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Comprendere il male: il disturbo antisociale di personalità, Prove d'esame di Sviluppo della Personalità

Riassunto esaustivo e non prolisso che cerca di fornire in modo semplice e completo le nozioni fondamentali sul disturbo antisociale di personalità e dei diversi approcci all'intervento per questi pazienti. In particolare: approccio relazionale, TMI, prospettiva gruppoanalitica-soggettuale, approccio fenomenologico, MBT e farmacoterapia.

Tipologia: Prove d'esame

2018/2019

Caricato il 18/06/2019

AliceNinetta
AliceNinetta 🇮🇹

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Scarica Comprendere il male: il disturbo antisociale di personalità e più Prove d'esame in PDF di Sviluppo della Personalità solo su Docsity! Comprendere il male capitolo primo: il disturbo antisociale di personalità DEFINIZIONE GENERALE di SALUTE MENTALE abilità umana di stabilizzare pattern precoci di esperienza personale, al fine di creare, modificare e integrare diverse forme di interazione sociale, mantenendo un equilibrio tra le intenzioni personali e le richieste ambientali. DISTURBI DI PERSONALITA’ sono considerati l’esito del fallimento in tre principali compiti di vita, che se svolti adeguatamente aiutano nell’adattamento di ciascun individuo: 1. stabilire rappresentazioni integrate di sé e degli altri; 2. sviluppare un funzionamento interpersonale adattivo (istaurare relazioni intime, funzionare come figura di attaccamento, stabilire relazioni affiliative); 3. sviluppare un funzionamento sociale adattivo. Il DSM-5 descrive il DP come: Un modello pervasivo di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, e si manifesta in almeno due delle seguenti aree:4 • cognitività • affettività • funzionamento interpersonale • controllo degli impulsi Questo modello costante risulta inflessibile e pervasivo in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre importanti aree. Il quadro è stabile e di lunga durata e l’esordio si può far risalire almeno all’adolescenza o alla prima età adulta. Il quadro non deve essere ricollegato ad altro disturbo mentale, all’uso di sostanze o ad una condizione medica generale (es: trauma cranico). Il DSM ha posto l’accento anche sull’analisi del funzionamento della personalità, in particolare le componenti legate: • all’esperienza del sé senso di identità, autostima, autocritica, regolazione delle emozioni, autodirettività. • al funzionamento interpersonale intraprendere e mantenere le relazioni interpersonali, empatia e intimità, reciprocità. 1 DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITA’ Il DSM-5 lo annovera all’interno dei DP di Cluster B. I tratti antisociali e i comportamenti criminali devono essere stabili e pervasivi, si devono manifestare sin dall’età di 15 anni. I criteri diagnostici sono: • incapacità di conformarsi alle norme sociali; • egocentrismo e mancanza di interesse per gli altri; • disonestà e manipolazione (menzogne, truffe per profitto o per piacere personale); • desiderio di controllare gli altri, freddezza e distacco; • impulsività e incapacità di pianificare; • propensione al pericolo, inosservanza della propria sicurezza e di quella altrui; • irritabilità e aggressività/ostilità; • irresponsabilità abituale (incapacità di mantenere un’attività lavorativa); • mancanza di rimorso e senso di colpa. È necessario che l’individuo abbia almeno 18 anni, presenti una storia di disturbo della condotta con esordio prima dei 15 anni di età, e che il comportamento antisociale non si manifesti esclusivamente durante il decorso di una schizofrenia o disturbo bipolare. APPROCCIO BIO-PSICO-SOCIALE all’origine del disturbo esiste un’ampia letteratura relativa agli aspetti biologici, psicologici, temperamentali, genetici e sociali del DP antisociale. Attualmente, riscuote successo l’ipotesi di Fonagy secondo cui l’aggressività e l’antisocialità non sarebbero caratteristiche apprese dall’ambiente di sviluppo, ma costituirebbero l’esito tragico della mancata acquisizione di quelle capacità e abilità psicologiche che fungono da strumenti di regolazione e dominazione degli impulsi incontrollabili e comportamenti antisociali. I comportamenti violenti sarebbero, quindi, il risultato di un deficit nella regolazione delle emozioni e degli impulsi, dell’eccessiva focalizzazione sulla realtà fisica piuttosto che psichica e dell’ipersensibilità alle reazioni emotive altrui. Sovrapposizione con la PSICOPATIA il DP antisociale viene speso sovrapposto, erroneamente, alla psicopatia. Il rischio è che non si riconosca il disturbo psicopatico o che si consideri in modo riduttivo la psicopatia come una forma più grave di narcisismo o antisocialità, quando invece la psicopatia presenta delle caratteristiche peculiari che la rendono differente da questi disturbi. Tale sovrapposizione deriva dal fatto che sia nel DP antisociale sia nella psicopatia si riscontrano: egocentrismo tendenza a sfruttare e manipolare gli altri immoralità irresponsabilità criminalità 2 La questione della trattabilità dei pazienti antisociali è fonte di storiche controversie, derivanti dal fatto che si tratta di una condizione al confine tra il sistema sanitario e il sistema penale. Per lungo tempo è stato proposto di gestire i pazienti antisociali fornendo loro un accoglimento che potesse consentire di interiorizzare capacità interpersonali basate sulla reciprocità e fiducia. Questo approccio alla cura trovava le sue radici nel concetto di holding con cui Winnicott intendeva la funzione contenitiva che la madre sufficientemente buona avrebbe dovuto svolgere nei confronti degli affetti negativi del figlio. In questa prospettiva, Winnicott propose, nel trattamento delle patologie antisociali, una terapia che potesse costruire l’ambiente accogliente e disponibile su cui i pazienti non avevano potuto contare nelle prime fasi dello sviluppo. Le nuove acquisizioni neurobiologiche, genetiche e della psicopatologia evolutiva indicano come il DP antisociale sia caratterizzato da meccanismi di funzionamento psicopatologici , particolarmente resistenti al cambiamento: • incapacità di apprendere dall’esperienza • totale insensibilità ai meccanismi di rinforzo e punizione • difficoltà nella pianificazione a lungo termine • tendenza a tradurre gli impulsi in agiti (acting out) • alessitimia I trattamenti con questi soggetti dovrebbero mirare, quindi, a modificare la tendenza di questi soggetti a passare dall’impulsi agli agiti, aiutandoli a: • interporre il pensiero tra l’impulso e l’azione • a pensare alle conseguenze delle loro azioni • a comprendere che gli impulsi e le azioni hanno origine da stati interni come sensazioni e sentimenti, i quali possono essere espressi ed elaborati attraverso il linguaggio l’antisociale utilizza il linguaggio solo per manipolare e controllare gli altri. La problematicità nella gestione e nel trattamento di questi soggetti potrebbe essere insita nella natura dei trattamenti stessi, in particolare quelli organizzati negli istituti penitenziari. Infatti, si dà per scontato troppo spesso che anche gli antisociali, come gli altri detenuti, debbano aderire a percorsi di “risocializzazione”, finalizzati al reinserimento nella società mediante la rieducazione e il riapprendimento dei comportamenti che hanno deviato dallo sviluppo normale. questo concetto implica che esistano in questi pazienti capacità sociali considerate adeguate. In realtà, essi non le posseggono, quindi andrebbero socializzati e non risocializzati. Esiste un ampio consenso sul fatto che i pazienti antisociali debbano essere trattati all’interno di strutture controllate l’obiettivo è quello di controllare costantemente il loro comportamento distruttivo e la tendenza all’acting out, in modo da ridurre il rischio di recidiva e violenza. Il controllo esercitato, basato su regole precise e risposte ferme e prevedibili da parte di chi ne ha cura, pone i pazienti di fronte alla loro ansia e aggressività, bloccando i canali abituali attraverso cui scaricano gli impulsi. 5 Il trattamento con questi pazienti presenta non poche minacce: essendo abili manipolatori, possono riuscire a ingannare il terapeuta e l’equipe stessa, possono indurre i medici a compiere comportamenti disonesti, possono utilizzare ciò che apprendono in terapia per ingannare e sfruttare gli altri. Un programma destinato a questi pazienti si dovrebbe fondare non tanto sul tentativo di sviluppare empatia e coscienza morale o sulla ristrutturazione della personalità, a sull’evidenziare il fatto che sono i soli responsabili delle loro azioni. Parallelamente, si dovrebbe cercare di mostrare come usare abilità e risorse personali per soddisfare i propri bisogni e desideri. Possibili PREDITTORI dell’esito della psicoterapia Il trattamento ospedaliero non è adatto a tutti i tipi di pazienti. Bisogna valutare la possibilità del soggetto di trarre beneficio dal ricovero. • FATTORI PREDITTIVI DI RISPOSTA POSITIVA (capaci di aumentare l’adesione al trattamento) • Comorbidità con la depressione (capacità di provare rudimentali sentimenti di rimorso) • Ansia (capacità di esprimere preoccupazione) • Psicosi o mania (trattamento farmacologico) • FATTORI PREDITTIVI DI RISPOSTA NEGATIVA • Anamnesi positiva per arresti o condanne per reato; • Vantaggio giudiziario (ricoveri obbligatori come alternativa all’incarcerazione) • Anamnesi positiva per menzogne, falsità, raggiro, violenze contro terzi; • Alterazione cerebrale organica; • Assenza di relazioni con gli altri. Stone ha stilato una lista di tratti di personalità la cui presenza, se marcata, rende problematico il percorso terapeutico, tra cui: inaffidabile, distaccato emotivamente, intollerante, maligno, manipolatore, senza valori, prepotente, sensation-seeker, vendicativo, umiliante. Meloy ha identificato 5 caratteristiche cliniche che sono controproducenti per la psicoterapia: 1. Storia di comportamenti sadici e violenti con esiti gravi; 2. Totale assenza di rimorso o razionalizzazione per tali comportamenti; 3. Livello intellettivo alto o ritardo mentale; 4. Cronica incapacità di sviluppare forme di attaccamento emotivo verso gli altri; 6 5. Un’intensa paura controtransferiale di attacchi aggressivi in clinici esperti, anche in assenza di un comportamento esplicitamente violento. Stone e Kerneberg hanno individuato alcune caratteristiche che costituiscono un ostacolo per la relazione terapeutica, in particolare l’istaurarsi di un transfert psicopatico falsità, menzogna, manipolazione manifestati in seduta. MIGLIORAMENTO dei pazienti Studi di follow-up a lungo termine di soggetti antisociali gravi hanno mostrato come alcuni pazienti migliorino dopo anni anche senza aver mai ricevuto alcun intervento psicoterapeutico, anche se tale miglioramento sembra riguardare in prevalenza la sfera comportamentale e non i tratti alla base della personalità. Il miglioramento, quindi, può dipendere: • dallo scorrere del tempo • dall’istituzionalizzazione in un centro specializzato Tuttavia… non tutti vanno incontro ad un miglioramento, soprattutto coloro con caratteristiche psicopatiche e stile predatorio. A tal proposito si possono distinguere due gruppi di pazienti: il primo include coloro che sono considerati intrattabili e irrecuperabili e che non mostrano nessun miglioramento anche dopo anni; il secondo include coloro che non giungono neppure all’attenzione clinica. La mancanza di miglioramento è dovuto anche alla negazione del disturbo e ai sentimenti di disprezzo per la psichiatria e la psicologia, che sono considerati un escamotage per i deboli e gli stupidi. CONTROTRANSFERT con il paziente antisociale Gabbard ha descritto alcune tra le reazioni più comuni suscitate dai pazienti antisociali: Incredulità non credere che il paziente sia veramente “cattivo”, ma considerarlo depresso o incompreso; Collusione il terapeuta si lascia corrompere dal paziente • commettendo azioni illecite • o azioni anti-etiche e disoneste E’ il risultato del processo di identificazione proiettiva la parte corrotta del sé viene proiettata sull’altro. Condanna il paziente viene percepito come non trattabile; Sentimenti di: Disperazione, Impotenza, Desiderio di distruggerlo, Rabbia Timore di essere aggrediti. Assumere che il paziente abbia una certa Complessità Psicologica che in realtà non posseggono fanno fatica a credere che sia diverso da loro. I pazienti sfruttano questo punto debole e si presentano simili ai curanti (tecnica dell’inganno) per procurarsi il loro appoggio. Altre due ulteriori reazioni controtransferiali: • Illusione di un’alleanza terapeutica, che in realtà non esiste; • Fascinazione, che può arrivare a una vera e propria attrazione sessuale verso il paziente. 7 informazioni clinicamente significative rispetto a 4 aree rappresentative dell’adattamento del soggetto all’ambiente, ovvero: famiglia, sessualità, relazioni interpersonali, concetto di sé. Le frasi sono 60 e permettono all’esaminatore di esplorare e inferire le tendenze dominanti della personalità del soggetto in esame. Nel caso di Luca: • l’oggetto viene percepito come cattivo e persecutorio; • l’immagine di sé e degli altri è negativa, anche se presenta talvolta una tendenza all’idealizzazione con funzione difensiva e compensatoria. • Difficoltà relazionali, in particolare con l’autorità. • Immagine di sé poco integrata. • Struttura di personalità: debolezza e immaturità dell’Io; difficoltà nell’adattamento sociale e deficit nella capacità relazionali; rigidità; meccanismi di difesa primitivi (proiezione, scissione, idealizzazione). Conclusioni Emerge una diagnosi, secondo la classificazione del DSM-5, di un disturbo antisociale di personalità, con tratti paranoidei/schizoidi (sospettosità verso gli altri, risentimenti, ritiro dalle relazioni sociali), elementi depressivi (bassa autostima, vissuti depressivi, senso di inferiorità) e abuso di alcol. Comprendere il male capitolo terzo: un modello psicoanalitico relazionale Le prospettive relazionali si sono definite soprattutto agli inizi degli anni ’90 negli USA, anche se le loro premesse teoriche e cliniche si possono rilevare nel lavoro di Ferenczi, Sullivan, Winnicott e altri autori. La sostanziale differenza dalla psicoanalisi classica è che il fondamento della vita psichica e del processo psicoanalitico è la relazione, non la spinta pulsionale. Punti chiave del modello IMPOSTAZIONE COSTRUTTIVISTA mette in discussione la possibilità di una conoscenza “oggettiva”, di un sapere che rappresenti fedelmente la realtà esterna. Il sapere non esiste indipendentemente dal soggetto che conosce, non può essere ricevuto in modo passivo ma risulta dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà. La conoscenza è una soggettiva costruzione di significato a partire da una complessa rielaborazione interna di sensazioni, conoscenze, credenze, emozioni. 10 La realtà, in quanto oggetto della nostra conoscenza, sarebbe dunque creata dal nostro continuo “fare esperienza” di essa, nel corso di processi d’interazione. MENTE RELAZIONALE è intesa come il processo di “ricerca dei significati” dell’esperienza personale. Mente = Capacità di fare esperienza La mente può essere intesa come individuale e relazionale: la mente ha la potenzialità di organizzare sé stessa, ma può esprimere questa potenzialità soltanto stando in rapporto con l’ambiente interpersonale (figure di attaccamento), con la sua matrice relazionale (sistema diadico intersoggettivo) PARADOSSO AUTO-ORGANIZZAZIONE/RELAZIONE. Quindi, la mente da un lato è separata dall’ambiente, identificabile e sempre uguale a sé stessa; dall’altro lato, si sviluppa all’interno di specifiche relazioni. SOGGETTIVITA’ E INTERSOGGETTIVITA’ la soggettività è il luogo in cui si formano i significati dell’esperienza personale. È in continuo e reciproco rapporto con l’intersoggettività. Come detto, la nostra mente si struttura all’interno delle relazioni di attaccamento, in cui noi siamo riconosciuti nella nostra specificità di caratteristiche, funzionamento mentale, personalità, eccetera. Esperienze relazionali positive, in cui il bambino fin dall’inizio della sua esistenza è riconosciuto come significativo per qualcun altro, permettono di sviluppare una mente sana e funzionante. CONFIGURAZIONI DI PERSONALITA’ vengono considerate come lo strutturarsi individuale di predilezioni e orientamenti per specifici pattern nella ricerca di significati. SALUTE E PSICOPATOLOGIA • Salute la intendiamo in senso più ampio come una condizione nella quale la persona sente di potersi realizzare nella propria esperienza, di poter sviluppare le proprie potenzialità nel tempo; per farlo ha bisogno di condizioni favorevoli per il suo sviluppo (contesto relazionale positivo). • Psicopatologia riguarda strategie adattive fallimentari che si strutturano in contesti di sviluppo specifici e singolari. Organizzazione nevrotica di personalità la soggettività è caratterizzata da conflitti: in conflitto sono i significati (non energie pulsionali) e strutture di funzionamento mentale di elaborazione di significati. Organizzazione borderline di personalità è il risultato di esperienze traumatiche relazionali. Trauma = rottura Da un punto di vista psicologico, il termine trauma indica una rottura della mente: l’esperienza soggettiva è frammentata e manca di significato. 11 Quando le figure di attaccamento non hanno la capacità di pensare al bambino in termini di persona con una mente che si sta sviluppando e lo considerano come uno strumento, la mente del bambino perde i riferimenti minimi indispensabili nella costruzione di significato dell’esperienza. Le capacità della mente di costruire il significato vengono distorte al punto di rendere necessario l’instaurarsi di processi dissociativi. Dissociazione = impedimento attivo disposto dalla mente alla costruzione di significati dell’esperienza. VALUTAZIONE DIAGNOSTICA con diagnosi si intende la formulazione della conoscenza soggettiva che il clinico fa del paziente in un linguaggio condiviso. La conoscenza del paziente può costruirsi solo entrando in relazione con lui. L’obiettivo della valutazione è quello di comprendere il funzionamento mentale, la personalità e la sintomatologia del paziente e di esprimere tale conoscenza attraverso un linguaggio condiviso. INTERVENTO CLINICO l’obiettivo del trattamento è, in generale, il miglioramento del funzionamento mentale e della personalità, ovvero la crescita personale del soggetto, piuttosto che la semplice cura di una malattia. Uno degli strumenti principali è l’interpretazione, attraverso cui il clinico riporta al paziente ciò che lui stesso ha raccontato. Attraverso le interpretazioni si costruisce tra paziente e terapeuta una relazione di attaccamento, in cui il paziente ha la possibilità di crescere. L’intervento clinico sulla psicopatologia si fonda non solo sul trattamento dei sintomi, ma deve tenere in considerazione tutte le dimensioni fondamentali della persona: contesto di sviluppo, soggettività, relazioni, funzionamento mentale, personalità. Secondo questa prospettiva teorica, in un paziente (nel caso specifico, Luca) bisogna valutare: • Funzionamento mentale e livello di organizzazione di personalità (viene utilizzato in questo caso il PDM e il questionario clinical-report QFM-27); • Comportamento nel caso del DP antisociale si valuta se il paziente presenta: • la tipologia passivo-parassitaria (meno aggressiva e più manipolatoria) oppure la tipologia aggressiva (più esplosiva o predatoria e spesso violenta). • la componente anaclitica (tendenza ad esternalizzare) e introiettiva (identificazione con caregivers abusanti e violenti). • aspetti pseudo-carismatici (eloquio accurato, cura nel vestire e nell’immagine) che possono essere considerati strumenti utilizzati dal soggetto per istaurare relazioni dominanti, caratterizzate da un atteggiamento di controllo. • Capacità di regolazione, attenzione e apprendimento nel caso del DP antisociale: 12 Questo principio guida il lavoro terapeutico: il clinico cerca di creare le condizioni relazionali che permettano alle capacità metacognitive del paziente di funzionare al massimo. 3. Esperienza soggettiva: gli stati mentali Come detto sopra, gli stati mentali sono forme stabili e ricorrenti di esperienza soggettiva e fanno riferimento a pensieri, credenze, emozioni, sentimenti, sensazioni fisiche, intenzioni e desideri che si manifestano insieme nel flusso di coscienza. • Alcuni stati mentali sono dolorosi e temuti, in quanto carichi di sofferenza; • Altri stati, detti di coping, sono disfunzionali perché utilizzati in modo compulsivo per evitare consapevolmente o in modo automatico il dolore psichico. • Sono fondamentali anche gli stati egosintonici, ovvero stati caratterizzati da idee che la persona non ritiene di dover mettere in discussione e che considera come valori, principi, e che ne definiscono l’identità. 4. Disregolazione emotiva I pazienti con DP faticano a regolare le emozioni, in particolare quelle negative. La disregolazione emotiva è caratterizzata da: • Incapacità di regolare l’arousal; • Difficoltà a distrarsi dagli stimoli emozionali; • Distorsioni nell’elaborazione delle informazioni; • Discontrollo degli impulsi; • Tendenza a congelare o dissociare le emozioni in condizioni di stress acuto. Tra le strategie disfunzionali per regolare gli affetti negativi vi sono: • Coping repressivo tentare di non pensare forzatamente agli eventi stressanti; porta a un aumento delle sensazioni negative sperimentate e a un peggioramento dei sintomi. • Rimuginio non riuscire ad uscire dallo stato emotivo negativo, restando intrappolati. Nel DP antisociale il rimuginio è legato ai temi di torto subito e minaccia, desiderio di vendetta, farsi rispettare, ripristinare il rango. Le procedure della TMI La TMI è una forma di terapia cognitiva, centrata sulla relazione terapeutica: è considerata fonte di informazione, luogo di cura e contesto intersoggettivo ottimale per promuovere il miglioramento delle funzioni metacognitive e il cambiamento della personalità. La TMI prevede due fasi fondamentali: • Formulazione condivisa del funzionamento • Promozione del cambiamento La formulazione condivisa del funzionamento include alcune fasi: • Evocare memorie autobiografiche specifiche; 15 • Identificare gli elementi dell’esperienza soggettiva, ovvero pensieri, emozioni o stati somatici che il paziente ha sperimentato durante gli episodi narrati; • Identificazione delle cause che stanno dietro gli stati mentali dolorosi; • Evocare ulteriori memorie autobiografiche associate a quelle iniziali, in modo che lo stesso paziente le percepisca come collegate tra loro; • Ricostruzione degli schemi interpersonali ricorrenti comuni ai vari episodi narrati. La promozione del cambiamento è costituita da un insieme di procedure che hanno lo scopo di aiutare il paziente a: • assumere prospettive differenti; • a capire il proprio mondo interno non rispecchia necessariamente la realtà; • ad avere accesso alle parti sane e a stati mentali positivi; • a costruire modalità di pensiero e azioni adattive e funzionali; • a promuovere la capacità di metacognizione. In queste fasi avanzate: • si aiuta il paziente a riconoscere il proprio contributo alla creazione dei cicli interpersonali e a comprendere l’impatto che le proprie azioni hanno sugli altri (ad esempio che violenza genera violenza); • si forma una visione integrata di sé, in cui il paziente diventi capace di connettere il proprio sé del passato e del presente, e tenga insieme aspetti sani e problematici, mantenendo un senso di identità e coerenza e un senso di cambiamento avvenuto grazie a eventi di vita rilevanti e lavoro terapeutico. • Strategie di padroneggiamento dei problemi via via sempre più complesse da un punto di vista metacognitivo. TMI e il disturbo antisociale Sono necessari alcuni adattamenti significativi per applicare la TMI al DP antisociale. Punto 1: Regolazione della relazione terapeutica. È necessario che il terapeuta tenga sotto controllo le proprie reazioni controtransferiali, in particolare: condannare e giudicare il paziente, considerare inutile la terapia, timore di essere ingannati, normalizzare i reati e sottostimarne la gravità, attribuire alla presenza di un’eventuale dipendenza da alcol o sostanze la causa del comportamento, atteggiamenti di allarme per il pericolo di danno che il paziente può arrecare a sé o al terapeuta stesso. Il terapeuta deve imparare a condividere con l’equipe di lavoro tutte le emozioni problematiche che emergono nella terapia con questi pazienti, come la paura di essere aggredito, paura delle proprie parti antisociali, timore di non essere capace di fermare azioni illegali del paziente. Inoltre, il terapeuta deve sviluppare una curiosità antropologica, che lo invogli a capire come a volte il paziente sia spinto da un Altro interiorizzato, ovvero un insieme di valori etici condivisi (“comunità fantasma”) che vengono tramandati all’interno della comunità criminale reale. Punto 2: Avere aspettative realistiche sugli obiettivi. 16 Gli obiettivi della terapia con questi pazienti dipendono in gran parte dagli aspetti d comorbidità: molti pazienti manifestano ansia, depressione, ipocondria, PTSD, dipendenza da alcol o sostanze. La TMI parte dal loro trattamento. Nello specifico, nel DP antisociale il focus principale della terapia è il trattamento del comportamento aggressivo o criminoso e la riduzione del deficit alessitimico. Indici prognostici positivi: a) presenza di altri DP o tratti di personalità problematici (sé vulnerabile, disregolazione emotiva, tratti narcisistici non maligni); b) se la terapia avviene all’interno di un’istituzione carceraria in cui vengono portati avanti progetti riabilitativi (teatro, lavoro part-time), che aiutano nel cambiamento intrapsichico e a costruire nuove reti di relazioni alternative alle comunità criminali. Indice prognostico negativo: presenza di una grave psicopatia, assenza di capacità empatica, indifferenza verso la sofferenza altrui, tendenze sadiche. Comprendere il male capitolo quinto: la prospettiva gruppoanalitico-soggettuale La Gruppoanalisi è un modello teorico che mette in risalto la natura originariamente gruppale della mente umana e dunque la profonda incidenza dei fattori culturali sulla costruzione e sulla costituzione della psiche. L’approccio gruppoanalitico nasce dal lavoro del tedesco Foulkes negli anni ’70. Questo lavoro con i piccoli gruppi ha favorito un ampliamento teorico-tecnico, che ha dato vita a diverse tipologie di gruppi terapeutici. 1. Concetto di “transpersonale” Centrale in Gruppoanalisi è il concetto formulato da Foulkes di “transpersonale”, con cui egli ha descritto la mente come una rete (network) continuamente attraversata da accadimenti relazionali (perlopiù inconsci) in cui ciascuno è immerso (attraversamenti transpersonali). Con il termine “transpersonale” si fa riferimento: • Ai codici collettivi che plasmano la mente di ciascuno di noi, ovvero la lingua, le credenze, l’adesione al senso comune… • Ai codici inconsci più intimi che attraversano le storie familiari (codici familiari). Tutto questo plasma la personalità della persona, le modalità di sentire, i suoi comportamenti, i suoi affetti, le espressioni, il suo aspetto, eccetera. Transpersonale come indica tutto ciò che di collettivo è sedimentato, presente nel singolo e da lui messo a confronto con l’esperienza di vita e rielaborato. Il “transpersonale” presenta, quindi, due caratteristiche essenziali: • Preesistenza: in quanto struttura psichica collettiva, prescinde dai singoli individui, esiste indipendentemente dall’uno; • Consustanzialità: l’uno (l’individuo) incarna e reinterpreta i dati antropologici e transgenerazionali, riattualizzando continuamente la struttura psichica collettiva. 17 L’obiettivo della terapia è quello di cogliere, a partire dai vissuti esperiti nel momento presente, le categorie a priori o esistenziali che stanno alla base dei vissuti stessi: essi informano sul modo di essere nel mondo con gli altri. L’intento della fenomenologia è quello di cogliere e descrivere gli eventi psicopatologici nel loro darsi immediato, nell’incessante divenire dei vissuti. L’obiettivo generale è quello di ripristinare il progetto originario di vita che la persona ha smarrito, il suo senso, la possibilità dell’essere con gli altri. Con questo approccio si tenta di trovare l’eidos (molto più di ciò che abbiamo davanti gli occhi) nel pathos (esperienza affettiva). 3. Le tematiche prevalenti nel DP antisociale. Gli esistenziali o categorie a priori che principalmente si possono riscontrare nel paziente antisociale sono: • L’altro: da un lato viene percepito come persecutorio, cattivo; dall’altro lato è percepito come un oggetto che deve essere sedotto, manipolato e dominato. • Il modo di relazionarsi con l’altro si organizzano attorno due modalità fondamentali: a. “Sintonia affabile”: sfrutta al massimo le sue capacità empatiche per stabilire una sintonia immediata e apparentemente autentica con l’altro. b. “Insaponamento”: è la conseguenza immediata della falsa empatia; consiste nella capacità di strumentalizzare l’altro per raggiungere i propri fini, trattandolo come un oggetto, che si fa scorrere e scivolare verso lo scopo prefissato. Riuscire, nell’incontro con l’altro, a identificare immediatamente una sua parte debole, in modo da afferrarlo in quel punto e da manipolarlo. • Tempo e spazio: Il tempo è discontinuo, caratterizzato da una successione di momenti presenti (presente assoluto o tempo insulare). Questo impedisce lo strutturarsi di una memoria emotiva (passato vissuto) e di un progetto di vita (futuro vissuto). Lo spazio è unicentrico, in quanto l’altro non ha uno spazio proprio. • Umore: il paziente antisociale presenta tendenzialmente un umore disforico, ovvero una condizione che oscilla tra stati di eccitazione e di tristezza (“disperata vitalità”). • Senso di vuoto: un vuoto divoratore, da cui fuggire e colmare con qualunque cosa, come le sostanze o l’alcol (come spesso accade). 20 4. Il trattamento del DP antisociale nella prospettiva fenomenologica. Il lavoro di gruppo con i pazienti antisociali è particolarmente difficoltoso dal momento che: • Nel gruppo l’attenzione del terapeuta è rivolta a tutti i partecipanti, non soltanto verso un paziente; • Le dinamiche da controllare sono più complesse rispetto al rapporto a due; • La compilance dipende dalla capacità di tollerare la frustrazione da parte del paziente; • Il paziente non può mettere in atto le modalità manipolative con cui solitamente si relaziona con gli altri; Gli obiettivi principali della terapia sono: • Rispristinare lo status dell’altro come persona e non un oggetto, un fine non un mezzo della relazione; • Rimettere il paziente nella condizione di essere nel mondo in maniera progettuale (progetto di vita). • Rendere esplicito l’implicito, ovvero portare alla luce tutte quelle zone mute che condizionano negativamente la vita e le relazioni del paziente. Affinché questo accada, è necessario: • Ripristinare il senso del tempo (storico e progettuale) e dello spazio (spazio della relazione, della reciprocità). • Ridurre il grave deficit empatico. Questo deficit è direttamente proporzionale al grado di sintonia affabile: essendo incapace di empatizzare con l’altro, mostra all’altro di comprenderlo, ma solo per strumentalizzarlo. Comprende i punti deboli e la sofferenza, ma non entra in risonanza con essa. Quindi un obiettivo fondamentale della terapia è attivare proprio questa sfera di risonanza verso la sofferenza dell’altro, incrementando allo stesso tempo la propria capacità di contenere gli stati affettivi negativi, senza esserne devastato. 5. Caratteristiche generali della Terapia di gruppo. Il gruppo è composto al massimo da 15 partecipanti in tutto, tra cui vi sono il conduttore, gli utenti e almeno 4 operatori. Le sedute hanno la durata di 1 ora e mezza ognuna. La disposizione dei partecipanti è casuale. Al centro si lasciano due sedie vuote, in cui si siederanno due partecipanti durante la seduta. La terapia gruppale è strutturata in 3 fasi: 1. Giro iniziale Dopo un prolungato silenzio iniziale, che consente di lasciare liberi i pensieri e i sentimenti, di concentrarsi sul qui ed ora, il conduttore verbalizza con parole semplici il proprio stato d’animo. Questo passo destabilizza l’atmosfera del 21 gruppo: alcuni partecipanti si lasciano andare, altri manifestano un aumento dei sentimenti negativi. Il conduttore invita, poi, uno per uno ad esprimersi. 2. Incontri al centro Quando il primo giro è terminato, il conduttore prende un attimo di pausa e invita due persone che se la sentono a incontrarsi sulle sedie che sono state lasciate al centro. Coloro che si trovano al centro devono dirsi reciprocamente cosa stanno provando; possono anche tenersi le mani, avendo quindi un contatto fisico. 3. Giro finale Richiama quello iniziale, anche se l’atmosfera è molto meno tesa. Gli operatori presenti sono tenuti a verbalizzare le proprie emozioni come gli altri partecipanti. La necessità degli operatori è data dal fatto che la loro emotività positiva possa equilibrare le cariche negative. Il trattamento di gruppo prevede almeno due anni di lavoro, a una seduta a settimana. È utile affiancarlo a una terapia individuale, possibilmente con un terapeuta che partecipi al lavoro di gruppo e non estraneo. Il percorso individuale ha l’obiettivo di aiutare il paziente a gestire le esperienze cariche vissute nel gruppo. Nel trattamento individuale ha maggiore spazio la narrazione della storia di vita del paziente, che vengono messe poi in relazione con la situazione affettiva sperimentata nel gruppo. Alla terapia individuale e di gruppo può essere affiancata la terapia farmacologica per il trattamento di diversi sintomi. Possono essere necessari stabilizzatori dell’umore (per la regolazione dell’umore e dell’affettività) e antipsicotici atipici (per i sintomi psicotici). 6. Tematiche di fine percorso Raggiungere l’autonomia e la separazione dall’altro, il rispetto dell’altro, la creazione di progetti di vita possibili, la gestione dell’aggressività e dell’ambivalenza che caratterizza tutti i rapporti umani. Comprendere il male capitolo settimo: l’approccio basato sulla mentalizzazione 1. Introduzione. Il Trattamento Basato Sulla Mentalizzazione (MBT), introdotto da Bateman e Fonagy, si è dimostrato utile nel trattamento di pazienti con una diagnosi di DP antisociale, in particolare di un sottogruppo che viene considerato affetto da un disturbo dell’attaccamento, nel quale lo sviluppo della capacità di mentalizzazione risulta compromesso. L’ipotesi alla base dell’approccio è che l’incremento in questi pazienti di questa capacità possa contribuire a far diminuire la loro tendenza ad agire con violenza. 2. Perché occuparsi del DP antisociale. • È una condizione comune, con prevalenza negli uomini; • È associato ad altri disturbi mentali, d personalità e abuso di sostanze, oltre ad altre patologie tra cui depressione e ansia; 22 7. La mente antisociale. Il soggetto antisociale presenta un’organizzazione di personalità pre-sociale (considerata normale in un bambino di 2-3 anni) in cui predominano: • meccanismi di difesa primitivi, quali scissione, diniego, onnipotenza, proiezione, identificazione proiettiva; • una regolazione affettiva inadeguata: gli affetti sono intensi e si dissipano rapidamente; • gli affetti prevalenti sono l’invidia, la vergogna, la noia, la rabbia e l’eccitazione, con un evidente assenza di emozioni più mature come la colpa, la paura, la depressione, il rimorso, la compassione. • sono dipendenti dagli altri, verso cui però proiettano aspetti del sé alieni. Quando gli altri si rifiutano di essere contenitori di queste proiezioni maligne, il ritorno del sé alieno mina la fragile stabilità mentale, conducendo a una regressione a modalità di pensiero primitive e a sentimenti insopportabili di vergogna e umiliazione, a cui reagiranno con violenza. Gli autori hanno descritto alcune modalità primitive di pensiero, che sono normali nelle fasi dello sviluppo della prima infanzia, ma persistono e predominano in soggetti con dei DP tra cui quello antisociale. Esse sono: • “Equivalenza psichica” o pensiero concreto, in cui la realtà interna ed esterna non sono separate, ma coincidono; non vi è tolleranza per punti di vista diversi e i pensieri non possono essere simbolizzati; • “Modalità del far finta” i pensieri e i sentimenti sono dissociati dalla realtà, fino ad essere insensati e senza significato; • “Pensiero teleologico” le motivazioni degli altri sono interpretate in base alla presenza di azioni fisiche osservabili. 8. Mentalizzazione e violenza. La violenza è intesa come una reazione difensiva a sentimenti di vergogna e umiliazione. Viene effettuata una distinzione tra: • Violenza reattiva (detta anche affettiva o auto-conservativa) che ha come obiettivo principale la difesa da affetti negativi; • Violenza strumentale (o sadomasochistica), più fredda, calcolata, pianificata, psicopatica. Le persone con DP antisociale sono molto sensibili alle minacce alla loro autostima o al “rispetto”, in quanto esse provocano senso di vergogna e umiliazione; questi sentimenti vengono esperiti come se mettessero a rischio la loro sopravvivenza fisica. Questo genera un 25 collasso nel loro funzionamento mentale dato che tali sentimenti non possono essere gestiti. Essi vengono espulsi attraverso l’azione violenta (modalità teleologica). 9. Trattamento basato sulla mentalizzazione (MBT). È un approccio sviluppato inizialmente per il trattamento del DBP e si è dimostrato efficace nel ridurre l’autolesionismo, i ricoveri ospedalieri, l’uso di farmaci, la sofferenza, i problemi interpersonali e sociali. Dal momento che il MBT è basato sulla teoria dell’attaccamento ed esistono sempre più evidenze che vedono un sottogruppo di pazienti antisociali come affetti da un disturbo dell’attaccamento, si ritiene che questo tipo di trattamento sia efficace per il DP antisociale. Dai dati delle ricerche, infatti, risulta che l’MBT migliori il funzionamento interpersonale e la capacità di pensare anziché agire, riduca la frequenza dei comportamenti violenti, migliori i sintomi psichiatrici e il funzionamento sociale in generale. I pazienti ammessi a questa tipologia di trattamento sono soggetti con: • Diagnosi di DP antisociale; • Storia di violenza, precedenti condanne per atti violenti, omicidio o reati minori, come discussioni e liti. • Provengono da contesti di deprivazione • Difficoltà interpersonali con i loro partner e familiari • Sintomi di depressione e ansia. Il programma prevede degli incontri di gruppo ed è strutturato in diverse fasi: Fase iniziale. Si inizia con la valutazione del paziente attraverso diversi colloqui, somministrazione di test diagnostici. Fase intermedia. Prevede degli incontri settimanali per 18 mesi. Il gruppo è condotto da due psicoterapeuti. Lungo il percorso ai pazienti sono dedicate delle sedute individuali mensili con uno dei due terapeuti. Le sedute vengono videoregistrate per scopi di supervisione. Un aspetto fondamentale del trattamento è la gestione della crisi, per cui gli psicoterapeuti sono a disposizione per incontrare i pazienti tra una seduta e l’altra se stanno vivendo un particolare momento di crisi. La presa in carico di questi pazienti è difficoltosa per diverse ragioni: • Difficoltà nel coinvolgerlo nel trattamento; • Negazione della malattia, in quanto associata al senso di stigmatizzazione, di vergogna e vulnerabilità; • Ansia nell’unirsi a un nuovo gruppo; • Conflittualità e contrasti con gli altri membri del gruppo. Per tutti questi motivi viene adottato non un gruppo chiuso, ma un gruppo aperto, in cui possono essere accolti nuovi membri, i quali hanno modo di vedere i miglioramenti degli altri pazienti. 26 I principi di trattamento descritti da Bateman e Fonagy per l’MBT sono: 1. Prestare attenzione alle tecniche che favoriscono lo sviluppo della mentalizzazione; 2. Evitare quelle interazioni che indeboliscono questa capacità. In questi casi, il terapeuta deve assumere un ruolo attivo nella psicoterapia, intervenendo quando i pazienti scivolano in una modalità di pensiero non- mentalizzante, incoraggiando a trattare determinate tematiche durante la terapia, spingendoli ad esplorare cosa accade nella loro mente, i pensieri e i sentimenti che hanno preceduto l’atto violento. 3. Stabilire regole e confini da rispettare all’interno del gruppo (anche se la personalità antisociale reagirà inevitabilmente contro qualsiasi regola che percepisce come imposta). Lo scopo di queste regole è salvaguardare il benessere del gruppo stesso. Esempi di regole sono: • Niente violenza all’interno del gruppo; • I partecipanti non possono incontrarsi al di fuori delle sedute, per evitare che si formino sottogruppi e alleanze, che si creino disaccordi che sfociano in violenza che non può essere controllata dai conduttori del gruppo. 4. Gestire i sentimenti di rabbia che si manifestano durante le sedute. Una tecnica che viene utilizzata è il “ferma e riavvolgi”: il focus dell’attenzione viene allontanato dalla rabbia del paziente finché il suo stato di attivazione si riduce, incoraggiando gli altri membri del gruppo ad esaminare l’accaduto e cosa lo ha scatenato. Spesso la motivazione riscontrata dietro la rabbia sono il senso di vergogna e le minacce percepite alla propria autostima. 5. Gestire i rischi e le preoccupazioni legati alla violenza di questi pazienti. Durante il corso del programma vengono sottoposti a una valutazione per la stima del rischio. Gli strumenti utilizzati sono: HCR-20 (Historical Clinical Risk-20) e la PCL-R di R. Hare. I pazienti con alti livelli di psicopatia sono associati a un maggior rischio di violenza, per cui tendono ad essere esclusi dal trattamento. Altro strumento utilizzato è l’OAS (Overt Aggression Scale): è un breve questionario self-report che i pazienti compilano due volte al mese alla fine della seduta di gruppo e che pone domande riguardo ai loro pensieri e ai comportamenti violenti verso gli altri e sé stessi nell’arco di due settimane. Serve anche a valutare il rischio suicidario. Dai risultati emerge che la terapia porta a una diminuzione dei comportamenti violenti, mentre i sentimenti di rabbia rimangono più stabili e quindi più difficili da trattare. Comprendere il male 27