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Caretti, La Barbera, Addiction, Raffaello Cortina Editore, 2010, Appunti di Psicologia Dinamica

Una panoramica sui fattori neurobiologici dell'addiction, con particolare attenzione al ruolo della dopamina nella motivazione e nel piacere. Vengono inoltre descritti i meccanismi di habituation e tolleranza, nonché la teoria motivazionale dei processi opposti di Solomon e Corbit. Infine, viene proposto un modello allostatico dei sistemi cerebrali motivazionali.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 23/09/2022

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Fabri1423 🇮🇹

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Scarica Caretti, La Barbera, Addiction, Raffaello Cortina Editore, 2010 e più Appunti in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! Addiction Le dipendenze patologiche sono legate a fattori di tipo neurobiologico, psicopatologico, culturale, psicosociale, affettivo e cognitivo. Il contributo di questi fattori può essere molto variabile da caso a caso, rendendo ragione dell’estrema variabilità individuale nelle differenti condizioni di addiction, sia in termini di espressioni cliniche, sia in termini di risposta ai trattamenti. In anni recenti, lo studio delle dipendenze patologiche si è andato arricchendo di contributi scientifici che hanno aumentato l’area di interesse di questi disturbi: shopping compulsivo, dipendenze tecnologiche, da internet, nuove sostanze d’abuso, dipendenze affettive e sessuali, da sport e da lavoro. Dunque, siamo di fronte a un campo articolato e differenziato di patologie additive, denominate new addictions. Parte prima Aspetti neurobiologici dell’addiction -1- Il piacere Il piacere, è un aspetto fondamentale del comportamento motivato. Fornisce l’incentivo all’azione e la motivazione del comportamento. Tradizionalmente il comportamento motivato da stimoli gratificanti si distingue in 2 fasi: - Fase appetitiva: l’organismo mette in atto comportamenti generici/flessibili di ricerca e approccio comuni ai diversi stimoli come cibo, acqua, sesso, madre, ecc.; - Fase consumatoria: il comportamento si esprime secondo rigidi schemi specificatamente legati alla natura dello stimolo. Ciascuna fase del comportamento motivato è piacevole, ma la natura del piacere ad essa associato è diversa. Nella fase appetitiva il piacere consiste in uno stato di euforia ed eccitazione che rinforza e sostiene il comportamento di ricerca/approccio. In questa fase il comportamento è guidato da stimoli che vengono percepiti attraverso modalità sensoriali che non comportano un’interazione diretta con l’oggetto del desiderio. Così, un profumo, un suono o un’immagine di per sé neutri, diventano capaci di guidare il comportamento se sono stati associati ad uno stimolo capace di dare piacere. Lo scantinato del cervello Le proprietà motivazionali del piacere dipendono dall’attività di aree cerebrali vicine a quelle da cui dipendono comportamenti primordiali legati alla sopravvivenza del singolo e della specie, come il comportamento alimentare, sessuale, predatorio, materno. Queste sono localizzate nella parte mediale e ventrale del cervello. Queste sono la shell del nucleo accumbens del setto, e un complesso di nuclei (nucleo centrale dell’amigdala, del letto della stria terminale, substantia innominata) considerati parte del sistema limbico e riclassificati a costituire l’amigdala estesa. Queste aree sono interconnesse, da una parte, con i centri del SNA localizzati nel tronco cerebrale, da cui dipendono i movimenti dei visceri, i centri ipotalamici, che controllano l’omeostasi e, dall’altra, con aree sottocorticali che, per intermezzo del talamo, proiettano ad aree corticali prefrontali, importanti per la valutazione e utilizzazione a fini esecutivi del valore edonico ed incentivo-motivazionale degli stimoli. Queste aree costituiscono una sorta di scantinato del cervello, non solo per la loro localizzazione nella sua parte più interna e basale, ma anche perché costituiscono il ripostiglio delle pulsioni primordiali. Dopamina e piacere Lo scantinato del cervello ha una caratteristica unitaria che accomuna tra loro i suoi componenti: il fatto di essere densamente innervato da neuroni che utilizzano la dopamina come neurotrasmettitore, i cui corpo cellulari sono localizzati nell’area ventrale tegmentale del mesencefalo (VTA). La dopamina della shell del nucleo accumbens viene liberata da stimoli naturali nuovi e salienti, ma questa risposta va incontro ad una rapida abitudine dopo una singola esposizione allo stimolo. Tutti i farmaci e sostanze d’abuso, aumentano la trasmissione dopaminergica nella shell del nucleo accumbens. Queste hanno la capacità di dare piacere e agire da rinforzo del comportamento strumentale. Ma quale tipo di piacere sono in grado di dare i farmaci e le sostanze d’abuso? Studi indicano che il piacere associato alla liberazione di dopamina nel nucleo accumbens corrisponde al piacere appetitivo, che può raggiungere un valore motivazionale di grado superiore a quello del piacere consumatorio. Il piacere consumatorio non dipende dalla dopamina; infatti, quest’ultima è il substrato neurobiologico del piacere appetitivo e una conseguenza del comportamento consumatorio. Inoltre, le proprietà adattive della dopamina della shell del nucleo accumbens, e in particolare la sua tendenza ad andare incontro ad abitudine, suggeriscono un suo ruolo nell’apprendimento associativo. Dunque, la dopamina della shell serve non solo a promuovere comportamenti di ricerca e approccio (ruolo motivazionale), ma anche l’acquisizione di nuovi stimoli condizionati, facilitando le associazioni tra stimoli neutri e stimoli consumatori (apprendimento pavloviano). Patologia del piacere Tuttavia, esiste una differenza tra i farmaci d’abuso e stimoli primari: la risposta della dopamina della shell ai farmaci non va incontro alla rapida habituation, cui va incontro la risposta a stimoli gustativi. A questa differenza è stato attribuito un ruolo fondamentale nella tossicodipendenza. Infatti, la mancanza di habituation ha come conseguenza una consolidazione delle associazioni tra gli effetti gratificanti del farmaco e gli stimoli o i contesti ad esso connessi, che acquistano così eccessive proprietà incentivo-motivazionali, che sono alla base della compulsiva capacità di questi stimoli di motivare il comportamento -2- Addiction e sistema cerebrale antireward Nella teoria motivazionale dei processi opposti di Solomon e Corbit il concetto di motivazione è strettamente legato agli stati edonici dell’addiction. Questa teoria postula che gli stati edonici, una volta istauratisi, sono modulati da meccanismi del SNC che riducono l’intensità dei sentimenti edonici. Solomon sosteneva che le prime somministrazioni di un oppiaceo producono modificazioni motivazionali simili a all’euforia, cui segue una riduzione dell’intensità (A tolleranza). Dopo che la sostanza si esaurisce emerge uno stato emotivo negativo opposto (B astinenza). Recentemente è stato proposto un modello allostatico dei sistemi cerebrali motivazionali, secondo cui l’addiction è concettualizzata come un ciclo di disregolazione dei meccanismi cerebrali di reward e antireward, che determina l’uso compulsivo di sostanze. I processi controadditivi, che fanno parte della normale limitazione omeostatica della funzione di reward, non riescono a tornare nel normale range omeostatico producendo uno stato allostatico. Questi processi controadditivi sono mediati da 2 fattori: - Un neuroadattamento all’interno del sistema: un cambiamento cellulare o molecolare all’interno di un dato circuito di reward che favorire l’iperattività del processamento del piacere associato all’addiction e che esita in una riduzione della funzione di reward; la somministrazione determina un’iniziale facilitazione della neurotrasmissione dopaminergica e glutammatergica; invece, la somministrazione cronica determina una riduzione della neurotrasmissione dopaminergica e glutammatergica durante l’astinenza, risposte opposte dei recettori oppioidi durante l’astinenza da oppioidi, modificazioni della neurotrasmissione GABAergica durante l’astinenza da alcol e modificazioni della funzione del recettore presinaptico nicotinico durante l’astinenza da nicotina. - Un neuroadattamento tra sistemi: un circuito diverso (circuito dello stress) viene attivato da un reclutamento eccessivo del sistema di reward e svolge azioni opposte, limitando ancora una volta la funzione di reward; l’asse HPA ed il sistema cerebrale dello stress vengono disregolati Implicazioni per il trattamento Per il trattamento della dipendenza da sostanze sono necessarie strategie multiple volte a: - Ridurre il valore gratificante della sostanza; - Indebolire la spinta motivazionale ad assumere la sostanza; - Incrementare il valore gratificante di rinforzi non connessi alla sostanza; - Potenziare il controllo esecutivo e inibitorio connesso ai circuiti della corteccia frontale. -4- Cannabis e salute mentale: vecchie e nuove teorie Il principio attivo della cannabis è il tetraidrocannabinolo, i cui effetti psicologici sono dovuti all’alterazione del segnale mediato dai recettori CB1. L’espressione dei recettori CB1 è molto elevata nell’ippocampo, cervelletto, gangli della base e relativamente alta a livello corticale, dell’amigdala. Consumo di cannabis e psicosi È noto che nei pazienti affetti da un disturbo psicotico è più frequente l’uso di cannabis rispetto alla popolazione generale. In passato non era chiaro se la psicosi rappresentasse una causa o piuttosto una conseguenza del consumo di cannabis. Vari studi hanno confermato che il consumo di cannabis incrementa il rischio di schizofrenia. Alcuni studi suggeriscono che tale l’associazione sembra essere mediata dall’età in cui si comincia a farne uso. Iniziare a 18 anni duplica il rischio a 15 lo quadruplica. Il percorso genetico verso la cannabis La maggior parte delle persone che fa uso di cannabis non sviluppa una psicosi. Alcuni autori hanno esaminato la familiarità positiva per la schizofrenia, rilevando che coloro che avrebbero sviluppato una psicosi a seguito del consumo di cannabis, presentavano con maggiore probabilità una familiarità positiva per schizofrenia. Meccanismi alla base della psicosi cannabis-correlata È stato ipotizzato che nella psicosi, una trasmissione alterata dei neuroni dopaminergici comporti l’attribuzione di un valore di salienza aberrante a stimoli, concetti ed eventi banali e conduca a un pensiero delirante. La cannabis incrementa il rilascio di dopamina a livello dello striato e della corteccia frontale. La cannabis come droga di passaggio? Studi epidemiologici hanno dimostrato che i consumatori di cannabis sono più inclini al consumo di altre sostanze illecite. 2 teorie spiegano tale reazione. La prima è la teoria del passaggio, secondo cui l’uso di cannabis potrebbe avere un’influenza causale sul successivo consumo o utilizzo di altre droghe. La seconda è la teoria della vulnerabilità, secondo la quale una predisposizione all’uso di droghe potrebbe spiegare la comorbidità tra consumo di cannabis e altre sostanze illecite. Cannabis e funzioni cognitive e cervello È riconosciuto che l’intossicazione acuta da cannabis può compromettere le funzioni cognitive. Importante è comprendere se questi deficit persistono una volta cessato il consumo. I risultati sono contraddittori. Secondo alcuni studi non è stata riscontrata alcuna evidenza di deficit cognitivo dopo mesi di astensione, mentre secondo altri persistono deficit nell’attività cerebrale e nelle capacità decisionali anche dopo mesi. Gli effetti della cannabis sulla sfera cognitiva possono dipendere dall’età in cui si inizia a farne uso. Così, secondo uno studio, cominciare a fumare cannabis prima dei 16 anni è predittivo di una ridotta performance in compiti che richiedono attenzione focalizzata. Secondo un altro studio, coloro che hanno iniziato prima dei 17 anni presentano punteggi più bassi nel QI verbale. L’uso massiccio e prolungato di cannabis è associato ad alterazioni funzionali e strutturali a livello di ippocampo e amigdala. Un effetto della cannabis è l’alterazione della memoria esplicita. I recettori CB1 si trovano sulle terminazioni nervose eccitatorie dell’ippocampo. Esperimenti hanno dimostrato che la cannabis impedisce il potenziale a lungo termine a carico delle sinapsi eccitatorie dell’ippocampo e determina una riduzione dell’apprendimento e della memoria. -5- Aspetti neurobiologici e relazionali della dipendenza da cocaina Diversi studi dimostrano che l’attaccamento tra il bambino e i caregivers gioca un ruolo cruciale nello sviluppo sano, e che attaccamenti insicuri e disorganizzati sembrano essere uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo, in età adulta, di disturbi mentali, abuso e dipendenza da sostanze. Tutti i tipi di maltrattamento infantile, incluso l’abuso psicologico e la negligenza emotiva, sono stati considerati fattori di rischio. Relazioni caregiver-bambino affettivamente carenti possono contribuire ad una disfunzione delle monoamine nel cervello, con una relazione inversa tra la negligenza emozionale e la concentrazione dei metaboliti della serotonina e dopamina nel fluido cerebrospinale dell’adulto. Inoltre, contribuiscono all’iperattività dell’asse HPA e del SNA, determinando una vulnerabilità allo sviluppo della dipendenza. Parte seconda Aspetti psicologici dell’addiction È necessario non relativizzare la dipendenza entro una lettura essenzialmente farmacologica, ma guardare ai processi di base, psicologici oltre che biologici, comuni alle varie addiction. La comprensione dei comportamenti additivi non può prescindere dalla storia dell’individuo, dalle sue caratteristiche personologiche e delle sue relazioni. Gli autori propongono un modello di matrice psicodinamica, a orientamento evolutivo-relazionale. -6- Fattori evolutivo-relazionali dell’addiction La dipendenza da eroina costituisce una delle forme di addiction maggiormente analizzata in letteratura. Oltre ai criteri diagnostici comuni alla dipendenza da sostanze, le indicazioni specifiche relative alla dipendenza da oppiacei includono livelli significativi di tolleranza e astinenza alla brusca sospensione, autosomministrazione compulsiva che non viene assunta per necessità mediche, o che, qualora sia presente una condizione medica che richiede un trattamento con oppiacei, è assunta in dosi eccessive rispetto alle quantità richieste per attenuare il dolore. Inoltre, l’uso compulsivo della sostanza fa si le attività quotidiane sono incentrate sul bisogno di procurarsi oppiacei e somministrarseli. Si possono individuare 2 principali approcci teorici, inerenti alla dipendenza da eroina. Secondo il modello della malattia, quando è presente una predisposizione biologica, un rilevante danno psicologico subito nell’infanzia e un significativo nucleo di stress e di disagio attuali, l’esposizione alla sostanza incrementa drasticamente la probabilità che il soggetto diventi tossicodipendente, proprio in virtù delle proprietà chimiche della sostanza stessa. Da un punto di vista comportamentale, la sostanza costituisce un rinforzo molto forte, perché in un primo momento genera stati piacevoli e successivamente neutralizza temporaneamente sintomi dell’astinenza. Il modello dell’adattamento spiega la dipendenza da eroina come il risultato dell’utilizzo di modalità adattive disfunzionali per fronteggiare condizioni di sofferenza e contesti ambientali traumatici. Questo modello pone attenzione ai processi attraverso cui la componente biologica interagisce con elementi psicologici e psicosociali. L’esposizione alla sostanza può essere il meccanismo attraverso cui si struttura l’addiction, ma la disposizione alla dipendenza patologica ha un’origine pregressa. Da una prospettiva psicosociale, Ravenna osserva che in adolescenza l’impossibilità di integrare le caratteristiche personali che un individuo si autoattribuisce con le richieste e le pressioni sociali, possa condurre ad una mancata conferma della propria identità che procura stati di sofferenza e di isolamento sociale. L’adolescente potrebbe preferire l’identità di addict all’intollerabile angoscia del fallimento e alla frammentazione del Sé. All’interno del modello dell’adattamento si colloca anche parte della prospettiva psicoanalitica, che ha evidenziato con forza il ruolo del fallimento delle relazioni primarie e del deficit della regolazione degli affetti. Khantzian propose la self-medication hypothesis, secondo cui la dipendenza patologica è un tentativo di autoterapia dell’Io. Gli individui selezionano le sostanze in base alla loro organizzazione di personalità e alle caratteristiche del Sé in termini di necessità e carenze. Quindi, gli di psicopatologia la madre e il bambino sono capaci di mettere in atto delle strategie di riparazione per rimediare ai possibili errori interattivi che generano stati di non-sincronia tra loro; grazie a tali riparazioni nel bambino prevarrà l’esperienza di affetti positivi, in quanto sono presenti un maggior numero di momenti di coordinazione rispetto a quelli di non coordinazione. In questi casi l’oggetto-cibo contribuirà da una parte a strutturare le esperienze di reciprocità e dall’altra a generare i processi di integrazione e traduzione simbolica degli stati affettivi corporei in fenomeni psicologici. Quando invece assistiamo a un fallimento nella regolazione diadica, è possibile che il bambino manifesti la sofferenza attraverso disturbi della condotta alimentare, che testimoniano il senso di disagio nell’interazione con il caregiver. Quindi, è possibile concettualizzare i DCA come disturbi della regolazione affettiva, come manifestazioni della sofferenza individuale in soggetti in cui risultano carenti le competenze metacognitive di identificazione e distinzione delle emozioni traumatiche dai loro correlati fisiologici. Tra i sentimenti che costellano i vissuti del soggetto con DCA, 2 in particolare sembrano rivestire un ruolo fondamentale: - I sentimenti di vergogna patologica incentiverebbero il ritiro nella condotta alimentare patologica e negli stati mentali dissociati come modalità per contrastare gli stimoli dolorosi (Bromberg). - La rabbia narcisistica può essere l’espressione auto ed eterodiretta di un sentimento di Sé ferito o, nei casi più severi, di un Sé grandioso patologico, che aggredisce gli oggetti e le relazioni (Kouht). La scissione mente-corpo nei disturbi del comportamento alimentare Esistono dinamiche relazionali che producono effetti devastanti sullo sviluppo di un’adeguata integrazione psicosomatica, avviando processi di scissione mente-corpo. La scissione mente-corpo è l’effetto di un deficit della mentalizzazione dell’esperienza corporea, che si esprime in una difficoltà a tradurre gli stati emotivi, vissuti a livello somato-sensoriale, in segnali affettivi da utilizzare in favore di comportamenti adeguati alle sollecitazioni ambientali. Si tratta di un deficit relativo alla consapevolezza delle sensazioni corporee, in particolare alla fame, che si riverbera in un concetto distorto dell’identità corporea. L’alterazione del comportamento alimentare verrebbe quindi a rappresentare il tentativo di risanare uno scarto angosciante tra l’immagine frammentata, proiettata dallo sguardo di un genitore non contenitivo, e l’immagine reale del proprio corpo. È all’interno di questo scarto che si insedia il fantasma di un oggetto interno invadente, che difensivamente viene personificato nel corpo, percepito a sua volta come un involucro ingombrante. La presenza di emozioni traumatiche spiega il ricorso a difese dissociative. La dissociazione è una funzione normale della mente che ha lo scopo di proteggere l’Io attraverso un processo inibitorio che allontana dalla coscienza contenuti ideoaffettivi intollerabili, e il rifugio all’interno di realtà psichiche favorevoli. Il sollievo che si ricava dal ritirarsi temporaneamente all’interno di rifugi della mente non è di per sé patologico, e può essere messo al servizio dell’Io e delle relazioni oggettuali; ma quando tende alla reiterazione eccessiva ed alla dipendenza morbosa, comporta il rischio dell’isolamento, della distorsione del senso di Sé e delle relazioni, portando alla perdita del contatto con la realtà a favore di forme di addiction, fino allo sviluppo di disturbi dissociativi. La disorganizzazione dell’attaccamento, in relazione a traumi e lutti, ostacola la ricerca della vicinanza protettiva con gli altri, creando un circolo vizioso di paura sempre crescente, fattore di rischio nel reagire a successivi eventi stressogeni ricorrendo ad un uso pervasivo delle difese dissociative. Nei DCA il sistema di attaccamento e la dissociazione giocano un ruolo chiave. Alcune ricerche hanno evidenziato la prevalenza di classificazioni insicure e disorganizzate all’AAI. In particolare, le anoressiche restrittive tendono ad essere evitanti, mentre le bulimiche ambivalenti. Altri studi, hanno trovato un’alta percentuale di lutti irrisolti nelle madri delle pazienti con DCA. Inoltre, studi empirici confermano l’elevata presenza di difese dissociative. Quindi, nei DCA sembra potersi riscontrare una ricerca compulsiva di comportamenti che causano modificazioni dello stato di coscienza ordinario. Il trauma nei disturbi del comportamento alimentare I dati di ricerca confermano anche la presenza di traumi oggettivi nella storia delle pazienti con DCA. L’incidenza delle esperienze di abuso, violenza e trascuratezza emotiva va però contestualizzata in una lettura di tipo multifocale, in cui è l’interazione tra i diversi fattori, individuali, familiari, sociali, ecc., che può portare allo sviluppo di un DCA. Diversi sono gli elementi da considerare: - Età e durata delle violenze e della trascuratezza: più è bassa l’età e più primitivi sono i meccanismi di difesa che si attivano in relazione alla esperienza traumatica; - Natura della violenza: qualsiasi tipo di abuso rappresenta una forma di violazione di quei confini che garantiscono l’integrità fisica e psicologica del Sé; sono gravi anche le forme di trascuratezza emotiva, quali mancanza di attenzioni, inadeguata funzione di controllo, eccessivo invischiamento dei genitori; - La rivelazione della violenza: diniego familiare o reazione avversa alimentano bassa autostima e sentimenti di colpa e vergogna; - La configurazione familiare: una struttura familiare caotica rappresenta un fattore di rischio; - Eventi di vita: chi ha vissuto in un ambiente traumatogeno durante l’infanzia spesso diviene più vulnerabile e meno preparato ad affrontare ulteriori situazioni stressanti; - L’immagine di sé: l’immagine di sé dei pazienti con DCA si connette al modo in cui percepisco il corpo; è un corpo la cui immagine è distorta, sul quale il soggetto proietta gli oggetti mortiferi propri di rapporti infantili trascuranti. La vergogna e la rabbia narcisistica La vergogna ha un ruolo fondamentale per lo strutturarsi dei DCA. Essa costituisce un sentimento di indegnità profondo, il quale è strettamente connesso con memorie traumatiche. La vergogna costringe a osservarsi con gli occhi altrui e a soffrire la frattura tra il modo con cui ci si guarda e il modo in cui ci si sente guardati dagli altri. Le esperienze di vergogna, se negate e dissociate, costituiscono un fattore di rischio per lo sviluppo dei DCA; rappresentano uno dei possibili nuclei del funzionamento dissociativo, il cui scopo è quello di compensare la vulnerabilità narcisistica. Bromberg afferma che la questione centrale dei pazienti con DCA è che essi sembrano essere sovrastati dagli stati fisiologici e affettivi, poiché durante lo sviluppo sono stati privati di un’esperienza interpersonale di vicinanza emotiva; questo ha generato in loro un grave deficit non solo rispetto alla capacità di regolazione degli affetti, ma anche rispetto all’elaborazione e negoziazione dei desideri. La componente traumatica dell’esperienza interpersonale verrebbe dissociata e concorrerebbe allo sviluppo di una patologia in cui il rapporto con il cibo costituisce la rappresentazione implicita delle relazioni oggettuali primarie e della mancanza di affidabilità e costanza che sembra averle caratterizzate. Sviluppando le idee di Bromberg, si può affermare il DCA consente la negazione del desiderio interpersonale di protezione del Sé; una forma di autosufficienza narcisistica, attraverso cui il paziente ostenta la rinuncia all’Altro attraverso la rinuncia ai propri desideri. Questo trascina l’individuo in una spirale di vergogna crescente, alimentata da sentimenti di rabbia narcisistica: abbuffate compulsive, rifiutarsi di mangiare e le condotte di eliminazione rappresentano una reazione rabbiosa nei riguardi di un corpo sul quale il soggetto proietta gli oggetti mortiferi di rapporti infantili trascuranti. L’autosufficienza narcisistica indica, quindi, una misura difensiva finalizzata a negare i sentimenti, evitando il rischio di vivere stati di dolore dovuti all’emergere di emozioni traumatiche. Quindi, la psicoterapia deve aiutare il paziente a recuperare le emozioni, proprie di attaccamenti traumatici, rimaste imprigionate nella memoria implicita sottoforma di un conosciuto non pensato (Bollas) e indurlo a entrare in contatto con la propria distruttività narcisistica, aiutandolo a verbalizzare i sentimenti di vergogna, colpa, invidia e gelosia ad essa collegati. -8- Costrutto di Trance dissociativa da videoterminale Le tecnologie informatiche ci permettono di accedere ad un mondo caratterizzato da stimoli percettivi e processi sociorelazionali molto differenti dai contesti di comunicazione vis-à-vis. Forniscono nuove forme di rappresentazione di sé e dell’altro, possibilità di ridurre le distanze comunicative e di reinventare la propria identità. Il rischio però è che il computer si tramuti in fine, e ciò avviene quando lo strumento tecnologico diventa necessario per la realizzazione e l’espressione del Sé. Questo si riscontra nelle dipendenze tecnologiche, cioè in quelle forme di addiction in cui il ricorso ai videogiochi, Internet, chat ecc., diventa un rifugio nel quale poter regolare stati emotivi terrifici che rischierebbero di elicitare la sensazione di una frammentazione dell’identità personale. La realtà virtuale offre un rifugio della mente, il cui ricorso indiscriminato, anche se si accompagna a un temporaneo sollievo, è ottenuto al prezzo dell’isolamento, della distorsione del senso del Sé e delle relazioni, e perdita di contatto con la realtà. Secondo questa prospettiva, la dipendenza tecnologica è strettamente connessa ai fenomeni dissociativi disfunzionali. Goldberg fu il primo a coniare l’espressione Internet Addiction Disorder, proponendo anche dei criteri diagnostici a partire da una riformulazione dei sintomi descritti nel DSM-IV per la dipendenza da sostanze. Qualche anno dopo, Young ha proposto di definire i disturbi legati all’uso di internet come Problematic Internet Use, e ha definito la dipendenza da Internet come un disturbo del controllo degli impulsi non dovuto ad una sostanza intossicante. Perché si possa avanzare l’ipotesi di una diagnosi di PIU è necessario che vengano riscontrati almeno 5 dei seguenti criteri: - Preoccupazione riguardo a Internet; - Bisogno di una quantità maggiore di tempo speso online; - Ripetuti tentativi di ridurre l’uso di Internet; - Ritiro in sé, se viene ridotto l’uso; - Problemi nella gestione del tempo; - Problemi di stress in famiglia, scuola, lavoro, con gli amici; - Menzogne riguardo al tempo passato online; - Modificazione dell’umore. questi criteri evidenziano un chiaro riferimento alle caratteristiche tipiche di un deficit del discontrollo degli impulsi. L’uso patologico di Internet è sempre preceduto da un arousal fisiologico e da un sollievo nel momento in cui viene messo in atto il comportamento desiderato. L’interesse sulle esperienze virtuali ha portato a individuare differenti tipologie di dipendenza da esperienze mediate da Internet, le Internet Relate Psychopathologies: gioco d’azzardo compulsivo online, dipendenza da giochi di ruolo online, da eccessive informazioni, da cyber-relazioni e da cyber- sesso. La trance dissociativa da videoterminale Nel DSM-IV-TR i disturbi dissociativi sono definiti come il prodotto della sconnessione delle funzioni integrate della coscienza, memoria, identità o percezione. Nella sezione relativa ai “Criteri e Assi utilizzabili per ulteriori studi” è contemplato il Disturbo da Trance Dissociativa che indica uno stato involontario di trance, o trance di possessione, che esula dalle normali pratiche di assorbimento mentale accettate all’interno del contesto culturale e causa disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento. Il concetto di trance descrive un’alterazione dello stato di coscienza, durante la quale il soggetto perde contatto con la realtà, fino al ritorno ad una condizione normale, accompagnata però da fenomeni di amnesia circoscritta. Caretti ha evidenziato una specifica espressione patologica della dissociazione, conseguente la dipendenza dalle applicazioni informatiche, che ha definito Trance Dissociativa da Videoterminale, la quale si caratterizza per uno stato involontario di autoassorbimento e trance, all’interno del quale si verifica un’alterazione dello stato di coscienza ordinario; le normali funzioni integrative della mente sono rimpiazzate da esperienze tecnomediate alternative, a matrice prettamente sensoriale, e da identità virtuali che dissolvono l’identità abituale. La sintomatologia è caratterizzata da 3 livelli di disturbi del Sé: - Dipendenza: relazione di tipo ossessivo-compulsivo con le realtà virtuali; - Regressione: autoassorbimento causato dall’uso del computer come rifugio della mente, bisogno di costruire relazioni virtuali compensatorie dell’impoverimento delle relazioni oggettuali; Tratti e disturbi di personalità sono tra i fattori maggiormente predisponenti alla dipendenza da alcol, anche in base all’ipotesi dell’automedicazione (Khantzian). In disturbi quali dipendente ed evitante, l’alcol verrebbe assunto per le sue proprietà sedative o disinibenti; in altri come borderline e antisociale alti livelli di impulsività e ricerca di sensazioni ne favorirebbero l’abuso. Spostandoci ad un approccio dimensionale è utile osservare come alcune dimensioni, come quella dell’alessitimia, possono essere considerati fattori di rischio. Vi è l’ipotesi che vede la dipendenza come una condizione dettata dall’incapacità di riconoscere vissuti emotivi i quali, nell’impossibilità di essere regolati, verrebbero attutiti mediante l’utilizzo di sostanze. Dall’alessitimia al deficit empatico il confine è sottile. La scarsa capacità empatica degli abusatori potrebbe favorire la ricerca di composti in grado di compensare una carenza intrinseca: alcune sostanze d’abuso sono definite empathogenic drugs , dato che sono in grado di consentire il raggiungimento della capacità di comprendere l’altro. Fattori ambientali Vicende traumatiche, eventi stressanti, situazioni di svantaggio socioeconomico, ecc., sono tutti fattori chiamati in causa per lo sviluppo di alcolismo e di problemi alcol correlati. Gli effetti dello stress sull’assunzione alcolica sono mediati dall’asse HPA. L’alcol interagisce con l’HPA secondo 3 modalità: - L’intake acuto di sostanza determina una risposta al cortisolo simile a una condizione di stress; - L’uso persistente di sostanze disregola l’asse HPA; - Il rischio di sviluppare una dipendenza o di ricadere può essere associato a una scarsa reattività dell’asse HPA nei confronti di diversi agenti stressanti. Clinica dei disturbi correlati ad alcol Oltre al DSM-IV-TR esistono altri approcci alla classificazione medica dell’alcolismo. Cloninger ha introdotto una suddivisione in 2 tipologie: il Tipo I (milieu limited) caratterizzato da esordio tardivo per influenza di fattori ambientali, con caratteristiche di dipendenza dalla gratificazione e di percezione delle conseguenze avverse; il Tipo II (male limited) tende a trasmettersi geneticamente di padre in figlio nei soli soggetti di sesso maschile ed è caratterizzato da un esordio giovanile, tratti antisociali, discontrollo comportamentale, poliabuso di sostanze. Abuso e dipendenza L’abuso è una modalità patologica d’uso che porta a menomazione o disagio clinicamente significativi come manifestato da 1 o più delle condizioni seguenti, ricorrenti entro un periodo di 12 mesi: - Uso ricorrente che conduce a incapacità di adempiere ai principali compiti personali e sociali; - Uso ricorrente in situazioni in cui è fisicamente rischioso; - Uso ricorrente nonostante problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dall’alcol; - Problemi legali ricorrenti correlati all’alcol; La dipendenza è una modalità patologica d’uso che porta a menomazione o disagio clinicamente significativi, come manifestato da 3 o più delle condizioni seguenti, ricorrenti entro un periodo di 12 mesi: - Tolleranza (necessità di dosi crescenti per raggiungere l’effetto desiderato o un effetto diminuito con l’uso della medesima quantità); - Astinenza (sindrome di astinenza in caso di brusca sospensione dell’alcol o assunzione per evitare o attenuare i sintomi astinenziali); - Assunzione in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto; - Impiego di una grande quantità di tempo in attività necessarie a procurarsi l’alcol o a riprendersi dai suoi effetti; - Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di controllarne l’uso; - Interruzione o riduzione di attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell’uso di alcol; - Uso continuativo nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, causato o esacerbato dall’alcol. La remissione della dipendenza viene distinta in completa o parziale (negativizzazione di tutti o parte dei criteri per dipendenza o abuso), iniziale o protratta (superamento del 1° o del 12° mese di sobrietà), nonché specificata in base alla presenza di interventi esterni di tipo farmacologico o ambientale. Disturbi reversibili indotti dall’alcol Intossicazione L’intossicazione è caratterizzata da una serie di modificazioni psicologiche e comportamentali clinicamente significative (alterazioni della capacità di giudizio, labilità emotiva) che si sviluppano durante o poco dopo l’ingestione di alcol. Tali modificazioni sono accompagnate da: pronuncia indistinta, incoordinazione, nistagmo, deficit d’attenzione, di memoria, stupor, coma. Un sintomo rilevante sono i blackout alcolici. I sintomi da intossicazione variano a seconda dei tassi alcolemici. Astinenza È la sindrome che si sviluppa dopo la sospensione o riduzione di un precedente consumo di alcol pesante e prolungato. I sintomi si sviluppano in un tempo variabile che va da qualche ora a qualche giorno dopo la sospensione o riduzione, e comprendono: iperattività, tremore principalmente alle mani, insonnia, vomito, allucinazioni o illusioni transitorie, ansia, agitazione psicomotoria, crisi convulsive. L’astinenza alcolica acuta dovrebbe essere sempre prevenuta mediante strategie di autoriduzione progressiva del potus, in quanto può condurre a complicazioni fatali quali crisi convulsive e delirium tremens. La gravità della sindrome d’astinenza è determinata da fattori quali intensità e durata del consumo di alcol, precedenti crisi astinenziali, comorbidità medica ed età avanzata. Inoltre, l’astinenza non può considerarsi terminata dopo le prime 2 settimane d’astensione: sebbene i sintomi acuti si esauriscano nella 1° settimana, sintomi sottosoglia come cefalea, ansia, sudorazione e lievi tremori possono permanere per periodi più lunghi. L’astinenza che permane dopo le prime 2 settimane di sobrietà viene definita come astinenza protratta. Delirium L’alcol è anche responsabile di stati confusionali o delirium durante l’intossicazione o l’astinenza. Il delirium da astinenza, detto tremens, costituisce la complicazione più grave dell’astinenza alcolica. Ha inizio tra il 3° e il 5° giorno di sospensione e comprende sintomi quali tremore, confusione, distorsioni percettive, allucinazioni, febbre, tachicardia, sudorazione, ansia, ipertensione. Esso andrebbe prevenuto con la riduzione progressiva della quantità di alcol assunto. Disturbi transitori indotti dall’alcol La diagnosi aggiuntiva di disturbo indotto dovrebbe essere posta solo quando i sintomi risultano in eccesso rispetto a quelli usualmente associati con l’ordinaria sindrome da intossicazione o astinenza, o quando sono sufficientemente gravi da richiedere attenzione clinica indipendente ma non sono meglio inquadrabili come condizioni autonome. Per distinguere un disturbo indotto dall’alcol da una comorbidità psichiatrica si fa riferimento al criterio temporale e all’eventuale atipicità delle caratteristiche cliniche, come l’età di insorgenza inusuale o la rapida risoluzione spontanea di un episodio morboso. Il Disturbo Psicotico Indotto è caratterizzato dalla presenza di allucinazioni o deliri che si sviluppano durante o entro 1 mese dall’intossicazione o astinenza, non si verificano esclusivamente in corso di delirium e non sono meglio giustificati da un disturbo psicotico non indotto da sostanze. Disturbi persistenti indotti dall’alcol Tali manifestazioni esprimono il danno biologico arrecato dall’alcol al sistema nervoso, per cui esse persistono dopo l’interruzione del potus e nei casi più gravi possono risultare irreversibili. - Il disturbo amnestico indotto: classicamente conosciuto, nella sua forma acuta, come encefalopatia di Wernicke, caratterizzata da confusione, disfunzione vestibolare e della motilità oculare, e come sindrome di Korsakoff, nella sua forma cronica, in cui è compromessa la memoria recente. - La demenza indotta: caratterizzata dalla presenza di deficit della memoria e alterazioni cognitive quali afasia, aprassia, agnosia, disturbo delle funzioni esecutive. - Altri disturbi persistenti indotti: patologie complesse e a carattere neurologico e psichiatrico come la degenerazione cerebellare, la neuropatia ottica, le neuropatie periferiche, ecc. Problemi alcol-correlati L’etanolo è responsabile di danni ai tessuti dell’organismo, determinati soprattutto da alterazioni fisiche e chimiche delle membrane, squilibrio del metabolismo cellulare, formazione di intermedi tossici. Le principali patologie extra-neurali alcol-correlate riguardano: - Stato nutrizionale: squilibra la dieta, comportando stati carenziali; - Apparato digerente: conduce a cattivo assorbimento delle muscose e sanguinamenti; - Apparato cardiocircolatorio: conduce a ipertensione arteriosa, con picchi in corso di astinenza; la cardiomiopatia alcolica è caratterizzata da scompenso circolatorio e aritmie ventricolari; - Apparato respiratorio: alterazioni della dinamica respiratoria e produzione di surfactante; - Apparato endocrino/riproduttivo: alterazioni degli assi ipofiso-gonadico e ipofiso-surrenale; sindrome feto-alcolica: ridotto accrescimento, facies triangolare, malformazioni cardiache; - Sistema immunitario e neoplasie: danneggia alcune sottopopolazioni linfocitarie, con aumentato rischio infettivo e neoplastico. - La compromissione del funzionamento personale: incapacità di soddisfare i ruoli sociali attesi, in primo luogo quelli familiari e lavorativi. Craving Con il termine craving si intende un desiderio irrefrenabile di assumere una sostanza che, se non soddisfatto, provoca sofferenza fisica e psichica. In riferimento alla dipendenza alcolica si distinguono un craving di tipo fisico, caratterizzato da sintomi organici astinenziali (aumento della frequenza cardiaca, sudorazione, nausea, tremori) che si manifesta in seguito alla sospensione o brusca riduzione, e un craving psicologico o simbolico che si manifesta durante l’astensione e che può indurre alla ricaduta. Per quanto riguarda il coinvolgimento dei sistemi biochimici, studi hanno confermato che i circuiti dopaminergici del reward rivestono un ruolo chiave nell’eziopatogenesi della dipendenza e del craving. Verheul ha sviluppato un modello psicobiologico che prevede 3 principali tipologie di craving alcolico: - Il relief craving: disgregazione GABAergica/glutammatergica, esordio tardivo; - Il reward craving: disregolazione dopaminergica/opioidergica, esordio precoce, si manifesta in soggetti con familiarità per l’alcolismo; - L’obsessive craving: disregolazione serotoninergica associata a un danno organico da etanolo. Al fine di misurare l’entità del craving sono state indotte numerose scale: - L’Obsessive Compulsive Drinking Scale; - L’Alcohol Urge Questionnaire; - L’Alcohol Craving Questionnaire. La presenza di metodi differenti per la rilevazione del craving mette in evidenza la mancanza di una concettualizzazione precisa e la necessità di tenerne in considerazione i diversi aspetti, da quelli emotivo-motivazionali a quelli cognitivo-comportamentali, suggerendo inoltre la possibilità che doversi pazienti presentino profili di craving differenti. - Fare affidamento su altri per reperire il denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo. - Il comportamento di gioco non è meglio attribuibile ad un Episodio Maniacale. L’ultima edizione del DSM ha invece aggiunto, nella sezione dedicata ai Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction, l’area dei Disturbi non correlati a sostanze dove vi è il Disturbo da Gioco d’Azzardo. La ricerca empirica dei fattori di rischio Sui fattori di rischio del gioco d’azzardo si rilevano posizioni molto articolate. Zuckerman propone di considerare il gambling come un comportamento di ricerca di sensazioni, in cui il rinforzo positivo sarebbe fornito dall’arousal anticipatorio delle attività di gioco. Per quanto riguarda il tema della depressione, se da una parte viene riconosciuta l’importanza di tale aspetto, forti sono le differenze tra chi ritiene che il ricorso patologico al gioco rappresenti un modo per affrontare uno stato depressivo preesistente e chi ritiene che la depressione debba essere interpretata quale conseguenza del gioco. Alcuni studi dimostrano che l’alessitimia può essere un fattore di rischio nell’insorgenza del gioco d’azzardo patologico. Parker ha indicato che gli individui alessitimici riportano con maggiore frequenza problemi di gioco. Inoltre, ha messo in evidenza che i giocatori patologici posseggono più caratteristiche alessitimiche rispetto ai non giocatori; questi probabilmente usano il gioco come forma di sollievo dallo stress o come regolatore emozionale. Inoltre, risulta forte l’evidenza della familiarità. Alcuni studi evidenziano che la maggiore probabilità che un soggetto diventi giocatore patologico è in relazione al precoce inizio. Altri hanno dimostrato la presenza di esperienze traumatiche nella storia dei giocatori patologici: la gravità del trauma correla con una precoce età d’inizio e una crescente gravità dei problemi connessi. I sottogruppi di Blaszczynski Un punto che sembra trovare consenso tra ricercatori è la convinzione che i soggetti con diagnosi di GAP non costituiscano una categoria omogenea, ma siano a loro volta differenziabili in sottogruppi. Questa intuizione ha trovato conferma nello studio di Blaszczynski sugli esiti dei trattamenti, ove si sono evidenziate 3 tipologie di esiti. Il primo gruppo, denominato come patologici non patologici, è caratterizzato da soggetti che non presentano una specifica diagnosi di premorbilità e un concomitante abuso di sostanze. Tali soggetti sulla base di credenze erronee, distorsioni cognitive, possono presentare eccessiva preoccupazione per il gioco, rincorsa delle perdite, e questo può essere in rapporto con un’esposizione casuale al gioco. Presentano un’alta compliance al trattamento e possono raggiungere con il gioco un rapporto moderato. All’interno di tale sottogruppo, è possibile individuare delle differenziazioni sulla base del peso giocato da 3 elementi: - La diversa funzione richiesta al gioco (dato affettivo); - La presenza o meno di un evento traumatico recente (dato strutturale); - La forte componente giocata dalle credenze erronee (dato cognitivo). Se per alcuni il gioco sembra costituire una parentesi che apre un mondo maggiormente appassionante e meno rischioso di quello reale, per altri appare correlato a un desiderio/bisogno di modulare uno stato affettivo disforico recente e spesso a seguito di un evento traumatico. Il secondo gruppo, indicato come giocatori emotivamente disturbati è costituito da soggetti che evidenziano maggiori fattori di vulnerabilità quali familiarità, tratti di personalità nevrotici ed esperienze negative nel corso dello sviluppo. In questo sottogruppo, il ricorso al gioco sembrerebbe essere motivato dal desiderio di modulare gli stati affettivi. Anche per questi soggetti è possibile evidenziare differenze al proprio interno. Per alcuni il gioco sostituisce o integra l’abuso di sostanze o condotte di dipendenza ed evidenzia una struttura di personalità dipendente. Altri sembrerebbero ricercare nel gioco emozioni forti quali il thrill e la pleasurable painful sensation. Questi richiederebbero interventi psicoterapeutici più intensi. Inoltre, rischiano di rimanere fragili, per cui è consigliabile il mantenimento di un’astinenza totale al gioco. Il terzo gruppo denominato come giocatori con correlati biologici è caratterizzato da: - Impulsività e deficit dell’attenzione; - Familiarità al gioco d’azzardo; - Tratti di personalità nevrotica; - Premorbilità a depressione, ansia, dipendenza da sostanze. In tali soggetti il ricorso al gioco risponderebbe a un bisogno di raggiungere uno stato di fuga attraverso la dissociazione, l’alterazione del tono dell’umore e il restringimento dell’attenzione. La comorbidità con abuso e dipendenza multipla da sostanze Nel caso del GAP e uso di sostanze, molte ricerche indicano una correlazione variabile dal 9 al 33%. In questo quadro, può apparire suggestiva l’ipotesi della presenza di una comune predisposizione, almeno per il gruppo 3 di Blaszczynski, che potrebbe trovare una spiegazione nel comune meccanismo della reward syndrome. Tuttavia, si può anche ipotizzare come l’accedere a una dipendenza patologica possa permettere con maggiore facilità l’accesso ad altre sostanze di dipendenza. Se per alcuni si può parlare di meccanismo di reciproca interazione che produce una sovrapposizione tra gioco e sostanze, è il caso di segnalare il fenomeno della migrazione-sostituzione, ossia il tentativo di superamento o riduzione dei danni della dipendenza, ritenuta dal soggetto più problematica. Gli strumenti di classificazione o assessment Estremamente vasto è il campo degli strumenti di classificazione del GAP. Tra questi il più diffuso è rappresentato dal South Oaks Gambling Screen, che permette di evidenziare in modo semplice e veloce la presenza di un gioco problematico, fornendo informazioni su tipo di gioco preferito, frequenza di gioco, difficoltà a giocare in modo controllato, consapevolezza riguardo al proprio problema, mezzi usati per procurarsi il denaro per giocare, rincorsa delle perdite, mentire e sulle conseguenze sociali e relazionali. Oggi però il SOGS viene sconsigliato in quanto basato sui criteri del DSM-III. La National Organization for Research at the University of Chicago ha messo a punto uno strumento chiamato Norc DSM Screen for Gambling Problems. La tassonomia dei giocatori presentata dalla NORC è: - Non giocatori: coloro che non hanno mai giocato; - Giocatori a basso rischio: coloro che giocano, ma non perdono mai più di 100 dollari in un giorno o nell’anno precedente; o coloro che perdono più di 100 dollari in un giorno o nell’anno precedente ma non presentano criteri del DSM-IV; - Giocatori che perdono più di 100 dollari in un giorno o nell’anno precedente e presentano: 1 o 2 criteri del DSM-IV = giocatori a rischio; 3 o 4 criteri del DSM-IV = giocatori problematici; 5 o più criteri del DSM-IV = giocatori patologici; 8 o più criteri del DSM-IV = giocatori patologici gravi. Gli errori dei giocatori: l’idea di controllare un evento aleatorio Sono comuni alla maggior parte delle persone errori e credenze che si fondano sull’idea che gli eventi aleatori siano modificabili, interpretabili e prevedibili. I meccanismi più frequenti riguardano, per esempio, l’avvicinamento alla vincita, come il sorteggio di un numero vicino a quello pronosticato. Questa percezione può sviluppare la convinzione che sia necessario insistere per raggiungere l’obiettivo e che le limitazioni date debbano essere accantonate in quanto ormai è fatta. Uno dei meccanismi più problematici e indicativi di gravità nei giocatori patologici è il fenomeno del chasing, cioè della rincorsa alla perdita (VI criterio) che porta ad un incremento dell’assunzione di rischi finalizzati al procacciarsi denaro per continuare a giocare. Tale esigenza di rifarsi è accompagnata dalla razionalizzazione che una volta in pareggio non si giocherà più e si ripareranno i debiti, ed è anche interpretabile attraverso il paradosso della propensione al rischio, cioè che le persone sono più propense ad accettare rischi nelle fasi di perdita piuttosto che in quelle di vincita. Anche la cosiddetta teoria dei numeri ritardatari svolge un ruolo chiave, ossia l’idea che gli eventi che non compaiono da maggior tempo abbiano maggiori probabilità di successo. Anche l’idea di avere un ruolo attivo nel gioco sostiene la reiterazione alogica nella condotta. Si pensi agli esperimenti condotti con il lancio dei dadi, in cui la forza e la velocità del lancio appare correlata con l’aspettativa di un numero alto. Un altro elemento è la percezione di essere scelti. Ad esempio, le persone dopo aver acquistato un biglietto tendono a rifiutare la vantaggiosa offerta di scambio con più biglietti, ritenendo che il proprio biglietto abbia maggiori possibilità. Anche le combinazioni dei numeri assumono un valore divinatorio. Non si sceglie, infatti, un biglietto della serie A123456789 se si ha l’alternativa di uno della serie N29544738, poiché si ritiene impossibile che sia estratto un biglietto A123456789, nonostante abbia la stessa probabilità dell’altro. Giochi e giocatori Uno spazio di approfondimento è rappresentato dallo studio della relazione tra tipo di gioco e giocatore. Ricerche mostrano come siano diverse le caratteristiche in termini diagnostici, eziopatogenetici e prognostici in relazione ai diversi tipi di giochi. Questi possono essere diversamente accessibili o appetibili da parte dei soggetti in ordine ad età, classe sociale, genere, ecc., con la possibilità di favorire diversa frequenza, intensità e lo sviluppo o meno di compulsività. A tal proposito, Petry evidenzia come le forme di gioco problematico varino in funzione delle caratteristiche sociodemografiche dei giocatori e come la gravità sia da porre in relazione alle difficoltà psicosociali. In particolare: - Gli scommettitori alle corse di cavalli e cani sono prevalentemente maschi e più anziani rispetto agli altri gruppi di giocatori; presentano problemi precoci con il gioco e un alto dispendio di denaro, ma anche disturbi psichiatrici e abuso di sostanze; - I giocatori di scommesse sportive sono più giovani, presentano minore dispendio di denaro e minore frequenza di disturbi psichiatrici; evidenziano una tendenza all’abuso di alcol; - I giocatori di carte presenterebbero una minore incidenza di disturbi psichiatrici e abuso di alcol anche in ragione della necessità di mantenere attiva la memoria e l’attenzione nelle fasi di gioco; - I giocatori-tipo di slot machine sono prevalentemente donne piuttosto anziane e con una maggiore frequenza di disturbi psichiatrici. - I giocatori di gratta e vinci e lotterie rischiano di giocare con frequenza crescente e presentano spesso abuso di sostanze e disturbi psichiatrici. - I giocatori da casinò cercherebbero nel gioco un rush, un’eccitazione particolare. Le differenze di genere hanno una loro importanza nella scelta del gioco. Le donne evidenziano maggior interesse e problematicità con le slot machine e altre forme di gioco. Ciò suggerisce l’ipotesi che nel sesso femminile il gioco svolga la funzione di fuga da problemi familiari e personali, a differenza che nel sesso maschile, in cui è prevalente la ricerca dello stato di eccitazione. Il progetto residenziale intensivo “Orthos” Rare sono le proposte di tipo residenziale per i giocatori patologici. Il progetto Orthos muove dalla premessa che un programma residenziale per giocatori non possa eccedere un periodo di 3 settimane per non risultare incompatibile con un inserimento nel mondo lavorativo, familiare e sociale che va tutelato e rinforzato. I destinatari sono soggetti di entrambi i sessi e di maggiore età, che risultano inseriti nel tessuto socioeconomico e che dispongono di una rete minima di legami familiari. Infatti, l’impostazione orientata alla responsabilizzazione dei residenti non consente l’accettazione di soggetti affetti da patologie di tipo grave, sia sul versante delle dipendenze multiple sia dei disturbi di personalità. Gli obiettivi terapeutici sono sintetizzabili in: - Esplorare la storia personale e identificare gli eventuali disturbi della personalità; - Stabilità del setting. Una delle principali modifiche nel trattamento analitico consiste nella necessità di mantenere stabile il setting; la stabilità del setting offrirà al paziente un ancoraggio sul quale iniziare a storicizzare gli eventi e collegare i comportamenti; potrà sperimentare nella continuità della relazione terapeutica la capacità di elaborare emozioni prima ingestibili e da evacuare e agire. - Maggiore flessibilità del terapeuta. La complessità degli stati di dipendenza richiede che il terapeuta sappia integrare tecniche supportive ed espressive; flessibilità del terapeuta e stabilità del setting non sono in antitesi ma garantiscono al paziente disponibilità di accoglimento delle proprie istanze contraddittorie. - Aumento dell’attività del terapeuta in seduta. La terapia ha una funzione di protezione rispetto alla realtà esterna; il terapeuta deve collegare tutto ciò agli sviluppi del transfert e alla possibilità che il paziente esplori il proprio mondo interno; - Tolleranza all’ostilità del paziente. L’attivazione di relazioni oggettuali primitive si manifesta nel transfert con stati emotivi caotici, e l’interpretazione di ciò può condurre ad una trasformazione delle relazioni oggettuali parziali in totali, e del transfert primitivo in quello edipico. - Scoraggiamento dei comportamenti autodistruttivi dei pazienti. Il terapeuta deve fungere da contenitore di quanto c’è di intollerabile, restituendo al paziente oggetti resi meno disturbanti. - Utilizzo dell’interpretazione. Per evitare che le interpretazioni possono essere percepite come delle invasioni invalidanti l’immagine di sé, è necessario che il paziente venga abituato a guardare se stesso senza però il timore di dover rinunciare alle proprie difese narcisistiche, attraverso un’interpretazione strutturalizzante, capace di comunicare al paziente un livello elevato di responsività al suo bisogno di essere accettato e compreso. - Monitoraggio attento dei sentimenti controtransferali. La diffusione di identità conduce all’utilizzo di difese primitive che il terapeuta percepisce attraverso i propri moti controtransferali; l’analisi di questi moti può consentirgli di formulare ipotesi plausibili di alcuni aspetti del funzionamento psichico del paziente. - Promozione della funzione riflessiva. Creare le condizioni perché il paziente possa trovare se stesso nella mente del terapeuta; l’obiettivo è di promuovere la mentalizzazione. - Aiutare il paziente a reimpossessarsi degli aspetti del sé dissociati e/o proiettati altrove. Favorire processi integrativi dei vissuti emotivi rimasti isolati in stati del Sé dissociati a causa di un attaccamento infantile insicuro o disorganizzato; la situazione terapeutica rappresenta una matrice interpersonale ed empatica al cui interno il mondo rappresentazionale del paziente ha l’opportunità di venire organizzato e ristrutturato a livelli evolutivi sempre più elevati. Criteri diagnostici per il Disturbo da Uso da Sostanze nel DSM-5 Una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a disagio/compromissione clinicamente significativi, come manifestato da almeno 2 delle condizioni seguenti, che si verificano entro un periodo di 12 mesi: - La sostanza è assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto; - Desiderio persistente di ridurre o controllare l’uso della sostanza; - Una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza, assumerla o riprendersi dai suoi effetti; - Craving o forte desiderio o spinta all’uso della sostanza; - Uso ricorrente della sostanza che causa un mancato adempimento dei principali obblighi personali e sociali; - Uso ricorrente della sostanza nonostante la presenza di problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza; - Uso ricorrente della sostanza in situazioni nelle quali è fisicamente pericolosa; - Uso ricorrente della sostanza nonostante un problema persistente, fisico o psicologico, causato o esacerbato dalla sostanza; - Importanti attività, sociali, lavorative o ricreative, vengono abbandonate o ridotte a causa dell’uso della sostanza; - Tolleranza: bisogno di dosi più elevate per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato; effetto diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità di sostanza; - Astinenza: caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza; la sostanza è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza. Appunti I servizi pubblici del sistema sanitario nazionale sono: - Servizi per le tossicodipendenze (SER-T); - Servizi per le dipendenze patologiche (Ser-D). I servizi del privato sociale sono: - Comunità terapeutiche; - Centri diurni; - Addiction center; - Unità di strada; - Servizi di volontariato. L’U.O.C. (unità organizzativa complessa) territoriale L’U.O.C. è una Struttura Complessa (struttura complessa dipendenze patologiche), all’interno del Dipartimento di Salute Mentale e delle Patologie da Dipendenza, che programma e coordina interventi e progetti, nell’ambito delle dipendenze patologiche, che riguardano: - Prevenzione; - Cura; - Riabilitazione; - Reinserimento sociale; - Riduzione del danno. Tali interventi sono messi in atto dalle unità operative territoriali SER-T, dislocate sul territorio della provincia. L’U.O.C. territoriale ha il compito di: - Gestire le risorse assegnate, assegnare compiti e risorse alle unità operative territoriali (SER-T), curare i rapporti con la direzione generale, con i servizi centrali dell’azienda sanitaria, con le altre strutture funzionalmente connesse e con enti o altri soggetti pubblici o privati; - Assicurare interventi di prevenzione e cura delle dipendenze patologiche, i quali sono rivolti oltre alle dipendenze da sostanze illegali anche alle dipendenze da sostanze legali e le dipendenze senza sostanze; - Organizzare e gestire il sistema informativo e i flussi di dati epidemiologici provenienti dalle unità operative territoriali (SER-T); - Controllare l’operato di soggetti convenzionati con l’azienda sanitaria per il trattamento delle dipendenze patologiche, in particolare le strutture residenziali. Le prestazioni fornite dagli operatori sono gratuite. Le attestazioni e le certificazioni richieste sono a pagamento. I SER-T rappresentano le strutture distrettuali di riferimento dell’azienda sanitaria provinciale e svolgono i seguenti compiti: - Assicurano tutti gli interventi che la legge gli assegna, operando all’interno del distretto con piena autonomia critica; - Operano nell’ottica del servizio territoriale rivolto alla persona e alla comunità dove l’utente e la famiglia trovano una risposta personalizzata ad una pluralità di bisogni; - Garantiscono la necessaria integrazione sanitaria; - Garantiscono la privacy degli interventi di cura di medico e psicologo; - Sono di libero accesso e gli interventi sono totalmente gratuiti. ASP (Azienda Sanitaria Provinciale) PO (Presidio Ospedaliero) Servizio di Psicologia DSM (Dipartimento Salute Mentale) CSM(Centro di Salute Mentale) SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) NPI(NeuroPsichi atria Infantile) Ser.D (Servizio per le dipendenze patologiche) Materno Infantile Consultorio Reparto di ginecologia- ostetricia