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Biologia molecolare applicata - Prof. Raugei, Sbobinature di Biologia Molecolare

Il processo di trasformazione di batteri e come introdurre geni in loro attraverso l'uso di plasmidi ricombinanti, rna polimerasi, fosforilazione di dna, liposomi e vettori di espressione. Viene inoltre discusso l'uso di cellule di animali e insetti per produrre proteine, il problema dell'ingresso del dna nelle cellule e le differenze tra proteine espresse in coli e in cellule di mammiferi e insetti.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 26/02/2024

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francesca-bart-2 🇮🇹

19 documenti

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Scarica Biologia molecolare applicata - Prof. Raugei e più Sbobinature in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! BIOLOGIA MOLECOLARE APPLICATA PROF. RAUGEI A.A 2022/2023 Francesca Bartolini BIOLOGIA MOLECOLARE APPLICATA 27/02/2023 Lezione 1 PLASMIDE I plasmidi sono elementi genetici aggiuntivi che naturalmente si trovano in alcuni batteri, ci concentriamo soprattutto su E. Coli. Hanno un’origine di replicazione ORIC (senza la quale non esisterebbero nella cellula perché non potrebbero essere replicati) e, i plasmidi naturali, hanno geni specifici che prevedono, per esempio, la resistenza agli antibiotici o produzione di tossine, utilizzazione di C atipica, controllo della virulenza (ha a che vedere con il fatto che il batterio è infettivo), coniugazione, ecc. (particolari proprietà, dispensabili). C’è un tipo di ereditarietà orizzontale (coniugazione), che si somma a una ereditarietà verticale→il plasmide presente in una cellula viene duplicato e il meccanismo di duplicazione riporta il numero di plasmidi al numero dovuto una volta che le cellule batteriche si separano (es. 5 plasmidi si duplicano e dei 10 che si ottengono si dividono 5 in una cellula e 5 nell’altra). Nei plasmidi di cui parleremo, si raggiungono centinaia di copie per cellula. enzimi di restrizione Creano estremità appiccicose per cui se trattiamo il plasmide con un enzima di restrizione, e con lo stesso un DNA eterologo, si creano delle estremità compatibili per cui questi si possono ricombinare. Questo rende possibile l’inserimento di un qualsiasi frammento eterologo all’interno di un plasmide. Non si ha più il plasmide naturale, ma si ha un plasmide semplificato in cui si sono eliminati tutti i geni che non ci interessano, mantenendo uno per la resistenza all’antibiotico, che ci permette di tracciarlo nelle cellule: in cellule di Coli, naturalmente sensibili ad un certo antibiotico, se il plasmide ospita il gene per la resistenza all’ampicillina, questo codifica per una beta-lattalasi e viene rilasciato nell’ambiente andando ad agire sull’ampicillina, aprendone l’anello beta-lattamico, creando resistenza all’antibiotico. L’origine di replicazione è fondamentale perché permette che la cellula, duplicandosi, mantenga lo stesso numero di plasmidi. Aprendo il plasmide e inserendovi un frammento eterologo, il plasmide non ne risente: richiudendo il plasmide e inserendolo nelle cellule, nella stragrande maggioranza dei casi, il plasmide si replica come se nulla fosse. Il frammento eterologo può essere anche più grande del plasmide (anche 3 volte più grande), ma questo non implica nella duplicazione del plasmide. Il plasmide può essere modificato ampiamente di taglia senza che si abbiano conseguenze nella sua capacità di replicazione. Tutto questo è possibile perché il DNA è chimicamente identico in tutti gli organismi. Il vettore contenente il gene per la resistenza all’antibiotico viene linearizzato (aperto in un solo punto), si inserisce il frammento eterologo per la produzione di un plasmide ricombinante che poi viene inserito in E. Coli tramite trasformazione; crescono delle colonie di E. Coli (solo quelle che presentano il gene per la resistenza all’ampicillina, quindi quelle con il vettore, perché il terreno presenterà ampicillina) e poi viene estratto il plasmide ricombinante. Tappe del clonaggio Ci sono tappe in vivo e in vitro. 1. In vitro si agisce su un plasmide purificato: viene trattato con vari enzimi (es. enzimi di restrizione). 2. Creiamo in vitro un plasmide ricombinante. 3. In vivo significa che si reinserisce il plasmide nel batterio per ottenere un gran numero di copie. 4. Si ha la crescita della colonia positiva alla presenza del plasmide. 5. L’estrazione del plasmide si ha sempre in vivo. 6. In vitro si procede con l’analisi. 1. Purificazione plasmide Si ha un plasmide vuoto presente in un ceppo batterico presente nella nostra collezione. Si fa una crescita in liquido (centinaia di ml di coltura bastano) e in vivo (crescono batteri su terreno). Quando si arriva ad una densità massima, si va a purificare il plasmide→si tratta di una lisi delle cellule batteriche in cui facciamo precipitare tutti i Osservando la selezione bianco/blu, un vettore di espressione che contiene anche la possibilità della selezione bianco/blu, è un vettore di espressione che contiene anche la sequenza per la beta- galattosidasi. Il vettore vuoto è un vettore di espressione per la beta- galattosidasi→l’mRNA è un mRNA per la beta-galattosidasi. Se inserisco il frammento eterologo, l’ORF, si inserisce in modo tale che la posizione che prima era dell’ATG della beta-galattosidasi viene ora presa dall’ATG della sequenza codificante che è stata inserita. Quando viene prodotto l’mRNA, questo presenta due sequenze codificanti, ma il meccanismo di traduzione inizia dall’AUG che si trova alla giusta distanza dal RBS e si ferma al codone di stop, quindi la sequenza successiva è una sequenza non codificante, quindi la sequenza della beta-galattosidasi non viene espressa non perché viene interrotta, ma perché viene ignorata dal meccanismo di traduzione. Se si vuole clonare un gene batterico, per esempio gli enzimi di restrizione, questi, una volta, venivano selezionati dai batteri; dopo sono state fatte delle proteine ricombinanti per cui venivano prese le sequenze d’interesse dal batterio originale e clonate in un vettore di espressione. Se si prende questa sequenza e si inserisce in un vettore di espressione che mi faccia produrre questa proteina in Coli, si possono produrre enzimi di restrizione in quantità enormi. Un qualsiasi gene procariotico è fatto in questo modo: Da qualsiasi gene procariotico si può effettuare un clonaggio: bisogna ottenere la sequenza codificante e inserirla in un plasmide. Si ottiene tramite PCR: si fa un oligonucleotide forward e uno reverse per cui si può amplificare la sequenza bersaglio e inserirla nel vettore di espressione che presenta gli stessi elementi del gene originale, ma con due differenze: il promotore è forte e il plasmide è presente in molte copie nella cellula batterica, quindi si avrà grande espressione di questa proteina. Problemi su cui intervenire Si ha una crescita batterica che poi raggiunge un plateau (4-8h), per cui la coltura è densa e non cresce più. In un vettore di espressione che costringe il batterio a produrre grandi quantità di proteina, questo impegna tutte le capacità delle cellula e quindi questa non riesce a proliferare: si hanno poche cellule. Si utilizzano, quindi, dei vettori inducibili in cui il plasmide viene duplicato in un primo momento come un vettore di clonaggio, perché ancora non produce l’mRNA, e decidiamo noi quando indurre la trascrizione: quando i batteri sono in un numero abbondante si inserisce l’induttore e i tanti batteri iniziano a riempirsi di proteina. L’operone lac è un operone inducibile: si ha lac-repressor che in assenza di lattosio è capace di legarsi all’operatore; quando si ha l’allolattosio, questo si lega alla proteina repressore che diventa incapace di bloccare l’operatore. Il promotore che utilizziamo nel vettore di espressione viene arricchito della sequenza dell’operatore che rende sensibile il promotore alla presenza di lac-repressor. Solitamente viene utilizzato un induttore sintetico, più affine dell’allolattosio e che non risulta essere un substrato utilizzato dalla cellula, che è il IPTG (isopropil-tiogalattoside). Altri sistemi di induzione prevedono l’utilizzo di temperature diversi→si hanno promotori che sono sensibili a temperature diverse per cui sono inattivi a bassa temperatura (5° che permette la crescita dei batteri) e diventano promotori attivi con uno shift di temperatura a 42°. Proteine eucariotiche Quindi, nelle proteine batteriche espresse in E. Coli si inserisce nel vettore di espressione il DNA del gene batterico che ci interessa. Questa stessa strategia non si può utilizzare con un gene eucariotico, perché è un gene interrotto, che vede la presenza di esoni e introni, quindi le ORF sono discontinue. L’mRNA è l’unico punto in cui la sequenza codificante non è interrotta una volta avvenuto lo splicing. Non si può, però, clonare l’mRNA, ma si può trasformare la sequenza di RNA in DNA tramite una retro-trascrizione per ottenere una sequenza di c-DNA. Per effettuare questo processo, si deve prima ottenere l’RNA dalle cellule con varie modalità di preparazione che consistono nel separare le proteine e poi il DNA dall’RNA, ottenendo, così, gli RNA totali, da cui si deve separare l’mRNA. Per fare ciò si effettua una cromatografia di affinità→si sfrutta il fatto che quasi tutti gli mRNA hanno una coda di poly-A sempre uguale e molte lunghe. Si mette a punto una colonna in cui nella fase solida ho legati degli oligonucleotidi poly-T, facendo passare l’RNA attraverso questa colonna, le code poly-A degli mRNA si legheranno, mentre tutti gli altri passano attraverso la colonna. Quando si ha una colonna di affinità, ci vogliono sempre due condizioni: 1. Condizione di legame→in modo che le molecole d’interesse si leghino correttamente. 2. Condizione di distacco→per liberare la frazione poly-A+ di RNA In questo caso, una concentrazione salina intorno ai 50/100 mMol è quella più adatta per la formazione dei legami a H tra basi complementari (concentrazioni ad alto sale). In queste condizioni tutti gli mRNA si legano alla colonna. Si aggiunge acqua (condizione di basso sale), abbassando la concentrazione di sale, , che porta all’indebolimento dei legami a H e al distacco della frazione poly-A+, purificando gli mRNA. In questa frazione di poly-A+ si troverà anche il nostro gene di interesse. Es. estrazione dell’albumina Si prendono delle cellule del fegato (uniche a produrre albumina, anche in grandi quantità). Prima domanda da farsi è quali cellule producono la proteina d’interesse. Se conosciamo la sequenza dell’mRNA, cosa che avviene per i geni umani dato che il genoma umano è sato completamente sequenziato, si procede con una RT-PCR→con primer forward e reverse che si legano all’mRNA: il primer reverse si lega all’mRNA e forma il primo filamento. Poi l’mRNA viene eliminato aumentando il pH e usando il primer forward si ottiene il secondo filamento e da qui in poi inizia una normale PCR (vedi biologia molecolare per spiegazione migliore). Si ottiene una quantità abbonante di frammento eterologo, anche superiore a quella necessaria. 28/02/2023 Lezione2 Può essere che il trascritto primario abbia già la coda di poly-A pur non essendo maturo. L’eventualità che si vada a contaminare l’mRNA maturo con queste forme è da scartare perché gli mRNA maturi sono strutture più stabili dei trascritti primari. Se non conosciamo la sequenza dell’mRNA (caso raro nel sistema modello: in organismi poco studiati o genomi molto ampi), se abbiamo la sequenza proteica, anche non completa, questa ci dà modo di arrivare a isolare il c-DNA e dobbiamo procedere ad uno screening di una library di c-DNA: costruire un qualcosa in cui si sa che sono presenti tutti i c-DNA. Si prendono gli mRNA e come primer per la trascrittasi inversa si prende un oligonucleotide che va a ibridizzare la coda di poly-A: posso effettuare una trascrittasi inversa su tutti gli mRNA di una certa cellula, andando a formare una collezione di c-DNA a doppio filamento. Si purifica la frazione poly-A+ e con la trascrittasi inversa operiamo una doppia sintesi: una prima con cui con il frammento poly-deossitimina che va a riconoscere la coda di poly-A viene utilizzato come primer e si forma la giunzione innesco stampo, substrato della DNA polimerasi RNA dipendente. Una volta ottenuto il primo filamento di c-DNA, elimino l'mRNA con un'RNAasi H e rimangono piccoli frammenti di RNA sulla sequenza che servono da inneschi per la DNA polimerasi, per sintetizzare il secondo filamento. Si ottiene, quindi, un doppio filamento di c-DNA da inserire in un plasmide. La library è la collezione di colonie batteriche, ognuna formata da batteri che contengono plasmidi che a loro volta contengono c- DNA. Ci saranno alcuni c-DNA più o meno rappresentati all’interno di una library, ma comunque in una library fatta bene sono tutti rappresentati. Questo permettere di mettere in atto una strategia per ritrovare il c-DNA di interesse, sia esso molto raro o comune. Lo screening Frederick Sanger è stato il primo a sequenziare una proteina, in particolare l’insulina nel 1955 (1958 Nobel); vinse poi un altro Nobel nel 1980 per il sequenziamento del DNA. Se si ha un frammento della sequenza di una proteina (6-7aa), cercando di evitare zone con aa che sono codificati da più di 4 codoni (es. serina), meglio da due o addirittura uno, si può scrivere la sequenza con le varie varianti. Nell’esempio si sono scritte 128 sequenze diverse di cui solo una è utilizzata dalla cellula nella codifica della specifica proteina, anche perché già 6aa possono rappresentare una particolare proteina. Una sequenza del genere si può usare come sonda per ibridizzarla al c-DNA della library, sapendo che 127 oligonucleotidi non sono perfettamente complementari, ma uno sì. Si può sintetizzare chimicamente un oligonucleotide degenerato: si sintetizzano tutti i possibili mRNA (in questo caso 128). Per sintetizzare il primer, quando si arriva a sintetizzare la base del codone che può variare, si utilizza una miscela al 50% (es. TTT/C 50%T e 50%C). Ma prima di ibridizzarli e quindi di inserirli nella cellula batteriche, vado a fosforilare tutti i singoli filamenti di DNA al 5' OH usando una chinasi che utilizzando ATP, il cui fosfato in posizione gamma è marcato con l'isotopo 32 del fosforo (è un beta emittente), marcando così l'oligonucleotide degenerato. Quindi avrò tutti i DNA degenerati marcati con fosforo 32. L’ibridazione avviene facendo una stampa con un foglio di nitrocellulosa o nylon, prelevando dalle piastre la maggior parte delle colonie. Le cellule sul foglio di nitrocellulosa si trattano con soda caustica (NaOH) per lisare le cellule, far riversare il loro contenuto all'esterno ed infine per far legare covalentemente il DNA (cromosomico e plasmidico) cellulare alla nitrocellulosa; inoltre, la soda causa anche una denaturazione del DNA, per far sì che il singolo filamento di DNA sia abilitato a legarsi alla sonda. Sul foglio di nitrocellulosa inserirò, poi, una soluzione di quei DNA degenerati marcati (cosa fatta prima). Le condizioni di ibridazione possono essere ad alta o bassa stringenza; si possono variare molti parametri: concentrazione salina, presenza di formaldeide, la temperatura. Si può scegliere a che temperatura effettuare l’ibridazione, per cui si saprà prima qual è la temperatura giusta per effettuare un’ibridazione a bassa o a lt astringenza: es. a 35° siamo in condizioni a bassa stringenza dove l’ibridazione avviene anche se non si ha una complementarità perfetta, mentre a 42° siamo in condizioni ad alta stringenza si ha una complementarità sperfetta. Nel risultato si ha una porzione di 5’ non tradotto, poi si ha l’ATG e inizia l’ORF fino al codone di stop. Il 3’ non tradotto tende ad essere più lungo e un bersaglio regolativo dei miRNA. La sequenza poly-A, poi, può essere più o meno lunga a seconda di come si posiziona il primer. Se si nota la numerazione, in questo esempio, la metionina non ha +1, ma -16, infatti rappresenta il peptide segnale di una proteina da esportazione. Il peptide segnale si può osservare solo se si fa il c-DNA, dato che nella proteina matura viene lisato o degradato. PROTEINE RICOMBINANTI Vantaggi: • Sono facilmente purificabili • Quantità virtualmente illimitate • Economia→in teoria si hanno grossi costi iniziali, ma se la proteina viene utilizzata molto, i prezzi calano. • Sicurezza→es. i malati di emofilia, prima dell’avvento delle biotecnologie, sono stati la classe che ha registrato il maggior numero di morti per AIDS, perché la terapia era quella delle trasfusioni per sopperire alla carenza di fattore ottavo della coagulazione del sangue e quindi venivano infettati. Adesso, non si ricorre alle trasfusioni, ma si tratta somministrazione del fattore ottavo ricombinante. Un'altra possibile è la terapia genica, che nonostante sia difficile funziona, in cui si ha trasferimento genico di genoma retrovirale a livello delle cellule staminali (livello ematopoietico). Possibili problemi: 1. Codon usage→in organismi molto distanti filogeneticamente, la modalità di uso di codoni (si parla di aa con più di un codone) è molto variabile, si parla di codon preference. Per esempio, per l’arginina si ha un sistema di traduzione differente tra batteri e uomini: due codoni sono molto più trascurati in Coli, per cui gli anticodoni possono essere molto poco rappresentati. Si usano dei plasmidi che si fanno crescere in Coli: si ha quindi una parte procariotica con OriC e resistenza all’ampicillina, con un grosso frammento eterologo che in Coli non ha significato, ma lo acquisisce una volta nel nucleo di una cellula, dove viene riconosciuto da una RNA pol II che trascriverà i geni presenti. Nella parte eucariotica è presente il c-DNA che si vuole esprimere (tra un promotore e un terminatore) e un gene per la selezione, ovvero una resistenza cellulare che si chiama g-418; per cui se le cellule hanno integrato il gene diventeranno resistenti al g-418 (veleno cellulare). Il plasmide viene cresciuto in Coli e poi si effettua una trasfezione tramite liposomi (sfere composte da doppio strato fosfolipidico) creando un’emulsione tra fosfolipidi e DNA, formando queste micelle che avranno intrappolato il DNA plasmidico (che può essere sia lineare che circolare). Si parla di lipofezione. I liposomi somigliano ad una piccola cellula e il loro doppio strato fosfolipidico ha la capacità di fondersi con la membrana cellulare della cellula, sormontando il problema d’ingresso del DNA. Poi il DNA, dentro la cellula, migra spontaneamente verso il nucleo. Nell’arco di 24/72h nel nucleo non rimane più nulla, perché le cellule si sono divise senza che il DNA si sia duplicato: si ha un’espressione transiente perché in quest’arco di tempo il gene contenuto nel plasmide si è espresso. Normalmente, quello a cui noi miriamo, è l a formazione di una linea stabile in cui casualmente il DNA plasmidico si è inserito in una cellula. Il fatto che il DNA si integri nel genoma è un caso estremamente raro (1 su 100000), ma non è problematico perché il plasmide esprime la resistenza al veleno cellulare e quindi si possono selezionare le cellule tramite questo veleno cellulare, il g-418. Dopo aver lavato via le cellule che si sono staccate, dopo 2/3gg iniziamo a vedere delle foci che partono da una cellula fondatrice che sta formando una piccola colonia: questa cellula dovrebbe esprimere resistenza g- 418, ovvero ha integrato nel genoma il plasmide. Questa diventa una linea stabile che, oltre ad esprimere il g-418, dovrebbe avere l’espressione acquisita della proteina ricombinante di nostro interesse. Se si trovano 10 foci, per cui si dà per scontato che le cellule esprimono g-418, non tutti e 10 esprimono anche la proteina ricombinante→dipende dal sito di integrazione nel genoma. Se l’integrazione avviene sulla resistenza g-418 allora non si avrà mai l’espressione della proteina perché già in partenza non si ha resistenza al veleno cellulare. Se avviene al livello del c-DNA, il DNA conferisce resistenza, ma non esprime la proteina. Di vettori di espressione eucariotici ce ne sono centinaia, sono dei moduli che hanno delle piccole differenze a seconda dell’interesse del ricercatore. La parte procariotica è l’origine che viene presa da un particolare plasmide e la resistenza all’ampicillina. Il frammento eterologo (parte eucariotica) contiene due geni (si può avere dipendenza dalle linee di provenienza): si ha il gene per l’espressione della proteina ricombinante (del c-DNA) con a monte un promotore forte del cito-megalo-virus (CMV). Si ha il sito poli-linker che permette, tramite un enzima di restrizione, di linearizzare il plasmide e inserire il c-DNA. Il gene della resistenza, che può essere diverso da quello per g-418, è sotto un promotore forte (in questo caso è un gene per la selezione in cellule eucariotiche detto Zeocin). Quindi si hanno due geni trascritti da due promotori forti e che terminano ciascuno con un sito di poliadenilazione. Quando viene espressa una proteina, il c-DNA produce un RNA che termina al sito di poliadenilazione. In un vettore in questa maniera è importante che ci sia anche un introne: l’RNA esportato si arricchisce di proteine che si legano e accompagnano l’RNA nell’esportazione nel citoplasma, queste proteine sono abbastanza necessarie per il processo, per cui, se non si avesse l’introne si avrebbe un trascritto primario che non deve subire lo splicing che è, allora, privo di proteine e quindi l’esportazione risulterebbe più difficoltosa. Si possono aggiungere prima o dopo, per cui il trascritto primario vede la sequenza di c-DNA e l’introne con un’ultima parte che costituisce un esone; il sistema cellulare riconosce l’introne grazie ai siti di riconoscimento intronici tipici che portano allo splicing. Se la proteina è di secrezione, lo è perché dopo i primi 20/30 aa ci sarà una sequenza segnale che indirizza la proteina verso il RE dove subire le modificazioni post-traduzionali che gli competono. Espressione in cellule d’insetto Molte proteine ricombinanti per usi terapeutico sono fatte con questo sistema. Baculovirus infetta le larve d’insetto. Tra i suoi geni ha un gene che codifica per la poliedrina, che presenta un promotore fortissimo, ma solo nelle cellule d’insetto. Questo promotore cura la trascrizione del gene per la poliedrina che viene secreta dalle cellule nell’ambiente esterno e forma una sorta di spugna che assorbe i virioni che vengono espressi dalla cellula. È una sorta di modalità di resistenza del virus che in questa maniera protegge il materiale per infettare le larve delle generazioni successive. Se in un vettore di espressione in questo modo si inserisce il promotore per la poliedrina, utilizzando cellule di insetto, queste produrranno grandi quantità di trascritti e quindi di proteina. Es. TSH, fattori per la coagulazione, tPA, ecc. Esercizio. mettere a punto un vettore di espressione per E.Coli, per S.cerevisiae o per cellule animali, decidendo se si vuole ottenere la proteina eterologa come proteina di secrezione oppure come proteina facilmente purificabile perché unita ad un dominio che ne facilita la purificazione. Utilizzate gli elementi necessari, scegliendoli dalla lista sotto riportata. - Promotore di lievito - Promotore di E.coli - Promotore di mammifero - Promotore di insetto - Promotore tessuto-specifico - Promotore di SV40 - Promotore del baculovirus - Promotore L del fago lambda - Dominio transmembrana - Peptide segnale - Gene della beta-galattosidasi - Dominio legante il maltosio - Tetrapeptide (substrato del fattore Xa) - Terminazione trascrizione eucariota - Terminazione trascrizione procariota - Sito di poliadenilazione - OriC - His-Tag - LTR - ARS - TATA box - Pribnow box - IRES - Introne - Esone - cDNA - Poly-linker - Sequenza di Kozak - Seq. Shine Dal Garno - Codone di inizio - Codone di stop - Siti di enzimi di restrizione - Gene LEU2 - Resistenza al G418 - Resistenza all’ampicillina BIOFARMACI O FARMACI PROTEICI Proteine usate a scopo terapeutico. I primi ad essere prodotti sono quei farmaci che replicano la funzione→es. diabetico manca l’insulina, si inietta l’insulina ricombinante. La loro attività è uguale a quella naturale, anche se la si può leggermente modificare. Proteine terapeutiche ricombinanti→ insulina, ormone della crescita, eritopoietina, G-GSF, fattori antiemofilici Proteine di fusione Una proteina si può considerare una sequenza che può avere dominii diversi con caratteristiche diverse, un dominio può essere il peptide segnale, che serve ad essere riconosciuto dalla particella di riconoscimento per il segnale. Per quanto riguarda l’espressione dell’ormone della crescita, uno dei primi prodotti biotecnologici, questo è di per sé una proteina di secrezione e presenta il suo peptide segnale; però, in Coli, dove viene espresso, il peptide segnale umano non funziona o funziona poco. Questo peptide segnale umano va sostituito con un peptide segnale batterico tramite tecnologia: è già una proteina di fusione perché abbiamo fuso un dominio differente con la proteina. Questo batterio, quindi, trascriverà un c-DNA e tradurrà una proteina che verrà inviata nel pathway di secrezione. Questo peptide segnale è poi spontaneamente rimosso da una peptidasi del batterio e quindi si ottiene l’espressione, al di fuori della cellula, della proteina d’interesse. In un primo momento, in realtà, si ha l’espressione della proteina nello spazio periplasmatico, poi viene attuato uno shock osmotico alle cellule in modo da gonfiare il batterio e diminuire lo spazio periplasmatico, facilitando la fuoriuscita della proteina nel terreno di coltura. L’utilità dell’espressione dell’ormone della crescita umano è incredibile perché, al contrario dell’insulina, questo è specie specifico. Va a risolvere il problema del nanismo, ma è importante non solo nello sviluppo, ma anche nel mantenimento della stabilità scheletrica negli adulti. Nella creazione di proteine di fusione si inserisce una sequenza per cui al posto dell’ATG della normale proteina, si trova quello di un peptide segnale (in questo caso). Es. insulina umana Biosintesi→le catene alfa e beta sono codificate dallo stesso messaggero e nel mezzo si ha un peptide c che poi viene eliminato. Si passa da pre-pro-insulina, dove c’è ancora il peptide segnale, pro-insulina, senza peptide segnale, che per azione di peptidasi e instaurazione di legami a ponte di solfuro forma la forma matura dell’insulina. La proteina finale è molto semplice, ma la modalità di produzione nelle cellule è molto complessa, per cui nel batterio risulta essere difficoltoso produrla. L’insulina umana viene introdotta nel batterio con due vettori di espressione: uno per la catena alfa e uno per la beta, con l’introduzione di un dominio per una proteina batterica che si chiama MBP (maltose binding protein) che serve al batterio per sequestrare maltosio per il suo metabolismo. Vengono prodotte separatamente due proteine di fusione che, grazie alla MPB, sono facilmente modificabili. Alla fine, vengono prodotte le due catene, codificate, mescolate in vitro in maniera equimolare e in blando ambiente ossidante si formano i ponti di solfuro che portano alla forma matura dell’insulina. La spinta a produrre insulina umana si è avuta perché l’insulina dei maiali funziona perfettamente nell’organismo umano, ma differisce per qualche aa per quella umana e i pazienti trattati con questa sviluppavano una leggera difesa immunitaria per cui, in 1 paziente su 10000, questa non aveva più effetto, si è passati, quindi, alla somministrazione di insulina umana. Si fa una proteina di fusione per cui la MBP può essere messa a monte o a valle. Se è a monte poi continua con la sequenza del c-DNA e si avranno alcuni aa (un tetrapeptide: Ile-Glu-Gly-Arg) tra queste due sequenze che servono a staccare la MBP, rappresentano un sito di taglio, un fattore per la coagulazione 10a. Ottenute le proteine (per catena alfa o beta), per purificarle dal resto delle proteine, si usa una colonnina con maltosio (legato alla matrice solida della colonnina): si fa passare il lisato cellulare attraverso la colonna per cui, la proteina ricombinante che ha il dominio legante il maltosio resta legata alla colonna. Per staccare le proteine di fusione (le fusioni sono un tipo delle ricombinati) aggiungo una soluzione di maltosio che competendo con il maltosio della matrice, determinerà una il distacco delle proteine con l'MBP (prima purificazione su colonna). A questo punto abbiamo ottenuto queste proteine contenenti ancora il tetrapeptide e l'MBP e la catena A/B, verranno messe a contatto con una soluzione contenente il fattore 10a (implicato nella coagulazione del sangue) che riconoscerà e effettuerà un taglio a livello dell'Arginina all'estremità C-terminale del tetrapeptide. Avremo così una soluzione in cui avrò tetrapeptide, MBP legato al maltosio, e catene A o B in base al fermentatore di provenienza. Si attua così una dialisi per separare il maltosio legato all'MBP affinché, passando nuovamente la soluzione dializzata attraverso la stessa colonna di prima contenente maltosio, si purifichino definitivamente le catene dell'insulina (MBP rimane legato al maltosio della colonna). In realtà noi utilizziamo il frammento grande di Klenow, biochimico che vide che idrolizzando l’enzima in due parti, in un frammento piccolo costituito dal dominio 5’-3’ esonucleasico e un frammento grande costituito dagli altri due dominii (il frammento grande di Klenow), quest’ultimo rimaneva ugualmente attivo, anzi, in vitro è molto più attivo. È un esempio di miglioramento biochimico. Questo enzima non è un gran che come polimerasi, ma al massimo ci interessa sintetizzare al massimo un migliaio di basi; quindi che sia poco veloce non ci interessa molto, ma nemmeno che sia poco processiva. Il risultato alla fine si ottiene ugualmente. Mutagenesi oligonucleotide-diretta Insulina Insulina umana normale funziona benissimo, per cui si evitano problemi di resistenzaquando viene utilizzata per il trattamento del diabete. Sono stati messi appunto dei mutanti per migliorare il protocollo. Uno ancora in uso è l’insulina Lys-pro o insulina fast, che quindi funziona subito. L’insulina del pancreas è esamerica e si disgrega nel giro di 10 min per poter essere utilizzata nella sua forma dimerica, anche quella umana normale ricombinante, essendo uguale a quella naturale, forma l’esamero e quindi impiega più tempo per attivarsi. L’insulina Lys-pro sta per l’inversione di una Lys e una Pro nelle posizioni 28 e 29 (nell’insulina umana sarebbe Pro-Lys); oppure un’altra mutazione che sostituisce un’asparagina con una prolina. In questi casi si ha maggiore solubilità, l’insulina che si ottiene con queste ricombinazioni è già un dimero, per cui quando viene iniettata, nel giro di pochi minuti, è già attiva. Si hanno anche altre mutazioni che sono per una versione di insulina a rilascio graduale. Molti diabetici fanno iniezione di quella pronta ad ogni pasto e durante la giornata questa a rilascio graduale, che a pH 7 precipita, quando viene iniettata in ambiente sotto cutaneo, e nell’arco della giornata viene gradualmente rilasciata. Si è cercato anche di creare un’insulina per via orale che superava facilmente la barriera gastrica e veniva assorbita a livello intestinale, ma il problema si aveva nella differenza individuale molto forte per l’insulina che poi si ritrova effettivamente a circolare nel sangue. Quindi il problema si ha nel dosaggio. Altri esempi di mutagenesi: • Attivatore tissutale del plasminogeno→farmaco per l’ictus che con alcune modifiche è stato migliorato; principio simile a quello dell’insulina. • Tumor necrosis factor (TNF)→per la creazione di un dominante negativo • Vaccino per la pertosse Attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) Uno dei farmaci più innovativi e importanti per la lotta alle trombosi. È una proteina del sangue che fa parte della cascata del dissolvimento, dell’idrolisi, della fimbrina: nel momento in cui si forma il coagulo, una volta riparato il tessuto, si deve eliminare la fimbrina attivando il plasminogeno che per azione della tPA (attivatore tissutale del plasminogeno) diventa plasmina che degrada la fimbrina. Se un individuo ha un ictus a livello cerebrale, se il trombo viene eliminato nell’arco di 1/1:30h allora si ha un recupero quasi totale. L’attivatore del plasminogeno è una proteasi a serina. Le proteasi a serina sono proteasi che nel sito attivo hanno una serina-istidina-asparagina. Nello studio di questo enzima è stata importante la mutagenesi oligonucleotide-diretta di questa sequenza, perché cambiando identità dei vari aa fu confermata l’ipotesi che la proteasi fosse a serina. È stata importante anche per migliorare farmacologicamente il tPA, che è un farmaco molto pericoloso (viene usato solo in ambiente ospedaliero e in terapia intensiva), dato che scioglie il trombo ma può portare a emorragie interne. Nel tentativo di diminuire il tasso di reazioni avverse al farmaco, si sono studiati diversi tipi di mutazione andando a vedere in quale condizioni la stabilità del siero aumenta. Una prima mutazione è il mutante dell’Human recombinant tPA (HrTPA): nella posizione 103 ora si ha una Thr dove naturalmente ci sarebbe stata Asp. Aumenta 10 volte la stabilità del siero, se ne può usare meno. Per il resto l’enzima funziona come la versione non mutata. Si hanno vari tipi di tPA ricombinanti: • Alteplase, tPA normale umano (hrtPA)→viene utilizzato per l’infarto del miocardio, ictus e embolia polmonare e prodotto in cellule animali in coltura: è una proteina glicosilate. • Reteplase, tPA umano non glicosilato e più corto→Usato soprattutto per il trattamento dell’infarto. La sua emivita è più lunga di quella della proteina normale. Non essendo glicosilato è prodotto in E.coli • Tenecteplase, tPA umano con due modificazioni aminoacidiche→Usato soprattutto per il trattamento dell’infarto. Ha una maggiore affinità per il coagulo di fibrina perché il tPA riconosce la fimbrina e aspetta il plasminogeno per tagliarlo in plasmina. Prodotto in cellule animali in coltura; qualcuno con il sistema del Vaculus virus (utilizzandone il promotore in cellule di insetto) • Desmoplase, tPA della saliva dei pipistrelli vampiri→Indicato soprattutto per l’ictus. Ha una emivita doppia nel sangue del paziente. Non è una proteina del self, si fa partire una reazione immunitaria che nella prima iniezione si riduce nell’arco di ore, ma è sconsigliabile riutilizzarlo dopo solo qualche anno perché si ha rischio di shock anafilattico. Prodotto in cellule animali in coltura. È un gene ortologo. TNF (tumor necrosis factor) È una molecola che, nell’infiammazione, ha un ruolo negativo. Al livello delle malattie infiammatorie, è l’infiammazione che diventa il problema, partono reazioni di infiammazione che aggrediscono anche i tessuti. Il TNF è uno degli attori dell’infiammazione, è una citochina prodotta dai macrofagi, con il ruolo chiave nella regolazione della risposta infiammatoria. Farmaci che bloccano l’azione del TNF o altre citochine coinvolte che vengono over-prodotte, inibiscono l’infiammazione. Per fare questo ci sono vari approcci, per esempio l’utilizzo di anticorpi specifici che riconoscono il TNF e lo eliminano (è una terapia che però può avere alcuni difetti). Un altro approccio è quello del dominante negativo: mutante capace di formare un trimero (TNF è un trimero) con monomeri della proteina normale, trimero che però è inattivo, andando anche a sequestrare, quindi, i monomeri per la produzione della proteina normale. Si cerca di mettere a punto una proteina che sequestri il TNF normale. È stato messo a punto un dominante negativo che non fa partire la cascata segnalatoria al livello del recettore. Un mutante del genere è stato messo a punto modificando, ad esempio, Ile97, riuscendo a diminuire la concentrazione del TNF, alleviando le conseguenze dell’infiammazione. Altri esempi di biofarmaci ricombinanti Eritropoietina (EPO) Ormone proteico che stimola l’eritropoiesi, usato in certi casi di anemia. Viene prodotto in Coli ed è identico alla proteina all’ormone naturale. La disponibilità del farmaco, in circuiti non del tutto legali, fa sì che sia utilizzato nel doping sportivo: utilizzando questo ormone aumenta il numero dei globuli rossi nel sangue, quindi facilita il trasporto dell’ossigeno dai polmoni al muscolo, aumentando l’efficienza muscolare sotto sforzo. Il pericolo è che si formino trombosi. G-CSF Glicoproteina che regola la produzione e il rilascio dal midollo osseo di granulociti neutrofili funzionali. È un trattamento che serve come coadiuvante a valle di trattamenti con farmaci anti-tumorali che spesso creano immunodeficienze. Viene prodotto come proteina ricombinante in cellule animali in coltura. Fattori antiemofilici- fattore VIII È una glicoproteina che regola la coagulazione. Viene prodotto come una proteina ricombinante in cellule animali in coltura. 07/03/2023 Lezione 5 La domanda più frequente è: Qual è la funzione di una certa proteina? La quota dei geni è molto alta, 25.000, e di molti di questi non si conosce la funzione. In questi casi è comodo avere un sistema in cui facciamo un gain of function o loss of function. La ricerca di mutanti è andata sempre per loss of function, cioè ricerca di un prodotto genico che ha perso le funzioni. Gain of function • Con il gain of function possiamo fare l’over espressione della proteina: costruiamo un vettore di espressione; se abbiamo cellule di topo basta un buon promotore che produca una grande quantità di proteine che normalmente non sono over espresse nella cellula. Se abbiamo un sistema di espressione abbastanza buono è facile che si abbia l’over espressione. • Si può avere anche l’espressione di una proteina che contiene delle mutazioni per vedere quali effetti hanno le varie mutazioni al livello dell’azione di una proteina (gain of function). • Il gain of function è possibile ottenerlo anche in sistemi più complessi, anche se principalmente si fa su cellule in coltura. Alcune proteine si possono osservare solo negli animali, nelle cellule animali, per cui si parlerà di animali transgenici: si va a trasferire tutto quello che si è detto nel sistema animale. Loss of function Esiste anche un sistema ad interferenza a RNA che permette di modulare l’espressione genica al livello della traduzione, impedendola (tipico loss of function). L’abolizione di una proteina, per esempio come avviene naturalmente per malattie genetiche e oncosoppressori, si può ottenere anche in termini di laboratorio. Se stiamo studiando un oncosoppressore, se artificialmente ne eliminiamo l’espressione, è probabile che nel fenotipo della cellula sia implementato quello tumorale. In cellule in coltura possiamo usare il sistema dei miRNA, dell’interferenza a RNA, ma anche su C. elegans (vermetto quasi invisibile estremamente facile da coltivare in Coli (se ne nutre); è interessante perché per alcuni aspetti è uguale all’uomo es. sistema dell’apoptosi). C’è la possibilità di fare la stessa cosa anche nel sistema animale, spesso nei topi (topi knock out= si elimina un gene per cui la proteina non viene più espressa nell’animale o in particolari tessuti), quindi si possono avere vari modelli per la ricerca. miRNA è il sistema naturale della regolazione dell’espressione genica prodotti dal nostro genoma. I siRNA sono i primi ad essere stati scoperti nelle piante, in cui il doppio filamento veniva tagliato da DICER a partire dal genoma di particolari virus con RNA a doppio filamento. Oggi, quando si parla di siRNA, (short interference RNA; 20/22 basi) si tratta di una modalità per somministrare questi siRNA sperimentalmente. Cosa succede se alla cellula diamo già il prodotto finito dell’RNA, il piccolo frammento? →vengono inglobati nel complesso RISC come se fossero un prodotto di DICER e opera normalmente. Questi siRNA inseriti avranno la sequenza complementare ad un mRNA bersaglio che decidiamo noi, al livello del 3’ non tradotto, dove si ha la sequenza SEED. Nel sistema naturale per i miRNA si ha l’espressione naturale di un gene da cui si ottengono precursori piuttosto lunghi, nell’ordine di migliaia di basi, che hanno come polimerasi la polimerasi II: è come se fossero trascritti primari, infatti hanno anche il Cap e il sito di poliadenilazione, anche se poi vengono subito perse. (si forma il pri-miRNA). In questo trascritto primario si formano, in punti specifici, delle anse, degli steli (con ampie zone di complementarità), in totale di circa una sessantina di basi. A questo punto interviene un enzima, DROCHA, a livello nucleare che distrugge subito questi trascritti primari per ottenere dei frammenti che corrispondono alle anse che si erano formate: forma i pre-miRNA (60 basi dello stelo). Il primo taglio avviene in maniera tale che si forma una struttura a stelo estremamente stabile. Questo viene esportato dall’esportina, GTP dipendente, nel citoplasma, dove esiste l’enzima DICER, che taglia l’ansa. Quello che rimane è l’miRNA (circa 20 nucleotidi per singolo filamento) a doppio filamento (deriva dal ripiegamento di un singolo RNA che era stato trascritto) con estremità un po’ sfalsate. I siRNA entrano al livello di quest’ultimo passaggio e nonostante il fatto che siano di origine esogena, formano il complesso RISC. I siRNA sono somministrati attraverso lipofezione (si includono in un doppio strato fosfolipidico che è in grado di fondersi con la membrana e si ritrovano nel citoplasma dove possano agire). Dopo un po’ le cellule eliminano i siRNA , quindi il meccanismo non sarà duraturo, ma si tratta comunque di un tempo più che sufficiente. In alcuni casi si vuole prolungare questo fenomeno e la modalità è quella di esprimere il gene che produce il siRNA→trasfertare un plasmide che non contiene una sequenza c- DNA, ma una che codifica per il siRNA che potevo anche inserire dall’esterno. Si fa una selezione delle cellule che hanno assunto il gene e in questo modo si forma una linea stabile che assume questo gene che produrrà costantemente questi short hairpin RNA (è una modalità che produce il prodotto che ancora deve subire l’azione di DROCHA e DICER). È un sistema un po’ meno efficiente, ma in tanti esperimenti è più che sufficiente. VACCINI RICOMBINANTI Il principio di Pasteur Il vaccino, in generale, nasce dal principio di Pasteur: isola il germe, uccidilo (inattivarlo con calore, sostanze denaturanti), e utilizza il preparato come vaccino. Questo è stato fatto per decenni e decenni. Vaccini a RNA I vaccini a RNA ci sono da almeno 10/12 anni, utilizzati raramente per vaccini di massa, ma per vaccinazioni antitumorali, mirate: quando si hanno determinati tipi di tumore, questi hanno sempre sulla loro superficie degli antigeni che sono non-self, proteine espresse in maniera diversa nelle cellule normali. Possono essere sia dei bersagli farmacologici che immunologici, vaccinando le persone contro quegli antigeni. Si ha una discreta percentuale di successo. I vaccini a RNA sono flessibili: bisogna usare la sequenza codificante di una qualsiasi proteina. Non si ha necessità di adiuvanti. Se si hanno delle varianti del virus, si prende il plasmide dove è presente il nostro stampo e si sostituisce la sequenza codificante della proteina SPIKE→il materiale che viene iniettato rimane sempre lo stesso. Quindi, per fare un nuovo vaccino c’è bisogno di controlli minori perché, essenzialmente, iniettiamo la stessa cosa. Se si iniettasse direttamente la proteina bisognerebbe fare tutte le prove per verificare che questa, quando purificata, non si modifichi. Iniettiamo nelle cellule un mRNA che codifica per la proteina SPIKE. Vengono veicolati mediante liposomi o nanoparticelle. Sono dei veri e propri mRNA che nella cellula vengono riconosciuti dal meccanismo di traduzione e produce la proteina SPIKE. Viene prodotto tramite reazione in vitro: c’è bisogno di un plasmide che contenga la sequenza codificante per la proteina SPIKE e che possa essere trascritta in vitro. Per la trascrizione in vitro si utilizzano delle particolari polimerasi che sono di fagi di Coli (T7, T3, Sp6). Sono dei batteriofagi che tra le altre proteine producono delle RNA polimerasi che sono efficaci nel trascrivere il loro genoma. Se utilizzo questi promotori mettendoli a monte della SPIKE e poi utilizzo la rispettiva polimerasi, questa produce mRNA della proteina SPIKE molto efficacemente. Il prodotto iniziale è un mRNA, ma non eucariotico, che avrebbe un CAP al 5’ per posizionare mRNA sui ribosomi e una coda poly- A. La coda di poly-A può essere inserita per trascrizione; il CAP si aggiunge bio-chimicamente. Si ottiene un mRNA che sembra eucariotico e una volta nel citoplasma delle cellule bersaglio inizia a produrre la proteina. Strategie per ottimizzare la farmacologia mRNA • CAP sintetico→con il CAP enzime non si usa il GTP, ma una base modificata che funziona anche più efficacemente nello stabilizzare l’mRNA. • Si inseriscono elementi regolatori al livello del 5’ e 3’ (come la coda di poly-A) • Uso di nucleotidi modificati nella sintesi dell’RNA che lo proteggono dall’azione di endonucleasi (il meccanismo di sintesi è lo stesso). In questo modo l’RNA riesce a resistere nella cellula per 24h, altrimenti il tempo non sarebbe sufficiente per produrre la quantità adeguata di proteina. • È stata fatta anche un’ottimizzazione dei codoni per rispettare il codon usage. L’indirizzamento dell’RNA alla cellula (delivery) Ci sono varie nanoparticelle o liposomi fatti in maniera diversa. Ne esistono a base di polisaccaridi, particelle cationiche arricchite con colesterolo o con PEG, molecole che potrebbero facilitare la fusione della membrana di queste nanoparticelle con la membrana cellulare. Pfizer e moderna si sono differenziati nelle strategie di delivery. Vaccino per Herpes zoster Vaccino con genoma a DNA: siamo sicuri che può avere una durata più lunga nel tempo perché più stabile. Veniva usato il vaccino con virus attenuato, oggi esiste quello ricombinante che contiene una proteina di superficie del virus. Virus per l’epatite C Virus con genoma a RNA. Insuccesso come quello per l’HIV dovuto a problemi biologici. Ci sono delle cure farmacologiche specifiche che riescono a diminuire moltissimo la presenza di sintomi. Vaccino della pertosse Prodotto mediante mutagenesi. Nei bambini molto piccoli 1/10.000 muore di pertosse, ma questi ancora non si vaccinano. Questo serve perché il vaccino ha anche una rilevanza sociale, portando in giro il virus si mette a rischio gli altri: si vaccinano i bambini piccoli che quindi non presentano la malattia grave e si proteggono, così, anche i loro fratelli più piccoli. La malattia è data dall’infezione del batterio bordetella pertussis che non darebbe infezione molto grave se non producesse una tossina, molto potente, per cui l’attività tossica è dovuta a questa tossina che è un enzima, un ATP-ribosilasi che ha come bersaglio le proteine G trimeriche alla membrana (le inattiva). Si ha mancata attivazione dell’adenilato-ciclasi, aumento di cAMP e interferenza con la segnalazione cellulare che può portare a morte della cellula. Se si elimina l’attività enzimatica si ottiene una proteina che non è più tossica. Questo fu l’approccio di fine anni ’80. È stato individuato un sito enzimatico e mediante mutagenesi si sono colpiti gli aa critici per l’attività enzimatica. Questa tossina non poteva essere prodotta in Coli e fu usato il batterio stesso come vettore. La tossina è estremamente immunogena: tutti quelli che hanno avuto la pertosse hanno sviluppato una risposta immunitaria così forte per cui rimarranno protetti per tutta la vita. È stato preso il gene della tossina e mediante mutagenesi in vitro sono state trovate due mutazioni che, indipendentemente, portano alla produzione di una proteina ricombinante non tossica, ma molto immunogena→questo perché le mutazioni sono state inserite nel sito attivo dell’enzima, senza modificare la struttura tridimensionale, nascondendoli all’interno dell’enzima. Per cui dal punto di vista immunitario continua ad essere riconosciuta cime bordetella pertussis. Due mutazioni sono ritenute obbligatorie per questi tipi di vaccini perché il DNA potrebbe mutare e ci può essere una retromutazione di uno di questi due siti. Il vantaggio di un vaccino del genere è che, il vaccino precedente che possedeva la tossina inattivata, in parte funzionava, ma aveva degli effetti importanti 1/10.000 persone. Vaccinare con un tasso di questo tipo per questo tipo di malattia non aveva molto tempo: la vaccinazione era stata sospesa e ripresa con questo nuovo vaccino (1/1.000.000). 13/03/2023 Lezione 7 Triacelluvax È un vaccino combinato contro tetano, difterite e pertosse usato nei bambini. Triacelluvax è una preparazione sterile di vaccino combinato contenente le anatossine difterica e tetanica e tre antigeni acellulari di Bordetella pertussis, adsorbiti su idrossido di alluminio, in una soluzione isotonica di cloruro di sodio contenente thiomersal come conservante. Per gli antigeni difterici e tetanici, non si è sentito il bisogno di usare prodotti biotecnologici, per cui questo si chiama anatossina→tossina disattivata, in questo caso con formaldeide che denatura la proteina, peggiorando le sue qualità da immunogeno, ma queste rimangono sufficienti per una copertura contro difterite e tetano. La tossina della pertosse, la terza componente, viene detossificata geneticamente. Ci sono, poi, altre due proteine purificate da delle colture di Bordetella pertussis che sono emoagglutinina filamentosa e pertactina che servono per attaccare il batterio di per sé, non solo la tossina. Reverse vaccinology Oggi si ha un approccio diverso in casi in cui il vaccino è difficile, per esempio contro il meningococco. Si ha un approccio diverso: reverse vaccinology. Finora si utilizzava il principio di Pasteur: identifica l’antigene interessante e usala come antigene detossificante. Con la vaccinologia inversa si parte dal genoma per andare alle proteine, non il contrario. Per il virus questo già vale dato che i genomi virali sono dei genomi piuttosto contenuti, per cui le sequenze di questi genomi sono state le prime ad essere completate (decine di migliaia di basi). Una volta data la sequenza del genoma si aveva anche la sequenza di tutte le proteine prodotte dal virus e quindi le sequenze di tutti i possibili antigeni. Si sceglie la sequenza che codifica per la proteina interessante e si usa come antigene. Parlando di batteri il discorso cambia, hanno una struttura piuttosto complessa di qualche migliaio di geni. Si cerca l’antigene adatto per sintetizzare il vaccino, la proteina sarà una di quelle espresse dal batterio. Si parte dal genoma. Si comincia a chiedersi quali sono le proteine interessanti, ovvero quelle esposte per cui il batterio ancora vivo all’interno dell’organismo può essere riconosciuto dal sistema immunitario. A Siena, sequenziarono il DNA in collaborazione con un laboratorio in Inghilterra che a fine anni ‘80 ci mise 6 mesi. Mettendo tutto sul computer fu facile trovare tutte le ORF presenti nel batterio (essendo geni non interrotti fu facile. ORF di circa un centinaio di codoni, quelli più piccole si consideravano non tradurre per proteine). Si trovarono circa 8.000 ORF. Una proteina di membrana si riconosce dalla sequenza transmembrana, molto identificabile, che è questa sequenza composta da circa 20aa(la lunghezza è simile allo spessore del doppio strato fosfolipidico), ricca, anche al 100%, di aa idrofobici (es. glicina), solitamente con struttura ad alfa-elica (per formarsi deve contenere determinati aa). Furono trovate circa 400 sequenze codificanti per proteine trans-membrana. Questi parametri si possono imporre in maniera meno stringente (sequenze che somigliano abbastanza al dominio trans- membrana: si ha il minimo di rischio di perdere sequenze vere, ma si ha più rischio di prendere anche sequenze non vere) o con criteri più stringenti (sono sicura di avere sequenze tutte vere, ma ne perdo qualcuna). Solitamente si utilizza un criterio meno stringente, facendo un lavoro di selezione in un secondo momento. A Siena, una volta ottenuta la sequenza, si iniziò a lavorarci con vari tipi di programmi di informatica: si ottenne una lista di geni con cui furono individuate circa 400 proteine trans-membrana Si torna alla web-biology: si andò a clonare una per una queste 400 sequenze in un vettore di espressione batterico. Questo fu fatto per amplificazione per PCR di ogni singolo gene→si costruiscono due oligonucleotidi reverse e forward a partire dalla sequenza per amplificarla. Una volta amplificata, la sequenza viene clonata in 400 vettori di espressione diversi (semplice ma time consuming). Si inseriscono, poi, in un vettore di espressione. Una volta espressa si ha la purificazione della proteina in E. Coli. Per verificare che queste proteine rappresentassero un antigene protettivo verso l’infezione del batterio, queste singole proteine furono iniettate nei ratti (in gruppi di 10) e dopo 15gg, facendo anche un richiamo, dopo un mesetto si infettava i ratti con il meningococco e si osservava cosa succedesse: nella maggior parte dei casi i ratti morivano. In quelli che sopravvivevano, si ripresero le 10 proteine singole e si risvolse il protocollo per ogni singola proteina. Nel caso in cui si fosse verificata la sopravvivenza del ratto, quelle proteine rappresentavano dei buoni antigeni protettivi. In questo modo ne trovarono solo 6/7 e alcune sono state utilizzate per fare il vaccino. Un batterio patogeno si è evoluto in maniera tale da ritardare la risposta immunitaria dell’organismo. Il meningococco è un batterio che ha imparato con l’evoluzione ad esporre in superficie degli antigeni che sono molto molto scarsi, che lo proteggono da una risposta immunitaria forte. Sempre sulla membrana ci sono proteine raramente presenti, che però sono quelle più immunogene. Il sistema immunitario le vede in ritardo, la risposta parte in ritardo e quindi il batterio ha tempo di infettare l’organismo e fare danno. Se si purificassero tutte le proteine del batterio si avrebbe la possibilità di perdere quelle poche proteine che ci interessano. Se si parte dal genoma, non si ha informazione sulla quantità della proteina, dato che non si ha interesse se questa sia poco o meno espressa. Per cui si ha la stessa probabilità di trovare una proteina raramente espressa che una molto espressa. Questo approccio può essere utile nei casi in cui è problematico trovare il vaccino, solitamente per organismi più complessi dei virus. È estremamente complesso per gli organismi eucariotici, come il plasmodio della malaria. È stato tentato questo approccio, ma è complicato perché si hanno intorno a 104 geni, che poi sono anche interrotti. Nel plasmodio è difficile anche trovare geni stabili. È stato messo a punto un vaccino che dà la copertura del 50%, che per le popolazioni locali è interessante, perché significa che si dovrebbe ridurre del 50% l’incidenza della malattia, salvando milioni di persone. ANTICORPI RICOMBINANTI Abbiamo parlato di proteine prodotte con tecniche di ingegneria genetica. Tra le proteine più importanti abbiamo gli anticorpi ricombinanti. Immunoglobuline G hanno una struttra ad Y: ci sono 2 catene pesanti e 2 catene leggere che si associano in una struttura quaternaria tenuta insieme da ponti di solfuro. Le catene leggere pesano 24kDa (214 aa), la metà di quelle pesanti, che hanno un peso di circa 50 KDA (466 aa). Le catene presentano N terminale in alto e il C terminale in basso. Le catene leggere hanno 2 dominii (anse), che si chiamano dominii immunoglobulin- like, e le catene pesanti ne hanno 4. Questi dominii prendono contatto con altre molecole, con l’antigene (come anticorpi e recettori) e sono stabilizzati da ponti di solfuro. Sia la catena pesante che quella leggera sono proteine di escrezione e quindi presentavanola sequenza seganle per entare nel RER, dove subiscono modificazioni post-traduzionali, tra cui l’instaurarsi di questi legami di solfuro che stabiliscono i dominiie che montano la molecola: una catena leggera è legata ad una pesante e poi due legami di solfuro legano questo complesso all’altra metà mancante. Le catene pesanti hanno il doppio dei legami di solfuro e hanno le zone cerniera, dominii elastici che permettono alle due braccia della Y di avere una certa libertà di movimento, facilitando il riconoscimento dell’antigene, e dove si ha una glicosilazione a carico dell’asparagina 297. Nel RER si forma l’anticorpo finale che, al livello delle plasmacelulle, verrà espulsi in cirgolo come IgG circolante. In terapia sono importanti soprattutto per: - Blocco di interazioni ligando-recettore - Blocco di funzioni proteiche - Stimolo di segnalazione intracellulare (per quanto riguarda apoptosi e reclutamento di componenti del sistema immunitario) Questi anticorpi sono importanti come anti-infiammatori (malattie infiammatorie estremamente gravi come l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, colite ulcerosa). Se si ha un’over produzione di TNF si può usare il metodo del dominante negativo o si usa l’anticorpo che vada ad eliminare il TNF in eccesso→Si possono utilizzare quelli di tipo chimerico o umano oppure si può inibire il recettore del TNF tramite un tipo di proteina di fusione. Quando parliamo di tumore, per esempio, in cui la parte di proteine tumorali, per cui possiamo avere un fattore di crescita, un recettore, l’interazione del recettore con il fattore che attiva la segnalazione, ecc. questi sono tutti casi in cui un proto-oncogene si è trasformato in un oncogene. In tutta questa via di segnalazione, l’anticorpo può avere vari ruoli per interrompere la segnalazione che è estremamente accelerata quando il proto-oncogene si trasforma in oncogene. Per esempio, quando si ha l’over produzione di un fattore di crescita si può usare un anticorpo che blocca il fattore di crescita. In alcuni casi abbiamo anticorpi che entrano nella cellula e bloccano l’attività tirosino-chinasica del recettori dimerizzante. Si possono usare anticorpi armati che riconoscono gli antigeni di superficie e sono caricati con tossine che, una volta sulla superficie della cellula, riusciva ad uccidere la cellula stessa. Questo approccio è stato abbandonato e perché non funzionava molto e aveva effetti collaterali. Due particolari anticorpi sono: • Trastuzumab→è un anticorpo umanizzato specifico per il tumore alla mammella. Attacca HER2, proto-oncogene che diventa oncogene perché viene over-espresso per cui si ha spontanea dimerizzazione in assenza del ligando e partenza della segnalazione tumorale. L’anticorpo previene la dimerizzazione posizionandosi fisicamente tra i due monomeri. Questo anticorpo è ancora in uso per il trattamento post-operatorio al tumore alla mammella. Si vede valutare il rischio di metastasi per cui se la probabilità è bassa non si ha il trattamento, se invece c’è il rischio si utilizza l’anticorpo che dovrebbe neutralizzare le cellule metastatiche. È importante capire se, in caso di tumore alla mammella, si può utilizzare, perché soltanto nel 50% dei casi il tumore è dato dall’over-espressione di HER2. Il farmaco diventa anche il fattore diagnostico per capire se utilizzarlo: nella biopsia si hanno a disposizione le cellule tumorali per cui si usa un anticorpo per HER2 marcato e colorato (di rosso). Se HER2 è over-espresso si vedono delle macchie rosse, per cui l’anticorpo può essere usato. • Bevacizumab→prima volta anti-tumorale di ampio spettro. È un farmaco anti-angiogenico, contro VEGF, fattore di crescita vascolare prodotto da praticamente tutti i tumori solidi per che, aumentare la massa, hanno bisogno di vascolarizzare. Questo anticorpo ha effetti collaterali blandi e può fare grandi danni al tumore. Può essere usato in tumori diversi (colon, fegato ecc.) e non solo un tipo. Dopo poco, però, si ha resistenza al farmaco, perché il tumore che prolifera ha una capacità evolutiva estremamente forte. Se si sviluppa una singola cellula che presenta resistenza, questa viene selezionata positivamente e può dar vita ad un’altra massa tumorale. È un anticorpo cdi tipo umanizzato. Si cerca di avere anticorpi che potenziano la risposta immunitaria. Il sistema immunitario è importante nel salvarci contro i tumori oltre che dalle malattie infettive. Potenziando il sistema immunitario si potenzia la risposa contro le cellule tumorali. 14/03/2023 Lezione 8 Ci sono anche altri metodi per avere anticorpi umani. Si possono fare anticorpi monoclonali umani ma non è eticamente corretto: oltre ad essere particolarmente invasivo, bisogna iniettare antigeni del virus: non è eticamente possibile immunizzare una persona al fine di ottenere anticorpi contro un virus. Ma è possibile fare qualcos’altro: ci sono pazienti malati che sono poi guariti e hanno prodotto anticorpi. Con il covid è successo: si sono presi dei pazienti che avevano delle cellule B attivate contro il covid. L’idea è di clonare come si fa negli anticorpi monoclonali: cellule B, del topo in questo caso, del paziente nell’altro caso, vengono prelevate, ma poi devono essere tracciate in modo tale da immortalizzarle per fargli produrre indefinitamente gli anticorpi. Il paziente avrà tante cellule B attivate e diverse tra loro; è interessante il fatto che si possano far partire delle colture cellulari da ogni singola cellula immortalizzata in modo da prelevare gli anticorpi da queste colture e saggiarli secondo parametri di specificità ecc. è possibile anche se le cellule B sono prelevate da un ex paziente malato. Si ottengono, così, anticorpi monoclonali umani. Con il covid sono diventati desueti nel momento in cui sono stati introdotti i primi vettori contro il covid: dei farmaci che possono essere assunti più facilmente, con un tasso di successo comparabile a quello degli anticorpi. Questa tecnica è buona per qualsiasi malattia. È un’immunità passiva fatta con anticorpi umani, eliminando gli svantaggi degli anticorpi non self. Come si fanno gli anticorpi monoclonali umani • Phage display→tecnica che utilizza l’espressione di frammenti anticorpali (i domini variabili) come proteine di fusione espresse sulla superficie di batteriofagi. • Trangenic mice→topo trans-genico. È stato ingegnerizzato il genoma del topo in maniera tale che i geni per le Ig del topo siano stata sostituite con i geni per le Ig umane. Sono topi che esprimono anticorpi umani (già di norma le Ig dei topi e Ig umane sono quasi a uguali a livello funzionale). Sono trattati come normali ibridomi e non si ottengono anticorpi monoclonali di topo, ma di uomo. • Single B cell→si parte da un paziente umano guarito dalla malattia di interesse e si prelevano le cellule B. Molte di queste sono cellule che producono anticorpi di interesse in tante versioni. Il problema è come fare a prendere gli anticorpi giusti. Si hanno due metodi: − Si saggiano i vari anticorpi tramite un multi-pozzetto (una cellula per pozzetto) e sulla cellula B di interesse (che si presume sia finita in ogni pozzetto) si fa coltura: siamo in grado di saggiare la qualità degli anticorpi prodotti da queste cellule. Preleviamo le poche cellule che ci sono e si purificano gli mRNA dell’Ig. Per PCR si amplifica tutto l’mRNA per la catena leggera e con un’altra PCR si amplifica quello della catena pesante; li mettiamo a punto in due vettori di espressione e si effettua la co-trasfezione. In questa maniera otteniamo una linea stabile che produce un anticorpo umano con la specificità per la malattia. super-anticorpi→sono anticorpi molto affini per cui si ha una risposta positiva anche con presenza di scarse quantità di proteine. Sono infatti usati per test antigenici, cui pregio è la velocità, il difetto è la sensibilità scarsa. Si inserisce il campione nasale diluito in un liquido che, per capillarità, si muove verso destra potando con sé eventuali antigeni. Si hanno due tipi di anticorpi in posizioni diverse che riconoscono lo stesso antigene. Il primo anticorpo viene colorato per cui se è presente l’antigene gli anticorpi si legano (più antigene è presente più sarà alto il numero di anticorpi che si sono legati). Poi gli antigeni vanno a finire nella zona del test dove sono immobilizzati anticorpi che riconoscono l’antigene in un’altra posizione. Se ci sono antigeni che sono stati legati dagli anticorpi colorati, questi si bloccano in questa posizione. Se il test è positivo si avrà la banda-test colorata. Un po’ di questi anticorpi colorati non si sono legati (solitamente sono in eccesso) e passano oltre, verso una zona dove si trovano anticorpi contro quegli anticorpi: servono per riconoscere un particolare tipo di anticorpo, la specie dell’anticorpo (es. topo da uomo). Questa zona di controllo serve per dirci che il liquido si è spostato correttamente. CORSA ELETTROFORETICA PER ACIDI NUCLEICI Come si analizza in maniera selettiva e veloce un DNA? Per esempio, ho preparato un plasmide da una coltura batterica, lo estraggo, e purifico il NDA, ma non lo vedo, ne posso solo misurare la quantità usando degli spettrofotometri con raggi ultravioletti. Per vederlo fisicamente, si utilizzano questi gel di agarosio (gelatina presa dall’alga agar) e di una forma particolare di cellulosa che si trova in granuli e quindi ad alta temperatura diventa liquida per poi trovarsi allo stato solido a temperatura ambiente. La possiamo fare più o meno solida: se dobbiamo far corre sul gel del DNA ad alto peso molecolare, il setaccio deve essere meno denso, nel caso opposto la concentrazione deve essere maggiore. Mentre solidifica, vi si mette un pettine in modo tale che si formino de pozzetti e poi l’agar viene messo in orizzontale nella vasca dove i due capi del gel sono a contatto con due vaschette che corrispondono al polo negativo e al polo negativo. Si ha un power supply, un generatore di differenza di potenziale. Se inseriamo il DNA o RNA carichi negativamente, corrono verso il polo positivo in maniera proporzionale alla loro taglia: più grossi sono più lentamente correranno. Il ND viene quindi diviso in base al peso molecolare e per osservarlo bisogna colorare i campioni, mettendo in contatto con il DNA, a livello del gel, il bromuro di etidio (cancerogeno perché è un intercalante del DNA). Facendo questo, il DNA, se illuminato con raggi ultravioletti, emette del rosso e diventa presente. l’RNA ha sempre strutture tridimensionali con zone a doppio filamento per cui il bromuro di etidio può andare a marcare anche questo. Southern blot È stato il primo ad essere inventato da Ed Southern. Con questa tecnica si analizza il DNA; dopo poco è stata implementata quella per l’RNA (Northen blot); quello per le proteine si chiama western blot. Il Southern blot ormai non si usa più perché il DNA lo analizziamo per sequenza (risposta più precisa). Il Northen viene usato abbastanza costantemente (anche se in laboratorio si cerca di non lavorare con l’RNA). Il Western si usa quotidianamente (è il più comune). Blot significa “asciugare”, “stampare”. Prima si fa un’elettroforesi che separa le varie molecole in base al peso molecolare, poi queste molecole vengono stampate su un foglio di nitrocellulosa: il DNA o RNA si lega covalentemente a questo foglio di carta, di nitrocellulosa o Nylon. Per fare questo si crea una corrente ascensionale di liquido (dal basso verso l’alto) che stampa le molecole di DNA o RNA su questa membrana. Questa membrana la posso usare per ulteriori esprimenti dove si vanno a saggiare la presenza di particolari frammenti di DNA o RNA usando determinate sonde marcate (complementare ad una delle bande). Il DNA che sarà marcato in vari modi sarà visibile. Questo protocollo è simile sia per il Southern che per il Northen blot. La differenza è quello che carichiamo sul gel: • se parliamo del DNA, del genoma, i geni non possono entrare nel gel perché hanno un peso molecolare troppo alto, quindi vanno frammentati in maniera controllata con enzimi di restrizione, per esempio con EcoR1. Si ottiene una collezione di frammenti di DNA a peso molecolare diverso tra loro, ma sempre uguali tra vari esperimenti, anche se a volte si può avere una single base di differenza. • Nel caso dell’RNA non c’è bisogna di fare ciò: si può caricare sul gel l’RNA cellulare totale (anche tRNA e rRNA oltra a mRNA) oppure si può purificare la frazione di poliA. Si ha una lunghezza di mRNA che permette una buona migrazione. Avendo una sonda che si ibridizza a un particolare mRNA, la sonda arriva a trovare quel DNA o RNA presente. se si ha un mRNA che subisce uno splicing alternativo, se ho la sonda per una zona presente in tutti e due gli RNA avrò una situazione in cui si visualizzano due bande. Marcatura radioattiva della sonda Mettiamo che la sonda sia un c-DNA (perfetta per un mRNA che è stata prodotta da esso e per il gene dove riconosce gli esoni). Abbiamo il cDNA inserito in un DNA plasmidico, che noi abbiamo linearizzato per comodità. Per marcare la sonda radioattivamente (maggiore sensibilità, anche se usato meno perché si tende a colorare il DNA), si usa l’RNA polimerasi I, il frammento di Klenow (usato anche per la mutagenesi). Se forniamo all’enzima un DNA stampo, a temperatura ambiente si usa un oligonucleotide che funziona da innesco, sintetizzato sulla base del cDNA. Si forma una giunzione innesco-stampo perfetta per far lavorare la polimerasi. Questo si fa in presenza di deossinucleotidi trifosfato marcati in alpha (quello che rimane nello scheletro zucchero fosfato). Il DNA che si crea è la sonda marcata. A questo punto, ottenuta questa molecola marcata radioattivamente, si aggiunge il tutto (previa bollitura per avere i due singoli filamenti staccati) a un contenitore di plastica dove si inserisce la membrana e la sonda. La sonda (verde) ha buona probabilità di andare, in buona parte, a stabilizzarsi sull’RNA o DNA presente sulla membrana. Trova o l’mRNA corrispondente o i frammenti genomici dove sono presenti gli esoni. Ad oggi si fa molto meno e si utilizza la colorazione anche se ha meno affinità. Northen Blot Nel caso del Northen blot, si hanno singoli RNA ottenuti da vari tessuti umani, in questo esempio. Si utilizza prima una sonda contro PSAT mRNA (un particolare c-DNA) e con questo saggio, avendo purificato gli mRNA da tanti tessuti diversi, ci dà una risposta: in alcuni casi abbiamo ibridazione, in altri no. In questi tessuti, in alcuni è espresso quel particolare mRNA, in latri no. Questo è un test che risulta anche essere relativamente quantitativo (osservando la larghezza delle bande o la loro presenza o assenza). Nelle piante è più semplice perché si riproducono non solo con la riproduzione sessuata, ma anche asessuata. Si presume che negli animali questo non sia possibile (togliere un pezzo da cui far ricrescere l’intero organismo) perché le strutture sono così complesse che nell’organismo adulto è andata a perdersi la modalità di differenziamento di un singolo pezzo. Modalità che eccezionalmente è rimasta in alcuni animali (es. stella marina) ed è normalmente presente nelle piante. Modificare geneticamente lo zigote voleva dire iniettare DNA nel nucleo. Si prende l’oocita fecondato e con un piccolo ago di vetro si infilzava il nucleo e si iniettava DNA, sottoforma di plasmide come vettore di espressione con geni che seguono un promotore forte. I plasmidi, prima di essere iniettati, sono stati linearizzati in modo da favorire l’integrazione del DNA con il nucleo dello zigote e infatti spesso si avevano ricombinazioni casuali, cioè in zone casuali. Molti fallimenti derivano dal fatto che il DNA si inserisce in zone silenti del genoma e quindi non si sfrutta. Durante l’iniezione si usa anche una pipetta che mantiene la cellula uovo in posizione. Fatta l’iniezione in una decina di oociti, sono ripiantati nell’utero dei topi femmine pseudogravide (ormonalmente viene indotto lo stato di gravidanza), infatti dopo lo stadio di blastocisti non potrebbero più essere cresciuti in vitro. Inseriti nell’utero, avremo la crescita embrionale e poi i topi nascono. Con analisi PCR (su campione che deriva da coda di topo) si può fare un’analisi del DNA dei topi. In una certa quota dei casi si è avuto un risultato positivo, cioè avevano DNA transgenico nel loro genoma. Per fare questo il genoma poteva essere preso da qualsiasi fonte; la più comoda era tagliare la punta della coda. O veniva usato un promotore forte che assicurava l’espressione, ma questo porta ad espressione in tutti i tessuti e questo è poco utile, meno informativo, o addirittura dannoso. È più favorevole usare promotori tessuto specifici. Nei topi transgenici c’è stata un’applicazione pratica (esistono pochi esempi): si può pensare ad un’applicazione in cui il transgene ha un promotore tessuto specifico per la mammella, con un promotore per la caseina (promotore molto forte)→è stato possibile esprimere delle proteine ricombinanti nel latte di mammiferi di grossa taglia (capre, bovini), dove la produzione di latte può essere sostenuta nel tempo e si possono ottenere grandi quantità di latte con grandi quantità di proteina over-espressa. C’è stato anche il tentativo di fare il sangue artificiale, per cui venivano richieste molte proteine che venivano ottenute in questa maniera. Questa tecnica è stata abbandonata perché dal punto di vista industriale è estremamente rischioso. Se introduciamo una proteina di cellule animali in coltura, si tiene uno stock di cellule modificate nel freezer, il resto si tiene nel fermentatore; se il fermentatore si rovina, si deve buttare tutto e ricominciare da capo. Con gli animali non si può fare così: in un allevamento si ha il rischio che ci possa essere una qualche infezione che costringe ad abbattere tutti gli animali, quindi siamo punto e a capo. Topi KO e topi KI La versione più moderna è quella dei topi knock out (KO) e knock in (KI). Con l’editing genomico di nuova generazione si possono modificare tutti gli organismi, non solo i topi. Knock out significa eliminare l’espressione di un gene, a scopi di ricerca; knock in significa modificare il gene a nostro piacimento, sostituire il gene normale con uno che abbiamo modificato per mutagenesi (es. si modificano aa per un recettore, rendendolo meno efficace nell’attacco del ligando e si osserva la reazione nell’organismo). Si parte da una blastocisti di topo(sviluppo dell’embrione dallo zigote, si ha una morula e poi si forma la cavità che ci dà la blastocisti). È un elemento estremamente elastico e comodo da utilizzare perché sappiamo che all’interno ci sono queste cellule della blastocisti (cellule ES, embrionic stem cells) che possono anche essere mantenute in vitro. Si può estrarre una parte di queste cellule, lavorarci sopra e inserirle nuovamente nella blastocisti. Si può fare nuovamente questa cosa sfruttando le cellule ES in coltura, senza prendere una nuova blastocisti. Si ottiene una blastocisti chimerica contiene cellule della blastocisti normale, sia cellule ES. 1. Creazione di un costrutto per ricombinazione omologa 2. nelle cellule ES trasferiamo un costrutto che dia, ad alta efficienza, ricombinazione omologa 3. inseriamo le cellule positive alla ricombinazione nella blastocisti 4. nascita dei topi chimerici Come avviene la ricombinazione: devo avere delle zone in cui ho sequenze uguali sul genoma e sul vettore che trasferto. Al livello della meiosi, al livello dei cromatidi omologhi, avviene l’appaiamento su zone di un qualche centinaio di basi dove viene trovata omologia e abbiamo ricombinazione. Ho un left arm e un right arm di omologia al livello del vettore, di identità, con il gene, con cui si appaiano→il gene viene sostituito e si ha la modificazione del target gene. Es. knock out Ho tre esoni al livello dei quali si individua una ORF sull’mRNA (codone d’inizio si trova verso la fine del primo esone e quello di stop all’inizio del terzo). Voglio fare ricombinazione per eliminare l’espressione di un gene, distruggendolo. Si inserisce un gene di selezione nella sequenza codificante, eliminando l’espressione del gene. Si usa un plasmide con left arm e right arm (dove avviene la ricombinazione) e si sostituisce la sequenza codificante per la proteina codificata dal gene con un’altra sequenza codificante: g418. Quando avviene la ricombinazione omologa, il gene cellulare viene sostituito. È un evento estremamente raro che avviene solo su un allele. Il gene modificato in questa maniera produce un mRNA dove il 5’ non tradotto è lo stesso, ma poi c’è un AUG che è per il g418 (resistenza all’antibiotico) che termina con il suo codone di stop, tutto quello che viene dopo è il3’ non tradotto. Nella stessa zona del gene, sotto il controllo dello stesso promotore, si ha la resistenza a g418. Con questa modalità, quindi, abbiamo le zone di omologia, si formano le due giunzioni di Holliday e abbiamo l’inserimento del la nuova sequenza nel sito. Mettiamo la resistenza g418 sotto il promotore naturale di quel gene: nulla ci assicura che i promotore sia particolarmente attivo nelle cellule ES, potrei non avere l’espressione di g418 e quini non trovare gli eventi positivi di espressione. Per aggirare questo ostacolo, si usano left arma e right arm in maniera diversa: left si mette prima del promotore, per cui si ricombina non solo il gene per la resistenza g418, ma anche un promotore virale proprio di left che siamo sicuri sia efficiente anche nelle cellule staminali embrionali. Es. knock in Fare una ricombinazione in cui tutta la parte del gene è uguale, escluso il fatto che il gene contiene una mutazione. A valle si ha anche la resistenza a g418 con il suo promotore virale. Si ha la possibilità di selezione grazie alla presenza di gene g418; per il transgene è importante che si mantenga lo stesso promotore così da mantenere le sue caratteristiche di espressione (non mi interessa che venga espresso in ES, mi importa che mantenga le caratteristiche tessuto specifiche). Delle cellule che ho trasfertato, raramente alcune di queste vanno incontro all’evento ricombinativo, per cui sono stabilmente resistenti a g418. Tratto con g418, apparentemente muore tutto, ma dopo qualche giorno si ottengono dei foci da cui nascono delle coloni ed i cellule resistenti in cui dovrebbe esserci stato l’evento di ricombinazione. Le cellule resistenti vengono reinserite nella blastocisti e poi in utero per portare a termine lo sviluppo dell’embrione. Nascono topi chimerici, fatti di due individui: uno è l’individuo della blastocisti ospite, l’altro sono le ES cells che derivano da un’altra blastocisti. Per vedere se si ha effettivamente il topo chimerico si osserva il pelo: le ES cells sono di topo nero (dominante), mentre la blastocisti ospite è un topo bianco (recessivo). Questi topi chimerici sono anche detti mosaico perché hanno il pelo a chiazze→topo che dovrebbe essere fatto in parte da cellule di un tipo e in parte da cellule di un altro tipo. Il grado di mosaicismo può essere vario e dipende dal fatto che in un soggetto siano prevalenti le cellule di un tipo o di un altro. Dopo l’esperimento ottengo un tot di topi bianchi, che vengono esclusi perché le cellule ES erano del topo nero. Per separare i due topi al livello dei topi chimerici, li incrocio→incrocio un topo chimerico con un topo bianco. Nel topo chimerico, al livello delle gonadi, bisogna che ci siano cellule derivanti dalla linea germinale del topo nero (ES cells) e una quota di cellule derivanti dalla blastocisti bianca. Se gameti chimerici si incrociano con gameti di topo bianco, si ottengono bianchi in caso di omozigosi per bianco ( gamete b+ gamete b) oppure neri in caso di eterozigosi (b+n) o omozigosi per nero (n+n). I topi bianchi li escludo perché sicuramente non hanno ricombinazione. I topi neri hanno geni ricombinanti al 50% e normali al 50% perché nei gameti neri che derivano dalla cellula diploide nera, in quest’ultima si avrà praticamente sempre un allele transgene e uno normale: quando si formano i gameti saranno anche questi 50 e 50. E così quando si uniscono al gamete bianco. Quando invece faccio l’incrocio, non si può azzardare una quantità di topi bianchi o neri, perché dipende dal grado di mosaicismo. A questo punto analizzo DNA prendendo un pezzetto di coda dai topi neri e con PCR capisco se c’è stato l’evento ricombinativo o no. 50% dei topi neri dovrebbero essere transgenici eterozigoti. Per ottenere gli omozigoti si incrociano due eterozigoti (che si chiamano founders) e nel 25% dei casi si ottiene omozigosi→ - 25% di omozigote transgenico - 25% di omozigote normale - 50% di eterozigosi I ricercatori che fanno questi esperimenti hanno due paure: 1. Si fa l’omozigote e ci si aspetta un certo fenotipo, ma non si ha risultato→si elimina un gene la cui azione, però, viene sostituita da altri geni con funzioni simili e quindi non si ha alcun cambiamento. 2. Andare ad interferire con un gene così importante per cui magari il topo nasce, ma non si riproduce o muore (nel caso dell’omozigosi). Abbiamo una possibilità con quelli in eterozigosi. Ricercatore a questo punto ricerca il fenotipo e lo analizza. Es. knock out per proteina brk, espressa a livello dell’intestino. Si è visto che la proteina influisce sulla lunghezza, taglia dei villi, soprattutto al livello del digiuno e dell’ileo. Con western blot osserviamo dove la proteina viene espressa (topi knock out l’espressione è azzerata). Viene usata anche la beta actina per quantificare le cellule. Clonaggio di animali Non è una tecnica del DNA ricombinante (taglia e cuci). Qui si hanno due cellule che si mettono insieme, come se fossero due gameti. È un esperimento che fu fatto nel 1996: si usa una cellula uovo di pecora testa nera, in cui viene sostituito il nucleo: modifichiamo l’identità genetica di quella cellula→il nucleo di una cellula somatica (mammaria) di una pecora donatrice, riesce a modificare il DNA da una cellula differenziata a una totipotente? Si. Si riuscì a sviluppare l’embrione fino allo stadio di blastocisti che poi è stato impiantato in una pecora che ha dato vita alla pecora clonata. In questo modo è stata clonata la pecora donatrice del nucleo, ma non per il genoma mitocondriale, che è della pecora che ha donato l’oocita fecondato (repertorio mitocondriale è al 100% di origine materna). Il clonaggio di animali è più semplice in alcune specie che in altre. Nelle scimmie si era creato un modello per la malattia umana per avere una linea per fare esperimenti su questa patologia umana dal punto di vista farmacologico. Con le scimmie è stato molto difficile per cui solo recentemente (2016) è stato effettuato un clonaggio. Nel 2004 fu fatto un primo esperimento, ma nessuna sopravvisse. PIANTE TRANSGENICHE Se io ho una pianta, posso prendere delle cellule, per esempio della foglia, e metterle in coltura in certe condizioni e possono essere modificate in modo che da queste si formino delle nuove piante. Si possono usare due tecniche: cannone genetico (gene gun) e agrobacterium (più sofisticata) che sono entrambe efficaci nel trasferire DNA all’interno delle cellule→nelle cellule vegetali non si può fare trasfezione tramite i liposomi, perché le cellule hanno una parete che rappresenta un grosso ostacolo. Con il gene gun, il DNA che si vuole inserire viene adsorbito su delle piccole particelle d’oro che vengono sparate sulle cellule. Queste particelle formano dei fori che sono così piccoli da non creare danno alla cellula. Una volta nel citoplasma il DNA viene rilasciato e va ad inserirsi nel DNA della pianta (ci saranno poi geni di selezione). Faccio selezione e dalla cellula selezionata è possibile generare una nuova pianta transgenica. Si è superato il problema del delivery per una terapia ex-vivo, per il tessuto ematopoietico (per i tessuti solidi rimane il problema). Il virus difettivo infetta (non si ha trasfezione) le cellule bersaglio ad alta efficienza e poi farà finta di essere un retrovirus: l’RNA viene rilasciato come genoma retrovirale e la RT lo retrotrascrive e l’integrasi lo integra come provirus (non nelle Helper). È un’infezione terminale, dato che non si producono altri virus (il genoma retrovirale non lo può fare e nelle cellule non si hanno le proteine retrovirali), ma solo mRNA che ha come ruolo quello di essere un gene altamente trascrivibile e integrato nel genoma delle cellule. Terapia ex-vivo Realizzabile soprattutto con cellule del tessuto ematopoietico. Si fa un espianto, si prendono le cellule dal midollo osseo, ci lavoriamo sopra (si inserisce il gene), si amplificano quando possibile (si prendono cellule staminali) e poi si reinseriscono. È possibile effettuarlo anche su altri tessuti, ma con efficienza minore. Anni 90 esperimento su bambina con sindrome ADA (carenza di adenosina deaminasi, uno degli enzimi della degradazione dell’adenosina ad ipoxantina): un difetto su questo gene omozigote porta ad una gravissima immunodeficienza (bambini avevano bassissima aspettativa di vita). I bambini, se mantenuti in ambiente sterile, hanno possibilità di sopravvivere, qualità di vita bassa. Sembrava, questa malattia, un ottimo candidato per la terapia genica, dato che era monogenica e a carico dei linfociti. La modalità molecolare sembra molto semplice: si reintegra il gene normale. Venne fatto un retrovirus difettivo che esprimeva l’adenosin deaminasi normale e la resistenza al g418. Questa carenza si aveva soprattutto al livello delle cellule T, ottimo bersaglio per il retrovirus. Con espianto si prendono le cellule staminali dal midollo, si trattano inserendo il retrovirus, e si usa la selezione. Dopo un po’, queste cellule, una volta che in coltura, ex-vivo, si avevano tutte cellule curate, vennero impiantate nella bambina portando avanti anche un trattamento blando con g418 per aiutare anche in vivo la selezione delle cellule convertite. Infatti, non è possibile prelevare tutto il tessuto del midollo osseo, per cui nella bambina rimaneva anche del tessuto che veniva eliminato per radiazione grazie a trattamento con g418. Non esistevano problemi di compatibilità dato che il midollo osseo era quello del paziente. Infine, fu visto che si aveva di nuovo una risposta immunitaria. Ci vollero tre interventi di questo tipo per assicurare una risposta con successo. Si formarono nuove cellule staminali trasfertate che diventarono le cellule che producevano costantemente queste cellule curate. Purtroppo, non andò tutto bene, si sviluppò una risposta immunitaria. - 1990-1999→approvazione di numerosi protocolli clinic con diversi vettori - 1999→primo decesso causato da vettori virali; rivalutazione di tutti i protocolli clinici - 2002→si capisce che l’integrazione retrovirale è causa di tumori trattati (leucemie). Il virus aveva una mutagenesi inserzionale, si inseriva andando a disattivare un oncosoppressore, uno dei passi che porta al tumore: dopo 9/10 anni si sviluppavano questi tumori. Fu visto che questi retrovirus avevano questa mutagenesi inserzionale per cui il fenomeno comune era anche quello dell’attivazione di un proto-oncogene. Si pensò di cambiare vettore e andare sui lentivirus: simili a retrovirus, anche migliori perché possono infettare cellule quiescenti, in G0 (aumenta lo spettro delle cellule che si possono infettare), e si integrano in maniera casuale, con scarsa mutagenesi inserzionale. Hanno, però, una cattiva reputazione, perché ne fa parte l’HIV. Nel 2006 dimostrarono che la mutagenesi inserzionale di questi virus è molto minore rispetto a quella dei retrovirus. Si utilizzarono dei topi tumor-prone, topi che nella loro vita è già probabile che si riempiano di tumori perché sono topi knock out per carenza di un determinato gene che porta a carenza di p53 e retinoblastoma. Quindi se si fa qualcosa che si sospetta dia tumore, è più facile vederlo in questi topi in breve tempo. Si osservò che i lentivirus non davano questo effetto di mutagenesi inserzionale, per cui si aveva una notevole differenza con i retrovirus. La certezza non si aveva ma erano molto più sicuri. Vettori virali • Retrovirus→possono infettare solo cellule in divisione e si integrano stabilmente. Possibile mutagenesi inserzionale. • Lentivirus→derivati dei virus dell’HIV, possono infettare cellule quiescenti e si integrano stabilmente in maniera casuale. • Adenovirus→esprimono alti livelli la proteina eterologa, non si integrano stabilmente. Possono dare reazioni immunitarie, per cui il virus viene eliminato prima che possa infettare. • Virus adeno-associati (AAV)→integrazione sito specifica ed espressione stabile nel tempo, difficile produrli ad alto titolo. • Herpes simplex→alta capacità infettiva, ma molto selettiva dei neuroni, ma importanti effetti citotossici. In alcuni casi vengono usati gli adenovirus, in molti casi gli adeno-associati; herpes simplex si usano per gli effetti citotossici. Terapia genica ex-vivo→trasferimento del DNA in cellule precedentemente isolate dall’organismo e cresciute in laboratorio. Le cellule così modificate possono essere reintrodotte nel paziente. Terapia genica in vivo→ trasferimento di DNA direttamente nelle cellule o nei tessuti del paziente. Il trasferimento del DNA avviene solo a carico delle cellule somatiche, quindi il trattamento non è ereditabile ed influenza soltanto il singolo paziente Problemi irrisolti della terapia genica sono: - Efficienza di trasferimento - Selettività del bersaglio→alcuni virus preferiscono delle cellule rispetto ad altre - Durata dell’espressione del gene trasferito→dobbiamo agire sulle cellule staminali - Sicurezza della procedura→se si fa sperimentazione dobbiamo essere preparati ad eventi inaspettati - Reazioni immunitarie→impossibilità di procedere a infezioni successive Fibrosi cistica Malattia dovuta alla carenza omozigote del canale del cloro. Malattia genetica relativamente comune, che non è mortale, ma la speranza di vita si dimezza e si ha una qualità di vita scarsa. Coinvolge vari organi, ma il problema principale è al livello del tratto respiratorio dove si produce un muco particolarmente solido che permane e che dà infezioni, per cui spesso si hanno gravi infezioni a livello delle vie aeree che possono anche portare a morte. In questo caso, si usa uno spray in cui ci sono degli adenovirus adatti ad infettare le cellule dell’epitelio respiratorio, senza arrivare alle cellule staminali, ma queste cellule infettate esprimono di nuovo, per un periodo limitato (cellule vengono cambiate), per un mesetto, la pompa del cloro normale e le cellule degli starti più superficiali producono un muco normale. Per cui si tratta, ogni mese, di effettuare questo trattamento, che risulta essere poco invasivo. Emofilia Carenza di fattore VIII, proteina di secrezione prodotta dal parenchima epatico. Non è possibile fare un trattamento ex-vivo, non si può prendere materiale epatico e reimpiantarlo. Il fegato, però, risulta essere estremamente irrorato ed è stato possibile trasferire il gene normale mediante infezione con adenovirus associati delle cellule staminali, che si iniettano al livello della vena porta che tramite il flusso sanguigno arrivano a livello epatico. Si ha una produzione non ottimale, ma comunque discreta, del fattore, per cui semmai, ogni tanto, si somministra il fattore VIII ricombinante. Il fegato è un buon bersaglio perché il delivery viene effettuato attraverso il sangue. Ci sono state molte sperimentazioni, circa 200, che hanno coinvolto circa 3.000 pazienti. Tuttavia, i risultati ottenuti finora, sono quasi tutti strettamente sperimentali e l’applicazione su vasta scala rimane una prospettiva per il prossimo futuro. Trattamento dei tumori a livello genico (teorico) Possibile knock out fenotipico di un oncogene, proto-oncogene attivato, con tecniche di interferenza a RNA (loss of function), trasferendo il gene che producono i miRNA. Oppure possibile espressione di un oncosoppressore (che abbia subito mutazioni inattivanti) attraverso la terapia genica per cui si avrebbe un gain of function. Queste tecniche di gain e loss of function si sono rilevate di difficile applicazione e spesso non risolutive perché possiamo agire in questa maniera su uno, massimo due geni di un tumore, ma questo non basta per essere risolutivo, anche perché bisognerebbe andare a colpite TUTTE le cellule tumorali: uno 0,1% è sufficiente a far ripartire il tumore. Sono in sperimentazione delle tecniche di editing genomico (tecnica CRISPR) che modificano alcuni geni delle cellule del sistema immunitario del paziente, potenziandolo. Ad esempio, l’editing del gene PD-1 espresso al livello dei linfociti. TECNICA CRISPR/Cas9 Tecnica di editing genomico con cui si possono modificare geneticamente degli organismi, in maniera molto più semplice dei topi KO. Questa è attuabile, virtualmente, in qualsiasi organismo (in tutti gli organismi in cui è stata provata finora è stata un successo). Permette di introdurre mutazioni mirate nel genoma di qualsiasi organismo; è possibile modificare porzioni di sequenza di un certo gene. La modificazione del gene non è per forza pesante (come topi KO e KI), per cui si può facilmente indurre mutazioni piccole o grandi. 21/03/2023 Lezione 11 Una ricercatrice francese studiava il genoma batterico e individuò delle brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari da delle sequenze che sono sempre uguali (CRISPR). La ricerca è andata avanti e si è capito che è una sorta di sistema immunitario mediato da molecole di RNA contro i batteriofagi. Con l’analisi delle sequenze, poi, è stato visto che, nelle cellule procariote, nel genoma viene codificata una proteina, una particolare endonucleasi, che si chiama CAS9 che entra in gioco in particolari momenti. Il locus CRISPR è fatto da ripetizioni tutte uguali, corte (decine di basi), a intervalli regolari con sequenze identiche tra loro, intervallate da altre sequenze più o meno della stessa lunghezza, ma di verse tra loro. Queste sequenze erano state rubate da genomi virali: il batterio viene infettato dal virus verde, la coltura batterica viene devastata, ma una volta ogni tanto un batterio sopravvive e vi viene ritagliato un pezzetto di DNA del virus di 20/30 basi che viene inserito in questa zona della CRISP. Da questo batterio nasce una coltura batterica che ha acquisito questo DNA che è diventato patrimonio genomico del batterio. In questa colonia si ha nuovamente l’infezione del virus, una sopravvive e viene preso un altro pezzetto del DNA del virus (giallo) e così via. Il batterio, nella sua storia evolutiva, ha creato questa biblioteca in cui sono stoccati pezzettini di genomi virali diversi. Questo perché il locus CRISPR veniva anche trascritto in un RNA iniziale che poi veniva spezzettato in altri RNA con una parte che forma una forcina (parte comune, nera) e poi la sequenza dell’RNA virale (RNA guida-gRNA). Così, se venivano infettati nuovamente dal virus, erano capaci di riconoscerlo e fungevano da sonda per quel particolare ceppo virale. A questo punto entra in gioco CAS9, che prima si lega a questi frammenti di RNA che fungono da sonda, e una volta formata la struttura effettua un taglio sul doppio filamento del genoma virale, distruggendolo: si ha protezione dall’infezione. È una sorta di sistema immunitario mediato da RNA complementare al virus. Se trasferiamo questo sistema in una cellula eucariotica, quello che si ottiene, se lo ingegnerizziamo, è un sistema per fare un taglio sul doppio filamento in un sito di nostra scelta usando l’RNA come sonda e CAS9 per il taglio. Se si introduce un double strand break induciamo la riparazione di questo danno e si può andare a sfruttare HR (homolugus recombination) per fare editing genomico e quindi fare KO o KI. Nella cellula, oltre al gRNA viene prodotto anche un piccolo RNA (tracrRNA) che si va a legare alla parte comune del gRNA. La CAS9 ha due domini endonucleasici, uno per un filamento e uno per l’altro. Il primo trucco fu quello di avere un gRNA unico, unendo il gRNA e il piccolo RNA (tracrRNA) tramite un linker loop, controllando che il nuovo costrutto chimerico funzionasse lo stesso. CAS9 lo riconosceva con efficienza dato che si rispettava la struttura tridimensionale. Una volta legato, CAS9 viene inviato verso un sito specifico del DNA (sequenza PAM) e induce un taglio. La sequenza PAM è un trinucleotide in cui la prima può essere una qualsiasi base e poi si ha GG (comune in qualsiasi genoma), ma è fondamentale perché quando si riconosce il DNA target ci deve essere questa sequenza PAM su un’estremità e deve essere assente nell’RNA comune, altrimenti il DNA stesso del batterio diventerebbe bersaglio di CAS9. Utilizzo in terapia genica È una tecnica che si può pensare possa essere usata per la cura delle malattie genetiche. Es. sindrome di Hunter→si ha la carenza di una proteina espressa a livello del fegato, per cui la malattia è difficile da approcciare dato che non si possono prelevare e reinserire le cellule. Il problema è il delivery, il fatto che il sistema raggiunga le cellule, una volta fatto poi si ha un successo. Si è usato lo ZF nuclease, veicolato da adenovirus associati, a cui il fegato è sensibile, attraverso il sangue iniettandoli nella vena porta. Viene iniettata una grande quantità di virus rendendo probabile che un certo numero di cellule del fegato vengano modificate. Questo ha portato alla riattivazione di un numero limitato delle cellule del fegato. La malattia ha tanti stadi diversi, per cui nelle forma gravi non si riesce ad agire, ma negli stati non gravi si può tornare quasi alla normalità. CRISPR è associato ad altre tecniche di biologia molecolare che si basano sulla riprogrammazione di Yamanaka, che portano alla produzione di iPS cells (induced pluripotent stem cells). Ha creato un protocollo con cui cellule trattate con fattori di crescita e altamente proliferanti come i fibroblasti (facili anche da prelevare) possono essere riprogrammati per ottenere cellule di tipo diverso (per es. intestinali). Queste cellule possono poi essere inserite nell’organo. Un’altra modalità è quella di prendere le stem cells adulte, corrette in vitro e poi reinserite nel tessuto corrispondente (come nella sindrome ADA). Sulla riprogrammazione c’è ancora da vedere se queste cellule, su lungo periodo, si comportano benne o se cerano danni. In oncologia Una delle cose più importanti per cui viene usata questa tecnica è in oncologia. Ad oggi, i tumori si curano con anticorpi ricombinanti, tanti tipi di inibitori specifici. L’idea è fare terapia genica sulle cellule T del paziente stesso, le cellule che dovrebbero aggredire quelle tumorali. Nella regolazione del sistema immunitario si ha il recettore PD1, recettore di PD1-L che vi si lega bloccando il responso delle cellule T: sistema di sicurezza che fa sì che la risposta non sia troppo violenta, ma che le cellule tumorali sfruttano per proteggersi. L’idea è di fare editing sulle cellule T, eliminando il recettore PD-1, rendendo nulla la sua attività inibitoria. Sono ancora abbastanza a livello sperimentale, ma funziona. Non si fa solo nelle cellule staminali, ma anche in linfociti T maturi, con effetto transiente (settimane). In questa maniera non si modifica il sistema immunitario in maniera permanente. PD-1 può essere anche bloccato con anticorpi umanizzati, legandosi al recettore. I due trattamenti sono entrambi funzionati ed in uso. Un altro sistema è il CAR-T (chimerc antigen receptor) modalità di modificazione in cui le cellule T vengono costrette, inserendovi un nuovo gene quando si ha a che fare con tumori di cui consociamo antigeni specifici, ad esprimere questo recettore chimerico, rendendole particolarmente specifiche e potenti nell’azione contro il tumore. Si è pensato di utilizzare sia PD-1 e CAR-T, quindi disattivando PD-1 e attivando il recettore chimerico. È possibile fare editing su zigoti umani? Si, solo che si può fare editing solo su cellule somatiche, modificazioni quindi non ereditabili in modo da non coinvolgere la specie. Nel 2018 è stato annunciato che erano nate due bambine da una madre surrogata sui quali zigoti è stata fatta una modificazione che rende immuni all’HIV (avevano pure sbagliato). Moralmente errato, perché queste bambine non hanno dato il permesso, non hanno i genitori e è come se fossero delle provette, oltre il fatto che si va a toccare la specie. Tra l’altro, una cosa del genere è dei gradi di aleatorietà molto grandi: non è possibile prevedere tutte le conseguenze nel lungo periodo. Questa aleatorietà è dovuta al fatto che, quando si fa CRISPR, questa può riconoscere anche sequenze off-target che viene riparato con NHEJ: induco mutazioni in punti imprevedibili. Controllare se CRISPR ha riconosciuto la sequenza off-target è difficile. Spesso viene fatto l’esperimento due volte, usando sequenze CRISPR diverse. Si ha la speranza cambiando la sequenza on-target. Si può fare mutagenesi su CASP9 rendendolo più efficace. 22/03/2023 Lezione 12 LA PCR Si tratta di una serie di passi in sequenza da cui si parte da un doppio filamento di DNA che viene denaturato per mezzo del calore. Fin dall’inizio abbiamo un primer forward e reverse (dobbiamo conoscere la sequenza bersaglio). Dopo la denaturazione i primer si ibridizzano formando una giunzione innesco stampo su cui agisce la polimerasi. Con l’utilizzo della taq polimerasi che si inserisce nella provetta dall’inizio (insieme a primer equimolari e deossinucleotidi) si forma il primo elongato con un a lunghezza indefinita perché va avanti finché facciamo andare avanti la reazione (che avviene a 72°, temperatura ottimale per la Taq polimerasi); più o meno, ogni minuto, vengono copiate circa un migliaio di basi. L’elongazione va avanti per una lunghezza indefinita di circa un migliaio di basi, che va oltre il punto del primer forward e reverse. Nel secondo ciclo cambia la temperatura e dopo denaturazione ci sono due nuove posizioni in cui si possono legare gli inneschi, i primer. La PCR funziona se il forward crea una sequenza a cui si possa legare il reverse e viceversa. Cominciano a venire fuori i prodotti a lunghezza predefinita che vanno dal 5’ del forward al 5’ del reverse. Quelli a lunghezza definita aumentano esponenzialmente, quelli a lunghezza indefinita aumentano aritmicamente. Il prodotto può essere visto su gel di agarosio che ci permette di vedere se la reazione è avvenuta e di controllare con una relativa precisione la taglia dei frammenti (conferma della taglia della sequenza iniziale). In qualsiasi PCR, se si vuole essere sicuri, bisogna fare una sequenza di questo DNA, perché non è escluso che la taq polimerasi aggiunga delle mutazioni (ha un proof-reading non eccezionale). Esistono delle versioni di taq polimerasi error-prone in cui è stata annullata l’attività di proof reading per gli esperimenti in cui può essere necessario creare delle mutazioni random per avere una grossa collezione di molecole diverse, in cui magari si trova una d’interesse. La temperatura T melting è la temperatura alla quale il 50% delle molecole sono adese e il 50% no. La temperatura di annealing, sono 2° sotto, in cui tutti i primer sono ibridizzati al DNA. RT-PCR Molto spesso si fa PCR di tipo quantitativo a partire da un RNA. Si utilizza il primer reverse sull’RNA che ibridizza formando una giunzione innesco stampo per una trascrittasi inversa che copia l’RNA fino al 5’ e si ottiene il primo filamento di c-DNA a temperatura 42°. Si elimina l’RNA e si ibridizza il primer forward al c-DNA e si forma il doppio filamento grazie una DNA polimerasi e da qui si inizia con la PCR normale. La PCR non è una reazione quantitativa, lo è solo grossolanamente, se le quantità di DNA iniziale sono molto alte non si vede più la differenza. È interessante avere PCR quantitativa: • SYBR green→intercalante del doppio filamento per cui si può misurare, con la fluorescenza verde che emette quando colpito da laser. • Reazione Taqman→si usa un terzo primer che si lega al DNA tra i due primer per cui quando trattiamo il DNA ad alta temperatura si apre il doppio filamento; quando scendiamo alla temperatura di annealing questo si inserisce nel mezzo, sulla strada della polimerasi. Questo primer ha un fluoroforo e un quencher che assorbe l’emissione del fluoroforo quando sono vicini, per cui quando il primer è intatto, la fluorescenza viene assorbita. Via via che la reazione va avanti, la taq polimerasi inserisce un nick sul primer, sperando il fluoroforo dal quencher e quindi si ha emissione di fluorescenza che può essere letto direttamente nel tubi tramite un raggio UV e un fotomoltiplicatore che lo misura, per cui in real- time si può valutare la quantità di DNA. Può essere messo in dei grafici che forniscono le curve di PCR, con una zona con andamento esponenziale. Il fatto che le curve partano parallele, sta ad indicare che si parte da quantità di DNA bersaglio diverse. Dopo una soglia di luce il fotomoltiplicatore inizia a vedere la quantità di luce emesse: può succedere molto precocemente (10/12 cicli) o tardamente (20/25 cicli). Se l’emissione avviene in maniera precoce si ha una grande quantità di DNA. Diagnosi di malattie genetiche Vogliamo vedere se gli alleli presentano una mutazione. Amplifichiamo una zona intorno al punto di mutazione (devo sapere dove andare ad amplificare) e poi si analizza la sequenza del frammento. Potremmo avere omozigote normale, eterozigote, omozigote malato. In malattie come la fibrosi cistica è più complesso perché si hanno centinaia di mutazioni diverse e quindi bisogna sapere di quale si tratta e la posizione che è stata colpita (ci sono casi più comuni per cui si possono fare meno prove). Uno dei casi più comuni è la coding region non synonymous e la frame shift: la prime è mutazione in cui vengono tolti tre nucleotidi (viene tolto un codone). Nell’altra si ha l’exon skipping dell’esone 9. Per la ricerca di queste mutazioni, si fanno due primer che amplificano o la zona dell’esone in cui c’è stata una variazione all’altezza della zona polipirimidinica o intorno a quel codone che può mancare o meno e si amplifica. Per l’analisi di malattie genetiche non è tanto importante l’analisi nel neonato/adulto, ma nella fase prenatale : in un feto non vengono ancora espresse le proteine, per cui bisogna andare a vedere il DNA dello zigote. Si può fare con amniocentesi o villocentesi e fare PCR su materiale di provenienza fetale. È importante anche come analisi per l’impianto, prelevando le cellule da blastocisti, queste possono essere coltivate in vitro prima di fare PCR e si possono scegliere le blastocisti in cui la malattia non c’è o non è in forma grave. Diagnosi per malattie infettive Si cerca in una qualche fonte (es. sangue, siero, saliva ecc.) eventuali agenti infettanti. In tutti i materiali si ha grande quantità del DNA dell’ospite e tracce dell’agente infettante, ma la PCR è molto sensibile, per cui si dovrebbe comunque avere amplificazione. È possibile farlo per qualsiasi malattia infettiva di cui si conosca la sequenza, anche parziale, del genoma dell’agente infettante. Per il covid si fa RT-PCR. Per il papilloma possiamo anche fare tipizzazione: fare primer che siano capaci di amplificare un certo ceppo e non gli altri. Ci informa se siamo in presenza di ceppi high-risk (virus oncogeno). I test per malattie infettive si possono fare senza PCR quantitativa, ma in alcuni casi può essere interessante per calcolare la carica virale, per esempio per HIV, per monitorare l’andamento della malattia. Nel caso dei tumori è importante distinguere il tipo di attivazione del proto-oncogene: si può avere o attivazione della sequenza modificante (es. Ras) o attivazione per aumento di quantità della proteina (es. Myc). Nel caso dell’aumento dell’attività, se si vuole vedere se Ras c’entra nel tumore, si fa amplificazione, conoscendo le mutazioni di Ras, dell’mRNA e si guarda se si ha mutazione in eterozigosi dato che le mutazioni per gain of function sono dominanti (basta che un allele sia positivo per avere un responso). Se si vuole vedere se è coinvolto Myc, non serve fare la sequenza dell’mRNA, dato che la proteina è sempre corretta, cambia solo il livello di espressione. Si deve allora fare qPCR partendo dall’RNA, valutandone la quantità. Se si vuole vedere la sequenza codificante si può andare a vedere sia l’RNA che il DNA. Ci sono casi particolari come quello del proto-oncogene Bcl2 che viene attivato per traslocazione. Si ha che il livello di espressione aumenta tantissimo e blocca l’entrata in apoptosi. Si ottiene il linfoma follicolare, in cui la proliferazione delle cellule è quasi normale, ma il numero delle cellule aumenta nel sangue dato che queste non vanno in apoptosi. Per vedere se è coinvolto Bcl2 si potrebbe fare qPCR sull’mRNA e si vede che è over-espresso. Ci interessa analizzare nel sangue quanto è il numero di cellule ancora tumorali in circolo (per la somministrazione farmacologica): si sfrutta la traslocazione di Bcl2 che è saltato sulle catene pesanti delle Ig e si ha avuto ricombinazione tra il cromosoma 14 e 18 in questa zona. Si fa una PCR che amplifica solo la ricombinazione con innesco sulla catena H e uno su Bcl2, in una cellula normale in cui le due posizioni sono su due cromosomi diversi, la PCR non avrà esito positivo. Nel caso in cui si abbia subito la modificazione, la PCR funziona: prendo dal sangue del paziente i linfociti, estraggo DNA e faccio PCR quantitativa per vedere il numero di cellule tumorali in circolo. Microsatelliti Hanno scarsa importanza nel genoma, ma si usano per l’identità personale perché questi loci, nell’evoluzione, è facile che avvengano crossing-over ineguali e quindi ognuno di questi siti ha misure diverse, si ha un polimorfismo di lunghezze di sequenze che risulta essere personale per ogni individuo. Si fa con una tecnica particolare di PCR con inneschi su queste sequenze che sono particolarmente conservate e che alla fine danno un quadro preciso per ogni individuo, per cui se le bande sono di lunghezza diversa, sono estranei. Se invece due di questi DNA avessero lo stesso bandeggio possiamo concludere che si ha identità. Se la frequenza delle bande uguali non è al 100%, ma è sopra una certa soglia, allora sono parenti stretti (mamma, babbo, fratelli). SEQUENZIAMENTO DEL GENOMA UMANO Ancora non siamo arrivati al 100% perché ci sono delle regioni del DNA che sono particolarmente resistenti al sequenziamento. Col tempo si iniziarono a definire i geni; ad oggi dei 24.000 se ne conoscono una buna parte, ma qualche migliaio manca ancora all’appello.