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Biologia Molecolare Applicata: integrazione al corso di genetica, Appunti di Biologia Molecolare

all'interno dei miei appunti vengono trattati i seguenti argomenti: plasmidi e le tecniche di clonaggio, biofarmaci e farmaci proteici, vettori shuttle, colture cellulari e vettori di espressione eucariotici, anticorpi monoclonali, southern, northern e western blot, animali transgenici e clonaggio di animali, piante transgeniche, terapia genica e CRISPR-CAS9, PCR in diagnostica e progetto genoma umano.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 29/09/2022

viola-bonini
viola-bonini 🇮🇹

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Scarica Biologia Molecolare Applicata: integrazione al corso di genetica e più Appunti in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! 1 BIOLOGIA MOLECOLARE APPLICATA Di Viola Bonini, AA 2019-2020 2 Raugei20 password moodle Esame: entro la fine del corso (aprile) altrimenti le date corrispondono a quelle di biol molecolare PLASMIDE: Un plasmide è un elemento genetico aggiuntivo presente in molti batteri. In ciascuna cellula batterica è presente dalle 1-100 copie. Il plasmide ha un’origine di replicazione OriC di 200-250 bp e geni specifici per varie funzioni tra cui: - resistenza agli antibiotici; questi servono per tracciare i plasmidi; - produzione di tossine; - uso di fonti di c atipiche; - coniugazione. Questo si può facilmente fare perché: • Il DNA è una molecola chimicamente identico in tutti gli esseri viventi; • Il plasmide è molto elastico e non è un’ entità “intoccabile” fino a un certo limite: può triplicarsi anche la sua lunghezza per inserimento di DNA eterologo. Es Enzima beta lattamasi che taglia l’anello beta-lattamico-> causa l’inattivazione dell’antibiotico. L’inserimento si fa con l’uso degli enzimi di restrizione che hanno sequenza di riconoscimento ben precise: qualsiasi DNA che abbiamo a disposizione, sapendone la sequenza delle basi possiamo prevedere da che enzimi di restrizione verrà tagliato. Con il loro uso posso inserire DNA eterologo, tagliato anch’esso con lo stesso enzima di restrizione. Ciò che ottengo con questo meccanismo di ricombinazione è un plasmide ricombinante che viene reinserito nelle cellule batteriche che piastreremo: le poche cellule che accolgono il plasmide saranno le poche che daranno vita a colonie. 5 Vediamo due modalità di selezione per distinguere le colonie che si formano: 1) Il plasmide pBR322 è un vettore molto vecchio. Ha due geni per la resistenza agli antibiotici: quello per la ampicillina Ap e tetraciclina Tc. È formato da 4361 bp, la quale in particolare corrisponde alla posizione di EcoRI. Veniva usato per individuare le cellule dove era avvenuto il clonaggio. L’inserimento di una frammento eterologo di Pstl distrugge la continuità del gene Ap, così che il plasmide ricombinante conferisce la sola resistenza a Tc. Se tale plasmide viene poi inserito in una piastra con Tc crescono colonie di batteri che contengono tutte sia il plasmide ricombinante sia quello originale. Se facciamo il <Blotting> (copiatura delle colonie su carta) e sulla piastra rimane un 90% del materiale della piastra. La carta la stampiamo su una nuova piastra che contiene ampicillina: le colonie che crescono qui saranno 6 resistenti alla tetraciclina e ampicillina e conterranno il plasmide vuoto, quelle che non crescono contengono il plasmide con il frammento eterologo. Quindi torno sulla piastra iniziale detta master, prendo un po' di materiale e proseguo con la sua analisi. 2) Sfrutta l’operone lattosio lac. Si parla in questo caso di “Selezione bianco/blu”: prendiamo dall’operone lac la betagalattosidasi, per cui il vettore è un vettore uguale a quegli altri con una zona dove avverrà l’inserimento del frammento eterologo. Il plasmide è stato ingenierizzato in modo che gli enzimi di restrizione taglino in un unico sito (cluster) a monte di LacZ, localizzato tra il promotore della beta galattosidasi e il gene strutturale. Se inserisco un frammento eterologo e l’inserimento ha successo la sequenza codificante per la beta galattosidasi viene interrotta, mentre quello che si richiude su se stesso continua a produrre la beta galattosidasi. Nella mia piastra cresceranno sia colonie con plasmide richiuso su se stesso e una certa quota di quelle col plasmide ricombinante. Per riconoscerle inserisco nel terreno un substrato della beta galattosidasi detto X-gal che fa colorare di blu la beta galattosidasi e ottengo ▪ Colonie bianche-> con vettore ricombinante. ▪ Colonie blu-> con vettore richiuso su se stesso (che non ci interessa). In questo caso otteniamo un vettore di espressione, leggermente diverso rispetto a quelli visti finora. Se metto a monte e a valle di una sequenza un promotore e un 7 terminatore rendo tale sequenza individuabile dai sistemi di trascrizione e traduzione. Per ottenere un vettore di espressione dunque non devo inserire solo il frammento eterologo, ma devo arricchirlo di un promotore e di un terminatore. Questo plasmide ricombinante che ho ottenuto nel batterio verrà trascritto e verrà trascritta anche la sequenza eterologa. Nei batteri l’mRNA viene riconosciuto dal ribosoma grazie alla sequenza di Shine- Dalgarno dall’ rRNA della subunità minore del ribosoma (riconoscimento estremamente specifico): quindi oltre a promotore e terminatore, all’interno di un vettore ricombinante devo inserire anche una RBS <ribosome binding site>. un vettore ricombinante assicurandomi di metterci un promotore molto forte (che producono null’unità di tempo tante copie di mRNA). Così ottengo un numero di proteasi alto a un prezzo ragionevole. ESPRESSIONE INDUCIBILE: Se voglio prendere il gene della proteasi dallo stafilococco prendo la ORF dal batterio con una PCR e la inserisco nel contesto detto prima con un promotore forte che ci assicura una grande produzione dell’enzima. Uno dei difetti di questo metodo è che il promotore forte produce tante sequenze di mRNA che il batterio si vede costretto a tradurre: questo effetto è così forte che lo impegna tanto e il batterio non prolifera più. Allora si fa espressione inducibile: l’espressione del gene non è attiva finchè ‘non decido io’. Per questo tipo di espressione sfrutto l’ operatore, Nel sito di taglio con enzima di restrizione inserisco il DNA eterologo e ottengo il vettore ricombinante dotato di (sulla sequenza di DNA) una RBS, un codone AUG, una sequenza che corrisponde al gene strutturale e un codone di STOP. Avrò un mRNA che potrà essere trascritto e poi tradotto dal batterio. Esempi di applicazione: vogliamo produrre una proteina batterica, per esempio una proteasi per detergenti per pulire ferri chirurgici. Questi detergenti sono miscele enzimatiche (bagno disinfettante). Purificare la proteasi costerebbe troppo e il batterio ne produrrebbe il giusto. Risolvo prendendo la ORF e la inserisco in un 10 Poli-A polimerasi al momento della terminazione della trascrizione. Il trascrittoma eucariotico è dunque caratterizzato da RNA messaggeri molto diversi tra di loro ma che hanno in comune la coda Poli-A: questo trait d’union viene sfruttato per la loro purificazione. Ci sono delle eccezioni come gli mRNA per gli istoni che non contengono la coda Poli-A. degli mRNA si legano alle code Poli-T degli oligoDT. Lavando, tutti gli altri RNA che non contengono una coda di Poli-A vengono eliminati e alla colonnina rimangono attaccati solo gli mRNA. La condizione che bisogna avere in tutte le colonne di affinità per avere l’adesione degli mRNA è 100 mmol sale, cioè una condizione di alto sale. In questa condizione, la formazione di un doppio filamento Poli-T/Poli-A, cioè di un ibrido DNA-RNA e dei suoi legami a idrogeno è fortemente favorita. Quando vogliamo invece diluirlo dobbiamo ottenere una condizione di basso sale o aggiungere acqua pura: in queste condizioni i legami a idrogeno vengono destabilizzati ed è possibile raccogliere la frazione Poli-A+, che equivale agli mRNA. Per la purificazione degli mRNA si sfrutta una colonnina in cui alla matrice sono fissati degli oligodinucleotidi sintetici. L’mRNA totale viene fatto passare attraverso questa colonnina e, in apposite condizioni, le code Poli-A 11 Ciò che ottengo con questa tecnica è il trascrittoma della linea cellulare o del tessuto dal quale ho estratto l’RNA. Come posso dunque trovare l’mRNA che mi interessa all’interno dell’intero trascrittoma che ho estratto? Ho due possibilità: 1. Se sono già a conoscenza della sequenza dell’mRNA messaggero che sto ricercando (informazione che ritrovo in banca dati) posso sintetizzare il cDNA tramite una RT-PCR, la PCR retro trascrizionale, la quale funziona con un primo intervento della trascrittasi inversa. Si identifica una sequenza di circa 20 bp a valle del codone di stop sull’mRNA e si costruisce un innesco (‘primer reverse’) che ibridizza l’mRNA. A questo punto si aggiunge in soluzione la trascrittasi inversa e deossinucleosiditrifosfato e, a 42°c operiamo la sintesi del nuovo filamento. Otteniamo così il primo filamento di cDNA: eliminiamo il frammento di mRNA originale sfruttando una RNAasi o aumentando la temperatura. Sul cDNA, a questo punto isolato, potremmo identificare una sequenza sulla base della quale sintetizzare un innesco che potrà essere utilizzato per la sintesi del secondo filamento di DNA. Quest’ultimo innesco terminerà in 3’ con il codone di inizio ATG e sarà detto “primer direct”. A questo punto si inizia una normale PCR in cui nella prima reazione otterremo il secondo filamento. Sfruttando poi i vari primer amplifico la sequenza di DNA (che ha la stessa sequenza dell’mRNA iniziale): la sequenza codificante che ci interessa sarà leggibile anche al batterio, il quale trascriverà un mRNA con una sequenza codificante continua. 12 Ogni tessuto o cellula ha il suo specifico trascrittoma, per cui non ha senso cercare di costruire una library umana. Per esempio il trascrittoma del fegato può essere addirittura diverso da persona a persona, da un bambino a un adulto, o da una persona sana a una malata di cirrosi o epatite. 2. Se conosciamo solo porzioni di sequenza della proteina, per esempio nel caso di sistemi con un genoma ancora non ‘esplorato’, si procede con lo screening di una library di cDNA, cioè l’insieme di tutto il trascrittoma ma trasformato in cDNA. In questo caso avremmo tutto il trascrittoma: come facciamo ad amplificarli tutti? Si sfrutta nuovamente la coda Poli-A, comune a tutti gli mRNA. Utilizziamo un oligo-T che si appaia alla coda Poli-A, inseriamo una trascrittasi inversa che copia il primo filamento di RNA e che lascia qualche innesco di RNA che ci consentiranno di sintetizzare il secondo filamento di DNA, fino ad ottenere in fondo un doppio filamento di cDNA. Questo insieme di frammenti che abbiamo ottenuto lo cloniamo ciascuno in un vettore di espressione e poi lo trasformiamo in E.coli. 15 in un provetta e successivamente in una beuta, in modo da avere una coltura liquida dalla quale potrò ottenere una grande quantità del plasmide. Quando ne saranno cresciuti abbastanza potrò selezionarli e sequenziarli in modo da controllare di aver selezionato il clone giusto con la sequenza della proteina che mi interessava. cDNA a doppio filamento→ le sonde non possono legarsi cDNA dopo trattamento con NaOH → le sonde si legano ai singoli filamenti tramite ibridazione e le molecole si legano covalentemente al supporto di nitrocellulosa. Condizioni di ibridazione: Le condizioni di ibridazione possono essere • Ad alta stringenza: sono condizioni critiche per l’ibridazione. Ibridizzano solo gli oligonucleotidi che sono perfettamente complementari. È una condizione importante che ci assicura di trovare in modo preciso le sequenze che stiamo cercando. • A bassa stringenza: ibridizzano anche gli oligonucleotidi che non sono perfettamente complementari. La alta e la bassa stringenza dipendono dalla temperatura. Nell’analisi di una library bisogna trovare la temperatura giusta (in questo caso 42°) alla quale avviene solo l’ibridazione tra sequenze perfettamente complementari. Dal fatto che sulla catena dell’mRNA c’è tutto il messaggio completo della proteina e anche il peptide segnale, è stato possibile dedurre la struttura di particolari proteine: per fare due esempi l’insulina e le immunoglobuline. In entrambi i casi la proteina matura presenta catene diverse: nell’insulina una catena a e una catena b, nelle immunoglobuline due catene leggere e due pesanti. o Nel caso dell’ insulina il suo mRNA ci indica che la pre-proinsulina è formata da un unico filamento. Questo viene poi sottoposto alla rimozione del peptide segnale e vengono poi operati i tagli endopeptidadici; vengono poi instaurati legami disolfuro per mettere insieme le due catene. Il gene è dunque uno solo: sono successive modificazioni post-traduzionali che portano alla formazione delle due catene. o Nel caso delle immunoglobuline di mRNA delle Ig ve ne è uno per la catena pesante e uno per la catena leggera. Viene prodotta la catena leggera, che è 16 una proteina di secrezione che nel RER perde il suo peptide segnale, e viene poi prodotta la catena pesante. Nel RER poi due catene pesanti e due leggere si assemblano tramite ponti disolfuro. Viene secreta sottoforma di proteina formata da quattro subunità. 17 BIOFARMACI O FARMACI PROTEICI I biofarmaci e i farmaci proteici sono nuovi farmaci sempre più utilizzati. In genere si faceva una distinzione in - Farmaci che replicano la funzione: un esempio è l’insulina umana, la quale viene fatta uguale come funzione e struttura a quella umana. - Molte delle proteine possono essere migliorate da un punto di vista farmacologico: sempre riguardo l’insulina si cerca di realizzarne versioni più facilmente attivabili o che restano attive per più tempo con delle caratteristiche farmacologiche migliori. Queste le otteniamo tramite mutagenesi, cioè cambiando in maniera mirata la sequenza. Molte dei farmaci proteici sono di questo secondo tipo. Alcune proteine terapeutiche ricombinanti di prima generazione, che sono proteine identiche a quelle naturali: 1. Insulina 2. Eritopoietina 3. G-CSF 4. Fattori antiemofilici 5. Vaccini ricombinanti r-hGH Un esempio è l’ormone della crescita umano hGH, una delle prime proteine ricombinanti ad essere prodotte insieme all’insulina. L’hGH è l’ormone responsabile del normale allungamento delle ossa lunghe nel bambino (una sua assenza conduce a nanismo) e importante anche nell’adulto per il mantenimento dell’omeostasi ossea (una sua carenza può causare demineralizzazione delle ossa). L’ormone della crescita ricombinante è detto r-hGH <ricombinant human growth hormon> viene prodotto tramite un vettore di espressione la sequenza codificante Il meccanismo di produzione di queste proteine terapeutiche ricombinanti vede sempre lo sfruttamento di un plasmide dotato di promotore, terminatore, OriC e geni per la resistenza all’antibiotico nel quale si può inserire in posizione corretta, cioè a valle del promotore, un cDNA da esprimere. 20 Per la purificazione uso una colonna di affinità dove il maltosio è legato covalentemente alla matrice della colonna. Quando le proteine contenenti interesse. Passando una seconda volta attraverso la colonnina contenente maltosio nella matrice le due catene l’unica che verrà sequestrata sarà la MBP: otterremo così la nostra insulina purificata. Eventualmente uno dei metodi alternativi all’uso del dominio legante il maltosio è lo sfruttamento della His-tag <etichetta di istidine>: la proteina di fusione è costituita dalla proteina di interesse e da una piccola sequenza di istidine His che di solito si aggiunge al c-terminale: per realizzarla si crea un vettore con la sequenza codificante per il cDNA che vogliamo esprimere: viene rimosso il codone di stop e inseriamo 5/6 codoni per His. Questa sequenza codificherà per un mRNA che alla fine avrà l’informazione genetica per l’aggiunta delle istidine. Dopo le His avremo 4 amminoacidi per operare il taglio, il codone di stop e il c- terminale. tag di His: così facendo la proteina ricombinante viene purificata e rimane legata covalentemente alla colonnina, mentre tutte le altre proteine che non hanno His-tag vengono lavate via. L’eluizione viene fatta mettendo in competizione l’anello il dominio della MBP passano nella colonnina vengono sequestrate. Dopo un abbondante lavaggio si ha l’aggiunta di maltosio libero il quale competerà con quello legato alla colonna: la proteina legata alla colonna si staccherà. A questo punto entra in gioco il tetrapeptide sul quale agisce una proteasi che taglia al c-terminale dell’arg del tetrapeptide. Abbiamo a questo punto ottenuto due catene: il dominio MBP e la proteina di interesse. Le His si aggiungono perché hanno la capacità di legarsi facilmente con ioni nichel Ni2+: gli ioni Ni2+ li possiamo trovare in una colonnina con nella matrice l’acido nitrilotriacetico (NTA) che chela gli ioni Ni2+ (è un chelante degli ioni Ni2+). Questi ioni a loro volta complessano il 21 imitazolico delle His con imidazolo libero che competerà con gli ioni adesi all’NTA e alla matrice. Delle volte l’His-tag non viene neanche rimosso: se le proteine che ottengo servono per gli studi in vitro generalmente viene lasciato, se servono per uso terapeutico viene rimosso. L’ ormone della crescita umano e l’insulina prodotte in laboratorio sono proteine ricombinanti che sono identiche a quelle naturali. Vediamo ora le così dette proteine ricombinanti di seconda generazione, sulle quali sono state introdotte delle mutazioni mirate per migliorarle farmacologicamente. TECNICA DI MUTAGENESI IN VITRO: La tecnica di mutagenesi in vitro è atta a modificare la sequenza del cDNA e l’identità di uno o più codoni. Prima di parlarne approfondiamo l’argomento degli enzimi che operano in vitro Nei trattamenti in vitro del DNA abbiamo visto all’uso di alcuni enzimi che sono tutte proteine che hanno azione sul DNA. o DNA poli I o Taq polimerasi (PCR) o Trascrittasi Inversa o Ligasi o Nucleasi o Enzimi di Restrizione di tipo II (omodimeri) o Terminal Transferasi o Fosfatasi o Chinasi o Peptidasi Questi enzimi che operano in vitro hanno una caratteristica comune: sono costituiti da singoli peptidi o, al massimo, da omodimeri (come nel caso degli enzimi di restrizione). Questi enzimi hanno struttura semplice per rendere più semplice la loro purificazione. Un esempio è la DNA Poli I: questo enzima contribuisce di norma a eliminare i frammenti di Okazaki e a riempire il gap che si crea, oltre che a eliminare l’ultimo ribonucleotide. La DNA poli I è un polipeptide di circa 100 kDA nel quale si riconoscono tre domini: 22 Per usare la DNA poli I in vitro, il ricercatore Klenow negli anni ’60 osservò che eliminando con una endopeptidasi il frammento piccolo 5’→ 3’ esonucleasico , si ottiene il frammento grande di Klenow, costituito dal frammento 3’→ 5’ esonucleasico e da quello polimerasico. Il frammento grande di Klenow, in vitro, è molto più efficiente nel sintetizzare DNA. MUTAGENESI OLIGONUCLEOTIDE-DIRETTA La DNA poli I si utilizza infatti nella mutagenesi oligonucleotide-diretta, detta anche mutagenesi sito-specifica. Questo esperimento consiste nel prendere un plasmide che ha un particolare codone (TGC) che codifica per Cys e cambiarlo in un codone che codifica per Ser: per fare ciò osservo nella tabella del codice genetico cosa posso fare per sostituire il codone: l’oligodeossinucletide si ibridizzerà al plasmide a singolo filamento con un piccolo errore. Non è complementare, ovvero mi si forma una mismatch, solo nel punto dove dovrebbe essere una C e invece ho una G. A questo punto ho ottenuto in vitro una struttura dove al 3’OH del primer mutato si costituisce una giunzione innesco-stampo. Aggiungendo la DNA poli I (in particolare il frammento grande di K), deossinucleosiditrifosfato e ligasi, la DNA poli I copierà tutto il plasmide: otterremo un plasmide a doppio filamento perfettamente complementare tranne che nel punto dove presenta il mismatch. - 5’→ 3’ esonucleasico, che è quello che toglie l’ultimo ribonucleotide - 3’→ 5’ esonucleasico, al quale spetta il proof reading - Polimerasico Cys→ TGC Ser→TCC Se è presente il codone TGC devo sostituire la G centrale con una C, in modo che il codone diventi codificante per Ser. Per fare ciò prendo il plasmide e sintetizzo un oligodeossinucleotide quasi del tutto complementare alla sequenza del plasmide (che abbiamo scaldato a 90° per un minuto e si è denaturato): 25 ulteriormente la temperatura e aggiungendo la ligasi i NICK vengono saldati: si ottiene così un lungo doppio filamento continuo. Una delle proteine per uso terapeutico cui funzionalità farmacologica è stata migliorata tramite mutagenesi oligonucleotide-diretta è l’insulina, una delle proteine più prodotte e vendute. L’insulina porcina, usata per molti anni prima di quella ricombinante, prelevata e isolata dal pancreas di maiale e compatibile perfettamente con l’organismo umano è stata sostituita da quella ricombinante generata in laboratorio perché su una quota molto bassa di pazienti (1/10000) dava fenomeni di resistenza, il che significa che un paio di differenze amminoacidiche che conducevano a una blanda risposta immunitaria. Nel tempo questo effetto avrebbe portato i pazienti che presentavano la resistenza a diventare del tutto resistenti all’insulina porcina. Per questo si è iniziato a produrre l’insulina ricombinante identica a quella umana: successivamente si è voluto inserire ulteriori miglioramenti farmacologici. Per esempio - L’insulina Lys-Pro, che presenta un’ inversione in posizioni 28 e 29 (che sarebbero Pro-Lys) oppure un altro tipo di mutazione, Pro/Asp. Queste mutazioni conferiscono maggiore solubilità alla proteina: gli esameri di insulina che il pancreas secerne non sono prontamente attivi, entrano nel torrente circolatorio e nel giro di decine di minuti si disgrega in dimeri, i quali sono attivi, in grado di legare il proprio recettore. (questa è quindi una caratteristica propria della insulina umana e dell’ insulina umana prodotta in laboratorio). L’insulina Lys-Pro invece, in virtù della mutazione, non forma esameri, ma si presenta direttamente in forma dimerica. Appena dopo l’iniezione è direttamente attiva. Altre mutazioni invece servono per fare l’opposto, per garantire un rilascio graduale. Un altro protocollo prevede un’ iniezione di insulina al giorno: questa insulina è a rilascio graduale, che precipita a pH neutro. Viene fornita in una soluzione leggermente acida, viene iniettata nel pH neutro dei tessuti e precipita. Ciò fa si che si abbia nei tessuti un livello costante di insulina per 24h. Da molto tempo stanno cercando di mettere a punto un’insulina da assumere per via orale. Altri esempi che riguardano possibili mutazioni che possono essere introdotte per migliorare farmacologicamente un certo prodotto. L’attivatore tissutale del plasminogeno: l’attivatore tissutale del plasminogeno ha a che fare con il controllo del coagulo, cioè la via che porta alla coagulazione del 26 plasma porta anche alla coagulazione della fibrina. La fibrina forma i coaguli in un complesso equilibrio nel quale, dopo che si è formato il coagulo, nel tempo, questo deve essere sciolto (per esempio la crosta di una ferita che viene persa dopo Si tratta di un farmaco salvavita, ma ha comunque un lato negativo: può causare emorragie interne. Il TPA è una proteasi a serina (detta così perché nel sito attivo presenta una serina, fondamentale insieme all’His e Asp). La mutagenesi diretta a cambiare l’identità di questi aa fondamentali per la catalisi è stata fondamentale per dimostrare come funzionasse il sito attivo di questa proteasi a serina. Se la serina (o la His) viene sostituita da un altro aa, anche se la mutazione è conservativa, la proteina non funziona più. Questo esempio ci fa capire come la tecnica della mutagenesi sito specifica sia anche fondamentale nella ricerca di base. Inoltre il TPA è stato mutagenizzato anche per migliorarlo da un punto di vista farmacologico. Per esempio il mutante Thr103Asn, la treonina in posizione 103 è stata sostituita con una asparagina: questa mutazione ha migliorato la sua stabilità nel serio: se ne può usare di meno e diminuiscono anche gli effetti collaterali. Versioni alternative del TPA • Alteplase, tPA normale umano (hrtPA): Approvato per il trattamento di infarto, ictus, embolia polmonare.Prodotto in cellule animali in coltura. • Reteplase, tPA umano non glicosilato e più corto: usato soprattutto per il trattamento dell’infarto. La sua emivita è più lunga di quella della proteina normale. E’ prodotto in E.coli. l’intervento di enzimi che digeriscono la fibrina). Il TPA, tissue plasminogen activator, attiva il plasminogeno che a sua volta attiva l plasmina , in grado di degradare la fibrina ed eliminare il coagulo. Il TPA è un farmaco molto importante nella cura delle malattie trombotiche (ictus, infarto): è un trattamento ospedaliero che viene fatto d’emergenza. Il TPA può essere iniettato e riduce gli effetti delle trombosi. 27 • Tenecteplase, tPA umano con due modificazioni aminoacidiche. usato soprattutto per il trattamento dell’infarto. Ha una maggiore affinità per il coagulo di fibrina. Prodotto in cellule animali in coltura. • Desmoplase, tPA della saliva dei pipistrelli vampiri. Indicato soprattutto per l’ictus. Ha una emivita doppia nel sangue del paziente. Prodotto in cellule animali in coltura . INTRODUZIONE SULLA VACCINAZIONE: La vaccinazione si basa sul Principio di Pasteur: ”isola il germe, lo uccidi e lo inietti”. Lo uccidi per inattivarlo, e poi lo inietti per far sì che il nostro sistema immunitario si difenda da lui come se fosse vivo, riconoscendo delle proteine sulla sua superficie come antigeni. Per il nostro sistema immunitario, dotato di memoria, questa risposta genera una memoria immunitaria che ci proteggerà nel futuro, quando saremo riesposti al germe vivo. Per esempio in un bambino esposto per la prima volta al morbillo avremo una risposta primaria del suo SI che nel giro di 15/20 si attiverà per debellarlo. Se il bambino incontrerà una seconda volta il virus, durante la risposta primaria si è generata la memoria (linfociti B) e la produzione di anticorpi è estremamente più veloce ed abbondante. Se invece ci sottoponiamo alla vaccinazione del morbillo è come se incontrassimo il virus: in genere il nostro SI incontra delle proteine del virus inattivato che scatenano una risposta di tipo primario. Un vaccinato, in caso di seconda esposizione, sarà protetto dalla risposta secondaria. Il principio di Pasteur oggi si può riformulare con “Isola il germe, sia esso un virus o un batterio, studialo e comprendi quali sono le proteine coinvolte nel generale una risposta del nostro sistema immunitario”. Più che uccidere il gene si costruiscono queste proteine antigeniche che genereranno una risposta 30 transmembrana composto da circa 20/22 aa capaci di formare un’ α-elica. La sequenza transmembrana è facilmente riconoscibile da parte del computer: la ricerca può essere effettuata - A bassa stringenza: si chiede al computer di trovare tutti i domini trans, anche a rischio di trovare dei falsi positivi. - Ad alta stringenza: si chiede al computer di individuare le proteine che sono trans di sicuro, anche a rischio di perdere quelle poche individuabili. L’approccio che adottarono fu quello a bassa stringenza. La strategia fu dunque 1) Individuare la sequenza del genoma del meningococco; 2) individuare tutte le possibili ORF; 3) individuare i geni codificanti per le proteine di membrana. Ne individuarono circa 400. Sapendo la sequenza delle ORF fu possibile mettere a punto una strategia di PCR per ciascuna di esse per poterle amplificare tutte. Dopo l’amplificazione per PCR le proteine vennero introdotte in vettori di espressione sotto un promotore forte. (400 amplificati in 400 vettori, ottengo 400 cloni di E.coli esprimenti le 400 proteine). A questo punto le proteine espresse in E.coli vennero purificate ed iniettate in ratti con il fine di vedere se nei ratti veniva stimolata una reazione immunitaria protettiva. Dopo almeno 15 giorni (per l’espressione della risposta immunitaria), per vedere se la risposta era protettiva i ratti vennero infettati con meningococco: tutti i casi che sopravissero, le proteine vennero candidate come possibili vaccini. Con queste modalità furono trovate 6/7 proteine candidate ad essere vaccini: la formulazione finale videro l’uso di solo 4 di esse che portarono alla produzione del vaccino che tutt’ oggi è utilizzato. Ha pochi e rari effetti collaterali. 31 Vaccino ricombinante per il Meningococco Il vaccino per il meningococco venne individuato sempre col metodo della Reverse Vaccinology, per il quale prendiamo in considerazione tutte le proteine di membrana partendo dai geni del meningococco. La logica di un approccio del genere è: ma poco immunogena, e una proteina poco rappresentata ma molto immunogene, per fare in modo di nascondersi dal nostro sistema immunitario. Se purificassimo le proteine del meningococco, sarebbe difficile a individuare la proteina immunogena; se invece partiamo dal genoma, come geni sono rappresenti in quantità uguale (sebbene poi l’espressione in membrana sia del tutto diversa). Se riusciamo poi a isolare la proteina poco espressa ma altamente immunogena, se usata come antigene purificato porterà alla produzione di anticorpi, capaci di riconoscerla sulla superficie del batterio. VACCINI A DNA Un’altra interessante modalità di vaccinazione, che è stata molto importante nella messa a punto del vaccino per Ebola e ad oggi forse superata, è la vaccinazione a DNA. Spesso è usata nella vaccinazione antitumorale. In questa procedura, il DNA per l’antigene, che è stato identificato, viene iniettato come DNA, ovvero come gene dotato di promotore e terminatore, nel muscolo. Questo DNA comincia ad essere espresso dalle cellule del muscolo, che quindi secernono l’antigene per vari giorni/ una settimana, facendo avviare una risposta immunitari contro l’antigene. Una delle applicazioni del vaccino a DNA è il vaccino elaborato contro il West Nile Virus, un virus molto diffuso in Africa, di cui ancora non è stato fatto un vaccino ‘normale’. Questo vaccino a DNA è molto più facile da usare nel terzo mondo, perché è una molecola piuttosto stabile e si conserva meglio rispetto a altri vaccini, anche al caldo. Questo vaccino non ha una copertura del 100%, però in una popolazione Consideriamo la superficie del meningococco che presenta due proteine, una molto abbondante e una poco abbondante: il meningococco, come altri batteri con i quali conviviamo da molto tempo, è riuscito ad ‘organizzarsi’ esponendo sulla superficie una proteina molto abbondante 32 estremamente colpita da questa malattia, anche con un’efficacia dell’80% , risulta un ottimo vaccino. colonna molto accuratamente. I plasmidi vengono poi iniettati ed espressi a livello dei nuclei delle cellule tumorali. Il protocollo della messa a punto del vaccino contro il West Nile Virus prevede l’identificazione di un gene/geni, come il gene PRM e il gene E, che sono proteine costituenti l’antigene. Il plasmide, dotato (nell’ordine) di un promotore, geni e un terminatore, viene cresciuto in una coltura batterica, viene purificato su una 35 proteine del capside (tra cui anche la proteina S)senza il materiale genetico. Una struttura del genere ci fa capire che, la proteina S, nella sua conformazione tridimensionale naturale è un monomero che tende ad incollarsi con altri monomeri a formare questa struttura relativamente rigida: questa unione avviene per interazione tra residui amminoacidici idrofobici. Nella proteina prodotta in E.coli si osservò che la proteina era presente in monomeri e che, a causa del mancato aiuto da parte delle chaperonine, si richiudeva e tendeva a nascondere i suoi residui idrofobici all’interno. In questa maniera era impossibile montarsi nei Ghosts, che sarebbero stati degli ottimi antigeni, e venivano mostrati degli antigeni ‘sbagliati’. IL VETTORE SHUTTLE Visto dunque l’insuccesso della produzione della proteina S in E.coli, i ricercatori tentarono di sfruttare sistemi eucariotici, passando dunque dal batterio al lievito che aveva un sistema di chaperoni molecolari molto diversi da E.coli. Misero a punto un vettore di espressione per il lievito non molto diverso da quello di E.coli, in quanto di natura alcuni lieviti come Saccaromyces cerevisiae contengono plasmidi che non sono molto diversi da quelli di E.coli. Il vettore di espressione (plasmide) che misero a punto è un vettore di espressione modulare detto vettore Shuttle in grado di replicarsi in lievito ma anche in E.coli. Il vettore shuttle è costituito da due porzioni - Una porzione rossa che è un plasmide di lievito: questo plasmide può crescere in lievito e contiene una porzione eterologa che in lievito non avrà alcun significato che contiene l’origine di replicazione e più geni per la resistenza agli antibiotici, come quello per la resistenza all’ampicillina. - Una porzione nera che è un plasmide di coli: questa parte del plasmide ha senso in coli, dove è permessa la sua replicazione e l’espressione dei geni per la resistenza agli antibiotici. In questo caso il frammento eterologo rosso in coli non avrà alcun significato. Il vettore Shuttle ha significato sia in batterio che in lievito. Da un punto di vista della struttura, la porzione gialla rappresenta la ORF che ci può interessare tradurre: in questo caso è la sequenza per la proteina S. Uno dei vettori più utilizzati ha a monte la GST, la <glutatione S-transferasi>, che viene tradotta insieme alla proteina di interesse e serve per la purificazione su colonna. Nella ORF c’è il poli-linker, la zona dove inserire la sequenza codificante, e prima di questo ci sono una serie di moduli 36 - Modulo Flag, che serve per il riconoscimento della proteina; - Modulo di taglio per l’enterochinasi, ci aiuta a tagliare via il GST dalla proteina di fusione; - Modulo di taglio per la trombina, ci aiuta a tagliare via il GST dalla proteina di fusione; Questa è la zona codificante con a monte il promotore P e a valle il terminatore T. Inoltre c’è l’origine di replicazione del lievito ARS1 “autonomsly replicating sequenza”, analoga alla ORI di E.coli. Questo plasmide, se trasformato in E.coli cresce al suo interno; viene replicato in moltissime copie e vengono espressi i geni per la resistenza antibiotica. Una volta purificate grandi quantità del plasmide questo può essere trasformato in lievito. Quando il plasmide raggiunge il nucleo del lievito dove è presente anche il suo materiale genetico, si moltiplica e diventa un vettore di espressione capace di esprimere i geni in giallo per la proteina S tramite il macchinario di trascrizione e traduzione presente nel nucleo del lievito. L’importanza del vettore Shuttle è che posso ottenere grandi quantità di plasmide facendolo crescere nei batteri, e poi posso trasformare il plasmide in lievito, in modo che la produzione di proteina S avvenga nel modo corretto e che la proteina acquisisca il giusto folding. 37 l’influenza di un promotore e di un terminatore, la sequenza leu2, questa presenza complementa con il genoma del lievito carente per leu2. I lieviti contenenti questo plasmide saranno dunque capaci di crescere in assenza di leucina. Per cui si effettua una selezione basata sul fatto che, in una piastra con terreno privo di Leucina, le uniche colonie che si formeranno conterranno il plasmide ed esprimeranno la proteina. Questa è la modalità con cui ancora oggi viene fatto il vaccino per HBV: viene realizzato in lievito e dal lievito si ottengono le proteine sottoforma di “Ghosts”, cioè monomeri di proteine in grado di incollarsi tra di loro a formare un aggregato che normalmente formerebbe il virus Andando a montare i monomeri delle proteine intorno al materiale genetico, ma in assenza di DNA su cui ‘montarsi’ si formano i ghosts. I ghosts sono forti immunogeni protettivi. Nel plasmide vettore Shuttle è presente anche un altro gene detto leu2 il quale serve per la selezione: si utilizzano dei lieviti negativi per leu2 (leu2-) che non sono in grado di bio- sintetizzare la Leucina e che per tanto hanno bisogno di un supplemento di Leucina nel terreno per crescere. La trasformazione del lievito con il DNA ottenuto in Coli è un evento raro, ma nelle poche cellule di lievito dove entra il plasmide sul quale c’è, sotto Protocollo per la produzione del vaccino contro HBV 40 Spesso per lavorare con questi materiali si usa una cappa a flusso laminare con filtri nella quale viene filtrata l’aria e dove l’operatore è protetto da un vetro. Le mani possono esservi inserite tramite una fessura nella parte inferiore del vetro. Es. della coltivazione di cellule muscolari di topo C2C12: se queste cellule vengono coltivate in particolari condizioni si può formare la fibra striata e si possono coltivare anche delle contrazioni. Alcune delle cellule più usate sono: • HEK 293: human embryonic kidney cells • CHO: Chinese hamster ovary cells • COS: simian fibroblasts Le linee cellulari in coltura sono estremamente comodo perché vi si può trasferire DNA sottoforma di plasmidi. Questi plasmidi non avranno la capacità di duplicarsi in perché non esistono nelle cellule eucariotiche, ma potranno raggiungere il nucleo e integrarsi nel genoma. VETTORE DI ESPRESSIONE EUCARIOTICO Anche questo vettore è formato da due parti: - Una parte procariotica: la parte del plasmide di E.coli contenente i geni per la resistenza e la sequenza OriC che rendono possibile, se trasformiamo questo plasmide in coli, coli lo fa proliferare e ne otteniamo grandi quantità. - Una parte eucariotica: una volta ottenute grandi quantità del plasmide questo viene inserito nelle cellule eucariotiche e solo lì entrerà in gioco la parte del eterologa del plasmide. I promotori eucariotici del frammento eterologo potranno essere riconosciuti dalle DNA poli II della cellula, uno a monte del 41 cDNA codificante per la proteina che ci interessa produrre e uno a monte del gene per G418, un veleno cellulare (Parte corrispondente ai geni che nei batteri conferiscono la resistenza agli antibiotici). Il G418 è utile per operare la selezione. Meccanismo La trasfezione avviene mediante liposomi. I liposomi sono delle micelle fatte di un doppio strato fosfolipidico: sono delle piccole “cellule” che nascono in seguito a emulsione di fosfolipidi. Se l’emulsione viene effettuata in presenza del DNA che voglio trasferire all’interno della cellula, le micelle che si formeranno lo conterranno. Se le micelle entrano in contatto col doppio strato fosfolipidico della membrana delle cellule si fondono con essa rendendo possibile l’ingresso del DNA nel citoplasma; il DNA si muove poi da solo verso il nucleo. Il meccanismo con liposomi è la modalità più sfruttata: nel 50% delle cellule assorbono il DNA. Dopo qualche giorno nelle cellule si possono verificare più situazioni: DNA dovrebbe esprimere la proteina ricombinante, nonché la resistenza al G418. Le cellule dove è avvenuto l'evento di ricombinazione possono essere isolate trattandole tutte con G418. Come? Se prendiamo una piastra con qualche centinaio di migliaia di cellule solo 1/100000 cellule vanno a ricombinare il loro genoma con il cDNA. Dopo due/tre giorni aggiungiamo il G418 e apparentemente tutte le cellule muoiono. Dopo qualche giorno si osserva la formazione di piccole colonie derivanti da una singola cellula che aveva effettuato l’evento ricombinativo. Avremo così individuato le cellule in grado di produrre lo proteina che cerchiamo. o Non succede nient’altro, per cui le cellule proliferano e il DNA plasmidico tende a diluirsi e a perdersi nel giro di qualche duplicazione viene perso; o Raramente succede che il DNA si inserisce nel genoma della cellula. Abbiamo avuto una trasfezione stabile, e da questa cellula in poi verrà espresso questo DNA acquisito in un evento di ricombinazione. Questo 42 Un vero vettore di espressione per cellule eucariotiche: - Parte procariotica: OriC e geni per la resistenza all’ampicillina. È la parte di cori nel quale è inserita una porzione eterologa di DNA. - Parte eterologa: costituita dai geni per l’espressione della proteina ricombinante, promotore + poli-linker dove si inserisce il cDNA+ sito di poli- adenilazione, segue un altro promotore eucariotico per il gene della selezione e il suo terminatore Il vettore vuoto può contenere anche un piccolo introne: una volta che abbiamo inserito il cDNA, il trascritto primario che nasce a valle del promotore conterrà la sequenza codificante con il codone di stop alla fine e una sequenza con 3’ non tradotta che contiene un introne: ciò renderà il trascritto primario ‘pronto’ a subire lo splicing. Lo splicing lascia sull’RNA delle proteine come quelle che legano le giunzioni tra esoni, la proteina al CAP e quella al poli-A: la presenza di queste proteine favorisce il passaggio dell’RNA dal nucleo al citoplasma. G418: detto anche <geneticina>, blocca la traduzione in tutti gli organismi e per noi è anche un veleno cellulare. Al giorno d’oggi è molto comune che prodotti ricombinanti che devono essere espressi in cellule animali in coltura vengano espressi in cellule di insetto. I motivi sono Non ha importanza la specie delle cellule in cui viene prodotta una proteina: le cellule sono piuttosto uguali, sia da un punto di vista morfologico sia biochimico. Un cellula di Drosophila funziona come una cellula umana in coltura dal punto di vista della traduzione e delle modificazioni post-traduzionali. “DICER” 45 46 ANTICORPI L proteine ricombinanti che sono più importanti sono gli anticorpi ricombinanti. Una immunoglobulina è strutturalmente formata da due catene leggere e due catene pesanti a due a due identiche. Le catene leggere sono formate da due domini, mentre le catene pesanti di quattro. Di questi domini, quelli all’N-terminale sono i domini variabili. Nel dominio variabile risiede la capacità dell’anticorpo di riconoscere l’antigene: il contatto avviene tramite le zone CDR che prendono specificamente contatto con l’antigene. Tutti gli altri sono i domini costanti. La risposta adattativa dei linfociti B comincia dalla diversificazione anticorpale da appena nati, quando si sviluppa il sistema immunitario, a livello di ogni cellula B si ha la formazione di una particolare ricombinazione che porta alla formazione di un anticorpo con particolari parti variabili. La diversificazione è intorno 10^10-10^12 (il primo dato è quello più realistico che troviamo nel nostro organismo). Quando entriamo a contatto con un certo epitopo viene dunque attivata una cellula B apposita: quando la cellula B viene attivata, il suo anticorpo si trova in realtà sottoforma di proteina di membrana. Dopo il contatto con l’epitopo, le cellule B cominciano a proliferare e si differenziano in: • plasmacellule, nelle quali l’anticorpo diventa (per la perdita del dominio transmembrana) una proteina di secrezione, cioè un anticorpo circolante; • cellule della memoria. Questa risposta viene detta policlonale, perché verso un certo epitopo è probabile che ci siano molte cellule B in grado di rispondervi: di conseguenza molte plasmacellule producenti anticorpi circolanti in grado di riconoscere quell’epitopo. Nella struttura sono importanti ponti disolfuro che si formano tra le quattro catene e servono per tenere insieme il tetramero sia per determinare la struttura dei domini immunoglobulinici. Importante anche la presenza di una glicosilazione nella zona cerniera. 47 STORIA DEGLI ANTICORPI: negli anni ’50-’60 erano comuni i sieri equini o bovini. Per esempio contro il tetano veniva usato il siero antitetanico, immunoglobuline ottenute da sieri animali che erano stati immunizzati con la tossina tetanica. Questi anticorpi andavano a bloccare la tossina, salvando l’individuo dalla malattie. Il difetto di questa tecnica era che a un primo utilizzo il nostro sistema immunitario riconosce le Ig di altri organismi come antigeni; se riapplicassimo la stessa tecnica una seconda volta si rischia una iper reazione del nostro organismo (il paziente verrebbe colpito da choc anafilattico e dovrebbe essere trattato con adrenalina). GLI ANTICORPI MONOCLONALI Fin dagli anni ’70 cominciarono ad essere prodotti anticorpi monoclonali, sia nel campo della ricerca che nel campo medico. producenti anticorpi monoclonali avremmo trovato il modo per produrre anticorpi monoclonali. Questo non è possibile per questioni di resistenza delle cellule B in vitro. Per realizzare anticorpi monoclonali allora si è pensato di fondere linfociti murini con cellule di mieloma: i linfociti murini saranno in grado di produrre anticorpi, mentre le cellule del mieloma solitamente perdono questa capacità, ma hanno acquisito quella di proliferare incontrollatamente. si formano gli ibridomi sommando due nuclei: l’ibridoma è o Ancora capace di produrre un particolare anticorpo monoclonale ; o capace di proliferare indefinitamente. Tecnica: mettiamo in un pozzetto singole cellule e nascerà una coltura di cellule monoclonali che prolifereranno producendo anticorpi monoclonali. Tutte queste cellule produrranno anticorpi in grado di riconoscere lo stesso antigene, ma saranno Se immunizziamo un topo con un antigene di nostro interesse (che sia una proteina non murina che non stimolerebbe il sistema immunitario del topo) in modo che lo riconosca come non-self il sistema immunitario del topo darà una risposta policlonale. Se noi potessimo isolare singole cellule B e coltivarle in vitro per farle diventare plasmacellule 50 Si osservano poche reazioni immunitarie solo con gli anticorpi umanizzati, i quali danno nella maggior parte dei casi delle reazioni tollerabili-trascurabili. MECCANISMO DI PRODUZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI Dobbiamo sfruttare: • da una parte la catena murina, gli ibridomi, che producono grandi quantità di mRNA della catena leggera e della catena pesante. Li purifichiamo e amplifichiamo per PCR la parte variabile delle catene murine. • Da un’altra parte prendiamo una plasmacellula umana qualsiasi che produrrà anticorpi. Per PCR amplifichiamo l’mRNA della porzione costante di questi anticorpi. Perché sono importanti gli anticorpi in terapia? Possono interagire su molecole diverse: - Blocco di interazioni ligando-recettore (p.e. estrogeni) - Blocco di funzioni proteiche (p.e. oncogeni) - Stimolo di segnalazione intracellulare (p.e. apoptosi) A questo punto abbiamo un frammento variabile e un frammento costante: li leghiamo facendo attenzione che siano in frame, li inseriamo in un vettore di espressione (ognuno il suo) eucariotico sotto il controllo di un promotore forte. Infine per co-trasfezione di entrambi i plasmidi in una cellula di origine dalle plasmacellule (in modo che produca tante proteine) otteniamo una cellula che ha acquisito questi nuovi DNA. Le due catene pesante e leggera si troveranno, trascritte e tradotte, a livello del reticolo endoplasmatico, dove verranno unite da ponti disolfuro e glicosilate. Avremo l’espressione di anticorpi ibridi che verranno secreti: noi li potremo recuperare a livello del terreno. 51 - Reclutamento di componenti del sistema immunitario a seguito del binding (stimolo immunità cellulare). Le malattie contro le quali vengono sfruttati questi anticorpi sono di due categorie: ▪ Malattie infiammatorie: molto diffuse e in grado di abbassare la qualità della vita. Sono esempi il Morbo di Chron e l’artrite reumatoide; contro queste malattie esistono degli anticorpi in grado di bloccare l’attività di molecole pro- infiammatorie. Un esempio è l’anticorpo che attacca il TNFα (tumor necrosis factor), una molecole pro-infiammatoria: nelle infiammazioni più gravi il TNFα in circolo è molto e aumenta di tanto la risposta infiammatoria. Esiste sul mercato anche una molecola diversa che blocca il TNFα che è un dominante negativo, il quale trimerizza e stimola l’attivazione del recettore e quindi la risposta infiammatoria. Questo dominante negativo è in grado di bloccare il recettore e blocca l’eccesso di TNFα. ▪ Contro i tumori: - Se il fattore scatenante il tumore è un fattore di crescita diventato un oncogene può essere bloccato dall’anticorpo, per cui non abbiamo la stimolazione alla riproduzione tramite una iperproduzione di un fattore di crescita. - In più il fattore di crescita tende a far dimerizzare due recettori: in un caso l’anticorpo può andare a bloccare il sito dove si legherebbe il fattore di crescita. - Oppure l’anticorpo che riconosce una parte del recettore con il suo ingombro sterico impedisce la formazione dell’eterodimero. - Possono bloccare all’interno della cellula l’attività tirosino-chinasica dei recettori. Questi anticorpi entrano sorprendentemente nella cellula superando la membrana plasmatica della cellula. - Infine, si è provato a produrre un anticorpo che riconosce proteine particolari che le cellule tumorali espongono sulla loro superficie. Questi anticorpi possono essere armati con delle tossine: i domini tossici vengono legati all’anticorpo: quando l’anticorpo entra nel nucleo e la tossina ha il suo effetto. 52 Alcuni anticorpi monoclonali anti-tumorali sono TRASTUZUMAB: contro il recettore di Her2 importante nel tumore alla mammella. È un anticorpo che dovrebbe inibire la dimerizzazione (indipendente dal fattore di crescita) di Her2. Questo anticorpo può essere attivato solo in questo caso. Nei tumori alla mammella in cui Her2 non è iper-attivato/espresso sarebbe inutile sfruttarlo. Questi anticorpi sono sfruttati in termini diagnostici e terapeutici. Bisogna dapprima capire con che tipo di tumore abbiamo a che fare tramite biopsia con ago aspirato e saggiamento delle cellule con questi anticorpi: se gli anticorpi si ancorano molto copiosi sulla superficie delle cellule significa che Her2 è iper- espresso. L’uso di questo farmaco è molto utile nel post-operatorio per eliminare le cellule metastatiche. BEVACIZUMAB: si lega al VEGF <vascular endothelial growth factor>. Uno dei motivi per cui il tumore si sviluppa è perché riesce anche a vascolarizzare, per cui le cellule tumorali producono VEGF che stimola la crescita e la vascolarizzazione del tumore. Si pensò quindi di realizzare un farmaco in grado di attaccare tutti i tumori solidi che fanno angiogenesi. Spesso questo anticorpo non funziona bene perché la vascolarizzazione è guidata anche da altri fattori e perché le cellule tumorali spesso mutano e diventano resistenti a questo farmaco. Il trattamento con anticorpi monoclonali ha effetti piuttosto blandi rispetto ad altri, ed è quindi preferibilmente usato rispetto a altri. 55 una sonda a DNA. Le differenze sono poche: una delle più importanti è che non si può sfruttare la soda. Si usano raggi ultravioletti, che sono meno deleteri per il DNA. Preparazione della sonda radioattiva: se utilizzassimo come sonda un cDNA clonato in un vettore di espressione, il vettore viene linearizzato e denaturato in singoli filamenti (col calore). L’innesco si va ad ibridare col cDNA complementare e va a costituire una posizione innesco-stampo. La DNA poli I va a sintetizzare il frammento complementare al cDNA. Se sfruttiamo dei deossiATP con nella posizione α (il fosfato che rimane nello scheletro zucchero-fosfato) un isotopo β- emittente del fosforo, il fosforo 32, la sonda sarà marcata e potrà essere aggiunta (dopo denaturazione) al bersaglio, che andrà ad ibridare. 56 Alcuni risultati. Delle autoradiografie con dei bandeggi nelle quali osserviamo all’estrema sinistra dei marker di peso molecolare resi reattivi in modo da essere visibili; le altre bande indicano i punti dove le sonde sono andate a ibridarsi. Prendiamo un genoma con all’interno un gene: consideriamo il gene all’interno della cellula nella forma Wild Type e lo stesso gene detto gene∆ che ha mutato subendo una delezione nell’ultimo esone. Se tagliamo con l’enzima di restrizione EcoRI in tre punti di riconoscimento per l’enzima otteniamo: o sul wild type dei tagli distanti 5.4kb il primo dal secondo e 3.6kb il secondo dal terzo; o sul gene∆ la lunghezza del frammento a destra è più corta, perché l’esone soffre di una delezione di 300 b. SOUTHERN BLOT: Se digeriamo il genoma con EcoRI nel gel le bande saranno separate in base al peso molecolare. Se usiamo come sonda l’interno cDNA (somma Risultato di un Northern Blot: la banda è singola. Le dimensioni diverse delle bande dipendono dalla quantità relativa di RNA presente nel gel. Questo particolare esperimento è stato fatto per capire in quale cellule/tessuti sono presenti due geni, PSAT e PHGDH, e la β-actina. Il gene per l’actina è presente in tutte le cellule, ovviamente in quantità diverse: questo è un test per vedere se abbiamo caricato sul gel quantità equimolari di RNA. 57 dei tre esoni) potrà ibridizzare a tutti e tre gli esoni indipendentemente che sia deleto o meno. NORTHERN BLOT: eventualmente possiamo fare un’analisi sull’RNA. Si raccoglie e si purifica l’mRNA di quelle cellule in cui questo gene è espresso. La differenza sarà che l’mRNA wild type sarà un po' più lungo rispetto all’mRNA del gene∆. In alcuni casi la sonda che uso potrebbe essere un oligonucleotide sintetico abbastanza lungo (70/80bp) marcato con P32 e con una chinasi al 5’ che aggiunge un fosfato il quale viene marcato. L’oligonucleotide se deve essere usato nel northern blot deve essere sintetizzato complementare all’RNA. Con il Southern Blot si accenderanno le bande corrispondenti a quei pesi molecolari. Possiamo distinguere tra i due geni perché hanno la stessa banda più pesa da 5.4kb e le bande più leggere leggermente diverse, una da 3.6kb e l’altra da 3.3kb. test molto comune per distinguere i fenotipi a livello di uno stesso gene. Mancando un pezzo di 300b nel gene∆ l’mRNA del wt sarà kb, quello del ∆ sarà kb. Usando come sonda l’intero cDNA sull’intero trascrittoma corso su gel, il cDNA si ibridizzerà all’RNA specifico che sarà un po' più lungo sul wild type per cui correrà più lentamente, mentre nel avremo una banda più piccola che correrà più lentamente. 60 ANIMALI TRANSGENICI Le modalità di trasferimento genico negli animali e nelle piante. Finora abbiamo visto come possiamo partire da un batterio contenente dei plasmidi, ovvero dei vettori, che vengono purificati e manipolati in vitro in modo da ottenere del DNA ricombinante. Il vettore viene trasformato in un batterio per ottenerne grandi quantità. Il plasmide viene purificato e si ottiene del DNA. Questo DNA, che conterrà promotori per lievito o per cellule animali, Lo potremo usare per trasformarlo in lievito, transfettarlo in cellule animali in cultura oppure per ottenere animali e piante transgeniche, per creare piante e animali transgenici. Il gain of function e il loss of function che abbiamo già visto può essere effettuato sugli animali, in particolare studiamo i modelli murini: nel caso di gain of function si ottengono animali transgenici, nel caso di loss of function animali knock out. Sono degli ottimi modelli per condurre della ricerca di base e per studiare alcune malattie umane: permettono di capire nell’organismo intero qual è il risultato dell’over- espressione o dell’inibizione della produzione di una proteina. Una tecnica ormai non più sfruttata prevedeva come metodologia di trasferimento del DNA l’iniezione del DNA nell’oocita con i due pronuclei ancora separati, con una pipetta molto sottile. Il DNA sarà un vettore di espressione dotato di un forte promotore: iniettandolo nel nucleo non è improbabile che si inserisca casualmente nel genoma dell’oocita fecondato. Molti di questi oociti vengono inseriti nell’utero di un topo femmina pseudo-gravida (trattata con ormoni) in modo da mimare un’avvenuta gravidanza: gli embrioni si svilupperanno e nascerà una nidiata di topini dei quali 1/3 risulta transgenico. Si estrare il DNA genomico dei topini e con PCR diagnosticheremo la presenza o meno nel genoma di quel particolare topino di quel DNA. Tutte le cellule del topo presenteranno questo DNA: se abbiamo usato un promotore tessuto- specifico questo funzionerà solo nel tessuto adatto. Se per esempio vogliamo over-esprimere un gene degli epatociti 61 metteremo il vettore sotto il controllo di un promotore forte tipico degli epatociti. Il gene sarà presente nella maggior parte delle cellule ma sarà silente, mentre negli epatociti verrà espresso. Alcune proprietà applicative di questa tecnica in campo industriale: in capre e bovini, quindi mammiferi di grossa taglia, è stata tentata l’espressione di proteine ricombinanti di secrezione nel latte. Il vettore che è stato sfruttato è un vettore tessuto-specifico per la ghiandola mammaria. Quello di scelta è quello della caseina, una delle proteine più abbondanti del latte. La tecnica di recupero della proteina non è invasiva. Questo sistema viene sfruttato poco perché, da un punto di vista industriale, si corre un grosso rischio d’impresa: se gli animali si ammalano e non possono essere sfruttati il lavoro viene ricominciato da capo. TOPI KO E KI Topi Knock out: animali con un gene distrutto e quindi nei quali non avviene l’espressione di quel gene. Topi Knock in: animali con una certa sequenza codificante sostituita da una sequenza codificante modificata. Queste due tipologie di topo ci permettono di studiare gli effetti dell’ inibizione di una proteina oppure studiare gli effetti di una proteina modificata. La blastocisti è uno dei momenti di sviluppo dell’embrione che occorre tra il 4°-14° giorno tipico dei mammiferi. Nella blastocisti si forma una sfera con all’interno il 62 bastocele che contiene un altro tipo di cellule. Nella blastocisti, (importante anche nel campo della fecondazione assistita)-(che è tra l’altro il massimo momento di sviluppo dell’embrione in vitro), le cellule all’interno sono presenti in numero cospicuo, possono essere prelevate e coltivate per un certo periodo in vitro per poter fare una trasfezione e poi reimpiantate in un’altra blastocisti che le ospiterà. Questo è possibile perché togliere/aggiungere cellule in questo stadio della blastocisti non ha alcun effetto sull’embrione. Consideriamo una blastocisti per un topo omozigote nero (buco nero nel disegno): vengono prelevate le cellule e viene effettuata la trasfezione, cioè viene inserito un gene che causa il knock out di un altro. Queste cellule vengono poi inserite in una blastocisti di un topo omozigote bianco. Per inciso, non è necessario prelevare ogni volta alle cellule dalla blastocisti , ma esiste una linea cellulare chiamata Cellule ES “embryonic stem Cells” che può essere coltivata in vitro e usate al posto di cellule prelevate da una vera blastocisti. Faremo dunque una trasfezione con lo scopo di fare una ricombinazione omologa: in maniera molto precisa sostituiremo il gene con qualcosa che non è più il gene e avremo il knock out, oppure sostituiremo il gene bersaglio con una versione modificata dello stesso gene ed avremo il knock in che ci permetterà di ottenere una versione un po' modificata della stessa proteina. - Creazione di un costrutto per la ricombinazione omologa; - Trasfezione in cellule ES (staminali embrionali) per operare la ricombinazione e controlleremo anche che sia avvenuta; - Inserimento nella blastocisti ospiti: le cellule nere nere omozigote saranno inserite in una blastocisti di un topo bianco bianco omozigote. TECNICA PER AVERE LA RICOMBINAZIONE OMOLOGA Per avere la ricombinazione omologa bisogna fare un costrutto che porti ad una ricombinazione molto simile alla ricombinazione di tipo meiotico con la formazione di “giunzioni di Holliday” che permettano lo scambio di materiale. Questo è ciò che deve accadere nella trasfezione. IN BREVE: La tecnica vede la trasfezione, la quale condurrà a rari eventi di ricombinazione, ma ci mettiamo nelle condizione di selezionare questi eventi facendo si che in queste cellule venga espressa anche per esempio la resistenza a G418 in modo che dopo qualche giorno di coltivazione avremo una discreta quantità di progenie della prima cellula (dove era avvenuta la ricombinazione) da poter sfruttare. 65 KNOCK IN Il terzo caso C è una ricombinazione con right harm-left harm in cui vogliamo fare il knock in. In questo caso otterremo un gene esattamente uguale a quello di partenza ma con una mutazione. Il plasmide che usiamo per la ricombinazione sarà così costituito - Left harm fino al promotore naturale - Right harm a valle del gene - Tra i due right e left harm, oltre al gene mutato, viene inserito anche il gene per la resistenza al G418. In seguito all’evento di ricombinazione, a sinistra si è ricostituito il gene normale con il suo promotore che porterà all'espressione della proteina mutata, e poi un secondo promotore virale che invece porterà all’espressione della resistenza al G418. Il knock in è anch’esso dunque un evento selezionabile nelle cellule staminali embrionali in virtù della resistenza al G418. Cosa succede se noi iniettiamo queste cellule staminali embrionali con genotipo nero nero in una blastocisti ospite di un topo omozigote bianco? Si crea una blastocisti (e poi un embrione e poi un topo alla nascita) che si chiamano topi mosaico o chimerici, che in realtà sono la somma di due topi diversi e sono costituiti da cellule di due topi diversi. Il colore vario del pelo ci fa accorgere visivamente se è avvenuta la ricombinazione. Tra gli organi chimerici che ci interessano ci sono le gonadi, che essendo chimeriche, producono gameti del topo bianco e del topo nero. Come si fa a separare i due individui all’interno di questo organismo? L’unico modo è fare un incrocio tra un topo chimerico e un topo bianco. Ricorda! Il genotipo nero è dominante. Se il topo è bianco, è per forza omozigote bianco-bianco 66 o I topi chimerici produrranno dei gameti neri derivanti da cellule omo nero- nero: tutti i gameti prodotti sono neri. i topi chimerici produrranno anche gameti bianchi, i quali non sono di sicuro transgenici (l’evento di ricombinazione l’abbiamo fatto su quelli neri). o I topi bianchi produrranno dei gameti omo bianco-bianco L’event ricombinatorio è così raro che, se avviene, avviene solo su un allele: per cui i gameti neri saranno col genotipo nero e dopo l’evento ricombinatorio saranno al 50% ricombinati e al 50% no. Se noi facciamo l’incrocio tra un topo chimerico che avrà quattro tipi di gameti e un topo bianco verranno fuori: • Topi bianchi: i topi bianchi sono omozigoti bianchi. Questi potranno essere scartati perché saranno venuti fuori dall’incrocio con il gamete bianco del topo chimerico. Sicuramente qui non c’è stata ricombinazione. • Topi neri: i topi neri saranno eterozigoti nero-bianchi e sono neri perché il bianco è recessivo; la parte nera, al 50% potrà essere anche ricombinante. I topi neri sono quindi quelli che vengono sfruttati. Possono essere omozigoti normali o eterozigoti knock out per l’evento di ricombinazione. Per inciso, non è detto che il 50% preciso dei topi sia ricombinante: questo dato dipende dal grado di chimericità delle gonadi. Se nelle gonadi ci sono poche cellule nere ci saranno pochi gameti neri. 67 All’interno dei topi neri gli eventi di ricombinazione saranno il 50% poiché avviene su un unico allele, per cui le cellule saranno eterozigoti per il gene che ha subito la ricombinazione. A questo punto si tratta di riconoscere quelli che hanno subito la ricombinazione: per farlo prendiamo la punta della coda dei topi appena nati e preleviamo un po' di DNA genomico che potremmo saggiare per PCR per la presenza della mutazione che abbiamo introdotto. I topi che abbiamo ottenuto avranno subito il knock out o il knock in in uno dei due alleli. Come fare per averlo omozigote per la mutazione? Si prendono due topi, un maschio e una femmina di questo gruppo eterozigoti per la ricombinazione, si incrociano tra di loro, e avremo il knock out (+) nel - 25% di omozigoti -/- - 25% di omozigoti per la ricombinazione +/+ - 50% di eterozigoti+/- Indipendentemente da questo avremo poi un 25% di topi bianchi e un 75% di topi neri. È importante notare che è fondamentale avere il topo modificato in eterozigosi e il topo modificato in omozigosi perché se effettuiamo il knock out di un gene noi lo facciamo pensando a un certo risultato, senza contare che questa condizione possa essere letale, nel senso che non arriverà a fine la gestazione e/o che nascano topi sterili (per cui tutto il lavoro del ricercatore sarebbe inutile). In realtà ciò che più spesso si verifica è che in eterozigosi la mutazione è abbastanza grave, però i topi nascono e sono fecondi: questo ci permette di mantenere la linea in eterozigosi (quella in omozigosi non arriverà a maturazione). All’estremo c’è la possibilità che la mutazione che introduciamo non induca alcun fenotipo: è possibile in seguito a knock out non succeda nulla sia in condizioni di eterozigosi che omozigosi. (Questo può succedere per esempio se ci sono due geni molto simili, per cui al knock out di uno subentra quell’altro) Piu normalmente ci troviamo in una condizione intermedia, in cui in eterozigosi abbiamo l’espressione di un certo fenotipo, in omozigosi questo fenotipo è molto più rilevante. Il fatto di avere queste due possibilità fa si che da una parte possiamo portare all’estreme conseguenze la situazione genomica (in omozigosi) per spingere l’emergere di un fenotipo, dall’altra possiamo rimanere in eterozigosi se il knock out è troppo “devastante” da un punto di vista fenotipico. 70 nucleo di una cellula uovo, la quale era poi in grado di proliferare e dare vita a un nuovo organismo. È ovvio che, questi primi passaggi vengono effettuati in vitro, finché non si raggiunge lo stadio di blastula. A quel punto deve essere reinserito nell’utero di una madre adottiva, dove l’embrione si sviluppa fino a diventare un organismo completo. Nel caso della pecora Dolly, a regola l’embrione doveva essere geneticamente identico alla pecora donatrice del nucleo: di fatto nacque un agnello testa bianca, clone esatto della pecora di partenza. È del tutto vero che la pecora donatrice della cellula uovo e l’agnellino nato sono identici? No, come DNA nucleare si, però il DNA mitocondriale no perché sarà di origine della pecora con la testa nera. Questa tecnica di clonazione non si è sviluppata molto. Negli anni seguenti ci sono stati altri tentativi con bovini e altri mammiferi che hanno avuto successo. Questa tecnica ci dimostra però che l’unico modo di clonare un animale è partire dalla cellula uovo. Di recente (24 gennaio 2018) sono state clonate due scimmie con la stessa tecnica della pecora Dolly: in questo caso il nucleo è stato preso da una cellula di tessuto connettivo fetale. L’idea alla base della clonazione era ottenere una cucciolata di scimmie geneticamente identiche per farci sperimentazione di farmaci in un contesto genetico identico che rendeva più facile la lettura dei risultati. PIANTE TRANSGENICHE 71 Nelle piante fare trasferimento genico nelle piante è più facile che farlo negli animali, perché le piante sono molto più elastiche. Esistono due sistemi: AGROBACTERIUM Questo sistema vede la partecipazione dell’ Agrobacterium, un batterio capace di trasferire nelle piante un plasmide che si inserirà determinando la formazione di tumefazioni a livello delle radici. Questa modalità è adatta solo alle dicotiledoni: l’agrobacterium forma dei tumori a livello dell’ apparato radicale, a causa del trasferimento di un plasmide di un batterio nelle cellule vegetali dove, ad alta efficienza, viene integrato nel DNA. Il plasmide è detto Ti plasmid, il quale Il Ti plasmid disarmato, privo delle sequenze tumorigeniche è stato ingegnerizzato, nel senso che sono state mantenute quelle sequenze che mediano il trasferimento del gene. Per fare ciò il plasmide viene purificato dal batterio, viene tagliato con enzimi di restrizione e il DNA viene tagliato anch’esso con gli stessi enzimi. In questo modo il DNA esogeno viene inserito nel plasmide. Questo plasmide, una volta ri- trasformato nel batterio e messo a contatto con le piante, non ha perso la capacità di trasferire il genoma nelle cellule de-differenziate. Dalle singole cellule vengono fatte crescere intere piante transgeniche. contiene una regione detta T- DNA che media il trasferimento. Quando questo plasmide venne classificato come qualcosa che si inserisce nel DNA ad alta efficienza si pensò di usarlo come vettore di inserimento di DNA estraneo nelle cellule delle piante. Glifosato-roundup: è una molecola che viene prodotta industrialmente. È un erbicida. Se noi abbiamo piante che gli sono resistenti è possibile usarlo e prevede un beneficio anche per l’ambiente. In questo caso era stato inserito con la tecnica di prima, con cellule de- differenziate ottenute dalle radici che hanno 72 ricevuto il DNA con l’agrobacterium. Una volta inserito il DNA, le cellule positive sono state selezionate per la resistenza all’erbicida e, da queste prime colonie sono state fatte sviluppare le piante resistenti all’ erbicida. GENE GUN (più usato) Uno è detto “Gene Gun” (cannone genetico), nel quale si usano delle sferette di oro (o di un metallo inerte) sulle quali è assorbito il DNA che vogliamo trasferire. Queste sferette di oro vengono poi sparate sulle cellule vegetali che penetrano anche attraverso la parete cellulare. Prendiamo il DNA che ci interessa, per esempio il gene per una proteina che sarà sotto il controllo di un apposito promotore che funzionerà nelle cellule vegetali, lo facciamo aderire alle particelle d’oro, le quali vengono sparate e saranno così trasferite all’interno delle cellule vegetali. Ogni tanto, in modo casuale, si integrerà nel genoma. Queste cellule saranno selezionate (sempre grazie a marcatori) e potremo avere un nuova pianta. Con le piante, la comodità sta nel fatto che possiamo partire da tessuto foliare o radicale, coltivare le cellule in appositi terreni in modo che de-differenzino e sulle quali possiamo fare il trattamento di trasferimento genico, ottenere delle cellule trasformate e poi seminare una singola cellula su terreno dalla quale verrà fuori una nuova pianta trasformata. 75 Se noi sostituissimo la parte centrale con una sequenza codificante per una proteina di nostro interesse e un gene per la selezione tipo G418 otteniamo un vettore retrovirale. Posso dunque costruire un plasmide costituito così: - LTR da entrambe le estremità, mantenute ad una distanza di circa 6kb, in modo che sia il più simile possibile alla realtà; - All’interno il cDNA per il transgene della proteina cui funzione deve essere reintegrata nella cellula seguita da un’altra ORF codificante per la resistenza al G418. - La parte inferiore del plasmide è un plasmide di coli che contiene l’OriC e il gene per la resistenza all’Amp. Una volta costruito questo plasmide con tecniche di ingegneria genetica, viene trasferito in nei batteri: a questo punto l’unica parte del plasmide che ha senso è quella esprimibile nei batteri. Il plasmide verrà replicato e la resistenza all’ Amp ci potrà far selezionare tutte le cellule batteriche che hanno acquisito questo plasmide. A cosa ci serve un costrutto del genere? Anzitutto il plasmide contiene le due LTR, delle quali quella di sinistra funge da promotore e quella di destra funge da terminatore. Una volta che il vettore si è integrato nel genoma delle cellule “helper” ci troveremo allo stadio di “provirus”, il quale potrà essere trascritto come RNA (quindi genoma) 76 di virus difettivi e grazie alle cellule helper, che sono una linea cellulare costituita appositamente affinché esprimano tutte le proteine virali necessarie per la formazione del virus maturo, verrà prodotto un virus maturo. Le cellule helper emettono quindi per gemmazione dei virioni per infettare le cellule bersaglio, cioè le cellule dove vogliamo davvero fare trasferimento genico. Queste cellule verranno infettate ad alta efficienze e in praticamente tutte succede quello che succede nei retrovirus: il genoma virale viene retro-trascritto in DNA e integrato nel genoma delle cellule bersaglio. A questo punto non viene più prodotto virus, perché si è integrato un gene nella cellula bersaglio che non produce proteine virali. A questo punto il gene viene trascritto e la trascrizione porterà all’espressione della proteina che avevamo inserito nel vettore. Nel vettore retrovirale, dopo linearizzazione viene inserito nel genoma della cellula: la LTR di sinistra funziona da promotore e verrà trascritto tutto ciò che è incluso tra le due LTR. Le due proteine che verranno prodotte saranno: o La proteina transgenica verrà fatta in virtù del fatto che viene prodotto un normale mRNA, questo verrà tradotto tramite riconoscimento del CAP da parte della subunità minore del ribosoma e lo scivolamento fino a incontrare l’AUG di inizio: verrà poi prodotta la proteina fino al codone di stop. o A valle di questo primo gene c’è una sequenza IRES <internal ribosomal entry site> che sono delle sequenze molto rare che rappresentano una modalità alternativa di inizio della traduzione negli aucarioti. Quella delle IRES ricorda ciò che avviene nei batteri: queste IRES vengono riconosciute dal fattore di inizio Ef4f che permette la stabilizzazione del complesso di inizio sull’AUG 77 subito a valle della IRES. Le sequenze IRES sono tipiche di vari RNA virali, soprattutto per quelli privi di CAP e che sono policistronici. o Il promotore, seguito dal gene per la resistenza al G418. Come dicevamo all’inizio questo tipo di terapia è più semplice da applicare su cellule circolanti piuttosto che su cellule dei tessuti solidi. Terapia genica ex-vivo: si tratta del trasferimento del DNA in cellule dell’organismo, per esempio cellule del tessuto ematopoietico, che vengono espiantate dal paziente, vengono mantenuto in piastre e modificate per esempio con un vettore retrovirale che le modifica con altissima efficienza. Protocollo di una terapia ex-vivo: ▪ Prelievo di cellule staminali dal paziente: le cellule staminali sono importanti perché sono le uniche che potranno proliferare. ▪ Su queste cellule si fa trasferimento genico ad alta efficienza con vettori retrovirali. ▪ Reimpianto nel tessuto di origine. Il campo di applicazione di questo protocollo sono le malattie genetiche. Ad oggi una delle poche malattie che è stata curata con questa terapia è la sindrome ADA che staminali fu fondamentale per la loro capacità di proliferare. Il materiale cellulare fu reintrodotto nel midollo e dopo qualche tempo si osservò una risposta immunitaria normale. causa carenza di adenosine deaminasi: questa sindrome porta una grave immunodeficienza nei neonati che devono vivere in ambiente sterile. La sperimentazione fu fatta nel 1990. Per la sindrome ADA venne usato il protocollo appena descritto. Era stato clonato il gene ADA che in questi bambini aveva subito una mutazione disattivante (ADA-). Furono prodotti virus difettivi effettuando trasferimento genico in cellule isolate dal midollo osseo dai pazienti: queste cellule erano sia linfociti T sia staminali (ADA+ e G418). Il trasferimento nelle 80 Terapia genica in-vivo: Si tratta del trasferimento di DNA direttamente nelle cellule o nei tessuti del paziente. È una tecnica applicabile solo in casi limitati. Un caso di terapia genica in-vivo con parziali successi riguarda la fibrosi cistica, una malattia che non riguarda le cellule del sangue e non può essere risolta tramite trasferimento genico nelle cellule del sangue. La fibrosi riguarda la mutazione di una proteina che è una pompa del cloro che se subisce mutazione omozigote porta dei gravi problemi a livello dell’epitelio respiratorio, dove il muco che viene prodotto è un muco molto più denso e questo crea ristagni e infezioni. La qualità della vita dei pazienti è molto bassa: la morte è spesso dovuta a infezioni, problemi respiratori o problemi renali. Le mutazioni sono di vario tipo, la più comune prevede la delezione di tre basi, cioè di un codone corrispondente ad un amminoacido. Il caso più comune è il sito di legame per l’ATP: se la pompa per il Cl non lega l’ATP non può funzionare. Essendo il bersaglio l’apparato respiratorio è impensabile fare un espianto per infettare le cellule e reinserirle. Si è pensato dunque di fare un trasferimento genico con degli Adenovirus (difettivi) caricati con il gene normale della pompa di Cl che vengono inseriti nell’organismo tramite uno spray e che sono poi in grado di Dal 1990 sono state fatte circa 200 sperimentazioni cliniche che hanno coinvolto non più di 3000 pazienti. I risultati ottenuti fino ad oggi sono quasi tutti strettamente sperimentali, tranne qualche esempio a livello clinico. TRATTAMENTO DEI TUMORI A LIVELLO GENICO A livello del trattamento dei tumori a livello genico, il primo approccio era stato di aggredire gli oncogeni attivati o gli oncosoppressori. In realtà nel caso degli oncogeni è stata usata di più la tecnica dell’interferenza a RNA, usando dei siRNA infettare le cellule dell’epitelio dei bronchi, e rilasciare al loro interno il DNA senza che avvenga integrazione. Il fatto che queste cellule diventino normali fa si che per almeno un mese i sintomi vengano alleviati. 81 nella speranza che interferiscano con il DNA dell’oncogene abbassando la quantità di proteina prodotta. L’altra possibilità era un gain of function degli oncosoppressori: facendo trasferimento genico in un tumore dove p53 è inattivato. In teoria con la terapia genica si potrebbe riattivare p53. È molto difficile pensare a una terapia genica che funzioni così, perché la parte difficile è il “delivery”, ovvero far si che il DNA tra trasferire ci arrivi. Al momento si stanno effettuando delle sperimentazioni tramite editing genomico (per esempio con CRISPR) in cui non si fa editing genomico sul tumore tentando di disattivarlo, ma si fa sulle cellule del sistema immunitario del paziente allo scopo di potenziarne l’azione. 82 CRISPR/CAS9 In questa lezione il professore ridice solo le cose fondamentali da sapere: per il resto riguardati i vecchi appunti anche se al momento non sai dove sono finiti. La tecnica CRISPR serve per effettuare editing genomico. Il meccanismo prevede lo sfruttamento del locus CRISPR scoperto in vari batteri in cui vengono immagazzinati piccoli frammenti di circa 20bp di DNA del batteriofago, in modo tale che lo stesso DNA possa essere trascritto in RNA guida che andrà a ibridizzare al virus che eventualmente infetta una seconda volta quel batterio portandolo al taglio del DNA del virus proprio perché l’RNA giuda si complessa alla proteina CAS9 e taglia il DNA. 85 EDITING GENOMICO In questo capitolo faremo degli esempi applicativi dell’editing genomico. Una delle più importanti applicazioni è quella di CRISPR-CAS9. CRISPR serve per generare un taglio in un punto preciso per sfruttare poi il sistema HR. Altri due sistemi alternativi e probabilmente migliori con cui viene fatta la stessa cosa: ZINC FINGER NUCLEASE Uno Zinc Finger è una sequenza formata da un N-terminale e uno C-terminale, nella quale due cisteine si complessano con un atomo di zinco e dall’amminoacido in posizione 6 comincia il vero “dito di zinco” che va dalla posizione 6 alla 19, dove si trovano due istidine, anch’esse complessato allo zinco. La struttura secondaria prevede un β sheet vicino all’N-terminale, seguito da un loop non strutturato fino all’amminoacido 12, e dall’amminoacido 12 al 19 un’ α-elica che contiene particolari sequenze amminoacidiche io grado di riconoscere una sequenza di DNA. L’elica di riconoscimento è (nella maggior parte dei casi) capace di riconoscere una tripletta, tre basi adiacenti. Dalla sequenza amminoacidica dell’elica di riconoscimento dipende l’identità della tripletta che viene riconosciuta. Le triplette possibili sono 64 (come i codoni). Per sfruttare le ZFN è stata creata una collezione di singoli Zinc finger, alcuni naturali, alcuni creati per ingegneria genetica, per un totale di 64 ZF, ciascuno creato per riconoscere una tripletta diversa. Questi ZF in una proteina di fusione, possono essere messi l’uno accanto all’altro. Il ricercatore che vuole riconoscere una certa 86 tripletta crea una proteina di fusione con gli ZF adeguati. Con un tetramero di ZF vengono riconosciute sequenze di 12 basi. Per effettuare il taglio si arricchisce la proteina di fusione con un dominio endonucleasico di un enzima di restrizione: in questo caso è stato preso l’enzima FOK1 (al quale viene tolto il dominio di riconoscimento specifico di una sequenza di DNA e rimane solo il dominio endonucleasico). FOK1 si posiziona sul DNA: essendo un enzima di restrizione è però composto da due domini che tagliano ciascuno un filamento. Per cui se viene messa a punto un’altra proteina di fusione che abbia azione sul filamento con polarità opposta con i vari ZF che riconoscono le triplette e FOK1, FOK1 andrà a ricreare il dimero, si posizionerà in modo tale da tagliare il DNA. Lo scopo di usare le ZF è lo stesso di CRISPR, solo che in questo caso vengono trasfettati nella cellula due vettori di espressione che producono le due proteine di fusione che si vanno a legare sul doppio filamento. Se sul genoma ci fossero altre sequenze di 12 nucleotidi riconosciute da uno o l’altro delle proteine di fusione fatte dalle ZF, la proteina riconoscerà quella posizione, ma sarà improbabile che ci sia anche sull’altro filamento l’altro monomero, quindi sarà inattivo. Da questo punto in poi è uguale alla procedura di CRISPR per quanto riguarda la HR, per cui dovremo trasfettare con un ulteriore vettore che possa dare ricombinazione omologa. TALENs Un’altra modalità che viene sfruttata vede l’uso dei due monomeri dell’enzima di restrizione FOK1 posizionati vicini sui due filamenti in moda da poter formare un dimero. La sequenza sul DNA viene riconosciuta con l’uso di sequenze proteiche batteriche dette “talen”: ciascun dominio di queste sequenze è in grado di riconoscere una base, per cui ci sono quattro domini e ciascuno corrisponde a una base. Queste sequenze proteiche nei batteri sono degli attivatori trascrizionali. 87 Avendo a disposizione le quattro sequenze proteiche possiamo creare una proteina . Queste tre tecniche sono relativamente semplici e relativamente economici e veloci. Tramite queste tecniche è possibile inserire mutazioni mirate in qualsiasi organismo vivente, senza le limitazioni dei topi KO. Negli animali è applicabile anche allo zigote, per cui si possono fare sin da subito animali transgenici. Inoltre, può rendere accettabili le piante transgeniche perché le modificazione genetica avviene senza transgeni (questa era la cosa che faceva più paura all’opinione pubblica). Le sperimentazioni in corso con l’editing genomico sono molte: una di quelle più importanti riguarda l’editing genomico sulle scimmie. È una sperimentazione molto importante, perché essendo filogeneticamente molto simili a noi. Questo tipo di editing avviene tramite iniezione del CRISPR-CAS9 all’interno di una cellula uovo (come avevamo visto nei topi, dove però si iniettava DNA). In questi casi si inietta di fusione con la sequenza voluta di 9 basi, che diventano 18 con le 9 del filamento complementare, in modo tale che FOK1 possa creare il dimero e formare un double stand break. l’mRNA per CAS9 e l’RNA guida e otteniamo CRISPR ad alta efficienza su entrambi gli alleli. Questi esperimenti sono importanti sia per gli studi farmacologici, ma anche per creare modelli di malattie genetiche umane che non esistono nella scimmia. 90 con il recettore si mette in atto un’interazione inibitoria: la cellula tumorale viene attaccata dalle cellule T, però queste sono in parte inibite da questa interazione. La cellula tumorale ha in questo modo la possibilità di sfuggire alla cellula T. L’idea è stata di lavorare sul linfocita T facendo knock out del gene PD1 e creando così una popolazione di T nell’organismo PD1-. Il sistema sembra funzionare: è valido per tanti tumori diversi. I risultati sono piuttosto positivi. CART Un’altra applicazione è quella della CART <chimeric antigen receptor>. Inizialmente nelle cellule T veniva trasfettato questo recettore chimerico per l’antigene, un recettore proteico capace di legare particolari antigeni tumorali. Sulle cellule T era però espresso anche il TCR, il che delle volte poteva causare alcuni problemi e portare ad un cattivo funzionamento del sistema: il sistema prevedeva usare il recettore CAR per far attivare le cellule T contro il tumore. L’idea fu dunque di usare CRISPR per effettuare una trasfezione con CAR e fare genome editing (ricombinazione) tra CART e il TCR, in modo da dare un CART receptor, un recettore che fosse come CAR ma con delle caratteristiche del TCR, armato contro gli antigeni tumorali. Molto di recente (2020) sono state create delle cellule che sono state modificate sia per PD1 che per CART. EDITING SU ZIGOTI UMANI Le tecniche di editing genomico sono applicabili a zigoti di diversi animali: allora sorge la domanda: è possibile fare editing genomico su zigoti umani? Sì, è possibile. Il problema è che è vietato per legge fare modificazioni a livello dello zigote, in 91 quanto queste sarebbero trasmesse a livello della linea germinale e avremmo una modificazione a livello di specie. Tecnicamente resta possibile farlo, ed è stato fatto! In Cina (26 novembre 2018) sono nate due bambine con DNA modificato. È stato effettuato da un genista cinese che ha modificato degli ovociti inserendo un gene che protegge dall’infezione con HIV. Il genista per effettuare le modificazione ha usato CRISPR: il problema è che ad oggi la tecnica presenta dei limiti. Nella CRISPR sorge il problema degli off-target. Con la CRISPR è molto facile che avvenga la modificazione che ci aspettiamo, quella della “on target”, ma possono avvenire tantissime mutazioni “off-target”, che sono mutazioni che avvengono per delle imprecisioni del sistema per cui l’RNA guida si posiziona su sequenze disparate con un’omologia sufficiente ed ha tagliato e abbiamo avuto NHEJ. È quindi probabile che le due bambine abbiano subito la mutazione on target , ma è anche molto possibile che abbiano subito diverse mutazioni off target in modo imprevedibile. Ci sono dunque molti dubbi sull’uso di questa tecnica su zigoti umani. Al mondo ci sono attualmente molte ricerche per vedere di migliorare i sistemi di ZFN e CRISPR- CAS9 per la cura di varie malattie per prevenire gli off-target. 92 PCR IN DIAGNOSTICA RIPASSO (Riguardalo comunque negli appunti di biologia molecolare) Per fare un’amplificazione bisogna identificare due sequenze, una su un filamento e una sull’altro, in modo tale che a queste sequenze possano ibridizzarsi due primer: - forward (sn) alla sua destra c’è una giunzione innesco stampo con 3’OH - reverse (dx) alla sua sinistra c’è una giunzione innesco stampo con 3’OH quando viene aggiunta la DNA polimerasi abbiamo l’elongazione. Il filamento che si genera dal primer forward a sinistra è un filamento che sulla parte destra conterrà una sequenza alla quale potrà ibridizzare il reverse e viceversa. Da due singoli filamenti se ne ottengono quattro singoli (2n). piano piano si cominciano a formare prodotti a lunghezza definita, che iniziano e finiscono dove abbiamo posto i primer. Già dopo tre cicli le molecole a lunghezza definita sono la maggioranza. Per verificare la lunghezza e la quantità delle molecole si può sfruttare un gel di agarosio. Ipotizzando di fare 230 cicli dovrebbe essere generato circa un miliardo di molecole (1.07x109). Se la sequenza amplificata è di 400bp a quando DNA in peso corrisponde? Il numero di Avogadro è 6x1023 per cui il calcolo impostato sarà 1.07x10^9 6x10^23 = 1 6x10^14 𝑀𝑜𝑙𝑒 L’esempio riportato è quello della mouse tail: una PCR fatta per controllare che ci sia stato in topi il knock out. Ci dovremmo aspettare un frammento di 396bp. In questo caso abbiamo tre topi diversi dei quali vengono analizzate le stesse quantità di DNA. In tutti e tre i casi abbiamo positività. 95 Ci sono altri casi direttamente diagnosticabili su gel di agarosio. È il caso in cui la mutazione sia una delezione, per cui abbiamo una zona del gene più corta. Possiamo prendere due porzioni esterne alla zona dove sappiamo esserci la delezione e amplifare: avremo un amplificato lungo nel caso del wild type ed un amplificato corto nel caso dell’allele difettoso. In questo modo potrò correre i frammenti su gel Analisi prenatale di malattie genetiche: è il vero campo di applicazione della PCR per le malattie genetiche. Nell’analisi prenatale per esempio dell’anemia falciforme dove, con genitori positivi, il nascituro ha ¼ di possibilità di nascere omozigote (forma piuttosto severa della malattia), l’analisi del DNA ci permette di scoprire se i geni sono mutati. Per farlo si praticano l’amniocentesi, che prevede il prelievo di liquido amniotico nel quale sono sospese molte cellule che il bimbo ha perso durante la gestazione, o la villocentesi, nella quale si recuperano cellule fetali da una parte particolare della placenta. Il DNA fetale può essere estratto, amplificato e analizzato. Per fare un test è dunque necessario capire che tipo di mutazione è avvenuta: questo si può fare a livello familiare se c’è un’ereditarietà, altrimenti va sequenziato l’intero gene. Se invece sappiamo dove può essere la mutazione facciamo una diagnosi come abbiamo fatto per la globina. e avremo tre casi: un caso di eterozigosi, con i due frammenti più peso e più leggero, un caso di omozigosi normale con il frammento più pesante e un frammento più corto che ci mostra come ci sia stata una delezione. 96 Le due pratiche di amniocentesi e villocentesi e c’è un rischio calcolato di 10-4 di aborto spontaneo, per cui vengono fatte essenzialmente quando c’è un vero rischio. In realtà è stato scoperto che nel sangue della madre, anche nelle prime settimane di gestazione circola DNA fetale: è sufficiente un prelievo di sangue dunque per recuperare DNA fetale. L’analisi prenatale di malattie genetiche è importante soprattutto farla nel pre- impianto, nelle procedure di fecondazione assistita e fino a quando l’embrione può essere coltivato in vitro (fino a blastocisti). Dalla massa di cellule della blastocisti possono essere rimosse delle cellule senza che questo causi problemi nell’embrione: queste cellule vengono estratte e viene recuperato il DNA che viene poi analizzato. Questo è utile perché nella fecondazione assistita si generano molti embrioni, poi ne vengono reimpiantati solo alcuni. Secondo la legge italiana fino a qualche anno fa non era una cosa possibile: oggi è possibile. Diagnosi di malattie infettive In che casi la PCR è negativa? Se io faccio una PCR in cui non c’è il DNA bersaglio la PCR sarà negativa per l’assenza del DNA bersaglio. La PCR può anche fallire se facciamo due primer su due molecole diverse senza continuità molecolare avremo solo la produzione di n molecole, ma non avremo la polymerase chain reaction. L’analisi per malattie infettive serve per capire qual è l’agente eziologico di una certa malattia. Il tampone e la PCR che facciamo per la ricerca dell’agente eziologico li possiamo fare perché ad oggi siamo a conoscenza delle sequenze di molti virus. Potremmo in ogni caso mettere su dei test di PCR per saggiare la presenza del DNA o dell’RNA dell’agente infettante. Per l’esame posso prendere tanti materiali diversi (sangue, siero, saliva, feci, urine, liquor, espettorato, tamponi oro-faringei, biopsie). In questi materiali, quando andrò a purificare il DNA, la maggior parte sarà del paziente, ma questo sarà contaminato dal DNA dell’agente infettante in piccolissime quantità: la PCR mirata a quel materiale genetico con due sonde mi servirà per amplificarlo. Se la PCR sarà - Positiva: c’è presenza dell’agente eziologico nel materiale, per cui un certo quadro clinico sarà direttamente correlabile alla presenza del virus. - Negativo: l’agente infettivo non è presente e i sintomi non sono correlabili alla presenza del virus. 2 97 I test commerciali più comuni sono ▪ HPV ▪ Clamidia ▪ Micobatterio della tubercolosi ▪ HIV TEST PCR PER HPV Il test per il Papilloma Virus prevede di prendere una coppia di primer adatti per il Papilloma: la presenza di moltissimi ceppi diversi al mondo caratteristici di ciascuna zona geografica è una piccola complicazione. Si possono fare dei test con dei primer aspecifici che ci dicono se il virus è presente per ovviare alla complicazione. Questo test con primer aspecifici in realtà si fa raramente: è interessante capire piuttosto quale ceppo di HPV sta infettando. I ceppi sono tre o HR: high risk o MR: medium risk o LR: low risk Viene recuperato del materiale a livello uterino tramite striscio e da questo si ricava il DNA della donna in questione contaminata o meno dal genoma di questo virus, e sapremo se c’è l’infezione o no. Il test è positivo se la PCR trova del DNA virale da amplificare (fascia a sinistra). “Control” indica che sullo stesso materiale su cui abbiamo saggiato HPV è stata fatta una PCR con una coppia di primer umani su un certo particolare gene: questa PCR deve venire positiva. Serve essenzialmente per controllare che la PCR che stiamo facendo sia corretta. “Risk” indica il rischio a lungo termine di sviluppare tumori a livello uterino. Per capire il ceppo si usano dei primer specifici (in ragione anche della zona e sapendo quali sono i ceppi che circolano di più): ci sarà una coppia di primer, per esempio, che non identifica nessun ceppo se non il 6 e l’11. Se una di queste bande diventa positiva, non solo sappiamo che c’è l’infezione, ma anche che è un’infezione