Scarica Biologia Molecolare Applicata con la prof. Pranzini e più Sbobinature in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! PLASMIDI I plasmidi sono cromosomi circolari a doppio filamento con una OR, un target gene e una sequenza per la resistenza agli antibiotici. Le funzioni associate ai plasmidi sono: - R resistenza agli antibiotici - Geni per la virulenza - Geni per batteriocine - Geni per l’utilizzo di fonti di carbonio atipiche - Geni per vie metaboliche secondarie - F plasmide per la coniugazione Sono piccole porzioni di meno di 10k basi circolari di DNA extra-cromosomico in forma superavvolta a doppia elica presenti nel citoplasma di molti batteri. Il loro materiale genetico permette all’organismo di svolgere funzioni non vitali, bensì accessorie, apportando vantaggi per l’adattamento; sono capaci di replicazione autonoma → i plasmidi si duplicano autonomamente e si redistribuiscono tra cellule figlie. CONIUGAZIONE BATTERICA La coniugazione è un processo in cui la cellula batterica trasferisce porzioni di DNA ad un’altra cellula tramite un contatto cellula – cellula che può portare a ricombinazione genetica. I plasmidi sono capaci di spostarsi tra le cellule influendo sulla variabilità genetica. Il plasmide F esprime geni per la generazione del pilo sessuale. Si replica in maniera autonoma dal cromosoma attraverso la replicazione rotante che porta al trasferimento di un singolo filamento alla cellula ricevente, mente una copia rimane nella cellula donatrice. Contiene geni per la propria replicazione, quelli per costituire il pilo e quelli per coniugare. EPISOMI Sono plasmidi che si possono integrare nel DNA cromosomico ed essere replicati insieme ad esso, non costituisce più un DNA extra – cromosomiale. PLASMIDI RICOMBINANTI Trovano largo impiego in biomol e ing genetica per la loro manipolazione e produzione. Il plasmide ricombinante viene ottenuto tramite ingegnerizzazione che può farli diventare vettori di clonaggio o vettori di espressione genica. Il sistema è capace di trasportare una sequenza di DNA di interesse all’interno di un organismo estraneo permettendo l’espressione dei geni o la loro integrazione nel genoma del target. Sono divisi in: 1. Vettori di clonaggio: utilizzati per introdurre geni estranei nelle cellule bersaglio e ottenere numerose copie del gene. 2. Vettori di espressione: utilizzati per ottenere il prodotto genico del gene introdotto nella cellula ospite. I plasmidi ricombinanti: a. Sono autoreplicativi; b. Hanno piccole dimensioni per aumentare la resa nel trasferimento e mantenere la stabilità; c. Hanno siti di restrizione che permettono l’inserimento del DNA eterologo nel plasmide. Sito di POLYLINKER: sequenza che contiene siti unici di riconoscimento per endonucleasi per inserire DNA esogeno; d. Hanno la ORI per far avvenire la replicazione; e. Devono contenere geni marcatori selezionabili che hanno la proprietà di renderli identificabili nei saggi in vitro, sono sequenze necessarie per selezionare le cellule che hanno incorporato il plasmide; f. Devono essere facilmente estraibili e purificabili per fare vettori di clonaggio. Il plasmide ricombinante è una molecola ibrida contenente il DNA del vettore e quello proveniente da un’altra cellula che si vuole trasferire. Per farlo dobbiamo avere il plasmide di espressione e il frammento di DNA eterologo contenente il gene di interesse. CREAZIONE Prima di tutto bisogna tagliare il plasmide con uno specifico enzima di restrizione per produrre sticky ends, dopodiché bisogna tagliare il frammento di DNA eterologo con lo stesso enzima di restrizione in modo da ottenere estremità complementari. Infine, l’unione delle due molecole è operata dalla DNA ligasi che riforma il legami fosfodiesterici tra i nucleotidi. Il processo è realizzabile perché il DNA è chimicamente uguale in tutti gli organismi; è fondamentale che venga mantenuta la sequenza delle due porzioni essenziali, cioè oriC e il gene marcatore selezionabile. Il taglio deve essere unico e non ci sono limiti nella grandezza del frammento eterologo. Gli enzimi di restrizione batterici sono stati prodotti per proteggerli dall’infezione di virus: i batteri si proteggono modificando le sequenze bersaglio con gruppi metilici. Essi vengono aggiunti alle adenine nel solco maggiore del DNA e impediscono agli ER di legarsi. Un virus che sta cercando di infettare il batterio non ha questi gruppi metilici e viene degradato. ESPERIMENTO DI CLONAGGIO 1. Purificazione: mediante separazione da DNA genomico. Avviene in vivo tramite proliferazione di batteri in liquido, l’isolamento del plasmide è facile perché rimane in sospensione, mentre quello genomico precipita a seguito di centrifugazione differenziale. 2. Inserimento eterologo: il plasmide vuoto contiene un sito di restrizione, qua viene sottoposto a un’endonucleasi che lo linearizza. Il taglio deve avvenire in un solo punto e non deve cadere né su ORI né sulla sequenza dei geni per la selezione. Si aggiunge alla soluzione l’ER, poi si mette la sequenza di DNA eterologo che si lega alle estremità tagliate del plasmide, dopodiché la ligasi risana i nick tra i due filamenti. 3. Trasformazione in cellule competenti: il processo di trasformazione chimica comporta molto passaggi in cui le cellule sono esposte a cationi per indurre competenza, cioè l’assorbimento di DNA estraneo da parte della cellula (ci sono passaggi di shock termico). 4. Selezione in vivo: l’ingresso del plasmide all’interno di cellule competenti è un evento raro, per cui la selezione di sole cellule nelle quali la trasformazione è avvenuta in maniera efficace sfruttando la resistenza all’antibiotico Ampicillina conferita dalla presenza del plasmide. I metodi di selezione possono essere: a. Resistenza all’antibiotico in cui le cellule selezionate hanno sicuramente il plasmide, però non possiamo sapere se il plasmide è quello ricombinante o vuoto. b. Selezione tramite inattivazione di un gene per la resistenza: col plasmide pBR322 in cui il sito di restrizione BamHI è situata all’interno del gene per la resistenza alla tetraciclina. Questo comporta a distruzione della continuità per il gene della resistenza alla tetraciclina. Le cellule trasformate con plasmidi ricombinanti non sono in grado di formare colonie su terreno solido contenente tetraciclina → le colonie che si formano sono quindi resistenti alla ampicillina ma Se il folding non avviene correttamente o ci sono delle problematiche legate alle modifiche post – traduzionali, la soluzione migliore è quella di far esprimere il vettore in cellule eucariotiche. Da metà di orieuk a metà di oriE è la porzione batterica, mentre da t a orieuk è la porzione eucariota. VETTORI SHUTTLE Sono vettori che possono essere utilizzati in due specie differenti. Il vettore shuttle è un plasmide sintetico in grado di replicarsi e/o trasportare geni in un ospite; hanno tutti una OR di origine batterica. Sono utili perché le fasi di clonaggio sono più veloci e semplici poiché l’ospite di clonaggio è E. coli; inoltre, la molecola ricombinante può essere trasferita ad un’altra specie sfruttando l’ampio spettro di ospiti dello shuttle. Un folding non corretto può essere risolto tramite l’espressione in lievito: i meccanismi di folding proteico sono analoghi a quelli animali. Il modello più utilizzato è S. Cerevisiae, il plasmide inserito è di 6kb, è presente in una cellula con 70 – 200 copie e la sua replicazione è data dalla ORI, dagli enzimi e dalle proteine codificanti dai geni REP1 e REP2. Metodi di selezione in lievito: viene usato il gene LEU2 come marcatore di selezione. Questo gene codifica per la beta-isopropil-malato-deidrogenasi, enzima che codifica per la sintesi della leucina a partire da piruvato. Per poter usare LEU2 come marcatore bisogna avvalersi di un lievito auxotrofo per la leucina (cioè non è in grado di sintetizzare la leucina e può sopravvivere solo se questo è fornito dall’esterno). Il plasmide contiene il gene LEU2, per cui la selezione avviene a seguito di piastratura su terreno minimo in cui vivono solamente le cellule che sono state trasformate. Per fare un vettore shuttle che viene inserito in lievito ci sono vari passaggi: - Il gene viene inserito nel plasmide tramite all’azione di enzimi che tagliano a livello del sito ORF - Il plasmide viene inserito E. coli in coltura liquida e amplificato - I batteri contenenti il plasmide esprimono il gene per la resistenza all’ampicillina che permette la selezione in piastra agar - Il vettore viene estratto e inserito per TRASFORMAZIONE in S. Cerevisiae - Si seleziona con metodo LEU - Si produce in grande quantità di proteina con il corretto folding. VACCINO EPATITE B Infezione del fegato causata da un virus a DNA, si trasmette attraverso contatto sessuale, parentale o scambio di sangue infetto. Quando si insinua nel fegato si replica e porta all’infiammazione e alla comparsa di sintomi, oppure rimane latente danneggiando lentamente il fegato della persona infetta. L’antigene HBsAg è una proteina del capside, la produzione in Coli è facile perché non richiede modifiche post – traduzionali, non si aggrega a formare ghosts (antigeni che venivano purificati dal sangue infetto e usati per immunizzare altri pazienti), ma rimane in forma di aggregato e questo suggerisce un folding incorretto → non fornisce risposta immunitaria protettiva contro il virus HBV. La struttura naturale della proteina prevede che sulla superficie della conformazione ‘a dito di guanto’ siano esposti aa idrofobici che fanno sì che i monomeri si leghino tra loro. È necessario che il vettore shuttle sia inserito nel lievito. Dopo la produzione e purificazione si ritrovano gli aggregati molecolari che naturalmente si riscontrano nel sangue del malato, questo significa che usando la proteina come vaccino si ottiene risposta protettiva. Le modifiche post – traduzionali possono essere espresse in cellule animali: la maggioranza dei polipeptidi devono essere modificati dopo la traduzione per poter essere proteine funzionali. La O – glicosilazione avviene tra il gruppo OH di Ser e Thr e la N – acetilgalattosammina nel Golgi con l’aggiunta di un polisaccaride corto. La N – glicosilazione è l’aggiunta di una catena glicidica a livello dell’atomo di azoto a livello della catena R dell’Asn (asparagina). La catena di zuccheri è assemblata nel RE ed è trasferito da una molecola di dolicolo alla proteina. Dopodiché c’è una modificazione a livello del RER, poi le proteine che hanno subìto sia la glicosilaizone sia la prima modifica vengono trasportate al Golgi con vescisole. Le differenze tra RE e Golgisono che nel RE la glicosilazione è seriale, mentre nel Golgi ogni proteina specifica viene riconosciuta e modificata in base alla funzione futura. COLTURE CELLULARI Sono cellule isolate dal loro organismo e messe in condizioni di vivere all’interno di un sistema definito. Permettono lo studio di diverse funzioni, permettono l’utilizzo di grandi quantità di cellule, con un tipo cellulare definito e in un ambiente che può essere facilmente manipolato. - PRIMARIE: derivano direttamente da un tessuto o un organo per dissociazione meccanica o proteolitica delle singole componenti. Da queste si originano COLTURE SECONDARIE che mantengono le caratteristiche delle cellule di origine e possono subire al massimo alcune decine di passaggi. Le colture primarie hanno un numero limitato di divisioni, dopo vanno in senescenza replicativa. Tra la piastratura e la ripresa della crescita c’è un intervallo di tempo. La coltura primaria ha una duplicazione lenta, poi nei passaggi successivi la duplicazione va più veloce fino alla fase di senescenza con tempi di duplicazione più lunghi, a meno che vengano trasformate per dare linee cellulari immortalizzate. - LINEE CELLULARI: derivano da colture secondarie immortalizzate, cioè che possono crescere in maniera indefinita. Le alterazioni sono nella morfologia, nella fisiologia, nel corredo cromosomico. Le alterazioni possono derivare spontaneamente o a seguito di interazioni con raggi UV, tumori. Le colture cellulari possono essere fatte crescere per adesione o in sospensione. Quelle in adesione crescono su supporto (epiteliali, fibroblasti), hanno lunghi prolungamenti o cellule poligonali. Quelle in sospensione sono quelle del SI e loro precursori con morfologia sferoidale. Importantissima la sterilità. I mezzi di coltura sono standardizzati, garantiscono il mantenimento della coltura in condizioni ottimali durante l’esperimento. Le basi sono soluzioni saline arricchite con elementi fondamentali per la vita delle cellule (sali inorganici, aa, vitamine ecc) + antibiotici/antimicotici. PLASMIDI PER ESPRESSIONE IN ANIMALI Nelle cellule di mammifero si possono introdurre plasmidi che però non hanno possibilità di replicarsi, per cui per essere mantenuti devono essere inseriti nel genoma della cellula. Il vettore di espressione prodotto in Coli si replica e forma grandi quantità di plasmidi, quelli vengono poi purificati e trasferiti in cellule animali tramite TRASFEZIONE. Una volta entrato nella cellula, il DNA migra spontaneamente nel nucleo. Il DNA plasmidico non si replica nella cellula, rimane espresso per poco tempo e poi viene perso = espressione transiente. CREAZIONE LINEE CELLULARI STABILI Per riconoscere le cellule in cui è avvenuta l’integrazione del plasmide si sfrutta la resistenza al veleno cellulare (G418) introdotta tramite plasmide. Dopo 48h si aggiunge il veleno cellulare che provoca selezione positiva delle cellule che presentano il plasmide integrato nel genoma. Dopo 2-3 giorni emergono piccole colonie detto FOCI derivate da un’unica cellula resistente a G418 che contiene il plasmide. Tutto questo dà vita ad una linea stabile che presenta espressione ectopica della proteina ricombinante. Per essere integrato nel genoma il plasmide deve essere linearizzato → in funzione della zona di taglio possono avvenire diversi scenari. È importante controllare sempre che la linea cellulare selezionata per la resistenza esprima anche la proteina di interesse. Espressione proteina ricombinante: il trascritto primario subisce aggiunta di CAP al 5’ e la coda poli-A al 3’ + lo splicing, ciò porta alla traduzione e alla proteina. I sistemi di espressione in cellule animali sono utilizzati per produrre proteine di secrezione, proteine che hanno modificazioni post – traduzionali e proteine che necessitano indirizzamento a organelli. INTRODUZIONE DI DNA IN CELLULE EUCARIOTICHE - Elettroporazione: cellule sottoposte a breve impulso elettrico, stimolo per la formazione transiente di pori nella membrana - Microiniezione: pipetta sottilissima per iniettare le molecole di DNA direttamente all’interno del nucleo delle cellule da trasformare c. La serie di frammenti di cDNA viene inserita in tanti plasmidi di espressione e trasformati in cellule batteriche → si ottiene una collezione di batteri ciascuno dei quali contiene un cDNA ottenuto da uno specifico mRNA presente nella cellula. I cDNA sono rappresentativi degli mRNA presenti nella preparazione originale. d. Screening della library tramite sonda di ibridazione per isolamento. IBRIDAZIONE CON SONDA SU COLONIA 1. Trasferimento delle colonie su membrana di nitrocellulosa o nylon (tratte con NaOH o calore/UV), il DNA rimane legato covalentemente mediante lo scheletro zucchero – fosfato. 2. Incubazione con la sonda marcata: la sonda viene denaturata col calore e incubata con la membrana in una soluzione chimica che ne favorisca l’ibridazione, dopodiché viene lavata ed essiccata e poi si rileva il segnale della sonda identificando le colonie a cui la sonda è legata (autoradiografia). La sequenza della sonda viene fatta partendo da una sequenza aa nota usando il codice genetico per risalire alla sequenza del gene corrispondente. Problema della degenerazione del codice genetico → si sintetizzano una serie di oligonucleotidi che sono potenzialmente corrispondenti a mRNA per una proteina. Condizioni di ibridazione: a. Bassa stringenza: anche oligonucleotidi non perfettamente complementari riescono a formare un imperfetto doppio filamento a basse temperature. b. Alta stringenza: l’ibridazione avviene solo se la sonda e il bersaglio sono perfettamente complementari, alte temperature. Per uno screening di library a cDNA bisogna utilizzare condizioni di ibridazione ad alta stringenza per eliminare la possibilità di falsi positivi. DEGRADAZIONE DI EDMAN: è un metodo molto efficace basato sulla derivatizzazione con PITC che permette la rimozione sequenziale e l’identificazione dei residui amminoacidici a partire dall’N terminale. Per degradare la proteina e poterla sequenziare si usano diverse proteasi che generano oligopolimeri che in parte si sovrappongono. Dopodiché essi vengono separati tramite HPLC (cromatografia liquida ad alta prestazione) e sequenziati. SONDE MARCATE - Radioattivo: incorporazione di nucleotidi che contengono l’isotopo radioattivo 32P. a. Nick translation: sfrutta l’azione della DNA poli 1 nella riparazione dei nick presenti sulla molecola fornendo nucleotidi marcati che verranno incorporati. b. Editing filling: può essere usato solo per marcare molecole dotate di estremità coesive sfruttando il frammento di Klenow che riempie le estremità sintetizzando il frammento complementare innescando la sintesi in presenza di nucleotidi radioattivi. c. Random priming: utilizzo di oligonucleotidi a singola elica con sequenze casuali. Statisticamente questa miscela conterrà alcune sequenze in grado di appaiarsi per complementarietà alle basi della sonda e funzionare da innesco per la sintesi del nuovo DNA. Per questo è usato Klenow in quanto privo di attività nucleasica. - Non radioattiva: a. dUTP modificata con BIOTINA: dopo l’ibridazione si può testare la presenza della sonda incubando la membrana in soluzione contenente avidina accoppiata con marcatore fluorescente. b. Marcatura con perossidasi di rafano: sonda di DNA prima coniugata con la perossidasi di rafano in grado di degradare il substrato luminolo emettendo chemioluminescenza. SINTESI OLIGONUCLEOTIDE SU SUPPORTO SOLIDO Ogni nucleotide porta un gruppo attivante al carbonio 3’ e un gruppo protettivo al carbonio 5’: - Il gruppo attivante accelera la reazione di condensazione tra nucleotidi (altrimenti poco efficiente) - Il gruppo protettivo garantisce che i singoli nucleotidi non si attacchino tra loro ma reagiscano solo con il gruppo 5’-terminale dell’olignucleotide in corso di allungamento (che viene chimicamente deprotetto al momento giusto all’interno di ogni ciclo di allungamento) Il punto di partenza della tecnica è un supporto solido (cordone di resina, trattenuto in una cartuccia) su cui viene innestato il primo nucleotide. Una volta completata la sintesi, l' oligonucleotide verrà separato dal supporto solido mediante scissione chimica. Per ottenere l'oligonucleotide desiderato, la sintesi viene eseguita secondo diversi cicli di sintesi. Ad ogni ciclo, un nucleotide viene incorporato nella catena in crescita. Mentre gli enzimi sintetizzano il DNA o l' RNA nella direzione da 5 'a 3', la sintesi chimica degli oligonucleotidi avviene nella direzione da 3 'a 5’ → I nucleotidi vengono aggiunti uno ad uno, in cicli successivi. I solventi e i reagenti vengono erogati mediante circolazione nella cartuccia di resina mediante una pompa. Durante la sintesi, l'oligonucleotide in crescita rimane attaccato dalla sua parte 3 'alla resina. Si sgancia durante la deprotezione finale. SONDE ETEROLOGHE La somiglianza tra due geni che codificano la stessa proteina in organismi diversi spesso permette che una sonda a singolo filamento preparata sulla base della sequenza di uno dei due geni ibridizzi anche l’altro gene, si ottiene quindi che, anche se le due molecole non sono perfettamente complementari, il numero di appaiamenti di basi formati è sufficiente a produrre un ibrido stabile. L-ibridazione eterologa sfrutta la capacità delle sequenza simili di ibridarsi tra loro per ottenere l’identificazione di un clone. Ibridazione eterologa tra due specie: il gene per il citocromo c di lievito(identificato ad esempio tramite ibridazione con sonda oligonucleotidica radioattiva) può essere a sua volta utilizzato come sonda di ibridazione per identificare i geni del citocromo c in librerie genomiche di altri organismi. La sonda preparata a partire dal gene del lievito non sarà perfettamente complementare al gene del fungo Neurospora crassa, ma la formazione di appaiamenti sarà sufficiente a originare un ibrido. Ibridazione eterologa all’interno della stessa specie: ibridazione eterologa usata per identificare geni correlati all’interno di uno stesso organismi. Se per sondare una library cDNA di grano si utilizza il clone cDNA per la gliadina, questo non si ibriderà solo al suo gene, ma anche ad altri, cioè si identificano geni correlati al cDNA della gliadina, ma con sequenze leggermente diverse. METODI ALTERNATIVI PER SCREENING DI LIBRERIA A cDNA 1. Screening funzionale mediante complementazione di uno specifico fenotipo: - Clonaggio di un gene wild type mediante complementazione funzionale del fenotipo causato da una mutazione recessiva nello stesso gene a. Esempio: complementazione funzionale della mutazione recessiva leu2 nel lievito Saccaromyces cerevisiae da parte di un plasmide ricombinante, presente in una libreria di DNA preparata dall’organismo wild type (che possiede il gene LEU2 wild type). b. Esempio: complementazione funzionale della mutazione recessiva RAD2 (enzima richiesto per riparare lesione causate dal trattamento con raggi UV) nel lievito Saccaromyces cerevisiae da parte di un plasmide ricombinante, presente in una libreria di DNA preparata dall’organismo wild type (che possiede il gene RAD2 wild type) = capacità del gene wild type presente nella libreria di complementare la sensibilità alle radiazioni UV nelle cellule mutate. 2. Screening di una libreria mediante l’utilizzo di anticorpi: Ricerco la presenza della proteina, prodotto genico della sequenza di interesse, per cui le colonie sono trasferite su una membrana di polivinile o nitrocellulosa, le cellule vengono lisate, e la membrana immersa in una soluzione contenete l’anticorpo specifico. Ne deriva che il legame dell’anticorpo primario è evidenziato dal legame con un anticorpo secondario, in grado di legarsi in maniera specifica all’anticorpo secondario. PROTEINE DI FUSIONE La possibilità di clonare un gene consente di trasferirlo per formare una proteina animale o vegetale di interesse dall’ospite naturale a un batterio usando un vettore di clonaggio. Il gene vinee espresso e si ottiene la produzione della proteina ricombinante da parte della cellula batterica, per cui è possibile ottenere quantità elevate di tale proteina. COLTURE BATTERICHE PER LA PREPARAZIONE IN LARGA SCALA a. Coltura a lotti (batch): grandi vasche di coltura da cui si raccolgono le cellule per la purificazione della proteina di interesse. b. Coltura continua: utilizzo di fermentatori da cui è possibile prelevare un campione in coltura, avendo così a disposizione una fonte inesauribile da cui estrarre il prodotto. VETTORI PER ESPRESSIONE DI GENI ETEROLOGHI Si parla di geni espressi in E. Coli. La soluzione è inserire il gene esogeno in un vettore di espressione in modo da porlo sotto controllo dei segnali di espressione genica del batterio così che venga trascritto e tradotto. a. Importante è la scelta del promotore: FORTE → nel batterio controlla i geni i cui prodotti sono richiesti in quantità elevata dalla cellula, DEBOLE → controllano la trascrizione dei geni richiesti in bassa quantità. Per ottenere il massimo dalla trascrizione c’è bisogno di avere un promotore forte. I promotori più usati sono: lac, trp, λP (responsabile trascrizione fago, in E. Coli si produce la versione mutata termolabile della proteina cl che a temp. permissiva agisce da repressore), T7 (fago T7, ciclo lisogeno in E. Coli in cui il fago è modificato con aggiunta del promotore Lac a monte del promotore T7). b. Gioca un ruolo fondamentale anche la regolazione genica dei batteri: INDUZIONE → un gene viene definito inducibile quando la sua espressione è attivata dall’aggiunta di una molecola al mezzo di coltura, REPRESSIONE → un gene è definito tale quando la sua espressione è spenta dall’aggiunta di una molecola al mezzo di coltura. GENI IBRIDI E PROTEINE DI FUSIONE Il gene esogeno viene inserito in corrispondenza di un sito unico di restrizione tra promotore e terminatore subito a valle del sito di legame al ribosoma. L’inserimento del gene esogeno è operato in modo da mantenere la stessa fase di lettura, per cui si genera un ibrido che inizia con il segmento 3. Si può aggiungere anche il dominio His- Tag (etichetta di polistidina): ampliamente usata al fine di purificare ricombinanti; consiste in una sequenza di 6-14 istidine i cui gruppi laterali formano legami di coordinazione con diversi cationi bivalenti. È specifica, reversibile e quindi si presta bene all’applicazione della tecnica della cromatografia di affinità: si fa passare il lisato nella colonna, tutte le proteine che hanno la coda istidinica si legheranno al nichel della colonna = si trattengono SOLO quelle con la His; vengono poi eluite con imidazolo ad alte concentrazioni che compete col nichel. His-tag non ha influenza sulla proteina quindi non serve rimuoverla. 4. Dominio di legame della Glutatione S-transferasi con GSH: colonna con matrice GSH intrappola la proteina di fusione contenente il dominio S, dopodiché si eluisce il tutto aggiungendo GSH libera che compete con GSH legato alla matrice per purificare; il dominio viene poi escisso da endopeptidasi. MUTAGENESI IN VITRO È una tecnica che consente di introdurre una mutazione diretta in una posizione specifica del gene clonata, può essere usata per migliorare l’azione farmacologica di una certa proteina attraverso l’inserimento di piccole modifiche. a. Se presente un sito di restrizione nella regione del gene clonato = delezione di un frammento di delezione, taglio del gene sul sito unico di restrizione con rimozione di alcuni nucleotidi con una nucleasi specifica per dsDNA e cucitura con ligasi, inserimento oligonucleotide a doppia elica in un sito di restrizione. b. Mutagenesi nucleotide – diretta = si parte da una molecola di DNA a singola elica (di solito clonato in un vettore fagemidico M13), viene usato un oligonucleotide complementare alla regione da mutare che contiene la sostituzione nucleotidica desiderata; nonostante il mismatch, l’oligonucleotide si ibrida al DNA e funge da stampo per la sintesi del filamento complementare da parte di una polimerasi. Questo tipo ti mutagenesi ha delle limitazioni nell’efficienza e nell’individuazione. Le molecole a doppio filamento dirigono la sintesi di particelle fagiche, la cui metà sono portatori della versione a singolo filamento della proteina mutata. I fagi vengono fatti crescere su piastre di agar e selezionati con la sonda, dopodiché possono essere reinseriti nell’ospite originario tramite ricombinazione omologa o con un vettore di E. coli. Quando si effettua la trasformazione nel batterio si arriverà ad avere due plasmidi (uno mutato e uno parentale), quello che contiene il mismatch verrà riparato da sistemi di riparazione del batterio, per cui c’è bisogno di operare la trasformazione in ceppi poco funzionanti nel loro MMS. SINTESI GENI ARTIFICIALI Quando si vogliono inserire più mutazioni all’interno di un gene si ricorre a una sintesi de novo di cDNA, cioè a sintesi di geni artificiali. Il gene viene costruito sintetizzando una serie di oligonucleotidi con queste sequenza parzialmente sovrapposte, in modo da costruire tutta la sequenza. È sufficiente la parziale sovrapposizione perché le interruzioni possono essere riempite da una polimerasi che genera il filamento a doppia elica. Si aggiungono, quindi, oligonucleotidi in quantità equimolare, poi si tratta ad alta temperatura per garantire che tutti i filamenti siano singoli; quando si raffredda si mantiene comunque la complementarietà dell’ibridazione. Inserendo i siti di restrizione nelle sequenze alle estremità del gene è possibile operare una digestione con l’enzima appropriato per generare estremità coesive che consentono il successivo inserimento del gene in un vettore di clonaggio. ANALOGHI INSULINA USATI IN CLINICA Solo monomeri e dimeri diffondono rapidamente nel sangue, per cui l’assorbimento di preparazioni contenenti alte percentuali di esameri è lento. Si introducono mutazioni che favoriscono forme dimeriche o monomeriche per facilitare l’assorbimento e per causare precipitazione a pH neutro dopo l’iniezione per un rilascio graduale. Preparazione rapida: - INSULINA LYSRPO: inversione prolina-lisina fondamentali per la dimerizzazione. L’insulina è già in forma di dimero e si attiva in pochi minuti dopo l’iniezione. - INSULINA ASPART: sostituzione della prolina B28 con un asp. - INSULINA GLULISINA: sostituzione Asn B3 con Lys e Lys B29 con Glu. Inizio dell’azione rapido con una durata d’azione breve che si adatta bene per il controllo della glicemia post-prandiale. Preparazione lenta: da sospensione di zinco-insulina in cui lo zinco lega i siti presenti sulla superficie dell’esamero, riducendo la solubilità e quindi ritardando l’effetto. La miscibilità di insulina lenta con quella regolare è limitata alle preparazione estemporanee. Preparazione ultralenta: sospensione di insulina cristallina con un eccesso di Zn, l’azione viene protratta per dissoluzione della forma cristallina. Insulina a rilascio graduale: si fa tramite una serie di mutazioni che portano a precipitazione a pH neutro dopo l’iniezione per un rilascio nel tempo. Permette di dare copertura basale ed evitare sbalzi di glicemia. In A21 l’Asn viene sostituito con Gly e all’estremità terminale C della catena vengono aggiunte due Arg. Come soluzione a pH 4 viene neutralizzata nel tessuto sottocutaneo formando dei microprecipitati ritardandone l’assorbimento. ATTIVATORE TISSUTALE PLASMINOGENO (TPA) È una molecola coinvolta nel processo di fibrinolisi, cioè ha la funzione di attivare il plasminogeno in plasmina, una serina-proteasi che appartiene alla classe delle idrolasi e degrada le proteine del plasma, in particolare la fibrina dei trombi. Esistono dei ricombinanti del TPA che sono: a. Alteplase (hrTPA): usato per infarto miocardico, ictus o embolo polmonare. b. Reteplase: TPA umano non glicosilato usato molto nel trattamento dell’infarto, ha un’emivita più lunga di quella normale. c. Tenecteplase: TPA umano con due modifiche aa usato per il trattamento dell’infarto, ha una maggiore affinità per il coagulo di fibrina. d. Desmoplase: TPA della saliva dei pipistrelli usato negli ictus, ha un’emivita doppia nel sangue del paziente. TUMOR NECROSIS FACTOR (TNF) È una citochina coinvolta nell’infiammazione sistemica, membro di un gruppo di citochine che stimolano la fase acuta. È usata nel trattamento di malattie infiammatorie croniche gravi (artrite, morbo di Crohn). Il suo dominante negativo è il TNF-alfa che è capace di formare un dimero con monomeri della proteina normale; se TNF è inattivo sequestra e blocca TNF-alfa che viene prodotto troppo in pazienti con malattie autoimmuni. Dominante negativo: condizione per cui l’allele recessivo è quello normale e l’allele dominante è in una condizione di non funzionamento. a. Esempio del gene p53: funziona come tetramero e devono essere attive tutte e 4 le subunità perché la proteina si attivi, per cui la proteina NON funzionante vince su quella funzionante = dominante. Anche il gain of function può essere considerato dominante. ERITROPOIETINA (EPO) È un ormone glicoproteico che regola la produzione dei globuli rossi, viene sintetizzata in grandi quantità dalle cellule del rene e in piccola parte dal fegato. È usata in campo medico nella cura di alcuni tipi di anemie come quella di insufficienza renale cronica. Interagisce direttamente con il recettore dell’EPO sulla superficie degli eritrociti innescando l’attivazione di diverse vie di trasduzione del segnale, con conseguente proliferazione e differenziazione terminale delle cellule precursori fornendo protezione dall’apoptosi di esse. L’entità dell’aumento della concentrazione di globuli rossi in risposta alla somministrazione è controllata dal periodo di tempo in cui le concentrazioni di EPO vengono mantenute, non dal livello delle concentrazioni stesse. La somministrazione sottocutanea determina un assorbimento più lento rispetto alla somministrazione endovenosa, portando i livelli plasmatici di picco più bassi e un’emivita molto più estesa. - RICOMBINANTE UMANA: presenta solo lievi differenze che, tuttavia, si riflettono sul comportamento chimico e fisico della molecola come la carica elettrica. Viene usata nel doping. G – CSF umano: è una glicoproteina che regola la produzione e il rilascio dal midollo di granulociti neutrofili funzionali. Trattamento di immunodeficienze da farmaci antitumorali. FATTORE VIII: glicoproteina che regola la coagulazione. MODULAZIONE ESPRESSIONE GENICA IN RICERCA - Gain of function: overespressione della proteina. Il vettore di espressione è sotto un buon promotore (oncogeni, oncosoppressori, proteine con funzione di contrasto della proliferazione). - Loss of function: abolizione dell’espressione della proteina (RNAi). proteina; da questo deriva che la risposta immunitaria non è fornita e quindi non c’è protezione. La struttura naturale della proteina prevede che sulle superficie esterna della conformazione a ‘dita di guanto’ siano esposti aa idrofobi, che fanno sì che i monomeri si leghino tra loro. È necessario quindi cambiare sistema di espressione e usare un vettore shuttle in lievito: dopo la produzione in lievito e la purificazione si ritrovano gli aggregati molecolari che naturalmente si riscontrano nel sangue del paziente malato; con questo metodo si ha un vaccino operativo e funzionante che dà protezione. VACCINO PAPILLOMA VIRUS HPV Le infezioni da HPV si contraggono tramite contatto diretto o in luoghi poco puliti, i virus si trasmettono attraverso liquidi biologici. L’infezione da HPV è asintomatica nella maggior parte dei casi, in altre situazioni possono manifestarsi condilomi acuminati. L’importanza delle campagne di screening per la diagnosi precoce di cancro alla cervice uterina tramite pap-test è estremamente alta per poter curare e prevenire. Ci sono due tipi di vaccini per HPV: - Quadrivalente: è costituito dalle VLps prodotte in cellule di lievito mediante DNA ricombinante. - Bivalente: costituito dalle VLps prodottre con sistema di espressione del Baculovirus mediante DNA ricombinante. Il vaccino anti HPV è composto da particelle simil-virali (Virus-like particles, VLP) associate a sostanze adiuvanti. Le VLP mimano il capside virale ma non contengono il materiale genico del virus; sono quindi in grado di dare una risposta specifica per HPV ma non possono provocare infezioni. Per aumentare lo spettro di copertura dei vaccini ricombinanti per HPV, sono stati impiegati svariati ceppi di ricombinanti di lievito, ciascuno esprimente la proteina L1 di un sierotipo di HPV. FALLIMENTO VACCINO HIV Un vaccino che possa prevenire l’infezione non è ancora disponibile perché il genoma del retrovirus cambia molto velocemente, per cui non si può sviluppare un vaccino contro un determinato antigene se questo muta. La RNA polimerasi non ha proof – reading, per cui c’è un alto tasso di mutazione, poi il genoma deve anche essere retrotrascritto, a cui si possono aggiungere errori. L’HIV appartiene alla famiglia dei Lentivirus: sono trasmessi come ssRNA+. All’entrata nella cellula viene retrotrascritto in dsDNA dalla RT. Viene poi importato nel nucleo e integrato nel DNA tramite integrasi: una volta integrato può rimanere latente o essere trascritto e tradotto per fare altre particelle virali. SARS CoV-2 Ceppo virale della specie coronavirus correlato alla SARS facente parte del genere Betacoronavirus scoperto a fine 2019. Il virione ha diametro di circa 50-200 nm. Presenta 4 proteine strutturali: - S: spike, che permette al virus di attaccarsi alla membrana dell’ospite; - E: envelope; - M: membrana; - N: nucleocapside che contiene il genoma dell’RNA. La proteina S ha affinità con i recettori della conversione dell’angiotensina (ormone peptidico che stimola la vasocostrizione facendo aumentare la pressione arteriosa) ACE2 delle cellule umane. I polmoni sono gli organi più colpiti dal COVID-19 perché il virus accede tramite ACE2 che è abbondante a livello delle cellule alveolari di tipo II dei polmoni. Il virus usa una speciale glicoproteina di superficie che si chiama peplomero per connettersi ad ACE2. Il virus colpisce anche organi gastrointestinali perché ACE2 è espresso anche a livello dell’epitelio gastrico, duodenale e rettale. Vari vaccini per COVID: 1. VACCINO A VIRUS ATTENUTATO: più tradizionali, meno sicuri per gli immunodepressi, hanno difficoltà per la produzione in larga scala. Il virus viene reso inattivo mediante trattamento chimico o calore. Un esempio è SINOVAC, che ha coltivato grandi quantità di coronavirus nelle cellule renali delle scimmie, poi le ha trattati con una sostanza chiamata beta-propriolattone per inattivare il virus. I virus inattivi vengono poi estratti e mescolati con adiuvante (gli adiuvanti stimolano il SI a potenziare la risposta al vaccino). 2. VACCINI BASATI SU PROTEINE RICOMBINANTI: proteina virale Spike prodotta come proteina ricombinante e montata su VLP, ciò ci porta alla mimesi della struttura del virus e il conseguente riconoscimento da parte delle cellule APC. 3. VACCINI VEICOLATI DA VIRUS: a. Virus replicativi: usati virus patogeni di malattie leggere per veicolare nel genoma cellulare un gene aggiuntivo, cioè quello della proteina spike. Esempio del ceppo attenuato del morbillo che viene trasfettato in cellule che produrranno grandi quantità di virus che sarà iniettato come vaccino. b. Virus non replicativi: vengono usati virus difettivi per veicolare un gene aggiuntivo che verrà prodotto nell’ospite stimolando il SI. I virus difettivi non sono capaci di portare avanti la replicazione perché sono ingegnerizzati in modo tale da rimuovere i geni fondamentali per la replicazione del virus. Vengono prodotti in cellule Helper che forniscono le parti mancanti, permettendo la produzione in grandi quantità del virus difettivo. I vaccini veicolati da virus hanno dei vantaggi come l’infezione estremamente efficiente, ma anche difetti perché possono creare problemi in soggetti immunodepressi o possono risultare inefficaci perché alcuni soggetti sviluppano una risposta immunitaria troppo forte. Inoltre, la seconda dose potrebbe risultare non efficace perché il SI reagisce contro il virus eliminandolo. 4. VACCINI A RNA: veicolato nelle cellule dell’ospite mediante liposomi, l’mRNA che codifica per la proteina usata come antigene deve avere una sequenza codificante nota. Viene prodotto in vitro a partire da un plasmide a DNA che contiene la sequenza per Spike usando la trascrizione in vitro. Il materiale genetico veicolato nelle cellule, l’mRNA viene riconosciuto dal sistema di traduzione che produce la proteina, la quale viene secreta e riconosciuta dalle APC che stimolano il SI. Per produrre dei vaccini a RNA c’è bisogno di avere un templato a DNA contenente la sequenza codificante per la proteina che vogliamo usare come antigene e una generazione di un grande numero = clonaggio. Dopodiché si necessita di una trascrizione in vitro mediante l’utilizzo di RNA poli per trasformazione del dsDNA in ssRNA; si aggiunge una coda di poliA e il 5’CAP. si purifica e si impacchetta l’RNA in liposomi. Questi vaccini hanno una grande flessibilità, perché quando si generano delle varianti è sufficiente lavorare sul plasmide stampo e sostituire le sequenze usate con quelle nuove. Il prodotto finale con coda poliA e CAP contiene una ORF che codifica per la proteina di interesse fiancheggiando UTR. L’aggiunta del CAP al 5’ è opera della RNA polimerasi che agisce sul filamento 3’→5’ del DNA e genera un filamento mRNA sul quale possiamo operare un «capping in 5’», cioè l’aggiunta di una 7-metil-guanosina al 5’ del neofilamento; per mettere la 7-metil-guanosina si forma un ponte 5’-5’ trifosfato per non essere degradato. Le ottimizzazioni sono molteplici: - Stabilizzazione mRNA e massimizzazione della traduzione tramite il CAP5’ e il codon usage. - Strategie di delivery della molecola di mRNA all’interno del bersaglio, utilizzando particelle di diversa natura che facilitano la fusione con la membrana cellulare. - Si inseriscono, oltre al CAP e alla coda poliA, anche elementi regolatori e nucleotidi modificati. VACCINO HERPES ZOSTER L’agente eziologico di questo herpes è il virus varicella zoster (VZV), un dsDNA. Questo virus è una riattivazione dell’infezione latente, questo significa che solo chi ha contratto già la varicella può avere VZV (fuoco di sant’antonio). Il vaccino è a DNA, ha ottima durata nel tempo in quanto il DNA del virus è stabile. Virus HZ è vivo e attenuato, quello ricombinante RZV contiene la glicoproteina E del virus per la varicella zoster. VIRUS EPATITE C L’agente eziologico è HCV, ha diametro di 55-65 nm, ha un pericapside a composizione lipidica e un capside icosaedrico contente un ssRNA+ altamente soggetto a mutazioni. La grande variabilità del virus non ha reso possibile la creazione di un vaccino. VACCINO PERTOSSE La pertosse è una malattia infettiva acuta contagiosa causata dal batterio gram- Bordetella Pertussis, che produce la tossina della pertosse che ha azione tossica dovuta all’inattivazione di proteine G trimeriche a livello della membrana citoplasmatica della cellula. Questo porta alla permanenza del legame delle proteine G a GDP rimanendo inattive. La mancata attivazione dell’adenilato ciclasi fa aumentare i livelli di cAMP che danno interferenza con la segnalazione cellulare. È formata da due componenti: protomero A che catalizza l’ADP-ribosilazione di un residuo di cisteina della subunità alfa delle proteine regolatorie Gi e dall’oligomero B, il quale è responsabile del legame coi recettori di membrana specifici e il rilascio del protomero A nelle cellule ospiti. Meccanismo azione: la subunità A ha attività enzimatica e trasferisce il gruppo ADP ribosilico del NAD alla proteina Gi (che di solito inibisce l’adenilato ciclasi). Con la proteina Gi inattiva, l’ATP viene convertito in cAMP senza fine. Questo determina l’arresto delle funzioni cellulari e una diminuzione delle attività fagocitiche. Altera le difese immunitarie e ciò spiega l’alto numero di infezioni secondarie che accompagnano la pertosse. frazionata, trattamento enzimatico, altri mezzi chimici o fisici. Le Ig presenti nel siero hanno la capacità di produrre immunizzazione passiva, neutralizzando veleni o tossine batteriche combinandosi con batteri, virus o altri antigeni che sono stati usati per la preparazione degli stessi. Assicurano un’immediata immunità. C’è il rischio di ipersensibilità. Gli svantaggi sono che ogni antisiero (miscela di anticorpi con diverse avidità e affinità diretti sia contro lo stesso epitopo che contro diversi epitopi dello stesso antigene) è diverso dall’altro, se ne può produrre poco volume e per la purificazione si usa la cromatografia di affinità. PRODUZIONE MONOCLONALI Si usa la tecnica dell’ibridoma per produrli. Il procedimento è il seguente: 1. Topo iniettato con antigene di interesse per stimolare la risposta immunitaria. 2. Si ha una conseguente risposta policlonale per cui il topo produce cellule B contro diversi epitopi dell’antigene. Si deve isolare una singola plasmacellula e fare in modo che proliferi infinitamente in vitro. La soluzione è quella di fare un ibridoma. IBRIDOMA: cellula ingegnerizzata per la produzione massiva di monoclonali, le cellule B vengono fuse con mielomi per la loro immortalizzazione. a. Si immunizza il topo; b. Si recuperano le cellule B dalla milza (popolazione policlonale); c. Si fondono in vitro con cellule di mieloma (linee tumorali delle cellule B); d. Isolamento linee cellulari e screening di quelle adatte; e. Proliferazione e raccolta dei monoclonali. Le cellule B dell’ibridoma conferiscono la capacità anticorpale, mentre le cellule tumorali conferiscono l’immortalità. I singoli ibridomi vengono separati tramite diluizione limite (clonaggio): le cellule vengono diluite in modo tale che in ciascun pozzetto di abbia una singola cellula, così da ottenere linee diverse, ciascuna caratterizzata dal proprio anticorpo. Si sceglie poi la linea che produce gli anticorpi con migliore affinità. Tecniche per fondere le B con mieloma: a. Elettrofusione: fa sì che le cellule B e quelle del mieloma si allineino e si fondano tramite un campo elettrico. b. Trattamento con promotori chimici della fusione di membrane. Le cellule di mieloma vengono in precedenza selezionate per non secernere anticorpi e perché manchino del gene HGPRT, così da renderle sensibili al terrendo di coltura HAT. Sistema di selezione HAT: si mettono enzimi del ciclo di recupero (salvage pathway) come APRT e HGPRT, quest’ultimo è uno degli enzimi che riciclano i componenti di RNA e DNA; esso lega una base purinica, ipoxantina o guanina, ad uno zucchero formando un nucleotide. TERRENO HAT: • Amminopterina → inibitore della sintesi de novo delle purine = la sua presenza nel mezzo inibisce questo processo per cui le cellule dipendono dalle purine presenti nel mezzo e dal «salvage pathway» per la loro soppravvivenza. • Timidina → consente la produzione dei nucleotidi timidinici. • Ipoxantina → consente la produzione dei nucleotidi guaninici da parte degli splenociti/linfociti B, degli ibridomi ma non delle cellule di mieloma che muoiono. Gli splenociti/linfociti B muoiono comunque in colture nel giro di 7-10 giorni. Sopravvivono nel mezzo HAT solo gli ibridomi, in quanto possono utilizzare l’ipoxantina come sorgente di nucleotidi guaninici (componente dello splenocita) e possono sopravvivere per lungo tempo in coltura (componente del mieloma). APPLICAZIONI DEI MONOCLONALI Fondamentali nella ricerca, hanno però scarsa applicabilità in clinica. Sono però usati nell’identificazione di marcatori fenotipici specifici per alcuni tipi cellulari; nell’immunodiagnosi di numerose infezioni sistemiche con la dimostrazioni di specifici Ag in circolo nei tessuti; nella diagnosi dei tumori; nell’analisi e blocco funzionale di molecole cellulari di superficie e di secrezione. APPLICAZIONI TERAPEUTICHE - MUROMONAB: è stato il primo monoclonale approvato per l’uso clinico sull’uomo. È stato usato in passato per il trattamento del rigetto a seguito di trapianto. L’uso prolungato di anticorpi determina sindromi allergiche. Il MUROMONAB è un immunosoppressore che riduce la risposta immunitaria acuta in pazienti sottoposti a trapianti; è un monoclonale murino attivo sull’antigene CD3 (proteina membrana cellule T), si lega alla catena ε del complesso CD3 e causa il blocco della proliferazione e differenziazione dei linfo T. Ha effetti sulla modulazione dell’antigene, dà anergia/inattivazione delle T e apoptosi. ANTICORPI CHIMERICI UMANIZZATI Le reazioni anti-anticorpo riducono l’efficacia terapeutica. Le sequenze amminoacidiche degli Fc delle catene pesanti sono le stesse in individui diversi della stessa specie ma sono diverse in specie diverse; queste differenze sono responsabili delle reazioni immunitarie. Gli anticorpi generati con ibridomi non hanno avuto pieno successo in quanto le linee cellulari derivate sono risultate instabili, per cui negli ultimi anni ci sono stati diversi approcci per umanizzare gli anticorpi murini (che davano reazioni troppo forti): per esempio, ci sono stati anticorpi chimerici con 70% del DNA umano, anticorpi umanizzati con 95% di DNA umano e anticorpi completamente umani, utilizzando animali transgenici con i loci delle Ig umane. ANTICORPI CHIMERICI Sono realizzati con tecniche di BM che consentono di sostituire la regione costante del monoclonale ottenuto dal topo con la corrispondente parte di origine umana. Vengono prodotti isolando le porzioni importanti per il riconoscimento dell’antigene dal monoclonale di topo e montandole su anticorpi umani: l’ingegnerizzazione non viene fatta a livello proteico ma a livello di sequenza, così formando una PROTEINA DI FUSIONE. Creazione 1. Si genera un ibridoma murino che produce anticorpi contro il bersaglio; 2. Il DNA della porzione o di tutta la regione variabile viene fuso con il DNA di Ig umana. 3. Quello che ne risulta viene inserito in una linea cellulare di mammifero che viene messa in coltura per esprimere il gene di interesse. Se il gene murino per l’intera porzione variabile viene saldato (spliced) accanto a Fc umana si genera un chimerico. Se viene usata solo la regione ipervariabile che lega l’anticorpo all’interno della regione variabile del gene murino, l’anticorpo è umanizzato. Strategia clonaggio chimerici Creazione di due plasmidi di espressione in cellule eucariote contenenti rispettivamente le sequenze per catena pesante e leggera fatte da dominio variabile del monoclonale murino e dominio costante di anticorpo umano. a. Creazione sequenze di mRNA per catena leggera con dominio variabile murino + costante umano e catena pesante (uguale); b. Si amplifica con PCR; c. Le sequenze vengono inserite in due vettori di espressione per cellule eucariotiche d. I due vettori vengono co-trasfettati in un’unica cellula (generalmente cellule tumorali) e. All’interno della cellula il sistema di traduzione leggerà mRNA delle due catene e produrrà due proteine NON mature; f. A livello del RE le proteine vengono modificate e unite tramite formazione di ponti disolfuro; g. Infine, la proteina viene secreta come Ig matura. ANTICORPI UMANIZZATI Sono monoclonali che derivano da cellule umane, ad eccezione della parte che si lega all’antigene specifico. È un anticorpo umano a cui a livello della sequenza codificante vengono eliminate le CDR e sostituite con quelle dell’anticorpo murino: si ottiene un anticorpo umano che possiede capacità di riconoscimento tipiche del monoclonale murino. Strategia clonaggio umanizzati Si parte da cDNA di anticorpo umano (pesante e leggera) con ing. genetica, per sostituire chirurgicamente le CDR umane con quelle del monoclonale murino. Dopodiché avviene la trasfezione di 2 vettori (uno catena pesante e uno leggera), uno successivo all’altro. I vettori devono contenere due sistemi di selezione diversi: è necessario un introne per favorire l’esportazione di mRNA nel citoplasma per far avvenire la traduzione; la proteina subisce modifica post – traduzionale a livello del RE come proteina di secrezione. ANTICORPI IN TERAPIA Bloccano l’interazione ligando – recettore, quella delle funzionalità delle proteine, attivano la segnalazione intracellulare (apoptosi) e reclutano componenti del SI a seguito di legame. Vengono applicati come antinfiammatori per produrre anticorpi specifici contro molecole di segnalazione della flogosi e come antitumorali con finalità di blocco dell’attivazione delle vie di proto-oncogeni/oncogeni. Anticorpi monoclonali chimerici: attivano le cellule presentanti l'antigene (APC) e le cellule T più efficacemente rispetto a quelli murini, ma possono comunque indurre la sintesi di anticorpi umani anti- chimera. Anticorpi monoclonali umanizzati contro diversi antigeni sono disponibili per il trattamento del cancro del vaccini e in altri trattamenti. Il primo anticorpo prodotto sfruttando questa tecnica è adalimumab utilizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide e altre patologie infiammatorie. Strategia: il gene codificante per la proteina d'interesse è inserito nel gene di una proteina di rivestimento del fago causando l'esposizione della proteina sull'esterno del fago. Questi fagi recanti la proteina d'interesse possono quindi essere sottoposti a screening con altre proteine, peptidi o sequenze di DNA con l'obiettivo di individuarne possibili interazioni. In questo modo una vasta quantità di proteine può essere saggiata e amplificata in un processo di selezione in vitro analogo alla selezione naturale. I batteriofagi più usati per il phage display sono il fago M13 e il fago filamentoso fd, sebbene siano stati usati anche fagi T4 e lambda. M13 viene modificato geneticamente in modo da esporre sulla sua superficie piccoli peptidi fusi insieme alle sue proteine di superficie (pIII e pVIII) → si ottiene un ampio e diversificato gruppo di cloni fagici, ognuno dei quali esprime delle sequenze random. Da qua derivano popolazioni di diversi batteriofagi, ognuna con un fenotipo ben distinto viene esposta allo specifico target molecolare. Solo quei batteriofagi che presentano un’alta affinità per le molecole target rimangono ad esse legate (dopo i diversi step di lavaggio) e possono essere amplificati in E. coli. I cloni così amplificati vengono sequenziati per risalire alla sequenza amminoacidica del peptide esposto sulla superficie del Fago (per confermare la specificità del peptide al target viene effettuato un test ELISA). ADALIMUMAB: cascata di citochine che porta all'artrite reumatoide = Le cellule T attivate invadono la membrana sinoviale e rilasciano citochine tra cui l'interleuchina (IL)-2, l'interferone (IFN)-γ, il fattore di necrosi tumorale (TNF)-α, TNF-β e IL-3. Ciò fa sì che i macrofagi sinoviali e i fibroblasti producano le citochine infiammatorie TNF-α, IL-1 e IL-6, che portano a complesse cascate di trasduzione del segnale e alla produzione di molecole coinvolte nella degradazione dei tessuti e quelle che determinano il riassorbimento e la distruzione dei tessuti. osso. Adalimumab è prodotto mediante la tecnologia phage-display, che dà come risultato un anticorpo con regioni variabili delle catene pesanti e leggere di derivazione umana e regioni costanti dell'immunoglobulina umana (Ig) G1:κ. Uno dei problemi con gli anticorpi chimerici e umanizzati nel trattamento delle malattie croniche è che possono svilupparsi anticorpi neutralizzanti contro l’anticorpo terapeutico, rendendo così il trattamento sempre meno efficace nel tempo. Infliximab e adalimumab sono entrambi anticorpi monoclonali anti-TNF- α, ma infliximab è chimerico, mentre adalimumab è completamente umano e quindi la sua immunogenicità dovrebbe essere molto bassa. TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE E APPLICAZIONE PCR IN DIAGNOSTICA Estrazione DNA: separazione dagli componenti 1. Lisi cellulare 2. Passaggio su resina insolubile che lega DNA con sali 3. Lavaggio resina con tamponi che permettono la separazione (etanolo 70%) 4. Eluizione DNA da resina con acqua o soluzioni a bassa concentrazione che facilitano il distacco. Quantificazione spettrofotometrica acidi nucleici La spettrofotometria è la tecnica che ci dà informazioni sulla concentrazione di acidi nucleici del campione insieme a due rapporti di qualità. La concentrazione degli acidi nucleici può essere determinata misurando la loro assorbanza con uno spettrofotometro (Nanodrop). L'assorbanza è misurata a 260 nm (A260), un livello a cui gli acidi nucleici assorbono in modo maggiore la luce. La quantità di luce assorbita è proporzionale alla quantità di acidi nucleici nel campione. La relazione tra la concentrazione e l'assorbanza è descritta dalla legge di Beer-Lambert: c = A / (ε · L). Il rapporto 260/280 riflette la purezza del DNA e dell'RNA. A 260 nm si misurano gli acidi nucleici e a 280 le proteine. Il rapporto 260/280 raccomandato dovrebbe essere tra 1,8 e 2,1. Se il rapporto è inferiore, questo può indicare la presenza di proteine o altri contaminanti che assorbono a 280 nm. Il rapporto 260/230 è usato come misura secondaria della purezza degli acidi nucleici. A 260 nm si misurano gli acidi nucleici e a 230 si misurano le sostanze chimiche rimaste nel campione dalla fase di isolamento. I valori 260/230 dovrebbero essere nell'intervallo 2,0-2,2. Se il rapporto è più basso del previsto può indicare la presenza di contaminanti, che assorbono a 230 nm (ad esempio il fenolo). La corsa elettroforetica è la procedura di separazione delle molecole di DNA di diverse dimensioni in gel di agarosio orizzontale. Le posizioni dei frammenti è visualizzata dopo la colorazione con bromuro d’etidio; la distanza di migrazione percorsa da molecole di dimensiona nota permette la costruzione di una retta di taratura di riferimento per determinare le dimensioni di molecole di DNA con dimensione sconosciuta. Per la corsa elettroforetica: 1. Il campione viene caricato in piccoli pozzetti su agarosio 2. Si applica corrente al gel posizionando l’elettrodo positivo dalla parte opposta ai pozzetti, così che il DNA che è negativo si muova in quel verso. Le molecole più grandi si muovono meno rispetto a quelle piccole. 3. Dopo si visualizza il DNA che si presenta sotto forma di strisce derivate da frammenti di diversa lunghezza. Con questo metodo è possibile visualizzare solo una grande quantità di DNA. Sul gel viene caricato anche un DNA ‘ladder’ contenente una miscela di frammenti di DNA di dimensioni note; le dimensioni dei campioni di DNA possono essere stimate confrontando con il DNA ladder. La strumentazione prevede un alimentatore per la creazione di campo elettrico e molecole di DNA separate mediante elettroforesi e illuminazione con lampa a raggi UV. SOUTHERN BLOT È una metodologia usata in biologia molecolare per rilevare la presenza di specifiche sequenze di DNA in una miscela complessa. 1) Un campione eterogeneo di DNA genomico viene trattato con enzimi di restrizione e sottoposto ad elettroforesi su gel d'agarosio o di poliacrilammide. 2) Il gel viene immerso in una soluzione alcalina per denaturare il DNA (soluzione molto diluita di NaOH per 15 minuti). 3) Il gel viene coperto da un foglio di nitrocellulosa o nylon a carica positiva e sopra di questo viene posta una pila di fogli assorbenti = Per capillarità la soluzione tenderà ad attraversare il gel, il foglio di nitrocellulosa e risalirà nei fogli assorbenti. I sali trascinano i segmenti di DNA perfettamente in verticale, depositandoli sullo strato di nitrocellulosa con il quale i segmenti instaurano legami elettrostatici (dovute alle cariche negative dei gruppi fosfato del DNA che si legano alle positive della membrana). In questo passaggio il DNA non sale grazie a una forza elettrica come nella prima elettroforesi ma solo per capillarità. 4) Il foglio di nitrocellulosa viene separato dal gel e vengono saturate le cariche positive con DNA eterologo (solitamente DNA da salmone); questo si chiama processo di pre-ibridizzazione. 5) Il foglio di nitrocellulosa viene immerso in una soluzione contenente una sonda marcata in vario modo (fluorescenza, radioattività, ecc..) che ibridizza con sequenze di DNA complementari presenti sul foglio, identificandole. La sonda viene creata con tecniche di amplificazione del DNA. L'ibridizzazione della sonda con il DNA può avvenire con diversi gradi di "stringenza" a seconda delle finalità dell'esperimento 6) A seguito del lavaggio della nitrocellulosa per eliminare le sonde non ibridate, si fa una lastra fotografica che metta in evidenza dove la sonda ha legato il DNA genomico. NORTHERN BLOT È una tecnica che permette di visualizzare ed identificare l'RNA purificato da un campione = studio dell’espressione genica. Tecnicamente, è simile al Southern Blotting, con la differenza sostanziale che l'RNA tende a formare strutture secondarie stabili in soluzione, per cui per fare in modo che la mobilità elettroforetica sia solo dipendente dalla lunghezza del frammento, l'RNA deve essere preventivamente denaturato (solitamente esponendolo ad alte temperature). Inoltre, la corsa elettroforetica deve essere eseguita in presenza di agenti denaturanti, solitamente formaldeide e formammide. Per analisi RNA non è necessario operare tagli, possiamo mettere le molecole estratte dal campione tali e quali (RNA cellulare, o solamente frazione PolyA). Marcatura radioattiva della sonda: per preparare la sonda possiamo usare cDNA del gene di interesse; se si ha un’ottima sonda per northern blot si fa analisi RNA. Se la sonda è buona sonda si fa analisi DNA (gene, dove cDNA ibridizzerà solo alle porzioni esoniche, ma sufficiente per riconoscimento) Procedimento di formazione della sonda: 1) cDNA inserito in DNA plasmidico e linearizzato. 2) Aggiunta RNA polimerasi I + oligonucleotide che funziona da innesco (sintetizzato sulla base della sequenza al 3’ del cDNA). 3) Formazione di giunzioni innesco-stampo perfette per azione della RNA polimerasi I. 4) IN PRESENZA DI dNTP (deossinucleotidi tri-fosfato) MARCATI RADIOATTIVI SI CREA SONDA MARCATA (bollitura per separare i due filamenti). La sonda può essere aggiunta (previa bollitura) alla membrana, questo porta un’ibridazione della sonda su DNA/RNA presente sulla membrana. Identificazione sequenza tramite sonda: a. SOUTHERN BLOT: analisi del DNA genomico, che deve essere frammentato per fare in modo che sia «mobile» su gel di corsa elettroforetica. I tagli vengono effettuati in maniera «controllabile» mediante specifici enzimi di restrizione. b. NORTHERN BLOT: analisi RNA, in cui NON è necessario operare tagli→ vengono corse le molecole di mRNA «tali e quali» (non sono molecole molto grandi (meno di 5000 basi), per cui hanno una buona motilità elettroforetica. Intero RNA cellulare, frazione poly-A precedentemente isolata mediante colonnine. In entrambe le tecniche si utilizza la sonda specifica per identificare le sequenze di interesse. primers sono progettati in modo tale da essere in grado di ibridarsi con le estremità 5’ dei due filamenti del DNA da amplificare. Per fare una PCR è necessario conoscere la sequenza del tratto di DNA da amplificare (o almeno delle sequenze ai suoi due estremi) per progettare i primers. Ciclo PCR: 1. Denaturazione DNA; 2. Annealing dei primer ai filamenti denaturati; 3. Sintesi da parte della DNA polimerasi. Questo ciclo viene ripetuto numerose volte (25-40): il DNA di partenza viene denaturato e poi ibridato con due primer che si appaiano a livello degli estremi della regione da amplificare, uno per ciascuno dei due filamenti di DNA. Utilizzando i nucleosidi trifosfato inseriti nella miscela, la polimerasi sintetizza in 5’-3’ il filamento complementare a partire dai primer. Il numero di molecole di DNA di partenza resta costante durante la PCR, le molecole che iniziano da un primer e proseguono oltre l’altro primer (amplificati lunghi) aumentano in maniera aritmetica e le molecole amplificate tra i due primer (amplificati corti) aumentano in maniera esponenziale. I primi tentativi di PCR vennero fatti utilizzando la polimerasi I di E. coli che è inattivata alla temperatura di denaturazione del DNA → il problema viene risolto mediante l’utilizzo di polimerasi derivanti da batteri termofili: Taq polimerasi. 1) Fase di denaturazione (95ºC): A questa alta temperatura, i legami idrogeno che tengono insieme i due filamenti di DNA si rompono, e i filamenti di DNA si separano. Il DNA a singolo filamento è ora disponibile per la copiatura. 2) Fase di associazione (54ºC): i primer si legano ai siti complementari del DNA modello. La temperatura di associazione è calcolata dalla composizione del primer (il numero di nucleotidi e il numero di guanina e citosina). Normalmente, è necessario calcolare la temperatura di associazione ottimale per ogni primer. 3) Fase di estensione (72ºC): A 72 ºC, DNA polimerasi riconosce l'estremità 3′ di un primer legato a un filamento stampo e inizia a copiare la sequenza. Alla fine di un ciclo, le parti dei filamenti iniziali di DNA sono raddoppiate in numero. Alla fine, ad esempio, di 30 cicli, solitamente eseguiti nella PCR, almeno 1 miliardo (230) di copie della sequenza target sarà presente nella provetta. Per eseguire la PCR, è necessario aggiungere una DNA polimerasi termostabile, nucleotidi, primer e il DNA che si vuole usare come modello. I reagenti della PCR sono: a. Primer: si legano a una specifica sequenza di DNA e segnano l'inizio dell'amplificazione del DNA (primers forward e reverse forniti in QUANTITA’ EQUIMOLARI) b. Nucleotidi: sono necessari per costruire la nuova sequenza di DNA. c. Polimerasi: La polimerasi è un enzima che assembla i nucleotidi sulla base della sequenza del template → DNA stampo: la base dell'amplificazione della nuova sequenza di DNA. Quando si prepara un esperimento di PCR, bisogna fare molta attenzione alla potenziale contaminazione. La PCR è una tecnica molto potente per amplificare il DNA. Questo significa che se hai una piccola contaminazione (per esempio, DNA proveniente da un altro campione), anche questo DNA può essere amplificato, entrando in competizione con il modello originale e distruggendo i risultati del tuo esperimento. Per prevenire la contaminazione, devi sempre usare i guanti e lavorare in un ambiente molto pulito (cambia i puntali delle pipette quando stai pipettando da un altro contenitore, legati i capelli, non tossire o starnutire intorno al banco di lavoro della PCR). Taq – polimerasi: DNA polimerasi DNA-dipendente che agisce in direzione 5’→3’, la cui temperatura di funzionamento: 75-80°C in presenza di ioni Mg2+. La reazione polimerasica: forma legami fosfodiestere tra 3’ OH di un nucleotide innesco e fosfato α sul 5’ trifosfato di un nucleotide libero. Inoltre, la polimerasi possiede azione esonucleasica 5’→3’ (ma non 3’→5’). Mancando di attività esonucleasica 3’→5’ i nucleotidi sbagliati non possono essere rimossi, l’accuratezza è di circa 1 errore/104 nucleotidi aggiunti. RT PCR: reverse PCR; variante della PCR che consiste nella sintesi di una molecola di DNA a doppio filamento a partire da uno stampo di RNA. La molecola di DNA sintetizzata mediante il processo di retrotrascrizione è definita cDNA. Mediante l'impiego della RT-PCR è possibile convertire in DNA un intero trascrittoma (insieme di tutto il trascritto di una cellula) di uno specifico tessuto/coltura cellulare. Il prodotto della retrotrascrizione dell’RNA può essere amplificato mediante PCR classica, oppure essere quantificato mediante real time PCR (qPCR). Problematiche legate alla PCR: a causa dell’altissima efficienza di amplificazione che permette di partire da pochissimo materiale, questa tecnica è facilmente soggetta al rischio di contaminazione, per cui bastano poche molecole di DNA contaminante per ritrovare sequenze non desiderate nel DNA amplificato. La Taq-polimerasi ha sistema di proof-reading non ottimale e questo può causare errori; è quindi importante verificare sempre che il prodotto di PCR sia corretto mediante corsa elettroforetica su gel di Agarosio del prodotto di PCR. Posso verificare che sia avvenuta l’amplificazione e che il DNA ottenuto sia della giusta lunghezza (in base alla motilità elettroforetica). La PCR è tecnica principalmente qualitativa: permette di amplificare una regione di DNA se questa è presente nel campione in esame, ma non è in grado di dare una misura della quantità di tale regione nel campione stesso. Si ovvia a questo con la REAL TIME PCR REAL TIME PCR La PCR quantitativa (real time PCR O qPCR) è un metodo che simultaneamente amplifica (reazione a catena della polimerasi o PCR) e quantifica il DNA. Il DNA è amplificato da reazioni a catena della DNA-polimerasi. Dopo ogni turno di amplificazione, il DNA è quantificato mediante l’utilizzo di colorazioni fluorescenti che intercalano con il DNA doppio-filamento (ds) o mediante l’utilizzo di oligonucleotidi modificati del DNA (denominati sonde) che sono fluorescenti una volta ibridati con un DNA. L’analisi dei dati ottenuti viene fatta durante la fase esponenziale in cui il prodotto di PCR è proporzionale allo stampo iniziale. Spesso la PCR real-time è combinata con la PCR Retro Trascrizionale (RT-PCR) per quantificare i livelli di espressione di specifici RNA: la rRT-PCR produce del DNA complementare a singolo filamento (cDNA) mantenendo inalterati i rapporti relativi di concentrazione delle diverse specie degli RNA → in questo modo è possibile misurare l'espressione relativa di un gene ad un tempo particolare, o in una cellula o in un tipo particolare di tessuto. Dal confronto delle curve di amplificazione si può dedurre l’abbondanza di una determinata sequenza target: una regione presente nella preparazione iniziale in più copie rispetto ad altre genera un segnale rilevabile dopo pochi cicli di amplificazione, mentre una regione presente in un numero minore di copie è rilevabile più tardivamente. Durante i primi cicli la quantità i DNA è così bassa da non poter essere rilevata; nella fase esponenziale la curva inizia a salire con andamento esponenziale, raddoppiando ad ogni ciclo; viene selezionata una linea soglia (treshold) che interseca le curve di tutti i campioni nella fase esponenziale. Ciclo soglia (Ct): ciclo di reazione in cui il segnale di fluorescenza del campione interseca la linea soglia → il valore di Ct è inversamente proporzionale alla quantità di stampo iniziale. Metodi per sintesi di PCR in tempo reale 1) INTERCALANTE FLUORESCENTE (SYBER Green) che lega in modo non specifico il solco minore del DNA a doppio filamento ma non lega il DNA a singolo filamento, l’intensità dal segnale di fluorescenza è proporzionale alla quantità totale del DNA amplificato. 2) Sonda complementare alla sequenza target dell’amplificazione che consente l’emissione di un segnale fluorescente la cui intensità è proporzionale al numero di molecole prodotte nella reazione di PCR (sonda TaqMan). SONDA TaqMAN: ha gruppo fluorescente (reporter) all’estremità 5’ e un gruppo mascherante (quencher) all’estremità 3’ in grado di assorbire i fotoni emessi dal reporter. Quando la Taq-DNA-polimerasi durante la fase di estensione incontra la sonda appaiata alla regione di DNA di interesse opera la sua attività nucleasica 5’→ 3’ e la degrada; da questo consegue che il reporter e quencher vengono separati e si produce segnale di fluorescenza di intensità proporzionale al numero di sonde degradate (e quindi al numero di molecole neosintetizzate). Differenze tra sonde e primers: le sonde non possono essere amplificate dalla Taq-polimerasi perché mancano del gruppo idrossilico –OH in 3’; sono legate covalentemente alle due molecole (fluoroforo e quencher). Fino a che la sonda rimane «intatta» non si produce segnale di fluorescenza; quando si crea un amplificato in PCR si separano reporter e quencher e viene prodotta fluorescenza. DROPLET DIGITAL PCR La tecnica assume che durante la suddivisione in microgocce la popolazione delle molecole di acido nucleico segua una distribuzione statistica poissoninana (legge di Poisson dei piccoli numeri), per cui il numero di eventi positivi e negativi viene usato per calcolare il numero di copie del target di interesse nel campione (copie µL). VANTAGGIO: è possibile una quantificazione assoluta del numero di copie del target di interesse nel campione senza la necessità di una curva standard. Il campione viene ripartito in circa 20.000 microgoccioline che funzionano da «nanoreattori» in cui vengono incapsulate molecole di acido nucleico dal volume di 1 nL → le molecole di acido nucleico sono ripartite in modo casuale nelle microgocce; il generatore di emulsione che sfrutta la microfluidica. Una volta preparata l’emulsione, ciascun campione è trasferito in piastra da 96 pozzetti e mediante l’utilizzo di un termociclatore si procede alla reazione di PCR: ogni goccia è un nanoreattore all’interno del quale viene amplificata, se presente, la sequenza di interesse. Al termine della PCR un lettore di fluorescenza analizza ogni singola goccia del campione, rileva e conta gli eventi negativi (microgocce al cui interno non è presente la sequenza ricercata e in cui non è avvenuta l’amplificazione) e gli eventi positivi (in cui il segnale fluorescente denota l’avvenuta amplificazione e la presenza del DNA di interesse). L’analisi digitale di presenza/assenza del segnale e la possibilità di tracciare un livello soglia (treshold) netto tra gli eventi positivi e negativi, permette una quantificazione assoluta del numero di copie del target di interesse nel campione di partenza. Nella maggior parte dei soggetti con infezione sintomatica da COVID-19, l'RNA virale, prelevato mediante tampone rinofaringeo, diventa rilevabile già dal primo giorno in cui sono presenti i sintomi, con un picco entro la prima settimana dall'esordio dei sintomi Un risultato PCR "positivo" riflette solo il rilevamento dell'RNA virale e non indica necessariamente la presenza di virus vitale. La diagnosi sierologica è, invece, importante per i pazienti con malattia da lieve a moderata, ma utile anche per identificare le persone immuni e potenzialmente "protette" dall'infezione. Gli anticorpi IgM e IgG si riscontrano già dal quarto giorno dopo l'insorgenza dei sintomi, livelli più elevati vengono riscontrati nella seconda e terza settimana di malattia. Successivamente le IgM iniziano a diminuire e raggiungono livelli più bassi entro la quinta settimana, mentre le IgG persistono oltre le 7 settimane. Questi anticorpi IgM e IgG vengono testati mediante ELISA (specificità maggiore al 95% per diagnosi di COVID-19). 3. DIAGNOSTICA TUMORALE: ricerca di mutazioni specifiche in oncogeni ed oncosoppressori delle cellule tumorali a livello della sequenza codificante per la proteina, cioè analisi di sequenza dei prodotti PCR ottenuti con l’amplificazione del DNA; oppure valutazione del livello di espressione dell’mRNA di oncogeni o oncosoppressori (mutazioni regolative), l’analisi viene fatta mediante PCR quantitativa a partire da mRNA. Proto-oncogeni: un proto-oncogene è un gene normale che può diventare oncogenetico a causa di mutazioni o di un aumento dell’espressione. I proto-oncogeni codificano proteine che regolano il ciclo cellulare, la sopravvivenza e il differenziamento cellulare. - Mutazione attivante: mutazioni che rendono la proteina costitutivamente attiva. Si effettua la valutazione della presenza di una mutazione attivante mediante PCR utilizzando primers specifici che permettono di amplificare la regione dove so che può esserci la mutazione + sequenziamento per valutare la presenza della mutazione. Il ,ateriale di partenza è DNA o RNA. Mutazione sempre DOMINANTE → sufficiente che sia presente in eterozigosi - Aumentata espressione: aumento quantità del trascritto per: amplificazione genica, traslocazione genica e inserzioni retrovirali. Si effettua la valutazione della quantità di trascritto mediante PCR quantitativa partendo da RNA. Non è necessario valutare la sequenza di DNA, si parte da RNA. Oncosoppressori: un gene oncosoppressore è un gene che codifica per prodotti che agiscono negativamente sulla progressione del ciclo cellulare proteggendo in tal modo la cellula dall'accumulo di mutazioni potenzialmente tumorali. Quando tali geni sono assenti o inattivati (ad esempio in seguito all'insorgenza di una mutazione) la cellula può progredire verso la trasformazione in cellula cancerosa, (solitamente in presenza di altre modificazioni genetiche). L’analisi QUALITATIVA in PCR per la valutazione della presenza di una mutazione inattivante. Ricerca traslocazione BCL2: il linfoma follicolare è una forma di linfoma non-Hodgkin che nell'85% dei casi si associa alla traslocazione t(14;18) (q32;q21), che attiva il gene BCL2, che codifica per la proteina BCL2, essenziale nella regolazione del processo di apoptosi. Un aumento dell’espressione di BCL2 porta a blocco dell’ingresso della cellula in apoptosi. L’analisi molecolare per la ricerca delle traslocazioni t(11;18) dei geni IgH/BCL2 è utilizzata sia per la tipizzazione del linfoma sia per la stadiazione di linfomi alla diagnosi o per pazienti in follow-up post-trapianto o post-terapia. Il metodo usato prevede l’estrazione del DNA genomico, amplificazione della regione target e la corsa elettroforetica degli ampliconi e loro visualizzazione su gel di agarosio. Il linfoma follicolare causato dalla traslocazione a lievello del gene BCL2 è trattabile → ma serve sorveglianza per valutare se la terapia sta funzionando. Mediante l’utilizzo di PCR con primers che amplificano solo la regione derivante dalla traslocazione posso monitorare l’andamento dell’abbondanza di cellule tumorali in circolo (e quindi efficacia della terapia). Primer per IgH e primer per Bcl2. In cellula normale non avremo amplificazione per PCR (in quanto i due geni sono su cromosomi diversi). In una cellula tumorale di linfoma follicolare avremo amplificazione per PCR della regione cha ha subito la traslocazione, per cui la PCR quantitativa permette di eseguire la misura del numero/livello di cellule di linfoma follicolare presente. 4. ANALISI DNA ALTAMENTE RIPETUTO: VNTR (Variable Number of Tandem Repeats, numero variabile di ripetizioni in tandem), sono polimorfismi del DNA in cui la differenza tra le diverse varianti non è data da un cambio nucleotidico (come è invece per i SNP - polimorfismi a singolo nucleotide) ma dalla ripetizione in tandem di specifiche sequenze nucleotidiche. Le sequenze ripetute del nostro genoma sono diverse e di diversa origine e rappresentano circa il 44% del nostro DNA, quelle ripetute in tandem sono caratterizzate dal fatto che le unità di ripetizione si trovano adiacenti l'una all'altra. A livello di queste regioni avvengono frequentemente eventi di crossing over ineguali → questi siti saranno fortemente caratterizzanti per ogni persona: polimorfismi di lunghezza diversa per ciascun individuo e di sequenza diversa per ciascun individuo. Viene fatta l’analisi di un gran numero di VNTR che permette di identificare l’individuo a cui appartiene il DNA esaminato se il polimorfismo dei loci esaminati è alto. Tipizzazione genetica mediante analisi di VNTR: 1) Estrazione di DNA genomico da una fonte biologica; 2) Digestione con un enzima di restrizione; 3) Elettroforesi; 4) Trasferimento su filtro; 5) Ibridazione con sonda mono-locus o multi-locus. ANIMALI E PIANTE TRANSGENICI Un organismo transgenico è un organismo nel quale sono stati inseriti geni provenienti da un organismo di specie diversa, così da formare DNA ricombinante. Si dividono in: - Gain of function: espressione di una proteina a livelli maggiori di quelli naturali; - Loss of function: blocco dell’espressione di una determinata proteina (topi KO). Nei topi transgenici il DNA esogeno può inserirsi casualmente nel genoma ospite, in quello KO il DNA esogeno deve ricombinare esattamente con il gene che deve essere inattivato. Diverse strategie: a. Approccio transgenico standard: microiniezione di DNA lineare nella cellula uovo fecondata. Si mette il DNA lineare nel pronucleo maschile della cellula uovo fecondata, subito dopo la fecondazione il nucleo spermatico e quello dell’ovulo rimangono separati. Quest’approccio dà gain of function: il plasmide contenente il transgene da integrare deve essere linearizzato per favorirne l’integrazione. La presenza di DNA nel vettore può influenzare in maniera negativa l’espressione del transgene; esso può integrarsi in singola o multipla copia formando multimeri testa – coda. L’integrazione può essere accompagnata da estese delezioni e riarrangiamenti del DNA genomico limitrofo al sito di integrazione → mutagenesi inserzionale. L’inserzione è casuale, non si sa dove si localizza né si può regolare il numero di copie introdotte nel pronucleo o quante si uniranno in concatenameri per l’integrazione. 1. Si induce la super – ovulazione nelle femmine donatrici; 2. Si induce l’accoppiamento; 3. Dopo le femmine vengono sacrificate e si prelevano gli ovuli fertilizzati; 4. Si microiniettano col plasmide contenente il transgene; 5. Coltivazione in vitro fino alla BLASTOCISTI, poi reimpianto nell’animale; 6. Si impiantano gli ovuli in una madre adottiva pseudogravida; 7. Solo una piccola parte della prole sarà transgenico e saranno gli animali fondatori. Il genoma deve essere analizzato per verificare l’inserimento del trasngene, ciò si effettua analizzando il DNA estratto da un frammento con varie metodiche. Una volta identificato l’animale fondatore, questo verrà fatto accoppiare con un animale transgenico, per vedere se il gene è trasmissibile alle generazioni successive. Gli animali ottenuti saranno eterozigoti per il transgene. Questi vengono accoppiati a trasngenici che daranno ¼ della progenie omozigoti per il gene. Se lo pseudogene viene posto sotto il controllo di un promotore forte, viene espresso in tutti i tessuti animali; se viene sottoposto a un promotore tessuto – specifico, l’espressione sarà solo in alcuni tessuti. b. Vettori retrovirali: si infettano gli embrioni con un retrovirus che trasporta il transgene. Quest’approccio dà gain of function: gli embrioni vengono impiantati in madri adottive che danno progenie transgenica; poi le linee si stabilizzano a partire dagli animali trasngenici fondatori. I retrovirus sono vettori molto efficaci perché possono garantire l’espressione a lungo termine di geni eterologhi conseguente all’integrazione nel genoma. Ci sono vantaggi: capacità di infettare efficacemente una vasta gamma di tipi cellulari; l’integrità interessa sempre le regioni LTR del provirus e ciò garantisce l’incolumità delle sequenze che si trovano tra le LTR. Ci sono anche svantaggi: sono difficili da coltivare, non si integrano nelle cellule quiescenti, hanno un elevato potere oncogeno in certi ospiti e hanno molteplici siti di integrazione nel genoma dell’ospite. c. Targeted transgene approach: manipolazione mirata di staminali embrionali di topo in loci selezionati introducendo mutazioni. Quest’approccio dà loss of function: i topi KO vengono resi non funzionali per un gene di interesse, quelli KI vengono resi funzionali per un gene endogeno sostituito con un allele mutato. 1. Creazione del vettore per il targeting: sono costrutti plasmidici specializzati che promuovono la ricombinazione omologa una volta introdotti. Ciò è reso possibile dall’inclusione di una regione di omologia con il locus bersaglio che consente l’appaiamento del vettore col DNA endogeno. Nei KO il DNA deve ricombinare esattamente con la copia del medesimo gene nel genoma ospite. • Vettore di inserzione: integrazione di tutto il vettore all’interno del locus per bersaglio, inattivazione del gene bersaglio, duplicazione delle sequenze fiancheggianti il marcatore di selezione. • Vettore di sostituzione: sostituzione di tutto il DNA endogeno bersaglio con quello del vettore; per ottenere l’inattivazione del bersaglio la regione di omologia del vettore deve essere non funzionante. 2. Preparazione ES pluripotenti: le cellule della massa interna della blastocisti sono prelevate e poste in ambiente adatto, indotte a proliferare infinitamente mantenendo il loro carattere totipotente. Un vantaggio è la totipotenza, la facile manipolazione in vitro e l’elevata efficienza di ricombinazione. a. Creazione del ceppo transgenico che esprime ricombinasi Cre → approccio di transgenesi standard (gain of function); b. Creazione del ceppo transgenico «LoxP (Floxed) mouse» nel quale il gene di interesse è fiancheggiato dai siti loxP → gene-targeted transgene approach (manipolazione in loci selezionati). 1. Prima generazione: creazione di topi eterozigoti per un allele loxP ed eterozigoti per il transgene cre. Dall’ accoppiamento di un topo omozigote loxP con un topo transgenico cre circa il 50% della prole sarà eterozigote per l'allele loxP ed eterozigote per il transgene cre. 2. Seconda generazione: Dall’accoppiamento di questi topi con i topi loxP omozigoti circa il 25% della progenie sarà omozigote per l'allele loxP ed eterozigote per il transgene cre. Controlli sperimentali: circa il 25% della progenie di questo accoppiamento sarà omozigote per l'allele loxP ma avrà il transgene no-cre → è possibile utilizzarli come controlli. Poiché i controlli non avranno la ricombinasi Cre, qualsiasi differenza fenotipica tra loro e i topi Cre/lox dovrebbe essere dovuta al gene cancellato nei topi Cre/lox. Per verificare che l'espressione della ricombinasi Cre non contribuisca a un fenotipo di interesse si utilizza il ceppo cre stesso (senza alleli loxP) come controllo. Questo sistema Cre-LoxP permette il controllo dell’espressione genica. Il Sistema Cre/lox è generalmente usato per creare alleli KO, ma può essere anche usato per attivare l’espressione di specifici geni. Il corretto inserimento di una sequenza “stop” fiancheggiata da loxP tra il promotore e la sequenza codificante del transgene blocca l'espressione del gene. In questi animali la ricombinasi Cre rimuove la sequenza di arresto, quindi il transgene è espresso solo nelle cellule in cui Cre è attivo. Il sistema Cre/lox può essere utilizzato anche per produrre ceppi in cui un transgene è inducibile o espresso solo in determinati tessuti. Esempio: l'accoppiamento del ceppo transgenico loxP-STOP-Kras con un ceppo che esprime la ricombinasi Cre nel tessuto mammario produce una progenie transgenica-doppia che esprime l'oncogene Kras solo nelle ghiandole mammarie. Sistema inducibile nel tempo: utilizzo di proteine di fusione tra Cre e ER(T) (recettore estrogeni): la ricombinasi è confinata nel citoplasma finché non viene somministrato l’ormone sintetico (TAMoxifene) che riconosce il recettore e fa traslocare la proteina di fusione con la ricombinasi nel nucleo dove induce la delezione del frammento incluso tra i due siti LoxP. Sistema tessuto – specifico: quando i ricercatori hanno iniziato a creare ceppi di topi Cre ricombinasi per generare topi knockout specifici per i tessuti, avevano bisogno di un modo semplice per confermare che la Cre ricombinasi fosse attiva solo in determinati tessuti. Era necessario un modo semplice per confermare che la Cre ricombinasi sia attiva solo in determinati tessuti: si sviluppano ceppi reporter Cre, progettati per esprimere un marcatore visibile, come la proteina fluorescente verde (GFP) o LacZ, solo dopo che la ricombinasi Cre ha eliminato una sequenza di arresto fiancheggiata da loxP. Quando un tale ceppo reporter viene accoppiato con un ceppo che esprime Cre, produce una prole in cui il marcatore visibile è espresso solo nei tessuti con attività Cre. SISTEMA TET – ON/ TET – OFF La trascrizione indotta da Tetraciclina, detta Tet-On/Tet-Off, è un metodo per controllare l’espressione genica in cellule eucariotiche, sia in ambito di ricerca, sia per fare terapia genica. Questo sistema si basa sull’attività dell’operone procariotico responsabile della resistenza alla tetraciclina. Utilizzo in cellule di mammifero di un meccanismo naturalmente presente in E. Coli come strumento di difesa verso un antibiotico: la tetraciclina. Sistema che deriva da Operone Tet di E.Coli (sistema che permette attivazione dei geni per la resistenza alla Tc in presenza di tetraciclina). Regolato da: TeT-Repressor: repressore della trascrizione → INIBISCE LA TRASCRIZIONE DEI GENI PER LA RESISTENZA ALLA Tc. La struttura di tetR è influenzabile dalla presenza o meno di tetraciclina (o l’analogo doxiciclina). - Solo in assenza di tetraciclina tetR ha una conformazione tale da legare tetO (spegnendo la trascrizione). Questo è necessario perché per la cellula batterica sarebbe uno svantaggio sintetizzare le proteine per la resistenza al farmaco in sua assenza. - In presenza di tetraciclina, tetR assume una struttura che non le permette più di legare tetO attivando così la trascrizione genica. Tet System and the Tet Response Element (TRE): un TRE è costituito da 7 ripetizioni di una sequenza di 19 nucleotidi dell'operatore tetraciclina (tetO) ed è riconosciuto dal repressore della tetraciclina (tetR). Nel sistema batterico endogeno, se è presente la tetraciclina, o un suo analogo come la doxiciclina, il tetR si legherà alla tetraciclina e non al TRE, permettendone la trascrizione. I promotori dipendenti dalla tetraciclina vengono sviluppati posizionando un TRE a monte di un «minimal promoter». Minimal promoter: sequenza minima di un promotore nativo che permette l’espressione di un gene a valle. SISTEMA TET-OFF 1° trasfezione: plasmide pTet-off: a. Pcmv → promotore costitutivamente attivo (Citomegalovirus) = fa sì che l’espressione della proteina di fusione tTA sia costitutivamente attiva. b. tetR → repressore della trascrizione tetraciclina (doxociclina) inducibile = rende il legame di tTA alla sequenza bersaglio regolabile mediante tetraciclina (o doxociclina). c. VP16 → proteina virionica 16, dominio di attivazione trascrizionale essenziale dell'HSV (virus dell'herpes simplex) = attivatore trascrizionale. Protocollo di lavoro di Tet-off: 1) Trasfezione delle cellule target eucariotica con il vettore plasmidico pTet-off. 2) Selezione delle cellule trasfettate mediante il gene di resistenza per G418 contenuto nel vettore stesso. 3) Trasfezione delle cellule pTet-off positive con il plasmide pTRE-GOI e selezione con un altro gene di resistenza a antibiotici. Utilizzo di tetraciclina (o dell’analogo doxiciclina) per variare i livelli di espressione del gene di interesse. Trasfezione del plasmide pTRE-GOI (Gene Of Interest) Plasmide nel quale il gene di interesse viene posto sotto il controllo di un elemento regolatore della trascrizione detto TRE (tetracycline-response element): sequenza è costituita da 7 ripetizioni del dominio tetO (che può essere legato da tetR e quindi da tTA) e collocata immediatamente a monte del promotore, generalmente del tipo P-CMV. Questo viene privato di alcune sequenze enhancer così che abbia una trascrizione basale quasi assente, a meno che la regione TRE non si attivi. o ASSENZA DI TETRACICLINA (o DOXOCICLINA): tTA lega la regione TRE e attiva la trascrizione del gene di interesse. o PRESENZA DI TETRACICLINA (o DOXOCICLINA): Tc (Doxo) si lega a tTA inducendone una modifica conformazionale impedendole di legare la regione TRE e bloccando così la trascrizione. In presenza di tetraciclina, l'espressione di un promotore tet-inducibile è ridotta. Meccanismo: utilizzo di un transattivatore controllato dalla tetraciclina (tTA) → tTA è creato fondendo tetR + dominio C-terminale di VP16 (proteina virionica 16- dominio di attivazione trascrizionale essenziale dell’HSV). In assenza di tetraciclina, la porzione tetR di tTA lega le sequenze tetO a monte del gene target e il dominio di attivazione ne promuove l'espressione. In presenza di tetraciclina, la tetraciclina si lega al tetR. Ciò preclude il legame di tTA alle sequenze tetO e il successivo aumento dell'espressione da parte del dominio di attivazione = riduzione dell'espressione genica. Tet-Off si preferisce generalmente quando vogliamo che il gene di interesse rimanga per lo più acceso. Infatti non sarebbe una condizione favorevole per le cellule rimanere troppo tempo in un ambiente in presenza di tetraciclina (ci si limita a inserirla solo in periodi limitati di tempo per spengere il gene di interesse, che spesso è necessario alla vitalità cellulare). SISTEMA TET – ON Nel 1995 Gossen e collaboratori utilizzarono un approccio di mutagenesi casuale per identificare quali residui amminoacidici di tetR fossero importanti per l’azione di repressione dipendente dalla tetraciclina. La mutazione di questi residui ha portato allo sviluppo di un repressore inverso del Tet, o rTetR, che ha reso la proteina Tet dipendente dalla tetraciclina per l'induzione, piuttosto che per la repressione dell’espressione genica. Il nuovo transattivatore rtTA (transattivatore controllato dalla tetraciclina inversa) è stato creato fondendo rTetR con VP16. Il sistema tetraciclina è noto anche come sistema rtTA-dipendente. l sistema Tet-On è simile a Tet-Off con la differenza che la proteina regolatrice non è tetR bensì r-tetR (“r”=“reverse” → risponde in modo opposto alle condizioni di presenza o assenza della doxiciclina (in questo caso non è tetraciclina dipendente). Transattivatore r-tTA = Proteina di fusione r-tet + RVP16. PRESENZA DI DOXOCICLINA → r-tTA lega il dominio TRE e attiva la trascrizione del gene di interesse. Sistema Tet-On → preferito quando vogliamo che il gene target rimanga per lo più spento, perchè per esempio traduce per un prodotto citotossico. Anche in questo caso il motivo è che così facendo la doxiciclina si aggiunge per periodi brevi e soltanto quando vogliamo attivare il gene. SISTEMA TET – ON/TET – OFF Vantaggi: riduzione al minimo di attività di background di espressione del gene di interesse da parte del 1) Plasmide Ti prelevato dal batterio e modificato in modo tale che non esprima più le proteine «tumorali» ma induca espressione di proteine di interesse; 2) Plasmide re-inserito in un batterio; 3) Batterio ingegnerizzato viene usato come carrier per la trasfezione → sfruttato per veicolare il gene esogeno nel cromosoma di una cellula vegetale; 4) Cellule vegetali così modificate vengono cresciute in coltura in vitro (necassario il sistema di selezione per sapere quali cellule hanno il plasmide, si usa un veleno cellulare a cui il plasmide è resistente); 5) Generazione di una pianata da un clone di cellule vegetali modificate mediante stimolazione con fitormoni; OGM Prima generazione: creati con l’unico scopo di aumentare l’efficienza e la produttività agricola. Seconda generazione: progettati per ottenere alimenti con caratteristiche aggiuntive. Terza generazione: creati per far produrre vaccini o farmaci alle piante. GOLDEN RICE È un OGM di seconda generazione progettato per accumulare beta – carotene (precursore vitamina A). Il Golden Rice o Riso dorato è una varietà di riso prodotta attraverso una modifica genetica che introduce la via di biosintesi del precursore beta-carotene della provitamina A nelle parti commestibili del riso mediante l’introduzione dei geni: • psy (fitoene sintasi) di Narcissus pseudonarcissus (Narciso) e, successivamente, al fine di ottenere maggiori quantità di beta-carotene, di Mais; • crtI (carotene desaturasi) di un batterio del suolo, Erwinia uredovora. I geni sono stati introdotti all'interno del genoma nucleare del riso con promotore endosperma-specifico così da permettere la trascrizione dei due geni soltanto all'interno della cariosside del riso. EDITING GENETICO È un metodo di targeting sito – specifico per la creazione di tagli nel DNA, basato su due tecniche: - inattivazione, cioè spegnimento di un gene target; - correzione, cioè riparazione del gene difettoso attraverso un taglio al suo interno. Con la scoperta del sistema CRISPR la terapia genica è diventata l’applicazione più ricercata dell’editing genetico. L’obiettivo può essere raggiunto con due approcci: aggiunta di geni (per compensare geni mancanti o difettosi) o editing di geni per il trattamento di una malattia mediante modifica diretta del DNA correlato a esso. L’editing si può fare con le tecniche zinc finger endonuclease (ZFNs), TALENs o CRISPR. È possibile disattivare o cambiare la sequenza di qualsiasi gene in qualsiasi cellula senza alcuna limitazione di specie. Si possono inserire mutazioni mirate in qualsiasi organismo vivente, si possono rendere accettabili anche le piante transegeniche (modificazioni genetiche senza transgeni). I tre sistemi inducono tutti la formazione di un DBS su regioni specifiche. In assenza di template per riparare, il DBS viene riparato con NHEJ che tende a inserire mutazioni e a inattivare il gene mediante un codone di stop; se viene aggiunto un template di DNA con la sequenza del gene da inserire, questo viene usato come template per il meccanismo di homology directed repair (HDR) e il gene viene integrato nel genoma. MODIFICA LOCUS BERSAGLIO a. NHEJ: riunisce le due estremità derivate dalla rottura in assenza di sequenza che possa fungere da stampo. Può esserci perdita/inserzione durante tale processo. b. Ricombinazione omologa HDR: consiste nello scambio di filamenti di DNA tra porzioni di filamenti omologhi; ha due azioni: è il principale meccanismo di riparazione del DNA danneggiato e rappresenta la via con cui si originano nuove combinazioni geniche o alleliche durante la meiosi. C’è scambio di materiale genetico tra molecole di DNA omologhe o identiche. 1. ZINC FINGER ENDONUCLEASE: sono enzimi artificiali fatti fornendo un dominio di legame del DNA a zinc finger e un dominio di scissione del DNA. I domini zinc possono essere progettati per legare le specifiche sequenze di DNA desiderate e ciò consente alle ZFN di colpire sequenze uniche. Sfruttando i meccanismo di riparazione del DNA endogeno, questi strumenti possono essere utilizzati per alterare con precisione i genomi degli organismi superiori. L’evento di taglio indotto dalla ZFN provoca processi di riparazione cellulare che a loro volta mediano un’efficiente modifica del locus bersaglio. Il principio base è quello di utilizzare motivi di legame al DNA tipici delle proteine nucleari per riconoscere sequenze specifiche a livello quelle quali la proteina possa agire; ciascun motivo a dita di zinco contatta 2 o 3 nucleotidi specifici adiacenti sul DNA, per cui si costruisce una proteina artificiale in cui si inseriscono diversi motivi a dita di zinco consecutivi in modo che riconoscano il target + si fonde una endonucleasi di restrizione alla proteina che media la lesione sul DNA (Fok1). a. Fok1: endonucleasi di restrizione con dominio N legante il DNA e dominio C che promuove il taglio non specifico del DNA stesso. Il taglio endonucleasico avviene soltanto quando la proteina si trova in forma di dimero e ciò fornisce la possibilità di raddoppiare la specificità della tecnica, garantendo un taglio a livello di una regione univoca del genoma. L’architettura ZFN unisce il dominio di legame del DNA con le proteine zinc finger (ZFP, fattori trascr) e il dominio nucleasico dell’ER Fok1. Gli ZFN mantengono la modularità funzionale perché sia il dominio di legame del DNA che quello catalitico possono essere ottimizzati isolatamente. 2. TALEN: sono enzimi di restrizione ingegnerizzati per tagliare sequenze specifiche di DNA e sono realizzati fondendo un dominio effettore TAL (transcription activator-like) che lega il DNA e un domini di scissione del DNA (effector nucleases, Fok1). Possono essere progettati per legarsi praticamente a qualsiasi sequenza di DNA desiderata: quando combinato con una nucleasi, il DNA può essere tagliato in posizioni specifiche. Gli effettori TAL (simili ad attivatori di trascrizione) sono proteine secrete da alcuni β- e γ- proteobatteri attraverso il loro sistema di secrezione di tipo III quando infettano le piante → queste proteine possono legare sequenze promotrici nella pianta ospite e attivare l'espressione di geni vegetali che favoriscono l'infezione batterica. Il dominio di legame del DNA contiene una sequenza ripetuta di 33-34 aminoacidi altamente conservata con il 12° e il 13° aminoacido divergenti. Queste due posizioni, denominate Repeat Variable Diresidue (RVD), sono altamente variabili e mostrano una forte correlazione con il riconoscimento specifico dei nucleotidi. Riconoscono le sequenze di DNA vegetale attraverso un dominio ripetuto centrale costituito da un numero variabile di ~34 ripetizioni di amminoacidi = corrispondenza ~ uno a uno tra l'identità di due amminoacidi critici in ciascuna ripetizione e ciascuna base di DNA nella sequenza bersaglio. Tutte le ripetizione TALE hanno una sequenza simile di 34 aa tranne 12 e 13 che sono diversi. La struttura del dominio di legame del DNA può essere manipolata per produrre un dominio proteico che si lega specificamente a qualsiasi sequenza di DNA nel genoma. Questi domini proteici leganti il DNA specificatamente modificati possono quindi essere collegati a un dominio effettore specifico per creare una proteina chimerica capace di una manipolazione del DNA mirata con precisione. I TALEN sembrano essere più efficienti di CRISPR nell’eterocromatina. I TALEN sono singoli domini proteici capaci di riconoscere una singola base all’interno di una sequenza: costruendo una proteina di fusione (fatta da TALE DNA-binding domain e DNA clivage domain con Fok1) con una particolare successione di questi domini possiamo creare una proteina che può specificamente riconoscere la sequenza che noi scegliamo. 3. SISTEMA CRISPR/Cas9: contengono due componenti che sono l’RNA guida (sgRNA) e l’endonucleasi associata a CRISP che è la proteina Cas9. Il sgRNA è un breve RNA sintetico composto da una sequenza di scaffold necessaria per il legame con Cas e uno spaziatore di 20 nucleotidi che definisce il bersaglio da modificare (per modificare il bersaglio si può modificare direttamente la sequenza di sg). Questo sistema si basa sull’impiego della proteina Cas9, che può essere programmata per effettuare specifiche modifiche al genoma di una cellula. Permette anche di introdurre mutazioni mirate nel genoma di qualsiasi organismo. - MECCANISMO: 1. L’enzima Cas9 viene attivato mediante il legame con sgRNA; 2. Col riconoscimento di una sequenza genomica corrispondente a sgRNA, l’enzima è in grado di fermarsi in uno specifico punto del DNA e causare una rottura a doppio filamento. 3. Dopodiché il DNA viene riparato mediante NHEJ (usato per alterare un gene) o HDR (impiegato per il KI di un gene o di una sequenza modificata mediante lo scambio di sequenze di DNA). CRISPR: clustered regularly interspaced short palindromic repeats: sono sequenze di DNA scoperte nel SI di procarioti. La precisione di questa tecnologia la rende lo strumento ideale per l’inserimento o la delezione e per altre modifiche al DNA. Ogni ripetizione è seguita da brevi frammenti di DNA ‘spacer’ derivante da una passata esposizione del batterio a batteriofagi o plasmidi ed incorporati nei procarioti. Dalle sequenze palindromiche della regione CRISPR vengono trascritte molecole di RNA che acquistano una disposizione molto stabile (struttura secondaria). Hanno una lunghezza compresa tra 23 e 47 paia di basi, tra queste sequenze si possono trovare regioni variabili di lunghezza simile. Le cellule procariotiche hanno sviluppato diversi sistemi di difesa dall’infezione da virus: - prima linea di difesa: sistema immunitario innato che usa gli enzimi di restrizione per tagliare il DNA dei virus invasori. - sistema immunitario adattativo → contiene le informazioni di tutte le «minacce» passate e fornisce le armi per distruggere l'aggressore in caso di un nuovo attacco = SISTEMA CRISPR-CAS. Vettore di espressione per Cas9: un singolo plasmide transfettato nelle cellule bersaglio, permette l’espressione di: 1) RNA guida con la sequenza “sonda”, 2) proteina Cas9 Non è importante che il plasmide si inserisca nel genoma della cellula! È sufficiente che nei primi 2-3 giorni dalla trasfezione il plasmide sia attivo a livello episomiale > necessario che CAS9 e sgRNA siano espressi per il tempo necessario affinchè effettuino il taglio sul DNA genomico, dopo di che il plasmide può essere eliminato). SISTEMA CRISPR-CAS9 → SERVE PER DANNEGGIARE IL DNA GENOMICO IN UN PUNTO PREVEDIBILE SCELTO DALL’OPERATORE. 1. Si forma il complesso sgRNA + Cas9 2. Il complesso «legge» il DNA fino al punto in cui incontra una sequenza PAM 3. Il complesso si lega stabilmente al DNA 4. DNA tagliato esattamente nel locus desiderato (Cas9 ha due domini, ciascuno taglierà uno dei due filamenti di DNA) 5. Dopo che il taglio è stato effettuato i meccanismo naturali di riparo del danno al DNA verranno messi in atto: 1) NHEJ → diretto legame delle estremità (non richiede DNA template) > Indel 2) HDR → utilizza templato DNA omologo (parziale omologia con le sequenze attorno al taglio) = inserimento di nuove sequenze (no inserzioni/delezioni). VANTAGGI DELLA TECNICA CRISPR: - permette di introdurre mutazioni mirate nel genoma di qualsiasi organismo. - è possibile ottenere facilmente ANIMALI CON GENI MODIFICATI facendo editing del genoma direttamente nello zigote. - è possibile eliminare o modificare uno o più geni. POSSIBILI APPLICAZIONI: 1. IMPORTANTISSIMO per la ricerca in campo bio-medico, perché fornisce la possibilità di capire la precisa funzione di ogni gene e dà la possibilità di creare modelli animali di malattie genetiche o tumorali umane in organismi più “vicini” all’uomo rispetto ai roditori (suini, primati) 2. Utilizzo in terapia genica per malattie genetiche con editing genomico di cellule somatiche e malattie tumorali. APPLICAZIONI DELLA CRISP IN RICERCA CREAZIONE ANIMALI TRANSEGENICI Strategia CRISPR può essere utilizzata per effettuare modifiche nello zigote per alterare/eliminare uno o più geni. PROCEDIMENTO: 1) Fecondazione dell’ovulo in vitro; 2) Dopo circa 9h si effettua la micro-iniezione (si effettua una iniezione con una micropipetta in vetro) del sistema CAS9 (mediante plasmide di espressione o direttamante come mRNA/proteina); 3) Oocita fecondato e modificato viene tenuto in coltura e fatto crescere fino allo stadio di blastocisti; 4) Blastocisti impiantata nell’utero di una madre surrogata; 5) Nascita di individui «fouders» (la presenza della modifica deve essere verificata); TERAPIA GENICA Consiste nell’inserimento di copie normali di geni in cellule che possiedono geni anomali o non funzionanti. Lo scopo è ripristinare la funzione normale de gene e guarire la cellula. Possono essere trattate malattie ereditarie o tumori. Terapia genica e terapia cellulare fanno parte della «medicina rigenerativa» → il cui scopo è quello di «costruire» pezzi di ricambio e/o trasmettere informazioni necessarie affinchè il tessuto funzioni a) TERAPIA CELLULARE: ricostruire un organo/tessuto studiando capacità proliferative e di differenziamento delle cellule. b) TERAPIA GENICA: manipolare il DNA del tessuto malato in vivo/ex vivo. Per legge le modifiche possono essere effettuate solo su cellule somatiche → quindi non trasmissibili alla progenie! In cellule somatiche poi il trasferimento genico può essere effettuato in un tessuto appartenente ad un organismo in vivo o in cellule espiantate ex vivo. Il trasferimento di acidi nucleici può essere effettuato o con vettori derivati da virus o mediante metodiche non virali. In funzione della problematica si adottano strategie diverse: 1. Carenza di proteina circolante → ripristino della funzione per somministrazione della proteina ricombinante. 2. Carenza di una proteina endocellulare → possibile reintegrazione di un gene funzionante mediante terapia genica. TERAPIA GENICA 1. Ex vivo: si trasferiscono geni clonati in cellule autologhe, ovvero dello stesso individuo, per evitare che esse vengano rigettate dal sistema immunitario del paziente trattato. Le cellule vengono espiantate e selezionate per l'espressione del gene inserito. Dopodiché si amplificano e si reintroducono nel paziente. Questo metodo è applicabile solo ai tessuti che possono essere prelevati dal corpo, modificati e reintrodotti, dove attecchiscono e sopravvivono (pelle). SVANTAGGI: lunga e costosa. VANTAGGI: permette di selezionare e amplificare le cellule d'interesse e gode di una elevata efficienza. 2. In vivo: deve essere attuata in tutti quei casi in cui le cellule non possono essere messe in coltura o prelevate e reimpiantate (cellule del cervello o del cuore e della maggior parte degli organi interni). Rappresenta un modello terapeutico con elevata compliance e più economico ma di più difficile applicazione. Il gene d'interesse viene inserito nell'organismo, tramite un opportuno vettore, direttamente per via locale o sistemica. La principale problematica della terapia genica è il delivery: per ottenere buoni risultati si utilizzano vettori virali (virus ingegnerizzati in modo da far trasportare il gene terapeutico). Il virus viene privato del proprio genoma e quindi reso «innocuo», ma conserva la sua capacità di infettare le cellule: in questo modo agisce come una specie di “Cavallo di Troia” che trasferisce nelle cellule il gene terapeutico, si esaurisce una volta terminato questo passaggio, e ciò che resta è la correzione del difetto. • DELIVERY Cellule in coltura: lipofezione, cioè trasferimento nelle cellule eucariotiche di materiale biologico incapsculati in una vescicola fosfolipidica. Metodo veloce ed efficiente ma lievemente tossico. Sebbene una buona quantità di DNA/RNA passi la membrana cellulare, solo una piccola quantità si integra a produrre una linea stabile, c’è quindi bisogno di un sistema di selezione. I vettori virali si ottengono inserendo il gene di interesse nel genoma di diversi tipi di virus, sotto il controllo di un promotore forte. Il virus viene reso difettivo, cioè incapace di riprodursi autonomamente (per evitare la diffusione di virus ricombinanti). Il genoma viene ingegnerizzato con le tecniche del DNA ricombinante, e trasfettato in particolari linee cellulari capaci di produrre le particelle virali ricombinanti (linee di packaging). Queste complementano i difetti introdotti nel genoma. Virus difettivi: possono essere prodotti solo in particolari linee cellulari capaci di complementare i difetti del virus. La loro preparazione deve seguire queste fasi obbligate, quali costruzione del genoma ricombinante, trasfezione del DNA nella linea cellulare capace di produrre le particelle virali e raccolta e analisi del virus. RETROVIRUS 1. Fusione dell’involucro virale con la membrana cellulare (legame mediato da recettori); 2. Endocitosi e uncoating con rilascio del materiale genetico virale nel citoplasma della cellula ospite; 3. RNA virale retro-trascritto in DNA dalla trascrittasi inversa =produzione di DNA a doppia elica con LTR alle estremità; 4. DNA entra nel nucleo e si integra, per azione dell’integrasi (gene pol) → provirus; 5. Il DNA viene trascritto in mRNA e utilizzato per la produzione delle proteine strutturali del virus e come genoma dei nuovi virus prodotti 6. Assemblaggio del virus maturo 7. Gemmazione e rilascio dei virus maturi all’esterno della cellula infettata: la particella retrovirale infetta la cellula per fusione ed esce per gemmazione. Il retrovirus anche se integrato è attivo solo quando è attiva la trascrizione della cellula (altrimenti fase di quiescenza). Retrovirus: genoma costituito da un singolo filamento di RNA delle dimensioni di circa 10kb, contenente 3 geni essenziali: - gag (codifica per le proteine del core), - pol (codifica per la trascrittasi inversa), - env (codifica per le proteine del capside) + regione y per l'impacchettamento. differenziazione terminale (cuore, sistema nervoso centrale + facilita i processi di trasfezione ex vivo in quanto le cellule in cultura non hanno bisogno di stimoli per essere indotte a dividersi. Il DNA (copia dell’RNA virale) ottenuto dalla Trascrittasi Inversa si complessa con altre proteine virali, formando un complesso che permette il passaggio attraverso la membrana nucleare. Presentano buon tropismo per linfociti e macrofagi TERAPIA GENICA MEDIATA DA ADENOVIRUS Virus a DNA lineare a doppio filamento (36 Kb), il genoma contiene unità essenziali per la replicazione virale (trascrizione precoce). Infettano numerosi tipi differenti di cellule, anche non proliferanti (neuroni). Non si integrano nel genoma, non c’è rischio di attivazione di oncogeni o repressione di oncosoppressori e sono adatti all’inserimento di grandi segmenti di DNA esogeno, stabili. Promettenti per la terapia in vivo: i vaccini così prodotti non danno effetti collaterali e intolleranza e sono adatti anche a espressioni transienti. TERAPIA GENICA MEDIATA DA VIRUS ADENOASSOCIATI: Sono virus a DNA lineare a singolo filamento in grado di infettare cellule di diversi tessuti, anche non attivamente proliferanti (fegato e neuroni). L’AAV si integra nel DNA cromosomico in una regione ben precisa sul cromosoma 19 ed esprime i suoi geni a livelli molto bassi, infettando la cellula in modo latente. Solo la successiva co-infezione con un altro virus (adenovirus o herpesvirus) attiva il loro ciclo litico e produce una gran quantità di virioni: ciò li rende più controllabili e sicuri in terapia genica, evitando fenomeni di «mutagenesi inserzionale». TERAPIA GENICA IN VIVO DI: a. FIBROSI CISTICA Questa malattia è un buon candidato per trattamento con terapia genica perché è una patologia ereditaria MONOGENICA. La mutazione è a carico del gene per canale del cloro con perdita di funzione Provoca problemi a livello del tratto respiratorio (+ problemi a livello renale). Bisogna intervenire soprattutto a livello polmonare: non si può usare la terapia genica classica perché non si può intervenire sulle cellule staminale profonde dell’epitelio polmonare, per cui c’è bisogno di delivery mediante adenovirus con alto tropismo per le cellule polmonari (somministati come spray) → trattamento con efficienza limitata nel tempo ma ottimale per ripristinare la funzinalità del trasportatore del calcio nell’epitelio polmonare (deve essere ripetuto più volte perché dipende dall’emivita delle cellule epiteliali del polmone che dopo un determinato periodo di tempo verranno sostituite). b. EMOFILIA Carenza fattore 8° della coagulazione, proteina di secrezione prodotta dal fegato = non è possibile effettuare intervento di terapia genica ex-vivo. Possiamo intervenire mediante l’utilizzo di adenovirus con alto tropismo per le cellule epatiche iniettati direttamente nella vena porta. Verranno modificate poche cellule staminali del tessuto epatico ma sufficienti per ristabilire un buon livello di produzione di fattore 8°. APPLICAZIONI CRISPR IN TERAPIA GENICA - Per correggere difetti genetici (mutazione geni che causano una malattia genetica); - In oncologia: mutazione per attivare le cellule immunitarie. La terapia genica diretta sulle cellule tumorali non è molto promettente; è più efficace attuare terapia genica sulle cellule T del paziente per potenziarne l’attività anti-tumorale. 1. Correzione difetti genetici a. DIRECT DELIVERY-BASED IN VIVO EDITING Esempio: Sindrome di Hunter: carenza della proteina. Strategia: utilizzo di un sistema zinc-finger nuclease veicolato da virus adeno-associati che permettono l’indirizzamento al fegato del vettore di espressione ZFN. Il fegato è sensibile all’infezione con questi virus, che vengono veicolati attraverso il sangue (iniettati ad alto titolo nella vena porta). Il gene viene inserito a valle del promotore (molto forte) del gene dell’albumina. Il sistema permette la «riattivazione» di un numero limitato di cellule epatiche. La cura di pazienti che hanno una forma NON grave della malattia funziona anche se solo poche cellule di fegato subiscono editing (non efficace per forme più gravi della malattia). b. Editing di cellule ‘’Induced Pluripotent Stem Cell’’ (IPSC) Produzione di IPSC; effettuo editing genomico sulle cellule riprogrammate che poi possono essere re-inserite nel paziente. Il processo di riprogrammazione consiste nella modificazione di quattro geni del genoma di una cellula adulta al fine di ripristinare la potenzialità staminale = creazione di ‘’Induced Pluripotent Stem Cell’’ (IPSC) (non esistono in natura, ma sono generate artificialmente in laboratorio). YAMANAKA FACTORS Nel 2006, uno studio dei dottori Kazutoshi e Shinya Yamanaka ha mostrato che era possibile riprogrammare le cellule usando solo quattro «geni master» (Oct4, Sox2, Klf4 e c-Myc). Prima di questo, si presumeva che le cellule uovo (ovociti) contenessero una serie complessa di fattori necessari per riprogrammare una cellula somatica in una cellula embrionale → Takahashi e Yamanaka hanno capovolto questa idea quando hanno mostrato che solo quattro fattori erano necessari per ottenere questa trasformazione. In particolare, questi studiosi hanno usato dei fattori per riprogrammare fibroblasti di topo adulto (cellule del tessuto connettivo) ad uno stato embrionale di pluripotenza (stato in cui la cellula si comporta come una cellula staminale embrionale con il potenziale di diventare qualsiasi altro tipo di cellula nel corpo). Questi quattro fattori di trascrizione inducono pluripotenza regolando diverse vie di segnalazione dello sviluppo. Esempio: sindrome di Wolfram (WFS) È una malattia neurodegenerativa, ultra-rara, di cui sono stati descritti circa 300 casi nel mondo, e attualmente senza cura. Ad oggi il trattamento è sintomatico e prevede di tenere sotto controllo il diabete con iniezioni di insulina e di gestire al meglio gli altri disturbi correlati. Due i geni che, se mutati, causano WFS: • WFS1, che codifica per la proteina denominata Wolframina, responsabile della maggior parte dei casi di WFS → proteina del reticolo endoplasmatico che protegge le cellule dallo stress, un suo difetto provoca uno stato di infiammazione in grado di condurre all’apoptosi. • ZCD2 (o WFS2), un gene altamente conservato. STRATEGIA: correzione di una variante patogena del gene WFS1 in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) che, una volta differenziate in cellule pancreatiche, possono migliorare la secrezione di insulina in risposta ai livelli di glucosio. 1) cellule del derma prelevate da pazienti con WFS tramite biopsia, una procedura standard per il prelievo di cellule e campioni di tessuto dall’organismo, 2) cellule del derma riprogrammate per essere trasformate in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), 3) utilizzo del sistema di editing genomico Crispr-Cas9 per correggere una variante patogena del gene WFS1, 4) le cellule, dopo essere state fatte differenziare in cellule pancreatiche beta adulte, sono trapiantate in topi a cui era stato indotto farmacologicamente il diabete → le cellule beta hanno mostrato, a sei mesi dal trapianto, una migliore secrezione di insulina stimolata dal glucosio e un'inversione dell’andamento del diabete. Studio in fase preclinica = possibilità di effettuare trapianti di cellule beta autologhe per i pazienti con sindrome di Wolfram. Una possibile alternativa è basata sul trapianto delle isole pancreatiche da donatore deceduto, una terapia cellulare a tutti gli effetti, limitata però da ridotto numero di donatori, necessità di immunosoppressori per ridurre il rischio di rigetto. Le cellule beta pancreatiche differenziate da iPSC derivate da un prelievo di fibroblasti del paziente potrebbero fornire una fonte di cellule alternativa. Editing genomico del gene WFS1 genera cellule beta funzionali→ possibile terapia di sostituzione basata sulle cellule del paziente stesso (evitando così i farmaci immunosoppressori). 1. Terapia oncologica a. Editing dei linfociti T per eliminare il gene PD-1 T cell modificate geneticemante mediate l’utilizzo della tecnologia CRISPR allo scopo di impedire che l’azione dei linfociti T sia inibita dalle cellule tumorali. Le cellule T sono rese più «capaci» di riconoscere le cellule tumorali. Posso lavorare direttamente sui linfociti T maturi prelevati dal paziente, ingegnerizzai e re-iniettati effetto transiente. Vantaggio: non si modifica in maniere permanente i sistema immunitario del paziente (effetto dura il tempo dell’emivita delle cellule T) b. CAR-T Therapy (Chimeric antigen receptor) Trattamento in cui le cellule T di un paziente vengono modificate in laboratorio in modo che possano riconoscere uno specifico antigene di superficie tumorale e quindi attaccare le cellule tumorali. Le cellule T vengono prelevate dal sangue di un paziente, si aggiunge il gene per uno