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Alcuni sonetti del canzoniere
Tipologia: Appunti
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1 Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond'io nudriva 'l core in sul mio primo giovenile errore quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono, del vario stile in ch'io piango et ragiono fra le vane speranze e 'l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pieta, nonche perdono. Ma ben veggio or si come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna e 'l frutto, e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo e breve sogno. 2 Per fare una leggiadra sua vendetta et punire in un di ben mille offese, celatamente Amor l'arco riprese, come huom ch'a nocer luogo et tempo aspetta. Era la mia virtute al cor ristretta per far ivi et ne gli occhi sue difese, quando 'l colpo mortal la giu discese ove solea spuntarsi ogni saetta. Pero, turbata nel primiero assalto, non ebbe tanto ne vigor ne spazio che potesse al bisogno prender l'arme, overo al poggio faticoso et alto ritrarmi accortamente da lo strazio del quale oggi vorrebbe, et non po, aitarme. 3 Era il giorno ch'al sol si scoloraro per la pieta del suo factore i rai, quando i' fui preso, et non me ne guardai, che i be' vostr'occhi, donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi d'Amor: pero m'andai secur, senza sospetto; onde i miei guai nel commune dolor s'incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato et aperta la via per gli occhi al core, che di lagrime son fatti uscio et varco: pero al mio parer non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l'arco. 4 Que' ch'infinita providentia et arte mostro nel suo mirabil magistero, che crio questo et quell'altro hemispero, et mansueto piu Giove che Marte, vegnendo in terra a 'lluminar le carte
ch'avean molt'anni gia celato il vero, tolse Giovanni da la rete et Piero, et nel regno del ciel fece lor parte. Di se nascendo a Roma non fe' gratia, a Giudea si, tanto sovr'ogni stato humiltate exaltar sempre gli piacque; ed or di picciol borgo un sol n'a dato, tal che natura e 'l luogo si ringratia onde si bella donna al mondo nacque.
5 Quando io movo i sospiri a chiamar voi, e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore, LAUdando s'incomincia udir di fore il suon de' primi dolci accenti suoi. Vostro stato REal, che 'ncontro poi, raddoppia a l'alta impresa il mio valore; ma: TAci, grida il fin, che farle honore e d'altri homeri soma che da' tuoi. Cosi LAUdare et REverire insegna la voce stessa, pur ch'altri vi chiami, o d'ogni reverenza et d'onor degna: se non che forse Apollo si disdegna ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami lingua mortal presumptuosa vegna. 6 Si traviato e 'l folle mi' desio a seguitar costei che 'n fuga e volta, et de' lacci d'Amor leggiera et sciolta vola dinanzi al lento correr mio, che quanto richiamando piu l'envio per la secura strada, men m'ascolta: ne mi vale spronarlo, o dargli volta, ch'Amor per sua natura il fa restio. Et poi che 'l fren per forza a se raccoglie, i' mi rimango in signoria di lui, che mal mio grado a morte mi trasporta: sol per venir al lauro onde si coglie acerbo frutto, che le piaghe altrui gustando afflige piu che non conforta. 7 La gola e 'l sonno et l'otiose piume anno del mondo ogni vertu sbandita, ond'e dal corso suo quasi smarrita nostra natura vinta dal costume; et e si spento ogni benigno lume del ciel, per cui s'informa humana vita, che per cosa mirabile s'addita chi vol far d'Elicona nascer fiume. Qual vaghezza di lauro, qual di mirto? Povera et nuda vai philosophia, dice la turba al vil guadagno intesa. Pochi compagni avrai per l'altra via: tanto ti prego piu, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa. 8 A pie' de' colli ove la bella vesta prese de le terrene membra pria la donna che colui ch'a te ne 'nvia spesso dal somno lagrimando desta, libere in pace passavam per questa vita mortal, ch'ogni animal desia, senza sospetto di trovar fra via cosa ch'al nostr'andar fosse molesta. Ma del misero stato ove noi semo condotte da la vita altra serena un sol conforto, et de la morte, avemo: che vendetta e di lui ch'a cio ne mena, lo qual in forza altrui presso a l'extremo riman legato con maggior catena. 9 Quando 'l pianeta che distingue l'ore ad albergar col Tauro si ritorna, cade vertu da l'infiammate corna che veste il mondo di novel colore; et non pur quel che s'apre a noi di fore, le rive e i colli, di fioretti adorna, ma dentro dove gia mai non s'aggiorna gravido fa di se il terrestro humore, onde tal fructo et simile si colga: cosi costei, ch'e tra le donne un sole , in me movendo de' begli occhi i rai cria d'amor penseri, atti et parole; ma come ch'ella gli governi o volga, primavera per me pur non e mai. 10 Gloriosa columna in cui s'appoggia nostra speranza e 'l gran nome latino, ch'ancor non torse del vero camino l'ira di Giove per ventosa pioggia, qui non palazzi, non theatro o loggia, ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino tra l'erba verde e 'l bel monte vicino, onde si scende poetando et poggia, levan di terra al ciel nostr'intellecto; e 'l rosigniuol che dolcemente all'ombra tutte le notti si lamenta et piagne, d'amorosi penseri il cor ne 'ngombra: ma tanto bel sol tronchi, et fai imperfecto, tu che da noi, signor mio, ti scompagne. 11 Lassare il velo o per sole o per ombra, donna, non vi vid'io poi che in me conosceste il gran desio ch'ogni altra voglia d'entr'al cor mi sgombra. Mentr'io portava i be' pensier' celati,
ch'anno la mente desiando morta, vidivi di pietate ornare il volto; ma poi ch'Amor di me vi fece accorta, fuor i biondi capelli allor velati, et l'amoroso sguardo in se raccolto. Quel ch'i' piu desiava in voi m'e tolto: si mi governa il velo che per mia morte, et al caldo et al gielo, de' be' vostr'occhi il dolce lume adombra. 12 Se la mia vita da l'aspro tormento si puo tanto schermire, et dagli affanni, ch'i' veggia per vertu de gli ultimi anni, donna, de' be' vostr'occhi il lume spento , e i cape' d'oro fin farsi d'argento, et lassar le ghirlande e i verdi panni, e 'l viso scolorir che ne' miei danni a llamentar mi fa pauroso et lento: pur mi dara tanta baldanza Amore ch'i' vi discovriro de' mei martiri qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore; et se 'l tempo e contrario ai be' desiri, non fia ch'almen non giunga al mio dolore alcun soccorso di tardi sospiri. 16 Movesi il vecchierel canuto et biancho del dolce loco ov'a sua eta fornita et da la famigliuola sbigottita che vede il caro padre venir manco; indi trahendo poi l'antiquo fianco per l'extreme giornate di sua vita, quanto piu po, col buon voler s'aita, rotto dagli anni, et dal cammino stanco; et viene a Roma, seguendo 'l desio, per mirar la sembianza di colui ch'ancor lassu nel ciel vedere spera: cosi, lasso, talor vo cerchand'io, donna , quanto e possibile, in altrui la disiata vostra forma vera. 18 Quand'io son tutto volto in quella parte ove 'l bel viso di madonna luce, et m'e rimasa nel pensier la luce che m'arde et strugge dentro a parte a parte, i' che temo del cor che mi si parte, et veggio presso il fin de la mia luce, vommene in guisa d'orbo, senza luce, che non sa ove si vada et pur si parte. Cosi davanti ai colpi de la morte fuggo: ma non si ratto che 'l desio meco non venga come venir sole. Tacito vo, che le parole morte farian pianger la gente; et i' desio che le lagrime mie si spargan sole.
nascosto altro colore, che l'alma sconsolata assai non mostri piu chiari i pensier' nostri, et la fera dolcezza ch'e nel core, per gli occhi che di sempre pianger vaghi cercan di et nocte pur chi glien'appaghi. Novo piacer che ne gli umani ingegni spesse volte si trova, d'amar qual cosa nova piu folta schiera di sospiri accoglia! Et io son un di quei che 'l pianger giova; et par ben ch'io m'ingegni che di lagrime pregni sien gli occhi miei si come 'l cor di doglia; et perche a ccio m'invoglia ragionar de' begli occhi, ne cosa e che mi tocchi o sentir mi si faccia cosi a dentro, corro spesso, et rientro, cola donde piu largo il duol trabocchi, et sien col cor punite ambe le luci, ch'a la strada d'Amor mi furon duci. Le treccie d'or che devrien fare il sole d'invidia molta ir pieno, e 'l bel guardo sereno, ove i raggi d'Amor si caldi sono che mi fanno anzi tempo venir meno, et l'accorte parole, rade nel mondo o sole, che mi fer gia di se cortese dono, mi son tolte; et perdono piu lieve ogni altra offesa, che l'essermi contesa quella benigna angelica salute che 'l mio cor a vertute destar solea con una voglia accesa: tal ch'io non penso udir cosa gia mai che mi conforte ad altro ch'a trar guai. Et per pianger anchor con piu diletto, le man' bianche sottili et le braccia gentili, et gli atti suoi soavemente alteri, e i dolci sdegni alteramente humili, e 'l bel giovenil petto, torre d'alto intellecto, mi celan questi luoghi alpestri et feri; et non so s'io mi speri vederla anzi ch'io mora: pero ch'ad ora ad ora s'erge la speme, et poi non sa star ferma, ma ricadendo afferma di mai non veder lei che 'l ciel honora, ov'alberga Honestade et Cortesia,
et dov'io prego che 'l mio albergo sia. Canzon, s'al dolce loco la donna nostra vedi, credo ben che tu credi ch'ella ti porgera la bella mano, ond'io son si lontano. Non la toccar; ma reverente ai piedi le di' ch'io saro la tosto ch'io possa, o spirto ignudo od uom di carne et d'ossa. 50 Ne la stagion che 'l ciel rapido inchina verso occidente, et che 'l di nostro vola a gente che di la forse l'aspetta, veggendosi in lontan paese sola, la stancha vecchiarella pellegrina raddoppia i passi, et piu et piu s'affretta; et poi cosi soletta al fin di sua giornata talora e consolata d'alcun breve riposo, ov'ella oblia la noia e 'l mal de la passata via. Ma, lasso, ogni dolor che 'l di m'adduce cresce qualor s'invia per partirsi da noi l'eterna luce. Come 'l sol volge le 'nfiammate rote per dar luogo a la notte, onde discende dagli altissimi monti maggior l'ombra, l'avaro zappador l'arme riprende, et con parole et con alpestri note ogni gravezza del suo petto sgombra; et poi la mensa ingombra di povere vivande, simili a quelle ghiande, le qua' fuggendo tutto 'l mondo honora. Ma chi vuol si rallegri ad ora ad ora, ch'i' pur non ebbi anchor, non diro lieta, ma riposata un'hora, ne per volger di ciel ne di pianeta. Quando vede 'l pastor calare i raggi del gran pianeta al nido ov'egli alberga, e 'nbrunir le contrade d'oriente, drizzasi in piedi, et co l'usata verga, lassando l'erba et le fontane e i faggi, move la schiera sua soavemente; poi lontan da la gente o casetta o spelunca di verdi frondi ingiuncha: ivi senza pensier' s'adagia et dorme. Ahi crudo Amor, ma tu allor piu mi 'nforme a seguir d'una fera che mi strugge, la voce e i passi et l'orme, et lei non stringi che s'appiatta et fugge.
E i naviganti in qualche chiusa valle gettan le menbra, poi che 'l sol s'asconde, sul duro legno, et sotto a l'aspre gonne. Ma io, perche s'attuffi in mezzo l'onde, et lasci Hispagna dietro a le sue spalle, et Granata et Marroccho et le Colonne, et gli uomini et le donne e 'l mondo et gli animali aquetino i lor mali, fine non pongo al mio obstinato affanno; et duolmi ch'ogni giorno arroge al danno, ch'i' son gia pur crescendo in questa voglia ben presso al decim'anno, ne poss'indovinar chi me ne scioglia. Et perche un poco nel parlar mi sfogo, veggio la sera i buoi tornare sciolti da le campagne et da' solcati colli: i miei sospiri a me perche non tolti quando che sia? perche no 'l grave giogo? perche di et notte gli occhi miei son molli? Misero me, che volli quando primier si fiso gli tenni nel bel viso per iscolpirlo imaginando in parte onde mai ne per forza ne per arte mosso sara, fin ch'i' sia dato in preda a chi tutto diparte! Ne so ben ancho che di lei mi creda. Canzon, se l'esser meco dal matino a la sera t'a fatto di mia schiera, tu non vorrai mostrarti in ciascun loco; et d'altrui loda curerai si poco, ch'assai ti fia pensar di poggio in poggio come m'a concio 'l foco di questa viva petra, ov'io m'appoggio. 52 Non al suo amante piu Diana piacque, quando per tal ventura tutta ignuda la vide in mezzo de le gelide acque, ch'a me la pastorella alpestra et cruda posta a bagnar un leggiadretto velo, ch'a l'aura il vago et biondo capel chiuda, tal che mi fece, or quand'egli arde 'l cielo, tutto tremar d'un amoroso gielo. 54 Perch'al viso d'Amor portava insegna, mosse una pellegrina il mio cor vano, ch'ogni altra mi parea d'onor men degna. Et lei seguendo su per l'erbe verdi, udi' dir alta voce di lontano: Ahi, quanti passi per la selva perdi! 57
Mie venture al venir son tarde et pigre , la speme incerta, e 'l desir monta et cresce, onde e 'l lassare et l'aspectar m'incresce; et poi al partir son piu levi che tigre. Lasso, le nevi fien tepide et nigre, e 'l mar senz'onda, et per l'alpe ogni pesce, et corcherassi il sol la oltre ond'esce d'un medesimo fonte Eufrate et Tigre, prima ch'i' trovi in cio pace ne triegua, o Amore o madonna altr'uso impari, che m'anno congiurato a torto incontra. Et s'i' o alcun dolce, e dopo tanti amari , che per disdegno il gusto si dilegua: altro mai di lor gratie non m'incontra. 61 Benedetto sia 'l giorno, et 'l mese, et l'anno, et la stagione, e 'l tempo, et l'ora, e 'l punto, e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto da'duo begli occhi che legato m'anno; et benedetto il primo dolce affanno ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto, et l'arco, et le saette ond'i' fui punto, et le piaghe che 'nfin al cor mi vanno. Benedette le voci tante ch'io chiamando il nome de mia donna o sparte, e i sospiri, et le lagrime, e 'l desio; et benedette sian tutte le carte ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio, ch'e sol di lei, si ch'altra non v'a parte. 62 Padre del ciel, dopo i perduti giorni, dopo le notti vaneggiando spese, con quel fero desio ch'al cor s'accese, mirando gli atti per mio mal si adorni, piacciati omai col Tuo lume ch'io torni ad altra vita et a piu belle imprese, si ch'avendo le reti indarno tese, il mio duro adversario se ne scorni. Or volge, Signor mio, l'undecimo anno ch'i' fui sommesso al dispietato giogo che sopra i piu soggetti e piu feroce. Miserere del mio non degno affanno; reduci i pensier' vaghi a miglior luogo; ramenta lor come oggi fusti in croce. 74 Io son gia stanco di pensar si come i miei pensier' in voi stanchi non sono, et come vita anchor non abbandono per fuggir de' sospir' si gravi some; et come a dir del viso et de le chiome et de' begli occhi, ond'io sempre ragiono, non e mancata omai la lingua e 'l suono di et notte chiamando il vostro nome;
che perduto anno si dolce vicino; et rallegresi il cielo, ov'ello e gito. 91 La bella donna che cotanto amavi subitamente s'e da noi partita, et per quel ch'io ne speri al ciel salita, si furon gli atti suoi dolci soavi. Tempo e da ricovrare ambo le chiavi del tuo cor, ch'ella possedeva in vita, et seguir lei per via dritta expedita: peso terren non sia piu che t'aggravi. Poi che se' sgombro de la maggior salma, l'altre puoi giuso agevolmente porre, sallendo quasi un pellegrino scarco. Ben vedi omai si come a morte corre ogni cosa creata, et quanto all'alma bisogna ir lieve al periglioso varco. 100 Quella fenestra ove l'un sol si vede, quando a lui piace, et l'altro in su la nona; et quella dove l'aere freddo suona ne' brevi giorni, quando borrea 'l fiede; e 'l sasso, ove a' gran di pensosa siede madonna, et sola seco si ragiona, con quanti luoghi sua bella persona copri mai d'ombra, o disegno col piede; e 'l fiero passo ove m'agiunse Amore; e lla nova stagion che d'anno in anno mi rinfresca in quel di l'antiche piaghe; e 'l volto, et le parole che mi stanno altamente confitte in mezzo 'l core, fanno le luci mie di pianger vaghe. 106 Nova angeletta sovra l'ale accorta scese dal cielo in su la fresca riva, la 'nd'io passava sol per mio destino. Poi che senza compagna et senza scorta mi vide, un laccio che di seta ordiva tese fra l'erba, ond'e verde il camino. Allor fui preso ; et non mi spiacque poi, si dolce lume uscia degli occhi suoi. 114 De l'empia Babilonia , ond'e fuggita ogni vergogna, ond'ogni bene e fori, albergo di dolor, madre d'errori , son fuggito io per allungar la vita. Qui mi sto solo; et come Amor m'invita, or rime et versi, or colgo herbette et fiori, seco parlando, et a tempi migliori sempre pensando: et questo sol m'aita. Ne del vulgo mi cal, ne di Fortuna, ne di me molto, ne di cosa vile, ne dentro sento ne di fuor gran caldo. Sol due persone cheggio; et vorrei l'una
col cor ver' me pacificato humile, l'altro col pie', si come mai fu, saldo. 126 Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir' mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior' che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole extreme. S'egli e pur mio destino e 'l cielo in cio s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, et torni l'alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: che lo spirito lasso non poria mai in piu riposato porto ne in piu tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l'ossa. Tempo verra anchor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella et mansueta, et la 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa et lieta, cercandomi; et, o pieta!, gia terra in fra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri si dolcemente che merce m'impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da' be' rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta gia de l'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito et perle eran quel di a vederle; qual si posava in terra, et qual su l'onde;
qual con un vago errore girando parea dir: " Qui regna Amore. " Quante volte diss'io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Cosi carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e 'l dolce riso m'aveano, et si diviso da l'imagine vera, ch'i' dicea sospirando: Qui come venn'io, o quando?; credendo d'esser in ciel, non la dov'era. Da indi in qua mi piace questa herba si, ch'altrove non o pace. Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. 128 Italia mia, benche 'l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo si spesse veggio, piacemi almen che ' miei sospir' sian quali spera 'l Tevero et l'Arno, e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio. Rettor del cielo, io cheggio che la pieta che Ti condusse in terra Ti volga al Tuo dilecto almo paese. Vedi, Segnor cortese, di che lievi cagion' che crudel guerra; e i cor', che 'ndura et serra Marte superbo et fero, apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda; ivi fa che 'l Tuo vero, qual io mi sia, per la mia lingua s'oda. Voi cui Fortuna a posto in mano il freno de le belle contrade, di che nulla pieta par che vi stringa, che fan qui tante pellegrine spade? perche 'l verde terreno del barbarico sangue si depinga? Vano error vi lusinga: poco vedete, et parvi veder molto, che 'n cor venale amor cercate o fede. Qual piu gente possede, colui e piu da' suoi nemici avolto. O diluvio raccolto di che deserti strani per inondar i nostri dolci campi! Se da le proprie mani questo n'avene, or chi fia che ne scampi? Ben provide Natura al nostro stato, quando de l'Alpi schermo
pose fra noi et la tedesca rabbia; ma 'l desir cieco, e 'ncontr'al suo ben fermo, s'e poi tanto ingegnato, ch'al corpo sano a procurato scabbia. Or dentro ad una gabbia fiere selvagge et mansuete gregge s'annidan si che sempre il miglior geme: et e questo del seme, per piu dolor, del popol senza legge, al qual, come si legge, Mario aperse si 'l fianco, che memoria de l'opra ancho non langue, quando assetato et stanco non piu bevve del fiume acqua che sangue. Cesare taccio che per ogni piaggia fece l'erbe sanguigne di lor vene, ove 'l nostro ferro mise. Or par, non so per che stelle maligne, che 'l cielo in odio n'aggia: vostra merce, cui tanto si commise. Vostre voglie divise guastan del mondo la piu bella parte. Qual colpa, qual giudicio o qual destino fastidire il vicino povero, et le fortune afflicte et sparte perseguire, e 'n disparte cercar gente et gradire, che sparga 'l sangue et venda l'alma a prezzo? Io parlo per ver dire, non per odio d'altrui, ne per disprezzo. Ne v'accorgete anchor per tante prove del bavarico inganno ch'alzando il dito colla morte scherza? Peggio e lo strazio, al mio parer, che 'l danno; ma 'l vostro sangue piove piu largamente, ch'altr'ira vi sferza. Da la matina a terza di voi pensate, et vederete come tien caro altrui che tien se cosi vile. Latin sangue gentile, sgombra da te queste dannose some; non far idolo un nome vano senza soggetto: che 'l furor de lassu, gente ritrosa, vincerne d'intellecto, peccato e nostro, et non natural cosa. Non e questo 'l terren ch'i' toccai pria? Non e questo il mio nido ove nudrito fui si dolcemente? Non e questa la patria in ch'io mi fido, madre benigna et pia,
la dove il ciel e piu sereno et lieto mi rivedrai sovr'un ruscel corrente, ove l'aura si sente d'un fresco et odorifero laureto. Ivi e 'l mio cor, et quella che 'l m'invola; qui veder poi l'imagine mia sola. 136 Fiamma dal ciel su le tue treccie piova, malvagia , che dal fiume et da le ghiande per l'altrui impoverir se' ricca et grande, poi che di mal oprar tanto ti giova; nido di tradimenti , in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande, de vin serva , di lecti et di vivande, in cui Luxuria fa l'ultima prova. Per le camere tue fanciulle et vecchi vanno trescando, et Belzebub in mezzo co' mantici et col foco et co li specchi. Gia non fustu nudrita in piume al rezzo, ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi: or vivi si ch'a Dio ne venga il lezzo. 137 L'avara Babilonia a colmo il sacco d'ira di Dio, e di vitii empii et rei, tanto che scoppia, ed a fatti suoi dei non Giove et Palla, ma Venere et Bacco. Aspectando ragion mi struggo et fiacco; ma pur novo soldan veggio per lei, lo qual fara, non gia quand'io vorrei, sol una sede, et quella fia in Baldacco. Gl'idoli suoi sarranno in terra sparsi, et le torre superbe, al ciel nemiche , e i suoi torrer' di for come dentro arsi. Anime belle et di virtute amiche terranno il mondo; et poi vedrem lui farsi aureo tutto, et pien de l'opre antiche. 138 Fontana di dolore, albergo d'ira, scola d'errori, et templo d'eresia, gia Roma, or Babilonia falsa et ria, per cui tanto si piange et si sospira; o fucina d'inganni, o pregion dira, ove 'l ben more, e 'l mal si nutre et cria, di vivi inferno, un gran miracol fia se Cristo teco alfine non s'adira. Fondata in casta et humil povertate, contra' tuoi fondatori alzi le corna , putta sfacciata: et dove ai posto spene? Ne gli adulteri tuoi? ne le mal nate richezze tante? Or Constantin non torna; ma tolga il mondo tristo che 'l sostene. 134 Pace non trovo, et non o da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio. Tal m'a in pregion, che non m'apre ne serra, ne per suo mi riten ne scioglie il laccio; et non m'ancide Amore, et non mi sferra, ne mi vuol vivo, ne mi trae d'impaccio. Veggio senza occhi, et non o lingua et grido; et bramo di perir, et cheggio aita; et o in odio me stesso, et amo altrui. Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte et vita: in questo stato son, donna, per voi. Allor mi strinsi a l'ombra d'un bel faggio, tutto pensoso; et rimirando intorno, vidi assai periglioso il mio viaggio; et tornai indietro quasi a mezzo 'l giorno. 142 A la dolce ombra de le belle frondi corsi fuggendo un dispietato lume che'nfin qua giu m'ardea dal terzo cielo; et disgombrava gia di neve i poggi l'aura amorosa che rinova il tempo, et fiorian per le piagge l'erbe e i rami. Non vide il mondo si leggiadri rami, ne mosse il vento mai si verdi frondia me si mostrar quel primo tempo: tal che , temendo de l'ardente lume, non volsi al mio refugio ombra di poggi, ma de la pianta piu gradita in cielo. Un lauro mi difese allor dal cielo, onde piu volte vago de' bei rami da po' son gito per selve et per poggi; ne gia mai ritrovai tronco ne frondi tanto honorate dal supremo lume che non mutasser qualitate a tempo. Pero piu fermo ognor di tempo in tempo, seguendo ove chiamar m'udia dal cielo e scorto d'un soave et chiaro lume, tornai sempre devoto ai primi rami et quando a terra son sparte le frondi et quando il sol fa verdeggiar i poggi. Selve, sassi, campagne, fiumi et poggi, quanto e creato, vince et cangia il tempo: ond'io cheggio perdono a queste frondi, se rivolgendo poi molt'anni il cielo fuggir disposi gl' invescati rami tosto ch'incominciai di veder lume. Tanto mi piacque prima il dolce lume ch'i' passai con diletto assai gran poggi per poter appressar gli amati rami:
ora la vita breve e 'l loco e 'l tempo mostranmi altro sentier di gire al cielo et di far frutto, non pur fior' et frondi. Altr'amor, altre frondi et altro lume, altro salir al ciel per altri poggi cerco, che n'e ben tempo, et altri rami.
146 O d'ardente vertute ornata et calda alma gentil chui tante carte vergo; o sol gia d'onestate intero albergo, torre in alto valor fondata et salda; o fiamma, o rose sparse in dolce falda di viva neve, in ch'io mi specchio e tergo; o piacer onde l'ali al bel viso ergo, che luce sovra quanti il sol ne scalda: del vostro nome, se mie rime intese fossin si lunge, avrei pien Tyle et Battro, la Tana e 'l Nilo, Athlante, Olimpo et Calpe. Poi che portar nol posso in tutte et quattro parti del mondo, udrallo il bel paese ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe.
148 Non Tesin, Po, Varo, Adige et Tebro, Eufrate, Tigre, Nilo, Hermo, Indo et Gange, Tana, Histro, Alpheo, Garona, e 'l mar che frange, Rodano, Hibero, Ren, Sena, Albia, Era, Hebro; non edra, abete, pin, faggio, o genebro, poria 'l foco allentar che 'l cor tristo ange, quant'un bel rio ch'ad ognor meco piange, co l' arboscel che 'n rime orno et celebro. Questo un soccorso trovo tra gli assalti d'Amore, ove conven ch'armato viva la vita che trapassa a si gran salti.
Cosi cresca il bel lauro in fresca riva, et chi 'l pianto pensier' leggiadri et alti ne la dolce ombra al suon de l'acque scriva.
151 Non d'atra et tempestosa onda marina fuggio in porto gia mai stanco nocchiero, com'io dal fosco et torbido pensero fuggo ove 'l gran desio mi sprona e 'nchina. Ne mortal vista mai luce divina vinse, come la mia quel raggio altero del bel dolce soave bianco et nero, in che i suoi strali Amor dora et affina. Cieco non gia, ma pharetrato il veggo; nudo, se non quanto vergogna il vela; garzon con ali: non pinto, ma vivo. Indi mi mostra quel ch'a molti cela, ch'a parte a parte entro a' begli occhi leggo
quant'io parlo d'Amore, et quant'io scrivo. 152 Questa humil fera, un cor di tigre o d'orsa, che 'n vista humana e 'n forma d'angel vene, in riso e 'n pianto, fra paura et spene mi rota si ch'ogni mio stato inforsa. Se 'n breve non m'accoglie o non mi smorsa, ma pur come suol far tra due mi tene, per quel ch'io sento al cor gir fra le vene dolce veneno, Amor, mia vita e corsa. Non po piu la vertu fragile et stanca tante varietati omai soffrire, che 'n un punto arde, agghiaccia, arrossa e 'nbianca. Fuggendo spera i suoi dolor' finire, come colei che d'ora in hora manca: che ben po nulla chi non po morire. 159 In qual parte del ciel, in quale idea era l'exempio, onde Natura tolse quel bel viso leggiadro, in ch'ella volse mostrar qua giu quanto lassu potea? Qual nimpha in fonti, in selve mai qual dea, chiome d'oro si fino a l'aura sciolse? quando un cor tante in se vertuti accolse? benche la somma e di mia morte rea. Per divina bellezza indarno mira chi gli occhi de costei gia mai non vide come soavemente ella gli gira; non sa come Amor sana, et come ancide, chi non sa come dolce ella sospira, et come dolce parla, et dolce ride. 161 O passi sparsi, o pensier' vaghi et pronti, o tenace memoria, o fero ardore, o possente desire, o debil core, oi occhi miei, occhi non gia, ma fonti! O fronde, honor de le famose fronti, o sola insegna al gemino valore! O faticosa vita, o dolce errore, che mi fate ir cercando piagge et monti! O bel viso ove Amor inseme pose gli sproni e 'l fren ond'el mi punge et volve, come a lui piace, et calcitrar non vale! O anime gentili et amorose, s'alcuna a 'l mondo, et voi nude ombre et polve, deh ristate a veder quale e 'l mio male. 164 Or che 'l ciel et la terra e 'l vento tace et le fere e gli augelli il sonno affrena,
di duol mi struggo, et di fuggir mi stanco. (Sentimenti contrastanti)
226 Passer mai solitario in alcun tetto non fu quant'io, ne fera in alcun bosco, ch'i' non veggio 'l bel viso, et non conosco altro sol, ne quest'occhi ann'altro obiecto. Lagrimar sempre e 'l mio sommo diletto, il rider doglia, il cibo assentio et tosco, la notte affanno, e 'l ciel seren m'e fosco, et duro campo di battaglia il letto. Il sonno e veramente, qual uom dice, parente de la morte, e 'l cor sottragge a quel dolce penser che 'n vita il tene. Solo al mondo paese almo, felice, verdi rive fiorite, ombrose piagge, voi possedete, et io piango, il mio bene.
244 Il mal mi preme, et mi spaventa il peggio, al qual veggio si larga et piana via, ch'i' son intrato in simil frenesia, et con duro penser teco vaneggio; ne so se guerra o pace a Dio mi cheggio, che 'l danno e grave, et la vergogna e ria. Ma perche piu languir? di noi pur fia quel ch'ordinato e gia nel sommo seggio. Bench'i' non sia di quel grand'onor degno che tu mi fai, che te n'inganna Amore, che spesso occhio ben san fa veder torto, pur d'alzar l'alma a quel celeste regno e il mio consiglio, et di spronare il core: perche 'l camin e lungo, e 'l tempo e corto. 254 I'pur ascolto, et non odo novella de la dolce et amata mia nemica, ne so ch'i' me ne pensi o ch'i' mi dica, si 'l cor tema et speranza mi puntella. Nocque ad alcuna gia l'esser si bella; questa piu d'altra e bella et piu pudica: forse vuol Dio tal di vertute amica torre a la terra, e 'n ciel farne una stella; anzi un sole: et se questo e, la mia vita, i miei corti riposi e i lunghi affanni son giunti al fine. O dura dipartita, perche lontan m'ai fatto da' miei danni? La mia favola breve e gia compita, et fornito il mio tempo a mezzo gli anni.
263 Arbor victoriosa trumphale, onor d'imperadori et di poeti, quanti m'ai fatto di dogliosi et lieti in questa breve mia vita mortale!
vera donna, et a cui di nulla cale, se non d'onor, che sovr'ogni altra mieti, ne d'Amor visco temi, o lacci o reti, ne 'ngano altrui contr'al tuo senno vale. Gentileza di sangue, et l'altre care cose tra noi, perle et robini et oro, quasi vil soma egualmente dispregi. L'alta belta ch'al mondo non a pare noia t'e, se non quanto il bel thesoro di castita par ch'ella adorni et fregi. 264 I' vo pensando, et nel penser m'assale una pieta si forte di me stesso, che mi conduce spesso ad altro lagrimar ch'i' non soleva: che, vedendo ogni giorno il fin piu presso, mille fiate o chieste a Dio quell'ale co le quai del mortale carcer nostro intelletto al ciel si leva. Ma infin a qui niente mi releva prego o sospiro o lagrimar ch'io faccia: e cosi per ragion conven che sia, che chi, possendo star, cadde tra via, degno e che mal suo grado a terra giaccia. Quelle pietose braccia in ch'io mi fido, veggio aperte anchora, ma temenza m'accora per gli altrui exempli, et del mio stato tremo, ch'altri mi sprona, et son forse a l'extremo. L'un penser parla co la mente, et dice: " Che pur agogni? onde soccorso attendi? Misera, non intendi con quanto tuo disnore il tempo passa? Prendi partito accortamente, prendi; e del cor tuo divelli ogni radice del piacer che felice nol po mai fare, et respirar nol lassa. Se gia e gran tempo fastidita et lassa se' di quel falso dolce fugitivo che 'l mondo traditor puo dare altrui, a che ripon' piu la speranza in lui, che d'ogni pace et di fermezza e privo? Mentre che 'l corpo e vivo, ai tu 'l freno in bailia de' penser' tuoi: deh stringilo or che poi, che dubbioso e 'l tardar come tu sai, e 'l cominciar non fia per tempo omai. Gia sai tu ben quanta dolcezza porse agli occhi tuoi la vista di colei la qual ancho vorrei ch'a nascer fosse per piu nostra pace. Ben ti ricordi, et ricordar te 'n dei,
de l'imagine sua quand'ella corse al cor, la dove forse non potea fiammma intrar per altrui face: ella l'accese; et se l'ardor fallace duro molt'anni in aspectando un giorno, che per nostra salute unqua non vene, or ti solleva a piu beata spene, mirando 'l ciel che ti si volve intorno, immortal et addorno: che dove, del mal suo qua giu si lieta, vostra vaghezza acqueta un mover d'occhi, un ragionar, un canto, quanto fia quel piacer, se questo e tanto? " Da l'altra parte un pensier dolce et agro, con faticosa et dilectevol salma sedendosi entro l'alma, preme 'l cor di desio, di speme il pasce; che sol per fama gloriosa et alma non sente quand'io agghiaccio, o quand'io flagro, s'i' son pallido o magro; et s'io l'occido piu forte rinasce. Questo d'allor ch'i' m'addormiva in fasce venuto e di di in di crescendo meco, e temo ch'un sepolcro ambeduo chiuda. Poi che fia l'alma de le membra ignuda, non po questo desio piu venir seco; ma se 'l latino e 'l greco parlan di me dopo la morte, e un vento: ond'io, perche pavento adunar sempre quel ch'un'ora sgombre, vorre' 'l ver abbracciar, lassando l'ombre. Ma quell'altro voler di ch'i'son pieno, quanti press'a lui nascon par ch'adugge; e parte il tempo fugge che, scrivendo d'altrui, di me non calme; e 'l lume de' begli occhi che mi strugge soavemente al suo caldo sereno, mi ritien con un freno contra chui nullo ingegno o forza valme. Che giova dunque perche tutta spalme la mia barchetta, poi che 'nfra li scogli e ritenuta anchor da ta' duo nodi? Tu che dagli altri, che 'n diversi modi legano 'l mondo, in tutto mi disciogli, Signor mio, che non togli omai dal volto mio questa vergogna? Che 'n guisa d'uom che sogna, aver la morte inanzi gli occhi parme; et vorrei far difesa, et non o l'arme. Quel ch'i' fo veggio, et non m'inganna il vero mal conosciuto, anzi mi sforza Amore,
che la strada d'onore mai nol lassa seguir, chi troppo il crede; et sento ad ora ad or venirmi al core un leggiadro disegno aspro et severo ch'ogni occulto pensero tira in mezzo la fronte, ov'altri 'l vede: che mortal cosa amar con tanta fede quanta a Dio sol per debito convensi, piu si disdice a chi piu pregio brama. Et questo ad alta voce ancho richiama la ragione sviata dietro ai sensi; ma perch'ell'oda, et pensi tornare, il mal costume oltre la spigne, et agli occhi depigne quella che sol per farmi morir nacque, perch'a me troppo, et a se stessa, piacque. Ne so che spatio mi si desse il cielo quando novellamente io venni in terra a soffrir l'aspra guerra che 'ncontra me medesmo seppi ordire; ne posso il giorno che la vita serra antiveder per lo corporeo velo; ma variarsi il pelo veggio, et dentro cangiarsi ogni desire. Or ch'i' mi credo al tempo del partire esser vicino, o non molto da lunge, come chi 'l perder face accorto et saggio, vo ripensando ov'io lassai 'l viaggio de la man destra, ch'a buon porto aggiunge: et da l'un lato punge vergogna et duol che 'ndietro mi rivolve; dall'altro non m'assolve un piacer per usanza in me si forte ch'a patteggiar n'ardisce co la morte. Canzon, qui sono, ed o 'l cor via piu freddo de la paura che gelata neve, sentendomi perir senz'alcun dubbio: che pur deliberando o volto al subbio gran parte omai de la mia tela breve; ne mai peso fu greve quanto quel ch'i' sostengo in tale stato: che co la morte a lato cerco del viver mio novo consiglio, et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio. 269 Rotta e l'alta colonna e 'l verde lauro che facean ombra al mio stanco pensero; perduto o quel che ritrovar non spero dal borrea a l'austro, o dal mar indo al mauro. Tolto m'ai, Morte, il mio doppio thesauro, che mi fea viver lieto et gire altero,
or di madre, or d'amante; or teme, or arde d'onesto foco; et nel parlar mi mostra quel che 'n questo viaggio fugga o segua , contando i casi de la vita nostra, pregando ch'a levar l'alma non tarde: et sol quant'ella parla, o pace o tregua. 287 Sennuccio mio , benche doglioso et solo m'abbi lasciato, i' pur mi riconforto, perche del corpo ov'eri preso et morto, alteramente se' levato a volo. Or vedi inseme l'un et l'altro polo, le stelle vaghe et lor viaggio torto, et vedi il veder nostro quanto e corto, onde col tuo gioir tempro 'l mio duolo. Ma ben ti prego che 'n la terza spera Guitton saluti, et messer Cino, et Dante, Franceschin nostro, et tutta quella schiera. A la mia donna puoi ben dire in quante lagrime io vivo; et son fatt'una fera, membrando il suo bel viso et l'opre sante.
289 L'alma mia fiamma oltra le belle bella, ch'ebbe qui 'l ciel si amico et si cortese, anzi tempo per me nel suo paese e ritornata, et a la par sua stella. Or comincio a svegliarmi, et veggio ch'ella per lo migliore al mio desir contese, et quelle voglie giovenili accese tempro con una visita dolce et fella. Lei ne ringratio, e 'l suo alto consiglio, che col bel viso et co' soavi sdegni faceami ardendo pensar mia salute. O leggiadre arti et lor effetti degni, l'un co la lingua oprar, l'altra col ciglio, io gloria in lei, et ella in me virtute! 290 Come va 'l mondo! or mi diletta et piace quel che piu mi dispiaque; or veggio et sento che per aver salute ebbi tormento, et breve guerra per eterna pace. O speranza, o desir sempre fallace, et degli amanti piu ben per un cento! O quant'era il peggior farmi contento quella ch'or siede in cielo, e 'n terra giace! Ma 'l ceco Amor et la mia sorda mente mi traviavan si, ch'andar per viva forza mi convenia dove morte era. Benedetta colei ch'a miglior riva volse il mio corso, et l'empia voglia ardente lusingando affreno perch'io non pera.
Gli occhi di ch'io parlai si caldamente, et le braccia et le mani et i piedi e 'l viso, che m'avean si da me stesso diviso, et fatto singular da l'altra gente; le crespe chiome d'or puro lucente e 'l lampeggiar de l'angelico riso, che solean fare in terra un paradiso, poca polvere son, che nulla sente. Et io pur vivo, onde mi doglio et sdegno, rimaso senza 'l lume ch'amai tanto, in gran fortuna e 'n disarmato legno. Or sia qui fine al mio amoroso canto: secca e la vena de l'usato ingegno, et la cetera mia rivolta in pianto. 298 Quand'io mi volgo indietro a miarar gli anni ch'anno fuggendo i miei penseri sparsi, et spento 'l foco ove agghiacciando io arsi, et finito il riposo pien d'affanni, rotta la fe' degli amorosi inganni, et sol due parti d'ogni mio ben farsi, l'una nel cielo et l'altra in terra starsi, et perduto il guadagno de' miei damni, i' mi riscuto, et trovomi si nudo, ch'i' porto invidia ad ogni extrema sorte: tal cordoglio et paura o di me stesso. O mia stella, o Fortuna, o Fato, o Morte, o per me sempre dolce giorno et crudo, come m'avete in basso stato messo! 302 Levommi il mio penser in parte ov'era quella ch'io cerco, et non ritrovo in terra: ivi, fra lor che 'l terzo cerchio serra, la rividi piu bella et meno altera. Per man mi prese, et disse: " In questa spera sarai anchor meco, se 'l desir non erra: i' so' colei che ti die' tanta guerra, et compie' mia giornata inanzi sera. Mio ben non cape in intelletto humano: te solo aspetto, et quel che tanto amasti e la giuso e rimaso, il mio bel velo. " Deh perche tacque, et allargo la mano? Ch'al suon de' detti si pietosi et casti poco manco ch'io non rimasi in cielo. 309 L'alto et novo miracol ch'a' di nostri apparve al mondo, et star seco non volse, che sol ne mostro 'l ciel poi sel ritolse,
per adornarne i suoi stellanti chiostri, vuol ch'i' depinga a chi nol vide, e 'l mostri, Amor, che 'n prima la mia lingua sciolse, poi mille volte indarno a l'opra volse ingegno, tempo, penne, carte, e 'nchiostri. Non son al sommo anchor giunte le rime: in me il conosco; et proval ben chiunque e 'nfin a qui, che d'amor parli o scriva. Chi sa pensare, il ver tacito estime, ch'ogni stil vince, et poi sospire: " Adunque beati gli occhi che la vider viva. "
353
Vago augelletto che cantando vai, over piangendo, il tuo tempo passato, vedendoti la notte e 'l verno a lato e 'l di dopo le spalle e i mesi gai, se, come i tuoi gravosi affanni sai, cosi sapessi il mio simile stato, verresti in grembo a questo sconsolato a partir seco i dolorosi guai. I' non so se le parti sarian pari, che quella cui tu piangi e forse in vita, di ch'a me Morte e 'l ciel son tanto avari; ma la stagione et l'ora men gradita, col membrar de' dolci anni et de li amari, a parlar teco con pieta m'invita.
355
O tempo, o ciel volubil, che fuggendo inganni i ciechi et miseri mortali , o di veloci piu che vento et strali, ora ab experto vostre frodi intendo: ma scuso voi, et me stesso riprendo, che Natura a volar v'aperse l'ali, a me diede occhi, et io pur ne' miei mali li tenni, onde vergogna et dolor prendo. Et sarebbe ora, et e passata omai, di rivoltarli, in piu secura parte, et poner fine a li 'nfiniti guai; ne dal tuo giogo, Amor, l'alma si parte, ma dal suo mal; con che studio tu 'l sai; non a caso e vertute, anzi e bell'arte.
357 Ogni giorno mi par piu di mill'anni
ch'i' segua la mia fida et cara duce, che mi condusse al mondo, or mi conduce, per miglior via, a vita senza affanni: et non mi posson ritener li 'inganni
del mondo, ch'i' 'l conosco; et tanta luce dentro al mio core infin dal ciel traluce ch'i' 'ncomincio a contar il tempo e i danni. Ne minaccie temer debbo di morte, che 'l Re sofferse con piu grave pena, per farme a seguitar constante et forte; et or novellamente in ogni vena intro di lei che m'era data in sorte, et non turbo la sua fronte serena. 360 Quel'antiquo mio dolce empio signore fatto citar dinanzi a la reina che la parte divina tien di natura nostra e 'n cima sede, ivi, com'oro che nel foco affina, mi rappresento cerco di dolore, di paura et d'orrore, quasi huom che teme morte et ragion chiede; e 'ncomincio: " Madonna, il manco piede giovenetto pos'io nel costui regno, ond'altro ch'ira et sdegno non ebbi mai; et tanti et si diversi tormenti ivi soffersi, ch'alfine vinta fu quell'infinita mia patientia, e 'n odio ebbi la vita. // Cosi 'l mio tempo infin qui trapassato e in fiamma e 'n pene: et quante utili honeste vie sprezzai, quante feste, per servir questo lusinghier crudele! Et qual ingegno a si parole preste, che stringer possa 'l mio infelice stato, et le mie d'esto ingrato tanto et si gravi e si giuste querele? O poco mel, molto aloe con fele! In quanto amaro a la mia vita avezza con sua falsa dolcezza, la qual m'atrasse a l'amorosa schiera! Che s'i' non m'inganno, era disposto a sollevarmi alto da terra: e' mi tolse di pace et pose in guerra. // Questi m'a fatto men amare Dio ch'i' non deveva, et men curar me stesso: per una donna o messo egualmente in non cale ogni pensero.
et in penser, poi che fatto era huom ligio di lei ch'alto vestigio li 'mpresse al core, et fecel suo simile. Quanto a del pellegrino et del gentile, da lei tene, et da me, di cui si biasma. Mai nocturno fantasma d'error non fu si pien com'ei ver' noi: ch'e in gratia, da poi che ne conobbe, a Dio et a la gente. Di cio il superbo si lamenta et pente//. Ancor, et questo e quel che tutto avanza, da volar sopra 'l ciel li avea dat'ali per le cose mortali, che son scala al Fattor, chi ben l'estima; che mirando ei ben fiso quante et quali eran vertuti in quella sua speranza, d'una in altra sembianza potea levarsi a l'alta cagion prima; et ei l'a detto alcuna volta in rima, or m'a posto in oblio con quella donna ch'i' li die' per colonna de la sua frale vita. " A questo un strido lagrimoso alzo et grido: " Ben me la die', ma tosto la ritolse. " Responde: " Io no, ma Chi per se la volse.//
"
Alfin ambo conversi al giusto seggio, i' con tremanti, ei con voci alte et crude, ciascun per se conchiude: " Nobile donna, tua sententia attendo. " Ella allor sorridendo: " Piacemi aver vostre questioni udite, ma piu tempo bisogna a tanta lite. " //
361
Dicemi spesso il mio fidato speglio, l'animo stanco, et la cangiata scorza, et la scemata mia destrezza et forza: " Non ti nasconder piu: tu se' pur veglio. Obedir a Natura in tutto e il meglio, ch'a contender con lei il tempo ne sforza. " Subito allor, com'acqua 'l foco amorza, d'un lungo et grave sonno mi risveglio : et veggio ben che 'l nostro viver vola et ch'esser non si po piu d'una volta ; e 'n mezzo 'l cor mi sona una parola di lei ch'e or dal suo bel nodo sciolta,
ma ne' suoi giorni al mondo fu si sola, ch'a tutte, s'i' non erro, fama a tolta.
362 Volo con l'ali de' pensieri al cielo si spesse volte che quasi un di loro esser mi par ch'an ivi il suo thesoro, lasciando in terra lo squarciato velo. Talor mi trema 'l cor d'un dolce gelo udendo lei per ch'io mi discoloro dirmi: " Amico, or t'am'io et or t'onoro perch'a i costumi variati, e 'l pelo. " Menami al suo Signor: allor m'inchino, pregando humilemente che consenta ch'i' stia a veder et l'uno et l'altro volto. Responde: " Egli e ben fermo il tuo destino; et per tardar anchor vent'anni o trenta, parra a te troppo, et non fia pero molto. " 363 Morte a spento quel sol ch'abagliar suolmi, e 'n tenebre son gli occhi interi et saldi; terra e quella ond'io ebbi et freddi et caldi; spenti son i miei lauri, or querce et olmi: di ch'io veggio 'l mio ben; et parte duolmi. Non e chi faccia et paventosi et baldi i miei penser', ne chi li agghiacci et scaldi, ne chi li empia di speme, et di duol colmi. Fuor di man di colui che punge et molce, che gia fece di me si lungo stratio, mi trovo in libertate, amara et dolce; et al Signor ch'i' adoro et ch'i' ringratio , che pur col ciglio il ciel governa et folce, torno stanco di viver, nonche satio. 364 Tenemmi Amor anni ventuno ardendo, lieto nel foco, et nel duol pien di speme; poi che madonna e 'l mio cor seco inseme saliro al ciel, dieci altri anni piangendo. Omai son stanco, et mia vita reprendo di tanto error che di vertute il seme a quasi spento; et le mie parti extreme, alto Dio, a te devotamente rendo: pentito et tristo de' miei si spesi anni, che spender si deveano in miglior uso, in cercar pace et in fuggir affanni. Signor che 'n questo carcer m'ai rinchiuso, tramene, salvo da li eterni danni,
ch'i' conosco 'l mio fallo, et non lo scuso. 365 I' vo piangendo i miei passati tempi i quai posi in amar cosa mortale, senza levarmi a volo, abbiend'io l'ale, per dar forse di me non bassi exempi. Tu che vedi i miei mali indegni et empi, Re del cielo invisibile immortale, soccorri a l'alma disviata et frale, e 'l suo defecto di tua gratia adempi: si che, s'io vissi in guerra et in tempesta, mora in pace et in porto; et se la stanza fu vana, almen sia la partita honesta. A quel poco di viver che m'avanza et al morir, degni esser Tua man presta: Tu sai ben che 'n altrui non o speranza.
366
Vergin bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti si, che 'n te Sua luce ascose, amor mi spinge a dir di te parole: ma non so 'ncominciar senza tu' aita, et di Colui ch'amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamo con fede: Vergine, s'a mercede miseria extrema de l'humane cose gia mai ti volse, al mio prego t'inchina, soccorri a la mia guerra, bench'i' sia terra, et tu del ciel regina. Vergine saggia, et del bel numero una de le beate vergini prudenti, anzi la prima, et con piu chiara lampa; o saldo scudo de l'afflicte genti contra colpi di Morte et di Fortuna, sotto 'l qual si triumpha, non pur scampa; o refrigerio al cieco ardor ch'avampa qui fra i mortali sciocchi: Vergine, que' belli occhi che vider tristi la spietata stampa ne' dolci membri del tuo caro figlio, volgi al mio dubbio stato, che sconsigliato a te ven per consiglio. Vergine pura, d'ogni parte intera, del tuo parto gentil figliola et madre, ch'allumi questa vita, et l'altra adorni, per te il tuo figlio, et quel del sommo
Padre, o fenestra del ciel lucente altera, venne a salvarne in su li extremi giorni; et fra tutt'i terreni altri soggiorni sola tu fosti electa, Vergine benedetta, che 'l pianto d'Eva in allegrezza torni. Fammi, che puoi, de la Sua gratia degno, senza fine o beata, gia coronata nel superno regno. Vergine santa d'ogni gratia piena, che per vera et altissima humiltate salisti al ciel onde miei preghi ascolti, tu partoristi il fonte di pietate, et di giustitia il sol, che rasserena il secol pien d'errori oscuri et folti; tre dolci et cari nomi ai in te raccolti, madre, figliuola et sposa: Vergina gloriosa, donna del Re che nostri lacci a sciolti et fatto 'l mondo libero et felice, ne le cui sante piaghe prego ch'appaghe il cor, vera beatrice. Vergine sola al mondo senza exempio, che 'l ciel di tue bellezze innamorasti, cui ne prima fu simil ne seconda, santi penseri, atti pietosi et casti al vero Dio sacrato et vivo tempio fecero in tua verginita feconda. Per te po la mia vita esser ioconda, s'a' tuoi preghi, o Maria, Vergine dolce et pia, ove 'l fallo abondo, la gratia abonda. Con le ginocchia de la mente inchine, prego che sia mia scorta, et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d'ogni fedel nocchier fidata guida, pon' mente in che terribile procella i' mi ritrovo sol, senza governo, et o gia da vicin l'ultime strida. Ma pur in te l'anima mia si fida, peccatrice, i' no 'l nego, Vergine; ma ti prego che 'l tuo nemico del mio mal non rida: