori, e gli sporofilli, portanti gli sporangi. Come i rami anche le foglie sono espansioni laterali del caule ed hanno origine dalle bozze fogliari, poste immediatamente sotto la gemma apicale. Di una tipica foglia si riconoscono: • Una guaina, alla base della foglia, che avvolge il fusto, • Un picciolo, la parte assile che ha la funzione di reggere il lembo fogliare e tenerlo distaccato dal fusto, cosicchè abbia una condizione ottimale di aerazione ed illuminazione, • Una lamina fogliare, dalle forme e dimensioni variabili in base a vari fattori. Le foglie dotate di picciolo sono dette picciolate, mentre quelle che ne sono sprovviste, ed hanno il lembo attaccato direttamente sul fusto sono dette sessili. A volte alla base del picciolo vi possono essere delle stipole, appendici di varia forma, libere o concresciute con il picciolo. ANATOMIA ED ISTOLOGIA DELLA FOGLIA 75 accennata, si hanno le foglie intere, nel momento in cui la divisione si approfondisce, si ha la foglia lobata, se la divisione non supera la metà del lembo, e fessa, se la divisione arriva alla metà del lembo. Nel caso in cui la foglia superi la metà del lembo senza però raggiungere la rachide centrale, essa è definita partita. Le foglie sono dette pennate, se le divisioni sono perpendicolari al radiche e la foglia risulta divisa in più parti disposte in serie longitudinali; se la porzione di foglia superiore dovesse essere più estesa di quella inferiore si ha la foglia lirata. Le foglie che presentano divisioni che convergono tutte verso un punto alla base del lembo esse vengono definite palmate. Le foglie composte invece sono le foglie le cui divisioni raggiungono la nervatura centrale ed i principali tipi di tali foglie sono le pennatocomposte, con le foglioline disposte come le barbe di una penna, e a seconda che all’estremità sia posta o meno una fogliolina, esse vengono definite imparipennate o paripennate. Se prendiamo in considerazione l’apice della lamina fogliare le foglie possono essere classificate in: • Acuminate, cuspidate se terminano con in spina, • Mucronate, quando terminano con una setola detta mucrone, • Ottuse, se sono arrotondate, • Retuse, se all’estremità appare una rientranza, • Smarginate, quando tale rientranza è simile ad un’incisione cuneiforme, • Troncate, se l’estremità appare tagliata. Se prendiamo in considerazione la base del lembo fogliare, la foglia è detta: • Astata, quando il lembo si prolunga in appendici di forma quasi triangolare, • Cuoriforme, se presenta due orecchiette ai lati del punto di attacco, • Cuneiforme, nel caso in cui il lembo si assottigli in modo graduale, • Peltata, se il lembo è legato al picciolo nella parte centrale, • Reniforme, se un lato è più sviluppato dell’altro. Riguardo alla morfologia del margine della lamina fogliare esso può essere intero, liscio, ondulato, oppure presentare delle dentellature che consentono di distinguere il margine in: • Crenato, se le dentature sono arrotondate • Dentato, con dentature perpendicolari al margine, • Roncinato, se le dentature sono rivolte verso il basso, • Seghettato, con dentature verso l’alto, • Sinuato, con lobi arrotondati. Inoltre rispetto alla sua inserzione con il fusto, la foglia può essere: applicata, eretta, patente, pendente, riflessa. Un’altra caratteristica importante è la nervatura e la sua struttura. Si dicono anervie le foglie senza nervatura e criptonervie le foglie con nervatura presente, ma non visibile. Le foglie con un'unica nervatura sono uninervie, quelle con più nervature sono plurinervie. Le plurinervie si distinguono in penninervie, se presentano una nervatura principale in posizione centrale, o dicotoma se quest’ultima manca. La nervatura può anche, in altri casi, dirsi palmata, pedata, parallelodroma oppure raggiata. 76 ETEROFILLIA ED ANISOFILLIA È detto eterofillia il fenomeno per cui in una pianta si presentano, per vari fattori, foglie dalla diversa conformazione del lembo fogliare. Ad esempio nel pungitopo, le foglie poste più in basso si presentano con il margine spinoso, mentre quelle poste più in alto, hanno margine liscio. Il fenomeno dell’anisofillia si verifica quando in una pianta, le foglie, pur essendo posizionate nella stessa zona, presentano una morfologia completa diversa a seconda del lato del fusto in cui sono annesse; come per esempio nella selaginella. DURATA DELLE FOGLIE E LORO ABSCISSIONE Le piante perenni sono distinte in caducifoglie e sempreverdi. Sono dette caducifoglie le piante le cui foglie, dette caduche, cadono in autunno, mentre sono dette sempreverdi le piante le cui foglie persistono e si staccano dai rami solo quando si sono formate le nuove foglie. La maggior parte delle Gimnosperme sono sempreverdi persistenti; le piante erbacee annue, perdono le foglie quando muore l’intera pianta; mentre nelle piante bienni, le foglie dopo il prima anno possono persistere, ma avranno una funzionalità ridotta rispetto all’anno precedente. L’abscissione, o distacco, delle foglie dal fusto, oltre che per alcuni fattori ambientali, chimici, o traumatici, avviene per la formazione di alcune piccole cellule, alla base del picciolo, che formano lo strato separatore. Nelle cellule di questo tessuto, le lamelle mediane, gelificano e permettono alla foglia di essere legata al fusto solo tramite i fasci conduttori, che rompendosi provocano la caduta della foglia. Nelle Coniferae, l’abscissione avviene per la formazione di uno strato di cellule sclerenchimatiche che interrompe la comunicazione tra foglia e fusto, e pertanto la foglia cade e muore. MODOFICAZIONI DELLA FOGLIA Alcune foglie oltre alla funzione fotosintetica, possono svolgere delle funzioni secondarie, quale ad esempio, quella di riserva di acqua, grazie alla presenza di cellule parenchimatiche dotate di grossi vacuoli. Anche nelle foglie, come avviene nel fusto, possono avvenire degli adattamenti. Come i fusti appiattendoti formano i cladodi, anche il picciolo, si può appiattire, assumendo la forma di una foglia, e viene definito fillodio. Se oltre al picciolo si appiattisce anche la guaina fogliare si forma il guainodio. Altre foglie per non essere divorate dagli erbivori trasformano le loro foglie in spine, oppure, alla caduta della foglia, il rachide si trasforma in spina. Il fenomeno della spinificazione, oltre a conferire una certa protezione, riducono di molto la traspirazione, pertanto le foglie delle piante xerofitiche sono trasformate in spine. Altre piante invece non trasformano le foglie completamente in spine, ma presentano spine sui margini, oppure una sola robusta spina all’estremità, in altri casi ancora è il rachide a trasformarsi in spina dopo la caduta della foglia, infine vi sono molti casi di stipole che si trasformano in spine. La metamorfosi fogliare comprende anche il caso in cui la foglia si trasforma in viticcio, che cresce verticalmente, fin quando non raggiunge la struttura attorno la quale si attorciglia. Ci sono casi di foglie che tuberizzato, diventando bulbi embriciati o bulbi tunicati. Alcune piante, per incrementare il loro fabbisogno di azoto, trasformano le loro foglie in ascidi atti a catturare insetti, infatti, tramite alcune ghiandole secernenti del nettare, attirano gli insetti che, entrati in queste foglie a forma di urna, scivolano su di un rivestimento interno ceroso, e rimangono intrappolate all’interno dove vengono digerite da particolari enzimi. 77 La cattura degli insetti in altre specie di piante può avvenire anche per aspirazione, o per intrappolamento effettuato per mezzo di sostanze collose. CAPITOLO XVI TASSONOMIA La tassonomia è il metodo ed il sistema per la descrizione e la classificazione degli esseri viventi e dei fossili. Il primo ad inquadrare in modo sistematico degli esseri viventi fu Aristotele, anche se per fini puramente filosofici. A questi successivamente fu Teofrasto a trattare tale argomento, e sviluppò la prima trattazione di botanica, scritti che rimasero gli unici affidabili riguardo quell’argomento per tutto il medioevo. Egli tratto tanto l’anatomia delle piante, quanto la fisiologia, la moltiplicazione, la coltivazione, l’accrescimento ecc. A Teofrasto seguirono, nella trattazioni botaniche, Plinio il Vecchio, Dioscoride, Costantino l’Africano (fondatore della Scuola Medica Salernitana). All’inizio dell’evo moderno in Italia cominciò ad aumentare l’interesse per la botanica, furono infatti aperti numerosi orti botanici per poter ammirare di persona le varie specie vegetali. In questo periodo altri studiosi, scrissero delle proprietà medicinali delle piante, ed il più grande di essi fu Andrea Cesalpino, uno dei primi studiosi a formulare un sistema di classificazione delle piante. La prima spinta in avanti fu data da Joseph Tournefort, il quale diede la prima vera e propria definizione di genere, ed espose la sua teoria per la classificazione delle piante, che supponeva divise in erbe, suffrutici e piante arboree, a seconda della assenza o presenza del fiore, ed in tal caso della conformazione della corolla (semplici o multipla). Le piante venivano inoltre suddivise in corolle monopetale o polipetale; le prime e le seconde potevano poi essere ancora suddivise in regolari od irregolari, ed ad esse venivano associate delle classi, in totale 22, divisibili in sezioni, generi e specie. Questo metodo di classificazione fu ben presto messo da parte, un po’ perché le assegnazioni erano alquanto artificiose, un po’ perché non si riusciva a classificare secondo questo metodo le nuove piante che si venivano a scoprire. Ed è per questo che si venne a creare un nuovo metodo di classificazione, ideato da Linneo, detto sessuale, basato sulle differenze tra gli organi di riproduzione delle varie specie di piante. 80 autoassemblarsi in capsidi e che hanno un potenziale infettivo; le cui capacità di sopravvivenza sono aumentate a seguito delle mutazioni e della selezione naturale. Questa ipotesi prevede l’origine dei virus da cellule batteriche, animali e vegetali, pertanto i virus possono essere ospitati solo dal tipo di cellula da cui hanno tratto origine, ed è per questo che i virus sono detti specifici. STRUTTURA E COMPOSIZIONE CHIMICA I virus possono presentarsi sotto tre forme fondamentali: bastoncello, poliedro e testa codata. Il materiale genetico del virus è racchiuso in un involucro costituito da sub unità proteiche dette capsomeri, che nell’insieme costituiscono il capside. Il virus del mosaico del tabacco, noto come TMV, è un virus il cui capside, costituito da un unico tipo di proteina, circonda l’acido nucleico, in questo caso l’RNA, che costituisce il core del virus, che insieme al capside forma il nucleocapside. Il capside è solitamente privo di ulteriori involucri, tuttavia vi sono casi di virus con involucro ipoproteico, o di più involucri stratificati. Il virus a bastoncello, come il TMV, sono cilindrici, con una estremità avvolta da una spirale di RNA. I virus normalmente detti sferici, in realtà sono piccolissimi icosaedri, nei quali il capside circonda l’acido nucleico misto a proteine. I fagi, i virus che infettano i batteri, hanno strutture più complesse e presentano una testa ed una coda. La testa è di forma esagonale ed all’interno presenta una molecola di DNA circolare, rivestito di proteine. I virus non contengono mai sia DNA che RNA, ed in particolare quelli che infettano i vegetali contengono RNA, quelli degli animali DNA o RNA, i fagi DNA, salvo rare eccezioni. CLASSIFICAZIONE DEI VIRUS I virus, proprio come gli animali e i vegetali, hanno una denominazione binomia, è sono raggruppati in famiglie, che comprendono generi, che a loro volta sono divisi in specie. I virus sono suddivisi in sei classi, a seconda della conformazione del genoma e del loro comportamento nella cellula ospite. Si indicano con + le catene di RNA e DNA che fungono da messaggio, mentre con – le catene che fungono da complemento. • RNA-virus con genoma monocatenario +. Sono i virus più semplici, e la loro molecola di RNA funge da mRNA ed è direttamente utilizzabile dai ribosomi per la sintesi delle proteine. Per la moltiplicazione virale la molecola genomica RNA + induce la sintesi di molecole RNA – che fanno da stampo per altre molecole virali. Tra questi vi è il virus del mosaico del tabacco. • RNA-virus con genoma monocatenario -. La molecola di RNA di questi virus non funge di messaggio, e la trascrizione avviene per mezzo di enzimi di cui è fornito il virione. A questa classe appartengono il virus dell’influenza e quello della rabbia. • RNA-virus con genoma bicatenario + e -. A questa classe appartengono i Reovirus patogeni per uomo ed animali, che sono dotati di una catena + che funge da messaggio e di una – che funge da completamento. • Retrovirus. Sono un particolare tipo di virus +. Infatti hanno un ciclo riproduttivo particolare dovuto al fatto che vi sono due molecole identiche di RNA che ad opera di una trascrittasi inversa, propria del virione, viene trasformato in DNA, che si associa al DNA della cellula ospite, permettendo la sintesi di proteine virali e la produzione di geni patogeni. Il DNA che si ottiene per azione della trascrittasi inversa, è detto DNA copia o cDNA che è possibile inserire in altre molecole di DNA. • DNA-virus con genoma monocatenario +. Sono gli Inovirus, la cui catena + è utilizzata dagli enzimi della cellula ospite per la formazione di mRNA e di eliche di DNA complementari a quella presente. 81 • DNA-virus con genoma bicatenario + e -. Sono gli Adenovirus e gli Herpes virus. Un’altra classificazione dei virus è eseguita in base alle malattie, o alle reazioni che inducono nell’ospite o sull’ospite : si hanno cosi i batteriofagi o fagi, che infettano i batteri, i fitofaginali, che infettano le piante, e gli zoofaginali che infettano gli animali. Un ulteriore metodo di classificazione tiene conto della forma dei virioni e della loro costituzione chimica (RNA e DNA). Pertanto ai virus con virioni a bastoncello, RNA ad elica e capside ad elica, appartiene il TMV. Ai virus con DNA a singolo filamento appartengono gli Inovirus, patogeni per i batteri, ed i Parvovirus zoofaginali; e così via per tutte le altre tipologie di Virus. L’INFEZIONE VIRALE I virus sono parassiti obbligati, capaci di riprodursi solo all’interno di cellule ospiti della stessa specie. L’infezione avviene in diverse fasi: l’adsorbimento del virus sulla cellula, la penetrazione all’interno della cellula, la trascrizione del materiale genetico, la traduzione dei geni virali, la replicazione dell’acido nucleico, l’assemblaggio del virione con le molecole sintetizzate dalla cellula ospite, la liberazione del virione. Nell’adsorbimento si ha la formazione di legami tra il virione ed i recettori della cellula ospite, avvenuta la fissazione il virus deve penetrare nella cellula e, tale meccanismo, è differente tra batteriofagi e fitofaginali, infatti nei batteri, tramite processi enzimatici che digeriscono la parete batterica, i virus riescono a iniettare il materiale genetico lasciando fuori il capside. Nei vegetali invece la trasmissione del contenuto del capside avviene solo se la parete cellulare è stata danneggiata o abrasa da traumi esterni o dall’insetto che trasmette la patologia. Una volta che il virus è penetrato il capside si separa e rilascia l’acido nucleico pronto per funzionare, e, se si tratta di DNA, esso è riconosciuto dalla cellula ospite che ne trascrive il messaggio. Gli mRNA virali trascritti vengono poi tradotti dai ribosomi e pertanto la cellula sarà invasa da una proteina virale. Contemporaneamente anche gli enzimi responsabile della duplicazione del DNA si legano al DNA virale duplicando anch’esso, a questo punto la maggiore quantità di Dna virale produce un aumento di frequenza delle trascrizioni e delle conseguenti traduzioni, di modo che la cellula sarà invasa da materiale virale e pertanto si lisa rilasciando all’esterno i virus che sono stati prodotti. I virus che distruggono la cellula ospite sono detti virulenti, mentre quelli che la lasciano intatta, temperati. Il DNA dei fagi temperati, si può integrare in siti specifici del cromosoma batterico e quindi duplicarsi insieme ad esso, dando origine ad un nuovo fago detto profago. Il processo di replicazione del RNA è differente a seconda dei casi, nei virus di dimensioni minori, l’RNA virale funge direttamente da mRNA e si lega ai ribosomi della cellula ospite; in altri casi il RNA funge da stampo per la trascrizione del mRNA. La formazione di nuovi virus completi è differente a seconda che essi siano nudi o protetti da un involucro. In entrambi i casi la formazione delle particelle virali comincia con il montaggio del capside, la sua associazione all’acido nucleico e procede con la concentrazione di virioni in gran numero con la successiva liberazione dalla cellula. Nei virus nudi si osserva la loro fuoriuscita o attraverso la rottura di vacuoli che si creano sulla superficie della cellula, o dopo la lisi della cellula ospite. I virus rivestiti, dopo il montaggio del nucleocapside, ripercorrono all’inverso il processo di penetrazione, e fuoriescono tramite delle estroflessioni, create dalla membrana cellulare, che li avvolgono completamente. LA RIPRODUZIONE DEI VIRUS I fagi in particolare possono dividersi in due modi, secondo il ciclo litico o secondo il ciclo lisogeno. 82 Nel primo caso il virus inietta il suo DNA nella cellula ospite, dove verranno costruite nuove copie del virus, contenente un gene, il lisozima, in grado di provocare lo scoppio della cellula batterica, con successiva liberazione dei virus. Si è verificato che tale lisi avviene circa 20 minuti dopo l’infezione e libera quasi 200 copie del virus. Nel ciclo lisogeno, il DNA virale si incorpora in quello della cellula ospite e prende il nome di profago. Qui rimane latente e passa per divisione semiconservativa alle cellule figlie e, in seguito a vari fattori solitamente di natura ambientale, può dividersi dal cromosoma batterico ed avviare la sintesi di fagi attivi che provocheranno la lisi della cellula batterica. In altri casi il virus non distrugge la cellula ospite, ma la utilizza solo per riprodursi, in tal caso, il virus viene inglobato nella cellula per esocitosi, si riproduce a spese della cellula e ne esce per esocitosi (ciclo continuo). In conclusione si può dire che la riproduzione virale, non ha nulla a che fare con la divisione cellulare, infatti, tutti i componenti della particella virale si formano in ordine temporale e in luoghi differenti, per poi essere assemblati ed espulsi. LE MALATTIE VIRALI La trasmissione dei virus può avvenire, negli animali e nei vegetali, per puntura di animali (in genere insetti), per contatto diretto, per inalazione negli animali e nelle piante a seguito si moltiplicazione, artificiale o naturale, da organismo infetto. I danni provocati dalle infezioni virali sono molteplici e di diversa entità, alcuni di essi provocano la morte o il danneggiamento della cellula ospite o determinano l’insorgenza di tumori (virus oncogeni), altri inducono la produzione di tossine e altri ancora sono di per sé tossici. A seconda della localizzazione dell’infezione i danni possono essere differenti, tant’ è che una infezione alle cellule nervose provoca un danno irreversibile, mentre una infezione influenzale, viene efficacemente contrastata dal nostro organismo. In generale le terapie a disposizione non riescono ad inibire la riproduzione virale, né tantomeno a provocarne la morte, come avviene somministrando antibiotici per combattere i batteri. Tuttavia si è constatato che i virus inducono le cellule dell’organismo infettato alla produzione di interferoni, che nelle cellule normali, inibiscono la sintesi delle proteine virali, senza intaccare il normale ciclo vitale della cellula ospite. La produzione artificiale di interferoni non è ancora oggi possibile, e quasi tutte quelle molecole che oggi si sono rivelate efficaci contro i virus, non preservano l’integrità della cellula ospite, e pertanto sono inutilizzabili. Sono infatti limitate quelle molecole in grado di interferire con la sintesi dell’acido nucleico virale (vidarabina e aciclovir le più comuni). L’unico sistema che rimane tuttora il più efficace per prevenire o contrastare le infezioni virali rimane l’utilizzo di vaccini che mobilitano le difese immunitarie dell’organismo. SENSIBILITA’ AD AGENTI CHIMICI E FISICI Le particelle virali, al di fuori della cellula sono altamente termosensibili, infatti basta una esposizione di mezz’ora ad una temperatura di 60° per renderli inattivi (fanno eccezione i virus delle epatiti). Altri agenti invece che possono inattivare i virus possono essere le radiazioni ultraviolette, i raggi x oppure agenti chimici quali la formalina, l’idrossilammina o anche i detergenti che distruggono i legami del capside. VIROIDI E PRIONI Agenti infettivi ancora più semplici dei virus sono i viroidi, presenti nelle piante, ed i prioni che si riscontano negli animali. I viroidi sono costituita da un'unica molecola di RNA a doppia elica non protetta da capside e non associata a proteine. Nelle piante si è studiato il viroide PSTV che infetta pomodoro e patate, 85 La scissione binaria o schizogenesi, è tipica della riproduzione dei batteri. A mano a mano che la cellula batterica si accresce, si verifica la duplicazione del filamento circolare di DNA, ma in maniera differente a quanto accade nelle cellule eucariote. Infatti non si viene a formare né il fuso mitotico, né la piastra cellulare, ma semplicemente, con il crescere della cellula, il filamento di DNA, in un specifico punto di origine segnato da una particolare sequenza di nucleotidi, origina le forcelle di duplicazione che allontanandosi dal punto di origine della duplicazione in direzioni opposte, fa assumere al cromosoma batterico in via di duplicazione, una configurazione molto simile alla lettera theta in maiuscolo (Θ) e per questo che la duplicazione batterica viene anche definita duplicazione theta. Con l’accrescersi della parete e della membrana cellulare i filamenti duplicati legati distintamente ai poli, si allontanano sempre di più, fino a quando tra di essi non si interpone una nuova membrana, e quindi una nuova parete, di modo che la cellula madre si separa in due cellule figlie ognuna contenente una molecola circolare di DNA. Poiché in genere una divisione cellulare nei batteri si realizza ogni mezz’ora, in 24 ore si possono riprodurre 2 alla 48 batteri e ciò equivale a dire che da un singolo batterio dopo 15 ore si può ottenere una colonia di un miliardo di batteri spesso visibile anche ad occhio nudo. Tale processo duplicativo fa si che dalla cellula madre abbiano origine tutti cloni geneticamente identici, tuttavia da studi effettuati sull’escherichia coli, si è statisticato che l’1% circa delle cellule che si venivano a creare da circa trenta divisioni cellulari, era composto da mutanti, cioè da cellule nelle quali era avvenuta una ricombinazione, seppur minima, del materiale genetico. SCAMBIO DI MATERIALE GENETICO Anche nei batteri può avvenire uno scambio di materiale genetico, e può avvenire per coniugazione, per trasduzione e per trasformazione. In quasi tutti i batteri sono presenti, oltre alla molecola di DNA circolare, una o più molecola accessorie di DNA anch’esse circolari e di dimensioni molto ridotte, dette plasmidi. Anche i plasmidi come il DNA del batterio si autoduplica, a volte contemporaneamente al cromosoma batterico, di modo che le cellule figlie avranno un plasmide ciascuno; altre volte si duplicano in modo asincrono, così che una cellula batterica può contenere più di un plasmide. I plasmidi possono anche incorporarsi nel cromosoma batterico, e tali plasmidi sono detti episomi, diventando parte integrante del DNA batterico, tant’è che si duplica solo nel momento in cui si duplica il cromosoma. I principali tipi di plasmidi, il plasmide F ed il plasmide R (entrambi descritti grazie a studi sulla Escherichia Coli), sono responsabili, il primo, del fattore sessuale (fattore fertilità), ed il secondo della resistenza ai farmaci (fattore resistenza). I plasmidi svolgono in generale svariate funzioni, ad esempio il plasmide F regola la produzione dei pili, il plasmide R contiene geni per la produzione di enzimi che inattivano gli antibiotici, altri ancora contengono geni per il metabolismo delle sostanze meno comuni o geni per la resistenza alla tossicità dei metalli pesanti o ancora geni per la produzione di tossine che uccidono altri batteri. In generale i batteri che contengono il plasmide F, vengono definiti cellule maschio e si indicano con F+, mentre le cellule batteriche che non possiedono il plasmide F sono dette cellule femmine e si indicano con F-. Una cellula F+ può legarsi, tramite i pili, ad una cellula F- e trasferirle il plasmide F. Il passaggio avviene nel momento in cui i citoplasmi delle due cellule batteriche vengono a contatto, legate attraverso il pilus; infatti il plasmide F si inserisce sotto il pilus e, una volta duplicatosi, lascia che un suo filamento penetri nella cellula F-, dove ne verrà poi sintetizzato il filamento complementare. L’altro filamento che resta nella cellula F+ continua a ruotare su se stesso mentre si 86 viene a sintetizzare il suo filamento complementare. Tale processo è anche definito duplicazione a cerchio rotante. Questo processo avviene in tempi brevissimi, tant’è che se si lasciano nella stessa coltura batteri F+ e F-, in breve tempo saranno tutti F+. Il fattore F si può comunque rimuovere con trattamenti chimici, oppure si può incorporare nel cromosoma batterico, perdendo la sua autonomia. Le cellule che contengono il fattore F come episoma sono dette cellule Hfr (high frequency of recombination); in alcuni casi, piuttosto rari, il fattore F può nuovamente scindersi dal cromosoma batterico Hfr e riapparire nella cellula come fattore autonomo. In alcune circostanze si può trasferire il fattore F+ della cellula Hfr, e quindi legato al cromosoma batterico, alla cellula F-. Questo avviene con la duplicazione dell’intero cromosoma batterico, e non sempre il trasferimento del fattore F è completo. Questo tipo di trasferimento è detto coniugazione. Il processo di trasformazione del batterio, è provocato da un fattore detto fattore trasformante ed è un processo che si realizza in laboratorio, e in pratica consiste nell’estrarre il DNA di un ceppo batterico e mescolarlo con un DNA che presenti dei caratteri ereditari differenti. Nel processo di trasduzione avviene un trasporto di materiale genetico ad opera di batteriofagi o fagi, che infettando i batteri mescoleranno il loro acido nucleico con quello batterico. Alla lisi della cellula batterica, i fagi che ne usciranno avranno anche una parte di DNA batterico, e andando ad infettare altri batteri, mescolando ancora il DNA con quello della cellula ospite, introdurranno nei batteri che sopravvivranno all’infezione, le proprietà caratteristiche di altri batteri. TRASPOSONI Nei batteri, come nelle cellule eucariotiche, è possibile effettuare un trasferimento genetico per trasposizione, e gli effettori di questo trasferimento sono detti trasposoni. Come gli episomi ed i profagi, i trasposoni sono dei segmenti di DNA che si integrano al DNA batterico e come tali si duplicano al duplicarsi del DNA batterico. La sostanziale differenza sta nel fatto che i trasposoni contengono un gene che codifica la trasposasi, che ne consente il loro inserimento sul cromosoma. L’inserimento di un trasposone comporta nel batterio una mutazione, però se si tratta di un trasposone semplice, che codifica solo la trasposasi, il batterio non ne trae alcun vantaggio, se non quello di una maggiore variabilità genetica. Se invece si tratta di un trasposone complesso, che oltre alla trasposasi codifica altri enzimi, tra i quali quelli che conferiscono una maggiore resistenza ai farnaci; si è studiato che questi possono muoversi all’interno dello stesso cromosoma o passare da un cromosoma ad un altro. Ad esempio un trasposone che codifica un enzima che conferisce una maggiore resistenza alla tetraciclina, può muoversi tanto all’interno del cromosoma batterico, trasmettendo in poche ore l’informazione a miliardi di batteri della stessa colonia; o può spostarsi all’interno di un plasmide R, dotato di per sé della resistenza alla penicillina, conferendo al batterio anche la resistenza alla tetraciclina. METABOLISMO BATTERICO I batteri come gli altri organismi respirano assumendo ossigeno ed emettendo CO2, ma per quanto riguarda il loro fabbisogno di ossigeno possono dividersi in tre gruppi: batteri aerobi, che si moltiplicano solo in presenza di ossigeni, batteri anaerobi, che si moltiplicano solo in assenza di ossigeno, e batteri che si moltiplicano tanto in presenza tanto in assenza di ossigeno detti aerobi facoltativi. 87 La nutrizione dei batteri può essere considerata sia sotto l’aspetto trofico, sia sotto l’aspetto energetico. Dal punto di vista energetico i batteri possono essere fototrofi, e pertanto traggono energia dalla reazione fotosintetica; oppure possono essere chemotrofi, e si avvalgono dell’energia ricavata dalle reazioni chimiche di composti inorganici. Vi sono poi i batteri paratrofici, che vivono a spese di altri organismi viventi. Dal punto di vista trofico i batteri possono essere autotrofi, e contengono batterioclorfille necessarie per la sintesi delle sostanze organiche di cui necessitano (CO2, N, ecc.). I batteri eterotrofi, la maggior parte, utilizzano sostanze organiche già prodotte. A differenza delle alghe e delle piante, i batteri, nella fotosintesi, non utilizzano l’acqua come fonte di idrogeno per la riduzione di CO2, ed inoltre non liberano O2. Infatti la maggior parte dei batteri fotosintetici sono anaerobi e vivono dove c’è disponibilità di H2S. la reazione avviene comunque in presenza di luce e secondo l’ equazione: CO2+H2S+hv→(CH2O)+H2O+S I batteri eterotrofi si distinguono in Saprofiti, commensali e patogeni. I batteri si dicono saprofiti quando vivono su sostanze organiche morte che essi demoliscono grazie ad appositi enzimi, sono i principali decompositori del materiale organico e sono molto abbondanti sul suolo e nelle acque stagnanti. Si dicono commensali quei batteri che vivono in individui sani, senza recare loro né vantaggi né danni. I batteri si definiscono patogeni se, vivendo a spese di un organismo vivente, provoca malattie, per esempio secernendo tossine. I batteri possono anche essere simbionti, e vivono in simbiosi con altri organismi (vegetale o anche batterio), stabilendo con essi un reciproco vantaggio. Se invece l’attività di un batterio ostacola o blocca l’attività di un altro i parla di antagonismo. Un altro fattore importante per la crescita e lo sviluppo dei batteri è il pH del substrato nutritizio e nonostante la maggior parte dei batteri si sviluppi bene solo in ambiente neutro, non mancano batteri che riescono a tollerare acidità più elevate. CLASSIFICAZIONE DEI BATTERI Attualmente i procarioti sono classificati come organismi appartenenti al regno Monera e sono raggruppati nelle divisioni Eubacteria, che comprende la sezione Cyanobacteria, ed Archeobacteria. Gli Archeobatteri sono distinti in Metanogeni, Alofili e Termofili. I Metanogeni vivono in acque putride, paludi e nell’intestino umano, e sviluppano metano a partire dalla CO2. Gli alobatteri vivono in bacini di acqua salata e i termofili vivono in acque calde (sono detti termoacidofili se le acque calde sono anche acide). Quella degli Eubacteria è la divisione più ampia dei procarioti, ed è ripartita nei seguenti ordini: • Eubacteriales : Gram-positivi/negativi di forma sferica o variamente allungata • Chlamydobacteriales : i batteri acquatici incolori, detti “ferrobatteri”, poiché in grado di riprodursi solo se in acqua sono presenti Sali di Fe o Mn. Sono provvisti di tricomi. • Spirochetales : individui lunghi spiralati, senza flagelli. • Actinomycetales : raggruppante batteri immobiliGram-positivi, saprofiti di mammiferi o anche di animali a sangue freddo. • Streptmycetales : Gram-positivi che presentano filamenti che ramificano in maniera monopodiale • Caryophanales : batteri filamentosi che è possibile trovare su materiali in decomposizione, e nell’intestino di artropodi e vertebrati. 90 CAPITOLO XIX ALGHE Le alghe, fotoautotrofe per il loro contenuto di clorofilla, sono organismi unicellulari, liberi o riuniti in colonie, oppure pluricellulari. Le alghe vivono in genere in ambiente acquatico, sia essa acqua dolce o marina, fredda o termale; e possono trovarsi sul fondo (benthos) o in superficie (plancton). Le alghe unicellulari costituiscono il fitoplancton, nutrimento degli animali acquatici microscopici. Alcune alghe sono mobili ed il loro movimento è permesso da flagelli, la cui struttura è più complessa dei flagelli batterici, e la loro forma e disposizione è un elemento di classificazione. Le alghe sui fondali, sebbene siano grosse e filamentose, non si distinguono in tessuti. Il nutrimento è fornito dall’assunzione di acqua e delle sostanze in essa disciolte da parte di tutta la superficie algale. La riproduzione può avvenire in vari modi: per divisione, per frammentazione, per spore mobili ed immobili asessuate o per via sessuata. Per quanto riguarda la forma, anch’essa è molto varia, e può andare dalle forme più semplici (coccoidi o flagellate) a quelle più evolute (filamentosa, ramificata ecc.). Un fattore che limita lo sviluppo e la riproduzione delle alghe è la scarsità di luce, infatti sappiamo che la luce può penetrare, seppur debolmente, fino ad una profondità massima di 200 metri, al di sotto dei quali non esiste vita vegetale. Di conseguenza, con l’aumentare della luce il fitoplancton aumenta, mentre la contrazione decresce al diminuire della luce. Sebbene possano resistere a temperature piuttosto estreme, anche la temperatura è un fattore importante per lo sviluppo di alghe, tant’è che esso è favorito nelle acque temperate. Anche le alghe bentoniche sono soggette alla temperatura, e possono definirsi annuali, se muoiono con l’arrivo della stagione fredda, o perenni, se nella stagione fredda si dotano di pareti in grado resistere alle temperature più fredde. Nelle alghe si riscontrano alcune differenze di carattere biochimico, infatti alcune alghe 91 sono dotate di pigmenti fotosintetici diversi dalla clorofilla a, che permette loro di captare la luce a lunghezze d’onda minore e quindi di vivere a profondità maggiori (ficoeritrina nelle alghe rosse, e fucoxantina nelle alghe brune). Altra caratteristica peculiare per ogni gruppo di alghe è la costituzione della parete cellulare. Le alghe sono ripartite nelle divisioni: • Rhodophyta, • Pyrrophyta, • Crysophyta, • Phaeophyta, • Euglenophyta, • Chlorophyta, • Charophyta. DIVISIONE RHODOPYTA - ALGHE ROSSE Le alghe di questa divisione sono eucarioti, strutturalmente complessi, diffuse in prevalenza nelle acque marine, specialmente nelle zone tropicali e temperato-calde. Sono ripartite in due classi : bangiophyceae e florideae. La prima comprende quattro ordini, la seconda sei. Le alghe rosse vivono negli ambienti marini più svariati, infatti si possono trovare sia a notevoli profondità, sia sulle scogliere, sia tra i limiti dell’alta e della bassa marea. Nelle acque dolci invece si trovano nei pressi di cascate, e nei corsi d’acqua freddi e veloci. Il colore delle Rhodophyta può variare dal rosso chiaro al rosso scuro a violetto, a seconda del rapporto tra le quantità di pigmenti presenti. I pigmenti presenti sono, oltre alla clorofilla a e d, carotenoidi, xantofille e le ficobiline, queste ultime, contenute nei ficobilinosomi, sono fondamentali per la vita delle alghe rosse nelle acque più profonde. Le Rhodophyta non hanno flagelli e pertanto, vengono definite preflagellate. Esse hanno un nucleo piccolo, ma un nucleolo ben sviluppato, avvolto nella membrana nucleare; la parete cellulare ha due strati, entrambi formati da carboidrati, che talvolta può mineralizzare (barriere coralline), o come nelle Florideae, può presentare un foro, atto al trasporto di materiali nutritizi attraverso le cellule. I cloroplasti sono solitari, e, dal processo fotosintetico si forma un prodotto di riserva, definito amido delle Florideae, che si accumula nel citoplasma sottoforma di granuli. La struttura dell’apparato vegetativo del tallo, può essere semplice, o abbastanza complessa, pertanto ci saranno esemplari unicellulari, ed esemplari filamentosi ramificati. Nel caso vi sia un unico filamento principale, il tallo è detto uniassiale, se i filamenti principali sono più di uno, si parla di talli pluriassiali. Come nella plantula l’accrescimento del tallo è dovuto ad una cellula apicale, che però si divide trasversalmente: delle due cellule che si vengono a formare dalla divisione della cellula apicale, infatti, una continua ad essere cellula apicale, l’altra con il susseguirsi delle divisioni cellulari diventerà cellula apicale di un nuovo filamento laterale di secondo ordine e così anche per i filamenti di ordine successivo. I processi riproduttivi delle alghe rosse possono essere di tipo vegetativo, possono avvenire per sporogonia o possono essere di tipo sessuale. La riproduzione di tipo vegetativo avviene per frammentazione del tallo, o mediante un processo di sporulazione con la formazione di sporocisti, monospora o polispora. La riproduzione per sporogonia avviene per mezzo di tetraspore, originate dalle divisioni meiotiche di sporangi. La riproduzione sessuale avviene solo in alcune Rhodophyte. I gameti maschili sono detti spermazi, sono privi di flagelli e vengono prodotti dagli spermatangi. In genere vengono prodotti un gran numero di spermatangi raggruppati molto vicini in modo da costituire una struttura detta soro, che giunto a maturità si apre, rilasciando gli spermazi che, trasportati dall’acqua, giungono ai tricogini, le estroflessioni del carpogonio che contiene le oosfere. Lo spermazio aderisce sulla 92 struttura del tricogino, entra in esso e migrando verso il basso raggiunge l’oosfera fecondandola. Avvenuta la fecondazione, lo sviluppo del carpogonio varia a seconda della specie. Per le famiglie, gli ordini e le classi vedere libro DIVISIONE PYRROPHYTA Sono un importante componente del fitoplancton, in prevalenza unicellulari, mobili ed immobili. Possiedono cromatofori, che contengono clorofilla a e c, carotenoidi e xantofille, che conferiscono loro una colorazione che varia dal giallo-verdastro al giallo-bruno. Sono dotate di parete cellulare, di un nucleo, con un grosso nucleolo, vivono in acque marine e la loro nutrizione è di tipo olofotico o parassitico. Si riproducono tramite isogameti (isogamia = gameti identici). DIVISIONE CHRYSOPHYTA Le alghe di questa divisione sono unicellulari, mobili ed immobili; oppure riunite in colonie; o pluricellulari filamentose. Vivono sia in acque marine, sia in acque dolci, sia sui suoli umidi. Sono dotate di parete cellulare, come pigmenti fotosintetici contengono clorofilla a e c carotenoidi e xantofille, ed appaiono di colore giallastro. Sono organismi autotrofi, di rado saprofiti, e contengono come sostanza di riserva oli e non amido. A tale divisione appartengono anche le Diatomeae, sebbene queste abbiano un tipo di riproduzione sessuale, a differenza delle altre classi. DIVISIONE PHAEOPHYTA – ALGHE BRUNE Le Phaeophyta vivono in prevalenza in acque marine, diffuse sulle coste rocciose dei mari temperati e freddi, presentano sempre un tallo pluricellulare, che si ramifica in vari modi e può essere tanto microscopico quanto molto grande (anche 70 m). Le cellule di tali alghe si presentano molto simili a quelle delle piante vascolari, con la differenza che nel nucleo vi sono cromatofori, addossati alla membrana che contengono i vari pigmenti fotosintetici, tra cui la fucoxantina caratteristica delle alghe brune. Nelle cellule non si riscontra mai amido, ma viene accumulata laminarina, che, se solfatata, ha proprietà anticoagulanti, oppure, nel caso in cui i gruppi solfato siano pochi, acquisisce proprietà antilipemiche. La riproduzione delle alghe brune avviene sia per frammentazione, sia per distacco di propaguli. La frammentazione del tallo avviene più frequentemente, e a seguito della frammentazione i talli formatisi, possono sia rimanere attaccati al substrato sia essere trasportati altrove dalle correnti marine. In altri casi avviene un tipo di riproduzione sessuale che può avvenire per isogamia od eterogamia o ancora per oogamia. PHAEOPHYTA DI INTERESSE FARMACEUTICO Ordine Laminariales Sono alghe tipiche dei mari freddi, il cui tallo si differenzia in una parte basale (rizoide) che la tiene legata al substrato e una parte cauliforme detta stipite che termina con una fronda formata da una o più lamine (filloidi). Per la presenza di laminaria, il caule ha la proprietà di ingrossarsi di molto quando si imbibisce di acqua. Famiglia Laminariaceae 95 Gli Eumycota sono organismi eucarioti, ripartiti in cinque sottodivisioni: 1. Mastigomycotina, 2. Zygomycotina, 3. Ascomycotina, 4. Basidiomycotina, 5. Deuteromycotina. EUMYCOTA Sono organismi frequentemente miceliari, con una fase vegetativa che si può racchiudere in una sola cellula (lieviti) o da filamenti ramificati (ife) che formano il micelio. Le ife fungine si diffondono nel substrato ed assorbono materiale nutritivo, e vengono dette austori nei funghi parassiti e rizoidi nei funghi saprofiti. Qualora si intreccino tra loro formano degli pseudo parenchimi, detti ifenchimi, o plectenchimi quando sono ancora riconoscibili le ife che le costituiscono. Questi pseudo parenchimi sono formano il cosiddetto “corpo fruttifero”. L’organo di riserva e conservazione dei funghi è detto sclerozio, ed è anch’esso costituito da un insieme molto aggrovigliato di ife. Le cellule delle ife fungine sono generalmente distribuite e di varia forma, presentano una parete cellulare costituita in prevalenza da chitina, sebbene in alcuni casi si riscontrano chitosano, glucano, o lomasomi (particolari strutture proteiche). Le ife si possono classificare in settate e non settate. Quelle non settate sono dette cenobitiche, se presentano un’unica, grande cellula, ramificata in filamenti, con numerosi nuclei; o sifonate se se dotate di numerosi nuclei, non separati da parete. Le ife settate sono divise da pareti trasversali (o setti) in unità cellulari con uno o più nuclei. Tali setti sono costituiti da pori che permettono la continuità citoplasmatica tra le cellule adiacenti. I pori possono essere semplici, se permetteno anche il passaggio dei nuclei da una cellula all’altra; o possono essere delipori, con una struttura più complessa che presenta un rigonfiamento lungo i bordi e pertanto non consente la migrazione dei nuclei da una cellula all’altra. La fusione dei citoplasmi delle ife (plasmogamia) può portare alla formazione di un micelio nel quale si hanno nuclei tutti uguali (omocariosi) aventi tutti lo stesso genotipo, e tale micelio è definito omocarion. È detto eterocarion invece il micelio che per eterocariosi presenta nuclei con differenze geniche. L’eterocariosi costituisce l’unica possibilità per i fungi imperfecti di una ricombinazione genetica, che avviene attraverso un ciclo detto parasessuale, non essendo dotati tali funghi di un ciclo sessuale. PROPAGAZIONE E RIPRODUZIONE DEI FUNGHI Per quanto riguarda i funghi unicellulari, la riproduzione avviene per scissione o gemmazione. Mentre negli esemplari pluricellulari, si verifica una riproduzione per mezzo di spore o per via sessuale. Le spore, siano esse sporangiospore (ossia prodotte dagli sporangi presenti sulle estremità delle ife) o conidi (spore che si formano per divisione trasversale della cellula terminale di una ifa), possono essere mobili ed immobili e si diffondono per via anemofila, idrofila o zoo cara. Vi sono infine particolari tipologie di spore dette ioidi che si formano per la frammentazione di tutto il micelio. La riproduzione sessuale, avviene in modi diversi a seconda dei funghi, in generale si parla comunque di anfimissia che può manifestarsi come gametogamia, gametangio gamia e ologamia. Nel caso della gametogamia può verificarsi: • Isogamia con l’accoppiamento di gameti uguali, • Eterogamia con l’accoppiamento di gameti morfologicamente differenti entrambi mobili, 96 • Oogamia con l’accoppiamento di gameti con differenze morfologiche e funzionali a seconda dei sessi, il gamete maschile è mobile, mentre il gamete femminile è immobile. Nel caso della gametangiogamia si ha la fusione di ife sessualmente differenti (i gametangi) ed è molto frequente nei funghi e può tanto trattarsi di isogametangiogamia, se la fusione avviene tra gametangi identici e si genera una zigospora, oppure di eterogametangiogamia, se la fusione avviene tra un gametangio maschile o spermatangio ed un gametangio femminile o oangio. L’ologamia invece è caratteristica peculiare dei funghi unicellulari. Nei funghi omotallici i due sessi si trovano sullo stesso individuo e quindi si verifica autogamia, nei funghi eterotallici invece i sessi sono separati su individui distinti, ma non sempre è facile distinguerli. NUTRIZIONE La mancanza di clorofilla non permette ai funghi di poter organicare il carbonio, e pertanto, necessitano di sostanze organiche che ricavano, o parassitando da altri organismi, o vivendo come saprofiti, nutrendosi di materiali in via di decomposizione. Per accrescersi, i funghi necessitano di acqua, o quantomeno di un adeguato tasso di umidità. I funghi crescono in substrati con un pH anche inferiore a 6 e sono per la maggior parte organismi aerobi, sebbene ve ne siano di aerobi facoltativi in grado di trarre dalla fermentazione l’energia necessaria per la vita (lieviti). I funghi che vivono come saprofiti, tramite la secrezione di particolari enzimi, possono trasformare in amminoacidi, zuccheri o lipidi, i polimeri dell’ospite, e così facendo sono in grado di assorbirli. Tra i funghi saprofiti ve ne sono alcuni di interesse farmaceutico, utilizzati per le fermentazioni industriali. Tra i funghi parassiti, si distinguono parassiti facoltativi, capaci di nutrirsi sia come saprofiti che come parassiti, ed i parassiti obbligati, che possono vivere esclusivamente come tali. I funghi parassiti in genere non arrecano gravi danni all’organismo ospite, cosi che la pianta nutre il fungo come fosse un suo frutto, tuttavia alcuni parassiti secernono sostanze che provocano la lisi delle cellule dell’ospite, in modo da poterne utilizzare le sostanze nutritizie in maniera più immediata. Infine il fungo può anche vivere in completa simbiosi con un altro organismo, come si verifica nei licheni, associazione simbiotica di un fungo con un alga, e nelle micorrize, simbiosi tra un fungo vivente con la radice o rizoide di una pianta. VALORE NUTRIZIONALE DEI FUNGHI I funghi contengono il 78-82% di acqua e da analisi chimiche si è stabilito che il 18% massimo dei carboidrati e l’80% delle proteine è utilizzabile. Tali proteine in effetti sono particolarmente facili da assimilare poiché in maggioranza composte da amminoacidi essenziali. Alcuni funghi contengono vitamina A, B1 e B2, PP e D2, importante fattore nutrizionale (antirachitico), mentre invece in tutti i funghi manca la vitamina C. In particolare i funghi più ricchi di vitamine sono i licheni. Di notevole interesse nutrizionale è anche la presenza di composti di natura terpenoidica, responsabili del gradevole e stimolante aroma dei funghi. In definitiva per la composizione e per il contenuto i funghi possono apparire per alcuni aspetti prodotti di origine animale, tuttavia il loro utilizzo alimentare è svantaggiato dalla sconvenienza economica. SOTTODIVISIONE MASTIGOMYCOTINA Sono funghi con ife non settate ed hanno conidi che si formano nei conidiangi e che possono essere mobili per la presenza di flagelli, od immobili. A seconda del numero di flagelli, i funghi di questa divisione si suddividono in varie classi, che comprendono funghi con conidi con un solo 97 flagello posto posteriormente a forma di frusta, altri con flagelli a pettine posti anteriormente e infine conidi con due flagelli uno a frusta posteriore ed uno sub apicale a forma di pettine. I primi detti Chitridiomiceti, sono molto simili ai secondi detti Ifochitidriomiceti, infatti entrambe le classi presentano funghi con tallo uni nucleato formato da cellule uni nucleate. I Chitridiomiceti sono parassiti o saprofiti e vivono spesso in acqua dove si moltiplicano e si dividono per mezzo di spore agamicamente. Gli Ifochitridiomiceti invece sono parassiti di alghe. La riproduzione sessuale di tali funghi avviene in maniera diversa a seconda della specie. La terza classe invece è costituita dagli Oomiceti e comprende sia muffe acquatiche, sia di terra, saprofite e parassite di animali e vegetali acquatici e terrestri. La riproduzione sessuale di tali funghi avviene per oogamia. Nessuno dei Mastigomycotina ha interesse farmaceutico, ma alcuni di essi sono conosciuti per la loro capacità di provocare diverse malattie a ortaggi ed altre piante. SOTTODIVISIONE ZYGOMYCOTINA Comprende due classi di funghi, in prevalenza terricoli con micelio semplice e ife non settate, si tratta di saprofiti di animali e vegetali che si riproducono agamicamente per mezzo di spore prive di flagelli, contenute negli sporangi che si diffondono per via anemofila, idrofila o zoocora. La riproduzione sessuale avviene per gametangiogamia e porta alla formazione di una zigospora (da cui presumo venga il nome di zigomicotina…) e può avvenire in esemplari omotallici o eterotallici. I funghi che appartengono alla famiglia delle Mucoraceae sono particolarmente interessanti e vengono dette muffe bianche. Queste, in determinate condizioni di umidità possono svilupparsi saprofiticamente su pane, frutta, carta e substrati di varia natura. Alcune specie sono parassiti di substrati di natura animale e alcuni di essi causano ascessi a cavalli ed altri animali domestici; ed altre ancora sono parassite dell’uomo e possono causare pseudo tubercolosi, infezioni polmonari alla cornea e al canale urinario. Vi sono infine specie parassite di amebe e protozoi e vengono definiti funghi predatori, in quanto producono austori, che assorbono il contenuto nutrizionale dell’ospite portandolo alla morte. SOTTODIVISIONE ASCOMYCOTINA È la sottodivisione più grande dei funghi e comprende circa trentamila specie e vivono negli habitat più disparati. Alcuni di essi sono parassiti, altri sono saprofiti di animali e vegetali altri ancora vivono in simbiosi con alghe. Costituiscono uno dei maggiori problemi per le coltivazioni, per le sostanze alimentari dell’uomo, sia per l’uomo stesso; sebbene molti di essi siano commestibili (tartufi), utilizzati per processi fermentativi alimentari ed industriali. Questi funghi prendono il loro nome dalla forma dello sporangio, o asco, nel quale si verificano la cariogamia, la meiosi e la produzione di ascospore, che l’asco, giunto a maturità, disperde aprendosi. Le ascospore hanno forme diverse e possono essere uni- o pluricellulari. Il corpo vegetativo delle Ascomycotina è costituito da un tallo con ife settate, spesso molto ramificate così da generare un micelio ben sviluppato. In condizioni ambientali sfavorevoli, le ife possono legarsi molto strettamente formano lo sclerozio ricco di materiali di riserva e rivestito di uno strato proteico. I funghi di questa sottodivisione hanno differenti tipi di riproduzione, ma quella più frequente avviene con la formazione di conidi, sebbene molte volte nella stessa specie, in tempi diversi, si possano verificare diversi tipi di riproduzione; pertanto tali funghi si definiscono pleomorfi. Il processo ad uncino, è il caso di gametangiogamia più diffuso negli Ascomiceti. Esso si verifica per copulazione di un anteridio con un ascogono femminile, che presenta un’appendice detta tricogino. Nel tricogino inizia l’atto riproduttivo ed è da qui che passano i nuclei dell’anteridio che raggiungono ascogono per la successiva plasmogamia. A questo punto i nuclei si accoppiano formando così un dicarion che si disporrà nella cellula apicale che andrà a formare