Scarica G. Geraci, A. Marcone, Storia romana e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Riassunto Manuale Storia Romana I popoli dell’Italia antica (XXII-XVII a.C. -> 509 a.C.) 1.L’Italia Preromana 1.1L’Italia dall’età del bronzo all’età del ferro. Tra l’età del bronzo medio (17-14 sec.) e la prima età del ferro (9 sec.) si passa dalla presenza di gruppi umani di piccole dimensioni al sorgere di forme complesse. L’Italia nell’età del bronzo si contraddistingue per la sua uniformità. Un fenomeno importante che si realizza in quest’età è l’incremento demografico, fenomeno evidente nella cultura “terramaricola” sviluppatosi nella pianura padana, diede vita ad insediamenti che poggiavano su una sorta di impalcatura di legno. Nel corso dell’età del bronzo recente è documentata un’intensa circolazione di prodotti e di persone, tale circolazione favorì il formarsi di aggregazioni più consistenti. Con l’inizio dell’età del ferro l’Italia presenta un quadro differenziato di culture locali. Esistono due gruppi di popolazione che praticavano riti diversi: nell’Italia settentrionale e lungo la costa tirrenica si ricorre alla cremazione mentre nelle restanti regioni all’inumazione. In Etruria e in Emilia emerge una cultura nota con il nome di Villanoviana. Molti importanti siti villanoviani si svilupperanno più tardi nelle città stato etrusche. La diversità delle culture presenti ha un riscontro in un quadro linguistico assai variegato, queste lingue si possono ricondurre a due grandi famiglie: quelle indeuropee (latino e il falisco) e quelle non indeuropee. Nella lingua italica si distinguo tre sottogruppi, contraddistinti da varianti dialettali: uno umbro-sabino nel Centro Nord, uno osco nel Centro Sud e un terzo, meno noto riferibile agli Enotri e ai Siculi. La principale lingua non indeuropea parlata in Italia era l’etrusco (anche il ligure o il sardo). Un posto di eccezionale rilievo tra le culture dell’Italia è rivestito dalle colonie della Magna Grecia nell’Italia meridionale, a partire dalla metà dell’VIII sec. a.C. 1.2 I primi frequentatori dell’Italia meridionale. Le notizie storiografiche e letterarie sull’origine del popolo italico si devono in particolar modo ai greci, che iniziarono a scrivere dell’Italia solo nel V sec. a.C. Allo storico greco Dionigi di Alicarnasso, che scrive a Roma all’epoca dell’imperatore Augusto, dobbiamo una sintetica presentazione dei più antichi frequentatori dell’Italia meridionale (gli Arcadi). All’origine del riassetto del territorio e del suo popolamento difficilmente però può esserci stato l’arrivo di una popolazione dell’Arcadia (della Grecia). I dati archeologici lasciano predisporre una cultura del meridione italico. Tra le popolazioni indigene e i Micenei non esistevano soltanto rapporti di tipo commerciale ma c’erano rapporti anche più complessi. Dopo un’interruzione di quasi quattro secoli, legata alla crisi del mondo miceneo, le importazioni di ceramica prodotta in Grecia riprendono sulle coste calabresi nella prima età del ferro. Questa ripresa preannuncia una svolta nell’interesse dei Greci per l’Italia meridionale che si tradurrà in una grande impresa di colonizzazione. 1.3 Le trasformazioni dell’Italia centrale. Tra l’VIII e il V sec. a.C. si assiste a un grande fenomeno espansivo delle popolazioni dell’Appennino centro-meridionale: i Sabini che si intromettono nella Roma dei Latini e gli altri gruppi etnici di lingua non latina occupano il Lazio. Sul versante adriatico comincia a configurarsi la civiltà picena e nel VII sec. a.C. in quest’aria comincia ad affermarsi una cultura simile a quella che caratterizzava l’Etruria e il Lazio: una ristretta élite che si distingue dal resto della società per il lusso che persegue. In quest’area si registra l’arrivo di prodotti, espressione della cultura orientalizzante, che favoriscono la diffusione delle nuove forme artistiche. 2.Gli Etruschi 2.1 Origine ed espansione degli Etruschi. Gli Etruschi sono la più importante popolazione dell’Italia preromana. Per Erodoto che scriveva nel V sec. a.C. si trattò di un gruppo di Lidi provenienti dall’Asia, mentre per Dionigi da Alicarnasso, nel I sec. a.C. li riteneva genti autoctone. La ricerca archeologica e storica moderna propende a spiegare l’origine etnica degli etruschi come il punto di incontro di due tipi di processi: da un lato un evoluzione della struttura interna delle società; dall’altro l’influenza che su queste esercitano le influenze esterne (i rapporti con le colonie greche nell’Italia meridionale). L’origine della civiltà etrusca sembra dunque riconducibile ad uno sviluppo autonomo, nella fase della loro massima espansione (VII-VI sec. a.C.) nonostante controllavano gran parte dell’Italia centro-occidentale non riuscirono a dar vita ad uno Stato unitario. Erano organizzati in città indipendenti, governate da sovrani detti “lucumoni” poi sostituiti da magistrati. L’unica forma di aggregazione era rappresentata dalla lega delle 12 città principali. Aveva inoltre un carattere profondamente aristocratico: il governo della città era nelle mani di un gruppo ristretto di proprietari terrieri e di ricchi commercianti. Il processo di espansione degli etruschi subì una prima battuta d’arresto nel 530 a.C. in seguito ad una battaglia navale ingaggiata con i Focei (colonia Greca). L’espansione degli etruschi verso l’Italia meridionale fu arrestata nel 474 a.C. 2.2 Religione e Cultura. Le divinità del pantheon sono in gran parte assimilabili a quelle greche. Hanno nomi di evidente origine ellenica, altri mentre hanno nomi che rivelano un origine indigena. Nella religiosità etrusca ha un importanza particolare la concezione dell’aldilà: il defunto è immaginato continuare la propria esistenza nella tomba, perciò concepita come un prolungamento della dimora del vivo. In un secondo tempo, questa immagine dell’aldilà venne concepita come una destinazione dopo un lungo viaggio. Agli Etruschi premeva molto la corretta interpretazione dei segni della volontà divina visibili in terra. Di qui l’importanza attribuita all’arte di interpretare tale volontà ovvero “l’aruspicina” (esame delle viscere degli animali sacrificati) che si basa sulla concezione di una fondamentale unità cosmica secondo cui negli organi si riprodurrebbe l’ordine dell’universo. 2.3Il problema della lingua. I testi etruschi possono essere letti con relativa facilità in quanto l’alfabeto di questi è un riadattamento di quello greco. È una lingua non indeuropea. I testi che ci sono giunti sono costituiti per lo più da brevi formule. Abbiamo pochi testi di una certa estensione: per esempio il liber linteus di Zagabria che contiene un calendario religioso. 2.4 Tecnica e Arte. I siti delle città etrusche hanno lasciato una traccia archeologica relativamente modesta, con qualche eccezione come per esempio le necropoli, disseminate un po’ ovunque nell’area di influenza etrusca, organizzate come delle vere e proprie abitazioni sotterranee in pietra o scavate nel tufo (alle tombe a pozzo si sostituirono quelle a fossa, destinate all’inumazione dei cadaveri). Le più evolute “sepolture a camera” erano dei veri e propri appartamenti per membri di una stessa famiglia. Anche le manifestazioni più significative dell’arte etrusca sono collegate all’edilizia sepolcrale: reperti di statuaria, terracotta, pittura e oreficeria. Gli Etruschi praticarono con successo oltre all’agricoltura, la metallurgia e l’artigianato artistico. Furono abili e organizzati sia nell’estrazione dei minerali, sia nel trattamento dei metalli grezzi in apposite fornaci. La lavorazione dell’oro e dei metalli nobili è testimoniata dalla ricchezza dei corredi funebri. 3.Roma 3.1 Le origini di Roma. L’archeologia ha accertato la precocità e l’importanza dell’influenza grega e orientale su Roma e sul Lazio. Essa si manifesta molto presto a partire del VIII sec. a.C. Roma sembra ricevere dei prodotti di importazione greca ancora prima di quelli etruschi. La tradizione letteraria in proposito è muta. 3.2 Le fonti letterarie. Le fonti letterarie (in particolare quelle storiografiche) ci offrono un chiaro quadro narrativo e una notevole quantità di informazioni di sostanza. Tutta via si trattava di opere che risalgono a epoche molto posteriori agli eventi narrati e nelle quali hanno largo spazio elementi leggendari. I primi storici furono i Greci, infatti i primi storici romani scrissero in greco: Fabio Pittore e Cincio Alimento nel III sec. a.C. la comparsa della scrittura a Roma non determinò cambiamenti fondamentali. La tradizione orale, durante il periodo regio, deve aver giocato un ruolo di rilievo nella trasmissione dei ricordi storici. La situazione non muta radicalmente neanche per la prima parte dell’età repubblicana. I primi storici vissero nel I sec. a.C., come Tito Livio (contemporaneo dell’imperatore Augusto), scrisse una grande storia di Roma dalla sua fondazione, in ben 142 libri. Molto importante anche Dionigi di Alicarnasso, anche lui attivo a Roma in età augustea, scrisse 20 libri dalla fondazione alla scoppio della prima guerra punica, voleva dimostrare che i romani erano una popolazione di origine ellenica. La versione più nota della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Secondo la leggenda il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, è figlio di Marte il dio della guerra, e di Rea Silvia, figlia dell’ultimo re di Alba Longa. Il territorio di Alba Longa era dominato dall’alta vetta del monte Cavo su cui sorgeva il famoso santuario di Iuppiter Latiaris, sede di una delle più antiche leghe politico-religiosa, quella dei Populi Albenses riuniti sotto la guida di Alba Longa, a cui si sostituirà Roma dopo la distruzione della città. Il sito di Alba Longa però sinora non è stato identificato. Tra le numerose ipotesi formulate quella più rilevante localizza il sito di Alba sulla dorsale dominante il lago di Albano, su cui sorge Castel Gandolfo. 3.3I sette re di Roma. Il periodo monarchico della storia di Roma va dal 754 al 509 a.C. anno dell’instaurazione della Repubblica. Su Roma avrebbero regnato sette re. Dopo Romolo (il fondatore), incontriamo i nomi di Numa Pompilio, apparente attorno al suo corpo non gli causarono alcun male -> da ciò godette particolare protezione da Tanaquilla (moglie di Tarquinio Prisco) di cui ne sposa la figlia. Due sicari ingaggiati per conto di Anco Marcio feriscono mortalmente Tarquinio, la moglie nascondendo la sua morte annuncia al re che si sta riprendendo e che ha disposto che Servio regnasse a sua voce. Dopo pochi giorni Tanaquilla annuncia la morte del marito. Su questa base favolistica si innesta l’azione politica di Servio Tullio. Quanto alle riforme di Servio, così come ci sono presentate dalla storiografia antica, va ricordato che quello che per noi è ovvio, e cioè che l’organizzazione politico-istituzionale romana si è andata formando e strutturando nel tempo, non lo era nella prospettiva delle nostre fonti. 3.17 La famiglia. La nozione di “famiglia romana” comprendeva un raggruppamento sociale assai più ampio di quello che siamo abituati ad intendere oggi. Facevano parte di una medesima famiglia tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità di un medesimo capofamiglia. Il vincolo di fondo della famiglia romana non è rappresentato dai legami contrattati con il matrimonio, ma piuttosto con il potere esercitato dal pater. Di una stessa famiglia facevano parte, figli legittimi e figli adottati che sceglievano di sottoporsi alla sua potestas. Nella sua forma più antica la famiglia romana presentava caratteri tipici di una società prestatale: era un’unità economica, religiosa e politica. In età arcaica il primo diritto di un padre rispetto ai figli era quello di rifiutarli al momento della nascita. Tra i vincoli fondamentali della famiglia romana primitiva c’era quello religioso. I riti familiari si trasmettevano di padre in figlio. Gli antenati del ramo paterno furono i primi manes (anime dei defunti) oggetto di culto all’interno della famiglia romana. A un livello più evoluto, un principio particolare del diritto romano prevedeva che almeno un figlio rimanesse sotto l’autorità del padre finché questi era in vita. 3.18 La donna. Il ruolo della donna aristocratica che riceveva un educazione intelletuale: dalla letteratura, alle arti della musica e della danza, non si esauriva nella sola vita domestica. La moglie accompagnava il marito nella vita pubblica e condivideva con lui il compito di educare i figli. L’autorità nella casa e nella società rimase sempre nelle mani del marito. Almeno in epoca arcaica e per buona parte dell’età repubblicana, il carattere parrocchiale della famiglia si riflette nella supremazia dell’uomo sulla donna. Il potere del marito sulla donna non conosce limiti: la può punire se ha commesso qualche mancanza e addirittura ucciderla impunemente in caso di flagrante adulterio. Lo scopo di norme cosi austere era legato a un concetto di matrimonio il cui unico scopo era avere figli legittimi. I romani si sposavano presto. La legge decretava che le ragazze prima di prendere marito dovevano aver compiuto 12 anni. Toccava al padre trovare uno sposo per le figlie che spesso venivano promesse in matrimonio ancora bambine. La cerimonia di fidanzamento era detta: ponsalia. Per le donne sterili il destino era quasi sempre il ripudio, con il conseguente ritorno alla casa paterna. Molte donne morivano di parto. Un istituto alternativo fu rappresentato dall’adozione con lo scopo di garantirsi una discendenza: adottare figli di altri serviva anche per realizzare precise scelte patrimoniali. Il matrimonio, almeno in età arcaica, era un istituzione privata, e inoltre una situazione di fatto più che di diritto. Il divorzio era un atto informale. Il ripudio era invece un atto semplicissimo e consisteva nella separazione di fatto dei coniugi. 3.19 Agricoltura ed Alimentazione. La riorganizzazione dell’economia pastorale, processo compiuto attorno all’VIII sec. a.C. implica il passaggio di un regime seminomade ad uno di regolare trasferimento del bestiame in altura con modalità e spazi meglio definiti. In particolare per i popoli dell’Italia centrale. Nell’istituto della “Primavera Sacra” – vivo presso gli italici ancora in epoca tarda – si conservava memoria della trasmigrazione verso i pascoli estivi, divenuta in età storica, un trasferimento permanente di popolazioni impossibilitata ad avere uno sviluppo idoneo nei luoghi di origine. La ragione del sorgere di Roma su di un area di frontiera: era il Tevere che costituiva la linea di demarcazione tra due arre con caratteristiche diverse -> quella etrusca al nord, quella laziale al sud. Mentre l’importanza del sito della futura Roma – come punto di incontro – resta in tutta la sua evidenza. Un prodotto importante come il sale (per la conservazione del cibo) passava da lì per essere trasportato verso l’interno. L’agricoltura della Roma arcaica era limitata dalle condizioni poco favorevoli e dalla bassa qualità delle tecniche agricole. Il cereale maggiormente coltivato in età arcaica era il farro -> che aveva una resa inferiore del grano. Si deve tener conto che alla bassa produttività si accompagnasse la modesta estensione di terreno coltivabile, da ciò possiamo ben capire come per Roma arcaica il soddisfacimento delle necessità alimentari di base rappresentasse un serio problema. Per la Roma arcaica si parla di un contesto economico nel quale allevamento e agricoltura sono compresenti. Le due attività dovevano essere complementari: il bestiame serviva a produrre il concime indispensabile per i terreni e gli animali da tiro servivano per aiutare l’uomo nel lavoro. Le difficoltà conosciute da Roma nel V sec. a.C., all’indomani dell’instaurazione della Repubblica, offrono un riscontro importante della povertà di risorse agricole dell’area prossima alla città. Il primo secolo della Repubblica è l’unico periodo in cui lo stato romano non si trovò nella condizione di trarre vantaggio dalle sue conquiste a favore dei consumi alimentari dei cittadini. Circostanza negativa per le prima Roma Repubblicana fu la calata dei Volsci nel Lazio meridionale, occuparono l’unico territorio che potesse fornire rifornimenti alimentari adeguati è all’origine di una serie di episodi di carestia e di tensione sociale. 3.20 La proprietà della terra in Roma arcaica. Rispetto a un originale proprietà collettiva, la prima forma di proprietà era limitata solo alla casa e all’orto circostante, era esclusa la terra arabile e quella a pascolo. Il termine sors si applica bene sia alla nozione di proprietà trasmissibile per via ereditaria che a quella di lotto assegnato per sorteggio. 3.22 La scoperta dei Lapis Niger. Un grande scalpore suscitò la scoperta avvenuta nel Gennaio del 1899, nell’angolo settentrionale del Foro, di una pavimentazione in marmo nera distinta dalla restante pavimentazione in travertino. Fu subito associata a una fonte letteraria sull’esistenza di una pietra nera nel Comizio, che contrassegnava un luogo funesto, forse la tomba di Romolo. Al di sotto fu scoperto un complesso monumentale arcaico, comprendente una piattaforma sulla quale sorgeva un altare. Vicino a esso c’era il tronco di una colonna, recante il testo di un iscrizione. -> dalle poche parole leggibili si può dedurre che si tratti di una dedica fatta a un re e che si minacciano pene terribili a chi avesse violato questo luogo. 3.23 Le origini di Roma secondo un imperatore Romano. Si tratta di un imperatore romano appassionato di antichità etrusche -> Claudio nel 48 d.C. pronunciò un discorso al senato a favore dell’ammissione nell’assemblea di alcuni illustri rappresentati della provincia della Gallia Comata. Per dimostrare la tradizionale apertura di Roma nei confronti degli stranieri. Fornendo così delle informazioni desunte dalla tradizione antiquaria romana ed etrusca. 3.24 La grande Roma dei Tarquini. Nella ricostruzione degli storici antichi il quadro politico del Lazio appare, al momento dell’avvento dei Tarquini condizionato dall’espansionismo romano. Roma avrebbe fatto passare sotto diretto dominio romano tutta la fascia compresa tra Roma e il mare. Queste conquiste aprirono la via al prezioso possesso delle saline che si trovavano nei pressi della costa. Il controllo di Roma sul fiume appare suggellato da un evento destinato ad avere esiti importanti -> la costruzione di un ponte stabile in legno a valle dell’isola Tiberina. (Documento eccezionale -> risalente al 508 a.C. che lo storico greco Polibio afferma di aver visto nell’archivio pubblico di Roma, dove esso era conservato -> esso conteneva il testo del primo trattato pubblico tra Roma e Cartagine.) La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi (509 a.C. – 133 a.C.) 1.La nascita della Repubblica 1. La tradizione storiografica sulla nascita della Repubblica. La storiografia antica sulla nascita della Repubblica -> rappresentata per noi essenzialmente da Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, ci presenta un quadro chiaro: Sesto Tarquinio figlio dell’ultimo re etrusco, respinto dall’aristocratica Lucrezia, la violenta. Ella prima di suicidarsi narra il misfatto ai suoi cari. Guidata da questi aristocratici, scoppia una rivolta che porta alla caduta della monarchia, un evento canonicamente fissato al 510 a.C. Tarquinio il Superbo, impegnato in quel momento in azioni militari non è in grado di rispondere alla disfatta. Nel 509 a.C. i poteri del re passano a due magistrati eletti dal popolo -> i consoli. Talune incoerenze hanno portato gli storici moderni a sottoporre la tradizione sulla fine della monarchia e la nascita della Repubblica ad una critica più o meno radicale. L’attenzione degli studiosi si è soffermata sulle: ragioni della caduta della monarchia e i caratteri del passaggio al regime repubblicano e infine la datazione dell’evento. La ricerca storiografica cerca discernere gli elementi autentici da quelli che sono semplicemente frutto di abbellimento storico. Vale la pena di soffermarsi sulle liste dei supremi magistrati della Repubblica, dalla cui credibilità dipendono essenzialmente le soluzioni che si sono date ai molti interrogativi su questa fase della storia di Roma. 2. I Fasti. I Fasti sono liste di magistrati eponimi della Repubblica, cioè che davano il nome all’anno in corso. Ci sono giunti sia attraverso la tradizione letteraria, sia attraverso alcuni documenti epigrafici, i più importanti -> Fasti Capitolini (conservati nei Musei Capitolini, Roma). Nei Fasti Capitolini si trova la cronologia elaborata negli ultimi anni della Repubblica, dall’erudito Marco Terenzio Varrone, che fissava la fondazione di Roma al 753 a.C. e il primo anno della Repubblica al 509 a.C. Tali datazioni generalmente forniscono anche l’ossatura cronologica degli studi moderni sul primo periodo repubblicano. Le incongruenze tra le diverse visioni dei Fasti, l’inserimento di alcuni anni di anarchia in cui non vennero eletti magistrati e soprattutto la comparsa tra i consoli eponimi di diversi personaggi con i nomi di gentes plebee hanno suscitato diversi dubbi sull’attendibilità delle liste dei magistrati. Riguardo alla comparsa dei presunti plebei abbiamo diverse spiegazioni: per esempio si ipotizza che nella prima fase del regime repubblicano i confini tra patriziato e plebe non fossero ancora delineati con nettezza. 3. La fine della monarchia e la creazione della Repubblica. Il ruolo preminente che un ristretto gruppo di aristocratici ebbe nella cacciata dei Tarquini e il dominio che il patriziato sembra aver esercitato sulla prima Repubblica inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire a una rivolta del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato notevolmente i suoi caratteri autocritici. L’odio feroce che l’aristocrazia romana dimostrò in tutto il corso dell’età repubblicana contro l’istituto monarchico sembra indicare che il mutamento di regime non sia avvenuto in modo graduale, ma sia stato il risultato di un evento traumatico. Questo non significa che alla caduta dei Tarquini si sia immediatamente stabilito un regime repubblicano. Alcuni elementi ci lasciano pensare che sia succeduto un breve, ma confuso periodo -> in cui Roma appare in balia di re e condottieri, come Porsenna di Chiusi. La sconfitta inflitta dai Latini a Arrute figlio di Porsenna assestò un duro colpo all’influenza politica degli Etruschi sul Lazio. 4. La data della creazione della Repubblica. Gli antichi avevano fissato una curiosa coincidenza cronologica tra la storia di Roma e quella di Atene: il 510 a.C. -> anno in cui era stato cacciato il tiranno Ippia da Atene. (Il sospetto che la cronologia della caduta di Tarquinio il Superbo sia stata adattata per creare un parallelismo). Diversi studiosi proposero di collocare la nascita della Repubblica qualche anno più tardi, intorno al 470-450 a.C. (notando interruzione dei contatti con l’Etruria). Argomento a sostegno della datazione tradizionale è desumibile da una cerimonia ricordata da Livio: il massimo magistrato della Repubblica doveva infliggere un chiodo nel tempio di Giove Capitolino, ogni anno dalla consacrazione del tempio e il tempio di Giove era stato inaugurato nel primo anno della Repubblica e nel momento in cui Cneo Flavio inaugura il tempio della Concordia, potè datare l’evento 204 anni dopo la consacrazione del tempio di Giove e ciò ci riporta al 508 a.C. 5. I supremi magistrati della Repubblica, i loro poteri e i loro limiti. Eletti dai comizi centuriati ai consoli spettava: 1. Il comando dell’esercito; 2. Il mantenimento dell’ordine all’interno della città; 3. L’esercizio della giurisdizione civile e criminale; 4. Il potere di convocare il senato e le assemblee popolari; 5. La cura del censimento e della compilazione delle liste dei senatori; 6. La funzione eponima. La competenze religiose erano rivestite da un sacerdote, il rex sacrorum, che però non poteva rivestire cariche di natura politica. I poteri autocratici dei due consoli erano sottoposti ad alcuni limiti: la durata della loro carica (annuale), ed il fatto che ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva dunque opporsi all’azione del collega. Un ulteriore restrizione ai consoli era costituita dalla possibilità per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console. 6. Le altre magistrature. Al primo anno della Repubblica risalirebbero i questori, originariamente in due -> assistevano i consoli nella sfera delle attività finanziarie. Erano inoltre incaricati di istruire i processi per i delitti di sangue. Secondo la tradizione nel 443 a.C. il compito di tenere il censimento sarebbe passato dai consoli a due nuovi magistrati -> i censori, successivamente venne affidata a questi anche la redazione delle liste dei membri del senato (venivano eletti ogni cinque anni). 7. La dittatura. In caso di necessità i poteri supremi della Repubblica potevano essere affidati a un dittatore che veniva nominato da un console, da un pretore o da un interrex su istruzione del senato (durata di un massimo di sei mesi). 8. I sacerdozi e la sfera religiosa. Non si può tracciare una distinzione netta tra cariche politiche e massime cariche religiose. Eccezione per i flamini i quali rappresentavano la rappresentazione terrena del Dio stesso. In particolare le tre supreme divinità: Giove, Marte e Quirino. I tre più importanti collegi religiosi: i pontefici, gli auguri e i duoviri sacris faciundis avevano poteri che coinvolgevano direttamente la politica. Il collegio dei pontefici era guidato da un pontefice massimo che costituiva la massima autorità religiosa dello Stato. Il collegio degli auguri aveva la funzione di assistere i magistrati nel loro compito di trarre gli auspici e di interpretare la volontà degli dei. L’autorevole parere degli auguri riguardo un presagio ritenuto sfavorevole consentiva al senato o a un magistrato di bloccare immediatamente ogni procedimento. Infine i duoviri sacris faciundis erano incaricati di custodire i cosiddetti Libri Sibillini -> antichissima raccolta di oracoli in greco. Una rilevante funzione in politica estera avevano i feziali: dovevano dichiarare guerra attenendosi rigorosamente al complesso cerimoniale previsto e assicurando così a Roma il favore degli dei nel conflitto. 9. Il senato. Il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia, anzi divenne il perno della nuova Repubblica. La composizione del consiglio era decisa prima dai consoli e poi dai censori che ne completavano i ranghi. Il principale strumento istituzionale era costituito dalla È la valenza nei confronti di un giovane a far precipitare la situazione: le insidie procurate da Appio Claudio a Virginia, figlia di un famoso centurione, provocano una seconda secessione -> i decemvirati sono costretti a deporre i loro poteri. La norma che proibiva i matrimoni tra patrizi e plebei viene abrogata pochi anni dopo. Nelle “XII Tavole” è ravvisabile un’influenza del diritto greco, che le fonti antiche giustificano ricordando come un’ambasceria si fosse recata da Roma ad Atene. È per altro assai più probabile che questi elementi siano piuttosto venuti dai codici giuridici delle città greche dell’Italia meridionale. 2.6 Tribuni militari con poteri consolari. Il plebiscito che riconosceva la validità dei matrimoni misti (patrizi e plebei) avrebbe avuto come conseguenza di rimuovere la principale obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al consolato. Difficile escludere un plebeo nelle cui vene scorre sangue patrizio. Allora, il patriziato visto minacciato il suo monopolio sul consolato a partire dal 444 a.C. decide se alla testa dello Stato vi debbano essere due consoli, con il diritto di prendere gli auspici e provenienti esclusivamente dal patriziato, oppure un certo numero di tribuni militari con poteri consolari che posso anche essere plebei, ma non hanno il potere di trarre gli auspici. 2.7 Le leggi Licinie Sestie. Nel 387 a.C., per rispondere alla fame di terra della plebe indigente, il territorio di Veio e di Capena, conquistato pochi anni prima, viene suddiviso in piccoli appezzamenti e distribuito ai cittadini romani, con la creazione di ben quattro nuove tribù territoriali. Tuttavia il provvedimento non è stato sufficiente ad alleviare la crisi. Qualche anno dopo i tribuni della plebe Caio Licinio e Lucio Sestio presentarono un ambizioso pacchetto di proposte concernenti: 1. Il problema dei debiti; 2. La distribuzione delle terre di proprietà statale; 3. L’accesso dei plebei al consolato. Dopo una fase di anarchia politica (i tribuni della plebe avrebbero impedito per qualche anno l’elezione dei massimi magistrati della Repubblica), nel 367 a.C. il vecchio Mario Furio Camillo venne chiamato alla dittatura per sciogliere una situazione diventata ormai insostenibili. Le proposte di Licinio e Sestio assunsero valore di legge -> Le leggi Licinie Sestie -> che prevedevano in particolare che gli interessi che i debitori avevano già pagato sulle somme avute in prestito potessero essere detratte dal totale e il debito fosse estinguibile in tre rate annue. Stabilivano anche la massima estensione di terreno di proprietà statale che poteva essere occupato da un privato; e, inoltre, sancivano l’abolizione del tribunato militare con potestà consolare. Nel 366 a.C. vennero create due nuove cariche inizialmente riservate ai soli patrizi -> il pretore: amministrava la giustizia tra i cittadini romani, dotato di imperium, poteva essere messo alla testa di un esercito e i suoi poteri erano subordinati a quelli dei consoli; e i due edili curuli che avevano il compito di organizzare i Ludi maximi. 2.8 Verso un nuovo equilibrio. Nel 342 a.C. secondo Livio, un plebiscito ammise la possibilità che ambi due i consoli fossero plebei. Da quell’anno vediamo comparire nei Fasti un console patrizio e un plebeo; l’obbligo di scegliere uno dei due massimi magistrati dalla plebs. La prima coppia di consoli entrambi plebei compare nelle liste dei magiistrati solo nel 172 a.C. Nei decenni successivi i plebei ebbero progressivamente accesso a tutte le altre cariche dello Stato e anche il loro progressivo ingresso nel senato. Nei primi decenni del 300 venne abolita la legge sulla servitù per debiti. Ma la vera risposta ai problemi economici della plebe venne dalle conquiste. 2.9 La censura di Appio Claudio Cieco. Un tentativo di imprimere una decisa accelerazione al processo di riforma venne attuato da Appio Claudio Cieco nel 321-311 a.C. nel compilare la lista dei senatori, vi avrebbe incluso persone abbienti che però non avevano rivestito alcuna magistratura. Una seconda misura riguardò la composizione delle tribù -> il suo scopo era di favorire i membri della plebe urbana. Ma entrambe le riforme caddero (per il momento). Nel 304 a.C i nuovi censori confinarono ancora una volta la plebe di Roma nelle quattro tribù urbane. Ci un provvedimento di portata epocale -> il censo dei singoli cittadini, fino ad allora calcolato in base ai terreni e ai capi di bestiame fu valutato anche in base al capitale mobile, in metallo prezioso, consentendo anche di vedere il proprio peso economico, e quindi politico, riconosciuto nell’ordinamento centuriato. All’edile Cneo Flavio appartiene la decisione di pubblicare le formule giuridiche che era necessario impiegare nei processi. Flavio avrebbe divulgato anche il calendario con i giorni fasti, durante i quali si poteva svolgere l’attività giudiziaria, e quelli nefasti, nei quali si poteva svolgere ogni attività pubblica interdetta. Gelosamente custoditi negli archivi dei pontefici: calendario e formule procedurali erano gli strumenti che avevano consentito una sorta di monopolio pontificale sull’esercizio della giustizia. Direttamente alla censura di Appio Claudio va attribuita la costruzione del: primo acquedotto della città e la via che congiungeva Roma a Capua -> Via Appia. 2.10 La legge Ortensia. Il 287 a.C. venne considerato il punto di arrivo della lunga lotta tra patrizi e plebei. La legge Ortensia stabilì che i plebisciti votati all’assemblea della plebe avessero valore per tutta la cittadinanza di Roma. A partire dal 287 a.C. i comizi tributi e l’assemblea della plebe di fatto erano accomunati da un eguale sistema di voto per tribù e da uguali poteri. Identica era anche la loro composizione, tranne che ai comizi tributi prendessero parte anche i patrizi. 2.11 La nobilitas patrizio-plebea. Al posto del patriziato si venne formando progressivamente una nuova aristocrazia, formata dalle famiglie plebee più ricche e influenti e dalle stirpi patrizie che meglio avevano saputo adattarsi alla nuova situazione. A questa nuova élite si è soliti dare il nome nobilitas. La nobiltà patrizio plebea si rivelò progressivamente non meno gelosa delle proprie prerogative del vecchio patriziato. In pratica l’accesso alle magistrature superiori era riservato ai membri di poche famiglie. Per i personaggi che raggiungevano i vertici della carriera politica, pur non avendo antenati nobili venne contata una definizione specifica, quella di “homines novi”. Prima di intraprendere la carriera politica, un giovane romano doveva servire per almeno dieci anni nella cavalleria, che era reclutata nelle 18 centurie dei cavalieri -> costituivano il vertice dell’ordinamento centuriato. (per entrare nel mondo della politica ci volevano i soldi e bisognava avere molti clienti). 3 La conquista dell’Italia 3.1 La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma. Alla conquista della monarchia etrusca, Roma controllava nell’antico Lazio un territorio che si estendeva dal Tevere alla regione Pontina. Il dato è confermato dal primo trattato romano-cartaginese, risalente, secondo Polibio, al primo anno della Repubblica. In questo documento i Cartaginesi si impegnavano a non toccare ogni città del Lazio soggetta a Roma. Tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C. buona parte delle città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per affrancarsi dalla sua egemonia. Le città latine si strinsero in una lega i cui membri condividevano alcuni diritti: il diritto di contrarre matrimoni legittimi con cittadini di altre comunità, il diritto di siglare contratti aventi valore legale tra cittadini di comunità diverse e infine il diritto secondo cui un latino poteva assumere i pieni diritti civici in una comunità diversa da quella in cui era nato semplicemente prendendovi residenza. 3.2 La battaglia del lago Regillo e il foedus Cassianum. La lega tentò di affermarsi definitivamente attaccando Roma: ci fu una battaglia leggendaria combattuta nel 496 a.C. sul lago Regillo i Romani sconfissero le forze della Lega -> scontro che si concluse con un trattato che avrebbe regolato i rapporti tra Roma e i Latini per i successivi 150 anni: fu siglato nel 493 a.C. dal console Sp. Cassio, prevedeva un accordo bilaterale tra Roma e la Lega latina -> le due parti si impegnavano, non solo a mantenere tra di loro la pace, ma anche a prestarsi aiuto nel caso una delle due parti fosse stata attaccata. Tra gli elementi più efficaci per consolidare le proprie vittorie militari ci fu la fondazione di colonie sul territorio. I cittadini dei nuovi centri provenivano sia da Roma, sia dalle altre comunità latine. Le fonti sopravvalutano inevitabilmente il ruolo avuto da Roma in queste fondazioni definendole spesso come colonie romane. Si dovrebbe più correttamente parlare di colonie latine, dal momento che le nuove città entravano a far parte della Lega latina e godevano dei diritti corrispondenti. Nel 486 a.C. Roma firmò un accordo con gli Ernici popolazione che si trovava in un territorio di due popoli ostili gli Equi e i Volsci. 3.3 I conflitti con Sabini, Equi e Volsci. Le loro <- sedi originarie non erano in grado di garantire la sopravvivenza (regioni più impervie dell’Appennino centr. e meriod.), l’unica soluzione era la migrazione verso terre più fertili, la cosiddetta “primavera sacra”. Secondo questo istituto in anni di carestia tutti i prodotti dell’anno venivano consacrati alla divinità: in particolare i bambini nati in quell’anno, una volta raggiunta la maturità avrebbero dovuto migrare in un’altra regione. Le fonti riportano per il V sec. a.C. una serie interminabile di conflitti tra Roma e le popolazioni montane, in particolare gli Equi e i Volsci. È lecito pensare che si sia trattato di razzie che videro da ambo le parti pochi armati. Volsci andarono ad occupare tutta la parte meridionale del Lazio; mentre, nell’area dei Colli Albani gli Equi dallo sponda occidentale del lago del Fucino, avanzarono conquistando la regione dei monti Prenestini e due importanti città latine: Tivoli e Preneste. Gli alleati Romani, Latini ed Ernici riuscirono a bloccare gli Equi ai colli Albani, al passo dell’Algido (teatro di un importante vittoria). Ancora più a nord i Sabini minacciarono direttamente Roma. 3.4 Il conflitto con Veio. Roma si trovò a fronteggiare un avversario assai meglio organizzato delle tribù appenniniche -> la potente città etrusca di Veio, situata a circa 15 km a nord di Roma e sua rivale lungo il basso corso del Tevere nel controllo delle vie di comunicazione e nelle saline alla foce del fiume. Il contrasto tra Roma e Veio attraversò tutto il V sec. a.C. per concludersi solo all’inizio del secolo seguente, si svolse in tre guerre. Nella prima (483-474 a.C.) i Veienti riuscirono a segnare un punto a loro favore, occupando un avamposto sulla riva sinistra del Tevere: Fidene. Nella seconda guerra veiente (437-426 a.C.) i romani riuscirono a vendicare la sconfitta: Cornelio Casso uccise in duello il tiranno di Veio. Fidene venne conquistata e poi distrutta dai romani. Nella terza guerra veiente (405-396 a.C.) il teatro delle operazioni si spostò lungo le mura della stessa Veio, assediata per dieci anni dai romani. Si racconta come il conquistatore Marco Furio Camillo avesse privato i veienti della loro divinità protetrice, Giunone, promettendo alla dea un tempio ed un culto a Roma. Alla fine la città venne presa e distrutta. La presa di Veio segno una svolta importante per Roma: il lunghissimo assedio tenne per molti anni i soldati romani lontani dai loro campi. Per questo motivo si rese necessaria l’introduzione di una paga, detta stipendium. Per far fronte alle accresciute spese militari venne introdotta una tassa straordinaria chiamata tributum. A maggiori poteri politici nell’assemble centuriata corrisposero maggiori obblighi militari e fiscali. La vittoria su Veio fruttò la conquista di un ampio e fertile territorio. 3.5 L’invasione gallica. Le tribù galliche si erano insediate nell’Italia meridionale. L’ultima tribù ad entrare fu quella dei Senoni, che avrebbe occupato il territorio più meridionale, noto come ager Gallicus (Romagna meridionale e Marche settentrionali). Nel 390 a.C. secondo la cronologia verroniana, i Senoni invasero l’Italia centrale attaccando Roma. Il loro primo obbiettivo fu la città etrusca di Chiusi: da qui poterono dirigersi verso Roma. L’esercito romano frettolosamente arruolato al primo contatto avvenuto sull’Allia si dovette rifuggiare fra le rovine di Veio. Roma, rimasta priva di difese, venne presa e saccheggiata. Dopo di che i Galli soddisfatti scomparvero. Parte della tradizione storiografica romana tentò di salvare l’onore immaginando che il Campidoglio avesse resistito agli invasori. 3.6 La ripresa. Gli effetti della conquista e della distribuzione ai cittadini romani del vasto e fertile territorio di Veio, organizzato nel 387 a.C., in quattro nuove tribù, si rivelarono più decisivi dell’umiliazione subita dai Galli. Negli stessi anni, probabilmente, iniziò la costruzione delle cosiddette mura serviane (sfruttando il tufo delle cave nei pressi di Veio). La cinta muraria abbracciava un estensione vastissima che dimostrava come Roma fosse senza dubbio la città più grande dell’Italia centrale. L’azione offensiva di Roma trova il suo esecutore in Furio Camillo.già pochi anni dopo il sacco della città da parte dei Galli, gli Equi sono annientati. Più difficile è, invece, la lotta contro i Volsci che trovarono inaspettato appoggio nei vecchi alleati di Roma, gli Ernici e alcune città latine. Nel 381 a.C. la città latina di Tuschilo venne annessa al territorio romano. La città conservò le sue strutture di governo e la sua autonomia interna ma ai suoi abitanti vennero assegnati i medesimi diritti e i doveri dei cittadini romani. Tusculo divenne il primo municipium. Nel 358 a.C. i Volsci furono costretti a cedere la piana Pontina, gli Ernici parte dei loro territori nella valle del fiume sacco: in entrambi i territori furono insediate due nuove tribù romane. collisione con quelli della vecchia alleata Cartagine. Lo scontro precipitò a causa della questione dei Mamertini - > mercenari di origine italica, che si erano impadroniti di Messina saccheggiando le città vicine. I Mamertini inizialmente alleati con i cartaginesi, si stancarono di questi, chiedendo aiuto a Roma. Roma nonostante molte ragione per non accettare, si vide costretta a faro per non lasciare ai Cartaginesi il controllo della zona strategica dello Stretto e perdere la migliore delle occasioni per mettere piede nella ricchissima Sicilia. Questa decisone aprì la lunghissima prima guerra punica (264-241 a.C.), i romani riuscirono a respingere da Messina i Cartaginesi e i Siracusani (che avevano deciso di allearsi); già nel 263 a.C. il re Ierone comprese che l’innaturale alleanza con Cartagine era pericolosa per Siracusa dunque decise di concludere una pace e di schiararsi dalla parte di Roma. Sostegno che si rivelò indispensabile, già nel 262 a.C. quando dopo un lungo assedio cadde nella mani romane Agrigento. Nel 260 a.C. ci fu una clamorosa vittoria del console Caio Dulio sulla flotta cartaginese nelle acque di Milazzo. A questo punto a Roma si penso di poter infliggere un colpo mortale a Cartagine e fece sbarcare l’esercito in Africa. Le prime operazioni furono favorevoli al console Marco Attilio Regolo, che tuttavia non seppe sfruttare i successi, allo stesso tempo non riuscì ad approfittare del malcontento contro Cartagine tra i suoi alleati e i sudditi africani. Nel 255 a.C. Regolo venne battuto da un esercito Cartaginese. Roma fu battuta nuovamente a Trapani nel 249 a.C. ormai priva di forze navali. Solo qualche anno dopo, Roma fu in grado di costruire una nuova flotta (grazie a un prestito di guerra dei cittadini più facoltosi) inviata a bloccare Trapani e Lilibeo. La flotta improvvisata dei Cartaginesi fu sconfitta alle isole Egadi nel 241 a.C. A Cartagirone si domandò la pace: le clausole prevedevano lo sgombero dell’intera Sicilia e il pagamento di un indennizzo di guerra. 4.2 La prima provincia romana. Per la prima volta si prese possesso di un ampio territorio al di fuori della penisola italiana: regioni della Sicilia centro-occidentale. Il sistema col quale Roma integrò questi nuovi possedimenti segnò una svolta nella storia istituzionale. Alle comunità un tempo soggette a Cartagine venne imposto il pagamento di un tributo annuale, consistente in una parte del raccolto di cereali. Per gli inizi del I sec. a.C. il tributo siciliano consisteva nel versamento di un decimo della produzione. L’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine e la difesa dalle aggressioni esterne furono affidate ad un magistrato romano inviato annualmente nell’isola. Da questo momento il termine “provincia” viene ad assumere progressivamente il significato di territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. 4.3 Tra le due guerre. Per Cartagine i primi anni dopo la sconfitta furono drammatici: non era in grado di assicurare il pagamento delle numerose truppe mercenarie che si ribellarono. Quando i Cartaginesi allestirono una spedizione per recuperare la Sardegna si dovettero scontrare con l’opposizione di Roma. Non avevano alcuna possibilità di affrontare un nuovo conflitto, si piegarono, accettando di pagare un indennizzo supplementare e cedere la Sardegna che divenne la seconda provincia romana. Pochi anni dopo Roma intervenne direttamente anche nell’Adriatico. Il regno di Illiria aveva esteso verso sud la sua influenza sulla costa orientale dell’Adriatico e ai numerosi mercanti italici. In risposta alle loro numerose richieste d’aiuto il senato invio proteste alla regina degli Illiri e davanti al suo rifiuto di far cessare le azioni, decise nel 229 a.C. di dichiarare guerra -> la prima guerra illirica si risolse rapidamente a favore di Roma. Maggiori sforzi richiese la conquista dell’Italia settentrionale (avviata tra le due guerre puniche e portata a conclusione solo nel II sec. a.C.). Nello scontro le due principali popolazioni della Gallia -> i Boi e gli Insubri ottennero l’appoggio dei Gesari, mentre i Galli Cenomani e i Veneti preferirono schierarsi dalla parte di Roma. I Galli riuscirono a penetrare in Etruria e ad ottenere qualche successo, ma nel 225 a.C. vennero annientati a Telamone. La breve, ma violenta campagna fu coronata dalla vittoria sugli Insubri a Casteggio e dalla conquista del loro centro principale (Mediolanum, l’attuale Milano). Cartagine, ripresasi dalla guerra coi mercenari, cercava di costruire una nuova base per la sua potenza in Spagna. La conquista della Spagna potrebbe apparire quasi un affare privato della famiglia Barca. L’avanzata dei Barca destò l’allarme della colonia greca di Marsiglia e naturalmente di Roma, di cui Marsiglia era fedele alleata. Nel 226 a.C. il senato concluse con Asdrubale un trattato secondo il quale-> gli eserciti cartaginesi non potevano oltrepassare a nord il fiume Ebro; un potenziale elemento di contrasto tra Roma e Cartagine era tuttavia costituito dal trattato di alleanza stretto da Roma con la città Sagunto, che in effetti si trovava a sud del l’Ebro. 4.4 La seconda guerra punica. La questione di Sanguto venne abilmente sfruttata da Annibale per far esplodere il conflitto nel momento che egli riteneva più favorevole. I Saguntini chiesero l’aiuto di Roma, ma la risposta del senato non fu pronta. Alcune ambascerie di protesta furono inviate presso Annibale, ma di fatto Roma si preparò concretamente alla guerra solo quando Annibale aveva già espugnato Sagunto. L’invasione dell’Italia poteva avvenire solamente via terra, attraverso le sue frontiere settentrionali, dove Annibale sperava di guadagnare l’appoggio delle tribù galliche da poco sottomesse da Roma. Annibale partì nella primavera del 218 a.C. con un imponente esercito, rafforzato dalle eccellenti truppe spagnole. Valicati i Pirenei, Annibale riuscì ad evitare lo scontro con l’esercito romano al comando di Publio Cornelio Scipione che riuscì ad attraversare le alpi riscuotendo l’immediato successo dei Boi e degli Insubri. Sul Ticino le forze di cavalleria cartaginese prevalsero su quelle romane; sul fiume Trebbia Annibale sconfisse gli eserciti di Scipione. A Roma iniziò a farsi strada l’idea che fosse impossibile sconfiggere Annibale in campo aperto, secondo quanto sosteneva l’ex console Quinto Fabio Massimo, egli sosteneva che era necessario evitare le battaglie campali e limitarsi a controllare le mosse di Annibale. Questa strategia alla lunga avrebbe portato alla vittoria, ma a breve termine significava che Roma avrebbe dovuto assistere impotente alla devastazione dell’Italia da parte dell’esercito cartaginese. Nel 216 a.C. Annibale riuscì ad annientare gli eserciti congiunti dei consoli Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo nella piana di Canne. Gli alleati dell’Italia centrale rimasero fedeli a Roma e il ritorno della strategia attendista di Fabio Massimo consentì a Roma di riguadagnare gradualmente le posizioni perdute nel Mezzogiorno. In Sicilia riuscirono a conquistare e a saccheggiare Siracusa dopo un lungo assedio. Nell’Adriatico una flotta di 50 quinquiremi si rivelò sufficiente per impedire un’invasione dell’Italia da parte di Filippo V e un suo congiungimento con le forze di Annibale. Roma riuscì a paralizzare l’azione del re macedone creando una coalizione di stati greci a lui ostili, tra i quali primeggiava la Lega etolica. Quando apparve chiaro che gli Etoli erano intenzionati a rinunciare alla lotta, Roma concluse con Filippo una pace che lasciava immutato il quadro territoriale (205 a.C.). La svolta decisiva della guerra si ebbe in Spagna -> dopo la sconfitta di Trebbia Publio Cornelio Scipione aveva raggiunto nella penisola iberica il fratello Cneo e i due riuscirono ad impedire che Annibale ricevesse aiuti dalla Spagna. Nel 211 a.C. i due però furono sconfitti e uccisi. Il figlio di scipione venne scelto da un assemblea popolare per condurre le operazioni militari in Spagna, e gia nel 209 a.C. riuscì ad impadronirsi della più importante base cartaginese e sconfisse il fratello di Annibale. Nel 207 a.C. Annibale era quasi ormai ridotto all’impotenza e si vide costretto a ritirarsi nel Bruzio. Scipione sconfiggeva in modo decisivo gli eserciti cartaginesi in Spagna nella battaglia di Ilipa nel 206 a.C. Lo sbarco in Africa avvenne nel 204 a.C. l’anno dopo ci fu un’importante vittoria nella battaglia dei Campi Magni. La battaglia che pose fine al conflitto si svolse nel 202 a.C. nei pressi della città di Zama con la vittoria dei romani. 4.5 La seconda guerra macedonica. Pochi anni dopo la conclusione della guerra contro Cartagine, Roma si impegno in un altro conflitto di grandi proporzioni contro Filippo V di Macedonia. Causa della guerra fu soprattutto l’attivismo di Filippo nell’area dell’Egeo e sulle coste dell’Asia minore che lo portarono a scontrarsi con le due maggiori potenze dell’area, il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi. Le tensioni sfociarono nel 201 a.C. in guerra aperta: Filippo fu battuto in una battaglia navale anche se poco dopo riuscì ad infliggere una pesante sconfitta. I coalizzati, che intesero che da soli non avrebbero sconfitto la minaccia macedone, logicamente si rivolsero a Roma. E i comizi centuriati votarono la guerra facendo un ultimatum a Filippo, in cui gli si intimava di rifondere i danni di guerra inflitti agli alleati di Roma e di astenersi dall’attaccare gli Stati greci (ciò valse il sostegno a Roma di alcuni Stati greci, tra cui Atene). Alla fine del 200 a.C. l’esercito romano sbarco ad Apollonia. Nel 198 a.C. il nuovo comandante delle forze romane, Tito Quinzio Flaminio che avviò trattative di pace, chiedendo la liberazione della Tessaglia. La richiesta venne respinta, ma destò comunque grande impressione: uno ad uno, gli stati della Grecia si schierarono dalla parte dei “liberatori”, persino la Lega Achea (da decenni alleata della Macedonia). Alla fine del 198 a.C. Filippo decise la strada delle trattative di pace, cinicamente interrotte da Flaminio, infatti sul campo di battaglia di Cinocefale, in Tessaglia, dove l’esercito di Filippo V venne annientato. Il re macedone fu costretto ad accettare le condizioni di pace -> ritiro delle guarnigioni macedoni dalla Grecia, il pagamento di un’indennità e la consegna della flotta. 4.6 La guerra siriaca. Il re di Siria, approfittando della debolezza dell’Egitto e delle difficoltà della Macedonia, stava progressivamente estendendo la sua autonomia. Roma richiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome dell’Asia minore e l’immediata evacuazione dell’Europa, ma tali richieste furono respinte. L’esercito romano si era trattenuto fin troppo in Grecia alimentando così la propaganda ostile della Lega etolica, che dunque decise di andare in sostegno della Siria. Nel 190 a.C. il console Lucio Cornelio Scipione insieme al fratello si prepararono ad invadere l’Asia Minore. La flotta romana, assistita dalle squade di Pergamo e Rodi, sconfiggeva ripetutamente i Siriaci nell’Egeo. Lo scontro decisivo avvenne nei pressi della città di Magnesia: l’esercito di Antioco (re di Siria) venne completamente disfatto. La pace fu siglata nella città siriana di Apamea nel 188 a.C. Antico dovette pagare un enorme indennità di guerra. 4.7 Le trasformazioni politico e sociali. Il repentino ampliamento degli orizzonti portò una ventata di cambiamento anche nell’assetto politico e sociale interno. La prima vicenda è nota come “il processo degli Scipioni” che mostra in modo evidente l’acuirsi contrasto all’interno della classe dirigente romana -> alcune tribuni accusarono Cornelio Scipione di essersi impadronito di parte dell’indennità di guerra versata dal re di Siria. Nel medesimo anno, contro Scipione Africano per aver condotto trattative di carattere personale con il re di Siria, egli indignato dalle accuse si limito a ritirarsi. In questa temperia politica trova spiegazione anche la Legge Villia -> obbligo di età minima per rivestire le diverse magistrature e un intervallo di un biennio tra una carica e l’altra. 4.8 La terza guerra macedonica. Il re macedone sostenne con lealtà Roma nella guerra siriaca. Un’ombra nei rapporti tra le due potenze si era addensata già all’indomani di Apamea, quando le ambizioni di Filippo sulle città della costa trace vennero frustrate da Roma. Filippo, dunque, dovette cedere, rinunciando alla Tracia. Segretamente però avrebbe cominciato a preparare la rivincita. Nel 179 a.C. la morte aveva messo fine al lunghissimo regno di Filippo: al quale era succeduto il figlio maggiore Perseo. L’elemento democratico e nazionalista di molte città greche cominciò a volgersi verso Perseo. Agli occhi di Roma questo fatto fu sufficiente per fare del re una minaccia per il sistema egemonico sul mondo greco; ogni mossa diplomatica di Perseo anche in aree in quel momento di importanza secondaria per Roma vennero interpretati come gesti di sfida. Iniziarono i preparativi di guerra e le prime operazioni si ebbero nel 171 a.C. dopo che le trattative per raggiungere un accordo fallirono. Nei primi anni di guerra i comandanti romani si distinsero per le rapide commesse ai danni di molte città greche. La svolta si ebbe nel 168 a.C. -> Perseo fu costretto dal console romano Lucio Emilio Paolo ad accettare battaglia campale nella località macedone di Pidna dove il suo esercito fu distrutto. Il re fu portato prigioniero in Italia e la monarchia abolita. 4.9 La quarta guerra macedonica e la guerra acaica. Particolarmente tesi erano i rapporti con la Lega Achea, dopo la deportazione di 1000 uomini achei a Roma. I tentativi della secessione di Sparta dalla Lega coincidevano con una rivolta in Macedonia. Qui un tale Andrisco, facendosi passare per figlio di Perseo, riuscì a prevalere sulle deboli malizie repubblicane e a riunire per un ultima volta le forze macedoni sotto la bandiera monarchica. Dopo qualche successo venne eliminato nel 148 a.C. Il senato si occupò degli achei, ordinando che fosse staccata dalla Lega Sparta, Argo e Corinto. L’assemblea della Lega decise per la guerra che fu brevissima. Gli Achei non poterono impedire l’invasione del Peloponneso; qui il console Lucio Mummio sconfisse definitivamente l’esercito acheo. Corinto venne saccheggiata e distrutta. 4.10 La terza guerra punica. Dopo la rovinosa sconfitta nella seconda guerra punica, Cartagine si era riprese riuscendo a saldare il pagamento della fortissima indennità di guerra. Nel 196 a.C. Annibale fu eletto a massimo tanto che essa non poté nemmeno essere discussa. Probabile sintomo dell’irritazione degli alleati furono le rivolte (125 a.C.) di Ascolum e Fregellae. 1.9 Caio Gracco. Nel 123 a.C. fu eletto tribuno della plebe Caio Gracco, fratello minore di Tiberio Gracco e componente della commissione agraria fin dalla sua costituzione. Egli riprese ed ampliò l’opera riformata dal fratello. Caio propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini romani sia in Italia sia a Cartagine. Una legge frumentaria assicurò ad ogni cittadino residente a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Grandi grani pubblici appositamente costruiti dovevano custodire le grandi quantità di cereale necessarie per la distribuzione. Con una legge giudiziaria Caio volle limitare il potere del senato, riservando in esclusiva ai cavalieri il controllo dei tribunali permanenti cui erano affidati i processi di concussione -> cosi che i senatori-governatori non sarebbero più stati giudicati esclusivamente da giudici-senatori, ma da rappresentati di quegli stessi cavalieri. Un provvedimento che sopravvisse per tutta l’età repubblicana, prevedeva che il senato dovesse decidere prima delle elezioni consolari, quali delle province dovessero essere classificate consolari. Al problema degli alleati Caio rispose proponendo di concedere ai Latini la cittadinanza romana e la cittadinanza di diritto latino agli italici. Ma anche questo non potè essere approvato a causa di forti ostilità. Quando si ricandidò per il tribunato non venne rieletto. Per abbattere ogni suo residuo prestigio furono collegati presagi funesti e si propose che la deduzione dovesse essere revocata. Caio Gracco e Fulvio Flacco tentarono di opporsi alla votazione del provvedimento, ma scoppiarono gravi disordini. Da ciò il console Lucio Opimio ordinò il massacro dei sostenitori del Gracco. Fulvio Flacco perì negli scontri, mentre Caio Gracco si fece uccidere da un suo schiavo. 1.10 Smantellamento della Riforma Agraria. Non la abolirono ma ne ridussero gli effetti. I lotti attribuiti furono dichiarati alienabili, riprese la loro migrazione nelle mani dei più ricchi. Venne posto fine alle operazioni di recupero e riassegnazione delle terre. 1.11Provincie, espansionismo e nuovi mercati. Prima del 133 a.C. Roma aveva sei provincie: Sicilia, Sardegna e Corsica, Spagna Citeriore, Spagna Ulteriore, Macedonia e Africa. La natura di solito istituzionale composita delle nuove acquisizioni comportava molteplicità di condizioni con la quale era indispensabile confrontarsi. In un lasso di tempo ragionevole il magistrato fissava le linee generali di riferimento: questioni territoriali, statuto delle singole città e comunità, determinazione dell’ager publicus e regolamenti e condizioni fiscali. Una delle legs più note, la lex Rupilia, relativa alla Sicilia, è del 132 a.C., dopo la conclusione della prima grande rivolta servile e non coeva alla deduzione della provincia. Nel 133 a.C. il re di Pergamo aveva lasciato il suo regno ai Romani, alla luce di ciò Aristonico si pose a capo di una rivolta che durò tre anni. Solo nel 129 a.C. dopo ripetuti tentativi la ribellione potè essere piegata e il console Manio Aquilio potè organizzare quanto restava del nuovo territorio nella provincia romana dell’Asia. La Gallia meridionale che consentiva il passaggio terreno dalle regioni liguri ai domini spagnoli, attirò l’attenzione romana. Rispondendo a una richiesta d’aiuto dell’alleata Marsiglia contro tribù celto-liguri e galliche. Nel 122-121 a.C. i romani riuscirono a porre le basi per la nuova provincia nerbonese. Consolidato il processo delle isole verso la Spagna nel 123 a.C. furono conquistate anche le Baleari. Nella maggiore di esse, Maiorca, furono fondate le due colonie di Palma e Pollenzia. 1.12 I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario. Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane tramite la costituzione di una piccola ma ricca provincia (la provincia romana d’Africa) e i rapporti di buon vicinato con le città libere e con i figli di Massinissa. Morto l’ultimo dei figli di Massinissa, nel 118 a.C. il regno fu conteso tra i suoi tre eredi principali. Il più spregiudicato Giugurta si sbarazzò di uno di essi. L’altro, Aderbale, fu costretto a rifugiarsi a Roma e a chiedere l’arbitrario del senato che nel 116 a.C., optò per la divisione del territorio tra i due. Ma qualche anno più tardi Giugurta volle impadronirsi della porzione di regno di Aderbale e ne assediò la capitale Cirta. -> presa la città, fece trucidare il rivale i Romani e gli Italici che vi svolgevano le loro attività. Roma fu dunque costretta a scendere in guerra nel 111 a.C. Le operazioni militari furono condotte molto fiaccamente fino al 109 a.C.; quando a capo della guerra fu posto il console Qunito Celio Metello del cui seguito faceva parte Caio Mario; -> riprese le redini del conflitto, sconfisse ripetutamente Giugurta, ma non riuscì a concludere. In questo clima di forte polemica, Caio Mario venne eletto console nel 107 a.C., gli venne affidato il comando della guerra contro Giugurta. Egli era un nuovo tipo di politico, uscito dai ricchi possidenti equestri e dalla carriera militare. 1.13L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina. Si erano riscontrate difficoltà nell’arruolamento legionario, che era limitato ai soli cittadini iscritti nelle cinque classi censitarie. Inizialmente si opta per la diminuzione del censo minimo della quinta classe, sì che molti degli appartenenti agli strati più poveri potessero essere coscritti, armati ed equipaggiati a spese dello Stato. Mario, bisognoso di nuove truppe aprì l’arruolamento volontario a coloro che erano iscritti al registro del censo per la loro solo persona, dopo Mario ciò divenne pratica regolare. Con questo nuovo esercito gli occorsero quasi tre anni per porre fino al conflitto. Grazie soprattutto all’opera di Giulio Cornelio Silla, Bocco, alleato di Giugurta, lo tradì consegnandolo ai romani. La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa la parte rimanente a Bocco, venne poi fatto un trattato di amicizia e di alleanza 1.14.Cimbri e Teutoni; ulteriori trasformazioni nell’esercito. Nel frattempo due popolazioni germaniche, i Cimbri e i Teutoni avevano iniziato un movimento migratorio verso sud; oltre passato il Danubio furono affrontati al di là delle Alpi dal console Cneo Papiro Carbone, ma i romani subirono una disastrosa sconfitta. Continuarono il loro cammino arrivando in Gallia. I numerosi tentativi di respingerli si risolsero in catastrofi, che culminarono nella clamorosa disfatta di Arausio, dove il disaccordo tra i due comandanti costò all’esercito romano una delle più vergognose catastrofi della sua storia (105 a.C.). A Roma cresceva la polemica verso l’incapacità dei generali di origine nobiliare e aumentava il terrore che Cimbri e Teutoni potessero invadere l’Italia. Mario dunque, rieletto console, prova a riorganizzare l’esercito -> ogni legione risultò articolata in dieci “coorti” di circa seicento uomini, ciascuna costituiva un’unità tattica sufficientemente grande per operare con una certa autonomia. Il suo lavoro di riorganizzazione toccò quasi tutti gli aspetti militari, dall’addestramento all’equipaggiamento ecc. Cimbri e Teutoni si erano divisi: mentre i Teutoni avanzavano attraverso la Gallia meridionale, i Cimbri si accingevano a valicare i passi delle Alpi centrali. Mario affrontò prima i Teutoni sterminandoli, e l’anno dopo i Cimbri che avevano dilagato attraverso la valle dell’Adige e furono raggiunti e annientati. 1.15 Eclissi politica di Mario; Saturnino e Glaucia. Mentre era costantemente impegnato sul fronte militare, Mario si appoggio a Lucio Appuleio Saturnino, un nobile in lotta con le fazioni conservatrici del senato. Mario l’aveva aiutato ad essere eletto tribuno della plebe nel 103 a.C. in cambio Saturnino aveva fatto approvare una distribuzione di terre in Africa a ciascuno dei veterani delle campagne africane di Mario. Aveva poi proposto una legge frumentaria che riduceva il prezzo politico del grano. Nel 100 a.C. Mario era stato eletto al suo sesto consolato e Saturnino era stato rieletto tribuno della plebe e Glaucia pretore. Saturnino presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia; Glaucia invece aveva restituito le giurie permanenti. 1.16. Pirati; Schiavi; Cirenaica. In Anatolia si sviluppò il problema della pirateria. Dunque al brigantaggio interno, nella Cilicia Tracheia si accompagnava l’attività piratica sulla costa, favorita da succedersi di baie profonde e nascoste. Essa minacciava pesantemente l’asse marittimo che dall’Egeo conduceva a Cipro e alla Siria- Fenicia. Nessuna delle potenze dell’epoca ne fu esente da complicità. Nel 102 a.C. si decise di intervenire inviando il pretore Marco Antonio con il compito di distruggere le principali basi anatoliche dei pirati -> l’azione si protrasse per un paio d’anni. Il gravoso impegno militare richiesto indusse Mario a domandare contingenti di soldati agli alleati italici e a quelli d’oltremare. Tra essi Nicomede III declinò l’invito, sostenendo che una cospicua parte degli uomini del suo regno era stata presa dai pirati e venduta in schiavitù; -> a Roma si volle porre rimedio con un provvedimento che ordinava di condurne inchieste in merito. Dopo la prima fase che comportò il ritorno di non pochi allo stato libero, la crescente opposizione dei detentori di schiavi riuscì a far sì che la misura restasse lettera morta. Ciò comporto numerose rivolte civili. I comandanti inviati a fronteggiare la ribellione nel 103-102 a.C. ottennero scarsi risultati; alla fine riuscì a reprimerla Manio Aquilio. 1.17 Marco Livio Druso e la concezione della cittadinanza agli Italici. Il decennio successivo del 100 a.C. si aprì tra forti tensioni politiche e sociali. Continuava il conflitto tra senatori e cavalieri per impadronirsi in esclusiva dei tribunali permanenti per i processi di concussione. Nel 95 a.C. una legge Licinia Mucia aveva istituito una commissione per verificare le richieste di cittadinanza romana e per espellere da Roma ogni residente italico e latino che fosse risultato illegalmente inserito nelle liste del censo. Fu eletto tra i tribuni della plebe nel 91 a.C. Marco Livio Druso tentò di districarsi tra le varie parti con una politica di compensazione. Restituì ai senatori i tribunali di concussione, proponendo però l’ammissione dei cavalieri in senato (aumentando da 300 a 600 membri). Inoltre volle proporre la concessione della cittadinanza romana agli alleati italici. Ancora una volta l’opposizione fu vastissima e fu trovato modo di dichiarare nulle tutte le sue leggi; però Druso venne misteriosamente assassinato. 1.18 La guerra sociale. La condizione di cittadino romano era divenuta sempre più vantaggiosa e ciò aumentava l’irritazione degli Italici, consci di aver ampiamente contribuito ai successi militari di Roma. Delle distribuzioni agrarie beneficiavano i soli cittadini romani. Gli Italici non avevano parte alle decisioni politiche, economiche e Militari. Cosi scoppio una guerra sociale, cioè dei “socii”, contro Roma. L’ostilità partì da Ascoli nel Piceno, dove un pretore e tutti i Romani residenti vennero massacrati. La guerra fu lunga e sanguinosa; i romani si trovarono a combattere contro gente armata e addestrata allo stesso loro modo. Gli insorti si erano dati nel frattempo istituzioni federali comuni, una capitale nel Sannio (Italica) e una monetazione propria. I loro scopi erano completamente unitari: avevano l’esigenza di conseguire la cittadinanza romana. A settentrione andò il console Publio Rutilio Lupo e a meridione Lucio Giulio Cesare. -> si ebbero sconfitte e distruzione su entrambi i fronti, il console Lupo cadde in combattimento e le ostilità continuarono sotto la direzione di Mario. Con un primo provvedimento si erano già autorizzati i comandanti militari ad accordare la cittadinanza agli alleati. Venne poi approvata una legge che concedeva la cittadinanza romana agli alleati rimasti fedeli e alle comunità che avessero deposto rapidamente le armi. Dopo di che Cneo Pompeo Strabone faceva attribuire il diritto latino agli abitanti dei centri urbani a nord del Po. Tali misure circoscrissero la rivolta, anche se questa si trascinò ancora. Con la concezione della cittadinanza a tutta l’Italia fino alla Transpadania (inserimento di tutti i cittadini in otto soltanto delle 35 tribù esistenti) si inaugurava sia un processo di unificazione politica dell’Italia sia una nuova fase nella storia delle istituzioni di Roma. Le aristocrazie italiche erano riuscite a fondare i presupposti per un loro accesso alle magistrature e un successivo ingresso in senato. Gli interessi di molti cominciarono a convergere verso la città dunque Roma si avviò ad assumere sempre più i caratteri di una grande metropoli cosmopolita. 2. I primi grandi scontri tra fazioni in armi. 2.1 Mitridate VI Eupatore. Mentre Romani e Italici si affrontavano nella guerra sociale in Oriente i Patti che provenivano dalle zone del Caucaso avevano sottratto possedimenti orientali al regno seleucide, fino ad occupare stabilmente la Mesopotamia e la Babilonia. Nel 95 a.C. avevano imposto come loro re d’Armenia Tigrane. Nella penisola Anatolica era in atto un forte frazionamento politico e Roma aveva favorito la coesistenza di molti piccoli Stati dinastici. Mitridate VI Eupatore, divenuto re del Ponto, era riuscito a stabilire accordi con la vicina Bitinia, estendendo il suo regno a sud, a est e a nord del Ponto. Il senato romano era molto attento alle sue mosse e, impossessatosi anche della Cappadocia nel 92 a.C. Silla interviene per ripristinare sul trono di Cappadocia un re più gradito ai Romani. Approfittando della guerra sociale, Mitridate aveva ripreso la sua politica espansionistica, facendo invadere la Cappadocia da Tigrane e spodestando dalla Bitinia il nuovo re Nicomede IV, verso la fine del 90 a.C. Roma decise di inviare ad Oriente una legazione -> con l’incarico di rimettere sui loro troni i legittimi sovrani di Bitinia e Cappadocia. Fatto sta che Nicomade IV si ritenne autorizzato a condurre scorrerie nel 2.10 Il consolato di Pompeo e Crasso e lo smantellamento dell’ordinamento sillano. Pompeo se ne fece titolo di merito per ottenere la candidatura al consolato per i 70 a.C., pur essendo molto al di sotto dell’età minima e non possedendo i requisiti di carriera. Anche Crasso si presentò candidato ed entrambi furono eletti consoli. Fu dunque portato a compimento lo smantellamento dell’ordinamento sillano. Già nel 75 a.C. era stato abolito il divieto a chi era stato tribuno della plebe di ricoprire cariche successive. Nel 73 a.C. fecero approvare una legge frumentaria, che ripristinava le distribuzioni a prezzo politico del grano; restaurarono i poteri dei tribuni della plebe; infine furono eletti i censori, che epurarono il senato di alcuni membri reputati indegni e condussero il censimento di 900.000 cittadini. Lucio Aurelio Cotta fa modificare la composizione delle giurie dei tribunali permanenti ripartendole in proporzioni uguali tra senatori, cavalieri e tribuni aerarii. 2.11 Pompeo in Oriente: operazioni contro i pirati; nuova guerra mitridatica. Tra l’80 e il 70 a.C. in Oriente erano riemerse e si erano consolidate due gravi minace, i pirati e Mitridate. La pirateria che i romani avevano estirpato dai mari circostanti l’Italia, avendo però tollerato che essa continuasse a Oriente perché ne traevano guadagno tramite un’attività che alimentava i traffici di mano d’opera schiavile verso la penisola. Attaccavano le lenti navi commerciali depredandole dai loro carichi; di conseguenza il trasporto delle merci era divenuto sempre più difficile, rischioso e costoso. Dopo ripetuti tentativi di combattere i pirati sulle coste meridionali dell’Asia Minore, tra il 78 e il 75 a.C., si tentò di rafforzare la presenza romana in Cilicia. Nel 74 a.C. fu inviato contro i pirati con un comando speciale Marco Antonio che concentrò i suoi sforzi sull’isola di Creta, riportandovi un’umiliante sconfitta. Le operazioni contro Creta furono affidate a Quinto Cecilio Metello che la condusse fino alla completa riconquista dell’isola. Nel frattempo fu inevitabile una nuova guerra contro Mitridate. Dopo la pace di Dardano, egli aveva continuato a covare propositi di rivincita; nel 74 a.C., alla morte di Nicomade IV di Bitinia, risultò che questo re aveva lasciato il suo regno in eredità ai romani. La deduzione della Bitinia in provincia dava ai romani il controllo dell’accesso al Mar Nero e alterava fortemente gli equilibri delle forze dell’Asia: Mitridate decise per tanto di invaderla, contro di lui furono i due consoli del 74 a.C. Le operazioni furono condotte di successo in successo fino al 67 a.C. che sgomberata la Bitinia occuparono il Ponto. Nel 67 a.C. un tribuno della plebe propose misure drastiche contro i pirati e che per questo scopo, fosse attribuito per tre anni a Pompeo un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo. Nonostante la violenta opposizione senatoria fu approvato. Ripartito il mediterraneo il tredici settori, Pompeo riuscì a cacciare rapidamente i pirati dal Mediterraneo occ. Nel 66 a.C. il tribuno della plebe propose che venisse esteso a Pompeo anche il comando della guerra contro Mitridate. -> Pompeo riuscì a convincere il re dei Parti a tenere impegnato Tigrane mentre egli marciava indisturbato verso il Ponto. Sconfitto e scacciato dal Ponto, Mitridate fu costretto a rifugiarsi al nord, in Crimea dove si fece trafiggere per non cadere in mano ai romani. Pompeo passò poi in Palestina dove si impadronì di Gerusalemme e del suo tempio, e dove costituì uno Stato autonomo. Nel 62 a.C. Pompeo rientrò a Roma carico di gloria e di bottino. 2.12 Il console di Cicerone e la congiura di Catilina. Durante l’assenza di Pompeo a Roma ci fu una grave crisi. Lucio Sergio Catilina -> la sua campagna per ottenere il consolato gli era costata una fortuna, ma all’ultimo momento la sua candidatura era stata respinta per indegnità. Prosciolto dall’accusa egli tentò di rifarsi alle elezioni consolari per il 63 a.C., politicamente e finanziariamente sostenuto da Marco Licinio Crasso, ma fallì comunque, e venne eletto Marco Tullio Cicerone, sostenitore di Pompeo. Ma Catilina non demorse, ma ne riuscì di nuovo battuto nelle elezioni, allora prese in mano un ampia cospirazione che mirava a sopprimere i consoli, terrorizzare le città, impadronirsi del potere; -> venne così concentrato in Etruria un esercito in gran parte composto di veterani sillani. Ma il piano fu scoperto e sventato da Cicerone che potè costringere tramite decisione del senato Catilina ad allontanarsi da Roma. 2.13 Egitto; Cipro; Cirenaica. La grande distanza e i buoni rapporti avevano tenuto il regno tolemaico d’Egitto lontano dalle mire dirette di Roma. Dal II sec. a.C. avevano avuto fasi in cui si erano trovati uniti. Alla morte di Tolomeo VIII le contese tra i successori fecero si che ci si rivolgesse ripetutamente ai Romani, come garanti del trono; i testamenti legavano il regno al popolo romano. Gli unici Tolomei rimasti nell’80 a.C. erano due figli di Tolomeo IX, il maggiore dei quali gli Alessandrino proclamarono re d’Egitto, il minore re di Cipro. La principale preoccupazione politica dell’Aulete fu quella di farsi riconoscere da Roma tra i re amici e alleati; ci mise più di 20 anni per riuscirvi: nel 59 a.C. con l’appoggio di Cesare. Il problema egiziano ridivenne davvero attuale per Roma solo nel 64-63 a.C., quando Pompeo ebbe ridotto la Siria in provincia romana e regolato il territorio palestinese. Nel 63 a.C. una legge agraria parve includere anche l’Egitto in un vasto progetto di assegnazioni fondiarie, che fu combattuta però da Cicerone che riuscì a farla bloccare. 3.Dal “primo triunvirato” alle idi di marzo 3.1 Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto “primo triunvirato”. Nel 62 a.C. sbarcava a Brindisi Pompeo, convinto di ottenere da senato la ratifica degli assetti territoriali da lui decisi in Oriente. In senato però i suoi avversari politici lo ricambiarono umiliandolo. Pompeo si riavvicinò allora a Crasso e al suo alleato Cesare con i quali strinse un accordo di sostegno reciproco chiamato -> primo triunvirato. Fu un accordo assolutamente privato e segreto, in base al quale Cesare avrebbe dovuto essere eletto console nel 59 a.C. e avrebbe dovuto varare una legge agraria che sistemasse i veterani di Pompeo. L’accordo fu cementato anche con il matrimonio di Pompeo e la figlia di Giuli Cesare. 3.2 Caio Giulio Cesare console. Cesare fu eletto console per il 59 a.C. egli fece votare in successione due leggi agrarie -> distribuzione ai veterani di Pompeo di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia. Furono poi fatte ratificare tutte le decisioni assunte da Pompeo in Oriente. Infine, fu ridotto di un terzo il canone d’appalto delle imposte della provincia d’Asia. Sul finire del consolato, il tribuno della plebe, Publio Vatinio attribuiva a Cesare per cinque anni il proconsolato della Gallia e dell’Illirico. 3.3 Il tribunato di Publio Clodio Pulcro. Cesare volle, con Pompeo e Crasso, appoggiare la candidatura al tribunato della plebe di Publio Clodio Pulcro. Clodio fece approvare una nutrita serie di leggi: il potere dei censori di espellere membri del senato venne limitato; nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche; vennero di nuovo legalizzati i “collegia” -> associazioni private con fini religiosi. -> fu abilità di Clodio farne prima dei gruppi di pressione, poi delle bande armate e organizzate a suo servizio. Le distribuzioni frumentarie ai cittadini romani residenti a Roma dovevano diventare completamente gratuite; infine, l’esilio a chiunque condannasse a morte un cittadino romano. 3.4 Cesare in Gallia. Quando Cesare arrivò nelle sue provincie era in atto una migrazione di Elvezi verso occidente, che minacciava la provincia romana. Cesare li attaccò e li sconfisse, cominciò così la lunga conquista cesariana delle Gallia. Nel frattempo un forte gruppo di Svevi era passato sulla sinistra del fiume. Su richiesta degli Edui, Roma era intervenuta e aveva indotto il capo germanico a ritirare le sue genti al di là del Reno. Poiché le migrazioni verso l’Alsazia erano riprese, Cesare affrontò in battaglia Ariovisto e lo sconfisse. Cesare ritornò in Cisalpina, lasciando truppe accampate nei quartieri invernali presso Vesonzio. La presenza romana nella Gallia centrale suscitò però al nord le reazioni delle tribù dei Belgi; Cesare riuscì ad impadronirsi delle loro piazzaforti. Nel frattempo Publio Licinio Crasso (figlio maggiore di Crasso), si spingeva verso la Normandia sottomettendo numerose tribù. Alla fine del 57 a.C. cesare comunicò a Roma che la Gallia poteva ritenersi pacificata. 3.5 Crasso e i pirati. Giunto in Siria Crasso aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica nel regno dei Parti. Alla morte del re Fraute III era sorta una lotta per il trono tra i due figli di lui, Orode e Mitradate. Divenuto re Orode II, Crasso aveva deciso di appoggiare il fratello e, varcarono l’Eufrate, si era spinto in Mesopotamia senza incontrare grandi resistenze. L’anno successivo accompagnato dal figlio Publio si rimise in marcia attraverso le steppe della Mesopotamia. Venuti in contato con i Parti i romani furono travolti dalla cavalleria corazzata partica e massacrati. Fu una delle sconfitte più gravi mai subite da Roma: la stessa provincia di Siria si trovò minacciata. Mentre si ritirava Crasso fu preso e ucciso. 3.7 Pompeo console unico; guerra civile tra Cesare e Pompeo. Nel 54-53 a.C., cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiari che univano Pompeo a Cesare: nel 54 a.C. era morta di parto Giulia la giovane moglie di Pompeo che preferì poi sposare Cornelia (vedova di Publio Crasso). A partire da questo momento Pompeo iniziò ad accostarsi in maniera sempre più accentuata alle fazioni ottimate più anticesariane. Nel 53 a.C. fu nominato Pompeo dittatore: si affrontarono le bande di Clodio e di Milone; Clodio rimase ucciso e la stessa curia senatoria fu preda delle fiamme. Per evitare la disgregazione Pompeo fu nominato console senza collega. Approfittando dell’occasione i nemici di Cesare avevano rialzato la testa, facendolo rimuovere in anticipo dalla sua carica, potendo metterlo così sotto accusa per i modi e i metodi con cui aveva condotto la guerra. Per evitare ogni procedimento, Cesare si ritrovava nella necessità di rivestire di nuovo il consolato; gli era indispensabile poter presentare la sua candidatura restando assente da Roma, e tale privilegio gli era stato attribuito da una legge emanata dai tribuni della plebe. Pompeo aveva però proposto un provvedimento che prescriveva che dovesse trascorrere un intervallo di cinque anni tra una magistratura e una promagistratura. La norma mirava a scoraggiare la corruzione e gli arrivisti (Pompeo si era fatto dispensare da questa regola). A partire dal 51 a.C. ebbero inizio le discussioni sul termine del potere di Cesare. Nel 50 a.C. per cercare di mettere fine a un moltiplicarsi di colpi di mano e di contese interpretative, un tribuno della plebe propose che per uscire dalla crisi si dovessero abolire contemporaneamente tutti i comandi straordinari, sia quello di Cesare che quello di Pompeo. -> ciò ebbe larghissima maggioranza. All’inizio del 49 a.C Cesare inoltrò al senato una lettera nella quale si dichiarava disposto a deporre il comando se anche Pompeo l’avesse fatto. Il senato voto il “senatus consultum ultimatum” affidando ai consoli e a Pompeo il compito di difendere lo Stato. Vennero inoltre nominati i successori di Cesare al governo delle provincie assegnatogli. Cesare varcò in armi il torrente Rubicone (confine tra la Gallia e il territorio civico di Roma), dando così inizio alla guerra civile. Pompeo con i consoli si imbarcò verso Oriente. Cesare non riuscì ad arrivare in tempo per fermare il piano di Pompeo -> trasferirsi in Grecia, bloccare i rifornimenti e affamare l’Italia, per poi tentare la rivalsa con l’appoggio dei governatori e degli eserciti delle provincie a lui fedeli. Cesare cominciò ad affrontare le forze pompeiane in Spagna, che assalì e sconfisse. Tornato a Roma nel 49 a.C. egli vi rivesti la carica che il pretore, Marco Emilio Lepido, gli aveva fatto conferire di dittatore al solo scopo di convocare i comizi elettorali. I comizi lo elessero console per il 48 a.C. Cesare pose in assedio Durazzo ma fu duramente respinto. Lo scontro decisivo ebbe luogo in Tessaglia con la disfatta pompeiana. Pompeo fuggi verso l’Egitto dove però era in corso una contesa dinastica, e i consiglieri del re, giudicando compromettente l’accoglienza di Pompeo, lo fecero assassinare. Cesare si trattenne in Egitto per oltre un anno per assicurarsi l’appoggio di quel regno ricchissimo. Assediato dai partigiani di Tolomeo ad Alessandria, fu costretto ad attendere i rinforzi prima di poter affrontare in battaglia il re, che sconfitto trovò la morte in battaglia. Cleopatra VII fu confermata regina d’Egitto e partito Cesare diede alla luce un figlio di lui -> Tolomeo Cesare. Nell’autunno del 47 a.C. Cesare sostò brevemente a Roma, dopo di che ripartì per l’Africa dove si erano rifugiati e riorganizzati i Pompeiani vinti. Cesare conseguì una vittoria risolutiva a Tapso nel 46 a.C. 3.8 Cesare dittatore perpetuo. A metà del 46 a.C. gli venne conferita la dittatura a Cesare (per riformare lo Stato) per dieci anni; nel 44 a.C. ottenne il titolo di dittatore a vita. Si era aggiunta via via una serie impressionante e senza precedenti di poteri straordinari. Gli fu riconosciuta prima la facoltà di sedere tra i tribuni della plebe, poi attestata la potestà tribunizia; gli fu attribuito il potere di fare trattati di pace o di dichiarazione di guerra senza consultare il senato e il popolo; e infine gli vennero offerti gli onori del primo posto in senato, del titolo di imperator a vita. Cesare aveva messo mano a un insieme vastissimo di riforme -> erano stati concesso il perdono a tutti gli esuli e condannati politici; facilitazioni ai debitori; il senato fu portato da 600 a 900 membri, da 20 a 40 il numero di questori, da 4 a 6 quello degli edili e da 8 a 16 quello dei pretori; rivisto il sistema tributario provinciale; vennero disciolte le associazioni popolari; confermate le distribuzioni gratuite di grano; per decongestionare Roma fu realizzato un vasto programma di colonizzazione e di distribuzione di terre per i veterani di Cesare; ridistribuzione urbanistica ed edilizia. La riforma del calendario civile compiuta da Cesare venne completata da correzione introdotta nel 1582 da papa Gregorio XIII, essa regola ancor oggi l’alternarsi di anni ordinari ad anni bisestili. Lo scontro determinante avvenne nel mar Ionio dinanzi ad Azio, con una battaglia navale vinta da Agrippa per Ottaviano. Antonio e Cleopatra si rifugiarono in Egitto, Ottaviano penetrò in Egitto con le sue truppe e prese Alessandria. Prima Antonio e poi Cleopatra si suicidarono. L’Egitto fu dichiarato provincia romana. L’altro Cesare, unico figlio naturale di Cesare, fu eliminato. Parte quarta. L’impero da Augusto alla crisi del III secolo. (29 a.C. – 192 d.C.) 1.Augusto 1.1 Azio e la cesura tra storia repubblicana e storia del Principato. Nel 31 a.C. Ottaviano, grazie alla vittoria conseguita ad Azio su Antonio e Cleopatra, si ritrovò ad essere padrone assoluto dello Stato romano. Ottaviano adottò una soluzione restauratrice nella forma ma rivoluzionaria nella sostanza che andò a segnare una cesura fondamentale nella storia romana. Convenzionalmente con il 31 a.C. si fa iniziare il Principato, vale a dire il regime istituzionale incentrato sulla figura di un reggitore unico del potere, il princeps. La razionalizzazione dell’amministrazione attuata da Augusto e dai suoi successori, la progressiva integrazione al senato delle élites delle diverse regioni dell’Impero -> faranno sì che la storia romana, a partire da Augusto, divenga sempre più “storia dell’impero”. 1.2 Il rapporto con gli organismi repubblicani e il potere del principe. La restaurazione della Repubblica del 27 a.C. Il ritorno in Italia di Ottaviano avvenne nell’agosto del 29 a.C. All’inizio dell’anno Ottaviano entrò nel suo settimo consolato con l’amico Agrippa. In una famosa seduta del senato, Ottaviano rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per dieci anni sulle provincie non pacificate. Per comprendere meglio i fondamenti del potere di Ottaviano Augusto bisogna riportare quanto scritto da lui stesso in un documento che va sotto il nome di Res Gestae: “Successivamente fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo un potere superiore a quello degli altri che mi furono colleghi nelle magistrature” -> sottolineatura dell’alone carismatico che ne faceva davvero un principe. L’architettura istituzionale da lui adottata si rivela ispirata alla prudenza e al compromesso con la tradizione senatoriale. La nuova riorganizzazione dello Stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni, ormai non più adeguate, della città-stato. Il principe si poneva come punto di riferimento fra le diverse componenti della nuova realtà “imperiale”. 1.3 La crisi del 23 a.C. Nel 23 a.C. ci fu una grave crisi. -> in Spagna Augusto si era seriamente ammalato. Uno degli aspetti più delicati del principato augusteo riguardava la successione del principe. Il regime presupponeva che alla testa dello Stato ci fosse una sola persona, da fatto un monarca, ma la mancanza di precedenti e di una prassi per la successione creava un vuoto di potere. Nel 23 a.C. la “scomparsa” prematura di Augusto avrebbe potuto riaprire il flagello delle guerre civili. In mancanza di figli maschi, egli penso al generale Marcello che aveva sposato la figlia Giulia, quando il generale Marcello morì, Giulia si risposo con Agrippa che divenne così il successore designato. Nel nuovo regime furono introdotte delle correzioni -> Augusto depose il consolato che aveva detenuto dal 31 a.C., e ottenne un “imperium preconsulare” che gli consentiva di esercitare potere su tutte le provincie. Questo potere, “imperium maius”, non consentiva ad Augusto quando si trovava a Roma, di agire nella vita politica. Per ovviare a questo impedimento il principe ricevette dal senato il potere di un tribuno della plebe vitalizio. Il senato aggiunse anche il diritto di convocare il senato. Quanto alle elezioni, esse erano controllate da Augusto attraverso due procedure: la “nominatio” -> accettazione della candidatura da parte del magistrato e la “commendatio” -> la raccomandazione da parte dell’imperatore stesso. 1.4 Il perfezionamento della posizione di preminenza. Negli anni successivi si aggiunsero altre prerogative. Augusto assunse la “cura annonae” -> incarico di provvedere all’approvvigionamento ed esercitò anche i poteri di censore. Anche Agrippa aveva ricevuto nel 23 a.C. un imperium preconsulare di 5 anni, grazie al quale potte recarsi in Oriente. Nel 18 a.C. scadeva il mandato di 10 anni sulle province non pacificate attribuite ad Augusto e anche quello concesso ad Agrippa. Entrambi si videro rinnovare l’imperium prconsulare per 5 anni. Agrippa ricevette anche la “tribunicia potestas”, così da rendere la sua posizione sempre più vicina a quella del princeps. Egli aveva già avuto, nel 20 a.C., un figlio da Giulia -> Lucio Cesare; e nel 18 a.C. un secondo -> Caio. Augusto li adotto entrambi facendone di fatto i suoi successori designati. Quando morì Lepido, che aveva rivesti fino a quel momento la carica di pontefice massimo, ad AAugusto fu conferita anche questa carica. L’ultimo titolo a lui conferito fu quello di “pater patriae”, che il senato, i cavalieri e il popolo gli attribuirono nel 2 a.C. 1.5 I ceti dirigenti. Nell’amministrazione delle provincie si ebbe una duplice sfera di competenza: quella tradizionale repubblicana e quella specifica del princeps. Il senato, il principale organo della politica romana, aveva visto una profonda trasformazione nella sua composizioni, con un notevole aumento dei suoi membri. Augusto agì su questa situazione in varie fasi e attraverso diversi provvedimenti, che miravano a ripristinare la dignità e il prestigio dell’assemblea senatoria favorendo l’accesso delle elites provinciali più fortemente romanizzate. La misure prese da Augusto furono adottate in due occasioni: 1) nella sua veste di console si fece conferire la potestà censoria e procedette alla “lectio senatus” -> revisone della lista dei senatori; 2) condusse una più radicale revisione, riportando il numero dei senatori ai 600 previsti da Silla; inoltre, rese la dignità senatoria una prerogativa ereditaria. Nell’ultima fase della Repubblica numerosi figli di cavalieri e senatori (che erano semplicemente “cavalieri”) avevano usurpato il diritto, esclusivo dei membri del senato, di portare il laticlavio. Augusto proibì l’uso del laticlavio ai figli dei cavalieri, mentre lo consentì ai figli dei senatori. Infine innalzò il censo minimo per entrare in senato a un milione di sesterzi. In taluni casi Augusto stesso poteva concedere il diritto ad entrare in senato a chi non apparteneva a una famiglia senatoria. (La carriera equestre in età imperiale -> leggere). 1.6 Roma, l’Italia, le province. Roma contava già quasi un milione di abitanti, possiamo valutare l’azione di Augusto su due piani: quello monumentale e quello della realizzazione dei servizi. Augusto non aveva dato alcun rilievo particolare alla propria residenza; con la sue elezione a pontefice massimo, una parte di essa era divenuta un edificio pubblico -> ospitandovi il focolare di Vesta, di cui sua moglie Livia divenne sacerdotessa. Sempre accanto alla sua casa sul Palatino, fece costruire anche un tempio ad Apollo. Ma egli concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel foro romano, dove completò i programmi edilizi di Cesare. Nel vecchio foro repubblicano, Augusto fece costruire un tempio per Cesare divinizzato; restaurò poi la sede del senato ed eresse una basilica in nome di Caio e Lucio Cesare figli di Agrippa. Costruì un nuovo foro -> il Forum Augusti: con al centro il tempio di Marte Ultore, edificandovi il Pantheon e il suo mausoleo in cui, attraverso immagini e iscrizioni, veniva celebrata l’opera del Principe. Davanti al Mausoleo erano incise le Res Gestae -> autobiografia di Augusto. Durante il principato di Augusto, soprattutto per opera di Agrippa, furono costruiti o restaurati anche molti edifici pubblici (acquedotti, terme, teatri ecc.) e ci si preoccupò per l’approvvigionamento alimentare e idrico. La carestia del 22 a.C. indusse Augusto ad assumere la “cura annonae”, e con i propri mezzi finanziari riuscì a fronteggiare l’emergenza -> assegnando ad alcuni senatori l’incarico di distribuzioni gratuite di grano. Per la prevenzione degli incendi Augusto creò un corpo di vigili del fuoco, organizzati in sette coorti di 500-1000. Il governo di Roma era attribuito a un “praefectus Urbi” appartenente all’ordine del senato. Le circa 400 città italiche godevano di un autonomia interna, erano dotate di un proprio governo municipale e non erano soggette all’imposta fondiaria. Augusto divise l’Italia in 11 regioni per il censimento delle persone e delle proprietà. I più importanti provvedimenti riguardarono l’organizzazione di un sistema di strade e di un servizio di comunicazione a scopo militare. Le province sotto la responsabilità diretta di Augusto erano quelle in cui si trovavano le legioni, erano province “non pacificate” -> ovvero di frontiera o appena conquistate; raggiunsero il numero di 13 alla fine del principato. Venivano governate da appositi legati di Augusto che avevano il governo della provincia e il comando delle legioni, ma non il potere di riscuotere le tasse, di quello se ne occupavano i procuratori di rango equestre. Nelle altre provincie, che arrivarono a dieci all’inizio del I sec. d.C. i governatori erano sempre senatori, restavano in carica un solo anno -> comandavano le truppe militari presenti nella loro provincia. Un’eccezione a questo ordinamento era costituito dall’Egitto che era stato assegnato a un prefetto di tango equestre -> comandava le legioni ed era responsabile dell’amministrazione e della giustizia. Augusto stabilì nuovi criteri per determinare l’ammontare dei tributi meglio commisurati alle capacità contributive dei provinciali -> aveva come presupposto la misura dei terreni, su cui era imposta la tassa fondiaria e il censimento della popolazione che determinava il numero di provinciali non cittadini romani. 1.7 L’esercito, la “pacificazione” e l’espansione. La paga dei soldati gravava sulla cassa dello Stato, ma i costi della liquidazione dei veterani rappresentavano un peso molto alto. In un primo tempo i veterani ricevettero soprattutto terre, in Italia e in alcune province. Successivamente ottennero per lo più del denaro. Con Augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato in linea di principio a volontari, che per lo più erano italici. L’esercito dunque era formato da professionisti, che restavano in servizio più anni e che ricevevano un saldo annuo. Si trattava di una forza permanente effettiva composta da 25 legioni. Ci fu l’istituzione di una “guardia pretoriana permanente” -> un corpo militare d’elite composto da nove coorti (circa 9.000 uomini). Augusto costituì inoltre dei contingenti regolari di truppe ausiliarie di fanteria e cavalleria. La flotta stazionava in due porti, a Miseno e a Ravenna, ed era sottoposta al comando di un prefetto equestre. Augusto preferì affidare alla democrazia, piuttosto che alle armi, le questioni Orientali. I confini con il regno partico vennero stabilizzati grazie a trattative diplomatiche e rapporti politici stretti con gli Stati contigui ai territori provinciali. Con i sovrani furono stretti trattati di amicizia che li ponevano in un rapporto di padronato-clientela con l’imperatore -> si crearono cosi alcuni stati cuscinetto nell’ambito dell’egemonia romana. Il vero teatro degli scontri militari fu invece l’Occidente. Inizialmente gli interventi militari si concentravano nella penisola iberica e nell’area alpina occidentale; ma fu sul confine renano e danubiano che gli eserciti romani furono impiegati per lungo tempo e i confini furono ampliati stabilmente con l’occupazione di nuovi territori. La propaganda di Augusto non riuscì a mascherare quello che inevitabilmente fu un insuccesso: la mancata sottomissione della Germania. L’obbiettivo da conseguire, con una complessa serie di campagne militari, doveva essere la linea del fiume Elba. 1.8 La successione. I particolari poteri non costituivano una vere e propria carica a cui dopo la sua morte qualcuno potesse succedere. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica, celebrandone l’ascendenza divina. Nella sua veste di pater familias sottolineava inoltre il carattere romano tradizionale della propria gens. La posizione di princeps nello Stato veniva rafforzata dai meriti via via acquisiti dai suoi figli adottivi e dalle persone della sua cerchia. Fu attraverso il matrimonio di Giulia con il nipote Marcello che Augusto cercò di inserire un discendete maschio nella famiglia, dotandolo inoltre, già da giovanissimo, di prerogative quali l’ammissione al senato e il consolato prima dell’età prevista. Si sentiva vicino alla morte a causa della grave malattia, però Augusto recuperò la salute e superò la grave crisi politica; invece Marcello morì. La seconda persona che sposò Giulia fu Agrippa e ricevette l’imperium preconsolare e la potestà tribunizia. Ma nel 12 a.C. Agrippa morì. Dato che i due figli della sorella nati dal matrimonio con Agrippa erano ancora troppo giovani, Augusto si rivolse ai figli della moglie Livia, nati dal primo matrimonio di questa con Tiberio Claudio Nerone -> Tiberio e Druso. Tiberio dovette sposare Giulia nel 11 a.C. egli ricoprì due volte il consolato ma poi si ritirò dalla vita politica nell’isola di Rodi. La morte colse i due figli di Agrippa giovanissimi; e Tiberio tornato a Roma e sciolto il matrimonio con Giulia, colpita da uno scandalo e condannata all’esilio dal padre stesso. Augusto pretese allora da Tiberio che adottasse Germanico, figlio di suo fratello Druso -> lo adottò nel 4 d.C. e Augusto adottò contemporaneamente Tiberio a cui furono attribuiti la potestà tribunizia e l’imperium preconsolare. Nel 13 d.C. celebrò il trionfo sui germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto. Cosi, alla morte di Augusto, esisteva già una personalità con pari poteri in campo civile e militare. 1.9 L’organizzazione della cultura. La celebrazione della pace e della figura di Augusto si manifestò anche in pubbliche cerimonie, nella monetazione, nella letteratura e, in generale, nel coinvolgimento degli intellettuali nella promozione del consenso al suo programma di restaurazione morale all’interno dello Stato e di pacificazione all’esterno. La celebrazione della figura di Augusto come il provvidenziale salvatore della romanità contro le barbarie. Altri momenti importanti di esaltazione della figura di Augusto e di diffusione a Roma e nelle province dell’ideologia provvidenzialistica furono le celebrazioni di particolari ricorrenze e l’istituzione di un vero e proprio culto della sua persona. Il compleanno di Augusto era celebrato pubblicamente ed era prescritto che al suo Genio dovesse essere reso omaggio anche privatamente. (Naturalmente non c’era un adesione totale degli intellettuali al programma augusteo -> per esempio, il poeta Ovidio, verso la fine del principato augusteo fu relegato a Tomi nel Ponto, accusato di aver scritto carmi che non erano in linea con la riforma dei costumi di Augusto). 2. I Giulio Claudi 2.1 Una dinastia? La morte di Augusto avvenne in Campania nel 14 d.C. Fu allora che Tiberio fece presente in senato come per lui sarebbe stato difficile assumere la somma del potere del padre e suggerì al senato di affidare la cura dello Stato a più persone. Il senato lo spinse ad accettare i poteri e le prerogative che erano state di Augusto e Tiberio alla fine acconsentì. Tra il 14 e il 68 d.C. per circa mezzo secolo, il potere rimase all’interno della famiglia Giulio-Claudia – discendenti della famiglia degli Iulii – cui Augusto apparteneva dal momento in cui era stato adottato da Giulio Cesare - e di quella dei Claudii – famiglia di Tiberio Claudio Nerone -> primo marito di Livia. Alla morte di Tiberio però non potè avverarsi quanto aveva previsto Augusto, che aveva predestinato alla successione Germanico -> figlio di Druso adottato da Tiberio, Germanico infatti morì nel 19 d.C. e quindi la successione andò a favore di Gaio -> Caligola, figlio di Germanico. Egli non era stato adottato da Tiberio, era una designazione che si basava solo sulla linea familiare. Alla morte di Caligola il potere rimase nella famiglia di Germanico, passando a un membro della generazione precedente, cioè a Claudio fratello di Germanico, fu il primo princeps completamente estraneo alla casa Giulia. Infine, l’ultimo esponente della dinastia fu Nerone con una famiglia nobiliare diversa, quella dei Domizi; era figlio di un aristocratico estraneo alla famiglia di Augusto. Fu erede della famiglia Claudia e di quella Giulia solo per parte di madre, in quanto figlio di Agrippina minore e per adozione -> fu adottato da Claudio sposo di Agrippina. 2.2 Tiberio (14-37 d.C.). Il suo governo fu sostanzialmente una positiva prosecuzione di quello augusteo. Emerge però uno dei problemi che si ritroverà in tutta la storia imperiale: quello dei rapporti tra principe e senato. I tratti negativi del carattere di Tiberio oscurano il fatto fondamentale della sua volontà di rispettare le forme di governo repubblicano già valorizzate da Augusto. In particolare, il rifiuto da lui più volte ribadito di onori divini dimostra il suo spirito tradizionalista. Durante tutto il suo periodo di governo Tiberio si trovò a fronteggiare un opposizione che provinciali; diede il diritto latino anche alle città peregrine della Spagna e permise l’immissione in senato ad esponenti dell’elites delle province occidentali. Il denaro per la ricostruzione del Campidoglio – distrutto da un incendio – e per le nuove opere edilizie a Roma, tra cui la costruzione del Colosseo e del Foro della Pace, venne anche da bottino di guerra, soprattutto quella Giudaica. Nel 70 d.C. Tito si impadronì di Gerusalemme e ne distrusse il nuovo tempio. Gli ultimi focolai di resistenza furono annientati nel 73-74 d.C. Vespasiano in Bretannia riprese una politica di estensione dei confini sia nella zona orientale che settentrionale, opera che fu portata a termine da Giulio Agricola sotto il regno di Domiziano. In Oriente abbandonò definitivamente la politica dei regni clienti, aggregandone i territori alle province. 3.4 Tito (79-81 d.C.). Vespasiano aveva basato la sua legittimazione sulla lex de imperio e sulla regolare assunzione del consolato, come aveva fatto Augusto. Anche per la successione seguì il sistema avviato da Augusto. Tito, oltre a ricoprire insieme al padre alcune magistrature era stato eccezionalmente anche prefetto del pretorio, pur non appartenendo all’ordine equestre ma a quello senatorio. Nel 79 d.C. alla morte del padre, l’avvicendamento avvenne senza problemi. Il breve regno di Tito fu pieno di gravi calamità naturali, tra cui la rovinosa eruzione del Vesuvio. 3.5 Domiziano (81-96 d.C.). Domiziano è contraddistinto da uno stile di governo autocratico, e quindi inviso al senato, la sua azione politica fu efficace e benefica per l’impero. La scelta di rinunciare a ulteriori vaste conquiste a favore di operazioni di consolidamento risultò realistica e lungimirante. Il territorio fu controllato attraverso l’impianto di accampamenti fortificati, collegati tra loro da una rete di strade. In questo periodo fu segnata la linea esterna di confine oltre il Reno, attraverso la costruzione di imponenti opere difensive costituite da torri di guardia di legno. Si inaugurò cosi un sistema di guardia di difesa dei confini, che, a partire da Adriano, fu adattato e impiegato su tutto l’impero. La parola limes passò ad assumere il significato di frontiera artificiale, in cui le strade limitanee servivano a collegare tra loro gli accampamenti. In alcune zone dell’Oriente e dell’Africa, l’articolazione delle strade fu tracciata a rete, a sorveglianza delle vie carovaniere, delle oasi del deserto, così da includere le zone di coltivazione agricola ma da consentire allo stesso tempo, il controllo delle popolazioni nomadi. Nell’85 d.C. si andò acuendo il problema della Dacia (attuale Romania), nella quale il re Decabalo era riuscito a unificare le varie tribù e a guidarle in varie incursioni contro il territorio romano. Una prima campagna non ebbe successo. Una seconda campagna, guidata da Domiziano, a causa della rivolta del governatore della Germania Superiore, proclamato imperator dalle sue legioni, costrinse Domiziano a stipulare una pace provvisoria. Decebalo non dovette cedere alcuna parte del suo territorio ma semplicemente concludere un trattato in cui accettava di dipendere dall’impero romano. La rivolta di Saturnino fu domata ma Domiziano si recò in Germania per punire severamente i rivoltosi. Questa rivolta ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano che inaugurò un periodo di persecuzione ed eliminazione di persone sospettate di tramare contro di lui. Lo stile autocratico costò caro a Domiziano -> dopo una serie di processi intentati contro i senatori e contro presunti simpatizzanti della religione ebraica e cristiana, Domiziano nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura. 3.6 Il sorgere del cristianesimo. Le prime comunità cristiane sorsero come un movimento all’interno del giudaismo, in un periodo in cui gli Ebrei già da tempo si trovavano sotto la dominazione straniera (erano entrati sotto il protettorato di Roma nel 63 d.C.). Il piccolo gruppo di testimoni e seguaci degli insegnamenti di Gesù si dedicò presto alla predicazione della sua parola e all’annuncio della sua morte e resurrezione tra le comunità ebraiche in Palestina e tra quelle presenti nelle grandi città dell’Impero. Le comunità cristiane si erano organizzate in forme diverse nelle varie città, ma abbiamo poche notizie sull’assetto primitivo del culto. L’autorità romana imperiale aveva affrontato la questione giudaica, senza distinguere tra i vari movimenti, considerandola un problema di “nazionalità” piuttosto che di religione. Sotto Tiberio gli Ebrei furono espulsi da Roma perché la diffusione dei culti stranieri era mal vista. Caligola, attraverso l’affermazione del culto dell’imperatore vivente, provocò una crisi gravissima nei rapporti con i Giudei e tra questi e le popolazioni delle città greche. Claudio ristabilì i privilegi e la tolleranza inaugurata da Augusto, ma anch’egli nel 49 d.C. espulse gli Ebrei da Roma. A partire da Nerone diviene evidente il contrasto tra l’autorità imperiale e la nuova religione cristiana. Gli imperatori temevano anche l’aspetto messianico e l’attesa del regno di Dio capace di minacciare i fondamenti della legittimità del loro potere. Nerone approfittò di questo clima di sospetto per incolpare i cristiani del grande incendio di Roma del 64 d.C., si iniziò contro di loro una violenta persecuzione. Gli ultimi anni di Nerone videro anche la rivolta degli ebrei in Palestina. Dopo che Vespasiano e Tito ebbero stroncato la rivolta non furono poste limitazioni al culto; Ebrei e cristiani subirono invece l’ostilità di Domiziano che per attuare una politica di legittimazione religiosa volle promuovere la figura del principe come rappresentante di Giove. Secondo alcuni studiosi Domiziano si sarebbe accanito contro i circoli vicino alla corte che manifestavano interesse per i nuovi fermenti giudaico-cristiani proprio per riacquistare il favore della parte più tradizionalista del senato. Nel corso del II secolo il cristianesimo mise salde radici in tutto l’impero, diventando un fenomeno che non poteva essere ignorato dalle autorità. Nonostante l’atteggiamento moderato degli imperatori Antonini, le denunce, i processi, le persecuzioni continuarono. Allo stesso tempo i cristiani iniziarono a registrare e far circolare le testimonianze del sacrificio delle vite dei martiri, contribuendo a diffondere e consolidare la fede cristiana. 4. Il II secolo Si tratta dell’età più prospera dell’Impero romano che, sicuro nei suoi confini, ebbe un notevole sviluppo economico e culturale. Tale stabilità conseguita con il regime successorio instauratosi a partire da Nerva, per cui al consanguineo è preferito colui che in assoluto dà le maggiori garanzie di sapere meglio governare. -> a questa soluzione non si era però arrivati in modo indolore. L’adozione di Traiano da parte di Nerva avvenne in uno stato di grave necessità, quando la dichiarata fedeltà dei pretoriani a Domiziano sembrava far sì che nel 97 d.C. si ripetessero le guerre civili del 69 d.C. 4.1 Nerva (96-98 d.C.). Il breve principato di Nerva vide la restaurazione delle prerogative del senato e un tentativo di riassetto degli equilibri istituzionali interni. La prima preoccupazione di Nerva fu quella di controllare le reazioni all’uccisione di Domiziano e di scongiurare il periodo dell’anarchia. Fece in modo da ottenere i giuramenti di fedeltà dalle truppe provinciali e si preoccupò di abolire le misure più impopolari di Domiziano. Garantito l’ordine fu votata una legge agraria per assegnare lotti di terreno ai cittadini nullatenenti e probabilmente fu durante il regno di Nerva che venne varato il programma delle cosiddette “istituzioni alimentari” -> consisteva in prestiti concessi dallo Stato agli agricoltori, che ne beneficiavano accettando di ipotecare i loro terreni. Per alleggerire l’onere finanziario delle comunità Nerva trasferì alla cassa imperiale il costo del mantenimento delle strade e delle stazioni di cambio per i messaggeri imperiali. Va ricordata, inoltre, la riorganizzazione deli sistema di approvvigionamento idrico di Roma. Nel 97 d.C., tuttavia, ci furono alcuni sintomi di crisi che minacciarono questa politica di buon governo e di restaurazione a casa di problemi sia economici che politico-militari. Sul versante politico i pretoriani chiesero la punizione degli assassini di Domiziano, Nerva acconsentì, ma in questo modo puniva coloro che l’avevano portato al potere. L’unico sistema per impedire una nuova disgregazione dell’Impero e, forse, lo scoppio di una guerra civile era quello di designare un successore che fosse in grado di affermarsi anche militarmente contro i pretoriani. Così che Nerva adottò e associò il senatore di origine spagnola -> Traiano. Nerva visse ancora solo tra mesi nel gennaio del 98 d.C. Traiano gli succedette come imperatore. 4.2 Il governo dell’Impero affidato al migliore: Traiano (98-117 d.C.). Traiano ricevette la notizia della successione mentre svolgeva le sue funzioni di governatore in provincia nella Germania meridionale. Egli unì nella sua persona le caratteristiche di esperienza militare e il senso di appartenenza al senato che erano state proprie della tradizione repubblicana ed erano state incarnate da Augusto. Tra i suoi programmi uun posto di rilievo ha l’espansione territoriale. Le campagne daciche (101-102, 105-106) sembrano godere in particolare del sostegno del senato. La Dacia fu ridotta a provincia, la popolazione fu in parte deportata o costretta a lasciare i propri territori, nel territorio di nuova conquista si ebbe una forte immigrazione di coloni di tutto l’Impero. Una notevole importanza ebbe l’enorme bottino ricavato dalla conquista e l’oro che arriva a Roma dallo sfruttamento delle miniere daciche. L’enorme quantità di metallo prezioso immessa sul mercato contribuì ad avvicinare il valore reale del denario d’argento al suo valore nominale in rapporto con l’oro -> ciò favorì la stabilità monetaria. Contemporaneamente alla fine delle operazioni daciche: ci fu l’istituzione della provincia d’Arabia, corrispondente alla zona dell’attuale Giordania e della penisola del Sinai. Grazie a tale provincia Roma acquisiva il controllo della via commerciale di mare per l’india. Infine, nel 114 d.C. Traiano organizzò una grande campagna contro i Parti in cui furono occupate l’Armenia, l’Assiria e la Mesopotamia. Ma a breve Traiano chiamato a fronteggiare una rivolta degli ebrei scoppiata in Mesopotamia decise di abbandonare le nuove conquiste, in seguito morì in Cilicia. Le truppe acclamarono imperatore il governatore della Siria Adriano (secondo alcune fonti fu adottato da Traiano come suo successore). 4.3 Adriano (117-138 d.C.). Adriano, subito dopo la proclamazione da parte delle truppe e il riconoscimento da parte del Senato, decise di abbandonare la politica di controllo diretto delle nuove province orientali e preferì affidarle ai sovrani clienti, inaugurò una politica di consolidamento interno e mise fine alle guerre di espansione. Si preoccupò di alleviare il malessere economico, cancellando i debiti arretrati contratti a Roma e in Italia con la cassa imperiale, facendo distribuzioni al popolo e proseguendo il programma alimentare di traiano. Fu un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare; fu anche un uomo di grande cultura e favorì in ogni modo l’arte, la letteratura ecc. A Roma sulla riva destra del Tevere, fece costruire per se un Mausoleo -> l’odierno Castel Sant’Angelo; a Tivoli la famosa Villa Adriana (decina di grandi complessi, per un totale di trenta edifici). Adriano passò gran parte del suo regno viaggiando attraverso le province: visitò la Britannia, l’Africa; durante il secondo grande viaggio, nel 132 d.C. dopo il suo passaggio, scoppiò in Palestina una gravissima rivolta, guidata da Simone Bar Kochba che come un messia si pose a capo della resistenza. La rivolta era stata provocata dall’intenzione di Adriano di assimilare gli Ebrei alle altre popolazioni dell’Impero. Si preoccupò di dare una forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali, riorganizzò il gruppo dei propri consiglieri, introducendovi sia dei giuristi, sia i due prefetti del pretorio; l’Italia fu divisa in quattro distretti giudiziari assegnati a senatori di rango consolare (intaccando però lo stato privilegiato dell’Italia). Inoltre, Adriano avvertì l’importanza del cero equestre per l’amministrazione finanziaria e ne riorganizzò la carriera, attraverso tappe di promozione. 4.4 Antonio Pio (138-161 d.C.). Il regno di Antonino Pio fu all’insegna della continuità con quello del suo predecessore, tuttavia, rinunciò ai grandi viaggi attraverso l’Impero. È un periodo privo di grandi avvenimenti, un segno positivo delle condizioni generali dell’Impero. Antonio ebbe rapporti buoni con il senato, dal quale riuscì a far divinizzare il suo predecessore; fu un coscienzioso e parsimonioso amministratore. Solo in Mauretania ci fu una ribellione. 4.5 Lo statuto della città. Nell’età di Antonio Pio l’impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo e del consenso presso le élites delle province e della città. Nell’impero romano vi era una grande varietà delle tipologie cittadine e soprattutto una grande diversità di statuti. Civitates in Occidente e poleis in Oriente erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali, a seconda del loro grado di integrazione nello Stato romano: 1) le città “peregrine”, quelle preesistenti alla conquista e alla loro riorganizzazione all’interno dell’Impero; si distinguono in base al loro status giuridico nei confronti di Roma: a) le città stipendiarie (che pagano un tributo); b) le città libere (con diritti speciali); c) le città libere foderate (hanno concluso un trattato con Roma). 2) I municipi sono città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e a cui abitanti è accordato o il diritto latino o quello romano. 3) La colonia in origine era una città di nuova fondazione con apporto di coloni che godono della cittadinanza romana su terre sottratte a popolazioni vinte. A partire da Claudio le città potevano ricevere lo status di colonia anche come privilegio onorario. Roma, diffondendo la cultura urbana e promuovendo la collaborazione e l’ascesa economica e sociale delle élites, perno della struttura cittadina, si assicurava in primo luogo il controllo dell’ordine e della stabilità su tutto l’Impero e sulle popolazioni comprese nel suo sistema di potere. 4.6 Marco Aurelio (161-180 d.C.). Marco Aurelio succedette ad Antonio. Non sembra che fosse stato previsto che, appena salito al trono, dividesse il potere con il fratello adottivo Lucio Vero -> prio caso del doppio principato. All’inizio del regno di Marco si riaprì la questione orientale con il potente vicino partico. La guerra, condotta da Vero, si concluse vittoriosamente nel 166 d.C., ma fu causa indiretta della crisi che travagliò l’impero negli anni successivi. Inoltre lo sguarnimento della frontiera settentrionale creò le condizioni perché i Barbari del nord si facessero pericolosi -> superarono il Danubio invadendo la Pannoinia, la Rezia e il Norico giunsero persino a minacciare l’Italia. Morto Lucio Vero, Marco Aurelio riuscì a ristabilire la situazione preesistente e a respingere i barbari nel 175 d.C. un altro sintomo di malessere dell’Impero è dato dalla rivolta del governatore di Siria che nel 175 d.C. si autoproclamò imperatore, ma fu ucciso dalle sue stesse truppe. Marco Aurelio passò allo storia come l’imperatore- filosofico, con lui si ritornò alla prassi della successione dinastica, anche se il caso volle che il figlio Commodo, che gli succedette, risultasse del tutto indegno della carica. Durante il regno di Marco, nel 177 d.C., a Lione avvenne un episodio di cruenta persecuzione contro i cristiani -> in occasione dei giochi dei gladiatori nella lotta di condannati con belve feroci. 4.7 Commodo (180-192 a.C.). Commodo divenne imperatore a soli 19 anni e si dimostrò la perfetta anti-tesi del padre. Il suo primo atto fu quello di concludere definitivamente la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio, rinunciando al progetto del padre di controllare anche regioni a nord del fiume. Le sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza, le sue innovazioni in campo religioso determinarono la rottura con il senato. Dal 182 al 185 d.C. il governo fu di fatto in mano al prefetto del pretorio Tigidio Perenne. Quando questi fu ucciso, nel 185 d.C., il suo ruolo fu preso da un liberto, Cleandro. Una grave carestia che colpì Roma nel 190 d.C., fece cadere il potere di Cleandro, offerto come capo espiatorio alle ire della plebe. Commodo non dimostrò cura assidua per le province come i suoi predecessori, né per i soldati degli eserciti stanziati nell’Impero. Il consenso interno era formato sulla plebe di Roma e sui pretoriani, piuttosto che sull’aristocrazia e sul senato. Tuttavia vi furono fenomeni di integrazione della cultura provinciale, con l’accoglimento di molte divinità straniere. Si venne a creare così una sorte di carisma divino intorno a Commodo, che da parte sua decise di proporsi agli stesso come divinità in terra. La tradizione filosenatoria dipinse Commodo come il peggiore dei tiranni, sprezzante nei confronti del senato e di Roma. 4.8 L’economia romana in età imperiale. Anche se non disponiamo di cifre sicure, è verosimile che quasi un sesto della popolazione della penisola italiana si trovasse a Roma. Tale dato è il punto di partenza obbligato per qualsiasi riflessione sugli sviluppi dell’agricoltura italica in età imperiale. La gestione del complesso dei servizi di fece crescere la burocrazia statale -> uomini al diretto servizio del sovrano. Aumentò anche il numero delle province, mentre si riduceva l’estensione del loro territorio. Diocleziano si impegno anche nella riorganizzazione del sistema economico e fiscale introducendo una nuova forma di tassazione: l’imposta fondamentale era quella che gravava sul debito agricolo. Il sistema di calcolo teneva conto del rapporto tra terra coltivabile e numero di coltivatori -> semplificare il calcolo -> l’Impero fu diviso in dodici unità regionali, dette “diocesi”. Per bloccare la continua ascesa dei prezzi delle merci come dei servizi, Diocleziano tentò la via di imporre, nel 301 d.C., un calmiere con il quale si indicava il prezzo massimo che non era consentito superare. In campo militare i successi più significativi ottenuti riguardano la soppressione di una serie di rivolte scoppiate in Britannia e in Egitto. Come previsto dal sistema tetrarchico, il 1° maggio del 305 d.C. Diocleziano e Massimiano abdicarono e subentrarono al loro posto -> Costanzo Cloro per l’Occidente e Galerio per l’Oriente. Essi nominarono a loro volta come Cesari -> Severo e Massimino Daia. Il sistema tetrarchico però entrò subito in crisi: nel 306 d.C. alla morte di Cloro, l’esercito proclamò imperatore il figlio Costantino, e non a caso, anche il figlio di Massimiliano, Massenzio, rivendicò per se il potere. La violenta persecuzione scatenata contro i cristiani, le cui motivazioni sono riconducibili alla volontà di rafforzare l’unità dell’Impero anche sul piano religioso, iniziò verso la fine del regno di Diocleziano. La fine delle persecuzioni fu ordinata da Galerio, prossimo a morire, nel 311 d.C. -> anche se continuarono nelle regioni di Massimino Daia, dove poterono dirsi definitivamente concluse con la vittoria conseguita su di lui da Licinio nel 313 d.C. 2. Da Costantino a Teodosio Magno: la Tarda Antichità e la cristianizzazione dell’Impero 2.1 Un’età di rinnovamento e non di decadenza. Il periodo da Costantino sino a Giustiniano la storiografia moderna lo indica con il termine “Tarda Antichità”. Al suo interno si distingue una fase particolarmente significativa, che inizia con il regno di Costantino e arriva alla morte di Teodosio I. Essa coincide grosso modo con il IV sec. d.C. e con il definitivo affermarsi del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero romano. L’Impero uscito dalle riforme di Diocleziano e di Costantino è effettivamente diverso rispetto al passato: le esigenze dello Stato, per il mantenimento della burocrazia e di un esercito imponente, sono tali da imporre una più forte pressione alla società. In questo periodo si assiste tra l’altro, alla scomparsa dell’ordine dei cavalieri, che viene assorbito da quello senatorio. Il senato non ha più un potere reale, si tratta ornai di magistrature che non implicano alcuna capacità decisionale. Ai questori e ai pretori è fondamentalmente delegato l’onere di organizzare dei giochi per la plebe di Roma. Quanto al consolato diventa un titolo onorifico, conferito all’imperatore. Nella Tarda Antichità il rapporto con la plebe urbana è particolarmente delicato: l’organizzazione di giochi costosi, così come la responsabilità degli approvvigionamenti alimentari, ricade sulle principali famiglie senatorie. 2.2 Costantino. Gli anni che seguirono la morte di Costanzo Cloro e che videro la proclamazione imperiale di suo figlio Costantino e del figlio di Massimiano -> Massenzio, sono assai confusi. Mentre Galerio moriva nel 311 d.C., dopo aver ordinato di cessare le persecuzioni contro i cristiani, Costantino ebbe la meglio su Massenzio nel 312 d.C., nella battaglia del Ponte Milvio sul Tevere -> questa vittoria fu ottenuta nel “segno di Cristo”, da un imperatore che dichiarava di aver abbandonato in quella circostanza il paganesimo per il cristianesimo. All’inizio del 313 d.C. Licinio e Costantino si incontrarono a Milano dove si accordarono sulle questioni fondamentali di politica religiosa. I contrasti tra Costantino e Licinio incominciarono però molto presto: lo scontro finale avvenne nel 324 d.C., quando Costantino, con la vittoria di Andrianopoli, divenne il solo imperatore. Tra le conseguenze della vittoria di Adrianopoli -> la fondazione di Costantinopoli (l’odierna Istanbul) quale “nuova Roma” nel 330 d.C. Dopo la grave crisi del III sec. d.C. era diffusa la consapevolezza della necessità di una diversa dislocazione del potere imperiale. E l’allestimento di una nuova capitale nel sito dell’antica Bisanzio. Costantinopoli ebbe un suo senato, all’inizio di 300 membri che divennero ben presto quasi 2.000. L’assemblea costantinopolitana però non conseguì mai il prestigio di quella romana. Secondo Costantino l’imperatore è presentato come vescovo di coloro che si trovano al di fuori della Chiesa cristiana, dunque dei laici. Tra le riforme più significative ce n’è una che riguarda l’esercito -> creazione di un consistente esercito mobile, detto “comitatus” perché accompagnava l’imperatore. I soldati di tale esercito ricevevano una paga più alta rispetto agli altri, cosi i soldati sulla frontiera finivano per essere soldati di second’ordine. Il comando dell’esercito mobile fu affidato a due distinti generali, uno della cavalleria e uno della fanteria. Però l’esercito mancava ancora di soldati, infatti, si ridusse l’altezza alle reclute, si incrementò la caccia ai disertori, si rafforzò l’eredità della professione militare e si concessero privilegi ai veterani per attirare dei volontari. Ma i soldati finirono per essere reclutati sempre più tra i barbari che premevano alle frontiere piuttosto che tra i contadini. La minaccia barbarica era così grave da non consentire soluzioni definitive. Lo Stato la fronteggio come poteva: da un lato, combattendo i barbari con l’impiego di tutte le risorse; dall’altro, mediante una politica di assorbimento nei quadri dell’organismo imperiale, dalla quale derivò una disomogenea “barbarizzazione della società”. 2.3 La morte di Costantino e la fine della dinastia costantiniana. Costantino solo in punto di morte ricevette il battesimo dal vescovo della città, Eusebio. La morte arrivò durante la festa di Pentecoste del 337 d.C. Assai indicative appaiono le indicazioni date da Costantino per la sua sepoltura. Nella Chiesa dedicata ai Santi Apostoli egli aveva fatto collocare dodici cenotafi, sei da una parte e sei dall’altra. Al centro c’era un sarcofago riservato per lui. Sorprende che, a fronte di un’opera di riforme così sistematica dello Stato, Costantino non abbia affrontato in modo coerente il problema della successione: si potrebbe supporre che -> con la creazione di più prefetture del pretorio, ognuna delle quali comprendente all’incirca i medesimi territori che nella tetrarchia ricadevano sotto il governo dei vari tetrarchi, egli provvedesse per ciascuna il governo di uno dei suoi figli e forse anche dei due nipoti. La partecipazione dei figli lascia intravedere il possibile ritorno a un potere retto da una pluralità di sovrani. Un collegio imperiale formato da sovrani posti tutti sullo stesso piano è poco plausibile: Costantino aveva concepito la sua missione come un ristabilimento dell’unità dell’Impero attraverso il regno di un solo imperatore. I soldati, a favore del principio di una rigida successione dinastica, alla morte di Costantino eliminarono i nipoti. Costantino II, Costante e Costanzo raggiunsero un accordo per il governo congiunto dell’Impero. Esso si rivelò però assai precario -> Costante e Costantino II morirono a dieci anni di distanza l’uno dall’altro. Rimasto unico imperatore Costanzo II fu costretto a cercare un collega a cui affidare il governo d’Occidente -> la scelta cadde sul cugino Giuliano, nominato Cesare nel 355 d.C., riuscì ad garantire la sicurezza della Gallia grazie a un successo sugli Alemanni; la sua proclamazione imperiale avvenne nel 360 d.C. da parte dell’esercito gallico. Costanzo morì nel 361 d.C. e Giuliano potè regnare come imperatore unico per due anni, dal 361 al 363 d.C., quando perì in una campagna contro i Persiani. Il suo regno è ricordato soprattutto per un effimero tentativo di reintrodurre la religione pagana. 2.4 Dalla morte di Giuliano a Teodosio Magno. Dopo il breve regno di transizione di Gioviano, che stipulò una pace poco onorevole con i Persiani fu acclamato imperatore un ufficiale di origine pannonica, Valentiniano; che associò subito al potere il fratello Valente cui affidò il governo dell’Oriente. Il regno di Valentino è importante soprattutto per un efficace contenimento dei barbari. Alla sua morte, nel 375 d.C., gli succedette suo figlio Graziano. Nel frattempo a Valente toccò affrontare una situazione molto difficile. L’Europa centro-orientale si trovava sconvolta dall’incursione degli Unni che sottoponevano a una pressione molto forte i Goti. Questi ultimi a loro volta premevano sulla frontiera danubiana. Quando irruppero in Tracia Valente li affrontò in una battaglia campale. La sconfitta da lui patita ad Andrianopoli nel 378 d.C. è di estrema gravità e rappresenta uno degli episodi che annunciano la fine dell’Impero romano d’Occidente. Dopo Andrianopoli, la convivenza con i barbari diventa un tema centrale di dibattito, soprattutto in Oriente, in ragione della politica di collaborazione promossa da Teodosio. Graziano, rimasto imperatore da solo con il piccolo Valentiniano II, chiamò un generale spagnolo, Teodosio a condividere con lui il governo dell’Impero. Teodosio consapevole dell’impossibilità di cacciare i Goti al di là del Danubio, concluse nel 382 d.C. un accordo con il loro capo Fritigerno -> i Goti ricevevano delle terre all’interno dell’Impero come popolazione autonoma: detti i “foederati” e mantenevano i loro capi e le loro leggi. Intanto in Occidente un ufficiale spagnolo Magno Massimo invase la Gallia; Graziano abbandonato dall’esercito, si tolse la vita, Massimo regnò per qualche anno sulla Gallia: la sua invasione dell’Italia provocò la risposta di Teodosio che sconfisse Massimo nel 388 d.C. Dopo di che il generale franco fece assassinare Valentino II e fece nominare imperatore un retore, Eugenio; Teodosio intervenne ancora e sconfisse Eugenio nel 394 d.C. Teodosio manifestò una particolare attenzione per il problema religoso; fondamentale è l’editto del 380 d.C., con il quale la religione cristiana veniva elevata al rango di religione ufficiale dell’Impero. Un protagonista degli ultimi decenni del IV secolo d.C., e soprattutto del regno di Teodosio, è il vescovo di Milano, sant’Ambrogio -> personalità energica ed estremamente decisa non esitò a imporre la propria autorità anche a Teodosio; gli impose addirittura una penitenza pubblica per riammetterlo nella comunità cristiana: tale sanzione era dovuta alla strage che l’imperatore aveva ordinato a Tessalonica a seguito di una sommossa popolare. 2.5 La vittoria del cristianesimo e la risposta pagana. La svolta costantiniana a favore del cristianesimo è corroborata dalla legislazione antipagana degli imperatori successivi che culmina in quella di Teodosio. Il trionfo del cristianesimo porta con sé novità fondamentali nella politica come nella società: il vescovo, l’uomo santo e la donna diventano i protagonisti di un mondo profondamente rinnovato. 2.6 La crisi economica. Tra il II e il III sec. d.C. la villa schiavista aveva ormai esaurito il suo ciclo come centro produttivo autonomo -> molte ville venivano abbandonate e la produzione tendeva ad essere decentrata su varie unità minori, sulle quali predomina la conduzione indiretta, tramite grandi e piccoli affittuari. Un processo che con il tempo porta a un mercato più limitato, che si indirizza verso una dimensione regionale. Le incursioni barbariche determinarono la chiusura dei circuiti commerciali mediterranei, tendenti a circoscriversi in aree più ristrette. 2.8 L’ideologia dell’imperatore tardoantico. Per un sovrano, dopo la crisi del III secolo, si trattava di trovare una sorgente di legittimità alternativa al senato cui ci si potesse appellare per tenere a freno gli eserciti; era necessario trovare uno strumento che fissasse in termini chiari e stabili origine e finalità di chi deteneva il potere. Un compito specifico del buon sovrano consiste nell’incrementare il sentimento morale dei sui sudditi. Per questo si deve presentare loro come una sorte di immagine, di riflesso della divinità; cosi che il re diventa l’intermediario tra Dio e gli uomini. La sacralizzazione della figura dell’imperatore aveva dietro di se una lunga storia. Già il principato augusteo aveva un fondamento carismatico: l’epiteto stesso di Augusto suggerisce l’idea di una persona posta al di sopra, in virtù di doti personali e soprannaturali, degli uomini comuni. A tale ricerca di sacralizzazione sono riconducibili le radici profonde della “rivoluzione costantiniana”. L’imperatore tardo antico è tale per “grazia divina”. Diocleziano utilizza questo fondamento teologico del potere monarchico per ridare vigore all’Impero romano vacillante per l’anarchia interna e per la pressione dei barbari. Ecco allora che il volto, l’aspetto dell’imperatore, diventa un fatto molto serio. La bellezza del monarca era un criterio cui Costantino aveva dato importanza nell’immagine che desiderava che circolasse di lui -> egli è celebrato come “imperatore giovane, lieto e bellissimo”. Fuori linea è il nipote Giuliano; profilandosi come anti-Costantino, egli non può accettare la deumanizzazione della figura del sovrano. 2.9 Costantino una figura controversa. La crisi dinastica avvenuta alla morte di Costantino, rese subito evidente quanto irrealistico fosse il suo progetto per il governo futuro dell’Impero. È stato sostenuto da Santo Mazzarino che la storia del Tardo Impero può essere letta alla luce delle sue figure epocali di Costantino e Giuliano. Quest’ultimo divenne subito dopo la sua morte un simbolo di battaglia ideologica agitato da quanti attribuivano al cristianesimo la responsabilità del declino dell’Impero. 2.10 Una società repressiva. La Tarda Antichità presenta, malgrado la cristianizzazione della società, caratteri autoritari e repressivi. Nel IV secolo d.C. un rango elevato cessò di fornire protezione dalla tortura in caso di accusa di magia, astrologia, divinazione oltre che di tradimento. A Costantino si deve una costruzione risalente al 316 d.C., che estendeva la tortura ai membri dell’élites provinciale in caso di falsificazione dei documenti. La stessa pena detentiva – anche a vita – cominciò ad essere usata per reati per i quali ci si sarebbe potuti attendere l’esilio o una multa. Per la stessa condanna a morte si andarono elaborando forme più crudeli di esecuzione -> si può parlare di barbarie giudiziaria. In questa prospettiva è significativo l’indebolimento di “status” dei cittadini liberi ma di condizione sociale più debole -> gli “humiliores”. Però ci fu un miglioramento nella posizione delle donne e delle mogli, dei figli e degli stessi schiavi. Come spiegazione per la generale tendenza all’inasprimento delle pene si possono invocare fattori di natura diversa -> fondamentale in questo processo è la componente di natura politica. C’è un parallelismo tra i progressi delle tendenze assolutistiche nel governo e il connesso sviluppo del culto imperiale; si aggiungono inoltre, le difficoltà incontrate dall’amministrazione centrale nel fare applicare le leggi. Non si mette mai in discussione il sistema generale delle pene, né il ricorso alla tortura nei casi di inchieste particolarmente delicate. 2.11 Pagani e cristiani alla fine del IV secolo d.C. il dibattito che oppone cristiani e pagani ha il suo momento intellettualmente più alto nella controversia che nel 384 d.C. oppose il prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, al vescovo di Milano Ambrogio -> si tratta del ripristino in senato dell’altare della Vittoria, presente sin dai tempi di Augusto e fatto rimuovere da Costanzo II, questione che però può apparire secondaria, in realtà vi si deve vedere un valore simbolico -> Simmaco chiese solo tolleranza, Ambrogio che persegue un idea ben precisa del ruolo della Chiesa la rifiuta. La fine dell’Impero romano d’Occidente e Bisanzio (395 al 568 d.C.) 1.La fine dell’Impero romano d’Occidente 1.1 L’Impero romano e i barbari. Attorno alla metà del IV secolo d.C. i Goti erano la forza predominante nella regione del Ponto, operando nei due raggruppamenti fondamentali dei Greutungi e dei Tervingi. Per buona parte del IV secolo d.C. le relazioni tra Roma e i Goti furono condizionate dal trattato di pace di Costantino del 332 d.C., che faceva dei Goti Tervingi uno Stato-cliente dei Romani; tale trattato contiene un importante novità -> poneva le condizioni per l’impego di barbari goti come soldati al servizio di Roma. La stabilità delle relazioni romano-gotiche fino a poco dopo il 360 d.C. è da ritenere sicura fino a quando i vari regni gotici entrarono in crisi per la pressione esercitata su di loro dagli Unni. Questa pressione spiega perché nel 376 d.C., i Tervingi facessero richiesta di essere accolti a sud del Danubio. Il processo in virtù del quale le cosiddette tribù barbariche erano state insediate a vario titolo sul territorio imperiale romano era iniziato con Marco Aurelio, da questo momento in poi gli imperatori romani si appoggiarono sempre più che scaturiva da un comune apprezzamento della cultura classica, che sicuramente impressionava i barbari e contribuiva a limitarne oppressività. 2.6 Il monachesimo. Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V secolo d.C. fu l’affermarsi del monachesimo. C’erano comunità di religiosi che vivevano attorno al loro vescovo; c’erano poi delle vere e proprie fondazioni monastiche che si susseguirono a distanza di pochi anni l’una dall’altra. Le più importanti furono quelle del monastero di Lèrins, sulle isolette della Gallia meridionale. I monasteri ebbero una funzione importante come centri di cultura. Con la fine dell’Impero romano d’Occidente era entrato in crisi anche il sistema scolastico. Nel VI secolo d.C., venuta definitivamente meno qualsiasi forma di istruzione pubblica, gli unici c’entri di vita culturale e di istruzione furono i monasteri, tale carenza fu affrontata da Cassiodoro che già nel corso della sua attività pubblica egli aveva cercato di fondare a Roma una sorta di università cristiana. All’incirca contemporaneo di Cassiodoro è San Benedetto, il grande fondatore della vita monastica in Occidente. Anche se alla base della sua conversione alla vita ascetica c’era il rifiuto di ogni commistione* con lo studio della letteratura pagana. 2.7 La trasformazione della città alla fine del mondo antico. Le trasformazioni conosciute dalla città romana tra la fine del mondo antico e l’Alto Medioevo sono diverse a seconda delle varie aree geografiche. Nella maggior parte delle città il Foro romano continuò a svolgere la sua funzione di centro economico in quanto sede del mercato, ma perse il suo ruolo di direzione politica. Già la città Tardo Antica aveva visto al suo interno la trascrizione urbanistica derivante da un processo di dislocazione del potere -> es. Milano capitale imperiale tra la fine del III secolo e l’inizio del V secolo d.C. L’età tardo antica è caratterizzata dalla costruzione di chiese di notevole proporzioni non solo nelle capitali (Roma, Milano, Ravenna), ma anche in città minori. Le cattedrali furono probabilmente collocate sin dall’inizio in zone all’interno delle mura. L’acquisizione di terreno edificabile da parte della Chiesa non dovette però essere facile. 2.8 Un nuovo tipo di alimentazione. In Occidente la fine dell’Impero romano segnò un regresso di tutte le culture nel sistema della villa e che poteva contare su una fitta rete commerciale sorretta da una vivace economia monetaria. Il declino della vita urbana e il progressivo allontanarsi delle attività produttive dalle regioni costiere significò un riduzione delle culture dei cereali, della vite e dell’olivo. La base dell’alimentazione in età romana -> grano, olio e vino, integrati da formaggio e in misura minore dalla carne. A questo regime si contrapponeva quello tipico delle popolazioni barbariche, che vivendo in condizioni climatiche più umide e fredde, avevano un economia nella quale i cereali e gli ortaggi integravano i prodotti fondamentali del bosco e della foresta (carne di cacciagione). Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero romano la struttura ben organizzata del paesaggio agrario dell’Europa occidentale andò incontro ad una forte decadenza. Zone prima coltivate divennero con il passare del tempo abbandonate, anche per l’insorgere della malaria. Tale crescente abbandono delle colture andò a favore dell’economia di montagna, quella silvo-pastorale nella quale aveva un posto considerevole la transumanza*. 2.9 L’Italia durante la guerra tra Goti e Bizantini. L’età di Teodorico (488-526 d.C.) nel complesso aveva significato un periodo di relativa ripresa. L’agricoltura e il commercio poterono approfittare del periodo di pace e di una migliorata viabilità. Però la guerra greco-gotica vanificò la possibilità che la ripresa si consolidasse. Il periodo più duro della guerra andò dal 541 al 552 d.C. 3. Bisanzio 3.1 L’Impero d’Oriente fino al regno di Giustiniano. Nella storiografia moderna si parla di “storia bizantina” (da Bisanzio, l’antico nome greco di Costantinopoli), il cui inizio e il cui fine (330-1453 d.C.) sono segnati dalla fondazione della nuova capitale da parte di Costantino e dalla sua presa da parte dei Turchi. Alla morte di Arcadio (a cui era andato l’Oriente) nel 408 d.C. gli succedette Teodosio II, un bambino, in vece del quale governava il prefetto del pretorio. Nel corso del regno di Teodosio II (408-450 d.C.) anche l’Impero d’Oriente dovette fronteggiare il pericolo barbarico, soprattutto degli Unni; ma nel complesso l’Oriente riuscì ad uscire da questa fase senza rilevanti perdite territoriali. E supero senza scosse anche la fase successiva, in cui sul trono si succedettero personaggi di estrazione diversa. A travolgere la vita interna di Bisanzio sono soprattutto le controversie di natura religiosa. Inoltre durante i regni di Leone (succ. di Marciano) si aggravarono notevolmente i problemi di natura finanziaria. La critica situazione interna fu affrontata con successo da Anastasio che realizzò un importante opera di riforma delle strutture fiscali, egli riuscì anche a bloccare un’offensiva lanciata dai persiani, 502-503 d.C. Ad Anastasio succedette un ufficiale, Giustino, alla sua morte, nel 527 d.C., sul trono pervenne il nipote Giustiniano. 3.2 Il regno di Giustiniano. Il regno di Giustiniano (527-565 d.C.), egli è legato soprattutto alla sua attività di riordinamento della giurisprudenza. Costituì una commissione, presieduta da un giurista -> Triboniano, che aveva il compito di predisporre una nuova raccolta di costituzioni imperiali. Fu pubblicato una sorte di manuale -> le Istituzioni, contenente i fondamentali principi giuridici ad uso degli studenti. Di grande rilievo fu anche l’attività edilizia -> es. la Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, all’epoca la più grande chiesa della cristianità; un forte impulso fu dato anche al commercio e a nuove attività economiche -> es. produzione della seta. Giustiniano non codette del favore degli storici contemporanei; tra queste c’erano anche le controversie dottrinali. La principale era quella che opponeva l’ortodossia -> secondo la quale la natura umana e quella divina coesistono in Cristo. I problemi interni non dissolsero Giustiniano dal suo grande disegno di riconquista dell’Occidente. Lunga e difficile fu la guerra per l’Italia, durò dal 535 al 553 d.C. I Goti opposero una forte resistenza all’esercito bizantino di Belisario. La guerra si concluse nel 552 d.C., l’Italia diventa così una delle prefetture dell’Impero d’Oriente, posto sotto l’autorità del prefetto del pretorio d’Italia. La restaurazione giustiniana in Italia fu interrotta, tre anni dopo la morte dell’imperatore, nel 568 d.C., dall’arrivo dei Longobardi con cui si determinava la cesura che da inizio alla storia del Medioevo in Italia e in Europa. A seguito della guerra groco-gotica la composizione etnica subì un serio mutamento, i latini si ridussero a meno della metà del totale, mentre i goti a una percentuale modesta, quelli orientali si triplicarono, avvicinandosi al numero di quelli latini. 3.3 Costantinopoli. In età giustiniana a Costantinopoli la popolazione contava mezzo milione di abitanti. Una tale densità abitativa si spiega con le distribuzioni gratuite di generi alimentari e un’intensa attività economica. A Costantinopoli il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria, isolati dal resto della città. La vita quotidiana del sovrano si svolgeva secondo un cerimoniale minuzioso. L’imperatore si mostrava al popolo nella basilica di Santa Sofia o nell’ippodromo, dove era accolto da acclamazioni rituali. 3.4 La società bizantina. La storia del formarsi di una “società bizantina” abbia inizio quando l’Impero romano dovette far fronte alla grave crisi che lo afflisse nel corso del III secolo d.C. l’Oriente mostrò maggiori capacità di reazione e di ripresa rispetto l’Oriente; la diversità di questo processo fu anche la causa del distacco dei due mondi -> separazione che si avverte già dalla fondazione di Costantinopoli. Nel passaggio dal mondo romano al mondo bizantino si realizzò l’affermazione di un saldo e autonomo apparato burocratico. Il governo dell’Impero non è più retto da magistrati, ma da burocrati -> funzionari specifici al servizio diretto dell’imperatore, dovevano fare un giuramento di fedeltà all’imperatore. Se all’inizio l’imperatore conservava ancora i connotati del capo scelto per volontà popolare, com’era secondo la tradizione romana, progressivamente si rafforzò l’idea che l’investitura dell’imperatore fosse in realtà concessa dalla grazia di Dio. La Chiesa cooperò al consolidarsi di questa ideologia del potere imperiale. La santificazione di Costantino I, sancita dalla Chiesa orientale, fece sì che tale culto appartenesse anche ai suoi successori. Un altro aspetto tipicamente bizantino fu il complesso di simboli che circondavano il potere imperiale. In primo luogo c’era il palazzo imperiale -> complesso di edifici; l’ippodromo -> spazio destinato alle rappresentazioni solenni, alle processioni ecc. L’imperatore viveva in una residenza che era tenuta isolata dal resto del palazzo. Il rosso fiammeggiante della porpora (colore ricavato dai molluschi), nelle vesti e nei decori, era il simbolo del potere imperiale. L’uso della porpora era riservato all’imperatore e ai suoi stretti familiari. La distanza tra il sovrano e il resto della società veniva costantemente ribadita. C’è una parola chiave che esprime efficacemente il fondamento sul quale erano regolati i rapporti sociali nell’Impero bizantino: “tàxis” -> in greco significa ordine, nel senso però di “ordine cosmico”, di per se immutabile perché voluto da Dio: quello terreno è solo un pallide riflesso dell’ordine celeste, ma proprio per questo esige che ciascuno rimanga nella condizione che gli è stata assegnata. Tale concezione va tenuta presente per comprendere quella della “mìmesis” -> “imitazione” del modello, (l’imperatore stesso ha un modello rappresentato da Gesù Cristo). “L’icona” -> l’immagine sacra è così cara all’uomo bizantino tanto da provocare reazioni estreme, fino alla ribellione, quando il potere cercò di sopprimere il culto. 3.5 La chiesa bizantina. Nella Chiesa c’era una precisa gerarchia, che corrispondeva al livello di importanza delle varie sedi -> nelle città operavano i vescovi, nei capoluoghi i metropoliti, nelle città importanti gli arcivescovi, mentre i vescovi delle tre maggiori città dell’Impero -> Costantinopoli, Antiochia e Alessandria, assunsero il ruolo di patriarca. Il patriarca doveva in teoria essere eletto dal clero, dal popolo della sua città e dai metropoliti, ma in realtà la sua nomina era di stretta competenza dell’imperatore. Lo Stato fu coinvolto direttamente nelle controversie teologiche e dottrinali che nascono e si sviluppano insieme all’Impero d’Oriente. Già il primo imperatore cristiano, Costantino dovette convocare un concilio ecumenico per procedere alla condanna dell’eresia ariana, che negava la natura divina alla persona di Cristo. Due furono le scuole teologiche che si contrapponevano quella razionalistica di Antiochia e quella mistica di Alessandria. 3.6 La fine del mondo antico. La crisi del III secolo, con le sue guerre incessanti, trasformò l’imperatore in un soldato professionista, un autocrate dallo status sovrumano. Esso fu riconosciuto e sanzionato dal cristianesimo che ne fece un delegato di Dio in terra. Il contributo della Tarda Antichità all’evoluzione del pensiero politico è decisivo. L’imperatore era riconosciuto tale per “grazia divina”. In Occidente, invece, nei nuovi regni creatisi a seguito delle invasioni barbariche, si realizzarono presto le condizioni per un’organizzazione del tutto nuova dell’economia e della politica. Malgrado numerose vicissitudini, essi fornirono il prototipo dell’idea medievale di Stato che si diffuse in Europa attraverso una serie di faticose trasformazioni.