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Guide e consigli
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BIOLOGIA MOLECOLARE APPLICATA, Sbobinature di Biologia Applicata

Sbobine (parola per parola), con integrazione di immagini e slide Prof.ssa VAI e dal Prof. MARTEGANI. Tecniche di biologia molecolare, quali RT-PCR, Real time PCR, scorpions, cobra, arrays, Northern blot, Southern Blot, trasfezione e clonazione. Studio elementi di biologia molecolare: cromatina, istoni, metilazione, isole CpG, Proteine Fluorescente (GFP), Telomeri, Plasmidi, piante e animali trasngenici Accenni di Bioinformatica (PAM, BLOSUM, allineamento multiplo, globale, locale, Data Bank)

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

In vendita dal 14/08/2019

tigrebianca
tigrebianca 🇮🇹

4

(1)

8 documenti

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Scarica BIOLOGIA MOLECOLARE APPLICATA e più Sbobinature in PDF di Biologia Applicata solo su Docsity! 1 BIOLOGIA MOLECOLARE APPLICATA Esame orale: discussione di un lavoro scientifico e esame sul programma. TECNICHE PER ANALIZZARE L’ESPRESSIONE DEI SINGOLI GENI In questo contesto si ha l’analisi con Northern Blot, il cui punto di partenza è analisi su RNA totale, quindi, solo i trascritti (non sono rRNA), all’interno di essi abbiamo una sottopopolazione: gli mRNA che danno origine alle proteine. L’analisi di Northern permette di dire se c’è o meno un trascritto e di determinarne il peso molecolare. Può essere anche un’analisi relativa: permette di dire che il trascritto c’è di più rispetto di altri campioni o all’interno dello stesso campione, in quanto i trascritti variano a seconda del tessuto, delle condizioni, del trattamento… Abbiamo dei trascritti poco rappresentati, molto rari e altri abbondanti. Poi, si ha la retrotrascrizione abbinata alla PCR, un’amplificazione (RT-PCR). Anche questa può essere c’è o non c’è un trascritto, offre dei vantaggi rispetto al Northern, quali di sensibilità, amplificando il segnale si aumenta la sensibilità, non la specificità, ma non prevede di stabilire il peso molecolare. Anche per la RT-PCR esiste quella relativa, che permette di dire che ci sono delle variazioni all’interno del trascritto. C’è anche il concetto di PCR quantitativa, che non è quella convenzionale, la strutturale è analoga, ma si procede con un’amplificazione quantitativa, in modo tale che l’amplicone ossia quello che viene amplificato possa fornirci precise informazioni sul templato iniziale, questo può avvenire solamente se si seguono alcuni principi. Il concetto di PCR quantitativa è lo stesso che si ritrova nell’ RT-PCR competitiva, che significa retrotrascrizione e PCR in presenza di un competitore, questa mi permette di avere misure assolute di quanto ce n’è. Lo stesso discorso di PCR quantitativa è alla base della real time PCR. RT PCR ≠real time PCR, ma retrotrascrizione abbinata alla PCR = RT PCR, invece, real time PCR è una PCR in real time (non c’è un’abbreviazione). La real time PCR può essere relativa o assoluta, in questa si può vedere la cinetica di amplificazione, che non si vede nella PCR normale. Abbiamo, poi, l’analisi trascrizionali quantitative relative di più trascritti simultaneamente. Un esempio sono i micro e i macro-array, in base alle dimensioni dei supporti. Ci sono quelli in spot dispenser e in chip. SAGGI DI IBRIDAZIONE STANDARD E SAGGI INVERSI Sia Northern che Southern che Array sono basati su un’ibridazione con una sonda e si hanno dei target o un target. Quella standard è Northern e Southern, inoltre, si ha quella inversa ossia quella legata agli array. Nella standard i target non sono marcati sul supporto (dopo aver estratto RNA o DNA, avete trasferito su un chip), ma la sonda, la probe, è marcata e sta in soluzione. Negli array, al contrario, la sonda non è marcata ed è legata al supporto, i target sono marcati e sono in soluzione. NORTHEN BLOT 1) RNA viene estratto da determinate cellule di determinati tessuti. Ci sono delle metodiche che sfruttano le caratteristiche chimiche e fisiche che differenziano le macromolecole: RNA, DNA e proteine, le quali hanno diversi comportamenti in presenza di soda o di acidi. In alcuni casi è prevista la purificazione sul RNA totale dell’mRNA, sfruttando la coda di poliA, lunga circa 200- 250 A. Ci sono metodiche che sfruttano l’affinità, che messe su colonnine, resine. Un esempio di separazione è la cromatografia su matrici di oligo-dt, ci sono gli oligo-dt, facendo passare l’RNA totale, in opportune condizioni, rimarranno attaccati soltanto gli RNA con la coda, il resto sarà eluito, successivamente, variando la forza ionica si recuperano gli mRNA. 2 2) Sia l’RNA totale che l’mRNA è separato su un gel di agarosio, denaturante, in quanto si devono separare solo in funzione del peso molecolare, non sulla loro conformazione, che è l’altro elemento che influenza la migrazione. NON ESISTE GEL ELETTROFORETICO, ma gel di agarosio. Si usa il gel con la formaldeide e la formammide. Prima di fare ciò, si deve fare il dosaggio allo spettrofotometro, leggendo a 260 nm, nell’UV (ripassare spettri, UV il primo colore nel visibile è il violetto, infrarossi…) si sfrutta l’assorbanza delle basi azotate, effetto ipercromico. Le letture possono essere svolte anche a 240 o a 280 nm, dipende dalla qualità del materiale estratto. A 280 nm si leggono le proteine, si sfruttano gli anelli aromatici di alcuni amminoacidi. Separazione su gel di agarosio in condizioni denaturanti e migrazione in base al peso molecolare, con una precisa relazione, in funzione del peso: inversamente al logaritmo del peso molecolare. (a pH 8, per farla migrare al polo positivo, mantenendo una certa carica). 3) Visualizzazione di ciò che è stato caricato, alla fine della corsa, con intercalante oppure colorazione del gel con intercalante, si usano etidio, bromuro, che sono specifici per l’acido nucleico. Hanno, inoltre, un’altra proprietà: formano dei legami stechiometrici, in funzione della quantità. Questo intercalante non si userà per fare Real time, anche se è stechiometrico. Quando si carica un RNA totale, si ha anche la bontà della preparazione, in quanto sul gel si vedono le bande del RNA ribosomiale, sono presenti ad alti livelli, permettono di dare delle bande discrete. Si intercalano a livello stechiometrico ossia le subunità ribosomiali nella cellula sono 1:1, quindi, ci sono le stesse quantità, di conseguenza, devono dare lo stesso segnale, però, essendo stechiometrico oltre alla quantità, anche lunghezza, tanto più lungo tanto più si intercala. Le bande A parità di quantità, le bande più alte sono sempre le più intense di quelle basse. Questo ci dice la bontà, c’è la stessa quantità, ma essendo più corte devono essere meno intense, se ci sono le cose bilanciate c’è qualcosa che non va. Nel momento in cui si purifica del RNA messaggero non si vede più nulla, perché i trascritti messaggeri sono presenti in quantità diversa, dimensione diversa, ma non in quantità tale da dare delle bande definite, discrete, in funzione della sensibilità di quello che noi stiamo usano per vedere ossia l’etidio. C’è qualcosa di evanescente sul fondo. Se ci sono delle bande, significa che non abbiamo purificato e si valuta anche in questo modo la bontà. Alla fine, il gel viene trasferito su una nitrocellulosa o di nylon, purché sia carico positivamente. Il trasferimento, in generale, avviene in questo modo: in una vaschetta si mette il tampone, un supporto su cui si mette della carta, si fa un ponte con la carta, poi, si appoggia il gel e sul gel si mette la nitrocellulosa, poi, si mettono dei fogli di carta asciutta. Per capillarità l’acqua sale, portando con sé l’acido nucleico che rimane sulla nitrocellulosa, ma non è fissato, in quanto i legami non sono ancora covalenti. Il filtro viene fissato agli UV, si cross linka, si ha la formazione dei legami covalenti tra acidi nucleici e il supporto. Non ci sono trattamenti denaturanti, a differenza della Southern, in quanto l’RNA è già a single strand. 4) Si ibrida: facendo una Northern normale o relativa. LEZIONE 2 SONDE Lo stesso discorso, fatto precedente, vale sia per la Northern (RNA) e Southern relativa (DNA). A questo punto, si necessita di una sonda, che verrà marcata e messa in soluzione. N sonde = n possibilità di fare sonde, non sono intercambiabili, il materiale di partenza dipende da quello che stiamo facendo, si possono fare sonde a RNA e a DNA o sonde con oligo sintetizzati chimicamente, tutto ciò è in funzione delle informazioni di partenza che si hanno. La cosa importante è la sensibilità della sonda, soprattutto per la Northern, si hanno bisogno di sonde altamente sensibili, messaggeri 5 questa trascrizione, rispetto al DNA che si aveva nella random, l’attività specifica è molto più elevata. Si chiama RNA se ho clonato DNA, se ho clonato un cDNA avrò un cRNA. Nel gene chip, nelle marcature, si avrà il cDNA. In questo sistema, a differenza del random primer, dove nella mia sonda non posso eliminare il DNA marcato da quello non marcato, li uso in miscela, non hanno differenze tali da poter separarli, in questo caso, invece, dopo aver fatto la trascrizione, posso eliminare in maniera specifica il templato che ho usato, in quanto ho usato il DNA e ho ottenuto del RNA. Faccio questo usando una nucleasi specifica per il DNA, chiamata DNAasi 1, che si trova in elevate quantità nel pancreas, è un’endonucleasi specifica per il DNA, idrolizza sia single che double strand. Il taglio, l’idrolisi del legame fosfodiesterico, lascia il fosfato sul 5’, il 3 OH è libero. Taglia nei siti adiacenti alle pirimidine, dentro. Se c’è un double strand, idrolizza entrambi, non ha preferenze. Le miscele che si ottengono dei prodotti di digestione sono in funzione della quantità di DNAasi che si mette o di tempo che si lascia reagire, in un eccesso di enzima rispetto al substrato idrolizza tutto il templato, in un eccesso in quelle condizioni idrolizza tutto il templato e si ha tutta la miscela. È possibile mettere anche una quantità limitante di DNA rispetto al substrato, farà soltanto dei nick sul target, idrolizza soltanto qualche legame. È il principio su cui si basa la nick translation. Questa sonda su una Southern va bene, non ci sono problemi di informazione, in quanto si ha double strand, qui si fa sintesi solo di un strand e l’appaiamento deve trovare quello complementare, nel momento in cui si decide per fare una Northern, c’è un solo filamento, se non si conosce il senso di trascrizione, non è possibile utilizzarla. Questo è un limite. Se non si conosce il senso, si creano due sonde, trascrivendo un filamento e trascrivendo l’altro, facendo due ibridazioni, per stabilire anche il senso di trascrizione, però, non può farlo. Nick translation →DNA double strand, si ha bisogno sempre di un primer 3 OH. Si tratta con la DNAasi 1 il templato in condizione estremamente limitanti ossia endo, 3 OH, 5’ fosfato, fa dei nick, o l’uno o l’altro, con il magnesio, si usa enzima che ha attività eso 5’→3’, nello stesso senso di polimerizzazione, che l’enzima di coli. C’è il 3 OH, l’enzima si attacca e in direzione 5’→3’ inizia a incorporare qui. Quello che si trova davanti lo toglie, avendo funzione eso, fa il displace dell’elica, idrolizza man mano e aggiunge, toglie uno e aggiunge l’altro. Questa tecnica è stata abbandonata perché ha un’attività specifica inferiore rispetto al random primer. A parità, la radioattività è inferiore, quindi, meno sensibile, nel random primer si riesce ad avere rappresentività del templato, qui dipende. Il nick è uno solo, quindi, anche se è partita davanti, arriva e non ha un buco, ma se ne trova solo uno riesce ad andare avanti. È molto meno controllata, tutta la parte prima del nick non è marcata. Il displace è importante da capire perché la TaqMan che è usata nella real time, ha attività eso 5’→3’. Tutti questi elementi possono traslati in altri contesti. In altri contesti biologici, come l’apoptosi, la quale prevede dei nick a livello del DNA, che sono sempre al 3 OH e 5’ fosfato. La marcatura con attività specifica meno elevata è la marcatura a livello dell’estremità 5’ del DNA, dove normalmente c’è il fosfato. Si può marcare 5’ fosfato e 5’ fosfato, con del fosfato radioattivo. Il DNA deve essere trattato con un enzima specifico che rimuove il fosfato. Oltre al DNA, può anche essere l’RNA. La fosfatasi alcalina è usata nei clonaggi per evitare il self annealing, si tratta il templato con la fosfatasi alcalina. Le chinasi fosforilano, si aggiunge il 3 OH, si deve fare una reazione di fosforilazione, l’enzima è il T4 polinucleotide chinasi, forniamo ATP, marcato in γ, sempre con magnesio, si trasferisce il fosfato dall’ATP, liberando ADP. A parità di templato, sempre marcato, è molto inferiore rispetto alla random, si usa, perciò, in altri contesti e non nella Northern e nella Southern. La si usa nella Sanger, per marcare il primer, il quale è stato sintetizzato chimicamente, per questo non c’è il fosfato. Se si vuole marcare al 3 OH, si usa la terminal transferasi, fornendo una sola tipologia di nucleotide marcato in α, in funzione del tempo si riesce a marcare, aggiungendo qualche nucleotide marcato 6 all’estremità. LEZIONE 3 IBRIDAZIONE Può essere un processo standardizzato. L’ibridazione è quel processo per cui due filamenti di DNA o RNA, dipende da quello che abbiamo in soluzione, possono appaiarsi e formare un ibrido, mediante la formazione di legami di idrogeno tra le base, due o tre a seconda della tipologia delle basi che si stanno appaiando. Attraverso un certo numero di basi complementari, l’ibrido che può essere più o meno stabile in funzione delle condizioni in cui si fa avvenire la reazione e in funzione del numero delle basi complementari. L’ibrido può formarsi tra DNA-DNA e DNA-RNA, in base alla tecnica e alla variazione della sonda si possono avere diverse tipologie di ibridi. L’ibridazione può avvenire anche tra molecole di DNA e RNA non perfettamente complementari tra di loro. Sono molto importanti le condizioni sperimentali ossia le condizioni di stringenza che permettono la migliore ibridazione. Ci sono condizioni di ibridazione più stringenti che richiedono maggior percentuale di omologia tra sonda e templato/bersaglio, ciò si ottiene con una temperatura più elevata, con una minore concentrazione salina, in quanto tanto più è elevata la concentrazione salina, tanto maggiore sono stabilizzate le ibridazioni non perfettamente complementari, e, eventualmente, la presenza di denaturanti chimici (il più usato è l’SDS). Ci sono condizioni di ibridazione meno stringenti che richiedono una percentuale minore di omologia tra la sonda e il bersaglio sono temperature meno elevate, maggior concentrazione saline e assenza di denaturanti. Queste condizioni dipendono dalle caratteristiche del target, della sonda, della lunghezza… sono presenti sul protocollo queste informazioni. In modo analogo alla Southern, c’è una saturazione. Nel caso del Western Blot, avendo come oggetto la proteina si usa il Bovin sierum albumin (BSA) oppure il latte, in quanto sono presenti delle proteine che permettono di saturare, mentre qui, non si usano le proteine, in quanto abbiamo gli acidi nucleici, per cui la saturazione avviene utilizzando opportuni acidi nucleici (DNA che arriva dallo sperma bovino o RNA) per favorire la saturazione di siti aspecifici. In un tampone, a opportune temperature, si aggiunge la sonda. Si lascia overnight, dopo la sonda viene rimossa e si effettuano i lavaggi, questo vale anche per gli array (questo è tutto automatizzato). Si varia la stringenza, alcuni passaggi servono soltanto per togliere l’eccesso di sonda che è rimasto, via via si aumenta, fino ad arrivare a un filtro il quale viene esposto a una lastra, perché si necessita di un’informazione posizionale, si osserva una banda, ottenuta esponendo il filtro ad una lastra auto-radiografica oppure ad uno schermo che acquisisce le radiazioni. C’è la possibilità di fare marcature non radioattive, nella maggior parte dei casi non hanno una grande sensibilità come nel caso della marcatura radioattiva (per questo motivo non si usano spesso nella Northern, perché a parità di confronto con il radioattivo sono meno sensibili). Queste possono essere di due tipologie: marcatura diretta, dove i nucleotidi che si usano sono gli stessi che si stavano utilizzando per fare random primer, sono modificati in modo tale che contengano un gruppo chimico in modo da emettere fluorescenza, se esposto alla luce, ciò che si aggiunge non deve interferire con quello che si deve fare, o indiretta, i nucleotidi sono sempre modificati, ma ciò che si aggiunge non emette fluorescenza di per sé, ma è necessario un passaggio successivo (che si chiama sbrinamento (?)) dove si utilizzano sostanze che interagiscono in modo specifico con la molecola che abbiamo aggiunto nel nucleotide, questi elementi sono modificati, a loro volta, in modo da emettere fluorescenza che se esposti alla luce emettono fluorescenza oppure alzare una reazione chimica che emetta luce o colore. Si usano sistemi di digossigenina (è un aptene, per cui ci sono anticorpi specifici che vi si legano) e il sistema con biotina-streptavidina/avidina (glicoproteina presente nel bianco delle uova) che lega in modo specifico la biotina. Bisogna modificare attaccando qualcosa in 7 modo tale che non si influenzi la funzionalità del nucleotide, è anche importante a livello della base dove si ha la formazione dei ponti idrogeno complementari, deve legarsi in modo stabile, ma non deve inficiare le reazioni di ibridazione e di sintesi. Si è osservato che attaccando digossigenina a livello di una base mediante uno spacer in modo da allontanarla dal nucleotide. Questo vale per digossigenina, biotina e per fluorocromi per marcare direttamente. Una marcatura del genere è utilizzata per marcare i target degli analoghi del chip, si hanno dei nucleotidi modificati con la biotina o con il fluorocromo. Con quei nucleotidi modificati, si possono procede così, se la marcatura è diretta si registra direttamente con macchine che leggono il segnale di fluorescenza, negli altri casi c’è il rilevamento, in quanto sono stata messa la digossigenina/biotina che di per sé non emette nulla. Si può legare alla biotina l’avidina, a cui può essere legato un fluorocromo o, molto più spesso, un enzima, la fosfatasi alcalina. L’avidina si lega in modo specifico alla biotina. A questo punto si aggiunge un substrato che può essere defosforilato dalla fosfatasi, questo substrato nella forma defosforilata è incolore, non è in grado di immettere nessuna radiazione in fluorescenza, ma il prodotto finale della defosforilazione può essere composto blu, si vedranno delle bande blu in corrispondenza del target, oppure il prodotto di reazione è in grado di emettere luminescenza, quindi, radiazioni luminose, essendo in grado di impressionare una lastra e di ottenere un segnale. Nel caso di digossigenina, invece di avere l’avidina, c’è l’anticorpo, il quale può essere legato a un fluorocromo o alla fosfatasi, alla quale si può aggiungere un substrato che una volta defosforilato diventa colorato o emette fluorescenza. Avere a disposizione la possibilità di fare marcature non radioattive, è possibile fare un’altra sonda ad alta attività specifica ossia una sonda a DNA mediante PCR: si ha il templato a doppio filamento di DNA, si aggiungono i primer, la taq polimerasi più i nucleotidi modificati, è insito nella PCR che si ottiene una sonda ad alta attività specifica →l’attività specifica è il rapporto tra marcato e templato. L’amplificazione di PCR rispetto a un templato è 2n-2 (-2, perché soltanto dal terzo ciclo in poi ottengo l’amplificato le cui dimensioni sono definite dalla distanza dei due oligo). Questa è una sonda ad alta attività specifica, è inutile farla radioattiva. Normalizzazione →viene fatta nella Northern relativa. La Northern relativa a differenza della Northern, la quale mi dice se c’è o non c’è un trascritto e di determinarne il PM, (quella relativa) permette di avere un’analisi relativa di trascritti presenti in un certo campione, in più campioni, ma dice non quanto di quel trascritto c’è nel campione in modo assoluto, ma relativamente rispetto al normalizzatore. Quando voglio confrontare l’espressione di un gene in più campioni, o di più geni in uno o più campioni, per essere sicuri che le variazioni osservate sono effettivamente dovuti alla diversa quantità presente e non a errori dell’operatore, il segnale del target deve essere confrontato con il segnale di un controllo interno, di cui si sa che non varia nelle condizioni sperimentali che si stanno analizzando, per esempio, alcuni trascritti della glicolisi sono espressi in maniera costitutiva (gliceraldeide 3 fosfato deidrogenasi →trovare degli altri). La sonda specifica contro il target e sonda specifica contro normalizzatore (=controllo interno), sono sonde con uguale attività specifica per cui, si fanno due sonde, si ottengono due segnali. Si deve caricare la stessa quantità, ci si aspetta che il segnale relativo al normalizzatore deve essere uguale in tutti i campioni. L’intensità viene trasformata in un numero, il computer calcolerà l’area e quantifica, fornendo un numero. Se si fa il rapporto tra il segnale specifico del target rispetto al controllo, si va a normalizzare, così si eliminano gli eventuali errori di caricamento. Una volta fatti i rapporti, posso confrontare i campioni tra loro, avendo un numero normalizzato, posso dire quanto ce n’è di questo rispetto a un altro, facendo un rapporto, quante volte questo rispetto a quello, quindi, quanto aumenta rispetto al punto zero. La normalizzazione permette di fare un confronto. La rappresentazione avviene mediante grafici, avendo dei numeri, con cui si vede quante volte. In genere, il punto di riferimento è posto uguale a 10 è automatizzato, perciò, si può scendere al di sotto delle 200 bp, ma anche delle 100-150. Le dimensioni e il contenuto diventano pressoché ininfluenti. Quando stiamo facendo una RT PCR specifica, si ha retrotrascritto in modo specifico, con un target specifico, con un primer specifico, a singolo filamento, poi, si usa un secondo primer, che viene studiato rispetto al primo in modo tale che non si abbia una distanza superiore di 200 bp. Nel momento in cui si vuole fare la relativa, si ha bisogno, anche in questo caso, di un controllo interno, con lo stesso principio visto nella Northern relativa, tutte le considerazioni sono fatte relative a un normalizzatore che ha lo stesso principio del controllo interno nella Northern, in questo contesto è un controllo di quantità, di retrotrascrizione e di PCR, per essere sicuri che le differenze di amplificato sono solo dovute a una differenza quantità, si deve fare retrotrascrizione del campione, del normalizzatore, che non deve variare nelle condizioni sperimentali, e l’analisi dei prodotti di amplificazione, in fase esponenziale e con dimensioni trascurabili. Si ha il target e un normalizzatore, come l’actina. Si deve stabilire la fase esponenziale, significa che l’RNA è estratto in cui è presente sia il target che l’actina, che non dovrebbe variare. Quello che varia, infatti, è il target in quanto è stato sottoposto a un certo trattamento. Retrotrascrivo = primer specifico → target→ actina →RNAasi H. Ho studiato l’oligo secondo rispetto al mio target e nella sequenza dell’actina, in modo da poter amplificare frammenti di dimensioni trascurabili, l’ideale sarebbe fare frammenti di uguali dimensioni, però, se poi si devono vedere gli amplificati su gel, si hanno dei problemi, in quanto migrano allo stesso livello. È stato studiato, perciò, il modo per avere una differenza minimale tra le due bande in modo tale che possano essere visualizzate su gel. Inizia la PCR: ad ogni ciclo, si preleva un’aliquota, per monitorare l’andamento, si deve definire la fase esponenziale, sia per l’una che per l’altra. Sopra c’è l’actina e sotto il target, le bande visualizzate tramite gli intercalanti, si ottengono dei valori e si costruisci il grafico delle intensità rispetto ai cicli. Dal grafico si deve stabilire a quale ciclo entrambe, sia l’actina che il target, si trovano sicuramente in fase esponenziale. Fatto questo, è stato stabilito dove è la fase esponenziale, fermando la PCR a quel numero di cicli. Le PCR possono essere fatte nella stessa provetta, in quanto gli oligo non competono, sono specifici per target diversi, è chiaro che anche le condizioni sono le stesse di una PCR, non ci sono delle variabili. A questo punto, si caricano su gel i prodotti della PCR, si quantizzano le bande relative: l’actina e il target in A e così via. Avviene l’analisi densimetrica dell’intensità, si ottiene il numero che corrisponde all’actina in A e quello che corrisponde in B e i relativi target… si fanno dei rapporti, a questo punto si è normalizzato il valore A, B… del target rispetto all’actina e si possono confrontare tra di loro, per poter dire se il target A, dopo un certo trattamento, è aumento rispetto alla condizione B etc. si possono fare dei confronti relativi. Si può avere un’altra informazione, si può sapere quanto di A c’è rispetto all’actina, in quanto si conosce quanta actina c’è. Sono tutte cose relative, si vedono delle variazioni. Nella fase cinetica esponenziale, la differenza di intensità delle bande che si ottengono correla con la differenza del numero iniziale →metodica semiquantitativa: quanto c’è né rispetto a un altro. Come nella Northern, si ha bisogno di un normalizzatore, si parte da RNA, si fa retrotrascrizione, in cui si sa che non ci sono variazioni delle condizioni sperimentali. Questa è un’analisi semi quantitativa, si possono ottenere anche dati quantitativi assoluti: quanto realmente c’è in quel campione, non rispetto a qualcosa. Si può fare attraverso real time assoluta o tramite RT PCR competitiva. Permette di analizzare quantità pari alle attomoli →10-18. Questo è un elevato grado di sensibilità. Ci servono degli accorgimenti, dei controlli interni per misurare queste cose. RT PCR COMPETITIVA É svolta con una PCR competitiva. Si esegue qualche PCR in presenza di un competitore, ossia un DNA, che compete con un target per gli stessi primer, viene amplificato con gli stessi primer. Bisogna fare in modo che possa essere distinguibile dal target, è amplificato con gli stessi primer. Siccome lo 11 si amplifica nella stessa provetta in cui si amplifica il target, si deve fare in modo di distinguerlo dal target, quindi, si deve fare in modo che venga amplificato con la stessa velocità così che le differenze di intensità delle bande che si trovano siano solamente dovute alla diversa quantità. Si ha il campione da cui è stato estratto il DNA. È stata fatta la RT specifica (sempre frammenti di dimensioni trascurabili). Si ottiene il cDNA con RNAasi H, secondo oligo di dimensioni trascurabili a doppio filamento. Il cDNA costruito è stato purificato ed è stato dosato, quindi, si conosce la quantità; compete con gli stessi oligo, quindi, avrà le estremità identiche su cui si costruiscono gli oligo. Si allestisce n PCR dove si mette la stessa quantità relativa al mio target. Si ha, quindi, una miscela con cDNA e si mette la stessa quantità in N provette, in ognuna si mettono quantità scalari noti, ossia diluizioni seriali, del mio competitore. Si sanno quante copie ho messo. Si esegue la PCR con oligo con quella quantità che competono con il target, la competizione è legata alla quantità, per cui alla fine della PCR si carica su un gel, le bande saranno proporzionali alla quantità di competitore presente, man mano che diminuisce uno aumenta l’altro. Se si fa un’analisi densitometrica, rapporto tra competitore e target, quando si avrà che il rapporto è uguale a 1 significa che hanno la stessa quantità, sapendo la quantità del competitore, si può sapere la quantità del target. A questo punto, avendo i valori, si costruisce un grafico: asse x competitore, su asse y cDNA, si ottiene un rapporto, la curva sarà un’iperbole. Si ha un’idea di quando il rapporto è uguale a 1. Si ripete la PCR, utilizzando quella specifica quantità di competitore, si carica sul gel e si ottengono delle intensità molto simili tra loro e si ricostruisce di nuovo il grafico. Si avranno meno punti e si avranno dei valori compresi tra 0 e 10-1 attomoli con la stessa quantità di campione iniziale, si carica su gel e si ricostruisce un grafico. Le due densità si avvicinano tra di loro. Per rendere i valori sul grafico visivamente più semplice, tramite conoscenze matematiche, si usano degli accorgimenti. Se, invece, di riportare il rapporto uguale a 1, ma si trasforma in logaritmo, log1 = 0, in questo modo l’intercetta è sull’X. Si ha dell’RNA, si retrotrascrive in modo specifico il target, di cui non si conosce la quantità precisa presente. Costruisco il mio competitore, quindi, devo conoscere tutta la sequenza del mio target. Se si esegue una RT-PCR competitiva, partendo dalla PCR, per cui non considerando l’efficienza della retrotrascrizione, si assume che il cDNA ottenuto è proporzionale a RNA di partenza idealmente identico al target, se è identico si hanno dei problemi di identificazione, è ammissibile in questo caso fare, dal punto di vista della lunghezza, un competitore le cui dimensioni sono un po’ meno del 10% rispetto al target, in modo da vedere delle variazioni. Altrimenti si può farlo esattamente identico, ma siccome lo si sintetizza, si aggiunge a un’estremità un sito di riconoscimento specifico per un enzima di restrizione di tipo 2, è specifico per il mio target, alla fine delle PCR, se si aggiunge l’enzima, questo taglierà solamente il competitore, così posso visualizzare le bande tagliate su gel, l’ideale è farlo più corto. Per quanto riguarda la sequenza, sicuramente le estremità sono uguali, ma siccome conosco la composizione di un frammento di dimensioni trascurabili che sto amplificando (=il target), il competitore è costruito con composizione identica, con estremità identiche, ma non come sequenza. Se la cosa è andata bene, per essere certi di avere la quantità corretta, si rifà nuovamente una PCR e si aggiunge soltanto quella quantità di competitore, alla miscela contenente il target, così si devono ottenere due bande che devono essere identiche. È una riprova finale: stessa quantità = due bande identiche. Idealmente questa cosa dovrebbe partire da una competizione inziale, si parte da un trascritto, si assume che la stessa quantità di RNA si ha la stessa quantità di cDNA. Il problema è maneggiare l’RNA, è facilmente degradabile; non solo per il target, ma si dovrebbe partire da un competitore a RNA, si può costruire, perché si conosce la sequenza, perché si deve costruire un RNA, che deve contenere le sequenze relative dei due oligo. Per costruire un RNA purificato e dosato, per poterlo retrotrascriverlo, si esegue una sintesi in vitro, significa che tramite PCR si è isolato il target, si deve ottenere del cDNA, relativo al target, che deve essere clonato in un pGene, se lo si vuole 12 esattamente identico, oppure si deve sintetizzare un DNA che ha le medesime caratteristiche viste precedentemente, diventa più laborioso. Si ha un cDNA con determinate caratteristiche, alcune zone identiche dove si appaieranno i due oligo, ma la sequenza dei due oligo ha una composizione differente. Si ha un cDNA, clonato con un pGene, si fa una trascrizione in vitro, si ottiene del RNA, posso purificarlo e dosarlo →quantità nota. Si ha il target e l’RNA purificato, ha problemi di stabilità, su questo si deve fare una retrotrascrizione, si ha una competizione iniziale. La stessa quantità di competitore a RNA, a quantità scalare e target. La retrotrascrizione avviene con lo stesso oligo, si aggiunge l’altro oligo, nella stessa zona che hanno in comune. La PCR così è estremamente complicata, per questo motivo la maggior parte della RT PCR si inizia dal cDNA. Ci sono dei kit per prendere dell’RNA con certe caratteristiche per facilitare le operazioni. REAL-TIME PCR É una metodica basata sulla PCR ed è quantitativa. Può essere relativa e assoluta. Nel quale viene seguita nel tempo la reazione di amplificazione ossia si segue nel tempo la cinetica, 2n, si segue come avviene la reazione, dal primo ciclo, fino al plateau. Si segue la cinetica in tempo reale. Questo è possibile seguendo un valore di emissione di fluorescenza; il segnale di fluorescenza è proporzionale alla quantità di amplificato, presente ad ogni punto, non si lavora ad end point, il segnale di fluorescenza è proporzionale a ogni ciclo, a ogni step di amplificazione. Tanto maggiore il numero di cellule bersaglio tanto prima si rileva il segnale di fluorescenza. Abbiamo una competizione basata sulle dimensioni, si devono creare dei frammenti di dimensioni leggermente diversi, nelle tecniche precedente, non si vedono dei size, ma si lavora su delle fluorescenze, si quantizza essa, la sensibilità è correlata al sistema di rilevamento. Si usa un gel, su cui c’è una banda che deve essere visualizzata e si deve associare l’intensità a un valore: ci sono dei problemi di passaggi, in cui intervengono gli operatori →tanti più passaggi in cui devono intervenire gli operatori tanto maggiore l’errore. Il sistema è poco sensibile, soltanto dopo una certa quantità si può vedere la banda su gel. I dati quantitativi non sono espressi come dati, numeri, si devono elaborarli. Si carica, si guarda, si fa un’analisi, si fanno dei conti, è una tecnica più laboriosa, non si può rendere automatizzato questo processo. Si devono diminuire le fonti di variabilità, quali i passaggi dell’operatore, la PCR, dal momento si segue la cinetica, si vede come sta andando 2n, deve rispettare una cinetica esponenziale. Nella PCR classica si vede tutto alla fine. Si devono anche valutare le condizioni di reazioni e si devono anche ridurre i tempi. Si porta come risultato una maggiore sensibilità, specificità e riproducibilità. Le applicazioni sono numerose: permette di dosare RNA, DNA, valutare espressione genica, determinare il livello di carica virale, individuazione di mutazioni alleliche, splicing alternativi… ossia si usa tutte le volte che è disponibile RNA o DNA da qualche parte. Alla base c’è l’utilizzo di coloranti fluorescenti. L’intensità di fluorescenza è direttamente correlata alla quantità di DNA o RNA presente nel campione. La fluorescenza è una proprietà di certe sostanze, che emette una radiazione elettromagnetica di una certa lunghezza d’onda, nel visibile, a seguito di un’eccitazione di un’altra radiazione elettromagnetica che abbia energia maggiore della radiazione emessa, se opportunamente eccitata. Quando una sostanza è eccitata, l’elettrone salta nell’orbitale più esterno, poi si ritorna sull’orbitale di partenza, rilasciando una radiazione. La gamma dei colori: lo spettro del visibile è tra i 770e i 430 THz e cade rispettivamente tra il rosso e il violetto. Ci sono i raggi γ, infrarossi, UV. LEZIONE 5 Nella Real time PCR si esegue una PCR quantitativa e si segue la reazione cinetica. Il sistema è costituito da un termociclatore, da una sorgente laser, che serve per eccitare i fluorofori, dà un rilevatore ottico, il tutto gestito da un computer con un software associato. In uscita, di volta in volta 15 L’area sottesa al picco è correlata alla quantità del prodotto amplificato. Se si costruisce una curva di melting, se si ha un prodotto solo si deve ottenere un picco che rispecchia le caratteristiche del DNA oppure si possono vedere eventuali contaminanti. La TM è legata alla lunghezza e alla composizione delle base, è sufficiente che ci sia la variazione di una base per avere dei picchi che si discosteranno tra di loro in un minimale →si possono vedere una variante allelica o mutazioni. La curva, quindi, permette anche di vedere sia le varianti alleliche che le mutazioni. La fluorescenza è la stessa, anche con i contaminanti. Alla fine, il software calcola le curve di melting per ogni campione, mettendo in funzione la fluorescenza con la temperatura. La sybr green si usa per saggi che non richiedono altissimi gradi di specificità o sensibilità delle sonde, per analisi generali, invece, si possono usare, serve per validare i dati degli array, scegliendo una sottoclasse di trascritti da verificare. Non si usano per la discriminazione delle varianti alleliche, a meno che non si faccia la curva di melting, che è una cosa in più alla sybr green, di per sé non permette di vederle. Non si usa per reazioni multiple. È più sensibile rispetto all’etidio, ma ha dei limiti sugli elementi rari, come trascritti e patogeni. FRET Ogni fluoroforo è caratterizzato da uno spettro di eccitazione e di emissione, siamo nel visibile. Nel sistema FRET, su cui sono basate tutte le sonde, si hanno due fluorofori e ognuno è caratterizzato da uno spettro di eccitazione e di emissione. I due fluorofori sono definiti donatore e accettore, in quanto c’è un trasferimento di energia dal donatore all’accettore, per cui è possibile eccitando il donatore rilevare la fluorescenza emessa dall’accettore, ossia il secondo fluoroforo. Questo avviene, però, se lo spettro di eccitazione dell’accettore è parzialmente sovrapponibile allo spettro di emissione del donatore, in particolare, avviene se i due fluorofori si trovano alla distanza di Foster (= 10-100 Å). Ogni giro d’elica del DNA contiene 10 basi, che corrispondono a 34 Å (→si valutano aspetti intramolecolari). L’eccitazione del donatore avviene nel blu e l’emissione nel verde. Quando si è eccitato, non si ha emissione di fluorescenza, ma si ha un trasferimento di energia, si rilascia energia, ma la trasmette. L’accettore l’assorbe ed emette nel rosso. L’efficienza è legata alla distanza, in cui si troveranno i due fluorofori. In questo caso, si avranno due sonde: una con il fluoroforo accettore e una con il fluoroforo donatore. Il primo fluoroforo avrà lo spettro di emissione parzialmente sovrapponibile allo spettro di eccitazione del secondo fluoroforo. Quando saranno alla distanza di Foster, si avrà l’effetto FRET, emettendo la fluorescenza del secondo. Non è necessario avere un microscopio ottico per visualizzata la fluorescenza. Se si hanno, infatti, due molecole o sonde che si trovano a quella determinata distanza daranno fluorescenza, è necessario solo di un rilevatore di fluorescenza; per questo la FRET si utilizza anche in vivo, per studiare le interazioni tra molecole. Se si hanno due proteine, a cui rispettivamente si attaccano l’accettore e il donatore, se queste due proteine interagiranno e si trovano alla distanza di Foster, si può vedere la fluorescenza, si possono osservare le interazioni, si ha un forte potere di risoluzione. LEZIONE 6 Con la Real time, si segue nel tempo la cinetica di amplificazione attraverso la comparsa di un segnale fluorescente, direttamente correlato alla quantità presente nel ciclo. Si può usare la Sybr Green I, è un intercalante stechiometrico e si intercala nel solco minore →è specifico per il DNA a double strand, ma non permette di discriminare tra di loro i DNA, la specificità è data dai primer che vengono adoperati nella PCR. Tuttavia, è possibile costruire delle curve di Melting, permettendo di vedere se ci sono dei contaminanti, ma si può anche fare discriminazione allelica, in quanto ogni DNA è caratterizzato da una TM. L’altra modalità prevede l’uso di sonde. Oltre ai primer, che 16 forniscono specificità, si amplificano frammenti di dimensioni trascurabili, le sonde sono one labeled (=1 fluoroforo) o dual labeled (=2 fluorofori). Tutti i fluorofori/sonde sono basati sull’effetto FRET, che è caratterizzato da un fluoroforo donatore e uno accettore, il requisito è che lo spettro di emissione del primo deve essere sovrapponibile parzialmente allo spettro di eccitazione del secondo. I due fluorofori devono essere a distanza di Foster, si può avere l’effetto FRET, eccitando il primo, si ha un trasferimento di energia, si avrà il segnale di fluorescenza del secondo. SONDE DI IBRIDAZIONE →ONE LABELED Oltre ai primer, ci sono due sonde specifiche per il target, che si ibridano nella zona delimitata dal primer: una è marcata con fluoroforo e funge da donatore, l’altra con un altro fluoroforo e funge da accettore. Quando sono in soluzione non si ha nessun effetto FRET, invece, quando si annilano al target si ha l’effetto FRET. Se, opportunamente, eccitate, si può rilevare la fluorescenza del secondo. Una sonda ha il fluoroforo in 3’, l’altra in 5’. Sono studiate in modo tale da avere un’ibridazione testa-coda, per avere la distanza di Foster, la coda 3’ di una deve andare vicino alla testa 5’ dell’altra. La λ dell’accettore è parzialmente sovrapponibile allo spettro della prima sonda, ossia al donatore. Le sonde si devono distanziare da 10 a 100Å, il trasferimento è in funzione della distanza. Si ha il DNA double strand, si denatura e ci sono tre primer e le sonde in soluzione. Si abbassa la temperatura e c’è l’annealing, ma insieme all’annealing, si devono ibridare le due sonde, le quali si troveranno nella situazione per dare effetto FRET. Successivamente, la temperatura si alza, la fase seguente è la polimerizzazione, le due sonde si staccano e finiscono nuovamente in soluzione. Dopo ciò, il ciclo finisce e si ricomincia da capo. Il tutto è impostato in modo tale che prima della polimerizzazione, dopo che ci sia annilato il primer e le sonde, a questo punto il sistema eccita il primo fluoroforo e rivela la fluorescenza del secondo. La fluorescenza è direttamente legata al templato e di amplificato presente. Nel sybr si eccita dopo il ciclo di polimerizzazione, in questo caso prima. Se si confronta questo sistema rispetto a un Sybr, questo è più specifico, in quanto ci sono due sonde che sono specifiche per quel target, oltre ai primer. Le sonde non sono idrolizzate, si possono fare, alla fine del processo, le curve di Melting. È un sistema che, rispetto alla TaqMan, è abbastanza flessibile nel disegnare le probe, se ci si sposta all’interno delle 200 bp, devono avere una composizione tale e una distanza tale che stiano appaiati ai primer. Vista la specificità, si possono fare delle analisi multiple, controllando le temperatura, in quanto si possono costruire delle sonde specifiche per il target, in cui si possono mettere nella sonda donatore un fluoroforo che è eccitato alla stessa lunghezza d’onda, alla stessa lunghezza d’onda si riesce a eccitare più donatori, ma l’accettore avrà lo spettro di eccitazione parzialmente sovrapponibile a quello di emissione del donatore, ma emetteranno a lunghezze d’onda diverse, perciò, si possono vedere n campioni = n curve e fluorescenze diverse. Si devono determinare, per questo motivo bene, le condizioni di annealing. SISTEMA TaqMan C’è sempre l’effetto FRET, un donatore e un accettore, ma esso, se posto alla distanza di Foster, in questo caso, non emette fluorescenza, ma funziona da quencer, ossia quencha il segnale. Il donatore che viene definito reporter è eccitato. Il secondo fluoroforo è definito quencer, ho il trasferimento di energia, ma non ho emissione di fluorescenza, si quencha il segnale in quanto si libera calore questo significa che se si trovano alla distanza di Foster e c’è effetto di FRET, non si ha nessuna emissione di fluorescenza, a differenza delle sonde di ibridazione. Quando non saranno più vicini tra di loro, oltre la distanza di Foster, si avrà l’emissione di fluorescenza del reporter. C’è il reporter in 5’e il quencer in 3’, ma è un’unica sonda. Il segnale è quenchato. Quando, per qualche motivo, il reporter è allontanato dal quencer, si avrà fluorescenza. Su questo principio, sono 17 costruite le sonde TaqMan, le quali sono dual labeled, devono essere complementari alla zona all’interno dei due primer, si ibrida all’interno, è specifica per il target. Il 3’, che è un 3 OH, ha un blocker ossia il 3 OH è modificato in modo tale che non possa essere esteso. Questo viene fatto per impedire alla polimerasi che lo usi come innesco per la polimerizzazione. La polimerasi usata è la TaqMan, la quale, oltre all’attività di polimerizzazione 5’→3’, ha anche l’attività di nick translation ossia l’attività eso 5’→3’, quindi, oltre a formare legami fosfodiesterici, che si trova davanti, idrolizza un nucleotide e lo rimuove. Si ha il primer, la probe al 5’, con il 3’ bloccato, si annila, polimerizzando, proseguendo, incontra la sonda stacca il primo nucleotide, che è quello in 5’ dove è stato messo il reporter. C’è effetto FRET, poi, è andato in soluzione e non c’è più l’effetto FRET. Continua a polimerizzare in relazione alla temperatura di polimerizzazione. La sonda è in soluzione, per cui una molecola single strand può assumere diverse conformazioni, alcune delle quali potranno portare i due elementi alla distanza di Foster, altre no. Si ha ibridazione e la sonda deve rimanere annilata appena inizia la polimerizzazione, si deve annealare, c’è la TaqMan, se è ibridata, c’è l’effetto FRET. La TaqMan appena inizia, incontra la sonda e stacca il primo nucleotide: non c’è più effetto FRET. Durante ogni ciclo viene degradata la sonda, quindi, non si può costruire la curva di melting. Si rileva il segnale appena inizia la polimerizzazione →Si ha un problema, in quanto la TaqMan funziona a 72- 76 °C. La TM della sonda dipende dalla lunghezza e dal contenuto, non può essere 72 °C. C’è, quindi, un compromesso tra l’attività di polimerizzazione e l’annealing, in quanto devono avere la stessa temperatura. Ciò causa delle ripercussioni: è meno efficiente, altera l’attività enzimatica. Il sistema deve messere a punto con le concentrazioni di magnesio, che regolano anche l’appaiamento, il tempo e la temperatura. Se si confronta, è meno efficiente e meno flessibile, perché si deve fare in modo che rimanga attaccato quando si ha la polimerizzazione. Questo metodo, però, mi permette di fare un’analisi multipla, si possono usare più sonde TaqMan, si possono avere n reporter che vengono eccitati alla stessa lunghezza d’onda, ma emetteranno a lunghezze d’onde diverse. È meno problematico avere una sonda per il target che due per ogni target, anche se confrontando due sonde e una sonda→ questa è più specifica in quanto si hanno due sonde. L’ibridazione è più specifica. Il segnale può non essere perfettamente quenchato, in soluzione ci possono essere molecole che possono essere quenchate e altre no. Si vuole eliminare un background di fondo, si può avere un effetto FRET perché porto io vicino nello spazio l’accettore e il donatore, in modo tale che così si trovano alla distanza di Foster e si ha quenchi, si può vedere se si riesce a diminuire il background di fondo. Il passaggio successivo è stato realizzare i molecular beacons (i fari molecolari). In soluzione, hanno una struttura stem loop, dopo di che si ibridano in maniera specifica al target, sempre tra i due primer della PCR. In questo modo, si quencha, poi, le si allontanano, non si ha più effetto FRET e si evita un’idrolisi della sonda, se si vuole fare delle curve di melting. 5’ = reporter, 3’ = quencer, la struttura è stem-loop, di cui il loop porta la sequenza complementare al target, lo stem, invece, porta una sequenza complementare tra di loro, ma non c’entra nulla con il target, serve soltanto affinché si possa avere l’effetto FRET e segnale quenchato. Non vengono idrolizzate, quindi, si possono ibridare al ciclo successivo. (Nella TaqMan si devono fare delle sonde in eccesso, rispetto al substrato, in quanto vengono idrolizzate). DNA denatura, ma nel momento in cui si denatura, la struttura stem loop si apre e non si ha più effetto FRET. Si ha l’annealing del primer, quindi, si sta abbassando la temperatura e si riforma la struttura stem loop. Dopo l’annealing, si deve innalzare la temperatura per avere la polimerizzazione. Il loop è stato studiato in modo che si annila al templato, dall’annealing del primer si deve rialzare la temperatura che deve essere più alta rispetto a quella dei primer. A questo punto, non c’è più effetto FRET. Si alza la temperatura e si arriva alla temperatura di polimerizzazione, a questo punto la sonda si stacca e la polimerizzazione procede, 20 il valore di fluorescenza, che non è sempre al di sopra del background, e su questo si calcola la soglia che è parallela all’asse. Tutte le curve che ottengono dei campioni incroceranno la soglia sempre nella fase esponenziale. La linea soglia è scelta dall’operatore in modo tale da intersecare le curve di tutti i campioni nella fase esponenziale (frase della slide). Questa rappresentazione non è molto utile nel definire qual è il ciclo soglia ossia quel ciclo in cui viene raggiunto quel valore di fluorescenza soglia. Il valore fluorescenza soglia sarà uguale per tutte le curve, ma viene raggiunto a cicli diversi, in funzione della quantità iniziale, secondo 2nT, quindi, dipenderà dalla concentrazione iniziale. Maggiore è la quantità, più piccolo sarà il CT, stesso valore di fluorescenza soglia. Dalla forma lineare si passa alla rappresentazione Log: sono i cicli rispetto al log ed è quello che dà in uscita il computer. Prima di una reazione di PCR, si estrae, eventualmente, si retrotrascrive, poi, si fa partire il ciclo e si decide la tipologia di fluorescenza da usare, si preparano i campioni e il controllo interno passivo, si stabilisce la soglia, in base alla sensibilità etc., alla fine, il software misura per tutti i campioni il numero di cicli in cui la fluorescenza incrocia la linea arbitraria, la soglia, il punto è il valore CT. Più saranno diluiti, tanto più cicli serviranno per raggiungere lo stesso valore di fluorescenza. Si sta tanto in basso e non tanto lontani, perché così aumenta la probabilità che i campioni molto diluiti siano fuori dalla fase esponenziale. I campioni più diluiti si incroceranno agli ultimi valori di Ct. Si lavora usando i cicli soglia, stesso valore di fluorescenza. Si hanno due tipologie di quantificazione: assoluta e relativa. Quella assoluta prevede la costruzione di una curva standard, che sarà costruita: quantità contro cicli soglia. La relativa è un po’ più complessa, prevede che ci si confrontano i cicli soglia, ma anche in questo caso si ha bisogno di due cose: sia di un controllo interno che non varia di cui dovrò calcolare il ciclo soglia, per cui si ha una metodica di cicli soglia comparativi. Nel Northern, invece, si aveva il rapporto tra le intensità delle bande. Dopo aver normalizzato, i cicli soglia si possono confrontare tra di loro e si possono confrontare con un campione di riferimento. In questo caso, il primo a cui riferisco tutti quelli che ho normalizzato prende il nome di calibratore. Si lavora sempre con i cicli soglia. Si deve costruire una curva standard: si deve avere un campione che è identico al target, che in qualche modo ho sintetizzato o clonato, se era un pezzo di DNA e l’ho purificato, se si partiva dal RNA o cDNA si retrotrascriveva. Si costruisce esattamente un campione identico che posso dosare allo spettrofotometro in modo che conosco la quantità. Si passa sempre attraverso una reazione di amplificazione, si devono avere le efficienze del 100% e uguali tra di loro. Di questo campione noto e identico, si fa una serie di diluizioni seriali, si fanno partire delle Real time. In uscita, si ottengono n curve relative ad ogni diluizione e quantità. Si è stabilito la soglia che interseca tutte le curve della fase esponenziale, il software calcola il Ct relativo. Si ha il Ct che corrisponde a una certa quantità, la fluorescenza è uguale e il valore del Ct si misura nella fase esponenziale. Se si riportano i cicli soglia in funzione del log della quantità, il grafico è una retta, c’è una correlazione lineare. Il Ct è inversamente proporzionale al log delle copie iniziali. Nella retta si può calcolare la pendenza (coefficiente angolare) e il coefficiente di correlazione (=R). Si può anche calcolare l’efficienza della reazione in base alla pendenza. L’efficienza deve tendere al 100%. L’intercetta sull’y dà un valore ossia (log0 =1) la quantità di cicli necessari per misurare una copia ossia la sensibilità →dipende dalla pendenza. Si costruisce una curva, una retta di calibrazione, si vede l’efficienza, la sensibilità e la pendenza. Si ha, poi, il campione identico si deve amplificare di cui si vuole conoscere la quantità, anche di questo si devono fare delle diluizioni seriali, uno a 10, esattamente nelle medesime condizioni che ho usato per costruire la retta. La soglia è la stessa, si ottengono n curve, in uscita si hanno tutti i cicli soglia relativi. Poi si estrae, si troverà la quantità, se si trovano punti non sulla retta significa che l’efficienza di reazione non era del 100%. Questo, quindi, permette di capire se l’efficienza della mia reazione è o no al 100%. I campioni devono essere svolti in triplicato. 21 Quantizzazione relativa →si lavora su cicli, si ha il campione, un normalizzatore ossia un gene espresso a livelli costanti nelle condizioni studiate, serve per livellare gli errori di estrazione degli RNA, errori di pipettamento, errori di replicamento, in quanto viene amplificato nella stessa provetta del mio templato o comunque nelle stesse condizioni di reazione. L’efficienza deve essere sempre del 100%. I valori vengono espressi come Fold Change ossia quante volte rispetto a. Esempio →un wild type rispetto a un mutante, un sano rispetto un malato o un trattato rispetto a uno non trattato. Oltre al normalizzatore, in questo contesto, dopo aver normalizzato i valori rispetto all’housekeeping, tutti vengono riferiti rispetto a un calibratore, ossia il campione di riferimento: quante volte in un soggetto sano varia quel determinato RNA rispetto a un malato (il calibratore può essere anche il malato). I punti di partenza sono i cicli, ma, in realtà, si lavora sui ΔCt, che è la differenza tra il Ct del normalizzatore e quello del target. Dai ΔCt si passa ai ΔΔCt =la differenza tra il ΔCt del campione normalizzato e ΔCt del calibratore normalizzato. Questo viene espressa come fold change = 2-ΔΔCt. Si deve sempre essere sicuri che non ci sia nessuna variazione dovuta all’operatore. Si ha il campione X, lo si deve normalizzare rispetto all’actina, tutti i campioni saranno normalizzati rispetto all’actina. Si procede con la Real time, stabilendo il ciclo soglia e tutti i controlli. Si costruisce il grafico, si calcola il Ct di actina e il Ct del campione X. Si ha 15 e 10 →Si deve fare il ΔCt che è quello del campione – quello dell’actina = 5. Ammettiamo che si sbaglia la pipettata e si mette meno campione: serviranno più cicli per arrivare allo stesso valore. I cicli soglia variano come valori assoluti, ma se si fa la differenza, i ΔCt non variano, per questo motivo vengono utilizzati, si mette al riparo da errori di pipettamento. Il Ct è uno stesso valore di fluorescenza che corrisponde a elementi diversi. Si deve convertire ΔCt in un rapporto, nella normalizzazione si fanno dei rapporti, il risultato diventa 2-ΔCt →se c’è un ΔCt tra l’RNA di A e B. Significa che ci vogliono 5 cicli di più del mio target per raggiungere lo stesso valore di fluorescenza, per vedere l’amplificazione di B, per raggiungere la stessa quantità. Si ha 2-5=32 ossia di A c’è un 32esimo rispetto a B. Ci vogliono 5 cicli in più per raggiungere lo stesso valore di fluorescenza ossia la soglia di fluorescenza. LEZIONE 8 La real time relativa è quella più utilizzata rispetto a quella assoluta, quando si vuole fare un confronto, a partire da un trascritto in qualsiasi condizione, è necessario solo costruire degli oligo. Il punto di partenza può essere sia DNA che RNA, importante è conoscere la sequenza. È necessario avere un normalizzatore, che è un trascritto i cui livelli non variano nelle condizioni post- sperimentali e verso cui vengono comparati, normalizzati i livelli misurati del target. I livelli, nel caso della Real time, si misurano facendo riferimento al ΔCt, c’è un confronto di Ct: un Ct del normalizzatore e un Ct del target. Questa normalizzazione ha lo scopo di livellare tutti gli errori di estrazione dell’RNA che ci possono essere e di controllare la PCR. Non si lavora sul Ct, ma si lavora calcolando il ΔCt, ossia la differenza tra il ciclo soglia del target e il Ct del normalizzatore. Il passo successivo alla normalizzazione, è riferire i target rispetto al calibratore ossia si stanno analizzando N target in un individuo sano e N target in un individuo malato, si confrontano tra di loro e uno dei due diventa il calibratore (si confronta il livello nel fegato di un determinato trascritto rispetto a quello che c’è nel cervello, che cosa succede in una via metabolica, quando viene cambiata la fonte di carbonio,…). A questo punto, si calcola il ΔΔCt che è la differenza tra il ΔCt del target e il ΔCt del calibratore. Si determina il Fold Increase = 2-ΔΔCt. Si determina il ΔCt tra il campione e il normalizzatore, perché questa è una grandezza che non varia in base alle quantità di RNA usate. Il punto di partenza è l’estrazione di RNA, si fa una retrotrascrizione specifica dell’RNA, si retrotrascrive il normalizzatore e il target, il tutto viene fatto in triplo. Si possono commettere degli errori, mettendo meno RNA. Poi, si parte con la Real time, usando RNAasi H, per eliminare l’ibrido. Il tutto è studiato in modo da amplificare frammenti di dimensioni trascurabili. Si sceglie se fare Sybr 22 green o una TaqMan, in cui nella stessa miscela si studiano due sonde, una specifica per l’actina e una specifica per il target. Verrà eccitato il reporter alla stessa lunghezza d’onda, ma emetterà in due lunghezze d’onda diverso, quando non ci sarà più quenchi. A questo punto, si prosegue in parallelo, si ottengono le curve che rappresentano il Δ delle fluorescenze, con tutti i controlli effettuati. Il software calcola la soglia, quindi, si può stabilire in uscita il Ct. Esce un Ct in funzione della quantità, avendo fissato il valore di fluorescenza, dove per l’actina, essendo più abbondante, esce come valore di Ct =10, invece, nel nostro campione 15. Nell’altro caso per errore, dove è stato messo meno RNA, è necessario avere più cicli per ottenere lo stesso valore di fluorescenza, in quanto si vuole sempre avere lo stesso valore di fluorescenza. Ci vogliono 25 cicli per l’actina e 30 per il campione. I valori assoluti sono diversi, ma se si esegue il ΔCt è uguale, è 5. Lavorando sul ΔCt, gli errori sperimentali vengono ovviati. Se si usa il sybr green, non si può fare amplificazione dello stesso campione, ma lo stesso campione viene diviso in due, da una parte si faceva il target e dall’altra l’actina, si analizzava e su questo si calcolava il ΔCt. È quello che serve per calcolare il fold change. È possibile anche, nel momento in cui si è calcolato solamente il ΔCt, alla prima normalizzazione, avere indicazione di quanto il target varia rispetto al normalizzatore ossia rispetto all’actina, in quanto si sa la quantità precisa del normalizzatore. Si può sapere quanto il target è più o meno espresso rispetto all’actina. Si deve fare il rapporto target/actina, questo veniva fatto già con la Northern relativa e con la RT PCR. Il risultato della divisione, usando ΔCt, 2-ΔCt. Si calcola e diventa 2- 5 =1/32 →significa che ci vogliono 5 cicli in più per ottenere la stessa quantità dell’actina, perché il Ct è lo stresso valore di fluorescenza. Svolgendo l’espressione, si sa che l’actina è presente 32 volte in più rispetto al nostro target oppure il target è espresso meno 32 volte rispetto all’actina. Si ha il target A = l’RNA di interesse, target B = RNA dell’actina →si calcola il rapporto A/B= livello RNA target/livello RNA actina. La fluorescenza di A è uguale a 2n, in questo caso n= Ct→ 2CtA (Ct di A per la quantità di A), invece, la fluorescenza dell’actina ossia di B è uguale a 2CtB. Si sta misurando il Ct allo stesso valore di fluorescenza. FA = FB →2CtA =2CtB. Se si divide tutto per B, si ottiene 2-5 ossia 2- ΔCt. Nel discorso della normalizzazione dei dati in uscita dal procedimento, si normalizza il target contro il controllo endogeno, dopo aver definito i Ct, così in uscita si ha il ΔCt, alla fine si hanno n ΔCt, sono tutti numeri, il ΔCt del primo punto funziona da calibratore, ΔCt del primo, del secondo… tutti sono stati normalizzati rispetto all’actina, i ΔCt sono confrontati con il ΔCt del calibratore, calcolando il ΔΔCt, così si può calcolare quante volte il target rispetto al calibratore varia con la formula 2-ΔΔCt. Si ha un’amplificazione simultanea, ma si amplifica in provette diverse. Si ha il campione, in uscita il Δlog, è stata tracciata la soglia, il software esegue tutti i calcoli, determina tutte le efficienze, normalizza tutto rispetto all’efficienza, in uscita, avendo usato la sybr green, si dovrebbe eseguire una curva di melting per verificare che non ci siano contaminanti, nell’altro caso no. Il threshold è nella fase esponenziale. Si calcola il Ct per ogni amplificazione. Si fa una media dei Ct se si è lavorato in triplicato. Si analizza che cosa succede in cellule wild type e in cellule mutate. Si calcola il ΔCt, poi il ΔΔCt e alla fine calcola i livelli di espressione, usando 2-ΔΔCt. Esempio →il cervello è il calibratore, si ha anche il fegato, si usa l’esochinasi come normalizzatore interno, come riferimento. Di quanto varia l’espressione dell’interleuchina 10 (=target) tra il fegato e il cervello? Si calcolano i Δ Ct relativi. Si esegue la differenza tra il ΔCt del campione e quello del calibratore →12-18 = -6. Si fa 2-ΔΔCt, 26= 64 →ci dice quante volte in più il target è espresso nel fegato rispetto al cervello (calibratore). Questo viene rappresentato con un istogramma, dove il calibratore viene messo uguale a 1, l’altro viene espresso in fold rispetto all’1. Si deve porre il calibratore sempre uguale a 1. C’è una relazione quantitativa tra l’ammontare del templato iniziale e l’ammontare del prodotto di PCR nella fase esponenziale (questo perché si stanno amplificando frammenti di dimensioni trascurabili) della 25 immobilizzati dei cDNA di dimensioni 500-1000 nucleotidi. Gli oligo si sintetizzano, i cDNA devono essere fatti. Oligo tutti uguali, 25, i cDNA saranno in funzione della lunghezza del trascritto. 1) Metodo fotolitografia →si utilizza una radiazione, è una stampa guidata dalla luce. Il punto di partenza sono dei linker tra il silice o vetro e ciò che si vuole sintetizzare. Si deve attaccare un oligo al vetro. Il linker deve essere un gruppo chimico che deve essere in grado di sintetizzare un oligo: si potrebbe usare come gruppo funzionale OH, per iniziare la sintesi, se si attacca l’OH da qualche parte e si aggiungono altri elementi, avviene la sintesi. Si deve avere la superficie che espone i gruppi OH, se si esegue sintesi diretta, sono tutti attaccati al vetro, ma così non si purificano. Si deve avere, perciò, fin dall’inizio, uno strumento per avere le sequenze desiderate. Si vuole avere una probe di cui si conosce la sequenza, in quanto è quello che conferisce specificità al processo. Si vuole su ogni punto del vetro, a partire da ogni OH, una sequenza, che deve essere nota e si deve sapere in che punto del vetro è. Nelle librerie ordinate, si avevano n sequenze che dovevano essere ordinate e indicizzare, qui in un altro modo si deve procedere allo stesso modo. Si deve sintetizzare ogni probe rappresentativa di quel gene una per volta in quel punto a partire dall’OH. Se si ha una soluzione di nucleotidi trifosfati e la si fa reagire con degli OH, si ha uno strato unico di nucleotidi legati. Se si vuole, però, avere una marcatura così fine >250 000 probe diverse, non si può procedere aggiungendo su tutta la superficie i nucleotidi. Si devono differenziare le aree, in questo ci aiuta la luce, in quanto si può incanalare come si vuole la luce. Lunghezze d’onda molto strette permettono di irradiare in maniera estremamente precisa la superficie. Si devono mettere dei bloccanti sui gruppi OH, in modo da poterli togliere quando è necessario, quando si illuminano. Si sblocca uno quando arriva il raggio laser e si lavora su quello. È un sistema che attiva in modo selettivo le posizioni che ci interessano. Si hanno una sorta di maschere messe sopra la superficie che lasciano passare la luce dove voglio. Inizialmente i gruppi sono protetti, poi, sono irradiati dalla luce e diventano deprotetti. L’OH, a questo punto, è suscettibile all’attacco nucleofilo da una base attivata, si ha la formazione del legame fosfoesterico e c’è l’aggiunta della base. Si ha la sintesi in vitro. Si aggiunge a uno a uno ciò che ci serve in funzione delle sequenze. Ogni pezzo che si aggiunge si deve poter controllare in quale momento viene attivato per il successivo legame. In questo modo, giocando con una serie di maschere sequenzialmente sovrapposte, si possono ottenere delle sequenze specifiche. A ogni giro, si ha un lampo di luce, deprotegge dove si vuole e la base specifica aggiunta viene legata solo dove serve. Questa è la metodologia che permette di avere 250 000 sonde diverse su un’area di 1 cm2. Ciascuna sonda non è presente in copia singola, altrimenti si satura subito, ma è presente in un certo numero di molecole che permettono di apprezzare il trascritto a livello 1 e a livello 1000. Si hanno dei trascritti che sono quelli marcati che sono presenti a livelli diversi. Si deve rilevare tutto. La frequenza con cui si trovano questi OH è altissima. In realtà, non si usa il vetro, ma si sfrutta qualcosa che naturalmente ha tantissimi gruppi OH, il vetro comune, essendo una pasta raffreddata, non va bene, non è preciso, se si passa a qualcosa di cristallino, si ha una disposizione degli atomi più regolare e più compatta. Se il cristallo è il silicato, è un minerale, per ogni silicato nel cristallo si può far corrispondere un OH. Non si è in soluzione, quindi, non c’è il problema che l’OH risolva (?) il protone. Si è in una matrice solida, siccome i metodi di polimerizzazione non considerano quello che c’è dietro all’OH, si avrà il cristallo con una densità altissima che permette di ancorare gli oligo in forma nascente nel corso della sintesi. In questo modo, si risolve il problema della densità. Si parte da una superficie, con cicli reiterati di irradiazione- sintesi, si può costruire l’impalcatura di probe diverse in funzione delle aree. Si analizzano migliaia di target in parallelo e si è in condizioni di valutare le differenze di abbondanza di ciascuno di questi target, tutte lunghe 25. La riproducibilità è garantita dal sistema di sintesi. La lunghezza di 25 può essere sia un vantaggio che uno svantaggio. Se si prende un processo con 26 efficienza del 99%, si moltiplica la probabilità di sbagliare da un ciclo all’altro, dopo 25 cicli, anche con un’efficienza del 99%, si rischia che la sequenza non sia così fedele. Con 25 nucleotidi di estensione massima si può ritenere che le probe annileranno la lunghezza corretta. Se si supera, non si può pensare di avere delle probe con una specificità per i target che desidero. Per sintetizzare si devono conoscere le sequenze da mettere sull’array. Il limite è che si deve conoscere la sequenza del genoma in questione. Se non si ha l’intera sequenza del genoma non si può procedere. I primi chip sono stati fatti in S. cerevisiae. Il limite di questa cosa è che si deve conoscere tutta la sequenza del genoma. Poter disporre di probe basate su 25 basi, lo rende meno critico, anche oggi che disponiamo di metodi di sequenziamento su larga scala, che non hanno un’assoluta precisione. Ci si può accontentare di avere corti sequenze validate per fare un chip. Se fosse necessario disporre di set di sequenze validate lunghe non possono applicarle a tutte le specie, gli illumina etc. non sono precisi, ci sono dei limiti di confidenza. Costruire cose da 25 conferisce dei limiti di confidenza, non si valutano cose in dubbio. Questi sono i punti di forza. Ci sono, tuttavia, delle limitazioni. Con 25 basi non si può identificare in modo univoco un gene nel genoma. Non c’è 1 probe = 1 gene, ma 20 probe da 25 = 1 gene. Essendo sintesi diretta, non permette la purificazione, gli errori non vengono rimossi. Non è una tecnologia del tutto economica. Ha una limitata flessibilità: per la complessità di produzione dei chip si usano quelli comprati, nei laboratori non si possono fare i chip personali. Gli array di tipo gene chip si ha una struttura compatta corrispondente nel sito della probe, variamente rappresentate, ognuna delle aree presenta 107 (10 000 000 di oligo identici), questo permette di vedere una differenza ogni 10 000 000. Il gene trascritto in un’unica copia per cellula, contro un gene il cui trascritto ammonta a 10 000 000 di copie. Si può lavorare anche per vedere le differenze 1 -100 o 1-1000, che dal punto di vista biologico sono modulazioni estremamente forti. Per avere un’univoca attribuzione, una specificità adeguata, ogni gene viene identificato con 20 oligo diversi →20 x 25 = 500 basi che sono sufficienti a dare un segnale specifico. I valori di fluorescenza che si attribuiscono non sono a caso, si ha un appaiamento basato su 500 basi. Per avere una specificità adeguata, si deve avere almeno un centinaio di basi. LEZIONE 9 Si ha che ogni gene è identificato da 20 aree in ognuna di esse erano presenti 107 oligo nucleotidi sonde, lunghe 25 nucleotidi, che identificano un singolo gene. All’interno di queste, ci sono anche dei controlli, in quanto si deve fare un’ibridazione. Si inseriscono dei controlli interni affinché le ibridazioni siano perfect match, per tutti gli oligo relativi ai geni. Ci sono degli oligo lunghi 25 che hanno in posizione 13, esattamente in mezzo, un mismatch, questo relativo ad ogni oligo. Il mismatch è stato inserito lì per essere sicuri di un perfect match perché del target si appaierà una regione del target lunga 25, la parte non appaiata diventano delle ali, si formano delle ali. Si vuole un perfect match. Se si è in una situazione ottimale, ossia di assoluta omologia, si avrà un composto con più o meno ali, non c’è nessun vincolo che devono essere uguali. Quello che costituisce il controllo ossia un oligo che deve dirci che il segnale che si rileva è vero e non è un appaiamento parziale. Se la stessa molecola target, forma un ibrido, succede che ci sono due regioni che possono contribuire alla stabilità. Se si spacca a metà, quando si distorce una struttura a doppia elica, non si appaia più una sola base e le altre si attaccano subito. L’ingombro sterico non è uguale per tutti. Nelle ipotesi migliori si hanno 11 e 11 basi, il contributo di stabilità è notevolmente inferiore all’appaiamento di 25 basi, se fosse stata messa all’estremità si aveva una sufficienza stabilizzazione per fare delle temperature di melting elevate. Abbiamo le probe, dobbiamo avere i target, che sono in soluzione e devono essere marcati, in un certo modo, in quanto si devono ibridare a degli oligo lungo 25 nucleotidi. Il punto di partenza è RNA totale, non si retrotrascrivono tutti gli RNA, ma ci si concentra sugli mRNA. C’è una 27 retrotrascrizione di tutti gli mRNA, c’è l’RNAasi H, un n cDNA che deve essere reso double strand, in questo caso, dopo i cDNA si deve fare una trascrizione in vitro, utilizzando tutti i cDNA per ottenere cRNA, che verranno trattati in un certo modo per rendere idonei da un punto di vista di size per l’ibridazione. Per retrotrascrivere partendo da RNA totale solo i mRNA, si devono usare dei politRNA ancorati, ai quali è attaccata la sequenza relativa al promotore riconosciuto dalla RNA poliT7. In questo caso, è presente la sequenza del promotore, che è una specie di ala in quanto non trova nessuna corrispondenza di complementarietà. Si annilerà solamente la parte ancorata e ci sarà anche la parte relativa al promotore non ancorata che non si appaia. Si ha OH, LA trascrittasi inversa, si ha double strand, RNA, cDNA, tutti portano la stessa estremità rappresentata dal promotore della T7. C’è l’RNAasi H, che idrolizza l’RNA, ho il cDNA single strand, si deve fare double strand su cose di cui non si conosce la sequenza, non si possono costruire dei primer. Il modo per fare il double strand è usare la terminal transferasi che è l’unica DNA polimerasi che non ha bisogno di uno stampo per copiare, polimerizza sempre usando come innesco il 3 OH, si formano dei nucleotidi in funzione di ciò che si fornisce, si creano delle piccole code di C in 3’. Significa che si può usare dei primer G che si annealiranno perfettamente alla C e verranno utilizzati da una DNA polimerasi (Quale?) per fare tutto il secondo strand su tutti. Ho tutti i cDNA double strand, con la stessa estremità dall’altra parte che porta il promotore. Questi cDNA double strand vengono retrotrascritti in vitro, aggiungendo la T7 RNA polimerasi. Si ottengono dei single strand cRNA. Questo momentaneamente costituisce il target che, però, deve essere marcato, altrimenti non vedo l’ibridazione; la marcatura avviene attraverso un sistema non radioattivo, ma sfrutta la fluorescenza (cfr. sonda →rapporto tra i templati e ciò che si produce, tra i cDNA, che saranno in funzione dell’mRNA presente, quindi, si avranno rari, meno rari e abbondanti). Si ottiene questa cosa in funzione di rari, meno rari e abbondanti. La marcatura avviene durante la trascrizione in vitro. Si usa l’UTP, lo spacer e la biotina (cfr. sonde). Le dimensioni della biotina rispetto a una cianina (composto fluorescente) sono differenti, durante la trascrizione in vitro fornisco dell’UTP biotinilato in modo da ottenere cRNA biotinilati single strand, come erano single strand gli oligo che sono stati messi sui chip, si deve considerare i sensi e i non sensi. cRNA si deve ibridare con l’oligo aggiunto. Si potevano marcare direttamente i cDNA, si introduceva la polimerasi e la biotina, si aveva una miscela di cDNA marcati, che erano double strand, i quali, poi, venivano denaturati, senza porci il problema del senso o non senso. I cDNA erano in funzione sempre dell’RNA poco espresso, mediamente etc., ma si passa attraverso un’amplificazione perché il discorso riguarda la sensibilità: si ha la necessità di valutare differenze ampie, su un’ampia scala, che devono stare tra i messaggeri, i quali sono presenti in poche copie per cellula, fino a quelli presenti in elevato numero, se vengono lasciati in rapporto equimolare tra i messaggeri e il target, se si ha un mRNA a livelli molto bassi, si riesce a ibridare con la sonda? Si ha 10 000 000 di probe pronte a ibridarsi, anche se abbiamo amplificato si ha una sensibilità elevata, è così tanto sensibili ad avere un segnale per 10 000 000 eventi di ibridazione, si ha una capacità di sensibilità molto alta prima di avere la saturazione. Il primo passaggio è di amplificazione, poi, c’è un discorso di dimensioni, si hanno delle probe di 25 nucleotidi, si devono creare delle condizioni per avere degli appaiamenti di stabilità maggiore. Tutto il chip e le dimensioni diverse, più o meno lunghe, dei trascritti. Avviene la frammentazione, che non è legata all’uso di nucleasi, in quanto gli enzimi di restrizione riconoscono in double, io ho single strand; la frammentazione, quindi, deve essere casuale, in funzione di ottenere frammenti di dimensioni 50-100 nucleotidi →potenzialmente dal doppio della probe fino a tre/quattro volte la proba, ma non di più. L’RNA chimicamente è sensibile a un tampone sufficientemente basico, ma che non danneggi pesantemente, non si fa un’idrolisi forte, deve andare bene per tutto il trascrittoma, non deve avere specificità per solo delle sequenze. Si ha un’idrolisi blanda, il pH diventa 11, il tempo e la 30 sequenziale diretto, fornendo un deossinucleotide, che incorpora la cianina, un fluorocromo, si ha direttamente un cDNA, che essendo stato sintetizzato in presenza di un nucleotide modificato, con un fluorocromo, sarà marcato. I passaggi sono velocissimi. RNA →trascrittasi inversa, si sa che primer si usano (l’oligo ancorato) →Si marca direttamente cDNA. Questa è la prima differenza macroscopica. C’è una marcatura diretta. C’è subito il fluorocromo. Lo schema è simmetrico. Dall’altra parte, si ha la preparazione del campione da confrontare con il primo, marcatura diretta, ma i fluorocromi usati sono diversi: due chip uguali e i due campioni marcati allo stesso modo. I due target, in questo caso, sono marcati in modo diverso, facendo un unico passaggio: il cDNA. Questi marcati differentemente sono messi insieme e su un solo array. Riunisco i due campioni in modo bilanciato e con quello ibrido il vetrino. Non si amplifica nulla. Si ha un cDNA in funzione della quantità iniziale, ho una marcatura diretta. Ho del DNA double strand, si ha del cDNA single strand marcato con delle cianine diverse. Si mette tutto insieme, serve per ibridare un solo array. I due fluorocromi sono ad alta efficienza, non si vuole perdere il segnale in uscita, i fluorocromi, però, emettono diversamente, uno nel verde e uno nel rosso. Verde + rosso nello stesso, uno sopra l’altro = giallo, invece, marrone se si satura. Se sono state messe delle cose insieme, la sonda è la stessa, i cDNA competono per la stessa sonda. Ci sono target che competono per la stessa probe, ma il target x nel campione A può essere presente in ugual quantità o in quantità diverse e in funzione di questo vedremo in uscita diversi segnali. LEZIONE 10 Si può fare un’ibridazione con due chip per ogni target, ci sono i cRNA su ogni chip, il risultato è il valore di fluorescenza che verrà tramutato in numero, perciò, si confronteranno tra di loro, per avere delle quantificazioni relative. Il punto di partenza del gene chip è conoscere la sequenza del genoma, perché si costruisce in funzione della sequenza gli oligo sui chip. Dall’altra parte, non si conosce la sequenza, si parte da una banca a cDNA, da questa vengono ordinati i cDNA su un supporto, ottenendo delle densità di probe completamente diverse. I target sono cDNA singolo filamento marcati con cianine, se si hanno due campioni, i cDNA target sono marcati con due cianine diverse, quindi, non si fanno ibridazione con due array, ma con uno solo su cui vengono messi in quantità equimolare le due cianine (3 e 5), il risultato sarà un segnale di fluorescenza, dovuto a delle competizioni tra i cDNA marcati 3 e 5 rispetto alla probe. I fluorocromi devono soddisfare condizioni tali da avere dati quantitativi. L’efficienza di emissione non deve essere un fattore limitante, se uno emette e l’altro no, non si deve sottostimare in caso di un’efficienza deficitaria. Non vengono bruciati durante il periodo di acquisizione, il fenomeno di photobleaching è la condizione per cui il fluorocromo alla seconda scansione non emette più in modo quantitativo. Si ha emissione di fluorescenza, si hanno dei supporti che vengono scansionati e devono essere compiti da un laser. Si ha n scansioni. Se il segnale, alla seconda scansione, va incontro a photobleaching, viene a mancare il discorso di quantificazione. Si devono, perciò, usare dei fluorocromi che siano poco suscettibili. La marcatura rispetta strutturalmente quella marcata con biotina, sulla base, si usano gruppi che non intralciano con ibridazione target probe. C’è lo spacer. La marcatura è più rilevante rispetto alla biotina, per il gruppo aromatico essenziale per la caratteristica di fluorocromo. Ciò comporta delle conseguenze sul nostro sistema: intercalante, si preferisce non averli, questa struttura (cfr. sybr green) lo è. La struttura policiclica è simile a intercalante. In questa tipologia la posso usare, perché si hanno dei target che sono cDNA a singolo filamento che vanno su cDNA immobilizzati. Non si è nella condizione cRNA contro oligo di 25 basi. Questa struttura difficilmente potrebbe essere usata per un appaiamento. Quando sono stati fatti i cRNA, marcati con la biotina, si mette a punto un sistema di rilevamento definito sandwich: avidina legata a qualcos’altro, invece, non si fa così, perché? Un esempio di intercalante è l’etidio bromuro che si frappone tra coppie di basi 31 complementari, c’è una certa efficienza stechiometrica, questo distorce la struttura locale di appaiamento. Se si hanno 500 basi appaiate in cDNA e ci sono 500 complementari sull’array →gene chip. C’è un oligo e una marcatura lunga circa 500 basi e si appaia un con partner lungo circa 500 basi, non è stato frammentato nulla (non si frammentano i target=, le dimensioni medie sull’array messe sono quelle dette, è uno specifico appaiamento, tutto si appaia. Nelle condizioni sperimentali, la cianina sembra che si intercali come l’etidio: può essere un problema? C’è spazio per tutti? L’estensione dell’ibrido che si forma è sufficiente per supportare l’intrusione di questo intercalante, della cianina. Se si torna alla scala degli oligo da 25, che deve appaiarsi a un cDNA di dimensioni 50-100 nucleotidi, questo intercala la stabilità. Se qualcosa si intercala, infatti, si perde la stabilità, distorce la struttura. Distorcere in una struttura di 500, non è un grosso problema, se distorco 25 su 25, non si ha più l’appaiamento. Se non ho l’appaiamento, quindi, non ho segnale, nell’altro caso non è possibile usare l’intercalante. In questo caso si potrebbe, la biotina, in quanto vale lo stesso discorso, si usa, poi, un rilevamento secondario. In questo caso, ho un po’ di distorsione, se ho un sistema che non distorce nulla tanto meglio. Il sistema prevede di usare i campioni marcati nello stesso chip, se tutti fossero marcati con la biotina, a che cosa attribuisco il segnale? È impossibile utilizzare, valutazione costi benefici →si ha una leggera distorsione che viene messa a posto, ma uso solo cianina UTP. Il sistema permette di avere una buona sensibilità per immagini ottenute con confocale, che permettono di attribuire a singolo spot l’intensità di segnale. Si eccita con una lampada in grado di eccitare contemporaneamente sia la cianina 3 che 5. Si rilevano a 532 e a 633 due segnali ben distinti. Nell’altro caso è 107, invece, qui si ha centinaia di migliaia, un po’ di meno, ma per valutare le differenze trascrizionali è un range dinamico abbastanza ampio. Si va dalla chinasi, trascritta in poche unità, agli enzimi glicolitici. Si devono considerare questi elementi, quando si decide di usare questa o piuttosto l’altra tecnica. Se si fotografa, a livello di superficie dell’array, la situazione, si avrà prevalenze di uno o dell’altro segnale oppure l’insieme dei due segnali ossia le combinazioni di quanto uno sta all’altro. Nell’analisi dell’immagine, non c’è solo verde e rosso, ma anche altri colori. La scelta di marcature con fluorocromi è critica. Si usano delle lampade alogene che hanno uno spettro alquanto ampio, ci sono dei picchi di assorbimento specifici per fluorocromi, a cui corrispondono delle emissioni altrettanto specifiche, secondo la regola termodinamica, a una radiazione eccitante, caratterizzata da una lunghezza d’onda della radiazione che si usa corrisponde a una radiazione energeticamente inferiore. Il risultato è che le cianine disponibili sono distribuibili in tre blocchi; si possono fare pochi confronti perché è necessario che ci siano degli spettri risolti, se do il segnale al verde deve essere verde, se rosso in rosso, un fluorocromo che è intermedio, che cade nel mezzo, non mi permette di fare un’analisi quantitativa adeguati, quindi, gli spettri devono essere separati. Nel grafico ci sono tre campane, una caratterizzata a bassa lunghezza d’onda donatore, a cui segue spettro di fluorescenza, quindi, di emissione a lunghezza d’onda maggiore, parzialmente sovrapposto allo spettro di assorbimento di seconda molecola che è accettore nel processo di trasferimento. C’è, poi, un picco più distante, corrispondente all’emissione di energia da parte del secondo fluorocromo, che è stato eccitato. Perché c’è parziale sovrapposizione, che è una condizione richiesta dal fenomeno FRET? Se fosse totale, non ci sarebbe un delta energetico, in quanto emetterebbe nello stesso momento che è eccitato. L’energia, nella FRET, viene trasferito tramite gli elettroni. C’è una nuvola elettronica, passando dal livello base a quello eccitato, l’orbita si distanzia dal nucleo. Se si ha il fenomeno di FRET, la distanza è critica. Questi elettroni si stanno muovendo, gli elettroni girano, andando a toccare la nuvola elettronica dell’accettore, lo si può fare perché sono a distanza di FRET. Se le due nuvole fossero completamente sovrapponibili, si 32 trasformano in un grande 8 tridimensionale, sono tutti a formare una nuvola contigua, se sono tutti sulla stessa nuvola energetica, avviene una sorta di ping pong: si ha uno stallo energetico, l’energia tornerebbe indietro, non andrebbe alla seconda molecola. Se si pensa proprio alla collisione, l’elettrone viene sparato, ma se sono sovrapposti si avrà uno stallo energetico. Se colligo e finisco nello stato energetico inferiore. Con la parziale sovrapposizione i delta energetici sono tali da non permettere il ritorno indietro e termodinamicamente il processo passa dal più energetico al meno energetico. Con le nuvole totalmente sovrapposte il delta di energia tra i due non è così elevato da permettere il trasferimento di energia. In array questo non lo voglio, perché non potrei più attribuire il livello del target verde e di quello rosso → si usano cianine totalmente staccate, non c’è la minima possibilità di dare effetto FRET. Alla fine da una parte abbiamo un supporto con probe immobilizzate, dall’altra ci sono marcature che in modo competitivo hanno potuto ibridare le probe. Il risultato finale è una scansione con due risultati. La scala dei colori dovuti alla combinazione del rosso e del verde non è letta, ma ci sarà livello di fluorescenza verde e livello di fluorescenza rossa, si valutano i dati in senso assoluto: il computer valuta il colore rosso vs il colore verde. (cfr. real time). Ho un Excel finale con dati quantitativi: il software ha acquisito i valori di fluorescenza rossi e verde e ha fatto rapporto rappresentato da fluorescenza verde su rosso = log2 (fluorescenza c3/fluorescenza c5). Se i dati sono ottenuti da questa formula, che tipo di numeri ottengo (positivi, negativi, infinito, interi, frazioni)? Se il rosso e il verde sono uguali avrò log2(1) =0, quindi, questo punto ha come coordinate (0,1). Quando prevale il segnale al numeratore, il rapporto logaritmico dà come risultato infinto. Quando prevale il denominatore il rapporto logaritmico tende a meno infinito (log2(circa 0) = - ∞). Nella scala dei dati considero un raddoppio quando ho il valore 1, se è dimezzato -1 (log2(1/2)). Quindi ho un tabulato Excel interpretato in questo modo e uso il log2, perché ottengo dati confrontabili. Infatti, con log10 i risultati non sarebbero stati confrontabili (in real time per avere confronto uso 2-ΔΔCt). Col micro-array ho un vetrino, una scansione e i dati sono originati nello stesso momento, così sono confrontabili. Usando gli oligo del gene chip, ho un vetrino per ogni campione: devo mettermi in condizione di poterli confrontare, non posso fare un rapporto diretto. Il problema è che si fa marcatura con fluorescenza indiretta, ossia a un certo punto è stata inserita la streptavidina che va a legare la biotina, si fanno i lavaggi, ma comunque c’è un background. Con microarray, invece, ho solo le marcature incorporate nei cDNA, non i background. Nel gene chip, viene calcolato il corrispettivo di una cella spuria e questo dato deve essere sottratto a tutti i valori ottenuti →vado a sottrarre background di fondo al risultato. Nell’array c’era subito un’analisi relativa, quindi, si aveva una competizione, nel gene chip no, se faccio analisi separate faccio analisi assolute, quindi, attribuibili al profilo di un campione perché il profilo trascrizionale di un campione è assoluto. Il sistema prevede di individuare i segnali presenti, in particolare, ha tutta una parte di validazione dei segnali in modo che, pur lavorando con oligo di 25, possiamo validare la bontà del segnale. Nel sistema precedente (array) a un gene corrispondeva uno spot, invece, qui (gene chip) ho un gene su 20 oligo: ho 20 segnali rappresentativi di tutto il gene. Avere un segnale solo su alcuni oligo non mi rappresenta effettivamente tutta la trascrizione. Si ha un primo problema: se 20 oligo descrivono 1 gene non mi accontento di pochi oligo su tutta la seria. Si un altro problema: bisogna essere in grado di capire se il segnale è buono o è frutto di una ibridazione casuale. In questa fase di analisi assoluta, bisogna osservare specificità singoli oligo e rappresentatività di tutto il gene. C’è un segnale corrispondente all’area di un oligo, il segnale del suo oligo mismatch di controllo, per ogni gene il confronto si deve ripetere per tutti e 20 gli oligo. Non lavoro, quindi, su un’intensità media, ma su una coppia di segnali: l’oligo e il suo controllo con la parte centrale mutata, così ogni gene verrà 35 delle validazioni, dopo il trascritto, si può analizzare la proteina, se ci sono delle attività legate ad essa, come la fosforilazione, oppure se il discorso coinvolge il metabolismo, si procede con un’analisi metabolomica, studiando i metaboliti. Con un’analisi che parte come differenziale, si può arrivare a unire le caratteristiche delle due tipologie di rose. Una rosa ha il gambo lungo, quelle che sono più chiuse, invece, le altre, quelle del cespuglio, sono più profumate, ma hanno il gambo più corto. L’idea è di unire le caratteristiche migliori di entrambe: si vogliono ottenere delle rose non con tante spine, con un gambo lungo, ma molto profumate. Si parte da due condizioni completamente diverse, si deve isolare qualcosa, con una certa confidenza, per modificare il metabolismo di una rosa e si ottiene la rosa con le migliori caratteristiche e profumata. La profumazione, però, non è un carattere determinato da una solo funzione della cellula, è una miscela di composti organici, perciò, non si può studiare questo aspetto con la genetica classica. Moltissime varietà sono state ottenute per via di mutagenesi. L’idea è lavorare su livello di famiglie di geni, di cui, però, per la gran parte non si sa quali sono, si deve attingere all’intero genoma per capire quali sono coinvolti e quali no. Si parte da questo problema. Una pianta che esprime quella parte del suo corredo genico capace di conferire profumazione avrà quei geni trascritti, invece, la pianta che non li usa, per vari motivi, pur possedendoli, è quella nella quale si vuole andare a inserirli. Lo strumento è l’analisi trascrizionale a livello del trascrittoma, l’idea è che si devono trovare le differenze tra le varietà, la grossa rosa recisa a gambo lungo non esprime i geni legati alla profumazione, invece, quella del cespuglio sì. Si pensa, a questo punto, di fare un differenziale, facendo degli array, ma con questo non si risolve il problema, perché le due rose non differiscono solo per il profumo. Ci sono tantissime variazioni del tessuto della pianta, che difficilmente a priori si riescono a determinare. Se, in un caso, c’è un petalo fatto di 6 strati di epitelio e dall’altra solo di due, non si può sapere se è questa caratteristica che conferisce profumazione. Non è sufficiente un solo confronto, si vuole, quindi, combinare due confronti, in modo tale che, alla fine, rimangano solamente quelli legati al profumo e non altre differenze. Se si vogliono eliminare tutte le differenze morfologiche strutturali, si può fare un confronto nella stessa pianta che manifesta profumazione: il fiore maturo e il bocciolo della stessa pianta non avranno delle grosse differenze strutturali, invece, la manifestazione del profumo è causata dal metabolismo finale del petalo, quando si apre e esplica la funzione di profumazione. Questo confronto mi darà tante differenze, alcune legate al profumo, altre agli stadi di maturazione; la categoria profumo si dovrebbe riuscire ad avere tra i geni differenzialmente espressi, quindi, si avranno due risultati di analisi differenziale: bocciolo e rosa matura →rosa matura profumata e rosa matura non profumata. Con questi due elenchi si possono vedere i geni comuni, sicuramente differenzieranno sia il primo che il secondo confronto, solo quelli comuni saranno legati alla profumazione, con un’alta probabilità. Per vedere quelli comuni: 150 chiamate e 100 chiamate →Non è l’intersezione. I geni che compaiono in entrambi gli insiemi significa che compaiono due volte. Su un elenco molto più vasto di chiamate, si esegue prima una somma, si uniscono gli insieme, si individuano gli elementi con un software. Si deve scegliere quale metodica adoperare: gene chip o un microdispesing? Il problema è che si deve costruire dei microdispensing, partendo da delle banche cDNA, così si riesce in tempi ragionevoli. A questo punto, si ha una quarantina di chiamate, è un buon successo, si è partiti da decine di migliaia. Si ha, quindi, 40 candidati ossia 40 cDNA. Bisogna sequenziarli, in quanto non si sa che cosa sono. Si potranno avere dei cloni identici, in quanto i cDNA sono in funzione del trascritto, si deve purificare/eliminare. Il risultato è un gruppo di enzimi e fattori coinvolti, almeno putativamente, in reazioni di estere, eteri, composti aromatici. Lo step successivo è fare un’analisi chimica, caratterizzando le componenti che conferiscono la profumazione, caratterizzando gli spettri, per vedere i composti presente, si ha così una validazione 36 chimica. Si può proporre un progetto di miglioramento, avendo una serie di composti e di reazioni possibili, individuando una o più vie coinvolte. Si possono sovraesprimere dei geni, ma solo quelli coinvolti in reazioni uniche che portano al prodotto finale, invece, si possono anche eliminare dei geni, combinando sui pathway che ottengono gli stessi intermedi, ma che divergono per i destini, così si può potenziare il flusso metabolico verso la sintesi di composti. Si può giocare sui promotori, in modo tale da renderlo nella fase terminale promotori tessuto specifici opportunamente modulati quando la rosa sta acquisendo profumazione. Si deve stare a eliminare delle molecole, come gli eteri o il butile o l’acetile, perché possono anche essere usati nel metabolismo di base della pianta. Integrando prima con i differenziali per individuare i geni comuni che sono differenzialmente espressi nelle due condizioni. Si procede con un’analisi in banca date per omologie di sequenze, cercando di identificare tutti i possibili candidati, poi, segue una validazione chimica, lo step finale è realizzare dei mutanti tramite le conoscenze biochimiche e biologiche ... Quando il discorso è legato alla prognosi, la situazione diventa più complicata. Per avere una buona prognosi ossia nell’essere quasi sicura nel dire a una persona che non svilupperà una recidiva. Si deve arrivare con una certa sicurezza, non si può semplicemente partire da un’analisi differenziale. In campo oncologico, il problema è il rischio di recidiva di alcuni tumori solidi, particolarmente aggressivi. Si deve avere uno strumento che permetta sia una diagnosi precoce che ragionevole previsione dello sviluppo della malattia, in modo che, in ottica della medicina personalizzata, si possa prevedere gli interventi più opportuni ed evitare quelli inutili o dannosi. Si ha una neoplasia, la quale non viene eradicata con un approccio chirurgico tradizionale, la terapia di supporto (radio o chemioterapia) non debella definitivamente e a distanza di tempo il clone tumorale ricompare con aumentate caratteristiche di invasività e aggressività verso altri tessuti, con esito letale. Si deve sviluppare dal punto di vista metodologico una procedura rigorosa, la validità deve essere univoca in qualunque laboratorio ospedaliero. Si può usare gene chip, in quanto si ottiene il profilo trascrizionale assoluto. In questo contesto, serve il profilo trascrizionale assoluto perché non si ha il tempo di aspettare una seconda biopsia per sapere se è una recidiva, sarebbe troppo tardi, dalla fase precoce si vuole avere uno strumento che delinea il profilo trascrizionale del tumore e raffrontato alla fine a quello che si vuole avere con questo studio si può affermare se c’è un basso o alto rischio di recidiva, quando le caratteristiche biologiche non si sono ancora manifestate, si può dire, in una fase estremamente precoce, senza confrontarsi rischio basso o alto. Il differenziale dice poco, ma è necessario disporre del profilo trascrizionale assoluto. Si devono stabilire dei differenziali per arrivare a un numero validato di possibili candidati, a una lista. Si devono avere n raffronti: si confronta un tumore recidivante con uno non recidivante, ma dello stesso carcinoma. Questo è il primo confronto, che, però, non è sufficiente, perché se si confrontano due tumori, classificati oncologicamente allo stesso modo, ma che hanno un’evoluzione diversa, probabilmente è il frutto di diversi processi biologici, che concorrono come causa o come effetto. A noi interessano gli elementi che causano il tumore, in quanto possono generare recidiva. Se ci sono cellule invasive, che migrano al di fuori della massa tumorale al di fuori di quella principale hanno una certa pericolosità. Le più pericolose sono quelle che sopravvivono a tutti i trattamenti: il chirurgo toglie la massa principale, l’oncologo irradia e il chemioterapico uccide quelle proliferanti, ma la recidiva compare lo stesso: perché? Qualcuna è stata in grado di migrare al di fuori del tessuto, non era proliferante, quindi, la terapia non è efficace completamente. A un certo tempo, riparte il programma di tumoregenesi. Si devono individuare le caratteristiche di questa cellula, non di tutte le altre cose che sono cambiate tra i due tumori. Il primo confronto, perciò, non è sufficiente, ci sono diversi elementi che possono variare: il tipo di metabolismo, glucosio →pep, accumulano acido 37 lattico…, delle caratteristiche importanti, ma non sufficienti. Il primo confronto è utile, ma non basta. Il secondo confronto è quello con le cellule staminali. Si ha la massa tumorale primaria, si hanno le cellule tumorali normalmente attive, proliferanti (=blu), che con un’adeguata terapia, poi, c’è una sola nel mezzo, si sposta fuori dalla zona che verrà trattata, mantiene la capacità di differenziamento, caratteristica comune a quelle staminali →staminale tumorale, la quale si differenzia come cellula, ricrea la massa tumorale. Le caratteristiche della cellula staminale tumorale si raffrontano con le staminali sane, che ha tutto quello che serve a livello metabolico, capacità di differenziamento…, ma non ha la componente oncologica. I confronti sono 1. Tumore recidivante Vs Tumore non recidivante 2. Si ha la staminale sana e quella tumorale. È come se fossero stati stabiliti i 4 target per i confronti. Per fare l’analisi, si deve decidere che cosa mettere sui chip come probe, deve includere quello che mi interessa. Si deve scegliere quello più inclusivo possibile. Si avranno in Excel diverse categorie: ci sarà una sicuramente legata alla recidiva, poi, sarà differenzialmente espresso, il ciclo cellulare, metabolismo, citoscheletro, invasività… i geni non si dividono in categorie, ma si prevede che ci siano un po’ di chiamate in queste categorie (non sono quelli per forza con il change più alto o più basso). Il secondo confronto, quindi, prevede il confronto tra la staminale tumorale e con quella normale: sul chip si mette la staminale tumorale, perché è quello più inclusivo, ci sono sicuramente i geni che mi interessano, così nuovamente daranno dei differenziali. Ci si aspetta di avere n chiamate, è fondamentale per la recidiva. Una persona che viene sottoposta a chemio subisce delle conseguenze: diventa anemici, mancanza di globuli bianchi… La staminale tumorale è molto resistente ai farmaci, svolgerà la fermentazione lattica in condizioni anaerobiche, quindi, si deve analizzare il metabolismo (non ha lo stesso metabolismo di una staminale sana), ha la capacità di migrare in distretti in modo preferenziale, a differenza della staminale che è ovunque per riparare il tessuto. Ora, si uniscono i due elenchi e si beccano le chiamate doppie. Dopo tutto ciò, si osservano i geni, uno, in particolare, rilevante è USP22, è un enzima coinvolto nel rimodellamento della cromatina, andando a modificare gli istoni a livello post trascrizionale. Costruendo dei cluster genici, tramite un grafico con delle linee rette, si passa a dei geni con mortalità precoci a quelli che hanno superato il periodo di controllo. L’obiettivo è svolgere un’analisi trascrizionale assoluta, ricavando dei cluster, basati su quel gruppo di geni, con una confidenza accettabile, si fa una prognosi molto realista: il percorso di trattamento viene calibrato in base al rischio di recidiva. Anche in questo caso si pensano a due differenziali, in modo da enucleare gli elementi comuni, si vuole far emergere le differenze in modo indipendente. Alla fine, si può attingere facilmente agli elementi comuni, più i confronti sono diversi meglio è. Tutto va validato in real time. Nel caso della rosa si deve dire che cosa c’è sull’array →pensare! È stato fatto un confronto. Cromatine Immuno Precipetation →ChIP Immuno-precipitazione della cromatina. La cromatina degli eucarioti è organizzata in nucleosomi. C’è il DNA, gli istoni e ci sono n proteine (fattori trascrizionali): questa metodica serve per vedere se una data proteina o un dato fattore trascrizionale è legato a una determinata sequenza di DNA. Si vuole vedere se quel fattore è legato a quella sequenza del promotore, ci si deve mettere nelle condizioni per precipitare quel fattore trascrizionale legato a quella sequenza, con una struttura a nucleosoma (collana di perle: perle/istoni piccole, filo grosso di DNA). Si hanno le cellule di qualsiasi tipo con della cromatina, si riesce ad analizzare quello che c’è legato al DNA, solamente se si cross- linka le proteine, in senso lato, al DNA, quindi, in vivo. È stata utilizzata la formaldeide: carbonio e doppio legame ossigeno. Quando si immunoprecipita, si vede la formazione dei complessi proteina- proteina, si cerca di non rompere i legami, ma non di stabilizzarli. È necessario cross-linkare dei 40 fare un’analisi densitometrica. Si dovrebbe normalizzare, per essere certi che ci sia un arricchimento. Si deve prendere qualcosa che c’è in tutti i nucleosomi e su quello valutare la tata binding protein in modo relativo. Questo è il primo approccio su cui si hanno dei valori di incremento con una precisione assoluta, perché si passa alla densitometria. Ci sono delle tecniche che permettono di stimare in modo relativo. Si ha un input che ha un segnale sempre presente, poi, c’è l’immunoprecipitato, non si può fare un rapporto diretto, ma si deve prendere qualcosa all’interno dell’immunoprecipitato che permetta di normalizzarlo, ma non è la tata binding protein, si deve prendere qualcosa che c’è in ogni nucleosoma a prescindere dall’immunoprecipitazione, ci sarà in tutti i nucleosomi e negli input. Nell’input c’è tutto, c’è un elemento costante nella struttura del nucleosoma, dividendo il segnale della tata binding proteine dell’input contro il segnale del normalizzatore nell’input si ha una stima di quanto materiale di partenza era presente, non è stato tolto nulla, c’è la tata binding protein e un elemento costante nella struttura del nucleosoma. Sull’input si fanno due cose: l’input è trattato sia con il normalizzatore che con la proteina target. L’immunoprecipitato segue la stessa analisi sia contro la proteina target che contro il normalizzatore. L’input viene normalizzato e l’immunoprecipitato viene normalizzato. A questo punto, si possono confrontare i segnali, non si può fare il rapporto diretto, in quanto l’input è rappresentativo di tutta la cromatina, si deve normalizzare su tutta la quantità della cromatina, l’immunoprecipitato è soltanto una parte, sono due quantità di partenza diverse. Ci sono due normalizzazioni: sia dell’input che dell’immunoprecipitato. L’immunoprecipitato è solo una parte, l’input è tutta la cromatina, quindi, si partono da delle quantità iniziali diverse. È rappresentata un’amplificazione tramite oligo specifici di quella zona dove può essere legato X e ci deve essere sempre a prescindere. in parallelo si ha l’amplificazione dell’immunoprecipitato. Si devono inserire dei controlli di normalizzazione, perciò, si amplifica un’altra regione (non quella dove è legata la proteina) ossia un’altra regione che so essere anche nel nucleosoma a prescindere dal fatto che sia immunoprecipitato. Il problema a monte è che devo essere sicuro che vedo del DNA legato alla proteina e non qualcosa che è venuto giù casualità, perciò, si ha bisogno di un controllo di specificità dell’interazione. Si deve prendere in causa qualcosa che con la mia proteina non c’entra nulla, che mi dà la stima i quanto non legato ci sia dento, si deve avere una stima della sequenza target, una del normalizzatore, sia sull’input che sull’immunoprecipitato. Con queste quattro determinazioni, si può stabilire se il segnale visto contro la sequenza target è specifico e quant’è. La PCR è semiquantitativa in quanto ha dei limiti nella valutazione specifica dell’arricchimento, si ha la necessità di ricorrere a delle metodiche più sensibili dal punto di vista quantitativo. Si lavorano sempre su entrambe le componenti, ottenute dal processo di immunoprecipitazione, si avrà un input rappresentativo di tutto il genoma, invece, l’immunoprecipitato contiene solo alcune delle sequenze, a livelli variabili che dovrebbero rispecchiare il binding della proteina contro target diversi. Si lavora sull’input, si hanno due coppie di oligo, due che individuano la sequenza in studio e due che individuano una sequenza estranea del binding della nostra proteina ossia di elementi a cui la proteina non si dovrebbe legare. Esempio: proteina localizzata sui telomeri, una coppia di oligo che mappano le regioni telomeriche, l’altra è in mezzo al cromosoma, che ci saranno entrambe nell’input. l’input è tutto il genoma frammentato a livello dei nucleosomi, invece, nell’immunoprecipitato ci sono le stesse due coppie, una delle quali mappano preferenzialmente la regione telomerica, in quanto si è mappato una proteina che sta preferenzialmente in questa zona, mi dovrebbe dare un segnale arricchito. La sequenza estranea al binding darà un fondo sperimentale. Nell’input se si prende il valore ottenuto per il telomero diviso per gli oligo non telomerici, rapporto di normalizzazione, in quanto si sta lavorando su genoma interi, una coppia di telomero e una no, c’è tutto. Il cromosoma è stato frammentato →pezzo in mezzo e quello del 41 telomero → valore del telomero diviso per l’altro. L’anticorpo, nell’IP, ha operato una selezione sui telomeri, andando a prendere la proteina legata al telomero, le sequenze legate alla proteina dovrebbero essere arricchite, in numero superiore, invece, quelle del binding, si avrà un valore minimo. Se uno è tanto e quell’altro è quasi scomparso il rapporto non è 1, ma un numero, che è a seconda dell’abbondanza della proteina nell’immunoprecipitato. Sui due normalizzati, si fa il rapporto finale e si trova che per la proteina target in studio la regione subtelomerica ha un arricchimento di 5 volte. Si esprime la forza di legame, la specificità di legame e la localizzazione di una proteina, in base a quanto si arricchisce la sequenza in studio, rispetto a zone in cui non c’è un legame preferenziale. Ciò si esprime con il fattore di arricchimento. Questo è possibile se si lavora su sequenze specifiche. Si studiano i telomeri che sono una regione relativamente limitata, si può fare uno studio esaustivo di questo tipo. Se, invece, è un fattore trascrizionale, non si può fare questo studio, in quanto il partner sono i promotori che contengono la sequenza bersaglio. Si può adottare un approccio non ristretto a poche reazioni di PCR, a poche copie di oligo, per la quantificazione si può sfruttare usare gli array, in quanto si costruiscono rappresentativi dei promotori, di tutte le regioni che sono chiamate in causa. Si ha la tutta fotografia di tutti i promotori. In questo caso, lo studio, in questa situazione, ha l’obiettivo la distribuzioni sulle corte sequenze che individuano i promotori. Un promotore eucariotico ha meno di 1000 bp , ma possiamo selezionare zone vicine o lontane al TATA. Si può fare una ChIP (Ch = cromatina) on Chip. Per adattare il processo di IP a un’analisi su un array, consiste in questi passaggi: quando si prende l’input e quando si è ottenuto l’immunoprecipitato, si portano avanti come se fossero i due campioni che si confrontano sull’array. Sugli Array si avevano due campioni che si confrontavano, invece, in questo caso si ha l’input e l’IP, che corrispondono ai due campioni. Si marcheranno in modo differente, ad esempio, IP = cianina c5, input = c3. Si fa il pool, si avranno i due segnali, ci si aspetta che il segnale dell’input sia distribuito su tutto l’array, in quanto nell’input c’è tutto e tutte le sequenze devono avere un segnale, dall’altra parte ci sarà una distribuzione preferenziale, ci sono i bersagli della proteina di interesse. Ci sono diversi modi per marcare il DNA. Si ottiene, alla fine, un rapporto tra le due fluorescenze, si può sapere dove si è verificato un maggiore binding, che ha comportato una maggiore precipitazione o quali sono indifferente alla presenza della proteina. Si può avere un elenco dei promotori regolati, dove il segnale rosso prevale sul verde, perché non ho scelto gli oligo, non ho preso due copie soltanto di oligo, c’è tutto sull’array, dò la possibilità agli immunoprecipitati di essere rilevati, andando a determinare quali sono i promotori bersaglio per la proteina. Esiste un sistema più complesso. Slide articolo nature.com/reviews/molcellbio aprile 2003 volume 4→ lievito c’è un wt e un mutato, si procede allo stesso modo con l’immunoprecipitazione etc. Il mutante ha inattivato l’acetilasi istonica. Si vedrà la marcatura sull’IP e si avranno due segnali di fluorescenza, che sono confrontati sull’IP. Si vedrà una diversa abbondanza delle sequenze specifiche, segnale da cellula wild type rispetto a quello della cellula mutata, ciò dovrebbe indicare quanto la mutazione incide sulla proteina. Si devono considerare i fattori di normalizzazione. È un differenziale. L’informazione è: Se si toglie un’acetilasi istonica, che cosa succede? L’array ci dà questa informazione. Ritorno discorso rose →sulle probe, si mettevano i cDNA che derivavano dal fiore profumato. Il secondo confronto è tra le rose mature, si mette sempre la profumata, in questo caso. CROMATINA Epigenetica =sopra la genetica →si fa riferimento a delle modificazioni del genoma che non cambiano la sequenza nucleotidica. Si trovano negli eucarioti. Queste modificazioni sono di due tipi: 42 metilazione a carico del DNA, che nel caso degli eucarioti coinvolge la citosina →ci sono delle citosine metilate. L’altra modificazione epigenetica coinvolge tutte le modificazioni a carico degli istoni, i quali possono essere ubiquitinati, acetilati, metilati, fosforilati… tutte queste modificazioni hanno un’influenza sulla trascrizione, sul fatto che si avrà che la cromatina presenta sottoforma in etero ed eucromatina. Tutte queste cose si influenzano tra di loro e danno un significato diverso alla presenza di determinate sequenze… METILAZIONE →nei procarioti, in E. Coli, ha la funzione del riconoscimento il self DNA dall’intrusione del DNA estraneo. I procarioti hanno dei sistemi di metilazione specifica, che sono di due tipi: metilasi solitarie che riconoscono determinate sequenze, nel sistema DAM (metilazione dell’adenina) in posizione N6, invece, nel sistema DCM, si ha la metilazione della citosina in posizione C5. Ogni volta che trovavano una sequenza X specifica venivano metilate. Esistono delle metilasi accoppiate agli enzimi di restrizione (cfr. enzimi di restrizione di tipo 2). Associato agli enzimi di restrizione di tipo 2 esiste la metilasi corrispondente, se un ceppo di coli produce l’endonucleasi EcoR1, deve proteggere il suo DNA dall’azione di ecor1, perciò, si produce la metilasi corrispondente che riconosce lo stesso sito riconosciuto da Eco e lo metila. Il ceppo X produce eco, ma non distrugge il proprio DNA. Se non c’è questa metilazione, si degrada il DNA estraneo. Ci sono questi enzimi associati. Il sistema di metilazione è coinvolto nei sistemi di riparazione del danno al DNA, durante la replicazione. Negli eucarioti, il discorso della metilazione è diverso. È una metilazione che coinvolge la citosina, in posizione C5, ad opera della DNA metil transferasi. Il donatore è SAM (=S adenosin metionina) e si trasferisce un metile. Il target preferenziale nei mammiferi è rappresentato dal dinucleotide, rappresentato CpG (=p = legame fosfodiesterico). Se si trovano CG o GC, è il substrato preferenziale e vengono metilate. Si ha una differenza di come questo dinucleotide CpG si trova sul cromosoma metilato o non metilato. Se è metilato, si trova nelle zone del centromero, a livello delle sequenze ripetute, a livello dei trasposoni, in quanto la funzione di questo è di impedire la trasposizione, non devono essere trascritti, devono essere silenziati. È un controllo di stabilità genomica. Il dinucleotide CpG non metilato si trova, generalmente, in zone dove si trovano i promotori, in quelle che prendono il nome di isole CpG. Per isola si intende, che in una certa lunghezza da 300-1000 basi, in zone adiacenti del promotore c’è una composizione di CG superiore al 50%, sono zone ricche di CG, la frequenza del dinucleotide CpG è superiore del 60%. Si trovano ad alta frequenza nelle zone dei promotori. La non metilazione è legata alla trascrizione, gli housekeeping (quelli costituitamente espressi) presentato delle isole CpG non metilate; esistono dei geni tessuto specifici, sono presenti in tutti i tessuti, ma sono differenzialmente espressi. Ci sono le isole CpG che risultano non metilate nel tessuto in cui devono essere espresse e metilate nel tessuto in cui non devono essere espresse. C’è un discorso di metilazione trascrizionale. La metilazione del DNA è coinvolta anche nel silenziamento degli elementi mobili del genoma e nel fenomeno dell’imprinting genomico (sviluppo embrionale, ovogenesi e spermatogenesi, durante questo processo, c’è l’espressione allelo specifica, uno dei due alleli viene metilato in funzione dell’origine materna o paterna, in modo che si sviluppino solo i caratteri maschili o femminili) e nell’inattivazione del cromosoma X nelle XX, ossia il corpo di Barr. Le conseguenze causate dalla metilazione non corretta possono essere varie, errori duranti imprinting, non silenziamento del cromosoma X... Le modalità per cui avviene, la metilazione esercita l’effetto inibitorio della trascrizione è legato al fatto che si possono avere delle proteine ossia metil CpG binding protein →sono delle proteine che legano in maniera specifica i metili delle isole CpG →riconoscono la metilazione. Generalmente queste proteine fanno parte di complessi in cui si trovano altre proteine, enzimi: le deacetilasi istoniche. La deacetilasi finisce nella zona del promotore, deacetila l’istone. Il segnale deacetilante è correlato, in genere, al silenziamento, non trascrizione, inattivazione. Acetilazione = trascrizione. 45 di studiare la metilazione nei tumori etc. Ci sono due grosse categorie: alcune sono basate sull’uso di enzimi di restrizione, i quali possono essere o no suscettibili al taglio in presenza della metilazione, ciò può essere associato a un’analisi di Southern o a una PCR. Si hanno delle tecniche che trattano il DNA con il bisolfito di sodio, in quanto esso è in grado di convertire la citosina in uracile, invece, la citosina metilata rimane tale. Se a questa cosa, viene fatta seguire una PCR, significa che una citosina metilata rimarrà tale e verrà appaiata a una G, invece, un uracile sarà abbinato all’adenina, nei passaggi successivi si ha una variazione di base. Lo si può leggere o sequenziando o svolgendo delle PCR metil specific (msPCR), le quali possono essere anche quantitative, poiché si possono svolgere delle Real Time specifiche per le metilazioni. La COBRA = Combinata/Combined Bisulfate Restriction Analisys →trattamento con il bisolfito associato a degli enzimi di restrizione. Tutte queste permettono di avere delle informazioni o sul genoma o su singole zone. Si possono fare anche degli array CpG, ossia degli array legati al dinucleotide per vedere se a livello del promotore in un certo paziente, il promotore ha avuto variazione di metilazione a livello delle isole CpG. I saggi di metilazione del DNA basati su enzimi di restrizione: il DNA si digerisce, a questo segue una PCR o una Southern. Negli altri casi, si fa un trattamento con il bisolfito, segue una denaturazione, si lavora con single strand, poi c’è una reazione di PCR normale o specifica. Si utilizzano degli enzimi in grado di tagliare o no in funzione della presenza del sito di metilazione, a cui segue la PCR o la Southern. Gli enzimi di restrizione di tipo 2 hanno le proprie metilasi accoppiate, enzimi diversi che riconoscono il sito, se è metilata eco non taglia. Esistono gli isoschizzomeri, i quali sono sempre degli enzimi di restrizione di tipo 2, che hanno nomi diversi in quanto sono stati isolati da organismi diversi, riconoscono, tuttavia, lo stesso sito di restrizione. Hanno nel loro sito di riconoscimento il dinucleotide. Sma e Xma riconoscono lo stesso sito, ma tagliano in modo diverso, una lasciano una blunt, sma, invece, lascia 5’ protruding. Ciò fa sì che rispetto alla metilasi corrispondente riconosce il sito, gli isoschizzomeri sono sensibili differentemente alla presenza del metile (uno taglia se c’è il metile, l’altro no), la sequenza è la stessa. Si utilizzano delle copie di isoschizzomeri, uno taglia, l’altro no, riconoscendo la stessa sequenza. Il punto di partenza è il genoma oppure il promotore di X oppure un qualsiasi specifico pezzo, che può essere sequenziato, un sequenziamento normale non dice se c’è o meno la metilazione. Si sa che ci sono delle CG in quella zona e si vuole sapere se sono metilate. UN APRROCCIO →Il target viene diviso in due, uno si tratta con l’enzima sensibile alla metilazione, l’altro con quello che taglia tutti i siti che riconosce indipendentemente dalla metilazione. Ci sono diversi siti riconosciuti dall’enzima, più o meno metilati. Si ottengono tre frammenti, di diversa dimensione. L’enzima sensibile alla metilazione non taglia dove c’è il metile. Si deve passare a un’analisi di Southern per identificare in modo specifico le bande. Digestione con uno e con un altro, gel di agarosio, filtro, si deve costruire una sonda specifica contro il target, sequenziato e isolato. La sonda deve coprire la zona in cui si presume che ci siano i siti metilati. Si usa una sonda a DNA radioattiva →random primer. Dal confronto delle bande si riesce a capire se c’è quel sito metilato. Le zone centromeriche sono caratterizzate da zone di DNA ripetute, quindi, metilate. In un tessuto, se si estrae del DNA genomico e si tratta con un enzima sensibile alla metilazione, il DNA rimarrà tutto non digerito, si usa una sonda specifica contro l’elemento ripetuto, l’altro avrà un pattern di diversi frammenti, sono tutti elementi ripetuti che si troveranno a distanza diverse. Se c’è un mutante, non c’è più metilazione nelle zone ripetute, si ottiene un pattern analogo, sia che l’enzima sia sensibile che non. Il solito problema legato alla Southern è l’uso del radioattivo, necessità di più materiale di partenza, per confrontare con altri sistemi, quale, ad esempio, la PCR, legato alla presenza di quel sito di restrizione. Si può ovviare ad alcuni problemi, usando altre metodiche. Se si utilizza la PCR, serve meno materiale di partenza, non si usano 46 elementi radioattivi, legati sempre alla presenza di siti di restrizione, però, è molto più veloce. DNA, si ha la sequenza, così si possono costruire dei primer, si utilizza un enzima che non taglia se c’è la citosina metilata, se non c’è taglia. Si tratta il DNA con l’enzima in questione, l’altro DNA non viene sottoposto a nulla, a nessuna analisi di restrizione. Su questo di DNA genomico si fanno due reazioni di PCR, usando primer specifici rispetto al sito in cui si pensa che ci sia la metilazione. Segue un gel di agarosio, in quello non trattato con l’enzima si deve avere un amplicone delimitato dai due oligo studiati. In quello trattato, in funzione o no che si avrà della stessa banda ossia della presenza o meno dell’amplicone, si può dire se è metilato o no: se tra i due oligo c’è un sito non metilato non si ottiene nessun amplificato, in quanto taglia riconoscendo il sito. Ci sono, al contrario, degli enzimi che tagliano solo se il residuo è metilato (esempio DPN). Se è metilato taglia, se non è metilato non taglia, si prosegue con PCR, con relativa amplificazione, di conseguenza, si capisce se c’è o no il sito. Le altre metodiche partono con un trattamento del DNA con il bisolfito di sodio (cfr. mutagenesi). Si estrae il DNA, si prepara con il bisolfito di sodio. Se la citosina è metilata, non avviene nulla, al contrario, se la C non è metilata, si ha un primo passaggio con il bisolfito a pH 5, si è in condizioni drastiche, si mette del DNA a pH acido. La prima reazione è di solfonazione, segue un altro step in cui si lascia sempre a pH 5, portando a 50°C, per 16 ore. Dalla citosina solfonata si passa a un uracile solfonato. Poi c’è un passaggio in ambiente basico, per cui si arriva all’uracile. In questo modo una citosina è diventata uracile. Si ha del DNA che si è amplificato. Tutte le citosine sono diventate uracile, sia su uno strand che sull’altro. Questa cosa può essere fatta direttamente sul single stand oppure sui due strand, dove sono rimaste le G corrispondenti. Sul single, dove si è solo modificato, se si fa partire una PCR con primer specifici, il risultato è che dove c’erano tutte le U, a seconda di quale strand si considera, è diventato un’adenina o una timina (in base al ragionamento), invece, quella metilata è rimasta citosina. Se si lavora con uno strand è chiaro, anche su un single strand si possono costruire due oligo. La PCR avviene in vitro, non c’è nessun sistema di riparazione, la U si appaia con l’A, la quale diventa dall’altra parte T. Se, invece, avviene su double strand, si avranno due miscele: uno un prodotto di PCR relativo a uno strand modificato, l’altro relativo alle G non modificate. Su uno strand solo è più semplice. Da qui si può fare sequenziamento. Il sequenziamento prevede Sanger: si clonano i prodotti di PCR in un vettore opportuno oppure direttamente si procede sui prodotti di PCR fare il sequenziamento. In parallelo si deve sequenziare il DNA che si sta studiando non trattato con il bisolfito, così le citosine metilate o no rimangono citosine. Si deve fare il confronto perché se è metilata rimarrà tale, se non lo è, si avrà una T: dal confronto si capisce se è metilata o no. Si procede in questo modo, non si fa la marcatura radioattiva. METHYTLATION SPECIFIC PCR È una PCR specifica per la metilazione. Si estrae il DNA, si tratta con il bisolfito, dopo di che si fanno partire delle PCR in parallelo, almeno due, perché gli oligo adoperati per l’amplificazione sono studiati sulla sequenza dove può esserci o no la metilazione della citosina. In alcuni casi, dopo il trattamento con il bisolfito, la C è diventata U. Non si è legati a una sequenza riconosciuta da un enzima. Si studiano degli oligo che vanno ad appaiarsi sulla C o U, in base alla metilazione. Si studiando gli oligo. I prodotti di amplificazione di PCR saranno leggermente diversi, si deve passare su un gel di agarosio. Si hanno due possibilità di CpG, non so dove c’è la metilazione. Le PCR sono 4 come le combinazioni possibili. Si deve mettere nelle condizioni di considerare tutte le possibilità possibili. Le 4 PCR devono dare 4 prodotti leggermente diversi (= distanza degli oligo). L’importante che coprano. Si può fare un primer contro la U e uno contro la metilazione. Se non si ha risposta, si devono invertire le combinazioni. Non è una PCR quantitativa, è una PCR normale. Permette di dire c’è o meno un sito metilato. 47 La Real time prevede la TaqMan, oltre agli oligo, primer specifici per amplificare un target, è possibile costruire la sonda con il reporter e il quecher che è specifica. Si estrae il DNA, si tratta con il bisolfito, la specificità è data anche dalla sonda (si ragiona in single strand, ma per comodità). Se si costruiscono due sonde, una CG e una TG, l’altra parte uguale, perché si deve appaiare. Si può fare insieme, se si mettono due reporter diversi che vengono eccitati alla stessa lunghezza d’onda, in funzione di quale ci sia si appaierà e si avrà amplificato, si possono vedere anche le variazioni alleliche, in quanto mi permette un’analisi quantitativa degli amplificati (omozigoti che si differenziano per una metilazione a carico del DNA). Se è completamente metilato si appaierà con CG, invece, se non lo era con TG. La PCR della TaqMan ha una sonda specifica contro il target, che puà contenere CG, in quanto deve appaiarsi dove c’è il dinucleotide. Si costruiscono due sonde identiche per la C, se è metilata, rimane e si appaia, se non c’è il metile, la citosina, dopo il trattamento, è stata trasformata in T. Ciò fornisce dei dati quantitativi. La specificità è data dai due primer e dal target. Sono tutte cose che si riescono a seguire cineticamente. Si può avere la sonda che discrimina tra il metilato e il non metilato, si possono avere anche altre combinazioni. Si può avere una discriminazione a livello dei primer, costruendo dei primer sulle CpG più o meno modificate. Si possono fare tutte le cose in parallelo. Si può mettere tutto, con n fluorofori che vanno in parallelo, analizzando tutti i dati. Si hanno così dei dati quantitativi. Si può fare un’analisi genome wild dello stato di metilazione, passando attraverso una ChIP, con lo stesso impianto degli altri: input e immunoprecipitato. Il genoma viene frammentato per sonicazione, non si deve fare nessuna stabilizzazione, in quanto i metili non vengono via. Si immunoprecipita contro un anticorpo specifico contro le citosine delle CpG metilate. Si ha un input. Questi vanno marcati con frammenti di DNA, con le cianine 5 e 3. Dopo di che vanno messi su un chip su cui si sono messi degli oligo rappresentativi dei promotori. Non si può fare cDNA. Si mischia e si avrà un’analisi, bassa metilazione di quel promotore. Come si marca con il DNA frammentato, come si mette la cianina? Ci sono dei frammenti rappresentativi di tutto il genoma, si devono marcare tutti. È stata effettuata una frammentazione casuale. Si hanno delle estremità blunt, 5’ e altre ancora 3’. Si deve avere qualcosa di uguale, la terminal transferasi non va bene in questo contesto. Si deve fare in modo che si possa costruire un primer uguale per tutti, da cui partirà la sintesi. Come si possono mettere le ali? Gli adattatori si possono legare nel momento in cui si hanno delle estremità uguali. Si può fare fill-in sul 5’ oppure un S1, che funziona sia sul 5’ che sul 3’. Si può trattare in entrambi i casi con una nucleasi S1, che rende blunt tutto. A questo punto si possono mettere degli adattatori uguali per tutti. (La sonicazione permette di avere frammenti, quindi, una frammentazione di tipo meccanico). Si può fare, visto in un altro contesto, pensando all’efficienza, una T-PCR ossia una PCR che usano dei primer che prendono il nome di targed random. Si hanno dei frammenti, che avranno alle estremità tutte le possibili combinazioni a 4 basi, la cui lunghezza dipende dal primer considerato, si fa un pool, da 9 a 15 bp, che sono quelle al 3’ che si appaiano, random, quindi, con tutte le possibili combinazioni usando 4 basi; dopo di che hanno una parte uguale che corrisponde all’ala che è fatta da 17 bp, ala che non interferisce con i processi di ibridazione. Si fanno i primi cicli a bassa astringenza, si dà la possibilità di appaiarsi a tutte le sequenze alle estremità su cui appaiarsi, l’ala è uguale per tutti. Si fa una PCR a bassa astringenza nei primi cicli. Alla fine, si costruiscono degli oligo, dopo i primi cicli a bassa astringenza, si arrivano a dei templati con le estremità uguali, come se si fossero usati degli enzimi di restrizioni, poi, si alza la temperatura e si aggiungono anticorpi specifici. Vengono amplificati tutti gli oligo specifici per la parte perfettamente uguale, sono tutti uguali; a 50 possibilità di aggiungere altre modificazioni se c’è una delle due modificazioni, questa può essere la base di un interruttore molecolare (spento o acceso in base a ciò che si trova sulla lisina). Se si aggiunge un peptide, maggiore peso molecolare, come nel caso dell’ubiquitina, si blocca il gruppo e la conformazione più ampia dell’istone. 150 aa a cui si aggiunge 76 l’istone diventa una volta e mezza quello che era nell’origine, la struttura compatta del nucleosoma viene influenzata, ciò cambia tutte le interazioni con i partener che prendono contatto con il nucleosoma. N terminale ricche di lisine adiacenti, gruppi amminici, i quali a pH fisiologico espongono la carica positiva, ciò favorisce l’interazione con i gruppi fosfati dell’acido nucleico, si può instaurare un’interazione ionica con DNA. Tutte le sequenze si possono avvolgere a un nucleosoma che espone cariche positive. Acetilato o meno acetilato significa avere o no delle cariche esposte, per rendere più facile lo svolgimento del DNA dal nucleo proteico. Se si attaccano sui gruppi amminici dei gruppi acetilici, si maschera la carica, ma si espone qualcosa, è come se la lisina esponesse qualcosa di idrofobico, ha cambiato faccia. Il discorso si complica se si passa alla metilazione, l’enzima che attacca i gruppi metili è la metilasi istonica (acetilasi istonica aggiunge i gruppi acetili). Si ha un’ammina primaria, ci sono dei legami dell’ammonio che possono essere soggetti a modificazione. Si attacca, allora, un gruppo metile, non si toglie la carica, il monometilato è ancora carico, non si stacca il DNA modificando gli istoni; si può attaccare un secondo gruppo metile della lisina, si può saturare l’azoto con tre metili. Acetile uno solo, ubiquitina una sola, invece, la metilazione può essere mono, -di o -tri. Si considera la carica assente perché, anche in questo caso, la lisina ha cambiato faccia. Se si pensa a un N terminale, in cui ci sono diversi residui che possono essere bersaglio di queste modificazioni, si può cogliere che l’interazione tra l’estremità dell’istone e con tutti i suoi possibili partener può essere modulata. Ci sono alcuni domini strutturali che possono interagire con specifiche modificazioni a carico degli istoni. Tudor Domain cercheranno dei binding con una lisina monometilata. Chromo domain, con una tasca più ampia dove si accomodano due o tri metili che conferiscono una diversa specificità di interazione, infine, con l’acetilazione si ha un bromo dominio. Dal punto di vista chimico gli elementi sono simili, cambiano pochi elementi. È molto fine la regolazione, non si cambia notevolmente la struttura, si lavora a delle modulazioni molto fini. CODICE ISTONICO →è un linguaggio che è specificato dagli elementi che lo compongono. Si può generare un codice estremamente ricco partendo dai residui che caratterizzano gli istoni: un linguaggio determinato dagli istoni. Se si pensa solo alle lisine, se ci si limita solo l’acetilazione e metilazione, si hanno 1015 di combinazioni possibili. È possibile, quindi, un ampio codice è generato da codice combinatoriale. Questa potenzialità è stata ridotta. Si è modificata l’idea del codice: codice gerarchico e combinatoriale →c’è qualcosa che viene prima o dopo. Alcune modificazioni a cascate ne modificano altre, struttura verticistica: l’ubiquitinazione può andare a indurre uno stato di metilazione, che, a sua volta, influenza la possibile acetilazione. I residui modificati hanno delle regole interne, ci sono dei condizionamenti, come l’ubiquitinazione influenza la metilazione etc.. il significato delle modificazioni è mantenuto anche in diversi organismi. Si possono avere residui adiacenti con la stessa modificazione, in termine strutturale è rafforzativo del segnale, in quanto sono piccoli gruppi chimici, ciò non vale per l’ubiquitinazione, poiché ne basta una solo per cambiare il segnale, essendo più rilevante strutturalmente. C’è la necessita di convergenza di più modificazioni per avere una rilevanza, tranne per l’ubiquitinazione che è in cima della cascata. L’unico caso in cui si sono riscontrate nello stesso residuo la K9 istone H3 (lisina 9 dell’istone H3): non c’è in lievito, è nei pluricellulari, è un interruttore molecolare. Diversi residui/target di modificazione richiedono un apparato enzimatico specifico. Non si è all’estremo di un enzima, ma si ha un numero sufficientemente ampio di enzimi che assolvono il ruolo di modificatori specifici. Acetilazioni da 51 parte di acetil transferasi, come Sas2 e Gcn5 →antagonisti principali di esso sono le deacetilasi, come Hda1, invece, per Sas2 l’antagonista è Sir2, capostipite di una famiglia di deacetilasi istoniche. L’enzima ubiquitinante, che lega l’ubiquitina, è Rad6 con un complesso Pre1, in lievito ci sono due diverse attività che rimuovono questo gruppo legato, con specificità d’azione. Non sono interscambiabili, ma sono specifici, uno agisce in determinati contesti, l’altro in altri. Questo è il quadro minimo di enzimi, che accendono o spengono un promotore, condensano o rilassano una regione di cromatina ossia così influenzano a cascata tutti i processi che stanno sotto. ACETILAZIONE →è in fondo alla struttura gerarchica, si interpreta più agevolmente, in quanto ha sempre lo stesso significato, una regione iperacetilata correla con uno stato di attiva trascrizione →tanto acetile = tanta aperta = attivamente trascritta. Si stacca il DNA, si scolla dal nucleosoma, RNA polimerasi più facilmente accede con tutti i suoi partner alla sequenza e si scrivono i complessi trascrizionali. Il bromo dominio la fa riconoscere da proteine partner, il significato è duplice: si scolla il DNA dalla struttura nucleosomiale e si permette che si aggancino i fattori di trascrizioni, sfruttando questo gruppo acetile sugli istoni. C’è anche chi, al contrario, è in grado di idrolizzare questo legame. Gcn5 è una delle due attività enzimatiche possedute dal complesso fondamentale per la trascrizione di promotori fortemente regolati (non quelli costitutivi, ma il sistema Gal, tutti quelli che vengono indotti da qualcosa, promotori inducibili, il numero di elementi che lo compongono è infinitesimo). SAGA →funzione acetil transferasi di Gnc5, l’altra è un’attività deubiquitinasi, stacca residui di ubiquitina, in lievito è determinata dall’enzima Ubp8, nello stesso complesso si hanno due attività enzimatiche: Gcn5 (agisce in fondo) e Ubp8, che agisce all’inizio. Per capire i meccanismi molecolare si devono identificare le regioni coinvolte: upstream, sequenza a monte del sito di inizio della trascrizione, con significato attivatorio, che sarà bersaglio di un attivatore trascrizionale. Il SAGA, prendendo contatto con l’attivatore trascrizionale, è in grado di indurre modificazioni istoniche nell’intorno della sequenza attivatoria. TATA box regione prossimale del promotore, vicino all’inizio di trascrizione, 900-500 bp, se si ragiona quanto DNA c’è sul nucleosoma e quanto su un linker che è grande tanto quanto, si può capire che in questa struttura, richiamando SAGA a livello UAS, lo si mette nelle condizioni di cambiare il contesto istonico dove avverrà la trascrizione. Si assemblano i suoi partner sul TATA box. Prende contatto con la regione cromatinica e la modifica. Si sfrutterà il sistema Gal per capire come dall’evento di legame dell’attivatore trascrizionale, si evoca tutta una serie di eventi per cui alla fine la polimerasi sarà in grado di procedere con la trascrizione, tutto l’apparato trascrizionale deve poter accedere in modo specifico a livello del TATA box, deve aver spazio per accedere. Si modificherà, introducendo dei gruppi acetili, con il contributo degli stessi, si recluteranno i rimodellatori della cromatina per aprire la zona, questa è l’idea razionale del processo. SISTEMA GAL →c’è il promotore, con il TATA box, ci sono anche delle sostanze regolatorie, upstream activate stream (Uas), che sono solo a monte. Ci sono degli elementi in cis, bersaglio del legame (Gal4, Gal3), però, ci sono anche elementi negativi, come Gal80, complessando Gal4 che impedisce di esplicare l’attività regolatoria, inattivando il residuo carbossiterminale. Quando c’è galattosio, devono essere espressi questi geni. Si hanno degli elementi specifici, riconosciuti dall’attivatore, che se legati a un inibitore l’attivatore non funzione. Se si inattiva il sistema con Gal80, poi, se si passa in una condizione di induzione, l’evento critico è liberare il carbossiterminale di Gal4, in modo che possa trascinare il SAGA in prossimità del TATA box. C’è una specificità di legame, c’è un reclutamento del SAGA che modificherà x cose, così può arrivare la Poly. C’è TATA nudo, si ha la necessità di far arrivare la TATA binding protein, Pol2, per fare ciò, Gal si deve liberare dell’inibitore e possa richiamare i complessi mediatori del SAGA, questo sistema permette che Gal80 venga sequestrato al di fuori del nucleoplasma, formando un complesso con Gal3, in questo 52 modo si elimina il complesso inibitorio. Glucosio è inibitore, invece, galattosio è induttore, tutto questo viene modulato. Che cosa succede intorno? Ci sono una serie di eventi, si deve tenere presente il codice gerarchico combinatoriale, per capire che cosa accade prima. C’è Gal4 libero, il suo dominio carbossiterminale può legare SAGA, che ha Gcn5 e Ubp8 (e basta a livello enzimatico). Rad6, nominato precedentemente, è un enzima capace di introdurre monoubiquitinazione sul residuo di lisina 123, dell’istone H2B. Non è portato dal SAGA, ma viene reclutato precocemente da questo complesso che si sta formando, si recluta un enzima che è capace di introdurre quella modificazione che sta in cima al sistema di controllo gerarchico combinatoriale. Rad6 lega l’ubiquitina sul residuo di lisina 123 in C terminale di H2B→PRIMO EVENTO. Questo genera una modificazione sui nucleosomi attigui al TATA box. Il SAGA facilita l’assemblaggio del TATA binding protein, che recluta Pol2. In questo momento il complesso non sta trascrivendo, si è in un processo di preinizio della trascrizione. Si sta caricando l’apparato molecolare nel punto in cui si sta iniziando la trascrizione. Si iniziano a modificare gli istoni, il passaggio successivo all’ubiquitinazione è la metilazione, H3 è il bersaglio nei residui della sua regione N terminale. La metilasi Set1, dopo che è stata introdotta l’ubiquitina, va sul suo target ossia la lisina 4 dell’istone H3 →MONOMETILAZIONE. L’ubiquitina ha modificato fortemente la struttura nucleosomiale, il quale è come se abbia acquisito il peso di un ulteriore istone. I due enzimi responsabili di questa metilazione non servono più, perciò, si dissociano e lasciano spazio. Gcn5, su una coda H3, che si inizia a estendere, che fornisce un sito di binding, in quanto è provvisto di un cromo dominain, può avere affinità privilegiata di quella zona istonica e inizia ad acetilare. Il tutto si traduce, quindi, in un sistema che apre la struttura condensata di cromatina, inizia a comparire un po’ di mRNA, acetilando, liberando il nucleosoma, si inizia ad avere un trascritto. Il problema negli eucarioti dell’RNA pol è che da sola non sta legata al DNA, non c’è il fattore sigma, ma ha bisogno di tutta quell’impalcatura, ma una volta iniziata, quell’impalcatura dà fastidio, ci sono dei cicli di trascrizioni futili che fanno piccoli trascritti, ma non si muove niente, finchè non si ha uno switch che dà l’inizio alla fase di allungamento, anche questa ha bisogno di un supporto istonico. Dall’aver formato un complesso stabile, è necessario renderlo dinamico, in modo che RNA pol scorra, qui, entra in gioco una seconda modificazione, antitetica a quella precedente ossia togliere l’ubiquitina che Rag6 ha attaccato, così interviuene Ubp8, che entra in gioco. Se si toglie questo componente, estremamente pesante, dal punto di vista funzionale, il nucleosoma ritorna allo stato inizale, la metilazione non è accessibile all’enzima, non è sulle cose, si ha bisogno di modificare la lisina 36 dell’H3, che è quasi nel nucleo compatto del nucleosoma. Questa viene esposta, soltanto quando non c’è l’ubiquitina, ossia finché c’era l’ubiquitina, la lisina 36 era sequestrata, non era modificabile, togliendo l’ubiquitina ritorna fuori. Ora entra in gioco una seconda metilasi Set2, modifica il residuo, si cambia l’affinità per tutto l’apparato trascrizionale nei confronti del nucleosoma e il complesso può procedere, quindi, l’ubiquitina è servita all’inizio, poi si deve togliere, l’impatto globale è che senza l’ubiquitinazione non si può trascrivere. Anche nella trascrizione, tuttavia, serve un enzima deubiquitinante, altrimenti c’è un blocco all’inizio. È un evento transiente, in modo che l’apparato trascrizionale proceda. Meccanismo spaziale di azione dell’ubiquitina →in un sistema compatto, come questo, si deve tenere conto che ubiquitinando è come si incrementasse l’impatto strutturale del nucleosoma, questo comporterebbe una distensione del linker, creando uno spazio per far accedere la metilasi di 70 kDa, non può accedere autonomamente al bersaglio. Si può immagine che l’ubiquitina stessa fornisce l’impalcatura per l’interazione con la metilasi, quindi, farebbe da reclutatore in un’interazione proteina-proteina. Al momento si ritiene che il dominio di interazione possa esistere, ma non è stato ancora caratterizzato. il tutto avviene sotto controllo promotore specifico, in modo che l’apparato trascrizionale si assembli e produca trascritto. In positivo, partendo dall’ubiquitinazione, si consente 55 le ripetizioni: la telomerasi aggiunge queste sequenze ripetute che vanno sia sul single strand terminale sia sul corto double strand. Con la conclusione delle zone telomeriche, si passa alla zona subtelomerica, priva di nucleosomi. C’è un cortissimo pezzo normalmente occupato dalla telomerasi, per strutturare i Sir e i nucleosomi si deve arrivare alla zona dove c’è il primo nucleosoma. Si ha la telomerasi in fondo, una proteina presente in copia unica, un dimero, Ku (Ku70+Ku80), poi di ha un a DNA binding protein, Rap1, i suoi elementi di legame sono le ripetizioni, la quantità è proporzionale alla quantità di ripetizioni nella zona double strand. L’obiettivo è arrivare oltre alla stringa di proteine che legano le ripetizioni. Tutto comincia con un eterodimero (Sir2 + Sir4, quindi, una deacetilasi con una proteina partner che fa da scaffold), il quale ha la capacità di interagire sul confine del double strand con il dimero Ku; all’inizio del processo, tutte le proteine sono accessibili, ma la capacità di legame dell’eterodimero c’è solo per il dimero Ku. Si lega solo lì perché in quel momento è in grado di legarsi lì (si lega Sir4 che si porta dietro Sir2). Pur vedendo i nucleosomi, non è capace di ancorarsi al primo nucleosoma. Questo legame induce un cambiamento conformazione, che rende capace lo stesso dimero a prendere contatto con Rap1, aumenta l’affinità per Rap e si lega ad esso. Dal primo Rap deve attraversare tutti i Rap per arrivare il primo nucleosoma, i Rap sono tutti uguali. Si hanno tutti i Rap uguali a una certa distanza, è diverso di avere proteine diverse, deve andare avanti e non tornare indietro. Non ci sono eventi di attacco e distacco, si ha una progressiva fase di spostamento in cui il motore è l’effetto cooperativo di legame tra il dimero e la proteina Rap (cfr. emoglobina). Il primo Rap è stato legato, che rimodella la proteina Sir4 (di oltre 150 kDa), il legame con il primo Rap rende particolarmente affine per un secondo legame, si ha più possibilità di legame tra Sir4 e Rap, è come se si avvolgesse il tutto rotolando verso l’interno. L’unica direzione che può prendere contatto con una maggior numerosità di elementi Rap, questo arrotolamento, si aveva quella regione duoble strand lunga circa 300 bp, che legano 100 kDa di proteina, serve per raggiungere questo punto. ora la reazione scatenante è quella tra substrato e Sir2, a cui piace la lisina 16 dell’H4, le altre non le vede C’è una forte interazione enzima substrato, si rimuove il gruppo acetile sulla lisina 16, a questo punto si è creato un contesto strutturale dove può arrivare l’ultima proteina Sir coinvolta nel processo ossia Sir3 che prende contatto con il dimero e con il nucleosoma deacetilato. Sir3 è reclutato solo dopo la deacetilazione, è capace di mantenere un’interazione con le due unità del dimero, questo fa sì che recluta una seconda un’unità Sir2 e Sir4. Da questo momento è lui che diffonde di questa struttura, richiama il complesso deacetilatico, ossia Sir2 e il suo partner: c’è lo spreading, ci si sposta verso l’interno, deacetilando i nucleosomi, ma ci si deve fermare a un certo punto. Ogni unità reclutata rimane, in quanto l’obiettivo è un’impalcatura intorno ai nucleosomi. L’estensione è ben definita, è massimo 20 000 bp, il meccanismo autopropagante serve a coprire la struttura nucleosomiale, a un certo punto non riesce più ad autopropagarsi, dopo una certa regione non riesce più. La modificazione istonica è sufficiente a costituire un limite, avendo il complesso una deacitilasi? Si coinvolge a questo punto un ulteriore livello di modificazione. La metilazione ha un significato di repressione in generale. L’idea è che c’è un segnale di metilazione o di demetilazione che interviene. Il punto di partenza è upstream. Se si ha un ceppo aploide si può inattivare in modo diretto un certo gene, oppure si può overesprimerlo, cambiando il dosaggio genico. Si parte da delle cellule wild type, si considera una metilazione sull’istone H3 (lisina 79), in questo caso ci si riferisce a una di o trimetilazione. Se si considera quanta cromatina è interessata alla metilazione su questo residuo si trova che è il 90%. Se, invece, si valuta quanto dell’intero genoma in una cellula wt è silenziato questo corrisponde al 10%. Questa metilazione è antisilenziamento. La metilasi coinvolta è Dot1, enzima responsabile della metilazione a carico di questo residuo (lisina 79). Se si overesprime, si spinge al limite la metilazione, si ottiene il 100% di trimetilazione H3 K79. Se ha funzione anti- 56 silenziamento, di conseguenza, si annulla il silenziamento. Se avviene una delezione, non c’è più la metilazione, si avrà un incremento del silenziamento, ma, in realtà, si ottiene 0% silencing. Se si fa un’analisi, si vede che a monte, non c’è il silenziamento se c’è la metilazione. Il principale promotore dello spreading è Sir3, sembra che questa metilazione si trova sull’interfaccia di contatto tra nucleosoma e Sir3. Una lisina metilata (-di/-tri) è diversa da una non metilata. La lisina con l’ammonio libero ha diverse caratteristiche, senza gruppi idrofobici si comporta in un altro modo rispetto a quando li ha. Se non c’è il metile Sir3 si lega, il metile sull’H3 non c’è. Quando si ha overespressione della metilazione ci si ferma all’inizio, Sir3 non si riesce a essere reclutato, Rap funziona, ma ci si ferma in modo irreversibile. Si ha un’interfaccia di contatto non idonea a fare da ponte. Quando si ha il 100% di metilazione, è overespresso. Quando si spinge al minimo, è assente la metilazione, Sir3 trova tutti i nucleosomi della cromatina potenzialmente accessibili, lungo tutto il genoma, anche se l’affinità non è la stessa di quando è supportato da Sir2 e Sir4, ha tanta disponibilità, più di quello che ha all’inizio. Se non c’è metilazione si lega. C’è una dispersione assoluta, quando non c’è metilazione. Se è metilato non gli piace. Il requisito per arrivare al silenziamento è una struttura ordinata stechiometricamente, se Sir3 è sparpagliata non si reclutano più i componenti della struttura nella giusta quantità. La metilazione chiude il cancello del silenziamento, tramite la lisina 79 su H3. Quando c’è il metile Sir3 non si lega e non può avvenire lo spreading. Ubiquitinazione →acetilazione →metilazione. Lisina 79 sta sulla faccia superiore del nucleosoma dove c’è H2A e H2B, che accoglie un’unità di ubiquitina, quindi, funge da regolatore strutturale. Se c’è l’ubiquitina c’è la promozione di alcune interazioni rispetto ad altro da parte di H2B. Il gruppo amminico della K79 all’inizio è molto reattivo, Dot1 riesce a vedere il substrato anche senza che ci sia ubiquitina e attacca il primo metile. Dot1 da solo non riesce a stare legato all’ammina che è diventata secondaria, per introdurre gli altri metili; ma avendo l’ubiquitina occupato il sito adiacente, forma una piattaforma su cui Dot1 può stabilizzare la sua interazione con il substrato. Avviene l’ubiquitinazione sulla lisina 123 di H2B, che si trova nella coda C terminale, ora Dot1 riesce a fare i due step di metilazioni successivi. Nella distribuzione della di o trimetilazione di questo residuo, il regolatore ultimo alla fine è quanto ubiquitina che si trova in quella zona di cromatina, l’ubiquitina comanda, la cromatina se è ubiquitinata si ha un segnale negativo e si ha Sir3 escluso, al contrario, se si è in uno stato deubiquitinato, c’è Sir3. L’ubiquitina è grande quanto un istone. si deve dare all’enzima più tempo per agire, così si ha la possibilità di reagire con l’altro residuo. L’ubiquitina genera un ulteriore punto di ancoraggio, Dot1 satura le metilazioni. Diminuisce l’attività di substrato, ma si deve dare all’enzima la possibilità di reagire, si dà un altro punto di ancoraggio, non covalente, così può accedere con maggiore probabilità al residuo. Se l’ubiquitina favorisce la metilazione, la condizione richiesta per non avere metilazione è avere la deubiquitinazione (qui non c’entra SAGA). Ubp10 si occupa di togliere l’ubiquitina, c’è sempre il residuo 123 di H2B, che può essere sempre ubiquitinato da Rad6, indipendentemente dalla regione, Ubp8 funziona come Ubp10, ma Ubp10 nei telomeri e basta →c’è una specificità di regione. Quando non c’è Ubp10 il telomero non è ubiquitinato. Se si saturano Ubp10, toglie l’ubiquitina, le Sir così si sparpagliano. L’antagonista di Sir3 è Sas2, che acetila dove Sir3 non si è potuto legare. La lisina 16 è su H4 dove avviene l’acetilazione, ubiquitinazione su H2, invece, metilazione su H3. Le deacetilasi hanno un meccanismo univoco, risente della disponibilità di substrato, invece, le acetilasi hanno due meccanismi, uno dei due prevede l’uso dell’acqua, l’altro prende il NAD+, che diventa l’accettore del gruppo acetilico. Acetil Coa e NAD+ sono importanti nel metabolismo cellulare, sono coinvolti nella respirazione, nel ciclo di Krebs. Si hanno degli enzimi che stanno modificando la cromatina che usano tutte le acetilasi = Acetil Coenzima a, che è coinvolto in tutti i 57 processi cellulari. Risente dell’equilibrio redox. Ci sono alcune deacetilasi le cui attività sono collegate al NAD, quindi, al redox. Il Nad+ è il co-substrato della coppia redox. Sir2 è la prima deacetilasi caratterizzata dipendente da NAD+. In questo contesto sono coinvolte, quindi, le sirtuine, Sir2 è una sirtuina, ci sono 7 sirtuine. I target non sono limitati alla cromatina, ma ci sono anche nei mitocondri, citosol etc., sono in grado di deacetilare altre cose. In base al loro target vanno a toccare diverse cose, funzionalità metaboliche etc. nel cancro si ha un massacro, in quanto non c’è più un comportamento univoco, cambiando i target. Si ha anche l’integrità della cromatina che è età specifica, in cellule giovani si ha una struttura ordinata. Quando le cellule invecchiano, non essendo più in grado di controllare la struttura complessa, i nucleosomi hanno una struttura decondensata, che comporta tutta una serie di rischi per la stabilità genomica. L’idea è che le sirtuine hanno un ruolo primario su questi processi, quindi, se si potesse correggere la funzionalità, si può raggiungere degli obiettivi del mantenimento della funzionalità d’organo dell’individuo. Resveratrol →trattamento per l’infarto miocardico, è un integratore, non ha effetti negativi nemmeno se assunto in eccesso. Ci sono delle correlazioni con gli effetti benefici. Uno dei suoi target molecolari è la famiglia delle deacetilasi. Resveratrolo si trova nel vino rosso, nelle arachidi, nei mirtilli, nei legumi. La dieta francese è ricca di grassi, rispetto ad altre diete, avevano delle persone che avevano in maniera inferiore dei problemi cardiaci →paradosso francese. Resveratrol ha come target le sirtuine. Nel vino, è un trattamento quasi farmaceutico, se si assume quotidianamente. Se in circolo si hanno concentrazioni di Resveratrol micro-nanomolare, è più che sufficiente come stimolatore. Riesce a rendere le sirtuine in grado di legare il NAD+ anche quando è poco, può così raggiungere il sito attivo e deacetilare la proteina target. L’idea di poter regolare sirtuine è molto allettante, il problema è che nell’uomo c’è una grande diversità di tessuto, soprattutto in cui ci sono le cellule molto differenziate (cardiaco, respiratorio, muscolatura). LEZIONE 16 →MARTEGANI COLTURE CELLULARI Sono importanti per poter trasformare le cellule di animali. Com’è possibile coltivare in vitro delle cellule animali? Servono delle condizioni adatte: si possono prelevare delle cellule, che provengono da un tessuto, come sottocutaneo, quindi, i fibroblasti. Si possono mantenere in vitro per un periodo piuttosto lungo, in base alla tipologia di cellule. Se preleviamo i fibroblasti, si possono mantenere in vitro in condizioni vitali, soddisfacendo dei requisiti: la necessità di nutrienti e metaboliti essenziali, quali, ad esempio, il carbonio, che utilizzano per crescere, nelle cellule animali si sfrutta il glucosio, che è mantenuto in concentrazioni controllate, però, le cellule animale non sono in grado di produrre degli aa e coenzimi (vitamine). Il terreno deve contenere, perciò, diversi fattori. Un batterio che vive nel suolo è in grado di fabbricare degli aa e coenzimi (vitamine). Gli animali no, questo perché la selezione animale ci ha punito, in quanto riusciamo a ricavare i nutrienti che ci mancano dall’alimentazione, motivo per cui si devono fornire tutti questi metaboliti alle cellule. La temperatura è un altro fattore importante, quella ottimale è 37 °C. Bisogna controllare il pH, si usano dei tamponi di bicarbonato, si inserisce dell’anidride carbonica. Le cellule, infatti, sono contenute in incubatori a 37 °C con CO2, al 5%, la quale mantiene il pH costante. Ci sono due tipologie di cellule che si differenziano in base alla crescita. I fibroblasti, le cellule endoteliali o epiteliali sono delle cellule che crescono in adesione, hanno bisogno di un substrato per crescere →colture cellulari aderenti. Questo può essere correlato al fatto che in vivo sono attaccate a qualcosa, in un tessuto, in un organo in cui sono attaccate a qualcosa, come la matrice extracellulare. Si deve imitare tale condizione. Alcune cellule, invece, possono crescere in sospensione, come quelle che derivano dal sangue (linfociti, eritrociti...), si moltiplicano anche in una fase liquida→colture cellulari in 60 HeLa, Sp2 sono nate come cellule normali. BHK21 →fibroblasti di criceto HeLa →cellule umane tumorali (cervice uterina), quindi, sono immortali, possono anche crescere in sospensione. PC12 →sono anch’esse tumorali, ma di ratto, sono molto interessanti, in quanto crescono in adesione e hanno bisogno di fattori di crescita, con il siero normale proliferano come dei normali fibroblasti, in vitro, in presenza del fattore NGF differenziano in neuroni. Altre linee cellulari usate sono CHO, COS, HEK 293 e Jurkat. Sono tutte cellule trasformate, per lo più tumorali o esprimono degli oncogeni tumorali. I COS sono delle cellule immortalizzate, derivano da fibroblasti di scimmia e contengono il virus SV40. HEK 293 sono cellule umane di origine embrionale, reni, sono state trasformate con un adenovirus. Jurkat derivano da una leucemia di cellule T, derivanti da linfoblasti, crescono molto bene in sospensione. CHO derivano, invece, da fibroblasti di criceto, sono stati isolati da ovaio di criceto, sono cellule trasformate, senza inibizione da contatto, ma richiedono i fattori del siero, sono cellule molto efficaci per produrre proteine e sono molto usate nell’industria per produrre proteine ricombinanti. Una proteina che viene prodotta largamente in questo modo è l’attivatore tessutale del plasminogeno, che previene la formazione di coaguli, è usato in caso di infarto. In passato, si produceva prelevando del sangue dai cadaveri, invece, ora è prodotta per via ricombinante usando le CHO. (slide 17) I fibroblasti hanno un citoscheletro di actina dinamico, sono dotate di motilità, avendo dei prolungamenti. In un’immagine con il microscopio in contrasto di fase, si vedono delle palline rinfrangenti che rappresentano le cellule in mitosi, che diventano tondeggianti e tendono a staccarsi dal substrato, sono più brillanti in contrasto di fase. Si possono usare delle colorazioni: nei fibroblasti, in rosso, è evidenziato il carrier con l’actina, un peptide la falloidina, che lega in modo specifico l’actina ed è, coniugata, a sua volta, con la rodamina, che emettono fluorescenza rossa. Il DNA è stato colorato con il DAPI. TRASFORMAZIONE I primi esperimenti risalgono agli anni ’70. Con le cellule di mammiferi si parla di trasfezione (che è una trasfromazione), che consiste nel trasferimento di DNA esogeno in cellule di mammiferi. Non si chiamano trasformazione, perché i primi esperimenti sono stati svolti con del DNA di origine virale, si infettava soltanto con il DNA. Se si vuole fare un esperimento, in cui si vuole vedere se è possibile inserire del DNA nelle cellule di mammifero e far sì che questo DNA sia usato, sia trascritto e mantenuto, si ha la necessità di un marcatore, non si può usare un pezzo di DNA qualunque. Se si usa un plasmide batterico, si deve capire tramite un marcatore che c’è quel DNA nella cellula. I plasmidi batterici hanno come gene marcatore dei geni resistenti agli antibiotici (ampicillina…), invece, le cellule di mammifero sono insensibili a questi marcatori. Si usò come marcatore del DNA virale. Se si prendono degli adenovirus, un virus è un oggetto fatto da un genoma (RNA o DNA), con un rivestimento proteico. La particella virale, solitamente, si associa alla membrana della cellula ed entra dento. Il DNA presente dentro alla particella virale viene espresso e si ha il processo di infezione. Nel 1977, dei ricercatori hanno preso degli adenovirus, hanno isolato il DNA, trattandolo con dei solventi organici (fenolo, cloroformio), avviene separazione dei componenti, dove in soluzione acquosa rimangono gli acidi nucleici, ora si può precipitare il DNA con metanolo, si ha così il DNA virale senza proteine (si può anche usare una proteasi per eliminare completamente le proteine rimaste). Se si usa solo il DNA, è possibile aggiungere al mezzo di coltura, un terreno complesso, un CaCl2n (cloruro di calcio). In un terreno complesso c’è il fosfato di sodio, che serve sia come tampone che come fonte di fosforo. Quando si aggiunge del cloruro di calcio, si forma del fosfato di calcio, che è anche denominato idrossipatite, è costituito da cristalli insolubili, i quali si depositano sulla superficie. Se i cristalli sono piccoli, avviene la pinocitosi, vengono internalizzati. Se oltre al cloruro di calcio, si aggiunge del DNA, quando i cristalli sono internalizzati, viene 61 internalizzato anche il DNA, in quanto ha una certa affinità per il fosfato di calcio, si lega in modo spontaneo. Operando in questo modo, si vedeva che il DNA virale era entrato in queste cellula, si aveva una lisi dopo sette giorni e si aveva una nuova generazione di virus, senza aver usato il virus, ma soltanto il DNA. Questo ha dimostrato che il DNA può entrare nelle cellule di mammifero e viene usato. Il DNA una volta internalizzato viene trascritto, tradotto, genera proteina... Essendo una via di mezzo tra l’infezione e la trasformazione si chiama TRASFEZIONE. Si usa attualmente ancora questo termine, nonostante non si usi per forza il DNA virale. Era fondamentale usare del DNA esogeno per identificare sequenze importanti, per studiare i meccanismi per capire i promotori, per produrre proteine, come insulina etc.. Si potrebbe usare anche E. coli, ma ci sono dei problemi con la produzioni di proteine: si ottiene una proteina denaturata, non è glicosilata, questo perché molte proteine umane sono processate, che E. coli non è in grado di fare, quindi, E. coli non riesce a produrre la proteina nativa. Si può usare anche interi organismi, producendo animali e piante transgenici (topi, conigli, mucche…). La prospettiva è usare queste tecniche in un contesto di applicazione clinica (terapia genica). La trasfezione, per la prima volta, è stata fatta con un DNA virale, che dava così un marcatore, ma non è il metodo migliore. Si deve avere un sistema di selezione ossia dei marcatori, per selezionare le cellule che hanno preso quel DNA, come avviene nei batteri (sensibili all’ampicillina, trasfetto con plasmide, faccio crescere in un terreno ampicillina, crescono solo quelli che hanno il plasmide). Non ci sono dei sistemi così efficienti per le cellule animali, non c’erano dei plasmidi adatti. Il primo punto è trovare dei marcatori, nei batteri sono usati quelli resistenti antibiotici, nei mammiferi non si può, perché sono inefficienti, perché agiscono o sui ribosomi batterici o sulle pareti batteriche, che contengono il peptidoglicano. Allora, usarono il gene codificante la timidina chinasi (tK) e quello per la tetraidrofolato reduttasi (dhfr), perché erano disponibili da alcuni virus e perché sono state isolate le linee cellulari, quali CHO, tramite mutagenesi chimica, che era difettiva per questo gene, erano dei mutanti, il gene wild type anche di origine virale poteva essere usato per complementare. I primi approcci sono questi, poi si identificarono altri marcatori per le cellule di mammifero, come alcuni antibiotici, come la Kanamicina o l’igromicina, che possono bloccare la crescita degli eucarioti (questo è stato scoeprto molto dopo). La selezione per tK avviene usando opportuni terreni, definiti HAT, al normale terreno sono aggiunti degli elementi specifici: ipoxantina, amminopterina e timidina. L’ amminopterina blocca la sintesi endogena de novo di timidina monofosfato (Dtmp), guanosina monofosfato (GMP) e adenosina monofosfato (AMP), quindi, se si aggiunge l’amminopterina blocca queste vie, quella della timina e delle purine. Da precursori comuni si hanno la via per GMP E AMP, il precursore comune è l’inosina (può dare AMP), che poi diventa ipoxantina, per dare GMP. Per quanto riguarda le pirimidine, il precursore più rilevante è UMP, che può essere ridotto a desossiUMP, che può essere trasformato in timidina monofosfato. L’amminopterina blocca queste vie perché un evento importante per ottenere inosina richiede la presenza dell’acido tetraidrofolico (cofattore, trasportatore di unità di C), sintetizzato da Dhfr. L’acido tetraidrofolico serve anche per sintetizzare la timina, per passare da dUMP a TMP. Se si blocca la tetraidrofolato reduttasi, si blocca la sintesi di purine. A questo punto nel terreno, si aggiunge anche l’ipoxantina, che consente di bypassare il blocco, perché diventa inosina monofosfato, ripristinando la via delle purine. Se si aggiunge anche la timidina, se c’è tK, può essere fosforilata, così poi il fosfato va nel DNA, quindi, permette di sollevare dal blocco causato dall’amminopterina, però, ciò necessita dell’enzima tK (timidilato chinasi). Le cellule senza questo enzima non crescono, in quanto non sono in grado di formare dUMP. La timidina entra, ma non viene fosforilata. Se a queste cellule viene dato del DNA, contente l’enzima tK, queste crescono, se 62 incorporano il DNA →è UNA SELEZIONE: solo le cellule che lo mantengono potranno crescere. Il gene deriva dal virus herpes simplex. Possono anche essere aggiunti due frammenti di DNA diversi: uno che contiene tK e l’altro che contiene il gene che si desidera far esprimere nelle cellule (come la β globina di coniglio). Si aggiunge del cloruro di calcio, le cellule inizialmente erano tK-, si lascia per un certo tempo in incubazione, in modo che il DNA sia espresso, deve sintetizzare la tK, poi si mettono nel terreno HAT: SOLO le cellule che hanno mantenuto questo DNA cresceranno e si formeranno le colonie. Le colonie saranno poche, l’efficienza è bassa, ma, mantengono questo pezzo di DNA in modo stabile →colonie stabili. C’è una probabilità seppur bassa che avvenga un’integrazione casuale tramite eventi di ricombinazione, è il motivo per cui lo mantengono. L’integrazione non è mirata, l’efficienza è bassa, motivo per cui il numero di cloni ottenuto è molto piccolo. Se, però, il DNA viene integrato, le cellule lo mantengono, se non fosse integrato, prima o poi verrebbe perso. È molto probabile che venga integrato anche l’altro DNA, oltre il tK. È più facile fare un costrutto dove i due DNA sono vicini per avere una trasformazione integrativa. Per vedere se il DNA è presente, oltre al fatto che le cellule crescono, si può fare un’ibridazione tramite Southern Blot, all’epoca non esisteva la PCR. Dai cloni cresciuti, si estrae DNA, si digerisce con enzimi di restrizione, separato su un gel di agarosio, trasferito su nitrocellulosa, infine, si ibridava con una probe specifica. Dopo aver trasferito su un filtro, si fa un’ibridazione con una probe radioattiva per vedere se c’erano dei frammenti corrispondenti; in questo caso si vede che due cloni danno un segnale positivo, indicando la presenza del gene nel genoma di quelle cellule. Si è integrato solo Tk e non quello per la β globina. Durante la ricombinazione, si possono perdere delle regioni, motivo per cui non tutti i cloni sono positivi. Per fare la selezione sul gene dhfr (tecnica ancora usata), si usano delle cellule di CHO che sono difettive per la idrofolato reduttasi, queste cellule hanno la Tk e crescono soltanto se al terreno vengono aggiunte timidina e ipoxantina, per i motivi precedentemente spiegati. A questo punto, se si fornisce il DNA contenente il gene per dhfr, le cellule che hanno preso il DNA sono in grado di crescere senza l’aggiunta di supplementi. Non occorre un plasmide, si usa un DNA lineare, si fa così un costrutto, con il gene dhfr e il gene estraneo che si vuole inserire; il DNA è fatto entrate tramite il cloruro di calcio, si trasferisce in un terreno con supplementi, poi si cambia terreno sena supplementi, coì si avranno pochi cloni, usati per vedere se esprimono il gene di interesse, ossia se c’è stata integrazione. Si può fare una procedura di selezione, che aumenta il numero di copie di cloni: si usa un inibitore denominato metrotexato, che è un inibitore della tetraidrofolato reduttasi. Si mette una quantità molto piccola di metrotexato (0,05 μM). L’inibizione è parziale in concentrazioni basse, facilitando la sopravvivenza di alcune cellule che ne producono di più (enzima prodotto tanto superano l’inibizione), crescendo. Dopo questo trattamento, alcune cellule muoiono, ma cresceranno quelle resistenti. Ancora una volta si aggiunge l’inibitore a concentrazione più alta, si avranno sempre dei cloni che moriranno e altri che sopravvivono, questo si ripete fino ad avere concentrazioni elevate di inibitore (5 μM →100 volte superiore a quella inziale), si avranno così dei cloni in grado di resistere all’inibizione. Se si osservano i cloni, si è visto un’amplificazione del DNA, attraverso eventi di duplicazione genica, si riesce ad avere anche più di 100 copie del gene integrato. Avendo una quantità così elevata dell’enzima, potranno crescere anche in presenza di concentrazioni elevate di inibitore. Se si toglie l’inibitore, questa situazione permane per molte generazioni. Se i due geni sono vicini, si amplificano entrambi, quindi, non solo dhfr, si avranno, alla fine, 100 copie di dhfr e altrettante copie del gene da inserire, ci sono dei cloni di CHO che contengono 100 di copie di due geni, così produrranno quantità elevate della proteina, anche senza l’inibitore, in quanto questa situazione rimane stabile per diverse generazioni. Questa tecnica è ancora usata perché permette di amplificare la sequenza aumentando l’espressione. L’espressione 65 invece, il DNA è carico negativamente, formano dei complessi, in cui i liposomi si appiccicano a dei filamenti del DNA. Quando si sta tratta liposomi e DNA, i liposomi tendono a fondere alla membrana plasmatica e anche le molecole associate al liposoma possono entrare all’interno della cellula. È il metodo chimico più efficiente, consente anche di trasferire molecole di DNA di grosse dimensioni. Il problema, tuttavia, sono i costi, è più costoso rispetto agli altri metodi. Ci sono delle colture primarie, come quelle dei neuroni e di epatociti, non sono trasformate bene con i metodi chimici, motivo per cui si usano quelli fisici. Uno di questi è l’elettroporazione ed è il più usato →le cellule devono essere sospese in un mezzo a bassa forza ionica, per evitare la formazione di correnti troppo elevate durante la scarica elettrica. Nel mezzo viene inserito anche il DNA, che può essere sia lineare che circolare. La miscela è posta in una cuvetta, contenenti due elettrodi di platino e si applica un impulso di tensione, è la scarica di un condensatore; il generatore carica un condensatore a una tensione circa di 400-500 Volt, il condensatore scarica attraverso la celletta, la tensione sale molto rapidamente, poi scende. La durata dell’impulso è molto breve (millisecondi). La tensione deve essere tale da generare una perforazione della membrana plasmatica. Se il campo elettrico supera un certo valore, anche se la membrana è un materiale isolante, al di sopra di un certo valore si fora. Si hanno due elettrodi, si applica una differenza di potenziale, scocca la scintilla al di sopra di un certo valore. I fori generati sulla membrana sono piccoli, ma grandi abbastanza per far passare le molecole che sono all’esterno della cellula. Se all’esterno c’è del DNA, durante la scarica, alcune molecole possono entrare. La cellula può rimanere danneggiata in modo permanente, se il grado di permeabilizzazione è troppo elevato →le cellule muoiono. Se si calibra bene la differenza di potenziale, si può garantire un’elevata sopravvivenza delle cellule e che il materiale che si trova all’esterno possa entrare. Quando finisce la scarica, il foro che si è generato si chiude, perché la membrana è uno strato fluido e c’è una certa mobilità dei fosfolipidi e degli elementi che la compongono. Il poro dura qualche millisecondo, poi, viene chiuso, per questo motivo non è letale. Un certo numero di molecole che si trovano all’esterno, quindi, possono entrare. Se le molecole sono DNA, possono essere usate per eventi di trasformazione. È la tecnica più usata con cellule recalcitranti, che sono difficili da trasformare con metodi chimici. Un altro metodo è la microiniezione, si possono usare dei capillari estremamente sottili, si usava per inserire nella cellula direttamente il materiale tramite iniezione. Si usava per inserire nella cellula anticorpi o proteine. È tecnicamente complicato fare questo lavoro, si possono iniettare poche cellule, al massimo qualche decina o centinaio. Di fatto questa tecnica non si utilizza, se non quando si trattano gli ovociti, si inserisce del DNA estraneo in cellule uovo fecondato (uova di topo o di salmone). È la tecnica classica per avere dei topi transgenici. L’ovocita è molto grande, si riesce maneggiare bene, si può iniettare tanto DNA, si iniettano circa 100 cellule, sperando che avvenga un evento di ricombinazione. La microiniezione è ancora valida, ma si usa solo in questo caso. C’è un altro metodo, usato per le cellule vegetali, Gene gun →consiste nel preparare delle microparticelle (microproiettili) di metallo pesante, come oro e tungsteno, che non vengono attaccati dal metabolismo. Sui proiettili è messo il DNA, si sparano ad alta pressione sul bersaglio. Il processo di sparo fa sì che a un certo punto il proiettile cavo si ferma, le microparticelle contenute fuoriescono ad alta velocita e colpiscono un tessuto/delle cellule. Si può trasformare qualsiasi tipo di cellula, è un metodo invasivo, quindi, una buona parte di cellule può essere distrutta, soprattutto quelle che vengono colpite, invece, quelle che si trovano ai margini non vengono lesionate in modo permanente, così daranno origine delle colonie di cellule trasformate →entrano tantissime molecole di copie di DNA. 66 Che cosa succede quando il DNA entra nelle cellule? Inizialmente entra molto DNA, indipendentemente che sia lineare o circolare, poi si applica una pressione selettiva, usando dei marcatori (marcatore dominante = G418), solo cellule che mantengono DNA nel tempo, perché viene integrato in qualche cromosoma, generano dei cloni trasformati. È una tecnica complicata, è necessario tanto tempio, prima di ottenere un clone ci vogliono circa 3 settimane, poi, il clone deve essere caratterizzato a livello molecolare e biochimico, ogni clone è a sé (= integrazione casuale) →non si può prevedere l’assetto genomico. Per diverse applicazioni, non è necessario avere dei cloni stabili, ma quando il DNA entra in queste cellule può essere trascritto e tradotto, se ci sono dei geni, viene in qualche modo espresso; tuttavia, nella maggior parte dei casi se non si integra in un cromosoma, dopo diverse generazioni, viene perso, perché le cellule figlie ne prenderanno sempre meno, alla fine non verrà mantenuto. La cosa rilevante è che per 3 -4 giorni le cellule riescono a esprimerlo, se sul DNA ci sono geni di interesse si possono ottenere le proteine codificate da questi geni. Questa tecnica è definita espressione transiente: dopo il trattamento, con cloruro di calcio etc., per un certo periodo (3-4 giorni) le cellule possono trascrivere e tradurre un eventuale gene di questo DNA, così in tempi brevi si può avere un risultato. Non si ha bisogno di un sistema di selezione, così si usa un plasmide batterico qualunque, che porta il gene di interesse, può esserci il marcatore, ma non è necessario; il plasmide per espressione transiente deve avere l’origine di replicazione per E. coli, un marcatore per E. coli, come l’ampicillina, un promotore e una sequenza che codifica per qualcosa che si vuole fare esprimere. Se si vuole far esprimere una proteina eucariota, non si mette un gene, in quanto ha tanti introni, ma un cDNA che è più piccolo e più maneggevole. Si deve usare un promotore efficiente e un sito di terminazione, come un sito di poliadenilazione, in modo che RNA pol 2 possa trascerivere e terminare qua, per generare un messaggero poliadenilato che può essere usato dai ribosomi per fare la proteina codificata da questo ipotetico gene. È una tecnica molto usata per ottenere rapidamente proteine ricombinanti da cellule di mammifero, che, poi, possono essere usate per studiare a livello biochimico enzimi o altro. Le quantità che si ottengono sono alquanto limitate, partendo da colture di dimensioni limitate. La procedura è piuttosto veloce, dopo pochi giorni si ha la proteina. Si può purificare, si possono aggiungere degli epitopi (istidine..) ed è sufficiente per ottenere quantità di proteine per studiarla in laboratorio. Viene anche usata per studiare la localizzazione di proteine cellulari, in quanto si possono fare delle fusioni tra la sequenza della proteina che si vuole studiare e delle proteine fluorescenti (GFP), perché spesso la proteina di fusione si comporta come la proteina nativa, per capire dove si trova la proteina, basta osservare la localizzazione della proteina fluorescente al microscopio. La cosa è dinamica, in questo caso non si uccidono le cellule, poiché le proteine fluorescenti sono visualizzabili al microscopio, su cellule vive. Si può studiare la regolazione e l’espressione genica ossia l’attività di promotori e di enhancer (= amplificatori che funzionano in risposta a stimoli specifici per esprimere i geni). Si inseriscono dei costrutti che portano la regione promotrice, fusa a una sequenza che codifica per qualcosa che può essere facilmente misurabile ossia il gene reporter. Il gene reporter è una sequenza che codifica per una proteina che non è presente in quelle cellule. Se si trova questa proteina, deriva dall’espressione del DNA che è stato inserito. Uno dei geni reporter maggiormente usati è la CAT (Cloroamfenicolo acetiltransferasi) che è un enzima batterico, dà resistenza al cloroamfenicolo, non è presente normalmente nelle cellule eucariote, essendo un gene batterico. Se si mette una sequenza che contiene il gene CAT, se è espresso, è dovuto al transgene che è stato usato. Si può usare anche la β galattosidasi, si possono usare solo le cellule che non la producono, le HeLa non possono essere utilizzate, in quanto producono la β galattosidasi. Si usa anche la β glucoronicasi, enzima batterico ed è usato come reporter in cellule vegetali. Si può adoperare anche la luciferasi, è un enzima prodotto dalle lucciole, 67 è una fotoproteina, questo enzima in presenza di ATP, ossida il substrato la luciferina ed emana luce. Le cellule di mammifero non fanno luceferina, nemmeno le piante, motivo per cui si usa molto come reporter. Si usano anche diverse proteine fluorescenti, la principale è la GFP = Green Fluorescent Protein, non si uccidono le cellule per essere dosate a differenza dei metodi precedenti →uso in vivo, senza danneggiare le cellule. Il sistema reporter più vecchio, usato negli anni ’80, è la CAT, non è un saggio facile, essa acetila il cloroamfenicolo, non ha proprietà particolari che lo rendono colorato: non si vede allo spettrofotometro la reazione, ma si può misurare quanto cloroamfenicolo si forma. Si usa del cloroamfenicolo marcato con C14 radioattivo, si aggiunge l’AcetilCoA (donatore di acetile) e l’estratto proteico delle cellule in questione. Si incuba per un certo periodo (circa un’ora). Poi si valuta quanto cloroamfenicolo si è formato attraverso cromatografia si separa cloroamfenicolo acetilato da quello normale. Avviene su una cromatografia su strato sottile: lastrina di vetro con un gel di silice, la miscela è seminata all’inizio, poi si immerge la lastrina in un solvente organico. Il tutto avviene in una camera. Il solvente migra, trascinando il composto, si usa un solvente apolare, la migrazione dipenderà dalla polarità: le molecole più polari si muovono poco, il cloroamfenicolo si muove poco, perché è polare, poi quando è acetilato, il cloroamfenicolo diventa meno polare, ha una migrazione maggiore. Le macchie si vedono mettendo a contatto una lastra fotografica, in quanto il cloroamfenicolo è radioattivo. Si lascia per qualche giorno in esposizione per poi vedere dove sono migrati i composti acetilati. L’analisi, inizialmente, è qualitativa, ma può essere resa quantitativa, se si misura la radioattività presente nei composti acetilati, grattando via il gel di silice, mettendo in un boccettino la polvere e si conta in un contatore (scintillatoio) →si può avere una stima quantitativa. Poi è stato fatto un esperimento per vedere enhancer di SV40, è stato fatto un costrutto, che porta la sequenza CAT sotto il controllo del promotore di SV40. È una regione che contiene ricche di AT e CG box oppure si vede che cosa succede quando c’è l’enhancer di 70 bp di SV40. Si vedono trasfezioni transienti fatte in cellule umane, dopo 48 ore, con un plasmide batterico con la CAT che ha o solo promotore o promotore + enhancer. Si fa un estratto proteico e si valuta l’espressione di CAT. Quando oltre al promotore c’è l’enhancer l’attività è maggiore, la radioattività è 40 volte superiore. In presenza dell’enhancer si ha trascrizione 40 volte maggiore nel reporter. Contando la radioattività, si vede che in presenza di enhancer c’è l’aumento dell’attività CAT. L’uso di reporter, quindi, permette di studiare sia i promotori che gli enhancer. Un aspetto interessante, inoltre, è la possibilità di fare esperimenti di transattivazione: vedere che cosa succede quando si mette oltre al reporter una proteina che si pensa che possa attivare o controllare la trascrizione. In questo caso, la trasfezione avviene con due plasmidi: uno con un reporter e uno che fa esprimere una proteina che modula l’attività del promotore, il quale si trova sul reporter →ESPERIMENTO DI TRANSATTIVAZIONE. Si fa esprimere più costrutti, uno esprime il reporter, invece, l’altro si fa esprime una proteina che agisce positivamente sul reporter stesso. Quando entra del DNA in una cellula, non entra una sola molecola, entrano 10 o 100 molecole, di conseguenza, se nella miscela ci sono più plasmidi, entrano tutti. È possibile studiare Gal4, è il sistema principale di trascrizione in lievito in cellule di mammifero. Gal4 per funziona si deve legare UAS. Si fa un primo plasmide che porta il promotore di SV40 e la sequenza di Gal4 (anche frammenti). Quando si fa la trasfezione, la proteina Gal4 è prodotta dalle cellule HeLa, per vedere se funziona, si deve dare il sito di legame UAS-Gal, perciò, si fa un altro costrutto che porta UAS-Gal. Quando si fa la co- trasfezione, entrambi i plasmidi entrano, la proteina Gal4 viene trascritta e se funziona si lega a UAS- Gal, generando attività CAT. La proteina GAL4 è capace di attivare la trascrizione in cellule umane. Questi esperimenti sono stati effettuati negli anni 80, poi è stata introdotta la luciferasi. Ci sono dei 70 variare della lunghezza d’onda, la blu assorbe intorno a 380 nm, la ciano a 425 nm, la verde a 480 nm e la Y a 550 nm. Grafico →con i picchi a Rainbow of fluorescent protein emissione. Gli spettri di emissione sono spostati verso la lunghezza d’onda maggiore →ciano a 480 azzurro nm, green picco a 510 nm, Y a 530 nm e red 600 nm. La fluorescenza delle cellule può essere visualizzata anche tramite la citofluorimetria →il citofluorimetro cellule passano davanti a fascio di luce eccitante e vengono stimolate, posso fare analisi con tante cellule per volta. Le cellule COS possono essere usate con queste proteine, come la yellow, il colore dipende dal filtro usato nel microscopio (si vede più verde che giallo). Le cellule sono fluorescenti in modo omogeneo, significa che la proteina colora tutta la cellula, non è specifica come localizzazione. Solo le cellule che hanno preso il DNA sono fluorescenti →non sono tutte. Quelle che hanno preso il DNA esprimono la proteina. C’è un’eterogeneità intrinseca, tramite ciò si ottiene l’efficienza di trasfezione (non uso un controllo, come la β galattosidasi), calcolando la percentuale di cellule fluorescenti. Le cellule brillano in modo differente. A parità di trasfezione, c’è un’eterogeneità, alcune cellule prendono più DNA (sono più brillanti), altre meno, c’è sia un’eterogeneità di espressione che di captazione di DNA. Sono tutti trasformati transienti. Non avendo un sistema di selezione, dopo due settimane, non sono più fluorescenti, perché hanno perso il plasmide. Questo è un classico vettore per far esprimere GFP. Si possono fare delle fusioni tra proteina x e GFP. C’è l’origine di replicazione per E. coli. Può essere usata sia nei batteri (Kanamicina) che nelle cellule di mammifero (G418), in base al marcatore che si usa. Normalmente si usa un promotore, come quello del citomegalovirus, c’è un sito di clonaggio. Si può cambiare la sequenza del promotore. Si può usare la GFP solo come reporter. Si può usare anche la proteina di fusione. La proteina di fusione, solitamente, ha le stesse proprietà della proteina wild type, interagisce con i propri bersagli, se è un istone va sul DNA, se è una proteina di membrana va nella membrana, l’unica caratteristica in più è che è fluorescente e quindi si vede quello che succede in seguito a trattamenti e dove si colloca. Gpa2 è in periferia, ma sempre vicino alla membrana, invece, Ras è tipicamente sulla membrana plasmatica. Per il lievito esiste una banca dati: Yeastgfp.yeastgenome.org, che contiene tutte le possibili localizzazioni delle sue proteine, hanno fatto tutte le sue proteine di fusione. Sono 6000 cloni che esprimono proteine di fusioni differenti. Dando il nome di un gene si vede dov’è localizzata la proteina in questione. La localizzazione non funziona con tutte, in quanto a volte è troppo basso il livello di espressione per dare un segnale. Ci sono anche i cloni disponibili da ditte, che li vendono. Se si facesse esprimere GFP sotto il controllo di promotori specifici (come quello della cheratina), potremmo ottenere animali transgenici con epidermide (esprime lì la GFP) verde. Se eccito a 470 nm, eccito bene la yellow, la green e la ciano, invece, se eccito a 405 nm eccito solo la ciano; se ciano e green sono espresse insieme nella stessa cellule e queste proteine sono vicine tra loro, potrebbe succedere che ci sia trasferimento di energia, eccitandone una emette l’altra →questo fenomeno è dovuto alla FRET →quando lo spettro di eccitazione di una proteina si sovrappone allo spettro di emissione di un’altra, c’è una regione di sovrapposizione. La luce emessa dalla ciano si sovrappone alla regione di assorbimento della yellow, quando c’è questo fenomeno di sovrapposizione posso avere il trasferimento di energia non radioattiva: la FRET. Per le caratteristiche spettrali, si usano la ciano e la yellow. Se le due proteine, però, sono distanti eccitando la ciano ho solo la fluorescenza azzurra perché l’altra non è eccitata a quella lunghezza d’onda. Se, invece, le proteine sono vicine, interagiscono, di conseguenza, i fluorocromi sono vicini, 71 eccitando la ciano vedo la fluorescenza della yellow. La FRET è un trasferimento di energia non radiante. La FRET per funzionare richiede due condizioni: sovrapposizione spaziale dei due spettri, maggiore è la sovrapposizione maggiore sarà efficiente, poi la distanza, R, diminuisce con R6. Se sono a stretto contatto, la FRET funziona, invece, appena si allontanano crolla, la dimensione limite a 100 A = 10 nm. Questo può essere usato per due scopi: per capire se la proteina A e B a cui sono fusi i due GFP colocalizzano e interagiscono, interazione fisica diretta dovuta alla poca distanza, oppure avendo un costrutto, le porzioni interagiscono in risposta a qualche cosa, come, ad esempio, se A lega Ca, si lega a B, la conformazione si chiude, i fluorocromi sono molto più vicini e la FRET è maggiore. Questo fenomeno è stato usato per studiare la risposta in vivo a legame con Ca o altre proteine che cambiano conformazione. LEZIONE 18 Usano opportune copie delle proteine fluorescenti si può avere la FRET, vedendo così le interazioni tra proteine o se ci sono dei cambiamenti conformazionali. Un’applicazione semplice è costruire dei sensori per misurare le proteasi. Le caspasi sono delle proteine che vengono attivate durante l’apoptosi, misurare queste proteine di capire se c’è in atto tale processo. C’è sensore con sequenza per ciano e yellow, all’interno c’è una regione linker con sito di taglio per caspasi 3, quando la proteina è intera, i due fluorocromi sono vicini, eccitando la ciano ho una fluorescenza gialla, se la proteina viene tagliata da caspasi, i due fluorocromi sono separati, fluorescenza è tipica della ciano, con un picco a 480 nm →fluorescenza azzurra, questo è in vitro, ma lo stesso può essere fatto su cellule in vivo. Un’altra applicazione è Cameleons, sono indicatori della concertazione di Calcio. La calmodulina è una proteina presente in tutti gli eucarioti (sia superiori che inferiori), cambia la propria conformazione quando lega gli ioni calcio, da questo può attivare altri sistemi enzimatici, come l’espressione genica o le proteasi. La calmodulina è legata a un piccolo peptide, M13, un frammento della miosina, che si lega alla calmodulina in presenza di calcio, in assenza di calcio le due regioni sono separata. La ciano e la yellow sono a una distanza tale per cui c’è già un minimo effetto FRET, in quanto essendo legate, sono a una certa distanza. Quando si eccita la ciano, si ha la fluorescenza blu, poi, si ha anche la fluorescenza, ma in maniera minore di giallo dovuta alla yellow. In presenza di calcio, degli ioni si legano alla calmodulina che si associa a una porzione della miosina M13, si ha un piegamento che avvicina i due fluorocromi, così la FRET aumenta, in realtà c’era già un po’ prima, ma si vede un aumento della fluorescenza a 435 nm. Si misura il rapporto tra la fluorescenza tra 535 e a 480 che cambia se si aumenta la percentuale di trasferimento mediato dalla FRET. La proteina viene eccitata a 450 nm, c’è già un po’ di fluorescenza a 510 nm, ma in presenza di calcio, la fluorescenza a 510 aumenta. Se si misura il rapporto tra 450 e 510,si può calibrare il rapporto in funzione della concentrazione di calcio. Il sistema è molto sensibile, è sufficiente una quantità 1 nM di calcio per dare un segnale significativo →dipende dall’affinità tra calcio e calmodulina. Si può fare una curva di calibrazione, mettendo in relazione con la concentrazione del calcio e il rapporto di fluorescenza, in questo modo si misura direttamente la concentrazione intracellulare di calcio →uno dei secondi messaggeri più importanti. Se si aggiunge cloruro di potassio, si ha un’entrata di calcio nelle cellule, che poi diminuisce nel tempo →analisi dei neurotrasmettitori o chiunque sa in grado di stimolare l’attività del canale calcio. PHOGEMONS →si usa per studiare Raf e Ras. È stato fatto un costrutto dove ci sono le G protein, le quali possono essere sia in uno stato attivo (legata a GTP) che in uno inattivo (legata a GDP). Se la G protein è legata a GDP, non interagisce con il ligando specifico, che è il suo effettore. Ras è una G 72 protein molto rilevante in quanto controlla la proliferazione cellulare. Uno degli effettori si chiama Raf, è una chinasi, l’interazione tra Ras e Raf avviene solo se Ras è in forma attiva. Se i due fluorocromi (yellow e ciano) sono distanti, c’è poca FRET, se la proteina RAS viene attivata, lega GTP, si associa a una porzione effetto di Ras e i due fluorocromi sono vicini →aumenta la FRET (già prima c’era un po’ di trasferimento di energia). La Ras binding domain è la porzione di Ras che viene legata (porzione piccola). Se Ras è legata a GDP, la FRET è molto bassa. Se Ras viene attivata, quando si attivano i recettori tirosin-chinasici, c’è un cambiamento conformazionale, lega GTP, lega il dominio di RAF e si chiude su stessa, avvicinando i due fluorocromi, con il conseguente aumento della FRET. La cascata di trasduzione è associata ai recettori tirosin chinasici, sono delle tirosine chinasi trans membrana, quando si lega il fattore di crescita, il recettore dimerizza e si autofosforila. L’autofosforilazione recluta degli adattatori, che sono capaci di reclutare in membrana alcune proteine, come SOS, che è un fattore di scambio. La proteina SOS può attivare lo scambio del nucleotide e può interagire con Raf. Ras diventa attiva e a questo punto può interagire con Raf. Questo modo consente di vedere l’attivazione di un recettore, misurando la proteina RAS. (Slide 36) I fibroblasti sono stimolati con EGF, hanno recettori per EGF che se sono attivati si vede la FRET che è elevata sul contorno, che si diffonde rapidamente su tutta la cellula. Poi, è stato usato un altro sensore per Rap1 che si trova nell’apparato di Golgi, quindi, all’interno della cellula. La FRET, infatti, avviene prima intorno al nucleo e poi al resto del citoplasma. Questi sensori permettono di studiare in vivo le cascate di trasduzione del segnale. Sono stati sviluppati dei sensori che rispondono all’AMP ciclico, i quali sono degli importanti messaggeri e si può visualizzare sulle cellule l’attivazione dell’adenilato ciclasi, quindi, del cAMP. SISTEMI DI ESPRESSIONE PER CELLULE DI MAMMIFERI Uno dei punti più importanti e che deve essere sempre presente nei vettori usati per fare questo lavoro è la presenza di opportuni PROMOTORI ossia quella regione che può trascrivere la sequenza messa sul vettore. Se si vuole che il gene venga espresso efficientemente, si devono usare dei promotori efficienti. I più efficienti sono quelli di origine virale, in natura presenti in alcuni virus, questo perché per avere la meglio sul sistema cellulare deve avere un sistema di trascrizione molto efficiente, in modo che il genoma possa subito essere trascritto, per infettare la cellula ospite, se non succede, difficilmente il virus infetta efficacemente la cellula. I promotori virali sono costitutiv, ossia che sono espressi in qualsiasi condizione, non richiedono particolari segnali per funzionare, perché il virus deve svolgere la propria funzione indipendentemente da segnali esterni, per garantire un’efficienza di trascrizione alla massima velocità. Alcuni promotori efficienti sono quelli del SV40 e del Polyoma, appartengono alla stessa famiglia di virus anche se hanno dei target diversi, in quanto i virus sono specie specifici →l’infezione avviene bene solo se raggiungono il loro bersaglio ottimale. SV40 è un virus di scimmia, perciò, infetta bene le cellule di scimmia, può funzionare anche in altre cellule, ma è difettivo. L’SV40 è stato oggetto di studio e in esso si è scoperto l’enhancer. L’enhancer è caratterizzato da regioni AT, ci sono delle ripetizioni CG box. L’attività trascrizionale dipende dalla regione di 72 bp, aumentano l’efficienza di trascrizione anche di 100 volte. L’enhancer funzionano benissimo indipendentemente dall’orientazione e dalla distanza con il promotore (in certa misura ovviamente). Su queste regioni si legano i fattori di trascrizione che la attivano. Il Polyoma è un virus simile, ma è specifico per i roditori, la struttura è simile, presenta un enhancer che precede il promotore, simile a SV40. Un promotore molto utilizzato è anche il promotore di CMV (citomegalovirus), si possono usare anche quello dell’adenovirus. Sono costitutivi ossia il gene o il cDNA inserito viene espresso sempre, questo, però, può rappresentare uno svantaggio, talvolta, è meglio avere un sistema inducibile sia per scopi di produzione che di studio. Si cerca di avere una 75 Questi sono dei cloni delle cellule HeLa, c’è un promotore integrato (CMV), è stato integrato anche con un reporter con la luciferasi, in questo modo si vede come funziona il sistema, togliendo e mettendo tetraciclina, misurando la luciferasi. Con tetraciclina, il sistema deve essere spento. L’espressione è molto bassa in presenza di tetraciclina, ovviamente c’è variabilità nei vari cloni, per l’effetto posizione (in alcuni cloni è meno di 2, in altri c’è più risposta). Quando il sistema è indotto, si induce togliendo la tetraciclina, i livelli di espressione aumentano di molto. Avendo dei sistemi di integrazione casuale si ha una risposta variabile, ma si vede che si ha un controllo molto molto stringente. Il sistema è modulabile, se si usano concentrazioni intermedie di tetraciclina, si hanno dei valori intermedi di espressione, da zero al massimo, passando per valori intermedi. Il sistema è perfettamente controllabile e molto selettivo, agisce solo su quel promotore. L’attività della luciferasi è molto elevata in assenza doxiciclina. La tetraciclina o la doxiciclina funziona a concentrazioni molto basse, così non crea problemi alle cellule. Se cambiassi terreno e avessi del terreno senza doxiciclina, l’attività della luciferasi aumenta, la risposta non è veloce, ma in 10 ore si ha attività massima, ma già dopo poche ore si ha. Se, al contrario, ho cellule senza doxiciclina, esprimono quindi la luciferasi, se la aggiungo a tempo zero, l’attività luciferasica scende, ma non immediatamente perché la proteina c’è, da qui in poi non c’è più trascrizione, ma la proteina persiste per poi dopo un tot di tempo degradarsi, decade con una sua cinetica, dopo 10 ore si è quasi 100 volte meno. Questa tecnica è usata per avere un’espressione controllata, ma anche per generare degli animali transgenici, in cui si può controllare l’espressione di un transgene dosando la tetraciclina o doxociclina, che viene messa nell’acqua. Per gli animali, non è il sistema più corretto, poiché se si vuole bloccare l’espressione del gene, si deve dare sempre l’antibiotico, è meglio avere un sistema al contrario: quando si dà una dose controllata di tetraciclina si ha l’espressione e questo è stato fatto per avere animali transgenici che rispondessero in modo opportuno, ma si può applicare anche alle cellule, è stato sviluppato, qualche anno dopo, un sistema che funziona al contrario: Tet-On. Il Tet-On funziona al contrario: si ha l’espressione, in presenza di doxiciclina, quando non c’è, si ha un’espressione minima. Si è isolata una variante, tramite una mutagenesi casuale, un repressore che funzionasse al contrario: questo si lega all’operatore in presenza di doxiciclina, invece di legarsi in assenza di doxiciclina, il cambio di conformazione è tale per avere un rovesciamento dell’affinità. È stata fatta una PCR mutagenica, selezionando dei cloni idonei. Questa variante RTA (reverse transattivatore) è fusa con un dominio attivatore, il sistema va al contrario, senza doxiciclina, la proteina si lega molto poco al sito operatore, quindi, si ha pochissima trascrizione. Man mano che si aumentano le concentrazioni di doxiciclina si raggiunge il massimo legame (μg/ml). il sistema Tet-On è efficiente per gli animali transgenici, in quanto non si deve continuare a dare la doxiciclina all’animale. Quando si vuole indurre la proteina per vedere i suoi effetti sugli animali o sulle cellule, si somministra la doxiciclina. Il livello di riduzione è meno efficiente, è più basso. I livelli di regolazione sono circa un centinaio di volte, che, però, è sufficiente, 76 in quanto è anche selettivo come meccanismo. Il transattivatore di per sé non crea problemi. L’effetto è molto C’è anche la possibilità di avere dei sistemi di trasfezioni più stabili ed efficienti. Si è visto che usando delle cellule di mammifero si poteva avere dei cloni transienti o dei cloni stabili, che esprimano stabilmente i geni eterologhi, il sistema integrativo è poco efficiente, l’integrazione può anche creare dei danni, oltre all’effetto posizione, può essere mutagenica, quindi, può danneggiare dei geni endogeni per l’inserzione. Per questo motivo si sono sviluppati dei sistemi episomali, come quelli per i lieviti e per i batteri. Si hanno dei plasmidi che non si integrano, così non creano problemi al genoma, essendo episomale sono dei sistemi molto efficienti. Il plasmide batterico può generare fino a 10 000 000 di cloni positivi per μg di DNA. Anche nel lievito ci sono dei vettori basati su 2 μ, che hanno efficienza di almeno 100 000 trasformati per μg di DNA, invece, se si hanno eventi di trasformazione si hanno se va bene da 1 a 10 trasformati per μg di DNA →molto più basso. Da qui è emersa l’idea di sviluppare dei sistemi episomale anche per le cellule di mammifero per aumentare le efficienze. Si possono usare dei replicatori già esistenti: uno dei primi usati per questo scopo è SV40. È stato usato per studiare i promotori, gli enhancer, ha il vantaggio di avere un genoma molto piccolo, poco più 5000 bp, un DNA circolare a doppia elica. Ha una sua origine di replicazione, che funziona bene nelle cellule di scimmia, motivo per cui infetta bene le cellule di scimmia. Presenta due promotori: uno denominato precoce, che genera la proteina antigene T, che si accumula all’interno della cellula, serve a bloccare il promotore, ad attivare l’origine di replicazione e ad attivare il promotore tardivo, che trascrive nell’altro senso. Il promotore tardivo produce una poliproteina che poi viene processata per generare le proteine di rivestimento: VP1, VP2 e VP3, che formano la struttura del capside. Il sistema genetico è molto semplice, c’è un attivatore della replicazione che attiva anche il promotore tardivo, il quale permette di generare il rivestimento. Quando questo entra, per prima cosa, si produce l’antigene T, quando raggiunge un livello sufficiente, inizia la replicazione del genoma virale e produce le proteine, che poi si assemblano e formano le particelle virali. Il ciclo è litico: le cellule dopo muoiono e le particelle virali vengono distribuite. Nel caso della scimmia, il ciclo dura 70 ore. In cellule di roditore e umane il virus non si replica, ma si può integrare con bassa efficienza e riesce a produrre l’antigene T (= trasformante), che induce la proliferazione di cellule in modo non regolato e alla lunga causa tumori. In realtà, questo fenomeno è successo perché in alcuni tumori umani sono state riscontrate sequenze SV40, è normalmente non veniamo a contatto con SV40. Probabilmente, i tumori sono stati generati da dei lotti di vaccino sviluppati negli anni ’50 che erano stati sviluppati per il polio; si svilupparono dal virus di scimmia, all’epoca non si sapeva che erano contaminate da SV40. Per i vaccini successivi non è successo lo stesso. Come si può manipolare questo genoma? Si possono avere dei virus ricombinanti, inserendo del DNA estraneo? Non si ha molto margine, il genoma deve essere minore di 5300 bp e maggiore di 3900 bp. Siccome è già 5000, non si possono aggiungere tante basi. Per aggiungere sequenze estranee, si devono togliere dei pezzi del genoma endogeno. È stato fatto usando i sistemi Helper. Sono stati usati dei vettori in cui è stata deleta la regione che codifica per l’antigene T, il genoma è difettivo, non fa più l’antigene T, non può replicare; se viene inserito in alcune linee cellulari, come le cellule COS, che hanno integrato nel loro genoma la sequenza per l’antigene T, perciò, le cellule COS producono l’antigene T e come tale hanno una regione trasformata. Quando si inserisce questo DNA ,è una trasfezione delle cellule COS, che consentono la replicazione e alla fine, generano tante cellule virali ricombinante, che possono essere usate per trasformare con elevata efficienza altre cellule. Non si ha, in realtà, un sistema episomico, ma è un sistema ad alta efficienza, che, però, 77 funziona solo sulle cellule di scimmia Le particelle virali sono capaci di infettare con alta efficienza, 1 particella virale infetta 1 cellula. Non è una trasfezione integrativa. Tuttavia, non è un sistema particolarmente efficiente, perciò, sono stati generati dei vettori plasmidici che hanno solo origine di replicazione di SV40, una regione molto piccola, circa un centinaio di bp, questi plasmidi vengono replicati attivamente in cellule che esprimono l’antigene T. Se si mette il plasmide nelle cellule, questo viene replicato, si riescono ad arrivare 100 plasmidi per cellula (questo solo per quelle idonee, non quelle di roditore). Il vantaggio è che se si ha un gene di interesse queste cellule hanno migliaia di copie di questo gene, di conseguenza, produrranno tantissimo messaggero e proteina. Il sistema non è stabile, perché non c’è nessun controllo, i plasmidi continuano a essere replicati, la cellula a un certo punto muore quando si è riempita di plasmidi, però, ciò richiede tanto tempo. È un miglioramento della trasfezione transiente, che consente di amplificare la sequenza del plasmide e di produrre quantità molto elevate di proteine, ma soltanto in cellule COS (non è estendibile ad altre linee cellulari). Negli anni successivi, si sono usati altri genomi, con risultati piuttosto parziali. Lo stesso fenomeno con le cellule COS, si può avere sulle cellule di topo con il virus polioma, che è molto simile all’SV40. È stato possibile usare dei vettori con l’origine di replicazione del polioma e usare le cellule di topo come le COS, chiamate MOP, che esprimono l’antigene T del polioma. Questo fenomeno che si ha con le COS è possibile averlo con queste. L’adenovirus hanno un genoma molto grande, non è particolarmente efficiente, si può manipolare in vivo. Anche il papilloma virus, è un virus bovino, piuttosto piccolo ed è possibile isolare delle regioni che se messe su vettori possono mantenere i plasmidi libere, ma non è molto riproducibile, danno eventi di ricombinazione, quindi, non è molto efficiente. Sono tutti metodi usati, ma poi abbandonati. Il punto di svolta è giunto nel 1999. Un plasmide che conteneva origine SV40, ma anche delle regioni cromosomali: MAR →sono sequenze nucleari che si attaccano alla matrice e sono regioni ricche di AT. Se si mettono queste regioni di DNA sul plasmide, questo vettore è mantenuto come episoma. Il plasmide è replicato, queste regioni fungono da origine di replicazione eucariota, quindi, il plasmide è mantenuto, per molte generazioni (per più 100), con un numero di copie relativamente basso (10 copie per cellula), senza pressione selettiva (era necessaria all’inizio per selezionare i cloni). Si mantiene come episoma e questo è un vantaggio, in quanto non si hanno più i danni da integrazione e l’effetto posizione. Il plasmide ha come marcatore il gene Neo, c’è il promotore e l’origine di SV40, in quanto essi sono attaccati, e controllano l’espressione del gene Neo, un’ori di E. coli, c’è un promotore di mammifero (citomegalovirus), che controlla l’espressione di GFP e c’è la regione Mar, che è di circa 3-4 kb (piuttosto lunga). Se si estrae il DNA, si vede che il plasmide è presente come tale, non si integra nel genoma. Quando parte la trascrizione, si genera un RNA che copia la sequenza per la GFP, ma la trascrizione continua dentro, nella regione Mar. Se si mette un terminatore, ossia se si blocca la trascrizione, non viene più replicato. La capacità di replicazione autonoma è associata alla trascrizione, che deve avvenire nella sequenza Mar, che funge da origine di replicazione. Le sequenze Mar si associano alla matrice nucleare o allo scaffold dei cromosomi, hanno proprietà interessanti, funzionano come silencer ossia limitano le regioni di cromatina attiva, ad esempio, se si usano le sequenze Mar ai lati di una sequenza integrata si ha un’espressione che non dipende più dalla posizione →funzionano da isolatori, limitano le regioni di 80 trova da un tRNA, c’è una sequenza che è complementare a un pezzo del tRNA della tirosina →il tRNA cellulare è usato come primer. È in una regione laterale. A partire da questo primer, la trascrittasi replica, poi, digerisce l’RNA dell’eteroduplex, tramite l’attività dell’endonucleasi H, specifica per l’RNA. A questo punto questo frammento si può dissociare e associarsi alla sequenza R che è complementare all’altra. La retrotrascrizione riprende a rigenerare un tratto di DNA. L’RNA rimasto viene degradato, tranne il tratto ricco di purine, più resistente all’idrolisi, che servirà da primer per generare il secondo filamento. Questo meccanismo si ripete come all’inizio, fino alla generazione di un doppio filamento di DNA, con la doppia sequenza LTR. Il risultato finale è generare un DNA a doppio filamento, passendo per pezzetti. L’attività dell’integrasi associata alla trascrittasi inversa facilita l’integrazione di questo DNA nella cellula. Il sistema è molto efficiente, perché si ha integrazione ed efficienza del 100%. RNAasi H non reagisce mai al 100%, quindi, rimangono dei frammenti di RNA che possono essere usati come primer. L’assetto genomico del retrovirus contengono solitamente i tre geni principali, a volte, ci sono anche altri geni, come l’oncogene. I retrovirus richiedono che le cellule siano in replicazione, come le colture cellulari, se si vuole trasformare delle cellule quiescenti, come l’epatocita o i neuroni, questo sistema non funziona. Questi retrovirus non infettano le cellule umane, invece, altre sì, come l’HIV. Si assomigliano, hanno LTR, ma il loro genoma è più complicato: tutti solitamente contengono gag, pol ed env, alcuni, come HIV, hanno altri elementi, hanno altre ORF, possono generare siti di splicing, questo permette di aumentare l’efficienza di trascrizione e posso trasfettare efficacemente anche cellule che non stanno replicando →sono chiamati anche lentivirus. Alcuni lentivirus sono stati proposti come vettori per la terapia genica, poiché funzionano bene anche nelle cellule umane. Non si usa tutta la sequenza per fare un vettore, per diversi motivi. Anche se il retrovirus è alquanto elastico, non si possono inserire tante paia di DNA (massimo 8-9000 bp), non si vuole generare retrovirus ricombinanti. Un vettore virale deve contenere le sequenze di interesse e non deve essere in grado di ricombinarsi. Il genoma viene riarrangiato, si tolgo alcuni geni endogeni, sostituiti con sequenze di interesse. I geni virali sono eliminati, il vettore ha le due LTR, il sito di impacchettamento e la sequenza del gene neo, ad esempio, in modo da consentire di fare selezione. Quando questo DNA entra nella cellula, viene trascritto e potrà essere impacchettato. Il vettore potrà funzionare, generando delle particelle virali, con quel RNA, soltanto se si forniscono tutti i prodotti necessari. Questo solitamente viene fatto fornendo le così dette cellule impacchettatrice. Il vettore virale, in realtà, è un plasmide, viene manipolato in vitro come se fosse un plasmide, a questo punto il DNA si usa per trasfettare quello che si vuole e si usano le cellule impacchettatrici che sono quelle cellule che contengono nel loro genoma pol gag ed env. Dopo che si è trasfettato, con cloruro di calcio, il DNA entra, si genera l’RNA con il sito di impacchettamento, le cellule producono anche altri prodotti e a un certo punto si formano delle particelle virali, con tutti questi elementi. Le particelle virali possono essere usate per trasfettare con elevatissima efficienza le cellule bersaglio. L’espressione del gene endogeno è piutosto bassa. Le cellule impacchettatrice sono di base delle cellule EC, sono delle cellule di origine umana, contengono i geni gag pol ed env derivati da MoLV. Nel genoma della cellula c’è tutta la sequenza del virus, ma senza il sito di impacchettamento, quando si trasfetta con un vettore retrovirale, i prodotti gag, pol, env possono impacchettare solo l’RNA generato. Questo è un sistema molto pericoloso, in quanto è facile generare un retrovirus ricombinante (è sufficiente un solo evento), che si propaga in modo incontrollato. Per questo motivo si sono sviluppati degli approcci più sicuri, per evitare la formazione di retrovirus ricombinanti, si è tolta LTR in coda e il sito di poliadenilazione, dove può avvenire lo stesso la ricombinazione, ma non si rigenera la sequenza completa. Alcuni sono privi del sito di impacchettamento, quindi, sarebbero necessarie tre ricombinazioni, ma visto che la ricombinazione è un evento raro, è una cosa alquanto impossibile. Il 81 genoma che uscirà non è ricombinante. Con i lentivirus, si possono anche trasfettare le cellule neuronali, anche di modelli animali, si usa un sistema di plasmide helper, invece, delle cellule impacchettatrici. Per farlo funzionare, gag, pol ed env sono forniti da altri plasmidi. In questo caso si trasfettano le cellule con più plasmidi, è una cotrasfezione. Si usano almeno tre plasmnidi, uno che contiene la sequenza gag, uno la pol + env, uno che porta la sequenza d’interesse. Per i lentivirus, normalmente serve anche la sequenza che codifica per rev, che è un prodotto che serve per facilitare l’ingresso e l’uscita dell’RNA dal nucleo, anche questo gene viene espresso a parte. Si usano quattro plasmidi, di cui tre sono helper, che permettono la generazione del plasmide ricombinante →sistemi più sicuri. In un sistema più primitivo, ci sono solo tre plasmidi, si elimina la sequenza rev che viene messa a parte, per evitare la possibilità della formazione di un lentivirus ricombinante, soprattutto perché possono anche infettare l’uomo. ANIMALI TRANSGENICI Il passo successivo è generare degli animali transgenici ossia un animale nel cui genoma viene introdotto un gene esogeno, che risulta integrato nel genoma, così è presente in tutte le cellule dell’organismo (è un gene in più), comprese quelle germinali, affinché ci sia una discendenza, quindi, si avrà una linea transgenica. Il gene viene trasmesso secondo le leggi di Mendel, solitamente il gene estraneo è dominante, l’integrazione avviene solo su un cromosoma. Se è presente dà qualcosa in più, rispetto a chi non lo ha. Si possono avere dei problemi, siccome normalmente l’integrazione è casuale si ha un elevato effetto posizione, si può correggere questo effetto tramite gli isolatori ai lati. Tutto questo vale per qualche anno fa, adesso i metodi si sono evoluti. Ci sono dei metodi specializzati, è possibile un’integrazione in modo più mirato. Il trasferimento genico in un animale può avvenire tramite l’introduzione di DNA nella cellula uovo fecondata, non è molto facile, perché l’ovocita è molto piccolo, ha un diametro di 100 micron, si deve lavorare al microscopio, si usano dei sottilissimi aghi e un sistema che la tenga ferma, si deve infilare direttamente nel nucleo questo DNA estraneo. Questa procedura ha un vantaggio, si iniettano volumi piccoli, nell’ordine di 1015, femtolitri, ma entrano tante molecole. Si iniettano tante cellule uova. È la tecnica più usata per i roditori transgenici. Un’altra metodica è l’uso di cellule staminali embrionali o cellule S, che sono totipotenti. Una volta trasformate, sono rintrodotte nell’embrione affinché vengano espresse e facciano parte dell’organismo. Un’altra tecnica ancora è l’infezione diretta dell’embrione da un retrovirus. Un certo numero di embrione porterà il transgene. Spesso si ha un mosaico, quando si inietta il DNA nell’ovocita, se il DNA non si integra subito, ma dopo, si potranno avere delle cellule che conterranno il transgene e altre no. Si ha un mosaico: una parte dell’animale porta il transgene, un’altra no. Dipende da quando si integra. Gli ovociti vengono ottenuti stimolando una femmina di topo con degli ormoni, gli estrogeni, gli ovociti vengono prelevati, aprendo l’animale, e vengono fecondati in vitro con degli spermatozoi prelevati da un topo maschio. Quando lo spermatozoo entra nella cellula uovo, inserisce il proprio nucleo, ma rimane per un breve periodo separato. Il DNA viene iniettato, i due nuclei poi si associano formando un organismo diploide, poi l’ovulo viene reimpiantato nell’utero di una topolina. La topolina è pseudogravida, si ha l’induzione della gravidanza in modo artificiale, così gli ovociti possono attecchire e generare degli embrioni. I topi iniziali hanno il pelo marrone, invece, la femmina pseudo gravida è albina. Se i topi che nascono sono bianchi significa che derivano solo dalla topina, invece, se sono marroni derivano dall’ovocita impiantato. Si deve fare un’analisi di Southern o una PCR per capire se il topino è un transgene (si estrae il DNA dalla coda, viene digerito, si usa una probe complementare al transgene: segnale positivo = animali transgene). Il transgene può, però, non essere presente in tutte le loro cellule, sono delle chimere, non trasmettono alla progenie, non si ha una linea di animali transgeni, possono 82 farlo se il loro ovocita/spermatozoo contiene il transgene. A questo punto, si devono isolare gli animali positivi, farli crescere, farli diventare adulti, incrociarli, così si può vedere se viene trasmesso il transgene alla progenie. L’incrocio avviene tra un animale wild type e uno transgene, è in eterozigosi, quindi, ci si aspetta che il 50% dei topolini portino il transgene: quello che porta il transgene è un animale transgenico, non è più una chimera, in quanto in tutte le cellule c’è il transgene e lo può trasmettere alla discendenza →animale fondatore. Se era un mosaico, non si ottiene nessun fondatore. Perché si fanno animali transgenici? Gli animali maggiormente usati sono i topi, in quanto il ciclo vitale è abbastanza breve, nel giro di poche settimane acquisisce la maturità sessuale, dando origine a una nuova generazione, poi, i topi occupano poco spazio, consumano poco, si ha un’efficacia di integrazione elevata e il genoma del topo è abbastanza simile a quello umano, i livelli di similitudine superano il 90% per quanto riguarda le proteine. Si possono studiare così delle malattie, si hanno dei modelli animali. Il topo è un organismo molto usato per studiare diversi aspetti biologici, invecchiamento etc., grazie anche al fatto che si può mutare geneticamente. L’animale transgenico, inizialmente, è stato fatto per scopi di ricerca di base o per cercare di ottenere dei modelli animali per delle patologie umane. Esempio (slide 39) →è stato fatto un topo transgenico che esprime diversi geni. C’è il promotore dell’acrosina. L’acrosina è una serina proteasi, come pepsina, presente negli spermatozoi di mammifero, si trova nell’acrosoma. Lo spermatozoo è una cellula molto piccola, ha un DNA molto compatto e contiene una vescicola, con tanti enzimi litici in cui c’è l’acrosina, una serina proteasi, in grado di rompere la parete dell’ovocita, per inserire i suoi geni, il nucleo. C’è anche una sequenza codificata per la GFP. L’acrosina ha bisogno dei peptidi segnali, perché per finire nell’acrosoma deve andare del reticolo endoplasmatico, occorre qui un segnale, poi un altro, per trasportala dal reticolo all’acrosoma. Si vuole studiare se questi segnali fossero necessari: il topo esprime sia la GFP che l’acrosina. Al microscopio si può osservare che cosa succede nel topo adulto. Gli spermatozoi del topo hanno una forma a falcetto, l’acrosina non si vede, ma si vede che la GFP che va nell’acrosoma. Si può così studiare il processo di ovogenesi, di maturazione… Oltre ai topi, si possono fare i pesci transgenici, come lo zebra-fish, si usa per studiare lo sviluppo embrionale. Si è fatto esprimere delle proteine fluorescenti sotto il controllo di promotori specifiche per la miosina (tessuto muscolare). È stato fatto per capire se l’espressione delle proteine genera problemi. Un altro esempio è una modificazione sui pesci per valutare la risposta agli estrogeni nell’ambiente: sono stati ingegnerizzati in modo che nel fegato esprimano la GFP. L’espressione della GFP si vede in vivo, essendo trasparenti. In natura ci sono gli estrogeni, che possono derivare dall’urina di una mucca. Il problema è che molte sostanze chimiche usate nell’industria hanno attività estrogenica, come gli anti-ossidanti, i fenoli, lo stirene... questi xenoestrogeni possono interferire con il ciclo ormonale fisiologico, creano dei problemi. Anche il maiale è un ottimo animale transgene, soprattutto per quanto riguarda gli organi, poiché sono molto simili a quelli umani, non possono essere usati come tali, ma si devono fare esprimere dei maiali transgenici. Si genera un animale tramite vettori episomali, così non si modifica il genoma, non c’è il pericolo di mutazioni inserzionale. È stata scoperta la possibilità di generare animali transgenici usando gli spermatozoi. Il DNA è presente nello spermatozoo, quando entra nella cellula, porta anche il DNA estraneo. Il modello sperimentale è stato fatto con dei topi. Tuttavia, non è un aspetto molto efficace, in quanto ci sono eventi di ricombinazione, la sequenza da poter inserire è molto piccolo lo spermatozoo non è solito prendere DNA (potrebbe portare anche dei geni batterici…), lo spermatozoo quando è messo è refrattario. Inoltre, si ha con facilità la ricombinazione e si introducono soltanto sequenze piccole. Se il DNA è preso prima che entri in contatto con il liquido seminale, il DNA può entrare e 85 originale è formato con l’esone 8, invece, quello modificato è che al posto dell’esone 8 c’è il gene neo, questo modifica la struttura. C’è un sito eco, ci si aspetta di avere un frammento eco-eco con 9mila basi. Le cellule wild type.. Il gene Neo non contiene i siti per pgl2, ma un sito neo. L’integrazione è avvenuta in eterozigosi, in quanto è raro che avvenga contemporaneamente su due. Le due intensità sono paragonabili, per farci capire che uno dei due cromosomi è stato modificato. La PCR darebbe delle informazioni parziali, invece, se si usa una sonda specifica come con la Southern è più informativa, anche se la PCR è più veloce. Le cellule ES sono di topo Agouti, si fa la selezione, si isolano. I cloni vengono analizzati con Southern, si analizzano quelli positivi, per individuare quelli reali. Si inseriscono in una blastocisti di topi neri, la blastocisti poi viene inserita in una topolina pseudo gravida. Non è detto che siano delle linee transgenici. Sif anno dei testi con questi topi e conquellik wild type. Se avviene un incrocio con dei topi neri, nasocno dei topini marroni, se succede significa che questi topin imarorni sono dei fondatori in quanto sono in grado fi trasferirer questo gene alla loro discendenza. Si fa un incrocio. C-ABL Protooncogene. È coinvolto nel controllo .. esiste una forma specifica espressa solo nel testicolo, ma non si conosce la funzione reale. Il vettore utilizzato per knockout è un plasmide, con origine di replicazione, di ampicillina resistenza. Si può inserire le regioni che dirigono l’integrazione. Si elimina un esone molto piccolo e metà dell’esone successivo →sostituito con il gene neo. … è stato un lavoro molto grande, senza avere un risultato chiaro. Della particolare forma presente nelle cellule gemrinale non ci sono ulteriori informazioni. RAS sono delle piccole proteine che controllano la crescita e il differenziamento, fanno parte di una catena di segnali,c he controllano numerosi geni. La magigir parte dei tumori umani hanno RAS attivati. H , N K RAS. La protiena è simile in tutte ew tre, canbia una porzione carbossiterminale. La forma HRAS nell’adulto è espressa soltanto nel cervello, e nel cuore.., NRAS è prevelentamente espressa nel sistema nervoso. K RAS è èpresente un po’ ovunque. Il topo sta bene se si inattivano, in quanto le altre ras compensano. Se si inattivano gli altri, non succede nulla di che, se si inattivnao tutti e tre contemporamenea, il topo muore. Il modello knockout può essere utile, ma talvotla fornisce risultati ambigui. È possibile cercando di far avvenire la delezione non in utti gli organi, si ha un knockout differenziale nel tempo e nello spazio, per capire che cosa succede inquel particolare organo. KO CONDIZIONALI →utilizza un sistema che si basa sul meccanismo di ricombinazione del fago del P1 con i siti LOx e la ricombinasi Cre. Questo fago infetta normalmente E. coli. La ricombinasi serve per generare il genoma del fago. La polimerasi continua a correre e proiudce del DNA concatenato,che può essere tagliato, medxiato da siti peicifi. … si è vesto che in queste recombinasi funaziona bene e può attiv are eventi di ricombinazione se ci sono i soti Lox. I siti lox sono due sequenze palindrome di 13 bp piu una regione centrale di 8 nucleotidi. Lefga il DNA e toglie delle sequenze. Se i siti Lox sono messi in tandem e sono orientati nella stessa direzione,la ricomniazi elimina la porzione centrale, come molecola circolare. Si ha l’eliminazione della regione tra O DIE SITI. Se i siti sono orientati in modo opposto la ricombinasi inverte la sequenza, che rimane e non è persa. Questo ultimo aspetto è poco utile. La ricombinasi può anche favorire l’integrazione, in un certo punto. Se io ho un costrutto,, per fare un ko condizionale si devono costruire due animali transgenici, una linea che esprime la proteina Cre, questa viene fatta con la tecnica classica della microiniezione, così poi si isolano dei toi che possono esprimere la ricombinazione. Si potrebbe metter un promotore che risponde alla tetraciclina, cos’ si attiva il sistema a comando. Ilg ene c’è man on funziona, funziona solo se c’èè la tetraciclina. Si può anche mettere una regione enchacer che garantisce un’espressione tessuto specifica. Inq uesto modo, quando si dà la doxiciclina, la 86 proteina viene espress asolo in quel punto. Si attiva solo un gene in un determinato luogo in unanaimel afulto. Nell’altra linea, ci deve essere il gene target, ai cui lati c’è la lox, a valle si mette anceh un gene che codifca per la GFP. Il gene per la GFP non viene espressa. Si elimina il sito di stop così viene espressa .se la ricombinazione avviene le cellule saranno fluorescenti, altrimenti no. Anche in omozigosiil gene viene espresso normalmente. Quando si dà la doxiciclina.. succederà qualcosa, dipende dov’è espresso Cre, si avrà un KO se è ovunque. La proteina Cre se è espressa soltanto in alcuni determinati tessuti così si può studiare l’effetto della mutazione in modo localizzato. È un sistema abbastanza efficiente e c’è il controllo della GFP. ….. e la sequenza codificante, il promotore c’è, ma il gene non funziona. Si toglie questa porzione e vedere che cosa succede quando viene espresso questo gene. LEZIONE 21 LE PIANTE Sono degli organismi fotosintetici, la loro caratteristica principale è trasformare l’energia luminosa per sintetizzare zuccheri, potenziali riducenti e ATP, quindi, non hanno bisogno di una fonte di carbonio. Hanno, però, bisogno di una fonte di azoto, di Sali (K, Mg) e di fosforo, ma in maniera minore. Sfruttano un sistema di trasporto di elettroni che prevede la produzione di Ossigeno come accettore finale. Le piante possono essere modificate geneticamente, ma quelle inferiori non hanno un interesse particolare dal punto di vista tecnologico, al contrario, delle piante superiori come il tabacco. Il tabacco appartiene al gruppo delle angiosperme, che vengono usate sia perché sono molto facilmente modificabili geneticamente sia perché si possono ottenere diversi prodotti, come le foglie. Le cellule vegetali sono eucarioti, hanno il nucleo circondato da una doppia membrana, con dei pori che permettono il passaggio dall’interno e dall’esterno degli elementi. Il nucleo contiene il genoma che è suddiviso in diversi cromosomi, tipicamente le piante superiori sono diploidi, ma ci sono anche diversi gradi di ploidie, come i cereali. Il nucleo contiene il DNA e ha un sistema di trascrizione simile a quello animale: ci sono tre RNA polimerasi. RNA pol I codifica per l’rRNA, RNA pol II codifica per proteine. Non ci sono grosse differenze tra il genoma animale e vegetale, i meccanismi sono molto simili o identici. C’è un sistema di reticolo endoplasmatico, l’apparato dei Golgi che modifica le proteine che devono essere secrete o trasformate in organelli, i mitocondri, che servono sia per la respirazione che per altri processi biochimici, non ci sono i lisosomi, ci sono dei grossi vacuoli che hanno la stessa funzione o quasi dei lisosomi →degradare macromolecole danneggiate, il vacuolo riempie il 90% dello spazio e nelle cellule vegetali il vacuolo funge come organo di riserva, può contenere Sali, aa o altri composti. Ci sono i perossisomi, per neutralizzare i radicali liberi. Ci sono i ribosomi 80s che sono del tutto simili a quelli presenti nelle cellule animali. I cloroplasti sono gli organelli che si trovano soltanto nelle piante, sono responsabile della fotosintesi: qui avviene la fissazione dell’anidride carbonica e conversione in ATP e potenziali riducenti (energia luminosa trasformata in energia chimica). La parete cellulare è molto complessa, che non è presente nelle cellule animali, non hanno una parete rigida, le cellule vegetali hanno una struttura particolare ossia la parete che può subire diverse modificazioni. La cellula non si divide per scissione, avendo la parete, la divisione consiste nella formazione di una nuova parete che divide così le cellule. La parete è abbastanza spessa e flessibile, è composta di fibre cellulosa, oltre alla cellulosa, ci sono altri polisaccaridi, come le pectine, i glicani e delle proteine, che sono importanti, perché la parete deve essere malleabile per poter cambiare la struttura durante la crescita. Le cellulose sono dei polimeri del glucosio, gli elementi del glucosio sono legati con un legame β glicosidico, formano lunghe catene lineare, che possono formare legami secondari 1→6 o 1→4, in modo da legare tra di loro i 87 singoli filamenti →maggiore resistenza. Ci sono le pectine che derivano dall’acido poligalacturonico, deriva dal glucosio con un gruppo carbossilico. Ci sono anche glicani, detti anche emicellulose, sono polimeri di altri zuccheri, possono contenere zuccheri a 5 atomi di C, come lo xilosio. Le cellule vegetali sono in grado di replicare, si trovano nelle radici o nei germogli, sono una sorta di cellule embrionali, quando esse differenziano, non replicano più, ma la parete può subire ulteriori modificazioni. La lignina è un polimero molto complesso, derivato dal fenilpropano, genera una struttura a rete, che conferisce una resistenza meccanica molto elevata. La lignina forma il legno →molto resistente. Quando avviene questa modificazione, la parete diventa così resistente che la cellula ha difficoltà a fare degli scambi, il risultato è che la cellula, poi, muore e rimangono delle strutture per, ad esempio, trasportare l’acqua, comunque tutti gli elementi necessari. Ogni cellula contiene tanti (decine o centinaia) cloroplasti (pochi micron di dimensione), che conferiscono il caratteristico colore verde delle piante. I cloroplasti assorbono la clorofilla, che assorbe la luce nel rosso, quindi, appare verde. In realtà, la clorofilla è fluorescente, ma non si vede perché emette nell’infrarosso (900 nm). I cloroplasti derivano da un processo di endosimbiosi, sono di origine batterica, derivano dai batteri fotosintetici (le alghe azzurre), il sistema fotosintetico dei batteri è identico a quello presente nei cloroplasti, consente di usare come accettore l’acqua e liberare ossigeno. A ricordo della loro origine batterica, i cloroplasti contengono un proprio genoma, circolare, dalle 100 alle 200 000 bp, presente in multi copia, ogni cloroplasto contiene circa una decina di genomi, che codificano per molti elementi dell’apparato fotosintetico. Il cloroplasto possiede sia un apparato di trascrizione che di traduzione, perciò, ci sono delle RNA polimerasi che generano mRNA, tRNA…, possiedono dei ribosomi in grado di sintetizzare dentro al cloroplasto proteine codificanti per questo genoma, essendo di origine batterica, anche i ribosomi sono batterici, 70S (molto simile di E. coli), sono inibiti dagli stessi antibiotici che bloccano la sintesi proteica dei batteri, come tetraciclina, cloroamfenicolo. Il cloroplasto, al suo interno, è strutturato come se fosse un mitocondrio, ha una doppia membrana, una interna e una esterna; quella interna presenta delle strutture lamellari ( = tilacoidi), come dei dischi, su cui è assemblato l’apparato fotosintetico, dove ci sono tutti gli enzimi necessari per il corretto funzionamento. Dal tilacoide con la luce si genera un trasporto elettronico che genera un gradiente di pH che viene usato per fare sintesi, si produce ossigeno, il potenziale riducente per formare NADH, c’è anche un’alcalinizzazione interna, grazie ai protoni formatosi, così l’ATPasi forma l’ATP. La luce, quindi, serve per formare potenziale riducente e ATP, questi sono usati in un sistema enzimatico in cui si fissa l’anidride carbonica per produrre energia chimica, usata nei diversi processi metabolici. Una cosa importante delle cellule vegetali è la loro totipotenza, invece, le cellule umane, come i fibroblasti, non sono in grado di rigenerare un interno organismo, solo quelle embrionali staminali possono differenziarsi in diversi tessuti ma non un organismo intero si possono riottenere delle piante, se opportunamente trattate, è possibile prendendo delle cellule differenziate adulte, farle moltiplicate in vitro, riottenere le piante, ritornare all’organismo di partenza, quindi, è come se ritornassero cellule embrionali. Questo fenomeno si chiama micropropagazione, perché in vitro si possono generare tantissimi cloni, che saranno tutti identici alla pianta iniziale. Coltura di calli →si prende un tessuto di una foglia, lo si rende sterile, eliminando i MO che si trovano sulla superficie. Il tessuto può essere messo in un terreno, che, oltre agli elementi nutritivi etc., contiene degli ormoni: FITORMONI. In presenza di certi ormoni, le cellule differenziano, producendo delle masse definite callo, che non è verde, ma bianco, in quanto non ha ancora il vero e proprio cloroplasto, è a uno stato indifferenziato, non produce ancora l’apparato fotosintetico →PLASTIDI = sono dei precursori dei cloroplasti. Mettendo i calli su un terreno con degli ormoni vegetali, in particolari in presenza di citochinine e auxine → con auxina (+ auxina – citochinina) si inducono le 90 esattamente come X-gal, però uno funziona con l’acido glucoronico, l’altro con la β galattosidasi. Non si possono fare questi saggi in vivo. Si utilizza anche la GFP perché la fluorescenza si può vedere sul tessuto, in vivo, senza uccidere la pianta e consente un monitoraggio rapido ed efficiente. (cfr. slide 24 e 25) →ci sono diversi calli, con differenti reporter, si può dosare l’espressione di un gene misurano la fluorescenza. Si vede, inoltre, che in base al tipo di promotore usato, si ha l’espressione di questa proteina fluorescente in modo tessuto-specifico →viene usato per studiare la regolazione, per capire quando e dove viene espresso quel promotore. Il promotore che si usa, essendo una trasformazione integrativa, è un semplice plasmide, con un’origine di replicazione per E. coli, un marcatore specifico (ampicillina), si deve avere un promotore, il 35S quello del virus del mosaico del cavolfiore e una regione di terminazione, che deriva sempre dal virus del mosaico del cavolfiore; ci sono tanti siti di restrizione e un gene marcatore per avere un sistema di selezione →si vede se la sequenza viene espressa nella pianta. Quando si ha il costrutto, con il gene marcatore, sotto a un promotore specifico, possono utilizzare in maniera alternativa il metodo biolistico. È adatto per trasformare dei tessuti senza togliere la parete, si trattano dei pezzi di tessuto fogliame o degli embrioni, si usano dei microproiettili, ricoperti di DNA e. si mettono in una provetta e il DNA è fatto precipitare in queste particelle. Queste particelle sono inserite in un proiettile e vengono sparate ad alta velocità. Inizialmente si usava un sistema con una cartuccia e della polvere da sparo, con un proiettile cavo che contiene le particelle. Il proiettile si arresta contro un diaframma, ma sul proiettile c’è un microforo da cui si diffondono tutte le particelle. Ci sono due problemi: le microparticelle sono piccole e vengono frenate facilmente dall’aria. Per evitare ciò il sistema è messo sottovuoto, la pressione atmoosferica viene ridotta, con una pompa, in modo che la velocità sia quella necessaria e arrivino così contro il bersaglio. Le particelle davanti al fascio che impattano contro le cellule sono distrutte, al contrario, le altre, quelle che si trovano nelle zone circostanti possono incorporare i microproiettili con sopra il DNA, mantenendo la propria vitalità. Anche se entra una sola particella, ogni microparticella porta migliaia di molecole di DNA, perché è precipitato e la probabilità di integrazione e di efficienza sono elevata. Questa tecnica è chiamata gene gun →prevedeva proprio un sistema esplosivo; si può ottenere lo stesso risultano senza esplosione, ma con una bombola di gas ad alta pressione. Il metodo biolistico funziona con ogni tipo di pianta (banana, cotone, vite, pioppi…), si può definire come metodo universale. I vantaggi sono che risulta essere un metodo efficiente, si può usare con qualsiasi specie, vengono inseriti più geni, invece, poi gli svantaggi sono gli stessi associati a qualsiasi metodo. Questa tecnica è l’unica che permette di trasformare i cloroplasti. La difficoltà di trasformare i cloroplasti è dovuta a un problema di dosaggio genico: di solito il DNA estraneo viene integrato in una o 2 copie per cellula e dato che i genomi vegetali sono molto grandi, il dosaggio genico è basso, di conseguenza, l’espressione è molto bassa. Talvolta, sono sufficienti per conferire proprietà particolari alla pianta, ma non a livello produttivo. Se si trasformano i cloroplasti, ogni cloroplasto ha una decina di genomi, il DNA si deve integrare nei cloroplasti, in quanto non ci sono vettori episomi, ogni cellula contiene migliaia di cloroplasti, quindi, alla fine, il dosaggio genico è molto alto e così i cloroplasti producono la proteina inserita (a patto che non sia tossica per i cloroplasti stessi) e i livelli di produzione sono del 20-30% e comparabili a quelli batterici. I costi di produzione, inoltre, sono bassi, è sufficiente coltivare una pianta, non è necessario un bioreattore. Per trasformare il cloroplasto si usa il metodo biolistico, ma bisogna usare un DNA apposito ossia un plasmide con un gene di interesse, un cDNA (lo si usa per le dimensioni), che deve essere sotto un promotore batterico, quindi, specifico, perché il cloroplasto ha un sistema di trascrizione che usa una DNA pol di tipo batterico (un promotore di E. coli funziona e garantisce 91 un’espressione, non si avrà magari un’espressione ottimale, è preferibile usare un promotore endogeno), bisogna avere sempre un gene marcatore e qui si usa il gene spectillomicina (simile alla streptomicina). Questa sostanza è permeabile, quindi, se si tratta del tessuto vegetale con essa, penetra nelle cellule vegetali, entra nel cloroplasto e blocca la sintesi proteica del cloroplasto, quindi, il cloroplasto degenera e muore. Il tessuto perde i cloroplasti →non è più verde perché perde i cloroplasti e non si ha più la fotosintesi, non c’è più produzione di clorofilla e si ha lo sbiancamento del tessuto vegetale. I cloroplasti trasformato, invece, rimangono verdi anche in presenza di questo antibiotico. Siccome la trasformazione è integrativa, per avere una buona probabilità di trasformazione servono delle sequenze omologhe che favoriscono l’integrazione del gene nel DNA. Si può avere una co-trasfezione dei cloroplasti stessi, si possono usare gli stessi plasmidi oppure due diversi uno con il gene marcatore e uno con il gene da esprimere. (Slide 34) →germogli wild type che in presenza di spectillomicina sono bianchi e hanno perso i cloroplasti; se le cellule sono verdi significa che sono resistenti alla spectillomicina →sono trasformati. Si fa così selezione. La trasformazione avviene nell’embrione, poi si piastra in presenza di spectillomicina. Questa tecnica è buona per avere livelli molto elevati. Per le piante non si lavora mai sulle linee cellulari. Una tecnica simile è quando si usa l’agrobacter tumefaciens che è gram negativo che si trova nel suolo; è un finto patogeno, può attaccare le dicotiledoni (piante come tabacco, pioppo, pomodori, la vite, alberi da frutto…) e induce una proliferazione cellulare incontrollata e il risultato è di avere dei tumori che possono diventare molto grandi. Il tumore si sviluppa alla base perché il batterio del terreno per entrare nella pianta ci deve essere una lesione meccanica della pianta (a causa di un insetto o vento) →non è capace di entrare direttamente nel tessuto. Il batterio è nel suolo ed è inerte, ma quando c’è una lesione nella pianta, la pianta emette delle sostanze chimiche in risposta al danno, sono antibatteriche (proteggono anche dai funghi) come degli anticorpi e sono dei derivati fenolici. Il batterio percepisce la presenza di queste sostanze chimiche e con la chemioattrazione va in corrispondenza della lesione della pianta, il batterio non entra nella cellula, in quanto non è capace, ma inietta dentro un pezzo di DNA. L’agrobacter contiene un cromosoma e un plasmide Ti che contiene il T-DNA (T = trasformante), che si trasferisce nella cellula vegetale, si va a integrare nel genoma e questo pezzo porta degli oncogeni, che favoriscono la proliferazione cellulare, in realtà, sono dei geni per la sintesi di auxine o citochinine e così si ha un eccesso di ormoni, si ha un differenziamento della cellula, la cellula prolifera e si ha la formazione di un callo. Il batterio si trova nel callo e ne approfitta perché usa le sostanze nutritive della pianta per crescere. Il T-DNA è contenuto nel plasmide del batterio, è lungo 1-200 kbasi, la porzione che viene trasferita è piccola. Il T-DNA contiene geni per la sintesi di auxina e citochinine e poi geni per sintetizzare le opine (particolari basi azotate) che derivano dalla condensazione di un aa e un chetoacido, sono dei composti che la pianta non fa normamente e non può metabolizzare. Il T-DNA è segnato da confine destro e sinistro, quindi, solo la zona che si trova in mezzo viene trasferita. I confini sono importanti per questo motivo. Il plasmide Ti porta anche dei geni per utilizzare le opine come fonte di N e C, perché lo stesso plasmide porta il gene codificante per le opine. Il plasmide contiene anche un operone moto grande che codifica per i geni BIR che servono per far funzionare tutto questo sistema (non c’è nel genoma, ma sul plasmide). C’è un’origine di replicazione per agrobacter. Il risultato è di sfruttare la pianta come fonte di nutrienti, inducendo la proliferazione cellulare, più ci sono opine, più il batterio può crescere. I geni inseriti sono gene per la sintesi di un’opina, per la sintesi dell’auxina, che consente di trasformare il triptofano, che viene convertito in indolacetammide, la quale viene idrolizzata per dare acido indolacetico →sono sufficienti solo due enzimi per queste reazioni. La citochinina viene prodotta a partire da adenina a partire da isopentile fosfato che serve per la sintesi dei terpeni e steroidi (via dell’acido mevalonico, geranil-pirofosfato). È molto 92 importante questa via per la pianta per produrre gli oli essenziali. L’isopentenile è legato al gruppo amminico dell’adenina →citochinina. Per il Triptofano ci sono due enzimi: ossigenasi e idrolasi. Le opine sono differenti in base al ceppo di agrobacter (octopina, agropina e nopalina), sono molecole abbastanza semplici, derivano dalla condensazione di un aa e un chetoacido. Questi composti non sono metabolizzati dalla pianta, ma solo il batterio che lo produce ha un enzima per il suo catabolismo. Il batterio si accorge di una lesione che avviene a livello della radice o colletto (parte più delicata), la pianta produce dei composti fenolici come acetosiringone che è un chetone aromatico, derivato fenolico, ha un’attività antiossidante e antibatterica →uccide i batteri e i funghi. L’agrobacter ha un recettore che percepisce la presenza di questa sostanza e una quantità bassa di acetosiringone induce il fenomeno della chemiotassi, il batterio che è mobile, ha i flagelli, si avvicina alla sorgente e quando la concentrazione è molto alta, significa che è vicino alla fonte di acetosiringone, si attiva il sistema di trasferimento genico. Sul plasmide ci sono dei geni VIR, normalmente non sono espressi tranne, virA e virG: virA codifica per una proteina transmembrana che è il recettore per l’acetosiringone, si ha una fosforilazione, quando virG è fosforilato da virA va ad attivare la trascrizione di altri geni →VirA regolatore positivo della tascrizione. Si ha un sistema sensore e anche dei geni cromosomali, CHV che facilitano l’adesione tra la cellula batterica e la parete della cellula vegetale, quando il batterio è molto vicino. Il batterio rimane lì in posizione, in attesa di poter trasferire il DNA. Quando sono attivati i geni Vir, alcuni prodotti generano una copia a singolo filamento del T-DNA (non viene tagliato), copiando da una specifica DNA pol, e questo poi viene rivestito da una serie di proteine e poi viene trasferito alla cellula vegetale come se fosse un virus. Le proteine presenti servono anche per facilitare il trasferimento di questo DNA virale come DNA a doppio filamento (entra come DNA a singolo filamento), ma anche favorire l’integrazione di questo DNA. L’elemento importante e definisce la regione che viene replicata è compresa tra il confine destro e sinistro e sono sequenze di 25 basi. Il DNA generato da questa duplicazione a singolo filamento viene coperto come se fosse un virus da i prodotti dei geni Vir, formano una guaina che copre il filamento e all’estremità 5’ c’è la proteina virD2 che serve per facilitar l’integrazione del DNA dentro alla cellula bersaglio. Riassunto →le proteine di adesione mantengo il batterio attaccato alla cellula, si attivano i geni Vir, VirD1 taglia il DNA, il filamento replicato viene ricoperto da proteine VirE2, i prodotti dei geni Vir producono una proteina transmembrana che produce una specie di poro che consente di trasferire efficacemente questa specie di virus nella cellula. È integrato, normalmente, in singola copia, talvolta anche in duplice copia nel genoma. È un processo naturale che presenta un’alta efficienza di trasfezione; questo sistema deve essere modificato in modo che non venga trasferito il T-DNA, ma un DNA di interesse. Si modifica il plasmide Ti, togliendo il T-DNA, si ha un plasmide Ti disarmato perché non induce più i tumori, il T-DNA non funziona e mettere tra i due confini delle sequenze di DNA da inserire nella pianta. Si usa l’agrobacter modificato, in particolare delle varianti con il T-DNA disarmato, per inserire il DNA che si vuole. Uno dei geni Vir produce una polimerasi tra i due confini. LEZIONE 22 95 voleva a livello molecolare, si deve decidere se succede anche a livello fenotipico. Lo scopo di avere una pianta transgenica è per la ricerca di base, per capire certe sequenze, se un gene è importante, per capire la funzione dei geni vegetali, non è tecnologico, ma ci fornisce delle informazioni. Una parte più rilevante e applicativa è conferire alla pianta delle proprietà che inizialmente non ha, non è una novità, tutte le piante coltivate sono state selezionate in questo modo, il mais con le pannocchie così grandi non esisteva così in natura, si sono fatti incroci in tantissimo tempo, incrociando, magari, dei mutanti casuali. Si possono fare delle mutagenesi con raggi x →farina di grano duro. L’obiettivo odierno è migliorare le qualità della pianta, modificando dei geni: specie che possono resistere di più agli insetti, al secco, che hanno un maggior rapporto nutrizionale (avere un contenuto di aa più equilibrato). Non si può vivere solo di mais, perché è carente di alcuni aa essenziali, che si trovano altrove (nella soia, carne). Il mais è povero di lisina, quindi, si è pensato di arricchirlo di tale aa. Un altro scopo è rendere più duraturo il frutto, che quando giunge a maturazione poi deperisce, si può modificare questo aspetto. Il miglioramento genetico è quello più importante. In Italia, non si possono coltivare gli OGM. C’è un altro aspetto interessante: le piante possono essere usate come bioreattori: producono proteine in quantità elevate o composti che possono essere usati come farmaci o come metaboliti, modificando il metabolismo della pianta. Questo è l’aspetto più interessante e innovativo. Si produce la pianta transgenica in un ambiente controllato, come una serra. Un primo esperimento è stato fatto su piante di interesse agronomico, per renderle più resistenti agli insetti ossia che producono loro stesse un insetticida: è possibile tramite una proteina prodotta da un batterio sporigeno, il Bacillus thuringiensis. Questa proteina è sotto forma di cristallo dentro alla spora e ha proprietà insetticide, è tossica per le larve di lepidotteri (bruchi). Se le foglie contengono questa proteina, l’insetto muore, dopo aver mangiato la foglia così l’infestazione è bloccata. il gene è stato isolato →cryIA. Le piante, ottenute all’inizio degli anni ’90, usando un sistema cointegrato, c’è solo il confine destro, c’è una sequenza omologa del plasmide Ti, hanno un promotore costitutivo 35S, la sequenza codificante per la tossina del batterio e c’è un marcatore. Usando questo sistema, che è alquanto primitivo, si sono ottenute delle piante transgeniche che esprimevano la tossina. Gli effetti di espressioni sono sempre diversi, in base alla posizione di integrazione, cambia tra una linea e l’altra. Questo sistema di trasfezione garantisce dei livelli di espressioni molto bassi (cfr. slide 5 Lez. 6). Se l’espressione raggiunge un certo valore (0,003), è sufficiente per dare una resistenza agli insetti. L’insetto muore di fame, altera la permeabilità intestinale, non riescono a trattenere i nutrienti. È un’applicazione utile e intelligente, in quanto questa tossina è innocua per l’uomo e per gli animali, è specifica solo sulle larve di lepidotteri. Non altera le caratteristiche della pianta e così si evita l’uso degli insetticidi. È stata brevettata una varietà di mais geneticamente modificata, che produce la tossina del Bacillus thuringiensis. Si sono cercate di produrre delle piante resistenti agli erbicidi, che eliminano le erbe infestanti, che competono con la coltivazione d’interesse, è un approccio più criticabile dal punto di vista etico. L’erbicida può essere dannoso per le piante che si coltivano, se diventano più resistenti agli erbicidi, si facilita la crescita della pianta e si aumenta la quantità di erbicidi →si aumenta la quantità di inquinamento. Questa procedura non è molto conveniente, ci sono delle varietà di mais che vengono commercializzate. Se si vogliono cambiare le qualità di una pianta: rendere più durevole un frutto: il frutto continua a produrre degli enzimi che hanno una funzione litica sulle pectine →il frutto diventa molle, si danneggia, anche ad opera di batteri. Si modifica la sintesi di etilene. L’etilene è un ormone vegetale, idrocarburo, che induce la maturazione dei frutti, stimola la maturazione. La biosintesi naturale prevede l’uso dell’ACC Sintasi (ACC = acido amminociclopropan carbossilico) che dall’ S 96 Adenosilmetionina (metionina con un’adenosina) trasforma l’acido amminociclopropan carbossilico in etilene tramite acido amminociclopropan carbossilico ossidasi. Se si vuole inibire la sintesi di etilene, si può far esprimere l’ACC deamminasi che usa lo stesso substrato e lo trasforma in α chetobutirrato. Questa tecnica è stata realizzata sui pomodori. C’è un’altra applicazione, ma di interesse estetico ossia la capacità di modificare il colore dei fiori. I colori dei fiori dipendono dal fatto che le cellule sintetizzano dei pigmenti. Cianidin-3-glucoside →colore rosso. Delfinindin-3-glucoside →colore blu. Questi pigmenti sono ottenuti tramite una via biosintetica attraverso le piante. Il precursore iniziale, un chetone aromatico, che è giallo, il tetraidrossialcone, che è trasformato in composti incolore. Tutti gli elemento sono dei flavonoidi (anello aromatico + eterociclo che contiene ossigeno), tipicamente sono incolore. Poi possono essere convertiti in altri composti con diversi ossidrili tramite la DFR (deflavonoide reduttasi), riduce delle strutture e si ottiene il sale di flavilio, è un catione, O è carico +, è il cromoforo. Nella pianta, questa reazione avviene associata a un attacco con una molecola di glucosio →sono presenti come glucosidi. Così sono più solubili e il colorante si diffonde più facilmente nei vacuoli della pianta. A partire da questo precursore, si sono ottenuti altri colori che in natura non esistevano. L’applicazione più interessante è la creazione del riso dorato (golden rice), si sono modificate le caratteristiche nutrizionali. Si è prodotto una varietà di riso che potesse contenere dei carotenoidi, nel seme. Il riso è bianco, però, se dentro la cariosa si producono dei carotenoidi, il riso cambia il colore: si introducono due geni: licopene sintasi (batterio) e fitoene sintasi (narciso). Il precursore è il geranil geranil pirofosfato, deriva dalla condensazione di più elementi isoprenoidi. Il geranil pirofosfato viene condensato a generare il fitoene, idrocarburo, il quale può essere trasformato in licopene (colorazione del pomodoro), se si aggiungono dei doppi legami. Poi viene convertito in altri β carotene che conferiscono il colore giallo al riso. Si pensava, inizialmente, che fossero necessari tre geni per fare questa operazione, si pensava che fosse necessaria anche la licopene ciclasi, ma essa è già presente nella pianta. È necessario aggiungere un promotore specifico che venda espresso nel seme. L’idea di fondo è che il β carotene è il precursore della vitamina A, che è essenziale e si trova per lo più nei vegetali. Nel mondo, c’è una parte di popolazione che ha una carenza di vitamina A. Se la carenza è notevole può determinare la cecità o addirittura la morte. Può esserci anche una carenza moderata. Se l’apporto di vitamina A è sufficiente, ma non completo, non ci sono grossi danni. Questa carenza è notevole, in queste regioni il riso è molto coltivato, se si modifica il riso in modo che contenga la vitamina A si risolve questo problema. Nel 2000, si sono sviluppate diverse varietà di questo riso. Si è dimostrato che mangiando questo riso si risolvevano questi problemi. Il problema che ci sono stati dei boicottamenti di aziende biotec, sono state distrutte le coltivazioni →ci sono stati problemi di accettazione. Negli USA, nel 2018, è stato consentito di produrre questo riso. Esiste un’altra possibilità: usare la pianta come bioreattori. Si modifica la pianta non perché si vuole modificare le sue caratteristiche ma per far esprimere qualcosa nella pianta →proteine per fare farmaco o proteine di origine virali o batterica che possono essere usati per fare i vaccini ossia di fare dei vaccini con le piante. L’idea era proprio di fare produrre questa proteina in una parte che si può consumare della pianta, come nella carota, nella banana, in modo che mangiano il frutto si introduca l’antigene nel corpo, lo scopo è di avere dei vaccini che possono essere consumati con la pianta. Si usa l’agrobacter, si inserisce una sequenza di origine virale o batterica, la pianta transgenica produrrà la proteina nel frutto o in altre piante, così chi mangia la pianta acquisisce l’immunità. Se la proteina arriva intatta nell’epitelio intestinale, si acquisisce una grossa immunità. L’immunità, inoltre, funziona molto bene contro le patologie che attaccano l’apparato digerente: colera, gastroenteriti, epatiti... L’idea sembra interessante per venire incontro alle problematiche 97 sanitarie, soprattutto nei paesi non industrializzati. L’idea era interessante: coltivare delle piante che sono dei vaccini →la gente le mangia e si immunizza. Per questo sono state sviluppate un certo numero di piante transgeniche che erano in grado di produrre delle proteine. Un esempio era il tabacco, patate (incorpora proteine molto grandi nel tubero), pomodoro e banana. Il problema che la proteina non deve essere denaturata →se si cuoce la patata si perde tutto →non va bene per l’uomo, ma per gli animali. Nell’uomo è molto valido il pomodoro che si può mangiare crudo, il problema è che produce pochi livelli di espressione. Anche la banana va bene, non è facile da trasformare. Si sono poi ottenute anche varietà di cereali o legumi, magari più per gli animali, perché si consumano crudi. L’idea di base è interessante, costa poco per dose di vaccino, non è necessario una particolare catena per distribuire questi vaccini, tuttavia, per gli umani nessuna di queste piante è stata usata, ma solo per gli animali. La rabbia è una malattia virale, diffusa da animali selvatici, che occasionalmente possono infettare il cane che può passare all’uomo. Nelle regioni a rischio, sono state fatte delle esche, dei frutti che contenevano dei vaccini per ridurre la patologia negli animali selvatici. Non è stato dato agli animali domestici. Ha ridotto notevolmente la patologia negli animali selvatici, di conseguenza, anche la diffusione. Questo è stato un altro uso intelligente di come cibo delle piante transgeniche. Un ulteriore esempio è la proteina GAG p27. Si producono delle patate con questa proteina, come se fosse un vaccino contro l’AIDS, sia per l’uomo che per gli animali. Il problema dell’uso della patata è quello di prima: gli uomini non la mangiano cruda. È stata fatta una PCR per capire se la pianta è transgenica. Come controllo negativo è stato usato un oligo che parte dall’interno e va dall’esterno →per vedere se c’è DNA batterico. Se mi sono portato del DNA batterico, significa che ho portato anche le sequenze esterne. Nel plasmide c’è un segnale, nella pianta no, questo significa che non c’è traccia di batteri. È stato fatto un Western Blot, si estrae la proteina dal tubero. Anche nel tubero c’è il segnale specifico. La quantizzazione permette di capire quanta proteina c’è →poca. Si è fatto test ELISA. I livelli di espressione sono davvero pochi, per avere un’immunità si dovrebbe mangiare qualche etto di patate crude. Il sistema funziona nei topi. Si è ottenuto un vaccino contro il colera, tramite dei pomodori. Il virus Vibrio cholerae produce una tossina, composta da due subunità: A e B. A proteina tossica, attiva l’adenilato ciclasi, invece, la B facilita l’ingresso della proteina A, poiché si lega ai gangliosidi di membrana posti sulla superficie della cellula. La componente B di per sé non ha un effetto tossico, se si esprime solo questa proteina, non è tossica, si possono avere degli anticorpi →effetto protettivo. Si vuole far esprimere questa tossina nei pomodori, usando un promotore tessuto specifico, di un gene che risponde all’etilene, è attivato solo nel frutto. Questa proteina aumenta man mano che il frutto matura. I pomodori contengono una quantità bassa di proteina, ma con una quantità sufficiente si poteva far funzionare il sistema. Si doveva dare 10g di pomodoro per volta a un topo →bisogna mangiare una quantità enorme di pomodoro per avere un’immunità →il sistema va migliorato. I problemi sono sia la quantità di espressione sia la difficoltà di coltivazione. Per ovviare questi problemi, si potrebbero produrre le proteine direttamente nelle piante →si sono sfruttati i cloroplasti o l’agroinfezione. Si ottengono dei livelli di espressione notevoli (fino al 20 %, paragonabili a quelli di un bioreattore). Le piante sono fatte crescere in serra. Si è abbandonata l’idea di fare piante transgeniche come vaccini per uso diretto. L’agroinfenzione è simile all’agroinfiltrazione. La sequenza 35S inserita è nel genoma intero del virus mosaico del tabacco. Si infetta una piccola porzione di cellula, si diffonde dalla foglia a tutta la pianta, si usa il genoma virale per produrre dei virioni con la proteina ricombinante. Si usa un costrutto che facilita il tutto, perché altrimenti la pianta reagisce al virus: p19 blocca la reazione contro il virus. Dopo un paio di giorno, il virus si è diffuso in tutta la pianta. Il sistema consente un0nfezione transiente rapida ed efficace,