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Biologia molecolare applicata alla ricerca biomedica, Appunti di Biologia Molecolare

-Complessi ciclina-Cdk nel ciclo cellulare -Mitosi precoce e tardiva -Accenni citodieresi e meiosi -Stabilità genomica: meccanismi di riparazione del danno al DNA -Genomic Stress Response (tutto con esempi relativi a mammiferi, S. cerevisiae e pombe.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 30/01/2020

GrGre.mai
GrGre.mai 🇮🇹

4.4

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36 documenti

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Scarica Biologia molecolare applicata alla ricerca biomedica e più Appunti in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! I cicli cellulari presentano differenze sia in base alla specie sia in base al tipo cellulare. Ogni ciclo termina con la mitosi e la formazione di due cellule figlie mediante citodieresi. In questa fase abbiamo sia la ripartizione equa del materiale genetico duplicato in fase S, sia degli organelli: gli organuli numerosi e di piccole dimensioni, come i mitocondri, vengono spartiti equamente, mentre quelli più grandi e complessi come il reticolo endoplasmatico subiscono vescicolazione prima o durante la citodieresi e le vescicole vengono a questo punto divise. La regolazione cellulare avviene grazie a: • cicline: famiglia di proteine accomunate dal fatto di legare i complessi Cdk. Queste proteine presentano una diversa sequenza che ne determina il legame a diverse isoforme di Cdk e la veicolazione del complesso ciclina-Cdk verso substrati specifici. In base al momento cellulare vengono espresse diverse cicline, determinando la fosforilazione di diversi substrati, aventi ognuno un diverso ruolo nella progressione del ciclo; • checkpoint: momenti del ciclo cellulari che, in base alle condizioni, ne determinano l’arresto o la progressione. ◦ Start (G1-S): determina l’ingresso nel ciclo cellulare, nel caso in cui vi siano le condizioni necessarie alla replicazione del DNA e dei componenti cellulari necessari alla riproduzione cellulare; ◦ G2-M: inizia l’assemblaggio del fuso mitotico; ◦ Transizione Metafase-Anafase: attivazione del complesso APC (Anaphase Promoting Complex), il quale determina la proteolisi di tutti i complessi ciclina-Cdk e la degradazione dei centrosomi. Questi due fenomeni determinano la separazione del materiale genetico e lo spostamento dell’equilibrio verso l’attività fosfatasica, che permette il disassemblaggio del fuso e la citodieresi; • meccanismi di controlli intrinseci ed estrinseci. Lo studio del ciclo cellulari avviene sfruttando diversi organismi modello, sia eucarioti che procarioti, in quanto è stato visto che i meccanismi sono comuni nei diversi regni. I lieviti vengono studiati in quanto hanno un’alta velocità di replicazione, genomi piccoli e completamente caratterizzati. Il fatto che possano proliferare come organismi aploidi li rende efficaci nello studio di knock-out e mutazioni in quanto non si incorre in compensazione genica né ricombinazione omologa. Tramite i lieviti si sono scoperti i geni implicati nel ciclo cellulare. • S. cerevisiae (budding yeast) “insieme per scelta, divisi per necessità” Questo lievito si divide per gemmazione, il ciclo cellulare è caratterizzato dall’assenza della fase G2. Esso si trova preferenzialmente allo stato diploide, ma in condizioni di stress entra in meiosi formando due spore alfa e due a, le quali rientrano nel ciclo cellulare fondendosi. Questo lievito ha permesso di studiare la transizione meta-ana. • S. pombe (fission yeast) “single per scelta, insieme per necessità” Il ciclo cellulare presenta una lunga fase G2, la fase S e M sono parzialmente sovrapposte. Esso si trova quasi sempre allo stato aploide p/m e si fonde in caso di stress nutrizionale. Nello stato diploide non entra nel ciclo cellulare, ma immediatamente in meiosi. Viene studiato soprattutto per le cicline e Cdk. L’uovo di Xenopus laevis è stato fondamentale per scoprire le cicline e il MPF (Mitosis-Promoting Factor), componente del complesso Cdk1. La cellula uovo si blocca in profase M1 e ci resta per mesi fino a quando viene stimolata con progesterone. A questo punto viene espulso un globulo polare e la cellula entra nella M2, dove si blocca in metafase. Se avviene la fecondazione termina la meiosi, altrimenti viene espulso il globulo polare. A questo punto abbiamo 12 veloci mitosi senza accrescimento, quindi senza fasi G1 e G2. Le sue dimensioni hanno permesso di estrarre il citosol e studiare i fattori implicati nella regolazione cellulare: estraendo il citosol da una cellula in metafase M2 si è indotta la terminazione della meiosi in una cellula in profase M1 senza progesterone. Le linee cellulari di mammifero sono più utili per quanto riguarda lo studio dell’uomo ma richiedono maggiori accortezze, infatti le colture primarie dopo circa 50 divisioni vanno in senescenza replicativa. Per questo motivo sono state create delle linee immortalizzate che esprimono costitutivamente la telomerasi e non presentano i checkpoint che bloccherebbero il ciclo in condizioni non fisiologiche. Queste linee sono trasformate e ricapitolano alcune caratteristiche del fenotipo tumorale. Ad esempio le cellule HeLa si riproducono velocemente e hanno permesso di isolare alcuni oncogeni implicati nella proliferazione tumorale. Per studiare il comportamento di una popolazione cellulare in una determinata fase del ciclo è necessario sincronizzare le cellule allo stesso stadio, attraverso metodi farmacologici oppure selezionando le cellula in base alla morfologia e alla dimensione tipiche di quello stadio. In Saccharomyces cerevisiae si possono sincronizzare in:  fase G1 tramite elutriation, ossia selezione delle cellule che non presentano la gemma. Se la popolazione è costituita da cellule di sesso a si può utilizzare l’α-factor;  fase S tramite farmaci che bloccano gli enzimi di replicazione di DNA, come l’idrossiurea che blocca la ribonucleotide reduttasi, l’afidilcolina che blocca la DNA-polimerasi;  fase M tramite nocodazolo che determina la depolimerizzazione dei microtubuli. Nelle cellule umane, invece, vengono utilizzati metodi diversi:  G0 viene tolto il siero e abbassato allo 0,5% di nutrienti. Questa tecniche funziona solo per colture primarie e non nelle cellule tumorali;  G1 utilizzando la mimosina che inibisce la CDK;  S attraverso double timidine block, un inibitore della sintesi del DNA. Quando le cellule sono asincrone la timidina blocca la sintesi del DNA, ma le cellule saranno in diverse fasi della replicazione. Togliendo la timidina le cellule riprendono il ciclo, entrano in G1 e a quel punto risomministrando timidina entrano in fase S in maniera sincrona;  G2/M utilizzando nocodazolo che determina la depolimerizzazione dei microtubuli. Oppure si utilizza il metodo mitotic shake off, tramite il quale le cellule in fase G2 rimangono attaccate, mentre quelle in fase M si distaccano. Sistema di controllo del ciclo cellulare La sequenzialità degli eventi del ciclo cellulare è garantita dall’attivazione di diversi complessi Cdk-ciclina. In generale questi complessi possono essere distinti in G1-, G1/S-, S- e M- Cdk. Ognuno di questi complessi è responsabile dell’attivazione di quello successivo il quale, talvolta, provvederà all’inattivazione diretta o indiretta di quello precedente. Oltre a questa attivazione sequenziale, l’attività di queste chinasi è regolata da: • complessi inibitori, attivatori o proteolitici; • modifiche nell’espressione genica delle cicline, processo del tipo tutto o nulla; • la compartimentalizzazione dei complessi attivati e la disponibilità dei substrati specifici regola spazialmente e temporalmente la loro funzione. La cellula entra nel ciclo cellulare passando il checkpoint start grazie a segnali intrinseci ed estrinseci che determinano l’aumento della sintesi delle cicline E. Queste cicline sono quelle tipiche della fase G1/S: sono le uniche che si possono accumulare nella cellula, oltre alle cicline D, in presenza del complesso APC e quando formano il complesso con Cdk, questo non viene inibito dagli inibitori specifici. La funzione di queste cicline è quella di determinare la proteolisi di APC e degli inibitori, permettendo l’accumulo della cicline di fase S (ciclina A). Le cicline di fase S hanno la funzione di iniziare la replicazione del DNA, fenomeno che funge da segnale inibitorio per i complessi G1/S-Cdk, i quali non vengono più trascritti e sottoposti a proteolisi. Inoltre in fase S tardiva abbiamo l’inizio della trascrizione delle cicline di fase M (cicline B), le quali tuttavia risultano fosforilate. In presenza delle condizioni favorevoli al passaggio del checkpoint G2/M il complessi B-Cdk vengono defosforilati e la loro attivazione determina la fosforilazione delle componenti del fuso mitotico, con conseguente polimerizzazione e attivazione dei complessi APC. I complessi APC hanno come scopo la degradazione delle cicline di fase S ed M: conseguentemente avremo la defosforilazione delle componenti del fuso e il suo disassemblaggio, con il passaggio all’anafase. La divisione cellulare determinerà la formazione di due cellule distinte, le quali non presenteranno più cicline di fase S o M, ma complessi APC. Le uniche cicline che non subiscono una trascrizione oscillatoria sono quelle di fase G1, ossia le cicline D, le quali vengono sintetizzate in maniera proporzionale alla crescita cellulare. Le Cdk sono delle Ser/Thr chinasi dal peso di circa 30-40 kDa le quali fosforilano proteine che presentano una sequenza consenso conservata. Queste chinasi hanno un meccanismo di attivazione e delle funzioni evolutivamente conservate. In S. cerevisiae e S. pombe abbiamo rispettivamente Cdc28 e Cdc2, le quali corrispondono alla Cdk1: in questi organismi non abbiamo diversificazione delle isoforme in base al momento cellulare. Nell’uomo, al contrario, abbiamo almeno 9 Cdk, le quali sono coinvolte non solo nel controllo del ciclo cellulare, ma anche in processi di trascrizione e differenziamento. In particolare abbiamo Cdk4 e Cdk5 le quali sono attive in G1, Cdk2 attiva in fase G1/S, S e forse in M, Cdk1 attiva in fase M e Cdk7 la quale ha la funzione di attivare il complesso ciclina-Cdk (CAK, Cdk-Activating Kinase). A livello molecolare le Cdk presentano due lobi: • lobo minore all’N-terminale, costituito principalmente da foglietti beta, dall’elica PSTAIRE e dal sito di legame per l’ATP; • lobo maggiore al C-terminale composto principalmente da alfa- eliche, il quale presenta il sito di legame per il substrato e il T- loop (verde). In assenza della ciclina il T-loop si trova orientato in modo da non permettere il legame con il substrato e anche l’ATP presenta un orientamento che non ne permette l’attivazione. Il legame con la ciclina determina una modificazione conformazione dell’elica PSTAIRE con conseguente ri-orientamento dell’ATP e transizione del T-loop a foglietto beta, permettendo il legame al substrato. Le cicline presentano differenze di sequenza, ma sono accomunate dalla presenza del cyclin box, un motivo che permette il legame alle Cdk e ai substrati, grazie al patch idrofobico (o MRAIL) che lega motivi RXL nel substrato, e del cyclin fold, una struttura a 5 alfa-eliche, comune a molti fattori di trascrizione. La specificità delle cicline verso i diversi substrati non dipende solamente da sequenze consenso. Infatti abbiamo: • indirizzamento dei complessi ciclina-Cdk verso specifici compartimenti cellulari. Ad esempio la ciclina B1 si trova nel nucleo, mentre la B2 si trova associata al Golgi; • diverse Kd in base al substrato e, quindi, fosforilazione dipendente dalla sua disponibilità spaziale e temporale; • interazione specifica tra MRAIL e RXL; • presenza di proteine adattatrici che aumentano l’affinità per un determinato substrato. Ad esempio la proteina Cks1 si lega al fosfato della proteina fosforilata determinando la permanenza del complesso Cks1-Cdk-Ciclina e quindi la fosforilazione del substrato in altri punti. L’attività dei complessi ciclina-Cdk è regolata anche da fosforilazioni che ne determinano l’attivazione o l’inattivazione. Nell’uomo è particolarmente importante il complesso CAK, costituito dalla ciclina H, dalla Cdk7 e dalla subunità Mar1, il quale fosforila Thr-160 del T-loop determinando un aumento della stabilità del legame tra la ciclina e la Cdk, oltre che del legame con il substrato. Questo complesso svolge anche la funzione di regolatore della trascrizione da parte dell’RNA polimerasi II e delle risposte al danno al DNA insieme al TFIIH. Esso è sempre presente nella cellula, per questo motivo non agisce come fattore limitante all’attivazione, è quindi L’arrivo di segnali mitogeni determina un aumento della trascrizione delle cicline D, le quali si associano alle Cdk determinando la fosforilazione di Cip/Kip. Questa fosforilazione determina la mancata inibizione delle Cdk2, le quali possono associarsi alle cicline A ed E, con conseguente passaggio dello Start. Il segnale di Start determina l’ubiquitinazione mediata da SCF1 di Cdc6, un inibitore della sintesi del DNA, delle cicline D e degli inibitori delle Cdk, permettendo la completa attivazione delle chinasi associate alle cicline G1/S ed S. In particolare i complessi S-Cdk2 determinano un aumento della sintesi delle cicline di fase M. I complessi B-Cdk1 vengono attivati dal fattore Cdc25, determinando l’ingresso in fase M. Questa fase viene permessa dalla massiccia attivazione dei complessi B-Cdk grazie ad un loop autoattivante. Tra i substrati target dei complessi B-Cdk1 abbiamo il complesso APC, il quale quando fosforilato diventa affine a Cdc20. Il complesso APCCdc20 ha come target le cicline e la securina. La degradazione dei complessi B-Cdk1 determina quindi, da una parte il fatto che le cicline vengano degradate e, quindi, che i componenti del fuso mitotico non vengano più fosforilati e quindi il loro disassemblaggio. Dall’altro abbiamo il rilascio della separase, permettendo la separazione dei cromatidi fratelli e, quindi, il passaggio all’anafase. Le cicline di fase M avevano anche come target Cdh1, una subunità alternativa al complesso APC, la cui fosforilazione non ne permette l’associazione. Una volta proteolizzate le cicline B l’APC non viene più fosforilata e perde affinità per Cdc20, al contempo la mancata fosforilazione di Cdh1 ne determina un aumento di affinità per APC, con conseguente switch dal complesso APCCdc20 a APCCdh1. Questo complesso presenta una diversa specificità e non riconosce le cicline G1 e neppure quello G1/S. Di conseguenza quando i segnali mitogeni determinano un aumento dei complessi G1/S-Cdk questi fosforileranno i complessi APCCdh1, determinandone l’inattivazione. Questo complesso non riconosce le cicline D in quando non presentano il Destruction-Box e nemmeno il KEN-box, due sequenze che possono essere presente contemporaneamente o alternativamente in tutti gli altri tipi di cicline e che ne determinando il riconoscimento da parte del complesso APC. Nelle cellule embrionali, durante la segmentazione, la fase G1 è soppressa proprio dalla mancata espressione della subunità Cdh1. Controllo trascrizionale S. cerevisiae è l’organismo nel quale il controllo trascrizionale è stato meglio caratterizzato. 1. Durante la fase G1 tutte le cicline diverse dalle G1 e G1/S vengono degradate dall’APCCdh1. Questa bassa concentrazione di cicline determina l’espressione dei fattori di trascrizione Swi5 e Ace2 che attivano circa una trentina di geni, tra cui l’inibitore delle Cdk Sic1. 2. L’inibizione delle Cdk da parte di Sic1 non permette la fosforilazione del fattore di repressione della trascrizione Whi5, il quale rimane nel nucleo, dove impedisce il legame di SBF (SCB-Binding Factor) e MBF (MCB-Binding Factor) alle sequenze SCB e MCB, delle quali costituiscono gli attivatori. 3. Quando fattori intrinseci ed estrinseci determinano un aumento delle cicline D abbiamo l’attivazione dei complessi D-Cdk, i quali fosforilano Whi5 determinandone la traslocazione nel citosol. A questo punto i fattori SBF e MBF si trovano liberi di formare dei complessi omodimerici che permettono la trascrizione delle sequenze SCB e MCB. 4. Queste sequenze codificano per cicline di fase G1/S ed S, oltre che per le proteine necessarie alla replicazione del DNA. L’espressione di questi geni determina quindi il passaggio dallo Start. 5. L’attivazione dei complessi G1/S-Cdk è resa possibile in quanto il complesso APCCdh1 e Sic1 non possono proteolizzare queste cicline per la mancanza delle sequenze di riconoscimento. Inoltre la loro attivazione determina la fosforilazione inibitoria di APCCdh1 e di Sic1, la quale determinerà la sua ubiquitinazione da parte del complesso SCF. La proteolisi di questi due complessi inibitori determinerà la possibilità per le S-Cdk di attivarsi, con conseguente inizio della fase S. Le S-Cdk partecipano a questa inattivazione fosforilando a loro volta i loro inibitori. Nella fase S tardiva, quando tutti i complessi APC e Sic1 sono proteolizzati abbiamo la formazione di qualche complesso B-Cdk1. 6. L’attivazione di qualche complesso B-Cdk1 determina l’attivazione del fattore di trascrizione Mcm1-Fkh, il quale determina l’aumento delle espressione delle cicline B. Quando le cicline B raggiungono una certa soglia abbiamo l’inizio della fase M. 7. I complessi B-Cdk1 saranno artefici della loro stessa degradazione, in quanto determineranno l’attivazione dei complessi APCCdc20, con conseguente passaggio alla metafase. 8. La mancata fosforilazione dell’APC determinerà lo shift dai complessi APCCdc20 a APCCdh1, i quali rimarranno attivi nelle due cellule figlie mantenendo la fase G1. Negli animali il controllo trascrizionale è meno compreso: • ci sono dei fattori E2F con funzione simile a quelli SBF e MBF. La famiglia E2F comprende 8 isoforme di fattori E2F e 2 isoforme di DP. • I fattori E2F vengono sequestrati da proteine della famiglia pRB la quale ha quindi funzione simile Whi5. La famiglia pRB è costituita da pRB, p107 e 130, i quali hanno una funzione oncosoppressiva. Replicazione del DNA La sintesi del DNA avviene a livello di più origini di replicazione. In S. cerevisiae essa parte a livello delle ARS (Autonomously Replicating Origins). Queste regioni sono state scoperte tramite frammentazione del DNA e inserzione dei frammenti in vettori plasmidici contenenti il gene per la sintesi dell’istidina. Trasfettando quindi colonie DHIS coltivate in un terreno privo di istidina è stato possibile vedere quali di questi plasmidi replicasse autonomamente, determinando la sopravvivenza della colonia, grazie alla presenza al suo interno della ARS. Le ARS presentano una sequenza conservata, ricca di A e T, con quattro regioni conservate: regione A e B1, le quali legano l’ORC (Origin Recognition Complex), regione B2 a livello della quale si apre la bolla di replicazione e regione B3 dove si lega il fattore ABF1 di inizio della replicazione. Le proteine che legano le ARS sono state caratterizzate tramite la tecnica del foot printing: frammenti di DNA sono stati marcati con P-radioattivo e successivamente digeriti. Nel caso in cui vi siano delle proteine che legano la sequenza bersaglio, le DNasi non possono tagliare il filamento. Questo risulterà in un bandeggio differente, in quanto mancheranno i frammenti creati dal taglio a livello della sequenza di binding alla proteina. A questo punto per vedere quale proteina lega la sequenza è sufficiente mettere in delle colonnine la sequenza di DNA e in ognuna inserire una proteina diversa: quelle che scenderanno non legheranno la sequenza analizzata. In S. pombe e nei metazoi le sequenze sono meno conservate e sono state caratterizzate tramite elettroforesi 2D che permette la discriminazione sia della lunghezza del segmento, sia della sua struttura (strutture più complesse migrano più lentamente). In questo modo è stato possibile capire sia la presenza all’interno del frammento della RO, sia la distanza da essa nel caso in cui non la contenesse. Inoltre le origini di replicazione partono con un timing differente, ossia in momenti diversi in base alla struttura della cromatina (le zone di eucromatina replicano precocemente rispetto a quelle di eterocromatina), e possono essere raggruppata in cluster detti repliconi: i repliconi contengono più origine di replicazione le quali iniziano a replicare nello stesso momento. È stato visto che nelle cellule embrionali vi è un maggior numero di repliconi che parte nello stesso momento, probabilmente in quanto vi è una maggiore quantità di eucromatina. Il timing di replicazione è stato studiato attraverso la tecnica del molecular combing: 1. Si aggiungono derivati alogenati dei nucleotidi nel mezzo di coltura; 2. Si estrae il DNA e, all’interno della soluzione, si pone un vetrino di silano che appiccica il DNA; 3. Il DNA si stira e si marca con anticorpi per i nucleotidi. Nel caso in cui vengano messi diversi tipi di nucleotidi alogenati in momenti differenti è possibile stabilire l’ordine di replicazione dei diversi frammenti. sono irreversibili. A questo punto la coesione tra i cromatidi viene destabilizzata grazie all’attivazione delle APCCdc20: ◦ Anafase A: consiste nella rottura delle coesine; ◦ Anafase B: consiste nell’allontanamento dei centrioli; • Mitosi tardiva: i cromatidi si trovano separati e si realizzano le ultime fasi: ◦ Telofase: consiste nell’assemblaggio delle due nuove membrane nucleari; ◦ Citochinesi: consiste nella formazione dell’anello contrattile e nella divisione delle due cellule figlie. Le cicline mitotiche si associano alla Cdk1 e vengono classificate in base alla sequenza amminoacidica del cyclin box. Tutte contengono dei domini che permettono il loro riconoscimento da parte dei complessi APC. In S. cerevisiae tutte le cicline (Clb1-6) possono interagire con la Cdk1, la quale è l’unica isoforma presente, ma le cicline che inducono specificatamente la mitosi sono Clb1 e Clb2, la quale anche singolarmente risulta sufficiente per indurre la mitosi. Nei vertebrati sia le cicline A (di fase S) che le cicline B (di fase M) possono interagire con la Cdk1 inducendo la mitosi. Esistono diverse isoforme di queste cicline, anche distanti filogeneticamente, le quali determinano diverse modificazioni cellulari e risultano maggiormente attive in diversi momenti della vita dell’individuo: • cicline A: hanno un ruolo fondamentale nella replicazione del DNA, infatti durante la fase S interagiscono con la Cdk2. Durante la fase G2 ed M inducono la condensazione dei cromosomi e l’attivazione dei complessi B-Cdk1. Le due isoforme si trovano solo a livello nucleare, dove catalizzano reazioni reversibili, e sono: ◦ Ciclina A1: maggiormente attiva durante lo sviluppo embrionale e nelle cellule germinali. Il suo KO determina sterilità; ◦ Ciclina A2: questa è essenziale per il ciclo cellulare, il suo KO non è compatibile con la vita. • Cicline B: hanno un ruolo importante nell’assemblaggio del fuso mitotico, vengono sintetizzate in tarda fase G2 ed entrano nel nucleo solamente in tarda profase. Tra le cicline B abbiamo la ciclina B3, di minore importanza, filogeneticamente distante dalle altre. ◦ Ciclina B1: questa è essenziale per la mitosi, in quanto il KO determina la morte dell’organismo. Questa ciclina si trova nel citoplasma, durante la profase attiva i centrosomi e in tarda profase migra nel nucleo, dove catalizza la disgregazione della membrana nucleare e fosforila i componenti del fuso. ◦ Ciclina B2: si trova associata all’apparato di Golgi. I complessi B1-Cdk1 nei vertebrati e in S. pombe si accumulano durante la fase S, ma sono mantenuti inattivi dalle Wee1-related kinases: • Wee1: questa chinasi si trova a livello nucleare e svolge un’azione accessoria, in quanto inibisce quei complessi B1- Cdk1 che vengono a trovarsi nel nucleo prima della profase; • Myt1: questa chinasi è citosolica, quindi svolge l’azione preponderante nell’inibizione essendo i complessi B1-Cdk1 nel citosol fino alla profase. La defosforilazione che attiva i complessi B1-Cdk1 è effettuata dalle Cdc25-related phosphatases: • Cdc25B: è attiva a partire dalla fase S e si disattiva in prometafase. Essa si trova a livello citosolico, pertanto sembra essere quella preponderante nell’attivazione di B1-Cdk1; • Cdc25A: si trova nel nucleo e si attiva durante la profase; • Cdc25C: inizialmente si trova a livello citoplasmatico, a seguito della sua attivazione migra nel nucleo. Probabilmente i complessi A-Cdk2 fosforilano alcuni di questi componenti in modo da facilitare l’attivazione dei complessi B1-Cdk1. Un ulteriore meccanismo di regolazione per l’attivazione della fase M consiste nella compartimentalizzazione dei complessi B-Cdk1. La ciclina B1 presenta una sequenza, detta nuclear export signal, contenente Ser113, un residuo fosforilabile: • quando questo non è fosforilato viene riconosciuto da Crm1, un trasportatore che determina l’estromissione del complesso dal nucleo; • la fosforilazione di questo residuo è mediata da B1-Cdk1 e da PLK, quindi è permessa dopo l’attivazione dei complessi. Quando Ser113 è fosforilata non viene riconosciuta da Crm1, quindi può permanere all’interno del nucleo. Anche Cdc25C è soggetta ad un simile meccanismo di localizzazione, la quale è regolata dalla fosforilazione di Ser216 da parte delle chinasi Ckh1 e Ckh2, attive anche nella risposta del danno al DNA. La fosforilazione di questo residuo determina la formazione di un sito di binding per la proteina 14-3-3. Il legame con questa proteina determina l’oscuramento del segnale di localizzazione nucleare, impedendo l’importazione di Cdc25C nel nucleo. Inoltre, probabilmente, questa fosforilazione determina una diminuzione dell’attività catalitica. Questa fosfatasi presenta anche un sito di esporto nucleare, il quale viene invece oscurato dalla fosforilazione di un residuo adiacente da parte di B1-Cdk1 e Plk, permettendo la sua importazione del nucleo durante la mitosi. Quindi quando B1-Cdk1 e Cdc25C si trovano nel nucleo contemporaneamente non solo abbiamo un aumento della loro attivazione, ma abbiamo la saturazione di Wee1 che non riesce più ad inattivare la Cdk1 e l’allontanamento della chinasi da Myt1 nel citoplasma. L’attivazione dei complessi B1-Cdk1, principalmente determinata dalla defosforilazione da parte di Cdc25B, i cui livelli aumentano in fase S tardiva, determina un loop auto-attivante, in quanto: • fosforila complessi B1-Cdk1 determinandone l’attivazione; • fosforila Wee1-related kinases determinandone l’inattivazione; • fosforila i membri della famiglia Cdc25 determinando: ◦ stabilizzazione di Cdc25A, la quale non viene più degradata; ◦ Cdc25C determinando un aumento dell’attività catalitica; • attivazione di PLK (Polo-Like Kinases), la quale inibisce i membri di Wee1 e attiva Cdc25. La Plk è un chinasi la cui sintesi aumenta nelle fasi precoci della mitosi, probabilmente grazie all’attività di B1-Cdk1. Essa è costituita da un dominio catalitico N-terminale, da una sequenza di riconoscimento per APCCdh1 e dal polo box, un dominio che ne determina la specificità di interazione con i substrati e la corretta localizzazione cellulare a livello del C-terminale. Il dominio chinasico contiene un t-loop, il cui residuo Thr210 deve essere fosforilato per permetterne l’attività catalitica. Questa fosforilazione avviene indirettamente ad opera del complesso B1-Cdk1: questo fosforila la proteina BORA, un cofattore della chinasi Aurora A, determinando il suo legame con la Plk. Questo legame attira la chinasi Aurora A, la quale fosforila il residuo Thr210. Questa fosforilazione è essenziale, in quanto determina un cambiamento conformazionale che espone il Polo domain, permettendo il riconoscimento del substrato. I substrati, inoltre, devono essere fosforilati per essere riconosciuti da questo dominio. Questa fosforilazione è spesso effettuata dai complessi B1-Cdk1. In S. cerevisiae esiste una Plk, codificata dal gene Cdc5, mentre nell’uomo ne esistono cinque isoforme: • Plk1, una di quelle essenziali nel ciclo cellulare. Questa forma viene spesso overespressa nei tumori, pertanto suoi inibitori vengono studiati per lo sviluppo di terapie in combinazione con inibitori degli enzimi responsabili di DSB; • Plk2 e Plk4: permettono la duplicazione del centrosoma, in particolare KO per Plk4 non sono compatibili con la vita; • Plk3: essenziale per la replicazione del DNA; • Plk5: non presenta attività chinasica, ma è essenziale per lo sviluppo e differenziamento neuronale. Queste chinasi hanno la funzione di separare i centrosomi, assemblare il fuso mitotico, inattivare la Cdk1 e permettere la citodieresi. Le aurora family sono delle altre chinasi finemente regolate, la cui produzione aumento durante la mitosi. Esse devono essere attivate tramite fosforilazione e fosforilano in presenza del cofattore BORA. Questa famiglia comprende: • Aurora A: viene attivata dalla proteina TPX2 e determina l’assemblaggio del fuso. Essa si localizza a livello dei centrosomi e legata al fuso; • Aurora B: questa proteina forma, insieme alle proteine INCENP, survivina e borealina un complesso proteico essenziale per la condensazione dei cromosomi e nel loro ancoraggio al fuso mitotico, detto chromosomal passenger complex. Questo complesso viene reclutato grazie alla precedente fosforilazione di un residuo dell’istone H3 da parte della chinasi haspina. L’aurora B, fosforilando un ulteriore residuo dell’istone H3 determina il reclutamento di un HDAC che deacetila la coda dell’istone H4 determinando il compattamento di due nucleosomi adiacenti; • Aurora C: nelle cellule germinali dei mammiferi, il cui ruolo non è chiaro. Durante le prime fasi della mitosi è essenziale la coesione tra i cromatidi fratelli, la quale inizia già ad esistere durante la replicazione del DNA a livello del punto di incontro tra due forcelle di replicazione. Questo fenomeno detto concatenazione del DNA risulta di minore importanza durante la mitosi, in quanto l’enzima topoisomerasi II determina la risoluzione di gran parte del DNA catenato. Il meccanismo che determina il maggior contributo nella coesione dei cromatidi fratelli è messo in atto dalle coesine, dei complessi proteici che si stabiliscono a partire dalla replicazione e vengono mantenuti in posizione fino alla transizione metafase-anafase. Il complesso delle coesine è costituito da quattro subunità evolutivamente conservate ed ognuna indispensabile per assicurare la coesione. • SMC family (Structural Maintenance of Chromosomes): oltre ai due componenti Smc1 e Smc3 coinvolti nella coesione comprende Smc2 e Smc4, le quali permettono la I microtubuli sono soggetti anche al fenomeno del treadmilling, ossia la perdita di dimeri dall’estremità negativa che comunque non risulta in un loro accorciamento, grazie alla rapida crescita dell’estremità positiva. Questo fenomeno con deve essere confuso con il flusso dei microtubuli, ossia il distaccamento di subunità dall’estremità negativa, legata al centrosoma, che permette l’avvicinamento dei cromatidi verso il centrosoma stesso. I microtubuli possono formarsi spontaneamente a partire dai dimeri, ma questo fenomeno non avviene frequentemente ed è molto lento. Invece è frequente che si formino a partire da centri di nucleazione, ossia degli aggregati proteici costituiti dal g- Tubulin Ring Complex (g-TuRC) e proteine accessorie Dgrip che proteggono l’estremità negativa dalla degradazione permettendo l’allungamento di quella positiva. I centri di nucleazione si trovano a livello del centrosoma e dello SPB, mentre nelle piante e nell’oocita di Xenopus si trovano vicino ai cromatidi fratelli. Le proteine motrici associate ai microtubuli sono tipicamente degli omodimeri, dove i monomeri sono costituiti da un dominio ATPasico che permette il legame e il movimento lungo il microtubulo e un dominio di legame al substrato da trasportare o alla struttura da legare. Abbiamo: • dineine: si muovono sempre dall’estremità positiva a quella negativa. Queste proteine permettono l’ancoraggio dell’estremità negativa allo SPB, la connessione dei microtubuli astrali alla membrane e a componenti citosheletriche; • kinesine: queste proteine possono muoversi in diverse direzioni in base alla famiglia: ◦ kinesine bipolari (kinesina-5): si muovono verso l’estremità positiva e legano i microtubuli bipolari, permettendo l’allontanamento dei centrosomi; ◦ kinesine C-terminali (kinesina-14): si muovono verso l’estremità negativa e presentano un dominio che permette loro il legame ad un altro microtubulo, ma non il movimento sopra di esso. Queste hanno la funzione di legare tra loro dei microtubuli terminali o di avvicinarli tra di loro nei pressi dei poli del fuso; ◦ cromokinesine (kinesina-10 e kinesina-4): si muovono verso l’estremità negativa, legano le braccia dei cromatidi favorendone il corretto posizionamento. Inibitori della formazione del fuso mitotico vengono utilizzati in chemioterapia: • colchicina: impedisce l’assemblaggio dei microtubuli; • nocodazolo: determina la depolimerizzazione dei microtubuli; • taxolo: impedisce l’instabilità dinamica. Il problema di questi farmaci consiste nell’aspecificità, attualmente vengono utilizzati solo in bassissime dosi ed in combinazione con altri farmaci. I centrosomi devono essere replicati una solo volta durante il ciclo cellulare, in modo tale che non si formino dei fusi multipolari. Questi apparati vengono replicati in fase S e segregano in fase M, permettendo la formazione del fuso mitotico e contribuendo alla dissoluzione dell’involucro nucleare. I centrosomi sono costituiti da due centrioli, ossia dei tubi costituiti da corti microtubuli, i quali si dispongono tra loro ortogonali, circondati da una matrice proteica, che comprende proteine strutturali che ne permettano l’interazione e g-TuRC. La loro duplicazione avviene tramite: 1. separazione e disorientamento: questo passaggio è permesso dalla proteolisi o inattivazione delle proteine della matrice, in particolare dalla fosforilazione della nucleofosmina e CP110 ad opera delle E-Cdk2 2. duplicazione: probabilmente sul centriolo pre-esistente si forma un pro-centriolo, il quale viene completato. Durante questa fase abbiamo l’intervento di A-Cdk2. Probabilmente nelle cellule animali è importante anche l’intervento del complesso SCF e di Plk4. Per quanto riguarda il lievito la funzione del centrosoma viene svolta dallo Spindle Pole Body. Questo apparato si presenta come un complesso di proteine impilate all’interno dell’involucro nucleare. In particolare è possibile distinguere una placca interna ed una esterna: a quella interna si legano i microtubuli del fuso, mentre a quella esterna i microtubuli citoplasmatici. Tra le due placche è presente una placca centrale che funge da ancoraggio per una struttura, detta half bridge, che duplicandosi funge da scaffold per la duplicazione dello SPB. Anche questo processo è regolato dai complessi ciclina-Cdk1: viene iniziato da Cln1 e Cln2 (cicline di fase G1/S) e protratto da Clb5 e Clb6 (cicline di fase S). Probabilmente il meccanismo che determina la singola duplicazione dei centrosomi possiede qualche caratteristica in comune a quello di replicazione del DNA. Oppure probabilmente avviene sincronicamente alla replicazione del DNA e richiede lo stesso intervallo di tempo, determinando quindi la mancanza del tempo necessario per un’ulteriore replicazione. Esistono tuttavia delle eccezioni, infatti nell’embrione di topo, ad esempio, non vi sono centrosomi e questi devono essere formati de novo, ma questa formazione avviene solamente in assenza di centrosomi pre-esistenti. Inoltre nelle cellule cigliate abbiamo la replicazione di un gran numero di centrosomi, i quali tuttavia hanno una funzione differente. Nelle cellule tumorali abbiamo spesso delle mutazioni che colpiscono il centrosoma: • microtubuli che presentano più polarità, determinando segregazione ineguale dei cromosomi; • ripetuta replicazione che determina poliploidia; • astrina, proteina coinvolta nell’assemblaggio del fuso mitotico. I cromosomi presentano a livello del centromero delle sequenze che permettono l’assemblaggio del cinetocore, come ad esempio gli a-satelliti, delle sequenze di 171 paia di basi, tra loro eterogenee che formano dei monomeri. Questi monomeri si associano in direzione punta coda, formando delle ripetizioni di lunghezza qualche Mb che si associano ulteriormente. Questa lunghissima sequenza si trova fiancheggiata dai monomeri costituenti, i quali si possono associare in direzione punta-coda, coda-coda o punta-punta. Le sequenze a-satelliti sono diverse in base alla specie e, all’interno della stessa specie, in base al cromosoma. Nell’uomo la lunghezza dei centromeri permette l’ancoraggio di 20-40 cinetocori, dei quali ognuno lega un microtubulo. Mentre nel lievito la sequenza è breve e permette l’ancoraggio di un solo cinetocore. Nonostante queste regioni facilitano l’assemblaggio del cinetocore, esse non sono fondamentali e non sono evolutivamente conservate, pertanto per questa funzione deve essere essenziale la struttura della cromatina. Infatti a livello del centromero i nucleosomi presentano una variante dell’istone H3, detta CENP-A, conservata nell’evoluzione. Il cinetocore non ha solo la funzione di ancorare il centromero al fuso mitotico, ma permette anche il corretto assemblaggio del fuso stesso, la migrazione dei cromatidi verso la piastra metafasica e la separazione dei cromatidi. Esso è costituito da: • cinetocore interno, avente funzione prevalentemente strutturale. Questo viene replicato in fase S in concomitanza alla sintesi del DNA centrosomico. Comprende: ◦ CENP-A: proteina essenziale e molto conservata che si lega a una delle due protein CENP-B presenti alle estremità delle ripetizioni del satellite; ◦ CENP-T, -W, -S e -X ◦ complesso formato da CENP-C, CENP-H e CENP-I; ◦ CENP-B: si lega al DNA a-satellite e facilita la formazione dell’eterocromatina. • cinetocore esterno, dove si legano principalmente proteine regolatrici che prendono contatti con i microtubuli del fuso. Questa componente viene assemblata appena prima della mitosi negli animali, mentre nel lievito subito dopo la sintesi della componente interna. Comprende: ◦ Ndc80 e Dam1: formano un complesso essenziale per la dinamicità dei microtubuli associati al cinetocore. Una volta stabilito il corretto orientamento dei cromatidi, i quali si trovano legati ognuno ai poli opposti, abbiamo il passaggio all’anafase, il quale viene permesso dall’attivazione del complesso APCCdc20. Questa ubiquitina-ligasi permette la separazione dei cromatidi fratelli tramite: • ubiquitinazione della securina: questa proteina mantiene inattivo l’enzima separase. La separase, quando attiva, determina la proteolisi di Scc1, componente delle coesine, determinando la dissociazione del complesso; • inattivazione delle cicline, le quali sono responsabili della fosforilazione di diversi substrati che mantengono la coesione tra i cromatidi fratelli. Per la transizione metafase – anafase è indispensabile l’ubiquitinazione delle cicline B, il cui ruolo è invece fondamentale durante tutte le fasi della meiosi. La sua attivazione è determinata da fosforilazione di APC da parte del complesso B1-Cdk1, la quale permette il legame preferenziale dell’attivatore Cdc20, la cui sintesi risulta inoltre aumentata durante la mitosi. Inoltre l’attivazione della Plk determina la fosforilazione inattivamente di Emi1, una proteina che lega Cdc20, impedendone il legame con APC. Questa fosforilazione, operata anche dal B1-Cdk1 stesso determina il richiamo del complesso SCF e, quindi, l’ubiquitinazione di Emi1. Il cambiamento dell’attivatore associato a APC è determinato dall’inattivazione di B1-Cdk1, con conseguente formazione del complesso APCCdh1. Le cicline di fase S vengono ubiquitinate da APCCdc20 molto prima rispetto alla securina e alle cicline B tramite un meccanismo di delay, il quale probabilmente è determinato anche dalla compartimentalizzazione degli inibitori di Cdc20. Alcuni eventi tardivi mitotici possono essere considerati come l’inverso di quelli precoci, ne sono esempio la decondensazione della cromatina e il disassemlaggio del fuso mitotico, pertanto è necessaria la defosforilazione di alcuni substrati fosforilati dai complessi ciclina-Cdk e dalle chinasi da essi attivati. Inoltre, almeno i S. cerevisiae, è indispensabile l’azione della fosfatasi Cdc40, avente come target gli stessi di Cdk1. Inoltre, in molti tipi cellulari, è necessaria anche lo switch degli attivatori associati al complesso APC, in altre parole l’attivazione di APCCdh1. Questi eventi vengono inibiti nel caso in cui i cromatidi fratelli non siano bi-orientati grazie allo Spindle Checkpoint System, un complesso proteico che inibisce specificatamente l’ubiquitazione da parte di APCCdc20 delle cicline M e della securina. Questo complesso è formato da proteine che si associano ai cinetocori: nel caso in cui questi non siano legati ai microtubuli abbiamo la produzione di segnali diffusibili (wait anaphase signal) che determinano l’inibizione di Cdc20 e, quindi, degli eventi mitotici tardivi. In S. cerevisiae lo spindle checkpoint system è costituito da: • Mad1, 2, 3: tra queste la proteine Mad2 sembra responsabile della sensibilità al legame del cinetocore alle fibre del fuso, il quale ne determina la dissociazione; • Bub1, 3: Bub1 si dissocia dal cinetocore quando è sottoposto alla corretta tensione. Probabilmente Mad2 e Bub1 si legano a livello delle fosforilazioni effettuate da Aurora B sui cinetocori non stabilizzati. Quando Aurora B cessa di fosforilare i cinetocori abbiamo il distacco di queste proteine e l’attivazione dell’attivatore Cdc20. La proteina Mad2 è un inibitrice diretta di Cdc20, il quale viene legato e sequestrato grazie ad una particolare struttura a “cintura di sicurezza”. Essa si trova sia a livello citoplasmatico che associata ai cinetocori liberi, dove le proteine dello Spindle Checkpoint System agiscono come proteine enzimatiche che, cambiandone la struttura, permettono la sua attivazione. • O-Mad2: nella conformazione aperta si trova libera da partner proteici, il cui legame viene inibito dalla posizione della cintura di sicurezza; • C-Mad2: nella conformazione chiusa abbiamo il legame con Cdc20 o Mad1, una proteina che si trova associata al cinetocore non legato dal fuso. Al cinetocore abbiamo la formazione di complessi C-Mad2-Mad1, i quali venendo a contatto con O- Mad2 solubile determinano il cambiamento conformazionale atto all’apertura della cintura di sicurezza. A questo punto il complesso C-Mad2 appena attivato può reclutare Cdc20, impedendo il legame con APC. Questi complessi solubili sono in grado di attivare a loro volta O-Mad2 solubili. Mad1 viene attivata ulteriormente, in presenza di difetti nel fuso, da Bub1 e Bub3. Quindi Bub1 e Bub3 sono degli inibitori indiretti e anche diretti, tramite fosforilazione, di Cdc20 Nel caso in cui non vi siano difetti nell’assemblaggio del fuso lo spindle checkpoint sistem viene inattivato mediante spostamento dello stesso mediato dalle dineine e dall’attivazione di p31comet, una proteina che inibisce C-Mad2. Questo shut-off deve essere molto rapido, quindi probabilmente è determinato anche dall’attivazione di enzimi rimodellanti il complesso o dalla sua intrinseca instabilità. L’attivazione del complesso APCCdh1, nel lievito S. cerevisiae, deve essere preceduta dalla sua defosforilazione da parte di Cdc14. Questa fosfatasi durante gli eventi precoci della mitosi è sequestrata a livello del nucleolo da parte di proteine specifiche. La sua attivazione avviene ad opera della separase e di Tem1, una GTPasi attivata da Plk e dalle Cdc14 attivata parzialmente dalla separase. L’attivazione della separase permette la destabilizzazione delle coesine e, quindi, l’ingresso in: • anafase A, la quale consiste prevalentemente nel movimento dei cromatidi verso i centrosomi permesso dalla depolimerizzazione dei microtubuli. Questo probabilmente è mediato da Aurora B, la quale detecta la perdita di tensione a livello del cinetocore, promuovendo la destabilizzazione dei microtubuli; • anafase B, ossia l’allontanamento dei centrosomi, permesso principalmente dall’attività delle proteine motrici dirette verso l’estremità positiva e dalle dineine associate ai microtubuli astrali. L’inattivazione delle Cdk1 risulta fondamentale per: • perdita della fosforilazione delle proteine motrici, con conseguente modifica del loro comportamento; • perdita della fosforilazione del Chromosome Passenger Complex, il quale migra verso il centro. Il disassemblaggio del fuso mitotico avviene grazie all’attivazione del complesso APCCdh1 che: • ubiquitina la proteina Ase1, la quale era responsabile della stabilizzazione dei microtubuli; • determina la proteolisi di Aurora A e Plk, con conseguente defosforilazione dei loro target. Gli unici componenti del fuso che possono rimanere intatti sono le fibre interpolari, le quali costituiranno lo scaffold per la formazione del central spindle, ossia la struttura necessaria alla citochinesi. Successivamente APCCdh1 catalizza anche la proteolisi di tutte quelle proteine associate allo smantellamento del fuso, in modo tale da permettere il ristabilimento della fase G1. Il secondo evento essenziale al completamento della telofase è la decondensazione dei cromosomi, la quale avviene grazie alla perdita di fosforilazione delle proteine responsabili alla loro condensazione. Queste proteine agiscono da fattori di richiamo per Ran-GTP, la quale determina l’allentamento degli anelli di condensine. Questa GTPasi determina anche il richiamo delle vescicole contenenti i precursori della membrana nucleare e del poro nucleare. La citochinesi solitamente avviene durante la telofase e consiste nella formazione di un solco di divisione, la cui posizione viene decisa in diversi momenti del ciclo cellulare in base alla specie: • mammiferi: anafase; • S. cerevisiae: all’inizio del ciclo, in base a dove si forma la gemma; • S. pombe: in base G2. Stabilità genomica La stabilità genomica è quella condizione per la quale la duplicazione del genoma e la sua divisione nelle cellule figlie non comporta variazioni nel numero e nella struttura del cromosoma stesso. A tal fine risultano fondamentali i centromeri, le origini di replicazione e i telomeri. I telomeri costituiscono le estremità delle cellule eucariotiche, le quali si possono trovare anche nel lievito ma molto più corte (10-15 basi). Nel lievito esso viene allungata dalla telomerasi alla fine della fase S. Il DNA telomerico è costituito da brevi sequenze ripetute che fungono da ancoraggio per complessi proteici che impediscono la degradazione del DNA telomerico o la sua ricombinazione non omologa. In posizione prossimale all’inizio delle ripetizioni di TTAGGG abbiamo la presenza di ripetizioni degenerate e elementi subtelomerici ripetitivi. Il filamento 5’-3’ risulta più lungo e ricco di guanine (G-rich strand): la telomerasi permette, ad ogni divisione cellulare, l’allungamento di questo filamento, in modo tale che possa fungere da stampo per la DNApolimerasi che sintetizzerà il frammento di Okazaki complementare. La telomerasi è l’enzima responsabile di questo allungamento; essa può essere considerata una trascrittasi inversa, in quanto risulta costituita da: • componente proteica, codificata dal gene TERT; • componente a RNA, codificata dal gene TERC, la quale funge da stampo. Questo enzima risulta espresso nelle cellule embrionali e nelle cellule staminali, mentre nelle cellule differenziato non viene più espresso: la diminuzione della lunghezza dei telomeri, di circa 50-100 bp ad ogni replciazione, risulta causativa della senescenza replicativa, la quale insorge dopo una numero di divisioni cellula-specifico ricapitolato dal limite di Hayflick. L’omeostasi telomerica dipende dalle shelterine le quali formano un complesso proteico che lega sia il DNA telomerico double-stranded, sia quello single-stranded: • RAP1 e l’omodimero TRF2 si legano al dsDNA. • A questo complesso si associano l’omodimero TRF1, il quale lega la porzione di dsDNA più esterna e ha la funzione di permettere la replicazione del telomero; • POT1 e TPP1 si legano al ssDNA inibendo l’attività della telomerasi. In S. cerevisiae una proteina omologa a POT1 è Cdc13, la quale si lega al ssDNA permettendo il reclutamento della polimerasi. In S. cerevisiae il complesso delle shelterine presenta delle subunità differenti: • Rap1 si lega al dsDNA e recluta Rif1 e Rif2. Questi complesso determinano l’inibizione del complesso della telomerasi; • Cdc13 si lega al ssDNA, permettendo il reclutamento della telomerasi. Questo complesso, in particolare TRF2, oltre a inibire l’erosione delle sequenze telomeriche permette anche la formazione del T-loop: questa struttura permette nell’invasione del filamento G-rich nel dsDNA in modo tale che non venga attivi la risposta al danno al DNA. Quando i telomeri sono troppo corti non si possono associare i complessi delle shelterine, pertanto si viene attivare la risposta al danno. Questi meccanismi comprendono: • NHEJ: consiste nel legame di due estremità telomeriche, le quali presentano omologia di sequenza. Questo processo viene inibito da TRF2; • t-loop HR: la quale consiste nella ricombinazione omologa tra il telomero a dsDNA e il t- loop. Questo comporta la formazione di un telomero circolare o l’accorciamento del telomero. Probabilmente è sempre TFR2 ad essere coinvolto nell’inibizione; • t-SCE (telomeric-Sister Chromatids Exchange): consiste nella ricombinazione tra il t-loop di un telomero e il dsDNA di un altro tra cromatidi fratelli al termine della replicazione. Questo determina l’accorciamento di un telomero e l’allungamento dell’altro; • Ricombinazione con sequenze interstiziali che presentano omologia di sequenza. Come risultato avremo una delezione terminale o la formazione di un cromosoma circolare. Probabilmente viene inibito da POT1. Nelle cellule tumorali la telomerasi risulta espressa costitutivamente nel 50% dei tumori: 1. Tumorigenesi precoce: abbiamo la perdita di materiale genetico a livello telomerico che può portare alla formazione, ad esempio, di cromosomi dicentrici. Durante questa fase abbiamo la perdita di geni onco-soppressori, come p53 e RB, i quali determinano l’apoptosi; 2. Crisi dei telomeri: presenza di molti cromosomi senza telomeri ed estremità non protette. Durante questa fase abbiamo l’arresto del ciclo cellulare da parte di p25 e RB, tuttavia mutazioni in questi geni possono determinare l’entrata in G1 e la riduplicazione del genoma, con conseguente formazione di cellule tetraploidi; 3. Cancro: abbiamo la riattivazione della telomerasi per contrastare la senescenza replicativa, oltre alla presenza di aneuploidie e mutazioni strutturali. La telomerasi non è quindi un oncogene, ma una risposta che la cellula mette in atto a fronte di perdita di materiale genetico. L’inibizione della telomerasi risulta efficace in alcuni tipi di tumori, per indurre la senescenza replicativa, mentre la sua attivazione potrebbe risultare efficace per le malattie cronico-degenerative, come AIDS o degenerazione della macula oculare. I tumori possono esprimere dei meccanismi alternativi di allungamento dei telomeri: nelle cellule ALT, ad esempio, abbiamo dei meccanismi di ricombinazione mutati (RAD52 e RAD51) che determinano la formazione di telomeri dalla lunghezza dinamica. Per questo motivo si è pensato di utilizzare farmaci che abbiano come target l’inattivazione della telomerasi o l’erosione dei telomeri, tuttavia soprattutto la seconda opzione può determinare perdita di materiale genico con conseguenze senescenza replicativa precoce o tumorigenesi. Nella discheratosi congenita abbiamo la mutazione X-linked recessiva del gene della discherina, proteina parte del complesso della telomerasi, oppure mutazioni autosomiche dominanti di geni codificanti per proteine parte del complesso. Questa malattia è multisistemica e interessa soprattutto i tessuti in intensa replicazione, con invecchiamento precoce e aumento della tumorigenesi. Esistono diversi meccanismi che la cellula attua per riparare il danno al DNA. Nel caso in cui questi falliscano abbiamo l’attivazione del pathway intrinseco apoptotico, se lo riparano abbiamo la ripresa normale del ciclo cellulare. Talvolta tuttavia la cellula riesce a riprendere il ciclo cellulare nonostante non siano stati riparati, questo meccanismo viene definito adattamento al danno, il quale è il primo passo verso la cancerogenesi. Possiamo distinguere: I geni della DDR risultano mutati in molti tipi di cancro. Questi diagrammi radiali hanno come scopo di rappresentare la proporzione di pazienti ove questi presentano una mutazione: in blu abbiamo l’amplificazione, in rosso abbiamo la diminuzione. Questi geni fanno parte di diversi pathway: • AM: Alternative Mechanisms for telomere mantainance; • CPF: CheckPoint Factors; • CR: Chromatin Remodeling; • CS: Chromosome Segregation; • DR: Direct Repair; • OD: Other Double-strand break repair; • TM: Telomere Maintenance; • UR: Ubiquitylation Response. Da questi diagrammi è possibile notare che non solo questi presentano mutazioni puntiformi, ma anche variazioni nel numero di copie e alterata espressione genica. Le mutazioni prevalgono a livello dei solchi, dove abbiamo l’esposizione dei gruppi funzionali delle basi, ove non abbiamo il legame con proteine strutturali o stabilizzanti e nei momenti in cui abbiamo l’esposizione di ssDNA, ossia durante la replicazione e la trascrizione. Le principali fonti di danno sono costituite da rotture del singolo filamento e varie modificazioni delle basi; nel caso in cui questi non vengano efficientemente riparati abbiamo la mutazione: • mutazione puntiforme: di tipo loss- o gain- of-function; • mutazione cromosomica (6x10-4/divisione cellulare): consistono in modifiche della struttura del cromosoma, quindi traslocazioni, inserzioni, delezioni e inversioni; • mutazione genomica (10-5/divisione cellulare): causate da alterazioni della segregazione cromosomica che determinano aneuploidie. L’instabilità genomica è causata dall’instabilità intrinseca del DNA: in ogni cellula, senza contare l’esposizione a particolari stress, abbiamo circa 70’000 danni al giorno, causati principalmente dallo stress ossidativo. La maggior parte delle mutazioni è causata da agenti endogeni, ossia acqua, ROS e agenti alchilanti. L’idrolisi determina mutagenesi genomica tramite: • deaminazione: il gruppo amminico viene sostituito con un gruppo carbonilico, determinando la sostituzione con: ◦ citosina → uracile ◦ 5-metilCitosina → timina ◦ guanina → xantina ◦ adenina → ipoxantina Essendo che il ssDNA è più sensibile rispetto al dsDNA la deaminazione della citosina prevale su quella della 5-mC, quindi la sequenza amminoacidica subirà dei cambiamenti. Queste mutazioni vengono riconosciute dal BER (Base Excision Repair), un sistema costituito da diversi enzimi che catalizzano la rimozione della base azotate mutata e la sua sostituzione con quella corretta. Tra questi enzimi abbiamo: ◦ timina DNA glicosilasi: che riconosce T-G, dove la T deriva dalla deaminazione della 5m-C. Nel gene codificante per p53 sono frequenti queste mutazioni nella ORF, le quali determinano, se non riparate, delle transizioni (CG → TA); ◦ uracil DNA glicosilasi, che rimuove U presenti nel DNA. Per quanto riguarda queste mutazioni degli hotspot mutageni sono le CpG island a livello delle sequenze non codificanti di molti geni, le quali risultano metilate nel caso in cui il gene non sia espresso, demetilate quando è invece attivo trascrizionalmente. Queste sequenze nel resto del genoma si trovano con una frequenza minore dell’1% per evitare appunto gli eventi mutageni, fenomeno noto come CG suppression. • Depurinazione:: la presenza di siti AP (apurinici) può determinare reazioni spontanee di b- eliminazione che portano all’apertura dell’anello, con conseguenza apertura del backbone. Queste mutazioni vengono facilmente riconosciute dalle AP endonucleasi. Questi proteine hanno una processività molto elevata che permette di riparare tutte le mutazioni. Questo è particolarmente importante in quanto sono circa 10’000 giorno, le quali aumentano diminuendo il pH. Inoltre risultano fondamentali durante la neurogenesi quando abbiamo un grande numero di replicazione consecutive in un breve lasso temporale. L’ossidazione avviene soprattutto a livello del DNA mitocondriale, dove lo stress ossidativo è molto maggiore rispetto al citoplasma. Queste mutazioni vengono riparate da glicosilasi specializzate. Quelle più frequenti sono: • 8-oxo-G, la quale si appaia con adenina; • timina glicole. La metilazione avviene ad opera di metilasi che hanno SAM (S-Adenosil metionina) come cofattore, sintetizzato a partire da metionina e ATP. Questa mutazione avviene principalmente su: • guanina, che diventa 7-metilguanina, la quale si appaia correttamente ma rende il legame glicosidico più instabile; • adenina, che diventa 3-metiladenina, la quale blocca la replicazione e viene quindi riconosciuta da diverse glicosilasi. Oltre a queste modificazioni possiamo avere dei mismatch causati dalla DNA polimerasi, i quali vengono riconosciuti la maggior parte delle volte grazie all’intrinseca attività di proof reading, oppure dai sistemi BER i quali viaggiano accoppiati ad essa. Frequenti sono le inserzioni o delezioni che possono determinare aumento delle triplette o mutazioni frame-shift. Il test di AMES viene utilizzato per studiare l’effetto mutageno di composti esogeni. Tra questi vi possono essere gli intercalanti e gli analoghi delle basi, come il 5-bromouracile. Abbiamo poi degli agenti che non sono mutageni ma determinano l’inibizione di enzimi che processano il DNA, come le topoisomerasi, responsabili di tagli a singolo filamento (topoisomerasi I) o a doppio filamento (topoisomerasi II). Altri agenti invece determinano la formazione di cross- link, come ad esempio molti chemioterapici. I sistemi DDR sono variegati, possiamo distinguerli in base al tipo di danno che riconoscono e al diverso tipo di meccanismo di riparazione utilizzato: • sistemi di reversione diretta, ossia enzimi che agiscono direttamente sulle basi danneggiate. • Sistemi di riparo per escissione di basi che comprendono: ◦ MMR, Mis-Match Repair, ossia sistemi che riconosco transizioni e trasversioni. Questi devono anche essere in grado di capire quale dei due filamenti porti l’errore; ◦ BER, Base Excision Repair, il quale riconosce il danneggiamento di basi che non determina distorsione dell’elica; ◦ NER, Nucleotide Excision Repair, il quale riconosce basi danneggiate che determinano la distorsione dell’elica; • Sistema di riparo tramite ricombinazione, valido per le rotture della doppia elica: ◦ HR: Homologous Repair; ◦ NHEJ: Non Homologous End Joining; ◦ MMEJ: Microhomology-Mediated End Joining • SSBR, Single Strand Break Repair; • ICL (Interstrand CrossLink) repair: questo sistema include proteine di tutti i precedenti sistemi di riparazione; • PRR (Post-Replication Repair): un sistema che permette di proseguire il ciclo cellulare tollerando il danno, il quale verrà rimosso a seguito della replicazione. Molti di questi geni sono geni-malattia per malattie ereditarie caratterizzate da ritardi nello sviluppo, degenerazione e aumento dell’incidenza dei tumori. Ad esempio: • cancro famigliare al seno, con mutazione di BRCA1 e BRCA2, proteine coinvolte nell’HR e segnalazione del danno; • discheratosi congenita, causata da difetti nel mantenimento dei telomeri; • atassie, causate da mutazioni nei pathway di riparazione dei SSB; • xeroderma pigmentoso, causato da mutazioni nei pathway di NER; • linfomi e patologie immunitarie, causati da difetti nei sistemi di riparo NHEJ. Questo sistema è infatti fondamentale per permettere la diversificazione dei cloni linfocitari. Questi pathway sono stati finemente studiati in S. cerevisiae a partire dagli anni 50, dove sono stati isolati mutanti RAD (Radiation Sensitive), i quali sono stati suddivisi in tre gruppi di epistasi, i quali corrispondono essenzialmente alle proteine coinvolte in NER, HR e PRR. Negli anni è stato scoperto che molti di questi geni si trovano conservati fino all’uomo. I sistemi di reversione diretta comprendono l’enzima fotoliasi, il quale è conservato in tutta la scala evolutiva fino ai marsupiali, n quanto è stato perso con l’acquisizione della pelliccia. Questo enzima viene attivato da fotoni ad una lunghezza d’onda di 300 nm. Abbiamo due forme, ognuna specifica per un diverso prodotto derivato dalla reazione tra due pirimidine adiacenti: • una specifica per 6,4-fotoprodotti. Nei placentati vengono riparati quasi tutti da NER; • una specifica per cpd, i quali risultano fortemente cancerogeni e vengono più difficilmente riparati nei placentati. Un altro enzima di questa classe è la metiltransferasi, la quale agisce come enzima suicida: esso trasferisce il gruppo metile sul sito attivo, determinando la propria inattivazione permanente. In tutti gli eucarioti, anche se maggiormente in quelli inferiori, abbiamo anche gli enzimi ALK, delle ossigenasi che riparano la 3-metil Citosina e 1-metil Adenina. Negli eucarioti e nei procarioti che non presentano emimetilazione del filamento neosintetizzato non abbiamo la MutH con attività endonucleasica, ma la subunità Pms1 di MutL che catalizza il taglio del filamento, la quale si attiva in presenza di ioni Zn2+. La discriminazione del filamento neosintetizzato avviene tramite diverse modalità: • nel filamento lento avviene tramite il rilevamento dei frammenti di Okazaki; • nel filamento veloce avviene sia in quanto abbiamo la diretta associazione con la PCNA (sliding clamp), ma soprattutto in quanto le DNApol ad processività inseriscono un ribonucleotide ogni 1200 (DNApol e) o ogni 5000 (DNApol d). Questi ribonucleotidi vengono riconosciuti dall’enzima Rnasi-H2, che catalizza la sua sostituzione con un desossiribonucleotide. Il MMR riconosce il filamento dove è avvenuto il processamento da parte di RnasiH2. Nella sindrome di Lynch (Cancro colon-rettale ereditario senza poliposi) possiamo avere mutazioni in subunità MSH, MLH o PMS, determinando espansione dei microsatelliti, favorita dallo slippage della polimerasi. Inoltre possiamo avere delle mutazioni nel gene SETD2, codificante per un’istone metiltransferasi. Questa metiltransferasi determina la trimetilazione dell’istone H3 che permette il legame di MutS anche a livello delle regioni nucleosomiche soggette a trascrizione attiva. BER – Base Excision Repair Le modificazioni delle basi possono essere causate da metilazioni, ossidazioni o da reazioni con lipidi modificati da elevato stress ossidativo. Questo sistema riveste un ruolo essenziale nel mantenimento del genoma, pertanto la sua disfunzione può determinare aumento della cancerogenesi e neurodegenerazione. I componenti di questo sistema vengono attualmente considerati potenziali target chemioterapici, utili all’induzione dell’apoptosi a seguito di un cospicuo danno al DNA. Questo sistema agisce tramite: 1. Riconoscimento da parte delle DNA glicosilasi, enzimi che determinano il taglio del legame glicosidico, formando un sito AP. 2. Il sito AP viene riconosciuto da endonucleasi AP che determinano il legame in 5’ e reclutano DNA polimerasi. 3. La DNA polimerasi determina il legame della base corretta. 4. Ligasi specifiche determinano la chiusura del SSB. Le glicosilasi sono enzimi monomerici che non necessitano la presenza di ioni o cofattori per essere attivati. Esse scorrono lungo il DNA e la presenza delle modificazioni riconosciute determina la formazione un legame più stabile. Questa stabilità di legame si traduce nell’escissione della base errata. Alcune glicosilasi presentano attività liasica intrinseca, ossia determinano un taglio tra l’ossigeno e il fosfato che determina una reazione di b-eliminazione, con formazione di un’aldeide che viene riconosciuta da enzimi che ripuliscono il backbone, come PNKT. Queste possono essere più o meno specifiche, talvolta vi è ridondanza di funzione, ad esempio esistono quattro glicosilasi che costituiscono la superfamiglia UDG, la quale determina la rimozione dell’uracile. Un altro esempio è la glicosilasi di sicurezza, in grado di riconoscere appaiamenti tra oxo-G e A, determinando la sostituzione della A con la C. Esistono due diversi pathway di riparazione, i quali differiscono principalmente in base al tipo di polimerasi che interviene. Si pensa che l’attivazione preferenziale dipenda dalla lunghezza dell’errore e/o dalla prossimità delle DNApol ad alta processività. • Short Patch BER: abbiamo il richiamo della DNApol b, la quale presenta sia attività desossiribosiofosfato-liasica (dRP liasica), che permette la rimozione della porzione zuccherina, sia polimerasica, che permette l’aggiunta del nucleotide corretto. Successivamente il SSB viene riparato dalla ligasi3, la quale si associa strettamente con XRCC1, proteina che permette il reclutamento di altri enzimi e cofattori necessari alla corretta riparazione del danno. Questo pathway è quello maggiormente utilizzato dalla cellula, come dimostra il fatto che topi KO per l’attività dRP liasica della DNApol b muoiono durante la gravidanza. • Long Patch BER: vengono richiamate le DNA pol e/d, le quali sintetizzano un filamento che spiazza quello originale, determinandone la degradazione da parte di Dnasi, e viene legato al filamento grazie alla ligasi1. Il sistema di riparazione BER è legato al pathway di riparazione delle Single Strand Break, le quali possono essere determinate da radiazioni ionizzanti, arresto delle topoisomerasi I o di BER stesso. Le SSB determinano, quando non riparate: • conversione a DSB; • blocco della trascrizione; • sovrattivazione del sistema PARP, con conseguente apoptosi. PARP sono una famiglia enzimatica composta da 10 isoforme, delle quali la più attiva è PARP1. Questo enzima, quando riconosce un SSB determina l’aggiunta di catene di poliADP-ribosio sia a livello del danno sia negli enzimi necessari alla sua riparazione. Questa aggiunta è transiente in quanto viene eliminata dagli enzimi PARG (Poli-ADP Ribosio Glicoidrolasi), tuttavia ha una durata sufficiente per determinare l’attivazione di BER. Il problema è questi enzimi utilizzano NAD+ determinandone la deplezione, con conseguente diminuzione nella sintesi dell’ATP e il rilascio a livello mitocondriale di AIF (Apoptosis Inducing Factor). PARP e altre famiglie enzimatiche permettono il rilevamento di estremità 3’OH o 5’P non pulite derivate dal SSB. Queste vengono ripulite da PNKT, APTX o TDP1, permettendo il proseguimento del pathway di BER, oppure possiamo avere la formazione di DSB che viene riparato tramite ricombinazione omologa.enzimi che risultano mutati in varie malattie ereditarie a carico del SNC, come ad esempio atassia con aprassia oculomotoria di tipo 1, atassia spinocerebellare con neuropatia assonale di tipo 1 e microencefalia, tutte patologie che determinano neurodegenerazione. L’assemblaggio del complesso NER è sequenziale: 1. riconoscimento del danno da parte di XPC- HR23B. Questo complesso è un’elicasi che permette la parziale apertura dell’elica; 2. reclutamento del complesso TF2H, il quale comprende l’elicasi XPB che permette la completa apertura dell’elica; 3. reclutamento dell’endonucleasi XPG a livello del 3’ del danno; 4. reclutamento di XPA, la quale presenta affinità per le lesioni e conferma la presenza del danno, la quale si trova associata a RPA, proteine che permettono la protezione del singolo filamento; 5. reclutamento di ERCC1-XPF al 5’. Questa è la prima nucleasi che effettua il taglio, determinando l’irreversibilità della riparazione; 6. a questo punto tagli XPG al 3’. Il taglio determina l’escissione di una sequenza di 20- 30 nt, la quale deve essere priva di istoni. Essi vengono successivamente riassociati grazie a chaperoni istonici (CAF1 e ASF1). La riparazione del danno dipende l’inclusione di particolari isoforme, ossia gli istoni H3.3 e H3.1 Essendo lo Xeroderma pigmentosum una malattia caratterizzata da ipersensibilità ai raggi UV il NER deve essere in grado di riconoscere tali mutazioni, le quali devono necessariamente determinare una distorsione dell’elica: • i 4,6-fotoprodotti determinano una grande distorsione dell’elica, quindi vengono riconosciuti molto più facilmente dal sistema NER. Il riconoscimento può avvenire: ◦ direttamente ad opera di UV-DDB; ◦ indirettamente da XPC, il quale riconosce la distorsione del filamento complementare a quello danneggiato; • i CPD sono i danneggiamenti a maggior impatto, soprattutto in quanto vengono riconosciuti più difficilmente poiché provocano delle distorsioni molto esigue. Queste devono infatti essere aumentate in ampiezza del complesso proteico UV-DDB, permettendo il legame di XPC a livello del filamento complementare. L’attivazione del pathway di NER determina l’attivazione del DNA damage checkpoint mediato da ATR, il quale impedisce la replicazione del DNA in presenza di un danno. ATR è una chinasi per si attiva mediante legame con le proteine RPA, le quali si trovano associate all’elica del DNA in caso di: • stalling della forca di replicazione in fase S, determina dalla presenza di un danno; • attività dell’esonucleasi EXO1, coinvolta nel MMR; • attivazione di NER. Double Strand Break Repair Le rotture della doppia elica del DNA sono frequenti nelle cellule tumorali, in quanto le accumulano tramite i veloci cicli di replicazione. Questi danni sono estremamente citotossici quando non riparati, in quanto possono determinare la perdita di materiale genetico: specialmente le rottura in posizione terminale possono portare alla formazione di micronuclei i quali vengono eventualmente persi dalla cellula. In generale possono essere determinati da: • radiazioni ionizzanti e agenti radiomimetici; • produzione eccessiva di ROS; • blocco della forca replicativa, dovuto a conversione di SSB o a processamento di ICL. Quando abbiamo delle lesioni a DSB abbiamo il riconoscimento di queste da parte di proteine del nucleoplasma, le quali devono mantenerle abbastanza vicine, in modo tale da mantenere la lunghezza del cromosoma. Nelle cellule tumorali possiamo avere delle mutazioni dei geni codificanti per queste proteine, che determinano riarragimenti cromosomici. In base al momento del ciclo cellulare avremo la risoluzione del DSB tramite due meccanismi differenti: • NHEJ: meccanismo più veloce, che richiede un minor numero di partner proteici e attivo in tutti i momenti del ciclo cellulare. Questo pathway prevedere il processamento delle estremità e il ricongiungimento, il quale determina tuttavia piccole inserzioni o delezioni di nucleotidi, le quali possono determinare: ◦ mutazioni geniche, nel caso in cui la DSB si trovi all’interno di un gene codificante; ◦ riarrangiamenti cromatinici e cromosomici. • HR: la ricombinazione omologa è il meccanismo più fedele di riparazione, il quale tuttavia può agire in modo efficace solo in presenza del cromatidio fratello, quindi dopo la fase S. Durante la fase G1, infatti, la sua azione può determinare riarrangiamenti del genoma. ◦ Meiosi: questo pathway viene attivato costitutivamente per permettere il crossing-over a seguito dell’azione endonucleasica; ◦ fase S/G2: sfrutta la sequenza presente sul cromatidio fratello come template. Essendo la HR più precisa e fedele rispetto alle NHEJ essa non funziona solo in fase G1. Nel lievito S. cerevisiae RAD52 è il clone difettivo per la ricombinazione omologa: la sua suscettibilità alle radiazioni deriva dal fatto che la fase G1 è molto breve, quindi la NHEJ viene sempre inibita. Tutti i pathway coinvolti nella riparazione delle DSB, ad eccezione del NHEJ, prevedono la rimozione di nucleotidi in entrambi i filamenti in direzione 5’-3’, processo denominato resection. Da qui possiamo avere la riparazione tramite: • Homology Recombination: abbiamo l’invasione del filamento danneggiato nel cromosoma omologo, con la formazione di un d-loop. A questo punto abbiamo: ◦ in meiosi abbiamo la prosecuzione del pathway dHJ (double Holliday Junctions) dove possiamo avere o meno il riarrangiamento delle sequenze fiancheggianti (crossover o noncrossover); ◦ in mitosi abbiamo il pathway SDSA (Syntesys-Dependent Strand Annealing), il quale non determina il crossing over, in quanto il filamento invade il cromosoma omologo, ma copierà da esso solo la parte danneggiata. • Single Strand Annealing: sfrutta la presenza di sequenze ripetute a monte e a valle del DSB. Si formano dei flap in entrambi i filamenti, i quali vengono legati a livello della sequenza ripetuta. Questo tipo di riparazione determina tuttavia la perdita di una grande quantità di materiale genico, la quale non comporta complicazioni solo nel caso in cui il DSB si trovi in una porzione non codificante. Esistono diversi tipi di HR: • SSA (Single Strand Annealing): questo tipo di riparazione è simile alla MMEJ, ma viene effettuata in regioni con sequenze altamente ripetute, quindi la perdita di materiale genico non determina perdita dell’informazione; • BIR (Break Induced Replication): viene effettuata quando la DSB si trova in una porzione terminale del cromosoma. Determina l’invasione del filamento il quale viene risintetizzato fino al termine del cromosoma in entrambi i sensi. Avremo quindi l’estremità del cromosoma crossovered; • SDSA (Syntesis-Dependent Strand Annealing): dove abbiamo l’invasione di un singolo filamento, il quale viene replicato e successivamente fungerà da template per il filamento complementare. Questa via è quella più seguita durante la mitosi e determina la formazione di cromosomi non ricombinanti; • dHJ (double Holliday Junctions): questo pathway viene seguito essenzialmente nella mitosi e determina l’utilizzo di entrambi i filamenti come template per la riparazione del danno. L’enzima resolvasi a questo punto può determinare la formazione di cromosomi ricombinanti o non ricombinanti. La ricombinazione omologa è stata studiata nelle cellule in prima divisione meiotica, dove il DSB è programmato dall’endonucleasi Spo11. In questo caso abbiamo la formazione del D-loop e l’invasione del filamento che può determinare l’attivazione di MMR quando gli alleli sono diversi, ossia abbiamo delle strutture a heteroduplex. Successivamente le giunzioni di Holliday devono essere risolte ad opera della resolvasi che può tagliare in modo differente, determinando il riassortimento o il non riassortimento dei geni fiancheggiati il DSB. Il processo di resection inizia con il legame del complesso Mrn, che prende il nome di Mrx in S. cerevisiae,. Questo complesso si lega a valle del DSB e risulta costituito da: • Mre11: proteina ad attività endo- ed eso- nucleasica; • Nbs1: subunità regolatoria; • Rad50: proteina della famiglia ABC che presenta un dominio nucleasico, un dominio di omodimerizzazione e un dominio di legame con lo Zinco. Questo complesso si complessa formando un tetramero, dove Mre11 e Nbs1 hanno la funzione di legare il DNA e Rad50 si lega al complesso che lo fronteggia permettendo il mantenimento della coesione tra le due estremità del filamento. Questo complesso deve essere attivato da CTIP, una proteina che viene fosforilata dalla Cdk determinando un cambiamento conformazionale che permette il legame dei domini nucleasici formando un legame di coordinazione con lo zinco che permette l’interazione tra due Rad50. Questo cambiamento conformazionale è impedito in assenza di Cdk attiva, quindi la resection può essere effettuata solo a partire dalla fase S. In caso contrario abbiamo la prosecuzione del pathway NHEJ grazie al legame del dimero Ku70/80. 1. L’attivazione del complesso comporta la digestione del DNA da parte della subunità Mre11 in direzione 3’-5’ permettendo la dissociazione del complesso Ku70/80. 2. A questo punto abbiamo l’attività di altre esonucleasi come Exo1 e il complesso elicasi-esonucleasi BLM/Dnasi2 che permettono la formazione del ssDNA. 3. Il filamento ssDNa viene a questo punto ricoperto da RPA, proteine che non solo proteggono il singolo filamento, ma permettono il caricamento di BRCA1 e BRCA2; 4. A questo punto BRCA1 e BRCA2 permettono lo scambio RPA/Rad51; 5. Rad51 permette a questo punto l’invasione del cromosoma omologo. L’intero processo è bidirezionale e comporta tra le altre cose lo smantellamento dei nucleosomi a monte e a valle del DSB. Molti dei fattori coinvolti risultano mutati in patologie caratterizzate da instabilità genomica, come il cancro alle ovaie e alla mammella determinati da loss-of-function di BRCA1 e BRCA2. Inoltre è indispensabile la presenza di barriere che impediscano la prosecuzione della digestione del DNA da parte delle nucleasi, come avviene nella Sindrome di Riddle, dove abbiamo la mutazione di una proteina che catalizza modificazioni istoniche che permettono l’arresto della digestione oltre al danno. Per permettere l’invasione del filamento è necessario scansare le proteine RPA per permettere l’adesione al ssDNA di Rad51, in quanto RPA presentano una maggiore affinità per ssDNA. In S. cerevisiae questo ruolo è svolto dalla proteina Rad52 che lega Rad51 e ne permette il caricamento. Nei mammiferi, invece, questo ruolo è svolto da almeno due proteine: BRCA2 distacca RPA, mentre BRCA1 lega Rad51 e ne determina il caricamento sul ssDNA. La proteina Rad51 è componente della famiglia RecA-like, proteine che si avvolgono elicoidalmente sul ssDNA in direzione 5’-3’. Questo permette l’invasione del dsDNA, il quale viene sondato alla ricerca di omologie di sequenze una tripletta per volta e, nel caso in cui vi sia omologia, permette lo scambio del filamento. La Cdk1 è essenziale nel determinare l’attivazione del pathway HR a partire dalla fase S: • fosforila CTIP permettendo che attivi Mre11; • fosforila una fosfatasi che defosforilando BRCA2 ne permette l’attivazione: • fosforila l’elicasi WRN e la nucleasi Dnasi2. Mutazioni che determinano difetti nella ricombinazione omologa e nel riconoscimento degli ICL determina lo sviluppo dell’anemia di Fanconi, caratterizzata da deplezione della nicchia staminale ematopoietica a causa di instabilità genomica. Inoltre abbiamo un’elevata predisposizione a tumori, quali leucemia linfoide acuta, causata dal fatto che durante la fase S abbiamo l’attivazione preferenziale di NHEJ a scapito di HR. Questa malattia è incompatibile con mutazioni autosomiche dominanti del gene ALDH2 nella madre, che determina accumulo delle aldeide che passano la placenta. Queste vengono prodotte durante il metabolismo di detossificazione dell’alcool: inizia con la sua ossidazione ad acetaldeide, la quale deve essere velocemente inattivata dall’enzima ALDH2 (acetaldeide deidrogenasi). L’accumulo di acetaldeide in concomitanza con difetti nel pathway di riparazione delle ICL determina instabilità genomica che non può essere compatibili con la vita, in quanto causa BMF (Bone Marrow Failure) durante lo sviluppo embrionale. Tolleranza del danno I sistemi di tolleranza del danno sono necessari per permettere la continuità nella replicazione evitando la formazione di DSB che potrebbero determinare la perdita di materiale genico o l’insorgenza di mutazioni cromosomiche. Questo sistema risulta di particolare importanza durante lo sviluppo embrionale, dove il rallentamento della divisione cellulare potrebbe determinare gravi difetti nella formazione dell’embrione. In S. cerevisiae il gruppo di epistasi deputato alla tolleranza del danno è costituito dai geni del gruppo Rad6. Le cellule tumorali replicano molto velocemente ma questo determina una sovra-attivazione del pathway di tolleranza al danno, il quale spesso tuttavia non viene riparato in fase G2, determinando instabilità genomica che si traduce nella presenza di molti diversi cloni cellulari all’interno della massa tumorale, con conseguente prognosi infausta a causa di difficoltà nella scelta della terapia. I tre principali meccanismi di tolleranza al danno sono: • template switch: il riconoscimento della lesione da parte della DNApolimerasi determina l’invasione del filamento neo-sintetizzato nel doppio filamento omologo, permettendo la replicazione fedele. A questo punto avremo un appaiamento di basi errato, il quale verrà riconosciuto da NER in fase G2; • TLS (Trans-Lesion Syntesis): viene permessa dall’attivazione di DNApolimerasi translesione che introducono nucleotidi random, determinando un’alta probabilità di inserire un nucleotide sbagliato; • Re-inizio della replicazione: determina la formazione di un gap, il quale verrà successivamente riempito da una DNApol translesione o mediante template switch. Il pathway scelto probabilmente dipende da dove si trova la lesione: • filamento lagging: si tende a ricominciare la replicazione con un nuovo frammento di Okazaki. Successivamente avremo il riempimento del gap da parte di DNA polimerasi trans- lesione; • filamento leading: la situazione risulta più complicata, in quanto la replicazione dovrebbe essere continua. Talvolta può avvenire l’accoppiamento tra i due filamenti in sintesi ossia la regressione della forca replicativa determinando l’utilizzo del neosintetizzato frammento di Okazaki come template. A questo punto la struttura secondaria può essere risolta tramite uno dei tre meccanismi di risoluzione della HR, oppure possiamo avere BIR. Questi meccanismi non avvengono solo nei punti del genoma danneggiati, ma anche a livello di siti fragili, ossia hot-spot mutageni che possono essere comuni o rari (<5% popolazione). I siti rari presentano delle strutture diverse dalla conformazione B del DNA, sono spesso delle zone altamente trascritte, dove i complessi di trascrizione e replicazione si scontrano, oppure sono delle zone ricche di CGG o AT, che possono formare delle strutture a forcina. Queste comprendono ad esempio il sito FRAXA associato alla sindrome dell’X fragile. Queste regione vengono processate dagli enzimi che dissolvono le giunzioni di Holliday, infatti mutazioni del gene Mus81 risultano deleterie e determinano perdita di materiale genetico. Sintesi translesione Lo stalling della DNApolimerasi in presenza di una lesione determina l’attivazione del DNA damage checkpoint, il quale modifica la PCNA determinando il distaccamento delle DNApolimerasi ad alta processività e il legame di DNApol a bassa processività. Tra queste abbiamo: • DNApolz: complesso costituito da Rev3 e Rev7; • DNApolh: la quale ripara i dimeri di timina causati dai raggi UV inserendo due adenine. Questo risulta quindi nell’appaiamento corretto. Questa polimerasi quando mutata può determinare una forma lieva di Xeroderma pigmentosum, pertanto è chiamata anche XPV (Xeroderma Pigmentosum Variant); • DNApoli: inserisce C di fronte alla oxoG. Queste DNApolimerasi presentano alcune caratteristiche comuni: • non hanno la necessità di associarsi a subunità regolatorie; • non hanno attività proof-reading, sono più lente e poco processive; • vengono espresse a livelli molto bassi; • presentano un sito attivo molto ampio che permette di accogliere il DNA danneggiato; • presentano un little finger domain unito al dominio catalitico tramite un linker. Questo presenta la maggior variabilità e si trova associato alle polimerasi della Y family; • vengono reclutate dal PCNA, la quale successivamente ne determina la dissociazione. Per bypassare la lesione sono necessarie due famiglie di DNApolimerasi: • polimerasi della famiglia Y: le quali permettono l’inserzione del nucleotide opposto alla lesione, comprende polh, i,k; • polimerasi della famiglia B: le quali permettono l’estensione del primer, comprendono la polz. Quando abbiamo il blocco della replicazione la PCNA viene ubiquitinata e richiama le polimerasi della famiglia Y, le quali si associano a PCNA tramite: • dominio PIP che interagisce direttamente con la PCNA; • domini UBM e UBZ che interagiscono invece con l’ubiquitina. 1. Rag1 riconosce le estremità e recluta Rag2; 2. Rag2 taglia il DNA su una singola elica determinando il richiamo del dimero Ku70/80; 3. a questo punto il pathway NHEJ con DNA-Pkc:artemis; 4. Artemis determina il taglio della forcina che si è creata a livello delle estremità codificanti; 5. a questo punto la desossinucleoside transferasi e DNApol translesione determinano l’aggiunta di nucleotidi random che aumentano la variabilità; 6. la ligasiIV chiude il DNA; 7. nel caso in cui sia mantenuto il frame di lettura Rag1 e Rag2 vengono inibite e il gene può essere trascritto e tradotto. La ricombinazione non avviene più nel caso in cui abbiamo una cornice di lettura corretta, ma può avvenire per quanto riguarda le catene pesanti permettendo lo switch degli isotipi anticorpali. Questi processi coinvolgono molti pathway di riparazione del DNA e vengono innescati da particolari condizioni cellulari che determinano ricombinazione delle regioni S. Queste regioni si trovano a monte delle regioni codificanti per le catene pesanti e sono essenzialmente delle sequenze ripetute e sterili. Durante la loro trascrizione agisce l’enzima AID, il quale determina nel singolo filamento esposto la deaminazione della citidina ad uracile. Questo determina l’azione del glicosilasi che forma un sito AP che permette il taglio DSB da parte di enzimi, probabilmente appartenenti al sistema MMR. Questo taglio dell’elica a livello dei siti S permette l’attivazione del sistema NHEJ che unisce regioni distanti, permettendo la ricombinazione. A questo punto la trascrizione continua e abbiamo la produzione del nuovo anticorpo. Questo processo è inibito da mutazioni nel pathway NHEJ, determinando SCID (Severe Combined ImmunoDeficiency), una patologia caratterizzata da assenza di Ig, la quale talvolta può essere combinata a sensibilità alle radiazione (RS-SCID). DNA damage response e DNA damage checkpoint La DNA damage response determina l’attivazione del DNA damage checkpoint, segnale che viene amplificato grazie all’attivazione di diverse proteine trasduttrici, in particolare protein kinasi. L’attivazione di questo checkpoint è essenziale per permettere il ristabilimento dell’omeostasi cellulare o, in alternativa, la sua senescenza o apoptosi, ultima opzione che permette di evitare l’instabilità genomica e quindi, l’insorgenza di tumori o malattie neurodegenerative. La DDR è compresa nella più ampia risposta a stress genomici (GSR), la quale è associata a tutte le disfunzioni del metabolismo cellulare. Le proteine coinvolte nella DDR possono essere classificate da un punto di vista funzionale in: • sensori: i quali riconoscono il danno e richiamano le proteine coinvolte nella riparazione; • trasduttori: i quali determinano modificazioni post-traduzionali che permettono la riorganizzazione della cromatina; • amplificatori ed effettori, i quali determinano il blocco del ciclo cellulare per cercare di riparare il danno o adattarsi ad esso. Per studiare le molecole coinvolte in questo pathway è necessario bloccare le cellule nella stessa fase del ciclo cellulare e rimuovere l’agente che ha determinato l’arresto in modo tale da sincronizzarle. In base al momento del ciclo cellulare e all’organismo di riferimento abbiamo: • Fase G1: si rimuove il siero per impedire l’entrata nel ciclo, oppure in S. cerevisiae si può aggiungere il fattore a; • Start: si utilizza afidilcolina, la quale inibisce l’attività della DNApolimerasi; • Fase S: timidine block o idrossiurea; • Checkpoint G2/M: nocodazolo impedisce la polimerizzazione del fuso mitotico. I primi riscontri del fatto che il danno al DNA inducesse il blocco del ciclo cellulare nelle cellule umane sono arrivati dalla radiobiologia, scoprendo che l’irradiazione delle cellule tumorali ne determinava un rallentamento della crescita. Prelevando cellule di pazienti affetti da Atassia si notò che l’irradiazione non ne determinava un rallentamento nella crescita, ma presentavano una sintesi del DNA radioresistente. Anni dopo si scopre che facendo un KO di Cdc25 si otteneva lo stesso fenotipo della malattia: ipersensibilità ai danni da UV, aumento della frequenza di tumori maligni, immunodeficienza e atassia cerebellare progressiva. Questi pazienti presentano mutazione del gene ATM, il quale successivamente si scoprì essere una chinasi appartenente al pathway della DDR, il quale determina il blocco del ciclo cellulare tramite defosforilazione inibitoria del complesso ciclina-Cdk. Quindi il DDC agisce come checkpoint estrinseco del ciclo cellulare, che ne determina l’arresto. A questo punto si scoprì che i mutanti RAD9 erano difettivi di questo checkpoint, in quanto l’irradiamento delle cellule non porta all’arresto del ciclo cellulare, ma alla proliferazione di colonie le quali tuttavia risultano morte, data la notevole quantità di geni mutati. La vitalità di queste cellule veniva aumentata trattandole con inibitori del ciclo cellulare, in quanto si dava il tempo alla cellula di riparare i danni al DNA. Successivamente si scoprì che RAD9 è una proteina che svolge la funzione di sensore del danno. Negli eucarioti abbiamo diverse famiglie di geni: • sensori: comprendono le chinasi ATM e ATR. Queste chinasi permettono il caricamento di un complesso PCNA simile e di uno RFC simile, i quali hanno il compito di caricare i mediatori della risposta sul DNA; • adattatori: legano la cromatina e ne modificano la struttura per permettere l’azione dei mediatori. La modificazione più importante è la fosforilazione dell’istone H2AX; • mediatori: comprendono BRCA1 e gli attivatori delle chinasi Chk1 e Chk2 (Checkpoint Kinases); • effettori: comprendono p53 che arresta lentamente il ciclo cellulare e Cdc25 che invece lo arresta velocemente. Le chinasi sensore sono ATR e ATM, le quali fanno parte delle fosfatidil-inositolo-chinasi. Si distinguono in base al danno segnalato: • ATM: viene caricata come dimero inattivo a livello di DSB dal complesso MRN, attivandosi. Questa non è essenziale, ma le sue mutazione determinano Atassia telengiasica; • ATR-ATRIP: ATR è la chinasi essenziale e sue mutazioni determinano la sindrome di Seckel, associata a tumori e neurodegenerazione. Essa si lega, mediante ATRIP, alla proteine RPA adese al ssDNA. Questa chinasi è attiva in praticamente tutte le riparazioni del danno, anche durante la riparazione delle DSB. A questo punto è il complesso RFC-like recluta il complesso PCNA-like (9-1-1) e vengono fosforilati da ATR. Questo permette il reclutamento dell’adattatore Rad9 (nei mammiferi 53-BP1), il quale è indispensabile per il richiamo della Chk2, la checkpoint chinasi che amplificherà il segnale andando a fosforilare centinaia di proteine.