Scarica Biologia molecolare applicata alla ricerca biomedica e più Appunti in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! Telomeri e telomerasi Telomeri I telomeri sono le estremità dei cromosomi lineari e, similmente ai centromeri, sono un complesso nucleo proteico costituito da corte sequenze di DNA ripetute centinaia o migliaia di volte che viene legato da proteine dette shelterine, che hanno la funzione di proteggere i telomeri e di mantenere la stabilità del genoma. Le sequenze ripetute cambiano nei vari organismi, così come anche la lunghezza dei telomeri, ma alcuni aspetti sono uguali per tutti gli eucarioti, per esempio il fatto che vi è uno dei due strand, quello che ha direzione 5’-3’, che protrude all’estremità del cromosoma ed è ricco di guanine, infatti viene chiamato G-tail, che in S. cerevisiae è relativamente corta (dai 15 ai 25 nucleotidi), nei mammiferi invece è molto lunga (oltre i 100 nucleotidi); idem la zona di sequenze ripetute costituita da double strand DNA è intorno alle 200/300 paia di basi in S. cerevisiae ma arriva fino a 100 kbp nell'uomo. Nelle zone sub telomeriche vi sono sempre le stesse sequenze degenerate o anche altre sequenze altamente ripetute ed in genere non ci sono geni codificanti. È importante anche la struttura del telomero, infatti la G-tail non è quasi mai libera ma si ripiega su se stessa ed è in grado di invadere il double strand DNA, in quanto costituito dalle stesse sequenze ripetute, creando un’omologia di sequenza tra la G-tail e la porzione telomerica di double strand DNA che causa quindi la formazione di una struttura che viene chiamata t-loop, che assomiglia moltissimo ad un intermedio della ricombinazione omologa, proprio perché c'è omologia di sequenza tra il single strand DNA che invade e il double strand DNA invaso. I telomeri, oltre che essere organizzati in t-loop, non sono quasi mai sprotetti nella cellula, ma sono legati da un complesso proteico formato da shelterine, di cui alcune, come TRF1 e TRF2, legano la porzione a doppia elica del DNA, e altre, come POT1, che legano il single strand DNA. Le shelterine sono in grado di costituire una struttura nucleoproteica essenziale per proteggere il telomero da nucleasi e per far sì che la cellula non veda il telomero come un taglio alla doppia elica del DNA. Telomeri e DNA damage checkpoint Il DNA damage checkpoint è un meccanismo per cui la cellula è in grado di monitorare eventuali danni al DNA e bloccare il ciclo cellulare in risposta a questi danni: in presenza del danno, si ha una serie di fosforilazioni che culminano con l’inibizione della CDK con conseguente blocco del ciclo cellulare. I danni principali che può subire una cellula sono i tagli alla doppia elica del DNA oppure single strand DNA che protrude, che può essere esposto in seguito ad una non corretta replicazione del DNA o durante la trascrizione del DNA stesso. Come si può capire, anche la presenza della G-tail che protrude come single strand DNA, se non è protetta dalle shelterine, può essere riconosciuta dalla cellula come un danno al DNA, anche se questo ovviamente non lo è, portando ad un blocco cellulare non necessario. Questo è stato dimostrato mediante esperimento con topi KO: sia il KO di TRF2 (shelterina che lega il dsDNA), che il KO di POT1 (shelterina che lega il ssDNA) portano a letalità embrionale, in quanto le cellule hanno il DNA damage checkpoint completamente attivato, con blocco delle CDK e del ciclo cellulare. Nel momento in cui abbiamo un taglio alla doppia elica DNA nella cellula, questo può essere riparato tramite diverse vie, per esempio, se le estremità sono protette (ends protection), il non homologous end joining, pathway di riparazione abbastanza veloce che porta però sempre alla delezione di uno o pochi nucleotidi, che può essere deleterio per la cellula. Se invece le estremità non vengono protette, abbiamo il processamento delle estremità del double strand break tramite un meccanismo detto ends resection, che porta all'esposizione di single strand DNA 5’ protruding e che può portare alla riparazione tramite diverse vie, di cui la principale è quella che porta alla riparazione fedele, con la ricombinasi che lega single strand DNA, invasione di DNA omologo e riparazione per ricombinazione omologa. Quindi, nel momento in cui le shelterine non proteggono a dovere il telomero, abbiamo dei tentativi di riparazione dei telomeri che portano a riarrangiamenti genomici ingenti. Questo si è visto si è visto facendo una delezione di TRF2, in assenza del quale tutto il complesso delle shelterine si perde e le estremità di due cromosomi diversi possono essere uniti tra di loro tramite non homologous end joining, che tra l’altro può avvenire anche tra cromosomi non necessariamente omologhi perché tutti i cromosomi hanno sempre la stessa sequenza telomerica ripetuta. Oltre al processamento nel t-loop possiamo anche avere, in assenza di shelterine, il single strand DNA della G-tail che invade il DNA telomerico in prossimità della G-tail stessa, ma anche delle sequenze ripetute omologhe più interne e questo porta ovviamente a perdita di intere porzioni di genoma sempre questo a causa di assenza delle shelterine. In conclusione, le shelterine hanno questo ruolo fondamentale non solo di proteggere i cromosomi da nucleasi presenti nelle cellule, ma anche di impedire che la cellula stessa veda l'estremità dei suoi cromosomi come un taglio alla doppia elica del DNA. In questa immagine vediamo di nuovo i telomeri e la telomerasi che li allunga nelle staminali, affianco cellule differenziate che non esprimono più la telomerasi, con telomeri che si accorciano ad ogni divisione finchè non si avrà anche solo un cromosoma con estremità non protette che quindi attiva la DNA damage checkpoint con inibizione della CDK e attivazione di alcuni oncosoppressori, come p53 o pRB, e quindi apoptosi o senescenza. Se però p53 è mutato, allora abbiamo continua proliferazione cellulare, con cromosomi che andranno incontro a crisi in quanto non protetti dalle shelterine, fenomeni massici di riarrangiamento cromosomico, come traslocazioni e amplificazioni, e quindi di fatto cellule tumorali con cromosomi completamente riarrangiati. C’è, a questo punto, pressione selettiva per riattivare la telomerasi o meccanismi alternativi di allungamento die telomeri e ovviamente questo porta a conseguenze deleterie con cellule con telomerasi attiva e genoma estremamente riarrangiato. Già ad inizio secolo, quando si tentò di avere in coltura delle cellule di mammifero, si era visto che queste compiono un numero finito di divisioni e poi muoiono, vanno in crisi e perdono la capacità proliferativa. Questo fenomeno è stato osservato per la prima volta da Hayflick e infatti è chiamato proprio limite di Hayflick e il numero di divisioni cellulari dipende proprio dallo stato dei telomeri, che nel momento in cui si accorciano troppo e perdono la protezione da parte delle shelterine, attivano il DNA damage checkpoint e le cellule entrano in senescenza, infatti, in questo schema viene riportata sull’asse delle ascisse il numero di divisioni cellulari e nelle ordinate la lunghezza media dei telomeri di cellule umane messe in colture. Quello che si è visto è che se prendiamo delle cellule umane da un tessuto e le mettiamo in coltura, queste si dividono e inizialmente avremo un periodo di crisi detto “culture shock”, dovuto al fatto che vengono prese da un tessuto con un certo metabolismo e messe in coltura in un terreno diverso, in cui muoiono alcune cellule, mentre altre vanno avanti a dividersi e accorciano i telomeri fino ad arrivare ad un momento di disfunzione telomerica dovuta anche ad un solo telomero sprotetto. A questo punto si raggiunge il limite di Hayflick, alcune cellule fanno ancora un po’ di divisioni ma poi si ha la totale crisi con eventi di apoptosi, morte cellulare e arresto completo della proliferazione. Ovviamente, a seconda del tipo di cellule, questo può avvenire prima o dopo, con telomeri più o meno lunghi e dopo un certo numero di divisioni cellulari. Le cellule embrionali e staminali (a) non hanno questo problema, infatti si dividono senza modificare la lunghezza dei telomeri perchè hanno la telomerasi espressa. Se noi trasduciamo nelle cellule umane il gene della telomerasi (b), di nuovo questo agisce e allunga i telomeri, senza portare a problemi di sopravvivenza e proliferazione delle cellule. Le cellule tumorali (c) sono cellule che arrivano alla crisi telomerica, però riescono a riesprimere la telomerasi o adottano meccanismi alternativi di allungamento dei telomeri, si ha allungamento di questi e la cellula va avanti a proliferare. Tra l’altro, come già è stato spiegato, si è visto che le cellule tumorali spesso sono poliploidi (in genere aneuploidi) e questo è un vantaggio perché hanno un alto tasso di mutazione, che da una parte rappresenta un vantaggio in quanto può permettere il superamento della selezione darwiniana, dall’altro le mutazioni possono anche colpire geni essenziali (tipo quello della polimerasi) e il fatto che queste cellule siano poliploidi porta ad un vantaggio, perché anche se hanno delezione di un gene per la polimerasi α, ne avranno altri 3/4 funzionanti, quindi non è così negativa la delezione di un gene. Ci si è chiesti come facessero le cellule tumorali ad essere spesso poliploidi e una possibile spiegazione (oltre a quelle già mostrate per quanto riguarda il ciclo cellulare, come divisione scorretta dei cromatidi fratelli) è il fatto che, nel momento in cui abbiamo i telomeri corti, si accende il DNA damage checkpoint che le blocca in fase G2, quindi con cromosomi replicati, però questo blocco prolungato a volte fa sì che la cellula non entri in mitosi ma, a causa del basso livello della CDK, rientri in fase S, che porta alla poliploidia. Quindi la telomerasi è molto importante negli studi oncologici ma c’è da sottolineare che la telomerasi non è un oncogene, perché se la overespressione di un oncogene porta alla proliferazione incontrollata, di per sé l’overespressione della telomerasi non causa deregolazione del ciclo cellulare, anche se è molto studiata per trovare droghe che la inibiscano e la portino ad un vantaggio in chemioterapia per quei tumori che la overesprimono, ma comunque non può essere considerata un oncogene. Infatti, una cellula normale compie un numero finito di divisioni e può eventualmente diventare immortale una volta che viene trasdotto il gene TERT, ma mantiene tutti i controlli normali del ciclo cellulare, anche se è ovvio che essendo una cellula immortale, basta l’insorgenza di una mutazione che porti all’overespressione degli oncogeni o inibizione e delezione di oncosoppressori che diventa una cellula completamente deregolata. Viceversa, una cellula che subisce mutazioni che portano ad una perdita del controllo del ciclo cellulare, può diventare una cellula trasformata e, a questo punto, un vantaggio selettivo enorme è la riattivazione del gene della telomerasi o attivazione di meccanismi alternativi di allungamento dei telomeri. Infatti, 30 anni fa si era pensato di utilizzare il gene per la telomerasi per curare alcune malattie degenerative molto gravi, ad esempio le ulcere croniche della pelle trasfettando fibroblasti e cheratinociti e reimpiantandole nell’individuo con il gene attivato, oppure per curare la degenerazione della macula trasfettando cellule epiteliali della retina di nuovo con il gene della telomerasi e anche si era cercato di curare l’AIDS trasfettando cellule del sistema immunitario con il gene della telomerasi. Questi tentativi sono però stati abbandonati perché si introducevano in questi pazienti delle cellule che avevano un potenziale alto di diventare cellule tumorali perché ovviamente avevano una capacità proliferativa infinita in quanto non accorciano i loro telomeri. Meccanismi alternativi di allungamento dei telomeri Le cellule tumorali riaccendono il gene della telomerasi, infatti il 50% ha riespressione di TERT, mentre l’altro 50% ha attivi dei meccanismi alternativi di allungamento dei telomeri, e queste seconde sono cellule tumorali che vengono chiamate ATL. Questo meccanismo alternativo inizialmente era ignoto ma si è capito che invece sfrutta la ricombinazione omologa tra sequenze telomeriche omologhe. Le cellule che seguono questi meccanismi alternativi hanno grande eterogeneità della lunghezza dei telomeri e si è visto che i telomeri corti, che vanno incontro a crisi in quanto non protetti, possono invadere gli altri telomeri in quanto hanno omologia di sequenza e si installa così un meccanismo di tagli alla doppia elica detto Break Induced Replication, che è un meccanismo che la cellula adotta per riparare tagli alla doppia elica del DNA e che implica l’invasione, da parte della ricombinasi RAD51, di DNA omologo da parte di DNA singola elica 3’ protruding per creare una forca replicativa e utilizzare il templato che viene invaso per riparare il taglio alla doppia elica, con replicazione dell’omologo fino alla fine del cromosoma lineare. A questo punto, tramite questo meccanismo di replicazione indotta da taglio (che in realtà è il telomero corto che però sembra un taglio) abbiamo riparazione del telomero e quindi suo allungamento. L’oncologia sta evolvendo enormemente negli ultimi anni e si parla di terapie personalizzate, quindi una volta che un individuo scopre di avere un tumore, questo viene caratterizzato a livello molecolare e vengono valutati una serie di parametri che riguardano il ciclo cellulare e la risposta al danno al DNA e altre caratteristiche, per esempio se le cellule tumorali riesprimono la telomerasi oppure se seguono questi meccanismi alternativi di allungamento del telomero. A seconda di queste due possibilità, nel mix di chemioterapia che viene dato al paziente ci saranno inibitori della telomerasi piuttosto che di proteine coinvolte nella ricombinazione del DNA come RAD51 e ovviamente si stanno sempre più studiando nuovi farmaci per bloccare queste proteine. Discheratosi congenita Per quanto riguarda il metabolismo dei telomeri nell’uomo, è stato utile lo studio di pazienti affetti da una malattia ereditaria rara multisistemica, che è la malattia del metabolismo dei telomeri e che ha sottolineato l’importanza dell’integrità dei telomeri per la stabilità genomica. Il quadro clinico di questi pazienti è molto complesso, ma tutti sono caratterizzati da elevatissima predisposizione ai tumori e, non funzionando bene la telomerasi, si ha un invecchiamento precoce, problemi a livello del midollo osseo, quindi anemie e leucemie, e in generale problemi proliferativi nelle cellule del sangue. Viene chiamata discheratosi perché il gene mutato è la discherina, che è un gene regolativo del complesso della telomerasi, in assenza del quale si ha abbassamento dei livelli dell’RNA della telomerasi in quanto viene degradato, infatti la discherina serve proprio per proteggere e stabilizzare l’RNA della telomerasi. Oltre alla discherina, si possono avere anche mutazioni in TERC e in TERT, quindi in RNA e subunità catalitica, in circa il 5 e 10% dei casi. La mutazione della discherina è stata scoperta nel 1999 e tra l’altro la discherina si trova sul cromosoma X quindi è una malattia legata all’X e nel momento in cui la diskerina è poco abbondante o mal funzionante abbiamo proprio una diminuzione dei livelli di TERC. Lo studio di cellule di pazienti affetti ha permesso di avere importanti informazioni sul comportamento delle cellule nel momento in cui abbiamo un non corretto funzionamento della telomerasi e di come queste cellule abbiano una instabilità genomica superiore alla norma, problemi a livello delle staminali con alta probabilità a sviluppare tumori e senescenza precoce. Quindi, di fatto, abbiamo un continuo crosstalk tra il parenchima tumorale e lo stroma, che è costituito da queste cellule normali che stimolano e aiutano il tumore stesso. Quasi tutte le masse tumorali contengono delle cellule staminali, dette cancer stem cells, che fanno parte delle masse tumorali e si è inizialmente pensato che tutti i tumori derivassero da cellule staminali, tuttavia questa ipotesi non è più tenuta in grande considerazione perché, in realtà, le cellule staminali di un individuo adulto sono in numero limitato e vanno incontro ad un numero ridotto di divisioni, per cui è difficile che riescano ad accumulare una serie di mutazioni che le portino a cellula tumorale, infatti una cellula staminale si divide e dà origine a precursori che sono le cellule che effettivamente proliferano in modo massiccio e si è visto possono accumulare mutazioni che le portano a perdere il differenziamento e tornare a cellule staminali che, a questo punto mutate, iniziano ad essere delle cellule che si amplificano e si dividono in maniera notevole e possono accumulare altre mutazioni, fino a diventare cellule tumorali vere e proprie. Chromothripsis Per diventare tumorale, una qualsiasi cellula deve accumulare mutazioni che le permettono di acquisire particolari caratteristiche, anche se nel 2-3% (e molto più frequentemente nei tumori ossei) queste insorgono per un qualche evento che può capitare durante un ciclo cellulare a una singola cellula, una catastrofe che viene chiamata “chromothripsis” (chromos = cromosoma e tripsis = distruzione a pezzi). Non si capisce bene come questo avvenga, per esempio può avvenire durante la replicazione del DNA, che improvvisamente porta ad un collasso delle forche replicative, ad un accumulo di tagli alla doppia elica del DNA, piuttosto che scontri tra l’apparato replicativo e l’apparato di trascrizione del DNA. Sembra che l’ipotesi più accreditata sia che questo taglio a pezzi dei cromosomi avvenga durante la metafase, con i cromosomi condensati e, nel momento in cui abbiamo dei problemi di segregazione dei cromatidi fratelli, per esempio quando si ha la formazione dei ponti, dovuti al fatto che i cromatidi fratelli sono uniti a livello dei telomeri con cicli di fusione e rottura, che portano a un taglio random dei cromosomi, i cui pezzi vengono tenuti vicini e ricomposti in maniera random. I telomeri vengono visti come una sorgente di instabilità genomica che può giustificare la chromotripsis quando: ü A causa di un telomero corto che va in crisi, si ha fusione dei cromatidi e cicli di rottura e fusione (Breakage fusion bridge cycles). ü Si ha perdita di porzioni dei cromosomi (Terminal deletion: perdita di eterozigosità). ü Eventi di break-induced replication nelle TBC delle cellule tumorali che vanno incontro all’allungamento alternativo dei telomeri Kataegis Si è osservato che spesso i tumori hanno un pattern di ipermutazione che riguarda alcuni tipi di mutazioni e in particolare la citosina è la base più frequentemente mutata in moltissimi tumori, soprattutto a livello dei dinucleotidi TpC. Questo è dovuto proprio ai chromosome bridges perché, nel momento in cui abbiamo i chromosome bridges durante la mitosi, non si ha la rottura della membrana nucleare, e il DNA che si trova tra due le cellule figlie può essere soggetto all’azione di alcune nucleasi come TREX1, le quali normalmente agiscono nel citoplasma per attaccare il DNA o RNA virale, e TREX1 agisce sui chromosome bridges processandoli ed esponendo dei single strand DNA (è un’esonucleasi che con una resection del double strand DNA lo processa e lo rende single strand) sui quali agisce un altro enzima, APOBEC, che è una deaminasi, che deamina la citosina in uracile. Questo enzima è abbondante nelle nostre cellule e serve per combattere i virus però, se ci sono i chromosome bridges, agisce in maniera indiscriminata anche sul DNA genomico. Ecco perché nei tumori spesso si ha proprio questo pattern di mutazione che riguarda la citosina. Per evitare che le cellule tumorali vadano avanti ad accumulare mutazioni e possano diventare chemioresistenti, è molto importante sviluppare farmaci contro APOBEC. Tumori ereditari Gli studi molecolari hanno anche permesso di caratterizzare i tumori e sono stati molto importanti soprattutto per i tumori di tipo ereditario, che ricorrono frequentemente in una famiglia. Un caso è quello di Angelina Jolie, la quale nel 2013 ha pubblicato un articolo su New York Times rivelando che si era sottoposta ad un intervento di rimozione del seno e dell’utero perché aveva scoperto di avere una mutazione nel gene BRCA-1. Angelina aveva una probabilità altissima di sviluppare il tumore al seno (90%) e il tumore all’ovario (attorno al 50%). Proprio per questo la prevenzione, nel suo caso, è fondamentale per evitare l’insorgenza dei tumori. Ovviamente questo è stato importante per far capire alle persone che, se c’è un tumore frequentemente ricorrente in una famiglia, bisogna tenersi sotto controllo per evitare che il tumore insorga senza che ce ne accorgiamo e proceda in maniera indiscriminata. “DNA repair, genome stability and cancer: a historical perspective” L’articolo fornisce una prospettiva storica della scoperta della connessione tra riparazione del DNA e cancro. Già nel 1700 c’è un collegamento, anche senza avere idea dell’esistenza del DNA, tra la formazione dei tumori, che si pensavano essere dati da infezioni, e cause ambientali. A Londra un medico correlò l’insorgenza dei tumori scrotali nel giovani spazzacamino all’esposizione alla fuliggine. Non ci furono altri passi avanti fino al 1900, quando Boveri osservò un numero anomalo di cromosomi nelle cellule tumorali. Dopo la scoperta del DNA (1953) ci furono sempre più correlazioni tra DNA, accumulo di mutazioni e pathway di riparazione. Alcune malattie vennero accostate all’incapacità dei pathway di riparare il danno. Lo xeroderma pigmentosum, caratterizzato da alta sensibilità a UV e tumori, fu la prima malattia ereditaria a venir riconosciuta essere dovuta a difetti del pathway di riparazione. Da qui la presa di coscienza che nell’ambiente esistono sostanze che possono danneggiare il DNA. Dagli anni ’50 la cura principale per i tumori era l’asportazione del tumore e di molto tessuto circostante, andando ad impattare sulla qualità della vita del malato. La chemio era molto pesante, lasciava debilitato l’individuo e provocava tumori secondari, quindi Veronesi e la sua equipe iniziarono a pensare che forse gli interventi avrebbero dovuto essere meno impattanti e la chemio più leggera. Intorno agli anni ‘70 si pensava ancora che i tumori fossero trasmessi da virus. Negli anni ’80 si ha il primo concetto di oncogene studiando pRB, e successivamente quello di oncosoppressore studiando p53. Infine, si scoprirono i DNA damage checkpoint con studi fatti in S. cerevisiae. Nel 1974 venne istituito il test di Ames per stabilire cancerogeni e mutageni ambientali, in cui viene usato un ceppo di salmonella mutato nel gene dell’istidina che lo rende incapace di produrla. Il batterio viene coltivato in piastre addizionate del sospetto agente mutageno e le varie colonie vengono replicate in terreni che non presentano istidina. Normalmente le cellule muoiono ma se l’agente è mutageno danneggia il DNA e fa revertire il fenotipo che impediva al batterio di sintetizzare istidina da sé. Nel 1975 la ataxia telangiectasia fu riconosciuta essere dovuta ad un gene coinvolto nel DNA damage checkpoint. Le cellule dei pazienti erano sensibili alla radioterapia e avevano uno strano comportamento, non dovuto alle radiazioni ma al non riuscire a bloccare il ciclo cellulare in risposta ad esse. Alla fine degli anni ’90 vennero caratterizzati BRCA1 e BRCA2 e si scoprì la loro correlazione con il cancro ereditario al seno. Nel 21° secolo i tumori vengono sempre più caratterizzati molecolarmente e si è capita l’importanza di una terapia mirata. Questi studi sono stati importantissimi perché hanno permesso di sviluppare una serie di droghe che sono usate in maniera estremamente efficiente in chemioterapia e hanno permesso anche di sviluppare il concetto di terapia personalizzata perchè, a seconda del tipo di tumore, bisogna sapere le sue caratteristiche molecolari, sequenziarne il genoma e sviluppare delle chemioterapie che contengano degli inibitori che bloccano le caratteristiche proprie di quel tumore. • Inibitori delle CDK: non funzionano molto bene, anche se ultimamente sono stati usati inibitori delle CDK pattern 6 per il tumore al seno. • Abbiamo una serie di farmaci che attivano il sistema immunitario. • Se nel tumore è espresso il gene della telomerasi, si utilizzerà un mix di chemioterapia degli inibitori della telomerasi. • Se abbiamo infiammazione a livello del tessuto colonizzato dal tumore, dovremmo utilizzare dei farmaci che siano anti-infiammatori. • Se abbiamo stimolo di proliferazione dei vasi sanguigni, dobbiamo avere inibitori del VEGF. Danni al DNA Il DNA è una molecola fragile, soggetta a danni creati dall’ambiente acquoso nel quale è immerso, dallo stress ossidativo dato dai ROS e da metilazioni spontanee. Il ssDNA è più fragile del dsDNA. L’RNA è più resistente del DNA grazie al gruppo OH aggiuntivo che fa sì che la perdita di basi si abbia meno frequentemente. Il DNA nel nucleo è sempre legato da proteine che lo proteggono, nonostante in tanti momenti sia necessaria la presenza di DNA nudo, soprattutto durante la replicazione (nelle cellule proliferanti) o la trascrizione (in tutte le cellule). Le proteine che legano il DNA (istoni, fattori trascrizionali, proteine cromatiniche, shelterine) proteggono il DNA. Quando però il DNA è danneggiato le proteine di pathway di riparazione devono essere in grado di individuare e riparare i danni in un contesto cromatinico e in presenza di queste proteine. In totale ci sono circa 70 000 danneggiamenti per cellula per ora che vengono riparati. Danni endogeni • Idrolisi: l’acqua causa eventi di: - Deaminazione: la deaminazione più frequente è C→U e l’uracile viene riconosciuto dal sistema BER che porta a transizione da CG ad AT, spesso trovati in tumori e malattie ereditarie. La citosina metilata viene trasformata in timina, che non si appaia con la G ed esiste nel nucleo una timina-DNA-glicosilasi, che elimina la T appaiata in modo errato alla G. Il sistema BER è efficiente ma quando ci sono tanti eventi di deaminazione entra in crisi e fa sfuggire alcuni appaiamenti TG. Questi eventi causano mutazioni soprattutto nelle CpG islands, zone molto ricche in CG in corrispondenza dei promotori. - Depurinazione e depirimidinazione: portano alla formazione di siti abasici, che sono intermedi del pathway BER e sono prontamente riconosciuti dalle cellule. Quando c’è un sito abasico ci possono essere rotture di backbone fosfodiesterico a causa dell’evento spontaneo della β- eliminazione causata dall’acqua. Nel BER c’è la formazione di siti abasici quando enzimi Alcuni agenti che vengono utilizzati nelle chemioterapie sono: • Temozolomide (agente alchilante), utilizzato per la cura dei tumori neuronali, poiché oltrepassa la barriera ematoencefalica; • Nitrogen moustard che causa interstrand crosslink; • Nitrosuree (agente alchilante); • Droghe derivate dal platino che formano degli intrastrand crosslink, cioè interagiscono con la singola elica del DNA e poi possono formare degli interstrand crosslink e quindi interagire con entrambe le eliche. • Antimetaboliti, come 5-fluorouracile, che è un analogo di base, che può essere incorporato dalla polimerasi e blocca la replicazione. • Inibitori delle topoisomerasi • Inibitori delle telomerasi, che devono essere usati nel caso in cui i tumori riattivino la telomerasi. • Radiazioni: nelle radioterapie sono ampiamente utilizzati per curare certi tipi di tumore. Negli anni ‘50/’60, fino a poco tempo fa, le chemioterapie erano costituite da dosi massicce di agenti che causano danni al DNA e questo ha portato, fino agli anni 2000, ad uccidere le cellule tumorali ma ad avere anche delle conseguenze disastrose per l’individuo, poiché si è visto che i pazienti stavano male ed il malessere non era temporaneo ma causava un estremo dimagrimento e dei grossi problemi che andavano a scapito della cura stessa dei tumori, per cui adesso si usano delle chemioterapie personalizzate. Nel caso in cui il paziente sia affetto da tumore, si può chiedere di avere il sequenziamento delle cellule tumorali e di prassi vengono considerati alcuni parametri dei tumori e si usano delle terapie estremamente mirate. DNA damage response Tante diverse sono le mutazioni che può subire il DNA e tanto diversi sono i pathway di riparazione. Quasi tutti i geni coinvolti nei pathway di riparazione dei danni al DNA, se mutati, causano instabilità genomica, sono frequentemente mutati nei tumori, e molti sono associati a sindromi ereditarie molto gravi spesso caratterizzate da alta frequenza di tumori, da difetti nello sviluppo e difetti neurologici molto gravi. Ci sono geni come ligasi coinvolti nella riparazione ai tagli della doppia elica del DNA, abbiamo geni frequentemente mutati come BRCA 1 e BRCA 2 nei tumori ereditari al seno e ovaie. Ci sono anche geni coinvolti nel single-strand break repair che se mutati danno origine a malattie ereditarie che causano neuro degenerazione, ataxia e grossi problemi neurologici. Vedremo anche mutazione nel mismatch repair che causano tumori ereditari come il cancro al colon di tipo ereditario caratterizzato dall’assenza di polipi e inoltre ci sono anche mutazioni in geni (NHEJ) coinvolti nella riparazione dei tagli della doppia elica del DNA ma anche nella formazione degli anticorpi, mutazioni in questi geni causano oltre che radiosensibilità anche delle gravi forme di immunodeficienza di tipo ereditario. Ci sono geni del DNA damage response che se mutati causano delle sindromi caratterizzate da instabilità genomica e alta frequenza di tumori come linfomi, leucemie e così via. Gruppi epistatici Questi pathway sono stati studiati nel lievito S. cerevisiae e la genetica ha dato un contributo fondamentale in quanto son stati isolati moltissimi isolanti RAD (RADiation sensitive allele), che sono sensibili alle radiazioni ionizzanti e ultraviolette e sono stati poi suddivisi in diversi gruppi epistatici (un gruppo epistatico raggruppa geni che appartengono allo stesso pathway): un gene RAD mutato in un ceppo causa una certa sensibilità alle radiazioni ultraviolette; se noi abbiamo una mutazione in un altro gene RAD, per esempio RAD 10, questa conferirà una diversa sensibilità alle radiazioni ultraviolette. Se noi combiniamo queste due mutazioni in un’unica cellula, irraggiamo ed otteniamo esattamente la stessa sensibilità delle radiazioni ultraviolette delle singole mutazioni, allora i due geni appartengono allo stesso gruppo di epistasi, in quanto codificano per prodotti che agiscono per lo stesso pathway di riparazione dei danni al DNA. Dall’altra parte, un danno come un dimero di timina può essere riparato sia dalla reversione diretta del dimero mediante fotoliasi, sia grazie al nucleotide excision repair: la mutazione nel gene della fotoliasi causerà una certa sensibilità alla luce ultravioletta, non enorme perché abbiamo comunque il nucleotide excision repair che funziona; se mutiamo un gene nucleotide excision repair, quindi un gene RAD, abbiamo una sensibilità abbastanza grave. Se combiniamo le due mutazioni avremo ancora più sensibilità, perché abbiamo mutato ed eliminato entrambi i pathway che servono a S. cerevisiae per riparare i danni causati dalla luce ultravioletta. In questo caso, quindi, non possiamo mettere i due geni nello stesso gruppo di epistasi. Al contrario, se i geni fossero nello stesso gruppo epistatico, la loro combinazione avrebbe esattamente lo stesso effetto dei mutanti singoli, in quanto agiscono nello stesso pathway. In S. cerevisiae son stati catalogati alcuni geni appartenenti a 3 grossi gruppi di epistasi, conservati dal lievito fino all’uomo: § Gruppo di RAD3: si è scoperto esser costituito da tutti i geni, e quindi i prodotti, che agiscono nel nucleotide excision repair; § Gruppo di RAD52: è costituito da geni che agiscono nella ricombinazione omologa; § Gruppo di RAD6: è costituito da tutti quei geni che agiscono nella tolleranza al danno (post replicative repair). Riparazione diretta del danno Ultimamente sono molto studiati e rivalutati i sistemi di riparazione dei danni dovuti all’ossidazione del DNA. Nella riparazione diretta del danno sicuramente l’enzima più studiato è DNA fotoliasi, che ripara i dimeri di pirimidina ed è presente negli eucarioti fino ai marsupiali, mentre le specie successive l’hanno perso con l’avvento della pelliccia, che ripara dalle radiazioni ultraviolette. L’uomo, però, non ha la DNA fotoliasi ma non ha neanche la pelliccia, quindi l’esposizione diretta alla luce ultravioletta causa l’insorgenza di tumori alla pelle. La DNA fotoliasi, infatti, assorbe l’energia della luce nel visibile e la sfrutta per rompere i legami dei dimeri di pirimidina e ne sono presenti due isoforme, una che si occupa di riparare i dimeri di pirimidina (CPD) e l’altra che si occupa di riparare i 6-4 fotoprodotti. È stato fatto un esperimento interessante negli anni 2000 sui pathway di riparazione ai danni al DNA che sono stati condotti usando delle linee cellulari umane ma anche sui topolini transgenici KO e KI in cui veniva inserito il gene della fotoliasi: il topo transgenico KI con la fotoliasi che ripara dimeri di pirimidina (CPD) ha la pelle meno sensibile ai danni UV e non sviluppa tumori alla pelle (questi sono topi nude depilati ed esposti ai raggi UV). Questo non è vero nel caso del topo transgenico per la fotoliasi che ripara i 6-4 fotoprodotti e questo ci dice che, nel momento in cui abbiamo danni causati dalla radiazione UV, sono i CPD a causare l’accumulo delle mutazioni e ad essere carcinogeni rispetto ai 6-4 fotoprodotti, che sono meno numerosi e, distorcendo di più la doppia elica, vengono più facilmente riconosciuti rispetto ai CPD; questa è stata un’osservazione sicuramente molto interessante. Altri enzimi che rimuovono direttamente il danno sono le metiltransferasi, che sono degli enzimi suicida perché rimuovono il gruppo metilico da O6-metilguanina e lo trasferiscono a uno dei propri residui di cisteina, questo provoca l’inattivazione della metiltransferasi, che deve essere poi degradata. Ovviamente la loro azione è estremamente dispendiosa per la cellula perché la rimozione di questo metile provoca l’inattivazione della proteina stessa. Abbiamo anche altri enzimi che rimuovono gruppi metilici dalle basi dei DNA come, ad esempio, AlkB (alpha- keto-glutarato and iron-dependent oxigenase) che è un enzima inizialmente isolato e caratterizzato nei procarioti, in realtà è conservato anche negli eucarioti e ha come substrati 3-matilcitosina e 1 metiladenina, che sono delle modificazioni del DNA molto citotossiche che normalmente avvengono quando durante la trascrizione o replicazione si forma il single strand DNA. Riparazione per excisione I pathways di riparazione per escissione sono conservatissimi da E.coli fino all’uomo e sono raggruppati insieme perché sfruttano il fatto che l’informazione genetica è presente su entrambe le eliche del DNA per cui se c’è modificazione su una delle due eliche del DNA questa può essere rimossa utilizzando l’altra elica come stampo per non perdere l’informazione genetica. Vedremo che in tutti questi pathway ci sono alcuni fattori comuni: • Un complesso che riconosce il danno; • Un complesso proteico che taglia il DNA (endonucleasi); • Una esonucleasi; • Proteine match maker, che legano sia la proteina che riconosce il danno sia l’endonucleasi; Sindrome di Lynch È una malattia ereditaria correlata a difetti del mismatch repair, anche chiamata “hereditary nonpolyposis colorectal cancer o HPNCC”, cioè cancro al colon ereditario caratterizzato dall’assenza di polipi. È una sindrome di tipo autosomico dominante e purtroppo la comparsa di tumori al colon avviene in età molto giovane; è un tipo di malattia frequente che caratterizza fino al 5% di tutti i tumori al colon. Le cellule tumorali sono caratterizzate da un’estrema instabilità dei microsatelliti, che sono delle sequenze altamente ripetute, presenti nel nostro genoma, la cui lunghezza è abbastanza stabile. La scoperta che questo tipo di tumore ereditario fosse dovuto a difetti nel mismatch repair è dovuta ad una coincidenza, in quanto sulla Sindrome di Lynch lavorava il gruppo di Vogelstein negli Stati Uniti che, caratterizzando le cellule tumorali, si era accorto di questa estrema instabilità delle brevi sequenze altamente ripetute. Il gruppo di Kolodner invece fa ricerca di base, utilizzando come modello S. Cerevisiae, sul mismatch repair e stavano studiando diversi ceppi mutati e si erano accorti che mutazioni del mismatch repair portavano come conseguenza l’accumulo di mutazione ed, essendo il mismatch repair coinvolto nella riparazione di inserzioni o delezioni di una o poche basi, si erano accorti che mutazioni del mismatch repair portavano anche un’instabilità nella lunghezza delle sequenze di due o tre basi ripetute più volte. Casualmente, Vogelstein e Kolodner si trovarono allo stesso meeting e capirono che ci poteva essere una correlazione tra la ricerca di base di Kolodner e le osservazioni fatte da Vogelstein sulle cellule tumorali dei pazienti affetti da HPNCC. Si scoprì quindi che la sindrome di Lynch è dovuta a mutazioni nel mismatch repair. Nella maggior parte dei casi, il gene MSH2 ed MLH1 sono i geni mutati ma si sono trovate anche mutazioni in altri geni come MSH6 o PMS1 o PMS2. In realtà, nel 2013, si scoprì che un altro gene è coinvolto, che in realtà non sembrava avesse molto a che fare con il mismatch repair, ossia la metilasi SETD2. Il gruppo che conduceva questo studio lavorava sulle modificazioni istoniche e sul mismatch repair, ed il problema che si aveva era che il mismatch repair si può riprodurre in vitro, se si ha un plasmide con mismatch e si isolano le proteine coinvolte nel mismatch, si può avere riparazione in vitro del mismatch stesso. Se, però, questo plasmide ha assemblato gli istoni ed ha una conformazione cromatinica, non avviene riparazione, quindi le proteine del mismatch repair non riescono a riparare il mismatch in un contesto cromatinico. Si è quindi cercato di capire quale fosse la proteina in grado di rendere accessibile il mismatch. Altra osservazione è stata che alcune proteine dell’eterodimero MutS possiedono un dominio di legame agli istoni modificati, in particolare alla trimetilazione della lisina 36 nell’istone H3, modificazione istonica che avviene ad opera di SETD2, il quale agisce in tarda fase G1 ed in tutto l’inizio della fase S, rendendo di fatto più accessibile il DNA al complesso MutS in un contesto cromatinico. SETD2 è un enzima che serve per rendere il mismatch repair più efficiente nelle zone altamente trascritte, soprattutto durante la fase S, in cui c’è l’eventualità di inserzione di mismatch da parte delle DNA polimerasi. Quello che si è scoperto è che alcune linee cellulari derivate dai tumori di pazienti affetti da HPNCC sono mutate al SETD2; questa ricerca ha quindi rivelato una correlazione tra modificazione istonica e mismatch repair ed ha anche suggerito che durante la fase S esiste un meccanismo per cui il mismatch repair è più efficiente nelle zone eucromatiche a livello dei geni altamente trascritti, laddove un mismatch non riparato potrebbe portare all’inserzione di mutazioni che potrebbero essere deleterie per il gene trascritto. Base Excision Repair Si occupa di lesioni alle basi che non distorcono la doppia elica del DNA, in genere dovute ad ossidazione, eventi di deaminazione o di metilazione, che avvengono molto frequentemente (tra i 10 e i 2000 eventi al giorno), poiché il DNA si trova in un ambiente acquoso in cui vi sono molte ROS. Tutti i geni che sono coinvolti nel BER sono presenti in una o in duplice copia, in quanto sono dei geni essenziali per lo sviluppo dell’embrione ed ovviamente mutazioni di questi geni hanno delle conseguenze disastrose a livello di sviluppo del sistema nervoso e di stabilità del genoma. Il Base Excision Repair ha infatti molte connessioni con diversi aspetti del metabolismo cellulare: dall’instabilità genomica, all’insorgenza di tumori, ad una serie di connessioni anche con altri pathway di riparazione dei danni al DNA come il Nucleotide Excision Repair, mutato nei pazienti affetti dalla sindrome di Cockayne. Ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo del sistema neuronale, per cui viene studiato negli eventi di neurodegenerazione; ha un ruolo negli eventi di aumento del tasso di mutazione a livello somatico nel sistema immunitario. Il BER ha anche una connessione con la PARP (un enzima, poli ADP-ribosio polimerasi), in quanto aumenta l’attività di enzimi coinvolti nel BER. Il BER si occupa di danni molto diversi tra di loro, che vanno da deaminazione della citosina a dare uracile e timina, deaminazione dell’adenina a dare l’ipoxantina, eventi di ossidazione, soprattutto di t8-oxoguanina e il timinglicolo, ed eventi di metilazione ad opera della SAM. Si occupa anche di eventi di perossidazione lipidica delle basi che sono dovuti alle specie reattive dell’ossigeno. Come il mismatch repair, il primo step del BER è il riconoscimento della lesione e la rimozione della base errata ad opera di DNA glicosilasi che rimuovono la base danneggiata e creano un sito abasico. A questo punto, l’endonucleasi AP (AP sta per apurinic/apirimidinic) riconosce il sito abasico e taglia il legame zucchero-fosfato. In alcuni casi, le DNA glicosilasi stesse hanno un’attività liasica che porta alla formazione di un single-strand break in prossimità del sito abasico. A questo punto bisogna togliere lo zucchero rimanente: la polimerasi riempie il gap creato di una singola base o di più basi e quindi la ligasi rilega il DNA. Il BER si divide in due sotto-pathways: Ø Short patch Base Excision Repair: la DNA glicosilasi rimuove la base danneggiata (per esempio l’uracile, riconosciuto dalla uracil-DNA glicosilasi) a creare un sito abasico, che è riconosciuto da AP endonucleasi, che taglia in 5’ e recluta la DNA polimerasi del BER, che è POL β, che non solo è una polimerasi, ma è anche in grado di rimuovere il deossiribosiofosfato (quindi lo zucchero fosfato) che rimane dopo l’attività dell’AP. POL β a questo punto inserisce la base corretta e la ligasi 3, insieme a XRCC1, che fa da matchmaker, rilega il DNA che è a questo punto perfettamente riparato. Nello short patch BER solamente un nucleotide è sostituito ed inserito correttamente; Ø Long patch Base Excision Repair: una serie di DNA glicosilasi rimuovono le basi danneggiate, poi una AP endonucleasi taglia in 5’ e recluta POL β, che si lega ma poi lascia il passo alla DNA polimerasi δ o epsilon, che sintetizzano il DNA rimuovendo un flap, che deve essere tagliato da una flap endonucleasi (FEN1), con successivo legame della ligasi 1 e completa riparazione del DNA. DNA glicosilasi Le DNA glicosilasi sono monomeri, non hanno cofattori e sono state tutte molto caratterizzate e la loro struttura cristallografica è stata risolta. Si è visto che, similmente al dimero MutS (omodimero in E.coli ed eterodimero negli eucarioti), le DNA glicosilasi piegano leggermente il DNA in corrispondenza di una base danneggiata e, poiché abbiamo dei ponti ad H molto forti, la base può essere capovolta: avviene quindi un flipping della base danneggiata fuori dalla doppia elica del DNA, cosicché entra nel sito attivo della DNA glicosilasi, che taglia il legame glicosidico che la lega allo zucchero. Alcune DNA glicosilasi hanno anche attività AP-liasica, che è in grado di tagliare il backbone del DNA, però queste tagliano in 3’ e non hanno attività endonucleasica, perché tagliano tra il carbonio e l’ossigeno e non tra l’ossigeno ed il fosfato. Le DNA glicosilasi sono parecchie in S. cerevisiae, nell’uomo sono circa una decina e alcune sono specifiche: l’alkiladenina DNA glicosilasi rimuove una serie di modificazioni che implicano la metilazione o la perossidazione lipidica. Molte DNA glicosilasi rimuovono l’uracile, infatti si parla della superfamiglia delle uracil DNA glicosilasi. Molte DNA glicosilasi rimuovono basi ossidate, poi ci sono famiglie che rimuovono basi alchilate di diverso tipo. Esiste una DNA glicosilasi, OGG1, che è specifica per la rimozione dell’ 8-oxoguanina. Un’altra è invece specificatamente deputata alla rimozione dell’adenina che per errore è stata inserita di fronte all’8- oxoguanina, uno dei prodotti che derivano dall’ossidazione del DNA: l’8-oxoguanina viene sempre riconosciuta e rimossa dalle glicosilasi, se però l’ossidazione avviene massivamente e in tarda fase G1 o nella fase S, la sintesi viene rallentata per permettere al BER di rimuovere l’8- oxoguanina, ma le DNA polimerasi riescono comunque a replicare il DNA e inseriscono un’adenina di fronte all’ 8-oxoguanina, che se non viene corretta è una vera e propria mutazione. Per questo esiste una DNA glicosilasi di sicurezza, che riconosce l’adenina appaiata all’ 8-oxoguanina e la rimuove, inserendo la citosina per poi permettere alle glicosilasi di rimuovere l’8-oxoguanina. Se si fa il KO delle glicosilasi, essendo parecchie, i topi riescono comunque a svilupparsi e a nascere, proprio a dimostrare la loro ridondanza. In alcuni casi, dopo il KO, abbiamo un incremento della frequenza di mutazione e di incidenza di tumori, in particolare dei linfomi a cellule B. Al contrario, il KO della maggior parte degli enzimi del BER porta a letalità, come ad esempio nel caso di POL β. Tra l’altro un esperimento interessante è stato quello fatto per capire quale attività delle DNA polimerasi beta sia necessaria per lo sviluppo del topolino e a livello del BER. La DNA polimerasi β ha due attività: una desossiribosio fosfato liasica (in grado di rimuovere il ribosio e il fosfato) e una DNA polimerasica. Il KO è letale e le cellule che derivano dall’embrione non nato hanno un incremento del tasso di mutazione, vanno incontro ad apoptosi e sono ipersensibili ad agenti che metilano il DNA. I risultati ottenuti da questo esperimento sottolineano che ciò che è essenziale non è l’attività polimerasica di POL β, ma l’attività liasica e questo si è visto reinserendo nel topolino il dominio solo liasico o solo polimerasico: si è visto che il dominio liasico porta le cellule a non essere più sensibili ad agenti alchilanti. Non esistono malattie ereditarie caratterizzate da difetti nel BER e questo sottolinea la sua importanza nello sviluppo; è stato registrato un solo paziente con difetto nel BER, in particolare una mutazione della ligasi 1, e le sue cellule erano estremamente sensibili ad agenti alchilanti, presentavano un alto tasso di mutazione e instabilità genomica. Questo paziente oltre ad essere immunodeficiente, aveva enorme ritardo mentale e un tasso ridotto di sviluppo, ha avuto tantissimi tumori che lo hanno portato molto giovane alla morte. Sindromi ereditarie causate da difetti nel NER Esistono parecchie sindromi ereditarie causate da mutazioni in alcune proteine del NER. Le tre più famose e più studiate che hanno una frequenza maggiore nella popolazione umana sono: Ø Xeroderma Pigmentosum (XP): caratterizzato da un’estrema sensibilità alla luce solare, per cui i pazienti hanno macchie e sviluppano subito tumori alla pelle. Si è visto che i geni XP sono difettivi in entrambi i pathway del NER, quindi non attivano neanche il DNA damage checkpoint nel momento in cui subiscono delle lesioni che distorcono la doppia elica del DNA. L’essere difettivi per entrambi i pathway del NER e non essere in grado di attivare il DNA damage checkpoint in risposta alla luce UV, fa sì che l’instabilità genomica sia enorme. I pazienti XP sono caratterizzati da macchie nella pelle e negli USA sono stati creati dei centri dove vanno a vivere questi pazienti, che vivono di notte e durante il giorno sono vestiti con tute integrali (“Children of the moon”). Ø Cockayne Syndrome (CS): è una sindrome più grave di XP, perché è associata ad enormi ritardi dello sviluppo e ritardi neuronali, infatti spesso i pazienti muoiono in giovane età, anche se non sviluppano tumori e i bambini affetti dalla sindrome CS hanno un volto simile ad un uccello. Le cellule derivate da questi pazienti sono difettive solo nel TC-NER per cui, in seguito a radiazione UV, attivano il DNA damage checkpoint che blocca l’instabilità genomica di queste cellule. Le cellule, inoltre, non sono soggette ad alte incidenze di tumori, perché hanno grossi problemi trascrizionali, non riescono a sostenere una trascrizione tale da poter sopravvivere ed entrano in senescenza. Ø La Trichothiodystrophy (TTD): ci sono problemi nella trascrizione da parte dell’ RNA polimerasi. I pazienti sono sensibili alla luce solare, ma non abbiamo un’elevata frequenza di tumori. Inoltre, hanno caratteristiche molto particolari, dovute proprio al fatto che i geni nelle cellule quiescenti, che sono altamente trascritti, non vengono trascritti in maniera abbastanza efficiente. Hanno sia i capelli che le unghie molto fragili perché non abbiamo accumulo di cheratina. La pelle di questi pazienti è fotosensibile, molto secca e a scaglie e, similmente agli individui affetti dalla CS, sono caratterizzati da grossi problemi neuronali e ritardi nello sviluppo. L’esistenza di queste sindromi è ovviamente una cosa negativa, però per quanto riguarda lo studio del NER è stato un vantaggio in quanto, studiando fibroblasti derivati da questi pazienti, si sono isolati tutti i geni del NER e si sono ottenute molte informazioni su questo pathway di riparazione dei danni al DNA. Infatti, i geni del NER si chiamano XPA, XPE e così via perché i loro nomi derivano dal fatto che sono stati isolati grazie ai pazienti che portavano mutazioni in questi geni. Esperimenti per la scoperta del NER Si può facilmente identificare un difetto nel NER con un saggio chiamato UDS (Unscheduled DNA Synthesis: sintesi di DNA fuori dalla fase S): fibroblasti quiescenti in coltura che non si replicano e quindi non incorporano dei derivati dei nucleotidi trifosfato radioattivi; se irraggiamo con luce UV questi fibroblasti e poi gli diamo dei nucleotidi radioattivi, questi vengono incorporati a livello delle zone dove è avvenuto il NER, perché abbiamo il riconoscimento del danno. Questo viene facilmente identificato, tramite autoradiografia, con dei pallini in corrispondenza del nucleo della cellula irraggiata e che quindi corrispondono al punto in cui è avvenuto il NER. Se abbiamo, invece, una cellula derivata da un paziente XP, questa, anche se è stata irradiata con i raggi UV, non incorpora radioattività ed è difettiva nella UDS. Questo ha permesso di identificare e catalogare i vari pazienti XP, isolare le cellule e catalogarle mediante fusione cellulare, che ha rivelato l’esistenza di 7 gruppi di complementazione XP, che permettono di capire se due mutazioni sono nello stesso gene o in geni diversi: prendiamo fibroblasti da due pazienti XP (non sappiamo che gene sia mutato in questi due pazienti) e li fondiamo tramite vescicole lipidiche, se questi due pazienti hanno mutazioni nello stesso gene, la cellula di fusione risultante sarà difettiva nell’UDS e non sarà in grado di riparare i danni dovuti alle radiazioni UV. Al contrario, se i due pazienti portano mutazioni in geni diversi, fondendo i loro fibroblasti (che hanno un contenuto di DNA doppio), la cellula di fusione torna ad essere funzionale per l’UDS. Questo ha permesso di definire quanti geni XP ci fossero e di clonarli. Inizialmente il clonaggio è stato fatto in maniera laboriosa in quanto non si aveva idea di come clonare geni umani, ma era evidente che, invece di cercare un gene responsabile del difetto nell’UDS in tutto il genoma umano, sarebbe stato molto più facile verificare almeno su quale cromosoma mappasse questa mutazione: si era scoperto che, fondendo fibroblasti umani e CHO (Chinese Hamster Ovary), la fusione cellulare continua a proliferare ed espelle tutti i cromosomi umani tranne uno. Si sono isolati una serie di mutanti in CHO che fossero mutanti difettivi alla luce UV e sono stati chiamati ERCC (Excision Repair Cross-Complementing), le cui mutazioni hanno permesso di clonare i primi geni umani coinvolti nel NER. Considerando quindi le CHO fuse con i fibroblasti e la conservazione del singolo cromosoma umano, se questo conteneva il gene che complementava la mutazione in CHO, allora quelle cellule tornavano ad essere resistenti alla luce UV. A questo punto quelle stesse cellule venivano prese, veniva isolato il cromosoma umano presente e sequenziato, in modo da identificare il gene XP che complementava la mutazione del NER in CHO. I geni XP successivamente sono stati clonati direttamente utilizzando le varie library di tutto il genoma umano, piuttosto che in ultimo utilizzando il sequenziamento in toto del genoma dei pazienti. Una volta clonati i geni XP, CSA e CSB, lo step successivo è stata la purificazione delle proteine codificate da questi, a cui sono seguite la purificazione e la caratterizzazione biochimica, culminata nella ricostruzione in vitro del NER nel 1995, cosa fatta dal gruppo di Richard Wood che ha utilizzato un metodo in vitro per misurare l’efficienza del NER basato sull’incorporazione di nucleotidi radioattivi. Solo successivamente si è utilizzato un altro metodo sviluppato nel laboratorio di Sancar, sfruttando l’excisione di un frammento radioattivo vicino alla lesione. Nel saggio di Wood il plasmide che presenta la lesione viene incubato con le proteine del NER. Se avviene il Nucleotide Excision Repair e nella miscela di reazione ci sono dei deossinucleotidi (dNTPs) radioattivi, questi vengono incorporati a livello del plasmide, che risulterà radioattivo. Nel metodo di Sancar già nel plasmide viene incorporato anche un nucleotide radioattivo, così che, se avviene il NER, non si va a vedere il livello di radioattività a livello del plasmide, ma la presenza di un frammento contenente la lesione, che risulta radioattivo. Con questo metodo sono stati purificati tutti i fattori del NER, partendo da estratti di cellule HeLa, che sono stati fatti passare su colonne cromatografiche diverse con resine diverse, ma tutte con alta affinità per il DNA. Ad esempio, la fosfocellulosa: le proteine che legano il DNA legano anche questa colonna, mentre le proteine citoplasmatiche passano con il flowthrought. A questo punto la colonna viene “lavata” con dei tamponi a concentrazioni crescenti di sali, che permettono l’eluizione di tutti i fattori coinvolti nel NER. Le diverse frazioni sono state poi combinate in vitro e saggiate. Si è potuto dimostrare che, combinando FI e FII e FIII in vitro il NER poteva avvenire. Le frazioni sono state fatte passare attraverso altre colonne per separare i vari fattori tra di loro e si è visto che la FI può essere sostituita da RPA e PCNA, mentre la FII contiene tutti gli enzimi per la Nucleotide Excision Repair. Altri esperimenti sono stati fatti per capire se nel caso del NER esistesse un riparosoma già assemblato che viaggia lungo il DNA per riparare le lesioni che distorcono la doppia elica oppure se le varie proteine del NER si assemblassero in maniera sequenziale a livello della lesione. I risultati di esperimenti fatti in S. cerevisiae si sono rivelati contrastanti: da una parte l’esistenza di un supercomplesso sarebbe compatibile con una risposta rapida (nel momento in cui si irraggiano le cellule si ha subito l’incorporazione di nucleotidi radioattivi), ma il NER è formato da tante proteine, quindi se fossero già tutte preassemblate, sarebbe difficile scannerizzare il DNA e trovare la lesione. Quello che si è fatto è stato preparare dei costrutti di fusione tra le diverse proteine di NER ed il GFP per condurre esperimenti di FRAP (Fluorescent Recovery After Photobleaching): Ø Esperimento 1: vengono utilizzati complessi proteina+GFP, per capire se questa proteina sia libera di muoversi o meno. In generale, il raggio laser colpisce il fluoroforo che si eccita ed emette luce ad una certa lunghezza d’onda quando torna allo stato quiescente, ma se si utilizza il laser ad una intensità molto elevata, di fatto si brucia il fluoroforo, che non è più in grado di emettere fluorescenza. Se la proteina però è in grado di muoversi all’interno del nucleo, si avrà man mano uno scambio tra le proteine con il fluoroforo bruciato (bleached), che andranno in altre parti del nucleo, e quelle con il fluoroforo attivo, si troveranno nella zona che è stata irraggiata. Dopo un certo tempo si tornerà ad avere una certa fluorescenza, anche se non tornerà ai livelli di partenza, proprio perchè comunque alcune proteine sono state bleachate. Ø Esperimento 2: cellule fissate con paraformaledeide (forma crosslink con tutte le proteine che non sono più grado di muoversi nel nucleo), dopo il bleaching, la zona appare più scura. Se consideriamo delle cellule vive, non fissate e bruciamo una determinata area, controllando dopo un po’ di tempo, vedremo una fluorescenza diffusa: la proteina si è mossa velocemente e ha rioccupato la zona bleachata. In conclusione, questi esperimenti hanno rivelato che: 1. In vivo, le proteine del NER hanno mobilità compatibile con la massa e quindi non esiste un riparosoma: la velocità d movimento delle proteine è compatibile con il fatto che sono presenti nel nucleosoma come monomeri o al massimo come piccoli complessi di 3-4 proteine. La loro abbondanza è notevole, come la loro mobilità. 2. Nel momento in cui il DNA viene irraggiato da luce UV, queste proteine hanno una minore mobilità, proprio perché legano la lesione e si assembla il complesso del NER. Ma rimanevano delle questioni aperte, in particolare che riguardavano i primi step del NER, quelli di riconoscimento della lesione. Come abbiamo visto fin dall’inizio, il NER è in grado di riparare molte lesioni diverse fra loro. Le prime viste sono quelle causate dalla luce UV, i dimeri di pirimidina, i 6-4 fotoprodotti, ma anche causati dalle amine aromatiche derivate dagli scarichi industriali, delle auto, presenti nel fumo delle sigarette ecc., così come numerosi chemioterapici sono agenti che possono entrare nelle cellule, formare legami covalenti con le basi e formare distorsioni nella doppia elica del DNA (come il cis platino). Ricordiamo che non viene riconosciuta la singola mutazione, ma la distorsione della doppia elica. Ci sono diversi fattori che legano il DNA danneggiato, come XPA , XPC e UV-DDB; all’inizio ci si chiedeva chi agisse per primo a livello della lesione e quindi quale complesso proteico dovesse essere presente affinché poi gli altri venissero reclutati per riparare il DNA. Per rispondere a queste domande un metodo utilizzato era quello del Local UV Damage (LUD): si utilizzano dei fibroblasti adesi su Petri, sulle quali vengono messi dei filtri di policarbonato con dei pori, viene poi rimosso il terreno e le cellule vengono irraggiate con la luce ultravioletta: questa non oltrepassa il filtro di policarbonato, ma agisce solo attraverso i pori, in modo che il DNA venga danneggiato solo in queste zone. Double Strand Break Repair Il pathway della riparazione alla doppia elica del DNA è molto complesso e si suddivide in diversi sotto pathways, tanto che a volte viene considerato separatamente dal resto degli eventi della riparazione del DNA. Si parla delle 3R, importanti per la stabilità del genoma: Riparazione, Replicazione, e Ricombinazione. I tagli alla doppia elica possono avvenire anche in maniera endogena, all’interno della cellula, soprattutto durante la replicazione, oppure a causa di elementi esogeni, come le radiazioni, piuttosto che agenti radiomimetici o specie reattive dell’ossigeno, che intaccano l’elica del DNA. Inoltre, anche i single strand break possono essere convertiti in double strand break. I sotto-pathways principali, che a loro volta si dividono in altri sotto-pathways, sono: Ø Ricombinazione omologa (HR): è quel pathway, definito fedele, che è stato inizialmente studiato guardando la ricombinazione meiotica, che implica, durante la prima divisione, l’avvicinamento dei due cromosomi omologhi ed una endonucleasi specifica (SPO11) che taglia e questo taglio viene riparato tramite HR sfruttando l’omologia di sequenza dell’omologo che è lì vicino. Quindi nel ciclo mitotico la HR viene eseguita solamente nel momento in cui abbiamo i due cromatidi fratelli l’uno accanto all’altro (S/G2 e inizio della M). Quando i cromatidi iniziano a condensare in mitosi, non abbiamo più la possibilità di riparare il DNA, perché troppo compatto. Ø Non Homologous End Joining (NHEJ): implica l’unione, non fedele, delle due estremità del DSB. E’ un pathway più veloce, ma quasi sempre porta all’introduzione di mutazioni, delezioni o inserzioni di singola base o coppie di basi. Può essere eseguito in ogni fase del ciclo, ma è presente soprattutto nella fase G1. Gli studi su S.cerevisiae hanno messo in evidenza quanto efficace sia la riparazione dei DSB mediante elettroforesi pulse-field: tramite un campo elettrico su gel di agarosio a grana molto grossa, si possono separare i diversi cromosomi di S.cerevisiae. Se si trattano le cellule con bleomicina (che causa tagli alla doppia elica), sul gel si vede come il DNA sia completamente degradato dopo il trattamento. Ma se si toglie la bleomicina e si lasciano in coltura le cellule di lievito, dopo 24 ore è possibile vedere come queste siano state in grado di riparare tutti i tagli alla doppia elica. Inoltre, si può dire che le estremità dei DSB sono vicine durante la riparazione: se così non fosse avremmo una riparazione random e non avremmo più i cromosomi della stessa grandezza originale. In S.cerevisiae erano stati isolati anche dei mutanti RAD (Radiation Sensitive), divisi in tre gruppi di epistasi: uno di questi è il gruppo di RAD52, formato da geni coinvolti nella ricombinazione omologa e quindi nella resistenza ai tagli alla doppia elica del DNA, causati ad esempio dalle radiazioni ionizzanti. Si sono fatti esperimenti con centrifugazione su gradiente di saccarosio: in una provetta contenente una soluzione a concentrazioni diverse di saccarosio, alla sommità si pone il genoma di S.cerevisiae, si centrifuga ad una velocità tale per cui le frazioni cellulari si separano in base alla grandezza e si possono raccogliere le diverse frazioni. Misurando i livelli di radioattività, si vede che nel controllo non irraggiato il DNA si trova tra la 10° e la 15° frazione, mentre nel campione irraggiato esce con le ultime frazioni (30°), che significa che il genoma sia frammentato. Se lasciamo un tempo di qualche ora di recovery alle cellule irraggiate, si centrifuga e si vedrà che il DNA si trova nelle frazioni con un profilo identico a quello delle cellule non irraggiate. Questa cosa non si verifica con il mutante RAD52, dove si trova un DNA altamente frammentato, perché la cellule non è in grado di riparare il DNA. Nel momento in cui abbiamo un DSB, la riparazione può seguire due vie: Può essere processato dalle endonucleasi e avere l’esposizione di SS DNA 3’ protruding. A questo punto può seguire: • Single Strand Annealing (SSA) o Microhomology Mediated End Joining (MMEJ): sono processi estremamente error prone, che portano a riarrangiamenti del genoma, perché sfrutta la presenza di sequenze omologhe o identiche ripetute a monte o a valle del DSB. Nel momento in cui abbiamo resection ed esposizione di SS DNA 3’protruding, possiamo avere una annealing protein che porta all’appaiamento delle sequenze omologhe, ma avremo comunque la perdita di porzioni di genoma. • Può essere riparato tramite Non-Homologous End Joining (NHEJ) e quindi una veloce giunzione delle estremità , ma soggetta ad errori (error prone). Ricordiamo che questo processo può avvenire in ogni fase del ciclo cellulare, ma è il meccanismo preferito nella fase G1. • Ricombinazione omologa (HR): implica il processamento alle estremità da parte di esonucleasi e l’esposizione di ssDNA, a cui seguono diversi sottopathway: o Break-Induced replication (BIR) o Synthesis dependent strand annealing (SDSA), è il più seguito in mitosi, dove il ssDNA di una delle estremità invade il cromatidio fratello, con conseguente sintesi di DNA dell’estremità che ha invaso l’omologo; si anneala il DNA sintetizzato con l’altra estremità del DSB, che porta alla sua riparazione, che risulta così assolutamente fedele; o I classici pathway della ricombinazione omologa con la formazione della doppia holliday junction (DHJ); Inizialmente, quando negli anni 80 si iniziò a studiare con più dettagli la riparazione ai tagli della doppia elica del DNA negli eucarioti, si pensava che, mentre in S.cerevisiae si riparasse il taglio solo tramite HR, nelle cellule di mammifero si pensava che il DNA venisse riparato per NHEJ. In realtà questo non è vero perché il balancing tra i due pathway è identico in tutti gli eucarioti: S.cerevisiae ha una fase G1 molto corta e quando viene cresciuto in un terreno ricco di nutrienti, appena le cellule si dividono hanno una massa sufficiente per passare lo Start ed entrare in ciclo, in fase S. Questo significa che si avrà sempre una riparazione per HR, semplicemente perché le cellule sono per la maggior parte in fase S/G2 del ciclo cellulare. Al contrario, le cellule degli eucarioti superiori, soprattutto quelle umane, sono quasi tutte sempre in fase G1. Negli anni 90 altri lavori sempre su S. cerevisiae hanno rivelato che anche il lievito ha un pathway di NHEJ e i lavori di Jasin su cellule murine hanno rivelato la presenza di HR e quanto importante sia nel ciclo mitotico nelle cellule degli eucarioti: hanno utilizzato un saggio in cui viene introdotto in cellule di S.cerevisiae un plasmide che non ha omologia con il genoma di lievito e che può essere tagliato in diversi punti dagli enzimi di restrizione. Questo plasmide porta anche un gene auxotrofico, che permette la selezione delle cellule che l’hanno acquisito. Nelle cellule difettive per RAD52 questo plasmide viene introdotto, riparato e mantenuto nelle cellule di lievito, mentre nel caso di un doppio mutante per RAD52 e per una mutazione in un gene NHEJ KU70 (gene conservato nei mammiferi), non si ha riparazione del plasmide e quindi non viene mantenuto nelle cellule. Sempre in S.cerevisiae si è visto che i diploidi mutati per KU non sono sensibili alle radiazioni ionizzanti, ma rendono più sensibili i mutanti RAD52, indicando che il NHEJ da un contributo nella riparazione del DSB nel lievito Infatti, si è capito che il NHEJ può agire in qualsiasi fase del ciclo, ma ha un ruolo molto importante in fase G1 dove non abbiamo ricombinazione omologa, e invece in fase S e G2 dove abbiamo ciascun cromatidio vicino tra di loro, il DSB viene riparato sfruttando la “donor sequence” presente sul cromatidio fratello. Questi due pathway devono essere finemente regolati perché se avvengono in un momento sbagliato del ciclo cellulare abbiamo un’estrema instabilità del genoma: se durante la fase S abbiamo la formazione del DSB, che, invece che essere riparato tramite ricombinazione omologa viene riparato tramite NHEJ, il cromosoma può fondersi ad uno non omologo e questo dà instabilità genomica perché si ha la formazione di un cromosoma dicentrico e vari punti di rottura e fusione, con grosse perdite di porzione di genoma. Lo stesso avviene nel processamento di un DSB nella fase G1 del ciclo cellulare, dove la riparazione avviene o mediante MMEJ O SSA che determinano la delezione di grosse porzioni di genoma, evento estremamente citotossico per la cellula. Non Homologous End-Joining (NHEJ) La NHEJ implica un numero limitato di step per riparare i DSB, ed anche un numero limitato di proteine che agiscono, in realtà ultimamente sono stati scoperti una serie di fattori coinvolti nel NHEJ e coinvolti nella sua regolazione. Step del NHEJ negli eucarioti superiori: 1- Formazione del DSB; 2- Reclutamento del dimero Ku70/80 che tiene insieme le estremità; 3- Reclutamento e attivazione della DNA PK da parte del dimero Ku70/80; 4- Autofosforilazione della DNA PK e fosforilazione di una serie di substrati; 5- La DNA PK recluta la nucleasi Artemis, POL- mu, POL lamba e TdT che riempiono eventuali gap; 6- Reclutamento di XRCC4, XLF e DNA ligasi IV che permettono alla ligasi di riparare il DNA. Il NHEJ è coinvolto nella formazione delle immunoglobuline e questo come conseguenza ha che mutazioni implicate nel NHEJ portino a delle immunodeficienze severe come la RD-SCID, immunodeficienza severa associata a sensibilità alle radiazioni, questo perché la NHEJ sia nella VDJ recombination che nella class switch recombination. Proprio perché i DSB sono causati da ROS, radiazioni ionizzanti e radiazioni mimetiche (non da enzimi di restrizione che lasciano l’estremità piatta), queste, oltre a creare i DSB, modificano anche le basi intorno al taglio e quindi le nucleasi Artemis puliscono i DSB, i gap vengono riempiti da POL-mu e POL-lamba, eventualmente la TdT aggiunge anche dei nucleotidi e questo determina inserzione e delezioni di basi. Nei topi sono state fatte diverse delezioni nei geni di NHEJ e si è visto che quasi tutte determinano l’insorgenza della SCID nel topo, inoltre in uomo non sono state trovate mutazioni nei geni che codificano per il dimero Ku70/80, perché probabilmente sono mutazioni incompatibili con la vita. In compenso, sono • Early phase: il DSB viene processato tramite resection, delle endo- ed esonucleasi digeriscono il DNA ed espongono ssDNA 3' protruding, coordinate da elicasi e altri fattori accessori che ne regolano l'attività. In questa fase abbiamo l’invasione delle sequenze omologhe che servono come stampo per l'HR. Qui è importante l'azione delle SS binding protein e di recombinasi. • Possiamo avere poi la seconda fase di maturazione, che può cambiare nei diversi sottopathways. È una fase che può implicare l’appaiamento della seconda estremità del DSB, sintesi del DNA che copia il filamento omologo (donor template) per riparare il DSB e la struttura si trasforma in una double Holliday junction in alcuni casi, in altri casi abbiamo delle elicasi che risolvono questa struttura. • Nella late phase abbiamo risoluzione di tutte queste strutture e ligasi che lega il DNA e lo ripara. Sottopathways HR Negli altri casi abbiamo 3 diversi sottopathways della ricombinazione omologa propriamente detta e questi sono: La Break Induced Replication, la Synthesis Dependent Strand Annealing e la formazione della Double Holliday Junction con risoluzione che porta a riarrangiamenti dei geni fiancheggianti (in seguito a dei crossing over o non crossing over). Durante la fase meiotica la riparazione del DSB avviene sempre tramite la formazione della Double Holliday Junction che viene poi risolta grazie a delle nucleasi e, a seconda di come tagliano, possiamo avere eventi di non crossing over o crossing over. Questo pathway non è eseguito quasi mai nella ricombinazione mitotica, che serve a riparare dei DSB casuali e durante la quale il pathway più eseguito è quello della Synthesis Dependent Strand Annealing, dove non abbiamo mai riarrangiamento dei geni fiancheggianti, ma solo eventi di non crossing over. In questo pathway abbiamo processamento del DSB, esposizione di ssDNA 3' protruding, invasione del donor template, sintesi di DNA (utilizzando il donor template come stampo) e un complesso composto da elicasi e topoisomerasi risolve questa struttura e infine una ligasi rilega le estremità del DNA e riparazione del DSB. Questo è un pathway che viene eseguito in mitosi e il donor template è sempre il cromatidio fratello. In alcuni casi, una volta che avviene il DSB, se le estremità non sono vicine, il DSB viene processato, avviene la resection, il ssDNA 3' protruding invade il donor template e questa struttura (D Loop) porta a replicazione del DNA, infatti viene assemblata come se fosse una forca di replicazione per cui abbiamo il leading e il lagging strand e la replicazione va avanti fino alla fine del cromatidio. Riassumendo abbiamo DSB, che può essere riparato tramite NHEJ, può essere processato e riparato tramite SSA o MMEJ, oppure seguiamo la via della HR con 3 diversi sottopathways (Double Holliday junction, Break Induced Replication e Synthesis Dependent Strand Annealing). La HR viene sempre eseguita in meiosi e nel ciclo mitotico solo nel 10% dei casi. La HR è stata molto studiata a livello strutturale, studiando cellule meiotiche in cui la HR non riguarda i cromatidi fratelli, ma i cromosomi omologhi, che hanno geni simili ma con alleli diversi, e in questo caso, quando SPO11 taglia il DNA, abbiamo processamento e resection del DSB, esposizione del ssDNA 3' protruding che invade il cromosoma omologo e si forma il D Loop con la Holliday Junction e, nel momento in cui invadiamo un DNA, che in alcuni punti presenta delle differenze di sequenza, e si formano dei mismatch ed entrano in gioco le proteine, MSH4 e MSH5 che si occupano di mismatch che abbiamo durante la ricombinazione meiotica (viste nel mismatch repair). Tra l’altro, nel momento in cui abbiamo replicazione del DNA, avremo che il DNA che invade e che serve da innesto per la replicazione del DNA, copia l’informazione genetica dal donor template. Quindi taglio, invasione, sintesi del DNA, viene catturata la seconda estremità del DSB e viene processata e quando abbiamo la replicazione avviene a livello delle due estremità e formazione della doppia holliday junction. Quando abbiamo informazione copiata dal cromosoma omologo si parla di Gene conversion perché il cromosoma in cui avviene il DSB copia l'informazione dal donor template e quindi abbiamo una conversione da un allele all'altro, infine la holliday junction deve essere risolta da delle resolvasi, endonucleasi strutture specifiche, che legano e riconoscono questa struttura e a seconda del piano di taglio di questa struttura avremo crossing over o non crossing over. Per quanto riguarda la mitosi, vedremo che si preferisce non seguire la HR con la formazione di Holliday Junction per evitare riarrangiamenti delle zone fiancheggianti, che non dovrebbe essere un grande problema perché avviene tra i due cromatidi fratelli affiancati, ma in alcuni rari casi, soprattutto se il DSB avviene in zone ripetute del genoma presenti non solo in quel cromosoma, alcune volte la HR porta ad utilizzare nel ciclo mitotico un DNA omologo non presente sul cromatidio fratello, ma sul cromosoma omologo piuttosto che su altri cromosomi. Ovviamente se abbiamo riarrangiamento nelle zone fiancheggianti questo porta a instabilità genomica. Il primo step della HR e dei sottopathways è la resection: il processamento del DSB è un momento molto delicato perché la cellula decide se processarlo con NHEJ o HR, quindi è il momento in cui la cellula deve fare la giusta scelta per evitare di riarrangiare il suo genoma. Le proteine implicate nella HR sono diverse: nel momento in cui abbiamo DSB, questo viene protetto dall'eterodimero KU e viene legato da un complesso che ha alta affinità per le estremità del DSB che è il complesso MRN (costituito da Mre11, Rad50, Nbs1), regolato da una proteina che ha funzione regolativa, la CtIP, che lega le estremità del DSB e fa partire la resection, a questo punto intervengono le esonucleasi, Exo1 e Dna2, quest’ultima lavora insieme ad una elicasi che si chiama Bloom (BLM), esposizione del ssDNA 3' protruding che viene protetto della RPA e questo filamento viene legato da BRCA1, BRCA2 E PALB2 e questo legame comporta reclutamento di fattori ricombinativi, Rad51 e formazione del nucleo filamento che va a invadere una sequenza omologa. Il complesso MRN 11 (O MRE11) è costituito da 3 subunità, una con funzione strutturale che è Rad50, che ha un dominio globulare in N e C terminale, un dominio a metà proteina che forma un Hook che coordina lo zinco e due domini coiled coil che si avvolgono su se stessi tra il dominio globulare e il Zn Hook; a livello del dominio globulare abbiamo la formazione di un dominio ATPasico a cui si lega MRE11, che è una eso ed endonucleasi. Nbs1 invece è una proteina regolativa che contiene molti domini di interazione proteina-proteina e serve a reclutare altre proteine regolative come la chinasi ATM. Al complesso MRN si lega CtIP che attiva, una volta fosforilata dalla CDK, il dominio nucleasico di Mre11. Rad50 appartiene alla famiglia delle ABC-ATPasi (come le coesine) ed ha due proteine globulari nel C termine che si avvicinano tra di loro grazie ai coiled coil domain che costituiscono l'attività ATPasica . Mre11 si lega ai domini globulari e al dominio ATPasico, così come Mbf1. Lo Zn Hook Domain di Rad50 permette a due diverse molecole di Rad50, appartenenti a due diversi complessi MRN, di legare le estremità del DSB. Il complesso MRN ha un ruolo enzimatico grazie a Mre11 che ha una funzione nucleasica, ma anche un ruolo strutturale nel mantenere vicine le estremità del DSB e questo è molto importante per l’efficienza del DSB repair: se si irraggiano le cellule di S.cerevisiae, si ottengono inizialmente tutti i frammenti cromosomici, ma se si aspettano 10 ore, si torna ad avere i cromosomi “aggiustati” proprio grazie a queste strutture. Nel momento in cui abbiamo DSB, abbiamo legame e protezione delle estremità sia da parte dell’eterodimero KU che dal complesso MRN e questo è molto importante per o All’uscita dalla meiosi, in transizione metafase/anafase, con la degradazione delle cicline, si ritorna in una situazione in cui il balancing è a favore del NHEJ. Il DSB può essere quindi riparato attraverso pathway error prone, quali MMEJ e SS Annealing, ma è anche vero che, a seconda della fase del ciclo (a seconda quindi dell’attività di CDK), può seguire il NHEJ o la HR. Da un lato avremo fattori pro HR, come CtIP e BRCA1/2, mentre dall’altro 53BP1, PTIP e RIF1 regolano e bloccano la resection ed avremo riparazione per NHEJ. Questi ultimi fattori evitano anche che si ricorra a pathway estremamente mutagenici, quali il MMEJ o il SSA. Durante il normale ciclo mitotico, il pathway che viene seguito principalmente è il SDSA (Synthesis- Dependent Strand Annealing), che implica l’invasione da parte del ssDNA nel cromatidio fratello, può avvenire o meno il second-end capture, e questa struttura viene risolta da delle elicasi che fanno parte di un complesso chiamato dissolvasoma. La SDSA è il pathway che viene seguito nel 90% dei casi nella fase S e G2/M del ciclo cellulare: resection, invasione, sintesi del DNA e dissolution di queste strutture, la ligasi lega il DNA e lo ripara definitivamente e non si verificano eventi di crossing-over delle zone fiancheggianti la lesione. Solo nel 10% dei casi dopo il second-end capture, le resolvasi tagliano le double holliday junction e si possono avere eventi di crossing-over. Sister Chromatid Exchange Test: saggio per analizzare eventi di crossing-over in mitosi Si coltivano le cellule in presenza di BrdU, che viene incorporata nel DNA al posto della timina. Si aggiunge colcemide (o basse dosi di nocodazolo), che blocca le cellule in metafase. La BrdU sarà incorporata solo su un filamento di ciascun cromatidio fratello (1° ciclo mitotico M1). Nella fase S del 2° ciclo mitotico M2, uno dei due cromatidi fratelli avrà un filamento normale (senza aver incorporato BrdU) e l’altro avrà entrambi i filamenti con incorporata la BrdU. Con una tecnica di colorazione standard (GIEMSA) il DNA con entrambi i filamenti con BrdU si colora meno intensamente dell’altro cromatidio (con un solo filamento con BrdU incorporata). Se si sono verificati eventi di crossing-over tra i due cromatidi fratelli, si vedranno quelli che vengono chiamati “cromatidi arlecchino” con zone più chiare ed altre più scure. Se questo scambio avviene tra cromosomi non omologhi, si ha riarrangiamento genico. Quali sono i complessi che processano le Joint Molecules? Il complesso più importante del ciclo mitotico è quello che serve a dissolvere queste strutture senza eventi di crossing-over (si verificano solo eventi di non-crossing-over) e si chiama complesso BTR, costituito dall’elicasi di BLOOM (BLM), la Topoisomerasi III e ad altre due subunità regolative, RMI1 e 2. Senza l’azione di BLM, le joint molecules in tarda fase G2/inizio fase M vengono processate dal complesso SLX-MUS, costituito da SLX4, che fa da piattaforma per le esonucleasi SLX1, MUS81, EME1 che servono a tagliare queste strutture. In tarda fase M, se non agiscono né il complesso BRT né SLX-MUS, agisce un’altra resolvasi GEN1, che funziona come monomero. Il complesso di dissolution BTR è quello che agisce per primo e risolve il 90% delle strutture derivate dalla SDSA, dando prodotti di NON Crossing-over; su quelle poche strutture che non vengono risolte, prima di entrare in fase M (devono essere tutte risolte, altrimenti si avrà rottura dei cromatidi fratelli al momento della segregazione!), agiscono le resolvasi SLX-MUS; solamente alla fine della fase M viene attivata YEN1, che agisce come backup per eliminare quelle joint molecules che sono rimasto e che tengono uniti i bridges tra cromatidi fratelli e, se non risolti, causano rottura dei cromatidi fratelli. Il complesso BTR è un complesso elicasico che dissolve la singola o doppia Holliday junctions e porta ad eventi solo di non crossing-over. Il complesso Mus81 e Mms4 (coordinato da SLX4) e YEN1 sono endonucleasi specifiche che tagliano l’holliday junctions e possono dare prodotti o di crossing over oppure non crossing over. Questo non porta riarrangiamento dei geni adiacenti perché la ricombinazione omologa dovrebbe avvenire tra i due cromatidi fratelli con sequenza identica, però ogni tanto nella ricombinazione omologa, anche se avviene durante la fase S quando i cromatidi fratelli sono vicini tra di loro, avvengono degli eventi di crossing-over, con perdita di eterozigosi, il che può essere un problema quando abbiamo una cellula che è mutata in entrambi gli alleli di p53. Questa regolazione delle dissolvasi e resolvasi è stata studiata molto finemente in S. cerevisiae. Questo grafico riporta l'attività nucleasica delle resolvasi: mentre YEN1 è attiva, defosforilata, dalla transizione metafase-anafase fino alla fase G1, alla transizione G1-S le CDK+ciclina di fase S fosforilano pesantemente YEN1 e la disattivano; al contrario, Mus81 viene lievemente fosforilata, in particolare la subunità regolativa Mms4, durante la fase S-G2, perché in questa fase agisce il complesso BRT, poi alla transizione G2-M la CDK+ciclina di fase M e la PLK1 che fosforilano pesantemente Mms4 e attivano Mus81, che quindi può agire su quelle joint molecules che non sono ancora state dissolte da bloom e topoisomerasi. Al contrario, nel momento in cui abbiamo la transizione metafase-anafase e si attiva APC-CDC20 e poi nella tarda anafase APC-Cdh1, con l'attivazione della fosfatasi cdc14, oltre ad una serie di substrati che servono all'uscita della mitosi, defosforila anche YEN1, che quindi è attiva per risolvere le ultime joint molecules. È ormai chiaro che l'assenza della resolvasi porta ad instabilità genomica, così come la loro iperattività nella fase S/G1 del ciclo cellulare. Osserviamo degli esperimenti fatti su cellule Hela, in cui sono stati silenziati i geni delle resolvasi, in particolare il complesso SLX4, che coordina SLX1 e Mus81, e anche YEN1, si vede che queste cellule silenziate, se vengono trattate con delle basse dosi di cisplatino: - Le cellule wt riescono a riparare i danni causati da cisplatino, che forma danni che vengono normalmente riparati NER, ma se questi avvengono durante la fase S, il cisplatino blocca la forca le applicativa e causa anche Double Strand Break che vengono riparati per ricombinazione omologa e le cellule wt stanno bene, riescono a ripararsi e ad andare avanti nel loro ciclo cellulare. - In assenza delle resolvasi abbiamo cromosomi completamente anomali, arrangiamenti genomici massicci, e molte cellule presentano gli anaphase bridges, che sono proprio delle joint molecules non risolte in anafase, che portano alla rottura di queste joint molecules in telofase, e anche la formazione di micronuclei che sono un’indicazione di instabilità genomica. Questo sottolinea l'importanza delle resolvasi nel mantenere la stabilità del genoma e anche l'importanza della loro regolazione nel ciclo cellulare. causate da difetti nel NER, infatti la stessa mutazione può portare a sintomi clinici molto differenti, per cui bambini che nascono con dei grossi problemi fisici, ritardi mentale, grave anemia, leucemia e cancro in giovane età e altri invece conducono una vita abbastanza normale. Questo ha portato a studi sui topolini, la risposta alla prima domanda è stata che le aldeidi sono la causa maggiore degli interstrand crosslink endogeni e derivano dalla detossificazione dell'alcool, da qui la raccomandazione a non abusare con le sostanze alcoliche, ma anche da degli eventi endogeni come la demetilazione degli istoni o la perossidazione dei lipidi. Le aldeidi vengono in genere detossificate dall'aldeide-deidrogenasi (ALDH2) e si è scoperto che la quantità di aldeidi che sono presenti nella madre quando ha un feto che ha la mutazione nei geni di Fanconi, determina la gravità del fenotipo dell' embrione, addirittura determinano anche letalità embrionale o meno. Sono stati utilizzate mamme (murine) che avevano mutazione nell’aldeide deidrogenasi e paragonate a mamme che invece presentavano il gene wt. Entrambe portavano nel loro ventre dei topi con mutazione nel pathway di Fanconi. L’aldeide-deidrogenasi detossifica l’aldeide ad acetato e l’aldeide, oltre che a provenire dalla dieta (nei topi no), possono provenire in maniera endogena dal metabolismo materno, oppure possono accumularsi dalla fermentazione della flora intestinale. L’aldeide in una mamma ALDH2 wt viene detossificata ad acetato per cui sono in una concentrazione molto bassa che permette la nascita di un feto mutato nel pathway di Fanconi, che avrà problemi a livello del midollo osseo e di anemia, potrà sviluppare tumori, però comunque nasce. Un mamma con mutazione in ALDH2 non permette lo sviluppo di un embrione mutato nel pathway di Fanconi e quindi abbiamo letalità embrionale. Questo esperimento spiega chiaramente che il genotipo materno influenza il fenotipo degli embrioni. È importante sottolineare che in Asia c'è una diffusione elevatissima di un allele dominante negativo dell'aldeide-deidrogenasi (ALDH2*2) che non funziona, infatti gli asiatici non riescono a reggere l'alcol e questo è alla base del fatto che l’anemia di Fanconi non sia molto diffusa in Asia. Esiste una droga, ALDA-1, che invece stimola l'aldeide deidrogenasi, infatti è stata introdotta in clinica per migliorare la vita dei pazienti affetti dall'anemia di Fanconi. Studi recenti hanno rivelato come questo a pathway di Fanconi abbia tante implicazioni non solo nei riguardi della riparazione interstrand crosslink a livello nucleare, ma, essendo costituito da almeno 22 diversi geni, ha crosstalk con diversi aspetti del metabolismo cellulare, per esempio le cellule ematopoietiche staminali di pazienti affetti hanno un signaling del Transforming Growth Factor-ß (TGF-ß) molto elevato, che porta alla perdita della staminalità e quindi anche a sbilanciamento tra non homologous end joining e ricombinazione omologa. Si è visto che, inibendo i pathway del TGF-ß, si ha un incremento della sopravvivenza delle cellule staminali ematopoietiche e un miglioramento delle condizioni di vita di questi pazienti. In più, si è scoperto che alcune proteine del core complex agiscono anche a livello citoplasmatico, ad esempio nel pathway della virofagia che serve per eliminare i virus in circolo e anche per coinvolgimento nella mitofagia, che è quel pathway che elimina eventuali mitocondri danneggiati. Tolleranza al danno In alcuni casi, soprattutto quando i danni sono parecchi e i diversi pathway sono efficienti ma non riescono a far fronte a tutti, si va incontro a tolleranza: le cellule preferiscono tollerare il danno e andare avanti nel ciclo cellulare oppure decidere di riparare il danno in una diversa fase del ciclo. Questo può essere molto pericoloso perché porta ad una cellula che va avanti nel ciclo, anche in presenza di danno. Questo può avvenire, per esempio, nelle cellule embrionali, dove un blocco del ciclo cellulare può portare alla perdita del programma dello sviluppo dell’intero embrione, può essere un meccanismo adottato dalla cellula per riparare il danno in una fase del ciclo migliore. In particolare, i danni in fase S vengono tollerati e non riparati per essere poi riparati nella fase G2 del ciclo cellulare, questo perché un blocco della forca replicativa può portare alla rottura del DNA, per cui la cellula preferisce tollerare il danno e ripararlo tramite pathway di escissione nella fase G2. I pathway di tolleranza al danno sono diversi abbiamo una serie di polimerasi specializzate per tollerare la lesione e andare avanti nella sintesi del DNA e sono: polimerasi translesione che riescono a sintetizzare il DNA anche se lo stampo è danneggiato. Poi abbiamo il template switching e regressione della forca replicativa che si basano sulla ricombinazione omologa per tollerare il danno e andare avanti nel ciclo. È ormai chiaro che le cellule tumorali sono soggette ad uno stress replicativo notevole e questo perché quando inizia la cellula ad impazzire replica velocemente, causando diminuzione del pool di nucleotidi nella cellula e quindi problemi a livello delle forche replicative, perché le polimerasi hanno pochi nucleotidi e si possono arrestare. Lo stress si ha anche quando il tumore viene identificato, inizia la chemioterapia, e queste cellule tumorali sono soggette a danni al DNA e stress. Questo stress provoca accumulo di DSB in fase S e una serie di anomalie a livello dei cromosomi, quindi si ha un accumulo di mutazioni che sono vantaggiose per le cellule tumorali e portano il tumore ad essere sempre più invasivo e metastatico. Da qui l’importanza di studiare i meccanismi di tolleranza al danno per eliminare le cellule tumorali, che vengono adottati nel momento in cui la DNA polimerasi si blocca sul templato davanti ad un danno. A questo punto possono essere seguite diverse strade: ● Template switch: abbiamo la forca che si arresta e quindi l’invasione del DNA neosintetizzato sull’altra elica, sintesi del DNA, poi bloom ed il dissolvasoma, che spela questa struttura e la replicazione va avanti. Il danno non viene riparato, ma è mantenuto e viene tollerato. Quindi il template switch è uno scambio di templato; ● Altro pathway che può essere seguito è quello in cui agiscono delle polimerasi translesione che inseriscono uno o più nucleotidi di fronte alla lesione e poi lasciano spazio alla DNA polimerasi per continuare la replicazione del DNA; ● Re-inizio della replicazione del DNA a valle del danno. Rimane un gap a livello del danno che può essere riparato alla fine della fase S/ G2 del ciclo cellulare per template switch o per sintesi translesione L’azione della ricombinazione omologa per riparare un danno può essere di diverso tipo, e può essere anche influenzato da dove si trova il danno che blocca la forca replicativa. La scelta del tipo di pathway può dipendere da dove si trova la lesione, sul lagging o leading strand. - Quando si trova sul lagging strand la replicazione del DNA si può bloccare di fronte alla lesione ma generalmente va avanti comunque, perché si apre la forca replicativa e rimane un gap al livello del danno, mentre viene sintetizzato un nuovo frammento di Okazaki. Poi questo gap viene riparato o tramite template switch o tramite sintesi translesione. - Nel momento in cui la lesione si trova sulla leading strand è più grave per la cellula, perché la sintesi non determina la formazione di frammenti ma è una sintesi continua, per cui possiamo avere il template switch o sintesi translesione o anche regressione della forca, che avviene quando il DNA non sintetizzato della leading e della lagging formano una doppia elica del DNA, la forca regredisce e si vengono a creare delle strutture chiamate chicken foot. A questo punto la polimerizzazione delle leading va avanti, utilizzando la lagging strand, dopo di che si ha la risoluzione di questa struttura con bypass della lesione. - Se questo non succede e non abbiamo tolleranza al danno, spesso la forca che si blocca vicino alla lesione fa sì che si abbia rottura del SSD e riparazione mediante Break Induced Replication. Una sorgente endogena di stress replicativo sono i Chromosomal Fragile Site (CFS), zone del nostro genoma difficili da replicare perché hanno delle strutture particolari che possono essere conformazioni di tipo non b, zone ricche in G, oppure zone altamente trascritte con formazione di loop ibridi di RNA-DNA. I CFS si dividono in comuni e rari e sono circa un centinaio nel genoma umano, i Common Fragile Site sono presenti quasi in tutti gli individui nella popolazione. In condizioni normali non sono un problema né sono soggetti a rottura della doppia elica del DNA, ma lo sono se sottoposti a uno stress replicativo che può essere indotto in vitro, o se sono cellule tumorali. Infatti, sono spesso dei siti riarrangiati nei tumori, e da qui l’interesse negli ultimi anni nello studio del CFS. Invece i Rare Fragile Site sono punti del genoma che sono presenti e subiscono DSB solo in una percentuale bassa della popolazione, intorno al 5%, e spesso sono associate a malattie rare gravi, quali ad esempio la sindrome dell’X fragile, che è la causa più comune di ritardo mentale di tipo ereditario. Sembra che in questi punti dove non si può avere tolleranza al danno abbiamo l’azione della nucleasi MUS81 che taglia il DNA e permette il riparo del DNA. Sintesi translesione La sintesi translesione è ad opera di polimerasi che riescono a sintetizzare il DNA in presenza di danni (TLS polimerasi). Sono presenti in tutti gli organismi e sono in genere divise in due classi, quelle che inseriscono il nucleotide di fronte al danno e quelle che allungano il DNA oltre questo nucleotide. Fino ad un 20 anni fa si conoscevano negli eucarioti soltanto le polimerasi principali, quelle replicative, però, con il sequenziamento del genoma umano sono state scoperte tutte le diverse polimerasi translesione: Pol- η ha azione sui dimeri di pirimidina; Pol-ζ serve per allungare il DNA dopo che una polimerasi della famiglia Y inserisce i nucleotidi di fronte alla lesione; Pol-θ sembra essere importante nelle cellule; Pol-ι è importante nella sintesi translesione, come Pol-k; Pol-λ e Pol-μ hanno un ruolo nel NHEJ; Pol-ν serve per la riparazione degli Interstrand crosslinks; infine abbiamo Rev1, la Terminal deossi-Trasferasi (TdT) e PrimPol, quest’ultima studiata perché sembra avere un ruolo importante nelle cellule tumorali. polimerasi trans-lesione, ossia Rev3, che è in grado di allungare dei primer non perfettamente appaiati con il templato. È PCNA che coordina tutti i pathways di tolleranza al danno durante la replicazione del DNA e infatti PCNA viene modificato post traduzionalmente dopo che abbiamo blocco della sintesi del DNA dopo l'avvertimento di un danno. PCNA può essere sumoilato, mono-ubiquitinato e poli-ubiquitinato, nessuna di queste modifiche porta a degradazione di PCNA, al contrario queste modificazioni regolano i pathways di polimerizzazione trans-lesione: - La sumoilazione serve per reclutare Srs2, un'elicasi che impedisce la ricombinazione omologa, la regressione delle forche e il template switching. - La mono ubiquitinazione serve a reclutare le polimerasi Y che a loro volta reclutano Rev1 e il complesso Pol-Z. - La poli-ubiquitinazione avviene tramite l'ubiquitin ligasi Ubc13 e anche Rad5 e fa sì che si abbia tolleranza al danno grazie a dei pathway di ricombinazione omologa come la regressione delle forche o template switching. Il meccanismo di tolleranza al danno è molto studiato e continuamente vengono isolati nuovi fattori coinvolti ed è noto che le cellule tumorali utilizzano moltissimi i meccanismi di tolleranza del danno. Tutti gli enzimi e i fattori coinvolti nel meccanismo possono suscitare interesse per sviluppare nuovi farmaci utilizzati in chemioterapia. Per esempio, qualche anno fa è stato isolato ZRANB3, una traslocasi, che è essenziale per i meccanismi di tolleranza al danno che richiedono la ricombinazione omologa e infatti permette la regressione delle forche e il template switching. PCNA viene considerato come il motore centrale del meccanismo di tolleranza al danno ed è chiamato anche "toolbelt" (cintura degli attrezzi degli operai), con diverse polimerasi associate che agiscono a seconda delle situazioni. È da sottolineare che, mentre un tempo si pensava che le polimerasi trans-lesione agissero durante la replicazione del DNA, ora si è capito che abbiamo due “modelli alternativi” a seconda delle condizioni e del numero di danni la cellula utilizza un pathway piuttosto che un altro: Nel primo modello la polimerasi si blocca di fronte ad una lesione e subito PCNA viene ubiquitinato e la polimerasi trans-lesione interviene e sintetizza di fronte alla lesione e agisce subito Rev3 (polimerasi replicative). In altri casi l'apparato replicativo si posiziona a valle della lesione e solo alla fine della replicazione del DNA abbiamo le polimerasi trans-lesione che vengono caricate da PCNA ubiquitinato che rimane bloccato a livello della lesione e interagiscono e sintetizzano il DNA in questo gap. Ultimamente è stata caratterizzata un'altra polimerasi translesione, PrimPol, che ha attività anche di priming: tutte le DNA polimerasi, anche quelle trans-lesione, per polimerizzare il DNA hanno bisogno di un innesco (tranne il complesso della DNA polimerasi α che contiene la DNA primasi). PrimPol non ha bisogno del primer al 3’-OH ma ha attività primasica intrinseca, non utilizza i nucleotidi ma i dNTPs per sintetizzare il primer. Inizialmente si pensava avesse un ruolo solo nei mitocondri, dove il metabolismo ossidativo fa sì che i mitocondri siano più esposti ai ROS: se il DNA mitocondriale viene danneggiato pesantemente, le polimerasi translesione sistemano la situazione. PrimPol ha un ruolo anche a livello nucleare nel momento in cui la forca replicativa si ferma davanti ad una lesione e ultimamente si è visto che PrimPol ha in realtà un ruolo di backup nel momento in cui la replicazione del DNA si ferma davanti ad una lesione: PCNA viene modificato, abbiamo l’azione di polimerasi trans-lesione o se PCNA viene ubiquitinato abbiamo tolleranza al danno grazie a dei meccanismi ricombinativi (recombinasi Rad51 e altri fattori) e possiamo avere regressione delle forche, queste strutture possono essere subito attaccate da nucleasi endogene e per cui sono sempre protette da BRCA1 e BRCA2, che hanno un ruolo importante per proteggere queste strutture (regressione delle forche o template switch). Per esempio, se i tumori che derivano da mutazioni in BRCA1 e in BRCA2 vengono trattati con agenti chemioterapici come il cisplatino, questo forma delle strutture che vengono riparate dal NER, però se abbiamo una cellula tumorale che prolifera molto velocemente a questo punto dobbiamo avere meccanismi di tolleranza al danno ed eventi di regressione delle forche, ma se non abbiamo BRCA1 e BRCA2, le nucleasi attaccano queste strutture e questo porta a morte cellulare. Il problema è che spesso con l’andare del tempo, quando abbiamo diverse dosi di cisplatino, alcune cellule diventano resistenti alla chemioterapia e questo è un grosso problema perché il tumore può metastatizzare. Nel caso di cellule che sono mutate in BRCA1, si è visto che queste cellule esprimono PrimPol e questo pathway di tolleranza al danno viene sbilanciato verso l'azione di PrimPol che sintetizza il DNA a valle del danno. Questo è un dato molto interessante e dopo questa pubblicazione, PrimPol è stato scelto come enzima da enti di ricerca per trovare degli inibitori da utilizzare in tumori BRCA1 e 2 difettivi resistenti al cisplatino. La diversità immunitaria Nel momento in cui abbiamo un antigene nel nostro corpo, si attiva una risposta umorale in cui abbiamo anticorpi specifici, derivanti da cellule B, che riconoscono l'antigene, abbiamo la formazione del complesso antigene-anticorpo e i macrofagi che inglobano da una parte il complesso e distruggono l'antigene e dall'altra l'attivazione della cascata del complemento che implica l’azione di diverse proteasi e se poi la antigene fa parte di una cellula, l’azione del complemento culmina con la lisi della cellula e attiva la cascata trasduzionale anche a cellule circostanti. Poi abbiamo la risposta cellulare mediata dalle cellule T dove abbiamo una cellula bersaglio che si difende degradando l'antigene e lo presenta sulla sua superficie grazie al complesso maggiore di istocompatibilità, l'antigene viene riconosciuto da un anticorpo che è a livello cellula T killer e abbiamo il legame antigene-anticorpo e di nuovo e cascata di trasduzione del segnale. Gli anticorpi sono da 106 a 108 nel nostro organismo, ma non ci sono ovviamente tutti questi geni che codificano per gli anticorpi, ma ci sono frammenti genici che vengono combinati nei diversi linfociti per formare le catene pesanti o leggere degli anticorpi. Le catene leggere e catene pesanti si combinano grazie a ponti disolfuro a formare l'anticorpo e abbiamo anche la zona variabile che implica il legame all’antigene e la zona costante. La porzione variabile è quella che contatta l'antigene e contatto dopo contatto subisce delle mutazioni (gli anticorpi hanno elevata mutagenesi somatica) e diventa sempre più affine per l’antigene. Abbiamo due loci per le catene leggere e uno solo per le catene pesanti. Le catene leggere appartengono alla famiglia kappa e lambda. Il locus H contiene i frammenti genici per formare la catena pesante. Nel caso delle catene leggere per formare la catena finale, dobbiamo avere un evento di ricombinazione somatica. Al contrario dobbiamo avere due eventi di ricombinazione somatica per le catene pesanti. Di fatto nella catena leggera abbiamo un'unica ricombinazione VJ (un frammento V viene ricombinato con un frammento J), mentre nelle catene pesanti abbiamo dei frammenti D inframmezzati da frammenti V e J. Locus catena leggera lambda Per quanto riguarda il locus della catena leggera lambda, questo gene è caratterizzato da un leader, un introne, diversi frammenti V e frammenti J e la porzione costante. Abbiamo un solo evento di ricombinazione somatica che porta alla giunzione del frammento V e J e a questo punto possiamo trascrivere e tradurre il gene finito e abbiamo quindi eventi di trascrizione, splicing e produzione della proteina. Questo evento di ricombinazione deve essere tale per cui viene mantenuto il frame di lettura del gene e quindi in un solo caso su 3 abbiamo un evento produttivo che porta alla produzione finale della catena leggera. da resolvasi dei trasposoni batterici. Infatti, esiste l’ipotesi che il sistema immunitario si sia evoluto a causa di infezioni virali. Una volta avvenuta questa reazione si ha il taglio al dsDNA con l’estremità codificante, vicina al frammento V, che ha una struttura a forcina, mentre l’estremità segnale è piatta, poi circolarizza e viene degradata. A questo punto il frammento V e J-C devono essere uniti: le estremità vengono legate e tenute vicine dalle proteine del NHEJ, quindi dal dimero Ku70/80 e da DNA-PK che funge da ponte, che oltre a tenere vicine le estremità, evitano anche che le nucleasi digeriscano il DNA. Il DNA-PK recluta Artemis che taglia la forcina in modo random, questa si apre e delle polimerasi inseriscono i nucleotidi per rendere le estremità piatte perché possa agire la ligasi che lega le due estremità. Per riempire queste estremità agiscono le polimerasi translesione, che inseriscono nucleotidi anche errati. Quando avviene la ricombinazione (VDJ recombination) abbiamo anche la terminal deossinucleotide transferasi che può aggiungere random nucleotidi all’estremità del taglio. Quando le polimerasi translesione completano l’estremità, otteniamo due estremità che possono essere legate tra loro grazie a ligasi del NHEJ, cioè la ligasi 4 e XRCC4, che serve per legare e quindi ripristinare la sequenza del DNA. Solamente se viene mantenuto il codone si può avere anche la traduzione e la formazione di una catena, pesante o leggera che sia. Riassunto: le estremità segnale vengono appaiate tra loro con lunghezze diverse. RAG1/2 riconoscono le estremità segnale e tagliano il DNA creando estremità codificanti a forcina e delle estremità tronche che vengono subito legate da ligasi 4 e XRCC4, viene eliminata una porzione di genoma circolarmente chiuso. Queste estremità vengono mantenute vicine grazie al dimero KU70/80 e DNA-PK. Artemis taglia il DNA, le polimerasi translesione μ e λ riempiono le estremità ed eventualmente la terminal deossitransferasi aggiunge nucleotidi random all’estremità finché diventano piatte e si ha di nuovo XRCC4 e ligasi 4 che legano il DNA nuovamente. Nel momento in cui ci sono i riarrangiamenti possiamo anche avere trascrizione dei geni perché sono organizzati con un promotore inattivo prima dei frammenti V che diventano attivi quando c’è V(D)J recombination e gli enhancer che si trovano in corrispondenza delle zone costanti possono attivare il promotore. Solo nel momento in cui il riarrangiamento è stato produttivo abbiamo esclusione allelica che impedisce ulteriori riarrangiamenti a livello di altri alleli o loci. Abbiamo quindi la formazione della catena leggera e pesante e dei primi anticorpi, che saranno delle IgM perché a livello della catena pesante la porzione costante è la μ. Class switch recombination A livello del locus della catena pesante si ha class switch recombination, ricombinazione di tipo somatico con perdita di porzione di genoma. VDJ recombination e class switch recombination sono gli unici esempi in cui si ha taglio programmato nel genoma e ricombinazione che porta a perdita di porzioni di genoma. Fino a qualche tempo fa non si conosceva bene questo meccanismo e ancora oggi non è del tutto chiarito: si sa che le varie porzioni costanti (μ, δ, α, γ, ε) sono precedute da una sequenza S, a livello del quale avviene la ricombinazione: nel momento in cui abbiamo ricombinazione una porzione di genoma viene persa e abbiamo un passaggio da una Ig ad un’altra. A livello del linfocita in esame non possiamo tornare ad avere IgM perché si è persa la parte di genoma che porta la posizione costante delle IgM: si può andare avanti ad avere le altre immunoglobuline ma non si può tornare indietro. Le regioni S sono corte sequenze che vengono trascritte e a livello di questi trascritti sterili, non codificanti per proteine, avviene il taglio del dsDNA. Le regioni S hanno lunghezza variabile, a differenza delle sequenze segnale riconosciute da RAG1/2, hanno lunghezza di 1-10 kb, hanno ripetizioni di sequenza però sono anche spesso degenerate, quindi non conservate come quelle riconosciute da RAG1/2 e sono ripetizioni spesso invertite. Queste sequenze S sono circa 2 kb a monte di ciascun segmento genico della catena pesante, devono esser trascritte perché si abbia formazione di dsDNA break in punti diversi all’interno di S. Abbiamo promotori I a monte delle regioni S che sono importanti perché permettono la trascrizione delle diverse sequenze costanti a seconda delle condizioni in cui si trova l’organismo e delle Ig che serve produrre. In figura è già avvenuta la ricombinazione VDJ e in questo caso si ha produzione di IgM e trascrizione di zone S a monte di μ. I trascritti non vengono tradotti ma servono perché avvenga il taglio a livello del genoma, a monte, in questo caso, di μ ed ε. Una volta avvenuto il taglio, una porzione di genoma viene perso e si ha la formazione di una nuova catena pesante dell’anticorpo, che produrrà una IgE. Il taglio avviene grazie ad un processo complesso in cui l’enzima AID (Activation Induced Citidin Deaminase), che è una citidina deaminasi e agisce sul ssDNA (per questo è necessaria la trascrizione delle sequenze S) e deamina la citidina a uracile, il quale viene riconosciuto dalla DNA glicosidasi UNG che crea un sito AP. Qui agisce il mismatch repair in grado di riconoscere siti AP, taglia il DNA e a questo punto NHEJ lega le estremità. Per questo nelle sequenze S abbiamo sequenze ripetute spesso invertite che formano strutture a forcina. Nel filamento che viene trascritto, lo stampo, non si forma l’estremità a forcina ma in queste zone il ssDNA agisce AID che fa sì che le citosine vengano deaminate e quindi UNG agisce, forma un sito AP, poi interviene MMR che taglia il DNA. Ipermutazione somatica AID agisce anche a livello dell’ipermutazione somatica che si ha a livello delle zone variabili delle catene leggere e pesanti delle immunoglobuline. Normalmente la frequenza di mutazioni nel genoma è bassa grazie alla fedeltà degli enzimi di replicazione e al MMR che viaggia insieme alla forca replicativa. A livello delle zone variabili di catene pesanti e leggere aumenta tantissimo soprattutto in prossimità dell’inizio della trascrizione dei geni delle catene pesanti e leggere, perché agisce un meccanismo simile alla VDJ recombination: AID che deamina le citidine e poi MMR (che riconosce il misappaiamento tra uracile e guanina) o BER che agisce togliendo l’uracile. In questo caso la riparazione per qualche motivo non è fedele e si ha introduzione di mutazioni. Quindi si ha aumento delle mutazioni a livello delle zone variabili degli anticorpi. Il processo viene stimolato quando il linfocita produce un anticorpo che funziona contro quell’antigene e quindi viene stimolato a proliferare, produrre anticorpi e aumenta l’affinità di questi diversi pathway di riparazione dei danni al DNA che in questo caso specifico producono mutazione. Moltissimi geni del NEHJ sono mutati in malattie ereditarie che sono caratterizzare da immunodeficienza molto severa. La malattia SCID è caratterizzata anche da radiosensibilità perché abbiamo mutazione di geni del NHEJ, come Artemis, DNA-PK e altri, abbiamo problemi a livello della produzione di Ab, morte cellulare delle cellule B e T perché RAG1 e 2 tagliano a livello dei frammenti di V D e J ma senza riparazione, ritardo della crescita, dello sviluppo, microcefalia, ritardi neuronali e anche altissima incidenza di tumori, tra cui leucemie linfoidi. I pazienti SCID si curano con il trapianto di midollo e in seguito bisogna stare attenti a non usare radioterapia a causa dell’estrema sensibilità. Da qui anche l’importanza di identificare tutti i fattori del meccanismo per capire i problemi dei pazienti e come insorgono le varie leucemie. fenotipo terminale: le cellule irraggiate con Rad52, che è una proteina essenziale per la riparazione dei tagli alla doppia elica, non riescono non riescono a riparare i tagli alla doppia elica, muoiono ma senza formare delle microcolonie nella fase G2, mentre un mutante come RAD9 forma delle microcolonie morte Un ulteriore controllo che RAD9 sia un mutante in un gene coinvolto nel DNA damage checkpoint è il fatto che se un mutante RAD è sensibile alla radiazioni UV perché è difettivo nel DNA damage checkpoint (e non nei pathway di riparazione) se artificialmente si arresta il ciclo cellulare e si permette alle cellule di RAD9 di riparare il DNA, allora si è in grado di sopprimere il fenotipo di RAD9. Se si prendono delle cellule di RAD9 e si irraggiano, si formano delle microcolonie di cellule morte (cellule che procedono nel ciclo cellulare, fanno qualche divisione ma poi muoiono perché replicano e segregano il DNA pesantemente danneggiato), se, invece, le cellule si irraggiano e si tengono nel nocodazolo, che impedisce l’entrata in mitosi e la divisione cellulare, per un tempo sufficientemente lungo per permettere la riparazione dei danni, queste non formano più microcolonie ma cellule vive. Con questi esperimenti si sono isolati una serie di RAD coinvolti nei DNA damage checkpoint e alcuni erano già conosciuti, come Rad9, Rad17, Rad24, Rad53, altri sono stati screenati come mutanti che peggioravano il fenotipo di mutazioni in geni coinvolti nella replicazione del DNA: sono stati chiamati MEC, che sta proprio per “Mitotic Entry Checkpoint”, perché codificano per proteine il cui C-termine è essenziale per il DNA damage checkpoint, il blocco della mitosi e risposta ai danni al DNA (MEC1=chinasi apicale ATM). Un’altra osservazione è che esistessero dei pathways attivi nel bloccare il ciclo cellulare in risposta ai danni al DNA: furono utilizzati trattamenti con caffeina, che inibisce in maniera specifica le chinasi apicali dei DNA damage checkpoint ed esperimenti di fusione con delle cellule già in mitosi. Questi esperimenti hanno dimostrato che le cellule con il DNA pesantemente danneggiato, se trattate con la caffeina piuttosto che fuse con cellule che erano già in mitosi, condensano i loro cromosomi ed entrano in mitosi. Da qui, l’identificazione di tutti i vari geni coinvolti nel DNA damage checkpoint ed anche che il DNA damage checkpoint si divide in diversi step: abbiamo dei sensori del danno, dei mediatori che servono per sentire meglio il danno, trasduttori del segnale e una serie di effettori, che portano a delle modificazioni della trascrizione del genoma, riparazione del DNA, blocco del ciclo cellulare. Se i danni sono molti e ingenti, vi è l’inizio dei fenomeni di senescenza e di apoptosi. Si è visto che molti di questi geni codificavano per delle proteine che sono in grado di monitorare i diversi tipi di danni al DNA. Poi abbiamo mediatori e protein-chinasi (RAD53 e MEC1). RAD53 è la chinasi che trasduce il segnale, che Chk2. Il lievito S.Cerevisiae è stato utilissimo per capire l’interdipendenza di tutti questi geni. Questo è stato possibile grazie a dei saggi molto semplici che si possono fare in laboratorio, trattando le cellule per passare le diverse fasi del ciclo cellulare. Per quanto riguarda il checkpoint G1/S, dopo aver bloccato le cellule con α-factor, le cellule nuovamente entrano in fase S e questo si può vedere osservando la comparsa di una piccola gemma che man mano diventa più grossa. Se queste cellule, dopo aver lavato l’α-factor, vengono irraggiate con raggi UV, avremo subito l’entrata in fase S. Al contrario, per guardare il checkpoint in G2/M, si bloccano le cellule con il nocodazolo. Nelle cellule wt, appena si lava via il nocodazolo, finiscono in fase M e separano i nuclei in cellule figlie e cellula madre e si dividono. La percentuale delle cellule uninucleate decrementa notevolmente. Il checkpoint intra-S può essere monitorato bloccando le cellule lavate nell’α-factor, che normalmente sono wt: l’α- factor entra molto velocemente in fase S e le cellule replicano velocemente il DNA. Al contrario se le cellule, dopo averle lavate con l’α-factor, le lasciamo nel mezzo di coltura con metansolfonato, rallentano notevolmente la fase S del ciclo cellulare. Fattori coinvolti nel DNA Damage Checkpoint Sono stati isolati e caratterizzati diversi fattori coinvolti nel DNA damage checkpoint e si è visto che vi sono una serie di proteine che sono sensori del danno al DNA, tra cui le chinasi apicali, ATM ed ATR, ma anche altri fattori come un anello simile a PCNA, chiamato PCNA 911 complex. Questo complesso viene caricato sul DNA dall’ RFC-like complex, dove RFC è quel complesso nella replicazione del DNA che serve per caricare PCNA sul DNA all’inizio della replicazione. Vi sono, inoltre una serie di mediatori del segnale che portano a modificazioni della struttura della cromatina e abbiamo l’amplificazione del segnale grazie alle chinasi trasduttrici Chk1 e Chk2. Infine, abbiamo degli effettori molto importanti che sono p53 e la fosfatasi Cdc25 (target del DNA damage checkpoint per rallentare la progressione del ciclo cellulare). Le chinasi apicali sono ATM e ATR e sono una classe di chinasi molto particolari che appartengono alla classe delle fosfatidilinositolo-3-chinasi, a cui appartengono altre chinasi che hanno un ruolo fondamentale nel metabolismo cellulare. ATM è mutata nei pazienti affetti da Ataxia telangiectasia e risponde ai tagli alla doppia elica del DNA e viene reclutata dal complesso MRN. ATR risponde ad un ampio spettro di danni al DNA, perché ciò che attiva ATR non è un danno specifico, ma è il ssDNA ricoperto dall’RPA. Il fatto che ATR abbia una risposta più ad ampio spettro riguardo ai danni che l’attivano, è dimostrata dal fatto che ATR è un gene essenziale, mentre ATM può essere mutato e le mutazioni portano all’Ataxia telangiectasia. In realtà, alcune mutazioni sono state trovate in ATR e non annullano completamente la sua attività chinasica, ma ne diminuiscono l’attività. Queste mutazioni sono state trovate in pazienti affetti dalla sindrome di Seckel, caratterizzata da instabilità genomica, ritardo nello sviluppo e grave neurodegenerazione. In seguito a tagli della doppia elica, abbiamo il complesso MRN che lega il taglio, con due o più molecole di Rad50, a livello del dominio globulare N-C-terminale del quale vi è un dominio ATPasico, il legame di Mre ad Nbs e il legame di ATM che, in condizioni di assenza di danni al DNA, è un dimero inattivo a livello del nucleoplasma. Nel momento in cui lega Nps1, abbiamo un’alta fosforilazione di ATM e attivazione. ATR risponde ad un più ampio spettro di danni al DNA e risponde al processamento delle lesioni o al blocco della forca replicativa. Di fatto, risponde a due fasi in cui abbiamo il ssDNA che viene ricoperto dall’RPA e recluta ATM-ATRIP, che si attiva e fosforila una serie di substrati. Vi sono altri mediatori del segnale e sensori dei danni al DNA, tra cui il complesso 911, PCNA-like, che lega il DNA e in particolare la giunzione tra ssDNA e dsDNA. Serve per attivare pienamente il DNA damage checkpoint ed è reclutato a livello del DNA. Il suo reclutamento non dipende da ATR, ma dipende dal complesso RFC-like. Il comportamento è simile a PCNA: PCNA viene caricato sul DNA per rendere processiva la replicazione del DNA, grazie al complesso RFC e al consumo di ATP. Questo esperimento è condotto in S. Cerevisiae ed è possibile vedere un singolo taglio a livello del genoma di S. C. e, nel momento in cui abbiamo il double strand break, il complesso 911 localizza a livello del double strand break e vediamo un pallino che corrisponde al complesso 911, che arriva a livello del double strand break. Nel momento in cui abbiamo il ssDNA ricoperto da RPA e ATR-ATRIP, il complesso RFC- like carica il complesso 911 sul DNA. ATR fosforila sia il 911 che il complesso RFC like. Abbiamo un reclutamento di un adattatore che è un mediatore Rad9, che viene fosforilato a sua volta da ATR e forma degli oligomeri che reclutano la chinasi di trasduzione del segnale (Chk2). un tumore di tipo maligno grazie proprio al DNA damage checkpoint. Il cancro, infatti, può essere proprio considerato come una malattia di ciclo cellulare e malattia del DNA damage response: l’insorgenza di una cellula tumorale deriva da un accumulo di una serie di mutazioni che la rendono tumorale, invasiva e metastatica; quindi, l’instabilità genomica e la non riparazione dei danni al DNA che si trasformano in mutazioni, sono alla base della tumorigenesi. Infatti, tra le caratteristiche base della cellula tumorale abbiamo danni al DNA e stress replicativo che porta all’instabilità genomica nei tumori sporadici in cui possiamo avere una mutazione che attiva un oncogene e porta all’inizio di una rapida proliferazione che stressa la cellula, stressa la replicazione del DNA e porta all’accumulo di mutazioni e da qui stress replicativo e dei checkpoint ai danni al DNA. In alcuni casi la cellula attiva il DNA damage checkpoint ed entra in senescenza ma in molti casi abbiamo instabilità genomica e progressione tumorale. Nel momento in cui abbiamo un oncogene attivo e mutazioni in un oncosoppressore o comunque mutazioni che portano una cellula a una rapida proliferazione è ormai chiaro che questa iper proliferazione iniziale delle cellule porta a uno stress replicativo, accumuli di double e single strand break, che attivano il DNA damage checkpoint e sono la prima barriera contro lo sviluppo dei tumori. Una volta però che la cellula diventa tumorale avrà una forte pressione selettiva nell’accumulare mutazioni e spegnere il DNA damage checkpoint e andare avanti a proliferare nonostante lo stress. A questo punto per curare i tumori una delle strategie è creare degli agenti che danneggiano il DNA delle cellule tumorali e agiscono efficacemente sulle cellule tumorali (anche se danneggiano il DNA di qualsiasi cellula) perché le cellule tumorali hanno ritmo di divisione maggiore rispetto alle cellule normali per cui dividere la cellula velocemente rende le cellule tumorali più sensibili ad agenti che danneggiano il DNA. Quello che si è visto è che se in contemporanea ad agenti che danneggiano il DNA, trattiamo un paziente anche con degli inibitori del DNA damage response a questo punto sensibilizziamo la cellula agli agenti che danneggiano il DNA e curiamo più efficacemente i tumori; per cui i fattori coinvolti nel DNA damage response sono dei possibili target per la chemioterapia. Dopo un po’ che il checkpoint è attivo abbiamo tutta una serie di fattori, tra cui le fosfatasi ma anche le polo chinasi che portano l’adattamento al danno e allo spegnimento del DNA damage checkpoint. Ovviamente questi fattori devono essere inibiti per evitare la progressione tumorale, infatti questi fattori sono stati studiati per identificare degli inibitori di questi fattori da usare in chemioterapia. Se questi fattori non agiscono pienamente e abbiamo piena attivazione del DNA damage checkpoint, un’altra pressione selettiva è lo spegnimento del DNA damage checkpoint e quindi spegnimento grazie a mutazioni nei geni del DNA damage checkpoint. Se la cellula tumorale accumula mutazioni, tantissimi fattori coinvolti nell’adattamento al danno si trovano over espressi nelle cellule tumorali tra cui la polochinasi stessa e l’over espressione della polochinasi 1 è indice di cattiva prognosi. Questo meccanismo è stato studiato benissimo nel lievito S. cerevisiae ma è attivo anche nelle cellule umane dove la fosfatasi Wip1 serve proprio per defosforilare e spegnere di DNA damage checkpoint e numerosi tumori non difettivi in p53 hanno proprio Wip1 over espresso e infatti è oggetto di studio per identificare farmaci che ne inibiscono l’attività nelle cellule tumorali e soprattutto nei tumori avanzati che sono chemio- resistenti. KO di Wip1 porta alla formazione di topolini con minore incidenza tumori anche se in realtà Wip 1 è gene essenziale e quindi hanno altri difetti. Da qui l’importanza di studiare la DNA damage response e il DNA damage checkpoint perché vogliamo sapere come le cellule tumorali rispondono ai danni al DNA e come si può indurre la morte cellulare utilizzando agenti che danneggiano il DNA ma anche in contemporanea altri agenti che inibiscono i pathway di riparazione ai danni al DNA o di risposta ai danni al DNA e quindi portano più rapidamente le cellule tumorali alla morte e non le cellule fiancheggianti. Riparazione dei danni e tumori Moltissime proteine coinvolte sia nei pathways di riparazione dei danni al DNA che nel DNA damage checkpoint, si trovano frequentemente mutate nei tumori. BRCA1 e BRAC2 sono dei geni responsabili di due tumori ereditari, al seno e all’ovario. Ricordiamo anche RAD51 è mutato nei tumori. Tutti i fattori coinvolti nel DNA damage response si trovano mutati nelle cellule tumorali, ma questi stessi fattori possono essere target di chemioterapia per sensibilizzare le cellule tumorali ai danni al DNA. Da un lato abbiamo visto che la cellula tumorale ha una pressione selettiva enorme per avere delle mutazioni che fanno sì che aumenti la sua instabilità genomica, non si arresti il ciclo cellulare e che vada avanti a proliferare continuamente, anche in presenza di danni e stress replicativo. Da qui il fatto che molti tumori hanno mutazioni in geni del DNA damage response. Dall’altro lato, però, questi geni non vengono tutti mutati, ma avremo mutati alcuni pathways. Per sensibilizzare le cellule tumorali alla chemioterapia, è importante anche avere delle droghe che blocchino i geni del DNA damage response. Il fine della ricerca è quello di avere una chemioterapia che sia efficace contro i tumori e che non sia devastante per l’individuo, per garantirgli una buona qualità di vita. L’idea adesso è di capire, tumore per tumore, quali geni sono funzionanti e quali mutati e adottare delle chemioterapie personalizzate che vadano ad agire efficacemente contro le cellule tumorali, permettano la vita di tutte le altre cellule e non inducano ulteriori mutazioni nelle nuove cellule. E’ importante sapere quali geni del DNA damage response sono mutati in un certo tumore perché, ad esempio, se abbiamo una cellula tumorale che porta mutazioni in p53, ovviamente questa non presenta la risposta late che blocca il ciclo cellulare, ma ha ancora Chk1 e Chk2 che funzionano e la risposta veloce di inibizione di Cdc25 funziona. Funziona in risposta alla radiazione, una radiazione che permette di agire sulla massa tumorale e non su tutto il corpo dell’individuo. Questa radiazione porta ad un arresto del ciclo cellulare, l’attivazione dei checkpoint e l’attivazione della risposta veloce e si ha un arresto del ciclo cellulare e delle cellule tumorali. Ovviamente, quello che succede è che se noi, insieme alla radiazione, diamo un inibitore di Chk1, induciamo nelle cellule tumorali (che non hanno p53) la catastrofe mitotica. Le cellule intorno al tumore non avranno mutazioni in p53, per cui se noi le irraggiamo e diamo l’inibitore di Chk1, può essere che ci sia comunque Chk2 in cellule sane che funziona, che attiva p53 e abbiamo arresto del ciclo cellulare. In questo modo possiamo usare delle radiazioni più basse combinando la radiazione con gli inibitori di Chk1 e, quindi, da lì l’importanza di sapere se tumore porta mutazioni in p53 o meno. Nelle cellule tumorali che hanno p53 mutato possiamo utilizzare, oltre che alle radiazioni, anche un inibitore di Wip1 che permette il mantenimento del DNA damage checkpoint e impedisce lo spegnimento. Si è visto che combinando l’irradiazione con fattori come la Nutlin (un fattore pro-apoptotico), abbiamo una maggior sensibilizzazione delle cellule tumorali, che vanno in apoptosi. La ricerca va verso terapie personalizzate e da questo punto di vista lo studio dei pathways di riparazione dei danni al DNA e soprattutto del DNA damage checkpoint si è rivelato essenziale per identificare nuovi farmaci che siano in grado di uccidere le cellule tumorali e che siano innovativi. Abbiamo una serie di inibitori che bloccano il DNA damage checkpoint e, alcuni di questi, sono già sotto trial, mentre altri sono già usati. Ora si stanno sfruttando le caratteristiche delle cellule tumorali, che le rendono diverse dalle cellule “normali”. Due di queste caratteristiche, che sono le più comuni di tutti i tumori, sono lo stress replicativo e la perdita del omeostasi del sistema redox: nelle cellule tumorali abbiamo un accumulo enorme di specie reattive dell’ossigeno e un grande stress ossidativo, mentre lo stress replicativo è dovuto al fatto che sono cellule tumorali e hanno una replicazione ed un ciclo cellulare molto veloce che portano ad un decremento del pool di deossinucleotidi ed un rallentamento delle forche con accumulo di ssDNA o dsDNA. La cellula tumorale ha anche un altro stress ossidativo, che fa sì che si accumulino basi ossidate che vengono incorporate a livello del DNA, quindi il BER funziona molto bene nelle cellule tumorali, per abbassare questo stress ossidativo e permettere la replicazione del DNA e la proliferazione delle cellule. Gli enzimi del BER infatti sono stati studiati per sviluppare dei farmaci da usare in chemioterapia ma, in realtà, dato che il BER è essenziale a livello neuronale, gli inibitori delle proteine del BER non sono mai stati introdotti in clinica per curare i tumori. Si è visto che esiste un enzima, chiamato MTH1, che agisce pesantemente sull’ 8-oxo-dGTP e ne impedisce il suo accumulo a livello del DNA. Questo enzima è over-espresso spessissimo nelle cellule tumorali, per cui si sono sviluppati dei farmaci che lo inibiscono e che si sono rivelati estremamente efficaci per curare i tumori che esprimono questo enzima. La letalità sintetica è un concetto di genetica che ci dice che se in una cellula abbiamo il gene A e il gene B, e questi sono essenziali, possiamo avere mutazioni in A o in B e avere una cellula viva ma la doppia mutazione A e B è letale nella stessa cellula. In genere, A e B devono appartenere a dei pathway che interagiscono tra loro in qualche modo. Le cellule tumorali hanno delle mutazioni che le cellule sane intorno al tumore non hanno. Se abbiamo le cellule intorno alla cellula tumorale che hanno sia A che B funzionanti, mentre la cellula tumorale ha una mutazione in B e va avanti lo stesso a funzionare, dovremo trovare un trattamento terapeutico che agisca bloccando A per uccidere la cellula tumorale. Riusciamo, quindi, a curare in maniera più efficace e più mirata il tumore e non induciamo tossicità nell’individuo. Sono stati fatti tantissimi screening in giro per il mondo per identificare nuovi chemioterapici sfruttando la letalità sintetica. Supponiamo di voler trovare una strategia per i tumori che portano delle mutazioni BRCA1: mettiamo le cellule epiteliali sane (wt) in una piastra a 96 pozzetti e delle cellule che provengono dal tumore BRCA1 nell’altra piastra a 96 pozzetti. Trattiamo entrambe le piastre con un agente chimico o usiamo degli short interfering RNA che inibiscono l’espressione di un gene umano non essenziale. Osserviamo, dunque, le cellule che muoiono. Quello che cerchiamo è un agente chimico o un RNA che ammazza le cellule BRCA1 ma non ammazza le cellule wt, che sono le cellule normali. Questo ha permesso di identificare tantissimi nuovi geni essenziali in assenza BRCA1/2 e anche tantissime droghe che inibiscono questi geni che sono essenziali nel momento in cui abbiamo una mutazione in BRCA1/2.