Scarica CONCORSO DOCENTI 2024 PARTE GENERALE PRIMA PROVA SCRITTA EDISES e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png CONCORSO DOCENTI STRAORDINARIO TER 2023/2024 ____________________ Prima prova scritta - Parte generale allegato A - Riassunto manuale Edises: Tommaso Png Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Prefazione: Il riassunto è stato redatto utilizzando esclusivamente il manuale Edises “Manuale per la prova scritta del concorso scuola” (ultima edizione). Il documento è suddiviso in 7 argomenti di concorso, i quali sono contenuti nell’allegato-A, Parte Generale, in riferimento all’articolo 6 del bando di concorso (prova scritta per posti comuni e di sostegno), riportato nella pagina qui di seguito. Tali argomenti saranno oggetto della prima prova scritta di tutte le classi di concorso, della scuola secondaria di primo e secondo grado, su posto comune o di sostegno (come si evince dallo stesso allegato A, anch’esso riportato nelle pagine successive). Questo lavoro deve essere considerato parte integrante allo studio (in quanto rimodulazione didattica adattata al bando di concorso) e non vuole in nessun modo sostituirsi all’utilizzo dei manuali. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png istruzione, ai sensi dell’articolo 1, comma 622, della L. 27 dicembre 2006, n. 296”; o D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89, “Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”; o D.M. 16 novembre 2012, n. 254, “Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89” e “Nuovi scenari”, 2018; D.lgs. 13 aprile 2017, n. 61, “Revisione dei percorsi dell'istruzione professionale nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera d), della legge 13 luglio 2015, n. 107” e le relative Linee Guida; o D.P.R. 15 marzo 2010, n. 88, “Regolamento recante norme per il riordino degli istituti tecnici a norma dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133” e le relative Linee Guida; o D.P.R.15 marzo 2010, n. 89, “Regolamento recante revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei a norma dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133” e le relative Indicazioni Nazionali; o D.P.R. 5 marzo 2013, n. 52 “Regolamento di organizzazione dei percorsi della sezione ad indirizzo sportivo del sistema dei licei, a norma dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89”; o D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122, “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169”; o D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62, “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107”; o D.M. 3 ottobre 2017, n. 741, “Esami di Stato conclusivi del primo ciclo di istruzione”; o D.M. 3 ottobre 2017, n. 742, “Certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e del primo ciclo di istruzione”; o D.M. 8 febbraio 2021, n. 5, “Esami integrativi ed esami di idoneità nei percorsi del sistema nazionale di istruzione”; o o Legge 20 agosto 2019, n. 92, “Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica”; o D.M. 22 giugno 2020, n. 35, Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica; o D.M. 22 dicembre 2022, n. 328, “Linee guida per l’orientamento” e. governance delle istituzioni scolastiche (D.lgs. n. 297 del 1994, Titolo I, capo I); f. stato giuridico del docente, contratto di lavoro, disciplina del periodo di formazione e di prova (CCNL vigente; D.M. 16 agosto 2022, n. 226, relativo all’anno di formazione e prova per docenti neoassunti); g. compiti e finalità di INVALSI e INDIRE; h. sistema nazionale di valutazione (D.P.R. 28 marzo 2013, n. 80, “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”); i. normativa generale per l'inclusione degli alunni con disabilità, con disturbi specifici di apprendimento (DSA) e con altri bisogni educativi speciali (BES): o Legge 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png persone handicappate” (articoli di interesse); o D.lgs. 13 aprile 2017, n. 66, “Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità” e D.lgs. 7 agosto 2019, n. 96, “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66”; o Decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182, “Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità”; o Legge 8 ottobre 2010, n. 170, “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”; o “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento” allegate al D.M. 12 luglio 2011, n. 5669; o Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica (D.M. 27 dicembre 2012); o Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (nota MIUR prot. n. 4233 del 19 febbraio 2014), Orientamenti interculturali idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori (nota Ministero dell’istruzione marzo 2022); o Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio delle alunne e degli alunni che sono stati adottati (nota prot. n. 5 del 28 marzo 2023); o Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di Bullismo e Cyberbullismo, prot. Gab. n. 18 del 13 gennaio 2021; 7. conoscenza dei seguenti documenti in materia educativa: o Organizzazione delle Nazioni Unite - Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015 Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile; o Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea, relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 22 maggio 2018; o Risoluzione del Consiglio su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione verso uno spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021-2030). Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png 1) SICURO DOMINIO DEI CONTENUTI DELLE DISCIPLINE DI INSEGNAMENTO E DEI LORO FONDAMENTI EPISTEMOLOGICI, COME INDIVIDUATI DALLE INDICAZIONI NAZIONALI E DALLE LINEE GUIDA VIGENTI, AL FINE DI REALIZZARE UN’EFFICACE MEDIAZIONE METODOLOGICO- DIDATTICA E UNA SOLIDA PROGETTAZIONE CURRICOLARE E INTERDISCIPLINARE E DI ADOTTARE OPPORTUNI STRUMENTI DI OSSERVAZIONE, VERIFICA E VALUTAZIONE DEGLI ALUNNI, NONCHÉ IDONEE STRATEGIE PER IL MIGLIORAMENTO CONTINUO DEI PERCORSI MESSI IN ATTO; Fondamenti epistemologici e metodologia didattica. L’epistemologia può essere identificata come quella branca della teoria generale della conoscenza che si occupa di esaminare costantemente la struttura della disciplina, le sue teorie, i suoi fondamenti concettuali e lo specifico modo di leggere la realtà da quel punto di vista. L’attenzione al fondamento epistemologico di ogni disciplina è la doverosa cura al sapere scientifico, inteso nella sua genesi, nelle sue linee di sviluppo coerente, nella sua tensione verso l’oggettività. Il docente in relazione alla propria disciplina deve sapere come la conoscenza scientifica si è storicamente costruita e come progredisce, visto che la sua evoluzione è rapida e continua. In tal modo, la disciplina appare come uno strumento di indagine scientificamente fondato, perché comporta una continua ricerca da parte del docente, al fine di favorire la costruzione di un sapere critico e intelligente, organizzato secondo criteri di oggettività e di rigore. L’uso strumentale che il docente deve fare è quello di ricercare e cogliere le potenzialità formative desunte dallo statuto epistemologico delle proprie discipline ed elaborarlo in processi concreti d’insegnamento. Tutto ciò esige da parte del docente la conoscenza delle teorie dell’apprendimento, delle matrici cognitive dell’alunno, degli stili e processi di apprendimento, della motivazione ad apprendere e delle loro caratteristiche soggettive e oggettive, tutti elementi utili ai percorsi formativi da avviare. A tal fine, occorre che il docente sia consapevole del fatto che insegnare la sua disciplina consisterà nel “far padroneggiare agli allievi gli scopi della disciplina, far loro acquisire i valori necessari alla realizzazione di quelli scopi e al buon esercizio degli operatori mentali, e far acquisire le attitudini e i comportamenti corrispondenti”. Tuttavia, nella scuola di oggi, con il rinnovamento dei sistemi educativi, non più basati sulla prospettiva dei programmi e quindi dei contenuti, ma sull’acquisizione delle competenze, la didattica basata solo sull’epistemologia delle discipline non è più sufficiente, evidenziando così la relazione tra saperi formali e mondo reale. La didattica del pensiero creativo e l’operatività dello studente. Jerome S. Bruner, psicologo del pensiero, elaborando il suo primo modello didattico dello strutturalismo, aveva evidenziato che le discipline si insegnano per portare il soggetto a pensare e a partecipare al processo di creazione del sapere. Nell’educare a pensare, il docente insegna ad apprendere, cioè ad avere la consapevolezza di ciò che fa la propria mente mentre lavora, sviluppando nello studente quella dimensione dell’apprendimento chiamata metacognizione, che lo pone al di sopra della cognizione, lo porta ad essere cosciente di ciò che accade a livello dei propri processi mentali e a riflettere sulle proprie modalità di apprendimento, trasformandosi da semplice recettore passivo a protagonista attivo del processo di apprendimento. L’uso e la produzione di mappe concettuali, per esempio, rappresenta un valido strumento didattico con cui rendere visibile la rete di informazioni che definisce la struttura della conoscenza dello studente. Il docente, pertanto, è chiamato a soffermarsi sulla funzione della mente del soggetto-alunno, a comprendere che l’apprendimento sarà avvenuto quando ci sarà una modificazione all’interno delle sue strutture mentali. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Role playing. Il role playing, il cui significato è assunzione di ruolo, rappresenta un metodo pedagogico attivo in cui gli studenti sono chiamati ad immedesimarsi in ruoli diversi e ad ipotizzare delle soluzioni. Attraverso tale metodologia lo studente svolge, in un clima collaborativo, rilassato e accogliente delle attività o dei giochi volta a fare emergere non solo il suo ruolo e le norma comportamentali, ma anche la sua creatività. Cooperative learning. Un metodo particolare di lavoro di gruppo è il cooperative learning o apprendimento collaborativo attraverso cui i componenti del gruppo svolgono contemporaneamente uno stesso compito. Questo metodo di apprendimento in gruppo è caratterizzato da una forte interdipendenza positiva tra gli alunni, favorita da un clima di sereno scambio di comprensioni, che permettono di conseguire un obiettivo comune di valenza superiore alla sommatoria dei risultati che si possono ottenere singolarmente. Il profilo Culturale, Educativo e Professionale dei licei. “I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte personali” (art. 2 comma 2 del regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei…”). Per raggiungere questi risultati occorre il concorso e la piena valorizzazione di tutti gli aspetti del lavoro scolastico: lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica; la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari; l’esercizio di lettura, analisi, traduzione di testi letterari, filosofici, storici, scientifici, saggistici e di interpretazione di opere d’arte; l’uso costante del laboratorio per l’insegnamento delle discipline scientifiche; la pratica dell’argomentazione e del confronto; la cura di una modalità espositiva scritta ed orale corretta, pertinente, efficace e personale; l‘uso degli strumenti multimediali a supporto dello studio e della ricerca. Si tratta di un elenco orientativo, volto a fissare alcuni punti fondamentali e imprescindibili che solo la pratica didattica è in grado di integrare e sviluppare. La progettazione delle istituzioni scolastiche, attraverso il confronto tra le componenti della comunità educante, il territorio, le reti formali e informali, che trova il suo naturale sbocco nel Piano dell’offerta formativa; la libertà dell’insegnante e la sua capacità di adottare metodologie adeguate alle classi e ai singoli studenti sono decisive ai fini del successo formativo. Il sistema dei licei consente allo studente di raggiungere risultati di apprendimento in parte comuni, in parte specifici dei distinti percorsi. La cultura liceale consente di approfondire e sviluppare conoscenze e abilità, maturare competenze e acquisire strumenti nelle aree metodologica; logico argomentativa; linguistica e comunicativa; storico-umanistica; scientifica, matematica e tecnologica. Le finalità e la struttura delle Linee Guida degli istituti Tecnici e degli Istituti Professionali. Il passaggio al nuovo ordinamento degli Istituti Tecnici e degli Istituti Professionali è avvenuto in prima istanza con le Linee Guida relative al primo biennio. Successivamente, sono state emanate le Linee Guida del secondo biennio e quinto anno pubblicate con la Direttiva Ministeriale n.4 del 16 gennaio 2012 per i percorsi degli Istituti Tecnici e con la Direttiva Ministeriale n.5 del 16 gennaio 2012 per quelli degli Istituti Professionali. Queste ultime hanno la finalità di focalizzare l’attenzione sugli Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png aspetti più innovativi del percorso curricolare, soprattutto nell’ottica della funzione di orientamento alle successive scelte che lo studente sarà chiamato a fare. Le Linee Guida del secondo biennio e quinto anno, in continuità con quelle relative al primo biennio, non dettano programmi prescrittivi, ma rappresentano un sostegno all’autonomia delle istituzioni scolastiche, sia per un’adeguata definizione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) sia per un’efficace organizzazione del curriculo. La didattica per competenze nell’insegnamento delle discipline negli Istituti Tecnici e negli Istituti Professionali. Il nuovo ordinamento degli Istituti Tecnici e degli Istituti Professionali è impostato anch’esso sulla didattica delle competenze. Questo diverso modo di organizzare tutto l’insegnamento comporta per il docente il compito di perseguire la finalità del suo insegnamento e dell’apprendimento dello studente. Per una formazione efficace di quest’ultimo è importante, infatti, che il docente lavori per competenze, cioè, favorisca nello studente la consapevolezza del proprio talento, di un rapporto positivo con la realtà, alimentato dal risveglio della curiosità intellettuale e dalla volontà di apprendere, che lo renda capace di decifrare il reale, riconoscendo le criticità e le opportunità che si presentano e facendogli acquisire autonomia di giudizio e responsabilità del suo operare. La competenza diventa così un modo di essere della persona che valorizza tutte le sue peculiari potenzialità e che coincide con il successo formativo, destinazione di scopo che la scuola si pone per ogni soggetto in età evolutiva che le venga affidato. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png 2) CONOSCENZA DEI FONDAMENTI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO, DELLA PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO SCOLASTICO E DELLA PSICOLOGIA DELL'EDUCAZIONE, CONOSCENZE PEDAGOGICO-DIDATTICHE E COMPETENZE SOCIALI FINALIZZATE ALL’ATTIVAZIONE DI UNA POSITIVA RELAZIONE EDUCATIVA, IN STRETTO COORDINAMENTO CON GLI ALTRI DOCENTI CHE OPERANO NELLA CLASSE, NEL PLESSO SCOLASTICO E CON L’INTERA COMUNITÀ PROFESSIONALE DELLA SCUOLA, ANCHE REALIZZANDO ESPERIENZE DI CONTINUITÀ ORIZZONTALE E VERTICALE. IN PARTICOLARE, AI CANDIDATI SI RICHIEDE LA CONOSCENZA, IN LINEA GENERALE, DELLE PRINCIPALI TEORIE SULLO SVILUPPO IN ETÀ EVOLUTIVA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ETÀ PREADOLESCENZIALE E ADOLESCENZIALE, E SULL’APPRENDIMENTO QUALI, A TITOLO ESEMPLIFICATIVO E NON ESAUSTIVO, COMPORTAMENTISMO, COGNITIVISMO, STRUTTURALISMO, COSTRUTTIVISMO, SOCIO-COSTRUTTIVISMO, PSICOLOGIA DELLA FORMA O GESTALT, TEORIE DELLA PERSONALITÀ, TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE, AI FINI DI UNA SCELTA E DI UN IMPIEGO CONSAPEVOLI IN AMBITO DIDATTICO; Le teorie dell’apprendimento e la psicologia dell’educazione. Il comportamentismo. Il comportamentismo è una teoria dell’apprendimento che si è sviluppata nell’ambito della psicologia principalmente in America; viene anche definito behaviourismo, dal termine inglese behaviour, che significa appunto comportamento. Il modello comportamentista parte dall’idea che l’apprendimento avviene mediante gli stimoli che pervengono al soggetto dall’ambiente esterno. Raggiunto dagli stimoli, questi fornisce delle risposte, ossia determinati comportamenti. Ciò che avviene nella mente e che determina la risposta a un dato stimolo non è oggetto di studio. In generale, lo stimolo è prodotto dall’ambiente che circonda il soggetto; per tale motivo la visione dei comportamentisti è quella di un ambiente che determina le risposte di un soggetto che si pone in atteggiamento relativamente passivo. Il punto centrale dell’osservazione dei comportamentisti è cercare di associare in un individuo una risposta ad un determinato stimolo, in maniera stabile: la risposta del soggetto allo stimolo è osservabile e può essere studiata scientificamente. Il cognitivismo. Il cognitivismo in parte si sviluppa parallelamente agli studi comportamentisti, in parte rappresenta un punto di approdo di questi ultimi. Nei prossimi paragrafi vengono illustrati diversi indirizzi del cognitivismo, partendo dalla Gestalt, fino ad approdare alle teorie dello HIP e alle teorie metacognitive. La psicologia della Gestalt. Il termine tedesco Gestalt, che vuol dire forma o configurazione, si riferisce ad una corrente psicologica, la psicologia della forma, che è nata in Germania all’inizio del XX secolo e che ha affrontato diverse problematiche, assumendo posizioni critiche nei confronti dell’empirismo e del comportamentismo. Dall’empirismo la Gestalt mutua soprattutto l’idea che la conoscenza avvenga tramite l’esperienza; tuttavia, questa corrente si pone in maniera critica rispetto all’empirismo, in quanto afferma che la rappresentazione mentale generata dalle sensazioni va vista nella sua configurazione totale (da cui il termine Gestalt), in modo unitario, e non va ridotta analiticamente ad una serie di associazioni elementari. Nei confronti del comportamentismo viene avanzata una critica sulla modalità di apprendimento, che non è vista come una successione di tentativi, ma piuttosto come un fenomeno intuitivo e globale. Altro elemento distintivo, rispetto al comportamentismo, è la convinzione che l’apprendimento sia basato su processi cognitivi e che possa essere compreso andando oltre lo studio del semplice comportamento. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png che, allo stesso tempo, è stato determinato dall’ambiente. Questo scambio continuo tra soggetto e ambiente esterno causa una variazione delle strutture del pensiero. Pertanto, se l’organizzazione tende a determinare la creazione delle strutture, l’adattamento, invece, comporta una modifica delle strutture stesse. Lo sviluppo come equilibrio. Piaget individua gli stadi evolutivi dell’uomo, caratterizzati da successive condizioni di equilibrio e da particolari strutture mentali, che sono il frutto dell’adattamento intelligente dell’individuo all’ambiente. La crescita dell’organismo, da un punto di vista strutturale e biologico, determina progressivamente nuovi livelli di maturità, i quali, a loro volta, danno origine a nuovi apprendimenti. In tal modo, si favorisce la nascita di strutture mentali più evolute che portano a nuovi equilibri e quindi ad uno stadio più evoluto. Ciascuno stadio è propedeutico al successivo: le strutture che lo caratterizzano preparano la strada alla determinazione delle strutture di quello seguente. Nel determinarsi, lo stadio successivo ingloba il precedente. La sequenza degli stadi è fissa: ciascuno di essi deve verificarsi, è necessario e non può essere scavalcato. Questa successione di stadi ha la caratteristica di essere universale, ossia interessa qualsiasi uomo, a prescindere dalla sua posizione geografica o sociale. Piaget individua quattro stadi dello sviluppo, ciascuno dei quali può dividersi in più sotto-stadi (o fasi): 1) lo stadio senso-motorio, che va da 0 a 2 anni: il primo sotto-stadio copre il primo mese di vita, periodo in cui le strutture cognitive sono semplici schemi che si possono definire riflessi; esercitando tali riflessi, i movimenti del neonato diventano sempre più precisi. Il secondo sotto-stadio va da uno a quattro mesi. Il neonato inizia a connettere tra loro i riflessi, effettuando le prime coordinazioni di schemi, che vengono chiamate reazioni circolari primarie. Tali movimenti coordinati sono attuati le prime volte per caso: di seguito, vengono ripetuti (da cui il termine circolare) per avvertirne nuovamente gli effetti piacevoli o funzionali. Non si tratta più di riflessi innati, ma di una forma di apprendimento. In queste due prime fasi il bambino è ancora caratterizzato da quello che Piaget chiama egocentrismo radicale, cioè non distingue ancora tra sé stesso e l’ambiente circostante. Il bambino non è cosciente del fatto che il braccio che egli muove sia il suo: questo movimento si confonde con quelli dell’ambiente esterno. L’egocentrismo radicale si conclude con la fine di questo stadio, quando il bambino prende coscienza della differenza che esiste tra sé e il mondo esterno. Il terzo sotto-stadio va dai 4 agli 8 mesi e si caratterizza per la comparsa delle reazioni circolari secondarie; la novità è che questi schemi sopraggiunti determinano un effetto sull’ambiente (da cui il termine secondario). Il quarto sotto-stadio va dagli 8 ai 12 mesi ed è caratterizzato dal coordinamento delle reazioni circolari secondarie. In questa fase il coordinamento delle reazioni circolari secondarie è caratterizzato in pieno dall’intenzionalità. Il quinto sotto-stadio va dai 12 ai 18 mesi ed è caratterizzato dalle reazioni circolari terziarie. Il bambino modifica gradualmente le azioni che ha imparato a svolgere per osservare l’effetto generato dalle modifiche. Il sesto sotto-stadio va dai 18 ai 24 mesi. In questo periodo emerge la funzione simbolica. Essa consente di realizzare rappresentazioni mentali, che sono immagini di oggetti o di azioni che il bambino crea mentalmente. Ciò implica l’interiorizzazione delle azioni, espressione con cui Piaget intende la capacità del bambino di eseguire un’azione solo mentalmente (la rappresentazione mentale). 2) lo stadio preoperatorio, che va dai 2 ai 7 anni: questo stadio si caratterizza principalmente per compiti o operazioni che il bambino non riesce ancora a svolgere con successo. Il primo sotto-stadio è costituito dalla fase preconcettuale o del pensiero simbolico e va dai 2 ai 4 anni. In essa si afferma definitivamente la funzione simbolica che consente uno sviluppo notevole del linguaggio. Il bambino compie giochi di funzione sempre più complessi o riproduce azioni che ha visto fare, in modo via via più completo. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Il secondo sotto-stadio è costituito dalla fase del pensiero intuitivo e va dai 4 ai 7 anni. In questa fase il bambino usa un ragionamento di tipo intuitivo che si sostituisce provvisoriamente alla maturazione di un pensiero logico che avverrà solo negli stadi successivi. 3) lo stadio delle operazioni concrete, che va dai 7 ai 12 anni: esso può essere visto come uno stadio nel quale le criticità dello stadio preoperatorio vengono superate. Il ragionamento logico prende piede su quello intuitivo, di conseguenza il bambino riesce a compiere delle operazioni che Piaget definisce logiche. Contemporaneamente vi è anche la progressiva scomparsa dell’egocentrismo: il bambino inizia a osservare i fenomeni anche dalla prospettiva degli altri. 4) lo stadio delle operazioni formali, che va dai 12 ai 16 anni: in questo periodo, l’adolescente riesce ad applicare operazioni di classificazione e di seriazione anche a cose non visibili che non sono di fronte a lui. Lev Vygotskij. Nell’ambito del cognitivismo, lo psicologo bielorusso Lev Vygostskij è considerato il massimo esponente della scuola storico-culturale, secondo quale lo sviluppo delle facoltà psichiche non è solo influenzato da fattori biologici ma anche da fattori storici, sociali e culturali. Vygostskij affronta la problematica del linguaggio come strumento di sviluppo cognitivo. Prima che si sviluppi il linguaggio, l’uso che i bambini fanno degli strumenti è simile a quello delle scimmie di Kohler. Di fronte ad un compito da svolgere o ad un problema da risolvere con uno strumento fanno tentativi confusi e caotici; con l’insorgere del linguaggio, ossia di uno strumento simbolico, questi atteggiamenti sembrano svanire gradualmente. Se in un esperimento un bambino è posto di fronte ad un compito da svolgere con l’uso di alcuni strumenti, si può notare che egli parla mentre usa gli strumenti. Il parlare del bambino sembra quasi una necessità, come se avesse un ruolo fondamentale nel permettergli di svolgere il compito. Il bambino descrive le azioni che esegue, ma il linguaggio e le stesse azioni sembrano intimamente correlate e dirette verso lo scopo. Con l’interruzione del parlare, si congelano anche le sue azioni e l’uso degli strumenti materiali. Maggiori sono la difficoltà del compito e l’entità degli ostacoli che esso prevede, maggiore sembra essere la tendenza del bambino a parlare di più. Un simile fenomeno era stato già osservato da Piaget, che aveva parlato di linguaggio egocentrico. Questo termine deriva dal fatto che, mentre svolge le sue azioni, il bambino parla in prima persona, ripete spesso il pronome “io” e sembra parlare a se stesso, anche se in presenza di altri bambini. Per Piaget, la spiegazione di questo atteggiamento è l’egocentrismo del bambino e l’incapacità di mettersi nei panni degli altri: tale forma di linguaggio, pertanto, non ha funzioni cognitive fondamentali. Vygotskij vuole osservare questo fenomeno sotto una prospettiva diversa, dando al linguaggio egocentrico un valore cognitivo rilevante: esso, infatti, è essenzialmente un ragionare ad alta voce. Sappiamo che, tipicamente, gli adulti svolgono dei ragionamenti mediante il loro linguaggio interiore, ossia mentalmente ragionano su dei problemi o su delle azioni che stanno svolgendo, senza parlare ad alta voce. Il linguaggio egocentrico del bambino è la manifestazione di tale linguaggio interiore che però si palesa con un linguaggio esteriore, ossia un vero e proprio linguaggio parlato, che gli altri possono ascoltare. Con la crescita del bambino, verso i 7-10 anni, il linguaggio interiore progressivamente si afferma; questo fenomeno conduce alla differenziazione nella forma espressiva tra i due tipi di linguaggio (egocentrico e sociale). Il linguaggio rivolto a se stesso di tipo egocentrico diventa essenzialmente un linguaggio interiore, con forme minime (sussurri o brevi frasi) di comunicazione esterna, mentre il linguaggio sociale, rivolto agli altri, resta di tipo esteriore. Negli adulti la forma di linguaggio egocentrico di tipo esteriore è quasi del tutto rimossa, tuttavia, anche in essi riaffiora occasionalmente, soprattutto in situazioni di difficoltà. Anche gli adulti ragionano, talvolta, ad alta voce. Per tale motivo, lo sviluppo dell’uomo non è influenzato solo da fattori biologici, ma anche da fattori di tipo storico-culturale e sociale. In pratica, il linguaggio rappresenta uno strumento culturale e sociale con il quale l’uomo cerca di potenziare le proprie funzioni psichiche naturali. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Jerome S. Bruner. Jerome Seymour Bruner è uno studioso americano che ha fornito contributi rilevanti nel campo della psicologia cognitiva con la sua teoria dello sviluppo cognitivo. Per formulare tale teoria, Bruner parte dai precedenti studi di Piaget e Vygotskij. Per Piaget lo sviluppo del bambino è di carattere naturale e biologico. Vi sono delle età biologiche che corrispondono, in modo piuttosto rigido, a stadi evolutivi caratterizzati dalla modalità di interagire con l’ambiente circostante e di apprendere. L’enfasi di Piaget è posta sul livello di sviluppo che il bambino ha raggiunto; inoltre, l’istruzione è un processo slegato dallo sviluppo, può intervenire in esso solo quando il bambino è maturo. Per Vygotskij lo sviluppo è determinato anche da fattori storici e socioculturali, che si sommano a quelli biologici. Per lo psicologo, lo sviluppo non è solo rappresentato dal livello cognitivo raggiunto dal bambino, ma anche da cosa il bambino è in grado di fare in modo assistito (zona di sviluppo prossimale). In tal senso, l’istruzione può indurre lo sviluppo del bambino, diventando un fattore rilevante; sono fondamentali, però, anche le caratteristiche sociali del bambino. Operando una sintesi delle due teorie, Bruner raccoglie i caratteri fondamentali di entrambe. Per Bruner lo sviluppo cognitivo può essere delineato mediante il concetto di rappresentazione, con cui egli intende una modalità di elaborazione delle informazioni che provengono al soggetto dall’ambiente circostante, un sistema di codifica. Esistono tre modalità di rappresentazione: esecutiva, iconica e simbolica. Le rappresentazioni esecutive sono le prime ad emergere e a svilupparsi nel primo anno di vita e sono simili agli schemi d’azione di Piaget (l’afferrare un oggetto e portarlo alla bocca, il vedere un oggetto e gattonare fino a raggiungerlo). Queste rappresentazioni permangono anche nei periodi successivi di vita, per codificare informazioni che vengono meglio descritte tramite sequenze di gesti. Questa conoscenza è difficile da esternare mediante delle parole, tuttavia viene rappresentata molto bene tramite una sequenza di azioni. Le rappresentazioni iconiche, che si originano nel secondo anno di vita, avvengono in forma di immagini. Un esempio è dato dall’immagine che ritrae le caratteristiche di una persona conosciuta oppure di un dipinto conosciuto. Non si tratta di immagini dettagliate identiche a quelle reali, ma che conservano alcune informazioni sulla configurazione dell’oggetto rappresentato. In sostanza, la rappresentazione iconica di un oggetto può essere richiamata anche in assenza dell’oggetto stesso, tuttavia richiama necessariamente la realtà dell’oggetto. Le rappresentazioni simboliche si originano più tardi delle altre: sono codifiche basate sul linguaggio e su altre basi astratte (simboli, segni). Rispetto alle precedenti, queste non necessitano di una somiglianza con la realtà che identificano: si pensi a simboli matematici o alle formule dei composti chimici. Esse introducono un livello di astrazione progressivo che affranca prima il bambino e poi l’adolescente dall’esperienza diretta. Le varie modalità di rappresentazione si aggiungono alle precedenti man mano che si rendono accessibili. Inoltre, le forme di rappresentazione possono combinarsi tra loro per dar vita a rappresentazioni più complesse e astratte. La continuità didattica. Il sistema educativo di istruzione e formazione è articolato nella scuola dell’infanzia e in due cicli: scuola primaria e scuola secondaria di primo grado costituiscono il primo ciclo, scuola secondaria di secondo grado il secondo. È evidente che i passaggi da un segmento di istruzione al successivo sono necessari, in quanto accompagnano il naturale sviluppo del discente; tuttavia, essi introducono dei fattori di discontinuità che possono essere fonte di confusione e smarrimento nell’alunno e, se vengono gestiti in modo inefficace, possono portare a un insuccesso scolastico. Tale discontinuità riguarda i seguenti aspetti: l’aspetto logistico, in quanto il discente frequenta una struttura scolastica diversa dalla precedente; pertanto, egli deve orientarsi in nuovi ambienti fisici. Alla “discontinuità spaziale” si aggiunge anche una possibile “discontinuità temporale”, in quanto l’orario delle lezioni può subire delle variazioni nel passaggio da una scuola ad un’altra; Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Una prima azione specifica è la realizzazione di progetti didattici che coinvolgano gli studenti degli anni-ponte tra i diversi ordini di scuola, ossia gli studenti di classi iniziali di un certo ordine e quelli delle classi finali dell’ordine precedente. In particolare, si possono prevedere visite degli alunni delle classi finali in quelle classi iniziali del segmento di istruzione successivo. Tali visite possono coincidere con attività di tutoraggio tra pari, nell’ambito delle quali l’alunno più anziano funge da tutor per il più giovane, oppure con esperienze di co-teaching, che coinvolgono docenti di segmenti di istruzione diversi. Una seconda azione specifica per garantire la continuità del curricolo è rappresentata dalla trasposizione di attività didattiche studiate per un certo ordine di scuola, in attività didattiche destinate a un ordine differente. Ad esempio, la stessa attività didattica, progettata per un certo ordine di scuola, può essere facilmente adattata a un ordine diverso, mutando i linguaggi utilizzati, approfondendo o alleggerendo i contenuti, utilizzando strumenti e metodologie diverse. In altre parole, si possono progettare attività di contenuto analogo, anche opzionali, destinate ad allievi di età molto diversa. La terza azione specifica che emerge dal documento è la possibilità di realizzare in modo concreto e naturale un curricolo verticale, nel quale il livello di discontinuità è controllato, poiché il curricolo è progettato sinergicamente ed in stretta simbiosi da docenti di segmenti di istruzione diversi. La discontinuità viene resa funzionale allo sviluppo dell’alunno, rappresenta una sfida motivante ed un’occasione di crescita. Il curricolo verticale ha tre elementi distintivi: le competenze, la continuità e la motivazione. Nel documento, la competenza viene definita come “un insieme di conoscenze dichiarative, di abilità procedurali, di atteggiamenti, che si snodano lungo un percorso coerente”. In questo percorso vengono messe in evidenza le strutture fondamentali di ciascuna disciplina e le idee basilari che collegano tra loro più materie, permettendo di rendere i contorni più sfumati di quella che spesso è una semplice suddivisione nozionistica del sapere. In altre parole, un curricolo verticale è orientato alla maturazione di competenze che possono essere spese nella realtà quotidiana e permettono di esercitare una cittadinanza attiva, partecipando in prima persona alla vita civile e sociale. Un curricolo verticale non è improntato all’acquisizione di contenuti enciclopedici e ripetitivi, che spesso risultano aridi e decontestualizzati. La continuità può essere considerata sotto due diverse prospettive, quella dell’allievo che apprende e quella dell’organizzazione didattica. Per quanto riguarda l’allievo bisogna soffermarsi sul significato che generalmente viene dato al termine “apprendimento” nella teorizzazione attuale, pur nella diversità dei quadri di riferimento, come di un processo di integrazione di conoscenze, più che di semplice acquisizione. In particolare nel documento allegato alla circolare si legge che “apprendere significa integrare elementi nuovi (conoscenze, abilità, atteggiamenti) nel tessuto di esperienze e conoscenze di cui l’individuo già dispone. È questa integrazione che garantisce la continuità”. Sul piano della programmazione didattica, la continuità è un obiettivo da perseguire favorendo: il progressivo ampliamento delle conoscenze e delle abilità, “poiché il nuovo risulta comprensibile all’allievo se inserito in un contesto a lui almeno in parte noto”; il progressivo approfondimento, “perché le relazioni tra elementi circoscritti di conoscenza vengono messe in evidenza e inquadrate in cornici di riferimento sempre più ampie, generali e produttive di apprendimenti futuri”. La continuità è strettamente legata alla motivazione. Dare continuità all’apprendimento vuol dire mostrare all’alunno, in occasioni successive, l’utilità di quanto ha appreso. Il processo di progressivo ampliamento e approfondimento di conoscenze e abilità comporta nel discente una consapevolezza sempre maggiore dell’utilità del suo apprendimento e delle potenzialità che egli acquisisce imparando. In tal modo è possibile innescare un processo di motivazione dell’alunno. Egli coglie la rilevanza di ciò che apprende mediante la propria esperienza, diventa consapevole delle proprie potenzialità e si pone obiettivi sempre più alti e complessi, trovando in ciò la motivazione per completare e finalizzare i suoi studi. La validità dell’esperienza degli istituti comprensivi viene ribadita anche nell’Atto di Indirizzo dell’8 settembre 2009, firmato dal ministro Gelmini, nel quale si afferma che alla luce di tale esperienza Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png acquistano particolare importanza “sia l’azione di ricerca sui temi della continuità e del curricolo verticale, sia le attività di elaborazione sulle conoscenze/competenze di base e sui traguardi da raggiungere al termine della scuola dell’infanzia e dei due segmenti della scuola del primo ciclo”. Continuità orizzontale. La discontinuità di un percorso formativo non è solo visibile nel passaggio da un ordine di scuola al successivo, ma molto spesso si incontra anche tra l’azione formativa delle scuole e la realtà territoriale nella quale esse operano. Per stabilire una relazione sinergica tra scuola e territorio, le istituzioni scolastiche attivano una serie di azioni volte a costruire un curricolo che sia calato in modo efficace nella realtà sociale, civile, culturale ed economica che caratterizza il contesto nel quale opera la scuola. In questo caso si parla di continuità orizzontale. Per ottenere questo risultato, la scuola deve stabilire i necessari contatti con le famiglie degli studenti, gli enti locali, le università e gli enti di ricerca, le associazioni di volontariato e le ONLUS, le agenzie di formazione, le realtà economiche e produttive del territorio. In primo luogo è necessario che sia in grado di riconoscere da un lato i punti di forza e le opportunità che emergono dal territorio con cui si è in contatto, e dall’altro le criticità che contraddistinguono la realtà territoriale in cui si opera; in questo modo è possibile creare un flusso bidirezionale di interventi e di azioni. Infatti: la scuola può mettere a disposizione del territorio le proprie risorse professionali, strumentali e strutturali, al fine di attuare iniziative di carattere formativo o di sensibilizzazione che supportino la realtà sociale, culturale ed economica del territorio; il territorio può mettere a disposizione le proprie risorse per migliorare l’azione educativa e formativa dell’istituzione scolastica. Tra gli strumenti normativi che l’autonomia mette a disposizione della scuola vi sono le reti di scuole previste dall’art. 7 del D.P.R. 275/1999 (il regolamento sull’autonomia). In particolare, si afferma che: “le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali; le scuole, sia singolarmente che collegate in rete, possono stipulare convenzioni con università statali o private, ovvero con istituzioni, enti, associazioni o agenzie operanti sul territorio che intendono dare il loro apporto alla realizzazione di specifici obiettivi; le istituzioni scolastiche possono promuovere e partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale; le istituzioni scolastiche possono costituire o aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere compiti istituzionali coerenti col Piano dell’Offerta Formativa […] e per l’acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svolgimento dei compiti di carattere formativo”. Entrando più nello specifico, si può parlare di continuità orizzontale quando si cerca di raccordare l’azione formativa dell’istituzione scolastica con quella di altri ambienti nei quali l’alunno riceve formazione. Sotto questa prospettiva, per illustrare al meglio il significato di continuità orizzontale, cominciamo col notare che l’usuale concetto di apprendimento, al quale siamo legati, può essere esteso. Di solito, siamo portati a pensare che l’apprendimento avvenga tipicamente in un contesto formale, come un’istituzione scolastica. Questa visione è piuttosto limitata, giacché qualsiasi esperienza legata alla vita comune può essere occasione o fonte di apprendimento. A tale proposito, nella comunicazione della Commissione Europea del 21 novembre 2001, sono specificate le definizioni dei seguenti tre tipi di apprendimento: apprendimento formale. È erogato tradizionalmente da un’istituzione di istruzione o formazione, è strutturato in termini di obiettivi di apprendimento e tempi o risorse per l’apprendimento. Esso sfocia in una certificazione. L’apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente: in altre parole, lo studente in modo consapevole si applica per apprendere conoscenze e abilità. Ad esempio, l’apprendimento formale viene realizzato nei sistemi di istruzione o nei percorsi di istruzione e formazione professionale; Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png apprendimento non formale. Non è erogato da un’istituzione di istruzione o formazione e non sfocia di norma in una certificazione. Esso è peraltro strutturato in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse per l’apprendimento. Anche, l’apprendimento non formale è intenzionale dal punto di vista del discente. Sono esempi tipici di apprendimento non formale la formazione impartita sul lavoro, mediante la quale le aziende aggiornano e migliorano le abilità dei propri dipendenti, oppure la frequenza di corsi predisposti da enti o associazioni della società civile per i loro aderenti, per gruppi interessati o per un pubblico generale; apprendimento informale. Risulta dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. Non è strutturato in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse e, di norma, non sfocia in una certificazione. L’apprendimento informale può essere intenzionale, ma nella maggior parte dei casi non lo è (ovvero è “fortuito” o casuale). Esempi di apprendimento informale sono le abilità acquisite durante le esperienze di vita e lavoro come la capacità di gestire progetti, le abilità relative alle nuove tecnologie, le lingue e le abilità interculturali acquisite durante un soggiorno in un altro paese. Su tali concetti ritorna anche la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea ai paesi membri, formulata il 20 dicembre 2012. Come si può comprendere dalle definizioni su riportate, se l’apprendimento formale avviene soprattutto nella scuola, l’apprendimento non formale e quello informale avvengono in altre realtà, che l’alunno o lo studente possono frequentare. Pertanto, operare secondo una logica di continuità orizzontale vuol dire strutturare un curricolo caratteristico dell’istituzione scolastica che si integri in modo efficace con le altre occasioni di apprendimento (non formale e informale) che il discente può incontrare sul territorio. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png uno “verticale”, interno al mondo dell’istruzione, mediante il quale la singola istituzione scolastica si raccorda con gli uffici provinciali e regionali per favorire l’integrazione degli alunni disabili nel sistema di istruzione e di IeFP. Per garantire il coordinamento verticale, esistono dei gruppi di lavoro costituiti su più livelli nell’ambito del sistema di istruzione; il coordinamento orizzontale è garantito dalla natura interistituzionale di ogni singolo gruppo, nel quale sono inseriti rappresentanti della scuola, delle famiglie, degli enti locali (che garantiscono i servizi sociali), e delle aziende sanitarie locali (che gestiscono quelli sanitari) ecc. Il D.Lgs. n. 66/2017 ha disposto la sostituzione dell’art. 15 della legge n. 104/1992, relativo ai “Gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica”. Nella loro previsione originaria essi erano collocati su due livelli: l’ufficio scolastico provinciale e l’istituzione scolastica. Con la nuova formulazione, essi sono ridenominati “Gruppi per l’inclusione scolastica” e sono collocati su tre livelli: 1) presso l’ufficio scolastico regionale è collocato il Gruppo di lavoro interistituzionale regionale (GLIR); 2) presso ciascuno degli ambiti territoriali è istituito il Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT); 3) presso ciascuna scuola è istituito il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI). Gruppo di lavoro interistituzionale regionale (GLIR). Il GLIR è organo collegiale di durata triennale ed ha compiti di: consulenza e proposta all’USR per la definizione, l’attuazione e la verifica degli accordi di programma previsti dalla legge n. 104 (artt. 13, 39 e 40), con particolare riferimento alla continuità delle azioni sul territorio, all’orientamento e ai percorsi integrati scuola-territorio- lavoro; supporto ai Gruppi per l’inclusione territoriale (GIT); supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani di formazione in servizio del personale. È presieduto dal dirigente dell’USR o da un suo delegato. Composizione e modalità di funzionamento sono stati definiti con D.M. n. 338 del 26 aprile 2018, all’interno del quale è regolata anche la partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, degli Enti locali e delle associazioni delle persone con disabilità. Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT). Già denominato “Gruppo di lavoro interistituzionale provinciale” (GLIP), il GIT è stato attivato dal D.Lgs. 66 con decorrenza 1° settembre 2019. A seguito di decreto del direttore dell’USR, il GIT è istituito su base territoriale (provinciale o a livello di città metropolitana). Presieduto da un dirigente tecnico o da un dirigente scolastico, è composto da personale docente esperto nell’ambito dell’inclusione, anche con riferimento alla prospettiva bio-psico-sociale, e nelle metodologie didattiche inclusive e innovative. Il GIT agisce in coordinamento con l’USR e supporta le istituzioni scolastiche: nella definizione dei PEI secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF; nell’uso ottimale dei molteplici sostegni disponibili, previsti nel Piano per l’Inclusione della singola istituzione scolastica; nel potenziamento della corresponsabilità educativa e delle attività di didattica inclusiva. Per lo svolgimento di ulteriori compiti di consultazione e programmazione delle attività nonché per il coordinamento degli, il GIT è integrato dalle associazioni rappresentative delle persone con disabilità nonché dagli Enti locali e dalle A.S.L. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png GIT e organico di sostegno delle scuole. Nella prima versione del D. Lgs. n. 66, quella dell’aprile 2017, era prevista una diversa composizione del GIT, alla quale corrispondeva la funzione di verifica delle proposte di organico di sostegno provenienti dalle istituzioni scolastiche del territorio, agendo come filtro tra le scuole e l’USR. Nella formulazione riveduta e corretta del D.Lgs. 96/2019, questa funzione è stata fortemente attenuata con la seguente formulazione: “Il GIT conferma la richiesta inviata dal dirigente scolastico all’ufficio scolastico regionale relativa al fabbisogno delle misure di sostegno ovvero può esprimere su tale richiesta un parere difforme”. La procedura di espressione del “parere” è esplicitata nel novellato art. 10 del D.Lgs. 66, avente ad oggetto “Individuazione e assegnazione delle misure di sostegno” e prevede che: il dirigente scolastico invii all’USR la richiesta complessiva dei posti di sostegno “sentito il GIT”; a sua volta, il GIT si esprima in merito con un parere che può essere di conferma oppure “difforme”; in ogni caso, in materia di organico, la competenza dell’assegnazione dei posti è dell’USR. Per esercitare la funzione prevista dall’art. 10, il GIT attende di un apposito atto ministeriale: nelle more, l’entrata in vigore del citato art. 10 è differita all’a.s. 2020/21. I Gruppi di lavoro a livello di istituzione scolastica. A livello di istituzione scolastica, la riforma dell’art. 15 della legge n. 104 prevede due tipologie di Gruppi di lavoro: il primo è unico per ciascun istituto e si occupa della programmazione generale in materia di inclusione; in rapporto ad ogni singolo alunno con disabilità certificata, viene costituito un Gruppo di lavoro operativo a livello di classe. a) il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI) Il Gruppo di lavoro per l’inclusione ha il compito di supportare il collegio dei docenti nella definizione e nella realizzazione del Piano per l’inclusione; inoltre, affianca i docenti contitolari di classe (nella scuola primaria) / i consigli di classe (nella scuola secondaria) nell’attuazione dei PEI. Il GLI è composto da docenti curricolari, docenti di sostegno, eventualmente personale ATA, nonché da specialisti della Azienda sanitaria locale e del territorio di riferimento dell’istituzione scolastica. In sede di definizione e attuazione del Piano di inclusione, il GLI si avvale della consulenza e del supporto dei genitori, degli studenti e delle associazioni delle persone con disabilità. In sede di definizione delle risorse da destinare alla scuola ai fini dell’assistenza di competenza degli Enti locali, alle riunioni del GLI partecipa un rappresentante dell’Ente territoriale in questione. b) Gruppi di Lavoro Operativi (GLO) Il Gruppo di Lavoro Operativo consiste, sostanzialmente, nel team dei docenti contitolari (nella scuola primaria) /nel consiglio di classe (nella scuola secondaria) allargato alla partecipazione dei genitori dell’alunno con disabilità, nonché alle figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con l’alunno disabile; ovviamente, è previsto “il necessario supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare” (D.Lgs. n. 66, art. 9, comma 10). La nuova denominazione di Gruppo di lavoro operativo segnala l’autonomia di questo organo dalle istituzioni da cui trae le proprie componenti, rimarcandone la pariteticità nella partecipazione: famiglia, scuola, profili professionali sanitari, studente disabile (nella scuola secondaria di secondo grado), Ente territoriale. Tra i suoi compiti ricordiamo la predisposizione e l’attuazione del Piano educativo individualizzato. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png L’assegnazione dei posti di sostegno alle classi con alunni disabili. Per dare senso all’inserimento in classe di alunni disabili, la legge n. 517/1977 aveva istituito i “posti di sostegno”, da assegnare a docenti specializzati. Il docente di sostegno viene assegnato alla classe in cui è inserito il soggetto in situazione di disabilità al fine di “realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze di quest’ultimo”: in effetti, l’autonomia scolastica ha come obiettivo quello di garantire a tutti il “successo formativo”, secondo le potenzialità di ciascuno. Il problema dell’organico di sostegno. Mentre l’organico dei posti comuni è determinato dalle tabelle dell’orario settimanale delle classi e degli insegnamenti, ed è quindi aritmeticamente calcolabile e prevedibile, l’organico dei docenti di sostegno è soggetto: a. alle fluttuazioni del numero di iscrizioni degli alunni con disabilità da un anno scolastico al successivo; b. alle ulteriori varianti delle certificazioni di “gravità”, dalle quali discendono le deroghe nell’attribuzione delle ore di sostegno; c. al sopraggiungere di nuove certificazioni negli anni successivi alla classe prima, soprattutto nella scuola primaria, nel corso della quale emergono difficoltà di apprendimento non rilevate e non rilevabili negli anni precedenti. Per l’amministrazione scolastica si è posto da subito il problema della quantificazione dei posti di sostegno nell’organico dei docenti di ruolo (e della relativa previsione di spesa). Nel 1982 il contingente organico degli insegnanti di sostegno fu determinato nella misura di un posto ogni 4 alunni con certificazione di handicap (art. 12 della legge n. 270). Il “rapporto 1:4” era inteso come “rapporto medio provinciale”; fu poi previste la possibilità di deroga in presenza di handicap gravi. Col passare degli anni, si ebbe un aumento esponenziale delle certificazioni di handicap: tale aumento, correlato alla correlata richiesta di deroghe, comportava una dilatazione dei costi che sfuggiva ad ogni previsione di spesa. Si cercò di porvi argine nelle leggi finanziarie successive, fra le quali ricordiamo la n. 449/1997, che stabilì dei meccanismi di contestata efficacia, e la legge n. 289/2002. Con quest’ultima (art. 35, c. 7) si tornò al criterio della valutazione del caso, riportandola però all’esercizio della responsabilità dirigenziale dei direttori degli USR: “L’attivazione di posti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni in presenza di handicap particolarmente gravi, di cui all’articolo 40 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, è autorizzata dal dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale (…)”. Un diverso tentativo di controllo della spesa fu effettuato con la legge n. 296/2002 (art. 1, c. 605, lett. b) che delegò il ministero a riformare in senso restrittivo i criteri per la certificazione di handicap “attraverso certificazioni idonee a definire appropriati interventi formativi.” Nel 2010 dalla Corte costituzionale stabilì il principio che “ad un maggiore livello di disabilità deve corrispondere un maggior grado di assistenza, al fine di consentire al disabile di superare il suo svantaggio e di porlo in condizione di parità con gli altri” (sentenza n. 80 del 22 febbraio 2010). Le regole oggi vigenti sono quelle richiamate dalla legge n. 107/20158, regole che possiamo così sintetizzare: l’organico dei posti di sostegno è pari al 100/100 del numero dei posti di sostegno complessivamente attivati nell’anno scolastico 2006/2007; resta ferma la possibilità di istituire posti in deroga con il ricorso alle supplenze annuali. La Certificazione di disabilità ai fini dell’inclusione scolastica. La domanda per l’accertamento della condizione di disabilità, corredata di certificato medico diagnostico-funzionale contenente la diagnosi clinica e gli elementi attinenti alla valutazione del funzionamento a cura della Azienda sanitaria locale, va presentata all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), che vi dà riscontro entro trenta giorni. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png I Piani educativi devono prefigurare, anche attraverso l’orientamento, le possibili scelte che l’alunno intraprenderà dopo aver concluso il percorso di formazione scolastica. Anche il momento “in uscita” dalla scuola deve trovare la sua collocazione all’interno del Piano per l’inclusione, che è parte del P.T.O.F. In particolare, nel secondo ciclo, un ruolo importante è svolto dall’attuazione dell’alternanza scuola-lavoro (“percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”) nella prospettiva della prosecuzione della formazione nell’istruzione e formazione tecnica superiore. Per questa ragione il Progetto individuale è definito “con la partecipazione di un rappresentante dell’istituzione scolastica interessata” (D.Lgs. 66, art. 6, comma 2). Le prospettive aperte dalla legge n. 112/2016 (cosiddetta “Dopo di noi”). Anche la legge 22 giugno 2016, n. 112, dettando “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, si colloca nella prospettiva del futuro possibile, disciplinando misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, prive di sostegno familiare nonché in vista del suo venir meno. La condizione per l’applicabilità della legge è che la disabilità grave non sia determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità. Le principali misure previste sono: l’istituzione del Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare; la detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave; l’istituzione di fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione in favore delle persone con disabilità grave. Valutazione della qualità dell’inclusione scolastica. A seguito del D.Lgs. n. 66 (art. 4) la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica è divenuta parte integrante del procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche. Ai parametri individuati dall’Invalsi all’interno dei protocolli di valutazione e dei quadri di riferimento dei rapporti di autovalutazione sono oggi aggiunti indicatori quali: il livello di inclusività del P.T.O.F. come concretizzato nel Piano per l’inclusione scolastica; la realizzazione dei percorsi per la personalizzazione in funzione delle caratteristiche specifiche degli alunni; il livello di coinvolgimento dei diversi soggetti nell’elaborazione e nell’attuazione del Piano per l’inclusione; il grado di accessibilità e di fruibilità delle attrezzature, dei libri di testo, delle strutture e degli spazi. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png 4) PADRONANZA DELLE COMPETENZE DIGITALI INERENTI ALL’USO DIDATTICO DELLE TECNOLOGIE E DEI DISPOSITIVI ELETTRONICI MULTIMEDIALI PER POTENZIARE LA QUALITÀ DELL’APPRENDIMENTO; L’introduzione dei libri digitali nella scuola italiana. Il D.L. 112/2008 e il D.M. 41/2009. Negli ultimi anni una serie di interventi normativi ha definito la progressiva migrazione, nel sistema scolastico italiano, dai libri cartacei a quelli in versione mista, ossia costituiti da una parte in formato cartaceo e una in formato digitale, oppure verso i libri elaborati completamente in digitale. Un primo passo importante è stato compiuto con il D.L. 112/2008, conv. in legge 133/2008, che, all’art. 15 c. 1, stabilisce che “i competenti organi individuano preferibilmente i libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet”. Nel comma 2 dell’art. 15 si ribadisce che i libri di testo possono essere prodotti in tre versioni: a stampa on line scaricabile da internet mista Inoltre, lo stesso articolo, afferma che a partire dall’anno scolastico 2011/2012 il Collegio dei docenti deve adottare esclusivamente libri nelle ultime due versioni (scaricabile e mista). Un ulteriore passo verso il libro digitale. Il D.L. 179/2012. Con la Legge 221/2012, che ha convertito il D.L. 179/2012, le norme che regolano la stesura, la diffusione e l’adozione dei libri di testo hanno subito delle importanti variazioni. Con il D.L. 179/2012, conv. in legge 221/2012, si è stabilito il principio secondo il quale un libro scolastico può essere prodotto in parte in forma cartacea e in parte in forma elettronica; tuttavia, i due formati non devono presentare una sovrapposizione di argomenti e contenuti. Alcuni di questi ultimi possono essere trattati nel libro cartaceo, perché sono più adatti a un apprendimento mediante la lettura di un testo tradizionale; altri argomenti, distinti dai precedenti, trovano invece una collocazione migliore in formato digitale, perché si prestano a una maggiore interattività e ad essere affrontati in modo multimediale, con l’aiuto di registrazioni audio o di filmati, oppure mediante una simulazione interattiva (in questo secondo caso si parla di Contenuti Digitali Integrativi CDI). In virtù di ciò, i libri di testo vengono classificati nel modo seguente: libri in versione mista, che possono essere di due tipi: libro in versione cartacea accompagnato da contenuti digitali integrativi libro in versione cartacea e in versione digitale accompagnato da contenuti digitali integrativi libri in versione digitale, con contenuti digitali integrativi Come si può notare, qualunque sia il formato del libro (cartaceo o digitale, in tutto o in parte), esso deve sempre presentare dei contenuti digitali integrativi. Inoltre, il nuovo comma 2 dell’art. 15 ha stabilito che, a partire dall’anno scolastico 2014-2015, il Collegio dei docenti debba adottare esclusivamente libri nella versione digitale o mista. I Contenuti Digitali Integrativi (CDI). Nell’allegato al D.M. 718/2013 vengono descritte anche le caratteristiche dei Contenuti Digitali Integrativi (CDI). I CDI possono essere reperiti mediante diversi canali: possono essere forniti a completamento del libro di testo adottato possono essere acquisiti indipendentemente dal libro di testo adottato possono essere rintracciati gratuitamente in rete Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Inoltre, i CDI possono essere prodotti attraverso il lavoro individuale o collaborativo dei docenti, eventualmente anche attraverso il coinvolgimento dei discenti. L’elaborazione del materiale didattico digitale. Gli istituti, dunque, possono organizzarsi per produrre testi e Contenuti Digitali Integrativi, affidando il lavoro a gruppi di docenti, coordinati da un docente supervisore. In tal modo si possono creare dei testi che siano validi sia dal punto di vista dei contenuti, in quanto prodotti da docenti esperti della specifica disciplina, sia dal punto di vista delle metodologie didattiche che propongono, in quanto frutto di esperienze didattiche che, in prima persona, i docenti hanno potuto sperimentare e valorizzare nelle classi in cui insegnano. È chiaro che una prospettiva come quella prevista da questo intervento normativo è possibile solo con l’avvento delle nuove tecnologie. La Lavagna Interattiva Multimediale (LIM). Le nuove tecnologie hanno modificato molti aspetti della vita quotidiana e della società. Di riflesso, anche il sistema educativo ha accolto le nuove tecnologie e le ha utilizzate in diverse attività, dall’organizzazione amministrativa, alla didattica vera e propria. Un primo passo importante è stata la dotazione alle scuole di laboratori di informatica e laboratori multimediali che hanno modificato in parte l’approccio alla didattica; vi è però da sottolineare che la sola presenza di laboratori non ha indotto quella rivoluzione metodologico-didattica che alcuni sociologi e pedagogisti si attendevano. Perché la rivoluzione didattica si potesse compiere realmente, era necessario che le nuove tecnologie si spostassero dal laboratorio fin dentro l’aula, ossia nel luogo dove tradizionalmente si svolge la lezione. In altre parole, era necessario che l’aula divenisse il vero laboratorio didattico. Ciò si è avuto grazie alla LIM (Lavagna Interattiva Multimediale). Il processo di insegnamento-apprendimento con la LIM. Didattica tradizionale e didattica innovativa. La veloce diffusione della LIM nelle aule delle scuole italiane ha posto diversi interrogativi su quale sia il vero vantaggio nell’impostare un’attività didattica basata sull’uso della lavagna interattiva piuttosto che degli strumenti tradizionali, come il libro e la lavagna di ardesia. La LIM può essere usata in modo molto “tradizionale” oppure in modo “innovativo”. Diverse impostazioni di attività didattica. In via del tutto generale, proviamo a distinguere quattro livelli differenti di uso della LIM, che si allontanano sempre di più da una didattica tradizionale per approdare progressivamente ad una più innovativa. Un primo modo di utilizzare la LIM può essere quello di usare la sua superficie per scrivervi sopra con lo stilo, con un dito o con qualsiasi altro puntatore. Il docente illustra i contenuti scritti sulla LIM e li commenta; gli alunni ascoltano e assimilano i contenuti. Questo tipo di impostazione didattica non differisce di molto dall’uso della tradizionale lavagna di ardesia e dalla lettura di documenti e informazioni sui libri di testo: il veicolo maggiore di trasmissione dell’informazione è il testo, la struttura della lezione è sequenziale, gli studenti assumono un atteggiamento passivo. In questo tipo di lezione i vantaggi offerti dalla LIM sono pochi. Sebbene una lezione strutturata in questo modo non sfrutti tutte le potenzialità della LIM, dà però la possibilità anche a un docente con scarse competenze digitali di utilizzare la lavagna interattiva, senza un grande sforzo: l’insegnante, infatti, inizia ad usare strumenti digitali in modo naturale, poiché questi ultimi simulano perfettamente quelli tradizionali. Per buona parte dei docenti si tratta di passi iniziali che sono quasi “indolori”. Un secondo livello più efficace di utilizzo della LIM si realizza quando si riescono a sfruttare al meglio gli aspetti multimediali della lavagna. In questo caso il docente può adoperare non solo il testo nella sua lezione, ma può sfruttare le potenzialità del computer per inserire immagini, mostrare filmati reperibili su web, accedere ad altre risorse presenti in internet che possono fungere da approfondimento. Il docente accompagna la presentazione multimediale con delle sue osservazioni e Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png 5) CONOSCENZA DEI PRINCIPI DELL’AUTOVALUTAZIONE DI ISTITUTO, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALL’AREA DEL MIGLIORAMENTO DEL SISTEMA SCOLASTICO; L’autovalutazione di istituto, con particolare riguardo all’area del miglioramento del sistema scolastico. Le norme sulla valutazione del sistema di istruzione (DPR n. 80/2013 e Direttiva n. 11/2014) garantiscono quella completezza e correttezza metodologiche a lungo non perseguite, in questo campo, nella normativa, spesso di qualità, che ha accompagnato la crescita della scuola italiana dagli anni ’70 del Novecento. Proprio agli anni ’70, infatti, e precisamente al profondo mutamento seguito all’introduzione, con la L.517/1977, della cosiddetta pedagogia per obiettivi, deve essere fatta risalire la crescente consapevolezza che, ponendo il principio di differenziazione dell’azione didattica in rapporto alle diverse situazioni degli alunni e introducendo a tale scopo l’elemento tecnico della programmazione per obiettivi, dalla valutazione dello studente era necessario risalire all’autovalutazione della propria azione pedagogico-didattica da parte dei docenti a scopo ricorsivamente migliorativo: autovalutazione e automiglioramento. Ma l’esigenza dell’autovalutazione, estesa più tardi alle scuole stesse – anche per influenza delle soluzioni di derivazione anglosassone - fu oggetto, a lungo, di poco più che raccomandazioni metodologiche (così ancora nelle Indicazioni per il curricolo del 2012), laddove, al di là della buona volontà del singolo docente, la messa in discussione e la ristrutturazione del proprio essere e fare in funzione del cambiamento innesca nelle organizzazioni una tenace reazione di resistenza inerziale, tale che, in assenza di un modello vincolante di completezza metodologica dell’azione autovalutativa e migliorativa, l’andamento di un sistema - a livello della singola istituzione scolastica come dell’intero sistema nazionale di istruzione - tende fatalmente a mantenersi sui livelli “omeostatici” più bassi, disperdendo la pressione al cambiamento attraverso le falle lasciate aperte nel modello. La questione decisiva è che, sino a che il modello, blando dal punto di vista prescrittivo, non trovi la necessaria chiusura, restando aperto proprio dal lato dei risultati – consentendo così il permanere di una sorta di sostanziale indifferenza verso di essi - non può prodursi il cambiamento, anche quando vengano lodevolmente tentate forme di autovalutazione d’istituto. A tale scopo è necessario, infatti, che emerga una condizione tradizionalmente carente nella scuola italiana (come nel settore pubblico in generale): la sensibilizzazione ai risultati della propria azione. In termini di teoria dei sistemi e di scienza delle organizzazioni, è questa sensibilizzazione che attiva una funzione autoselettiva e automigliorativa nella singola scuola, la quale comincia a identificare e valorizzare le cose che funzionano e a lasciar cadere ciò che non serve o non funziona, sviluppando contemporaneamente una propensione alla ricerca di nuove soluzioni. Questa logica è stata introdotta nel nostro sistema di istruzione con il graduale avvio, dall’a.s. 2004-2005, delle prove Invalsi che, nonostante la pessima accoglienza di una parte dei docenti, soprattutto nella secondaria di secondo grado, non possono non essere progressivamente percepite come un’opportunità particolarmente vantaggiosa, portando ormai al superamento delle diffidenze e concorrendo al sorgere di quella sensibilizzazione ai risultati, che costituisce il fattore centrale di tutto il processo di automiglioramento. Il quadro posto dal DPR n. 80/2013 è articolato nei tre momenti 1) dell’autovalutazione d’istituto (dall’a.s.2014/15) - e, per il 10% delle scuole, della valutazione esterna (dall’a.s.2015/16) -, 2) della conseguente azione di miglioramento (dall’a.s. 2015/16) e 3) della rendicontazione pubblica (dall’a.s. 2016/17). L’autovalutazione d’istituto è svolta sulla base dei dati resi disponibili dal MIUR, delle rilevazioni annuali dell’Invalsi, relative a contesto, esiti di apprendimento e processi formativi e organizzativo- gestionali (questionario e prove Invalsi, relative a italiano e matematica in alcuni anni di corso di ogni grado di scuola) e informazioni di competenza diretta delle scuole. L’azione sfocia nel rapporto di autovalutazione (RAV), da realizzarsi su un modello in formato elettronico predisposto dall’Invalsi, cui seguirà il relativo piano di miglioramento (PdM). Tutti i dati rilevati vengono elaborati e restituiti Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png dall’Invalsi, che definisce per il singolo istituto gli indicatori appropriati. L’elaborazione è estremamente articolata e penetrante e resa particolarmente espressiva grazie al continuo confronto con i dati nazionali e regionali e con quelli delle scuole di pari contesto socioculturale (indice ESCS). Altrettanto significative le numerose forme di correlazione tra dati relativi alla singola scuola. I dati così restituiti necessitano di un’analisi e uno studio approfonditi. Sarebbe desolante se i docenti si limitassero a una rapida presa visione degli esiti relativi a italiano o matematica per verificare se questi si collochino nella media o sopra o sotto di essa. Il vero e proprio studio dei dati da parte del dirigente e dell’unità di valutazione (referente della valutazione e alcuni altri docenti – CM n.47/14) deve portare a formulare una visione organica dello stato della scuola, che evidenzi realmente la logica dei fatti, cioè i punti di forza e di debolezza e come da essi discendano secondo possibili ipotesi causali gli esiti rilevati. Il collegio dei docenti deve essere la sede in cui con tenacia e passione viene proposta e discussa una tale interpretazione, volta a offrire una rappresentazione autentica dello stato dei processi nell’istituto. L’impegno a stilare un piano di miglioramento strettamente conseguente al quadro degli esiti aiuta a svolgere seriamente un tale sforzo autenticamente interpretativo, individuando correttamente, area per area, le proprie priorità. È poi compito del MIUR indicare con scadenza triennale le priorità strategiche emanando specifiche linee guida (che ancora mancano per le prime priorità, indicate dalla Direttiva n.11/2014: riduzione degli abbandoni e dell’insuccesso scolastico, riduzione del divario tra regioni, miglioramento nelle competenze di base, valorizzazione degli esiti a distanza). Nella predisposizione del piano di miglioramento le scuole possono avvalersi dell’assistenza dell’Indire (Istituto Nazionale per l’Innovazione, la Documentazione e la Ricerca Educativa). Ma perché in una scuola si produca una sensibilizzazione capace di promuovere il cambiamento non bastano né la conoscenza degli esiti in rapporto agli standards, che pure è il primo fattore per l’avvio del processo di automiglioramento, né il solo timore della valutazione esterna in caso di esiti inadeguati: è necessario che essa senta fortemente le aspettative del proprio territorio. La normativa ha visto chiaramente questo aspetto prevedendo la rendicontazione pubblica dei risultati (dall’a.s. 2016-17). Ma un’altra condizione deve realizzarsi, più sottile e profonda: che essa creda negli obiettivi che persegue, che gli obiettivi portanti su cui è chiamata a misurarsi siano quelli in cui essa stessa si identifica; detto altrimenti: che le aspettative dell’utenza e del territorio nei suoi confronti siano le stesse che essa sente verso sé stessa. Per questo il POF, quale documento con cui la singola scuola si identifica nella specificità della propria proposta educativa, oltre a definire un quadro coerente e organico di obiettivi e condizioni dell’azione pedagogico-didattica, deve essere per essa l’occasione per trovare la propria coesione attorno ad alcune scelte di fondo, ad alcuni obiettivi, chiari, semplici, fondamentali – riferiti alla formazione degli studenti, ma anche di stile educativo, di concezione della professione docente, di clima dell’ambiente scuola - da comunicare efficacemente alla propria utenza, così da suscitare verso di sé nel territorio quelle stesse aspettative che essa profondamente sente ed esplicitamente pone verso se stessa e che corrispondono alle motivazioni profonde della professione docente e della mission della scuola. È in questo gioco di aspettative – un vero e proprio patto tra scuola e territorio - che si genera quel circolo virtuoso autoregolativo e autoselettivo che innesca nella singola scuola un processo di autovalutazione autentica e di effettivo automiglioramento. Particolarmente prezioso in questa dinamica il ricorso alla forma progettuale: un progetto incentrato, ad esempio, sulla comprensione del testo, preferibilmente trasversale a diverse discipline, può produrre quella convergenza dell’azione, quella condivisione di obiettivi – chiari, ben scelti, rigorosamente verificabili - e quella coesione tra i docenti in cui il sistema scuola acquista connettività (cioè la tendenza a eliminare le dispersioni grazie ad un salto di livello nella autocomunicazione e nell’autoselettività interne all’istituto) e la sua azione una più chiara visibilità dinnanzi al proprio territorio, suscitando quelle aspettative qualificate grazie alle quali una scuola che crede in se stessa e una utenza che crede nella sua scuola si legano in quel circolo virtuoso sicuramente automigliorativo. Naturalmente, una scuola è un organismo più vasto e complesso dell’area del singolo progetto, ma l’effetto di trascinamento della pratica progettuale in termini di identità dell’istituto, motivazione dei docenti, stile pedagogico-didattico è certo in vetta alle possibili opzioni di una scuola in cerca di miglioramento, o, per usare un termine più ambizioso, di successo. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Il valore del modello e degli strumenti apprestati non esime tuttavia da rischi tipici, sempre presenti nell’applicazione di procedure complesse. Ad esempio, l’esistenza di un curricolo verticale è certo un indicatore di qualità, ma cessa di esserlo se gli obiettivi, anziché sorgere dalla effettiva realtà dei processi di insegnamento-apprendimento, sono astrattamente dedotti gli uni dagli altri in ampie batterie con una vasta operazione essenzialmente cartacea, come spesso avviene. Quando l’impegnativo documento è finalmente terminato, può sembrare di aver raggiunto l’obiettivo: il Rav lo può registrare, i docenti si rallegrano soddisfatti del lungo lavoro e si acquieta l’ansia del dirigente, che può finalmente conservare nell’armadio il prezioso documento. Si dà in tal modo un tipico caso di inversione mezzi-fi ni, che certifica il tenace permanere della vecchia logica centralistica della conformità delle procedure rispetto alle attese dal centro, e non la logica dell’autonomia, in cui l’ansia del dirigente si seda solo davanti alla rispondenza dei risultati formativi reali rispetto alle aspettative di un’utenza consapevole ed esigente. Dinnanzi ai compiti di miglioramento non mancano poi criticità dovute in buona parte alle specifiche condizioni della scuola italiana. Ad esempio, coordinamento e flessibilità didattica, fattori preminenti di miglioramento in una scuola, sono difficilmente perseguibili senza una adeguata riformulazione della struttura del servizio del docente. Altra criticità sta nel fatto che, mentre, per la scienza delle organizzazioni, una organizzazione si identifica con un corpus di conoscenze e di tecniche specialistiche (Thompson), in Italia - forse più che altrove - la professionalità docente, se è sostenuta da sicura competenza quanto ai contenuti culturali, presenta tuttora tratti per molti aspetti piuttosto aleatori quanto alle competenze pedagogico-didattiche (vi sono eccezioni, soprattutto nella primaria, come ad es., l’apprendimento della lettoscrittura). Si può supporre che l’aver messo seriamente in moto la pratica della valutazione nelle scuole e nell’intero sistema formativo porterà a ridurre e, col tempo, superare annose criticità della nostra scuola. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png La nuova scuola media. Riprendendo la “Carta della Scuola”, si unificò la scuola nell’età tra gli undici e i quattordici anni, sostituendo la precedente scuola media triennale e i paralleli corsi di avviamento professionale con una scuola media uguale per tutti: si dava concretezza all’obbligo scolastico di otto anni rimasto per decenni solo una proclamazione di principio nell’art. 34 della Costituzione. La legge istituiva della scuola media (n. 1859/1962) e le successive leggi del 1977, interpretarono in questa direzione l’assunto dell’art. 3 della Costituzione, secondo il quale: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. L’autonomia scolastica, lo Statuto degli studenti e la parità scolastica. Segnò, invece, un passaggio fondamentale l’approvazione della legge n. 59 del 15 marzo 1997: con l’art. 21 fu introdotta l’autonomia scolastica, che avrebbe poi avuto riconoscimento costituzionale con l’art. 117 della successiva legge costituzionale n. 3/2001. Il diritto all’istruzione nel sistema nazionale. I diritti fondamentali dei cittadini sono radicati nella Costituzione. Il diritto del bambino all’educazione e all’istruzione è posto anzitutto in capo ai suoi genitori, titolari del “dovere e diritto di mantenere, istruire ed educare i figli” (art. 30 Cost.). Rispetto a questo dovere-diritto lo Stato, gli organi della Repubblica, le altre compagini sociali agiscono in maniera sussidiaria: sono chiamati a disporre quanto occorre ai genitori perché adempiano, in libertà e responsabilità, il loro dovere dell’istruzione dei figli. L’art. 33 Cost. al secondo comma recita: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”; e l’art. 34 (terzo comma) afferma che “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Il diritto allo studio si realizza all’interno del sistema nazionale di istruzione. Esso è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie, private e degli enti locali. L’adesione al Trattato dell’Unione europea ha comportato la ricezione nell’ordinamento italiano del principio di sussidiarietà, entrato nella Costituzione a seguito della riforma del 2001. Ne deriva il criterio generale secondo cui l’erogazione dei servizi pubblici non è monopolio dello Stato ma vede il concorso dell’”autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati”, all’interno di un quadro nazionale che definisce i livelli delle prestazioni da erogare ai cittadini. La Costituzione (art. 33) sancisce il diritto dei privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. Il riparto dei poteri legislativi in materia di istruzione tra Stato e Regioni disposto dall’art. 117 Cost. (riformato nel 2001), ha configurato un nuovo ordinamento scolastico comprensivo di due sistemi tra loro correlati: l’istruzione l’istruzione e formazione professionale La legge delega del 2003 ha ridisegnato il nuovo ordinamento scolastico nominandolo “sistema educativo di istruzione e di formazione”, ispirato ai principi della crescita e valorizzazione della persona, della “formazione spirituale e morale”, della promozione dell’apprendimento in tutto l’arco della vita, dello sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea. Tale sistema di istruzione e formazione si articola in: scuola dell’infanzia primo ciclo dell’istruzione, che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png secondo ciclo dell’istruzione affiancato dal canale parallelo dell’istruzione e formazione professionale La riforma della “buona scuola”. La legge di riforma dell’autonomia scolastica fu definitivamente approvata dal Parlamento il 13 luglio 2015, divenendo la legge n. 107 rubricata “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Perno della legge è il “Piano triennale dell’offerta formativa”, che amplia gli orizzonti e le funzioni del POF già previsto dal Regolamento dell’autonomia scolastica (D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275). Per l’attuazione del potenziamento dell’offerta formativa fu previsto un organico aggiuntivo, sulla base di incarichi triennali conferiti dal dirigente scolastico al quale vennero attribuite nuove funzioni di impulso al PTOF, di scelta dei docenti da inserire nell’organico dell’autonomia, di valorizzazione del merito dei docenti e dell’istituto. Per la stabilizzazione dei precari, fu varato un Piano straordinario di assunzioni e fu rilanciato il sistema dei concorsi e della formazione iniziale quale strada maestra per l’assunzione di nuovi insegnanti. Infine, fu prevista una importante serie di deleghe legislative al Governo per il riordino e la riforma delle disposizioni legislative in materia di istruzione. Per dare rapida attuazione alle deleghe contenute nella legge n. 107/2015, derivarono otto decreti legislativi, tutti con data 13 aprile 2017 di cui di seguito: 1. il n. 59 “Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria” 2. il n. 60 “Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali sul sostegno della creatività” 3. il n. 61 “Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale” 4. il n. 62 “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo di esami di Stato” 5. il n. 63 “Effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi della persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente” 6. il n. 64 “Disciplina della scuola italiana all’estero” 7. il n. 65 “Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni” 8. D. Lgs. 13 aprile 2017, n. 66 “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità” L’attuazione della legge n. 107/2015: diritto allo studio e potenziamento della Carta dello studente. Tra le deleghe legislative conferite al Governo dalla legge n. 107/2015 vi è quella relativa a “l’effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente”. Punto di partenza è il comma 181 della legge n. 107/2015, che delega all’emanazione di norme finalizzate a: garantire l’effettività del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nel rispetto delle competenze delle Regioni in tale materia, attraverso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png potenziare la Carta dello studente, al fine di attestare attraverso la stessa lo status di studente e rendere possibile l’accesso a programmi e servizi nonché la possibilità di associare funzionalità aggiuntive per strumenti di pagamento attraverso borsellino elettronico. Ne è derivato il D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 63, rubricato “Effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della Carta dello studente”. I servizi da fornire su tutto il territorio nazionale. L’articolo 2 individua i servizi per il diritto allo studio da fornire su tutto il territorio nazionale: a) servizi di trasporto e forme di agevolazione alla mobilità b) servizi di mensa c) fornitura dei libri di testo e degli strumenti didattici indispensabili negli specifici corsi di studi d) servizi per gli alunni ricoverati in ospedale nonché per l’istruzione domiciliare. L’autonomia scolastica nella legge n. 59/1997. La legge 15 marzo 1997, n. 59, recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, svolse effetti di trasformazione del sistema scolastico italiano attribuendo la personalità giuridica, e quindi l’autonomia, alle scuole opportunamente dimensionate. La sua principale traduzione operativa fu il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 199t, n. 59”. L’art. 1 dichiara che: l’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana tali interventi sono adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche degli alunni il fine è garantire loro il “successo formativo” L’autonomia delle istituzioni scolastiche fu introdotta nel dettato costituzionale con la nuova formulazione dell’art. 117, in applicazione del principio di sussidiarietà recepito dall’ordinamento dell’Unione europea. Infatti, assegnando l’istruzione alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni, così formula: “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, e con esclusione della istruzione e formazione professionale”. La dirigenza ai capi d’istituto. Con l’introduzione dell’autonomia delle scuole fu estesa “ai circoli didattici, alle scuole medie, alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria la personalità giuridica degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte” (legge n. 59/1997, art. 21). Di conseguenza, il personale direttivo preposto alle scuole ne divenne dirigente. Divenendo titolare dell’istituzione scolastica, il dirigente scolastico agisce in nome e per conto dello Stato, assumendo la rappresentanza legale dell’istituto cui è preposto. Una premessa sulla riforma degli ordinamenti del secondo ciclo: il sistema scolastico frutto della legge n. 53/2003. Dopo decenni di interventi settoriali e di sperimentazioni senza fine, soprattutto nella scuola secondaria superiore, la legge n. 53 del 2003 ha ridisegnato il sistema scolastico italiano in una visione d’insieme. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all’esercizio di professioni tecniche, i saperi e le competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro, per l’accesso all’università e all’istruzione e formazione tecnica superiore Gli istituti tecnici hanno la durata di cinque anni; sono suddivisi in due bienni e in un quinto anno, al termine del quale gli studenti sostengono l’esame di Stato e conseguono il diploma di istruzione tecnica, utile ai fini della continuazione degli studi in qualunque facoltà universitaria. Con la riforma del 2010 è stato riprogettato il percorso dell’istruzione tecnica, secondo le seguenti direttrici: restituire all’istruzione tecnica un’autonoma identità e una specifica missione formativa, diversa da quella dei licei e distinta da quella degli istituti professionali superare la frammentazione dei percorsi, ramificata in un grande numero di indirizzi e in un eccessivo numero di sperimentazioni invertire la tendenza al calo delle iscrizioni, andando incontro alle esigenze delle imprese Con la riforma gli indirizzi degli istituti tecnici sono passati da 39 a 11. Essi sono così suddivisi: 2 indirizzi nel settore economico e 9 nel settore tecnologico (quasi tutti con articolazioni nel triennio). I 2 indirizzi nel settore economico sono: Amministrazione, Finanza e Marketing (indirizzo generale) – B1 Turismo – B2 I 9 indirizzi del settore tecnologico sono: Meccanica, Meccatronica ed Energia – C1 Trasporti e Logistica – C2 Elettronica ed Elettrotecnica – C3 Informatica e Telecomunicazioni – C4 Grafica e Comunicazione – C5 Chimica, Materiali e Biotecnologie – C6 Sistema Moda – C7 Agraria, Agroalimentare e Agroindustria – C8 Costruzioni, Ambiente e Territorio – C9 Ordinamenti scolastici: i licei. Con il D.P.R. n.89 del 15 marzo 2010 è stato emanato il “Regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei”. L’art. 2 ne delinea l’identità: essi forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinchè egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, e acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro. Dopo aver analizzato le funzioni degli istituti professionali e tecnici, siamo in grado di porre a confronto le tre dichiarazioni programmatiche: 1. D.P.R. n. 89/2010, art. 2 – Identità dei licei: I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinchè egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, e acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le scelte personali e adeguate: Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png a. al proseguimento degli studi di ordine superiore b. all’inserimento nella vita sociale c. all’inserimento nel mondo del lavoro 2. D.P.R. n. 88/2010, art. 2 – Identità degli istituti tecnici: L’identità degli istituti tecnici si caratterizza per una solida base culturale di carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell’Unione europea, costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico ed è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all’esercizio di professioni tecniche, saperi e competenze necessari: a. per un rapido inserimento nel mondo del lavoro b. per l’accesso all’università c. per l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore 3. D.P.R. n. 87/2010, art. 2 – Identità degli istituti professionali: L’identità degli istituti professionali si caratterizza per una solida base di istruzione generale e tecnico-professionale, che consente agli studenti di sviluppare, in una dimensione operativa, saperi e competenze necessari per rispondere alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento, considerato nella sua dimensione sistemica: a. per un rapido inserimento nel mondo del lavoro b. per l’accesso all’università c. per l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore Dalla sinossi possiamo ricavare alcune osservazioni sui tratti precipui della formazione liceale: i licei forniscono “strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà”: non sono quindi espressamente indirizzati a preparare “professioni tecniche” o “alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento”, pur non escludendo “l’inserimento nel mondo del lavoro” l’obiettivo è quello di trasformare i “saperi” in organica consapevolezza dell’unità della cultura, in grado di aiutare i giovani alla costruzione di una visione del mondo capace di coglierne le complessità e stratificazione i licei chiedono allo studente di porsi “con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi”: la realtà, così declinata, non è specificamente quella dello “sviluppo economico e produttivo del Paese” o della “dimensione operativa”. Al termine dei percorsi liceali la prima opzione, fra quelle proposte, è quella del “proseguimento degli studi di ordine superiore”, anzitutto l’università: si noti invece che il “rapido inserimento nel mondo del lavoro” è la prima opzione che viene posta al termine dei percorsi tecnici e professionali. I percorsi liceali hanno durata quinquennale, sviluppandosi in due periodi biennali e in un quinto anno che completa il percorso disciplinare. L’area liceale comprende 6 percorsi: 1. il liceo artistico 2. il liceo classico 3. il liceo musicale e coreutico 4. il liceo scientifico 5. il liceo delle scienze umane Nel quinto anno dei licei è previsto l’insegnamento di una disciplina non linguistica in una lingua straniera (CLIL, Content and Language Integrated Learning). Nel liceo linguistico, data la sua particolare vocazione, è previsto un duplice insegnamento CLIL: dal primo anno del secondo biennio per il primo dal secondo anno del secondo biennio per il secondo Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Il voto in comportamento. Uno degli interventi normativi più significativi varato durante il ministero Gelmini è stata la legge n. 169/2008. Nel periodo antecedente l’emanazione della legge, una serie di episodi di cyberbullismo e alcune inchieste giornalistiche avevano messo in risalto il fenomeno degli alunni violenti come una delle criticità della scuola italiana. La legge n. 169/2008, all’art. 2, reintrodusse nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado il voto comportamento, stabilendo che esso concorresse alla valutazione complessiva dello studente e determinasse, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso e all’esame conclusivo del ciclo. L’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo dell’istruzione nel D.Lgs. 62/2017. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 13 aprile 2017, n.62 “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107” è stata ancora una volta cambiata la disciplina dell’esame conclusivo dei corsi del secondo ciclo dell’istruzione. La riforma ha avuto applicazione a partire dall’anno scolastico 2018/2019. L’esame di Stato ha la funzione di verificare i livelli di apprendimento conseguiti in relazione alle conoscenze, abilità e competenze proprie di ogni indirizzo di studi, con riferimento alle Indicazioni nazionali per i licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali; ne viene esplicitata anche la funzione orientativa, sia per il proseguimento degli studi di ordine superiore sia per l’inserimento lavorativo. Per l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo sono previste due prove di carattere nazionale, seguite da un colloquio. La prima prova scritta rimane quella di italiano, la seconda prova nazionale, ha per oggetto una o più discipline caratterizzanti il corso di studio ed è intesa ad accertare le conoscenze, le abilità e le competenze attese dal Profilo educativo, culturale e professionale dello specifico indirizzo. Cambia anche l’impostazione del colloquio, che ha la finalità di accertare il conseguimento del profilo educativo, culturale e professionale dello studente (art. 17, D.Lgs. 62/2017). Mentre, nel passato, il colloquio aveva inizio con un argomento disciplinare o pluridisciplinare scelto dal candidato, la nuova formulazione prevede che sia la commissione a proporre al candidato di analizzare testi, esperienze, problemi. A ciascuna delle prove d’esame (scritti e colloquio) viene attribuito dalla commissione d’esame un massimo di venti punti, per un totale non superiore a sessanta punti. A conclusione dell’esame di Stato è assegnato a ciascun candidato un voto finale complessivo in centesimi, risultato della somma dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove scritte e al colloquio nonché dei punti per il credito scolastico acquisito da ciascun candidato: per quest’ultimo, il punteggio massimo è 40. La certificazione delle competenze: il D.M. n. 742 del 2017. Viene rilasciata nei momenti conclusivi delle quattro fasi del percorso di istruzione e di formazione e, precisamente, al termine dell’anno conclusivo: 1. della scuola primaria 2. della scuola secondaria di primo grado 3. dell’adempimento dell’obbligo di istruzione 4. del secondo ciclo dell’istruzione La certificazione descrive lo sviluppo dei livelli delle competenze chiave e delle competenze di cittadinanza progressivamente acquisite dagli alunni, anche sostenendo e orientando gli stessi verso la scuola del secondo ciclo. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png 2. in sede di ammissione all’esame di Stato: riproposizione del consiglio orientativo, eventualmente aggiornato al giudizio di ammissione agli esami stessi 3. in sede di certificazione finale delle competenze, in esito all’esame di Stato: verifica ultima del consiglio orientativo Dall’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” a quello di “Educazione civica”. Il 21 agosto 2019 è stata pubblicata sulla G.U. la legge 20 agosto 2019, n. 92, “Introduzione all’insegnamento scolastico dell’educazione civica. In verità, la scuola italiana, fin dalla metà degli anni Cinquanta, ha sempre conosciuto l’insegnamento dell’educazione civica, pur sotto varie forme e denominazioni, tra le più recenti quella di “Cittadinanza e Costituzione”. Allora, qual è la specificità della legge n. 92/2019? E perché si è inteso superare l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” abrogando l’articolo di legge che l’aveva istituito? Il nuovo provvedimento è nato da una proposta di legge d’iniziativa popolare, promossa dall’ANCI (Associazione nazionale Comuni d’Italia) col fine di istituire l’insegnamento di “educazione alla cittadinanza come materia autonoma con voto, nei curricula scolastici di ogni ordine e grado”. L’insegnamento dell’educazione civica va previsto nel PTOF specificandone il monte ore, che non può essere inferiore alle 33 annue da svolgersi nell’ambito del curricolo obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti: eventualmente le scuole possono avvalersi della quota di autonomia. Nel primo ciclo è affidato in contitolarità, sulla base del curricolo d’istituto. Nel secondo ciclo, l’insegnamento è affidato ai docenti delle discipline giuridiche ed economiche; qualora non presenti, vale l’indicazione fornita per le scuole del primo ciclo. Circa i contenuti, si è in attesa che il ministero emani linee guida che individuino specifici traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi specifici di apprendimento, in coerenza con le Indicazioni nazionali adottate per i vari segmenti dell’istruzione. L’esigenza di una valutazione dell’Educazione civica che sia puntuale e autonoma rispetto alle altre discipline, è stata una delle basi della proposta formulata dall’ANCI. L’art. 2 della legge dispone che l’insegnamento dell’educazione civica sia oggetto delle valutazioni periodiche e finali previste dal D.Lgs. 62/2017 per le classi del primo ciclo e dal D.P.R. n. 122/2009 per le classi del secondo ciclo. Ai sensi dell’art. 2, la legge n. 92/2019 entra nel pieno dei suoi effetti a decorrere dal 1° settembre del primo anno scolastico successivo all’entrata in vigore della legge stessa, avvenuta in data 5 settembre 2019, ad anno iniziato: la sua cogenza decorre, quindi, dall’a.s. 2020/21. Era intenzione del ministero proporne la sperimentazione nel corso dell’a.s. 2019/20, ma sul punto il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ha espresso parere negativo. Conseguentemente, per l’a.s. 2019/20, continua ad essere impartito l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” applicando altresì le norme relative alla sua valutazione e al colloquio nell’ambito dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo. I vigenti organi collegiali delle istituzioni scolastiche e il loro funzionamento. Sono presi in considerazione in questa analisi sintetica degli organi collegiali dell’istituzione scolastica: il consiglio di circolo o di istituto il collegio dei docenti i consigli di intersezione, di interclasse e di classe il comitato per la valutazione del servizio dei docenti le assemblee studentesche e dei genitori Nella scuola, gli organi collegiali che hanno rilevanza esterna sono: il consiglio di istituto per gli aspetti organizzativi, regolamentari e finanziari nonché per i più gravi provvedimenti disciplinari a carico degli studenti Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png il consiglio di classe per la valutazione degli apprendimenti, l’ammissione alla classe successiva o agli esami di Stato, i provvedimenti disciplinari a carico degli studenti Il collegio dei docenti è un organo tecnico, competente all’interno dell’istituto nell’ambito delle attribuzioni che gli sono riservate; non ha rilevanza esterna. Il consiglio d’istituto. Il consiglio di circolo (nelle scuole elementari) o di istituto (nelle scuole secondarie) fu voluto dal legislatore come organo di indirizzo e di regolamentazione della scuola e, insieme, come luogo di formazione della volontà collettiva dell’istituzione scolastica, espressa dalle sue componenti: famiglie e studenti, personale della scuola. Organo elettivo, esercita funzioni di indirizzo politico-amministrativo mentre al dirigente scolastico spetta la gestione della scuola e del personale. Il consiglio d’istituto è composto dai rappresentanti elettivi: dei genitori degli alunni del personale docente e non docente degli studenti nella scuola secondaria di secondo grado Il dirigente scolastico è membro di diritto. Il consiglio d’istituto è la sede del confronto fra l’istituzione e la società del territorio in cui la scuola agisce. All’interno dell’istituto il consiglio è l’interlocutore del collegio dei docenti: se il collegio è l’organo dell’elaborazione della programmazione educativa e didattica nonché del Piano triennale dell’offerta formativa, il consiglio è la sede della deliberazione sulle proposte del collegio in merito all’offerta formativa nonché del sostegno organizzativo e finanziario per la sua attuazione. Esso ha quindi potere deliberante nei seguenti settori fondamentali: l’approvazione del Piano triennale dell’offerta formativa l’organizzazione e la programmazione della vita della scuola la materia finanziaria la materia regolamentare Il collegio dei docenti. Composto da tutti gli insegnanti di ruolo e non di ruolo in servizio alla data di convocazione, il collegio dei docenti è organo collegiale annuale: quindi decade e si rinnova ad ogni inizio di anno scolastico, con la necessità di rinnovare, almeno per formale riconferma, i propri atti essenziali dell’anno precedente. È convocato e presieduto dal dirigente scolastico. Nella veste di presidente del collegio, pertanto, vi esprime non la preminenza gerarchica bensì la competenza specifica della dirigenza nonché la gestione unitaria dell’istituzione, nell’equilibrata tutela dei diritti in essa costituzionalmente tutelati: il diritto all’apprendimento degli alunni la libertà di insegnamento dei docenti la libertà di scelta educativa da parte delle famiglie Dalla sua posizione di primis inter pares deriva che: egli esercita il diritto di voto il suo voto prevale in caso di parità tra favorevoli e contrari in una votazione a scrutinio palese La convocazione del collegio è obbligatoria: all’inizio di ogni anno scolastico almeno una volta per ogni trimestre o quadrimestre nel caso in cui la relativa richiesta sia sottoscritta da almeno un terzo dei docenti Il collegio dei docenti ha potere deliberante in una serie di materie: funzionamento didattico dell’istituto, in particolare la programmazione educativa e didattica Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png valutazione periodica dell’andamento complessivo dell’azione didattica adozione dei libri di testo promozione di iniziative e sperimentazione promozione di iniziative di aggiornamento per gli insegnanti programmazione e attuazione di iniziative per il sostegno degli alunni disabili o con DSA; integrazione degli alunni stranieri; recupero degli alunni in difficoltà di apprendimento L’attività del collegio dei docenti si interseca di frequente con quella del consiglio d’istituto, dal quale si distingue per una diversa competenza generale. Paradigma significativo della collaborazione fra i due organi è la costituzione del Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF), elaborato dal collegio dei docenti e deliberato dal consiglio d’istituto. I consigli di intersezione, di interclasse e di classe. Con la dizione di consigli di intersezione nella scuola dell’infanzia, di interclasse nella scuola primaria e di casse nella scuola secondaria si intendono le riunioni degli insegnanti che li compongono, integrati, in specifici momenti, dai genitori e dagli studenti (nella scuola del secondo ciclo), eletti annualmente quali rappresentanti delle rispettive componenti. I consigli si riuniscono secondo due diverse modalità: con la sola presenza dei docenti con la presenza dei docenti e dei rappresentanti di classe eletti dai genitori (e dagli studenti nella scuola secondaria di secondo grado) Durante le riunioni con la sola presenza dei docenti, gli insegnanti svolgono “le competenze relative alla realizzazione del coordinamento didattico e dei rapporti interdisciplinari”; compete loro ugualmente, anche con le operazioni di scrutinio, la valutazione, periodica e finale, degli alunni. Ai consigli di intersezione, di interclasse e di classe con la presenza dei rappresentanti dei genitori e degli studenti, sono assegnati i compiti di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica nonché di agevolare ad estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori ed alunni. Hanno altresì la competenza dell’approvazione del piano annuale delle visite e dei viaggi di istruzione. Inoltre, essi esprimono parere sull’adozione dei libri di testo e verificano l’andamento complessivo dell’attività didattica nelle classi di competenza. Nella scuola secondaria hanno la competenza dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari agli studenti, fino all’allontanamento delle lezioni di durata non superiore a 15 giorni. Il comitato per la valutazione dei docenti. Una delle principali innovazioni introdotte nell’ordinamento scolastico dalla legge n. 107/2015 ha comportato la riscrittura dell’art. 11 “Comitato per la valutazione del servizio dei docenti” del T.U.: tale novella cambia sia la composizione dell’organo collegiale sia la sua collocazione nel quadro dell’istituzione scolastica. Il comitato di valutazione nel Testo Unico (D.Lgs. n. 297/1994, art. 11): è organo interno al collegio dei docenti, eletto dai docenti stessi è presieduto dal dirigente scolastico è composto da 4 docenti effettivi (oltre a 2 docenti supplenti) nelle scuole con più di 50 docenti dura in carica un anno scolastico Il comitato di valutazione, con la legge n. 107/2015 (art. 1, c. 29): è organo del consiglio d’istituto è presieduto dal dirigente scolastico è composto da 6 membri (tre docenti, di cui due scelti dal collegio e uno dal consiglio di istituto, due rappresentanti dei genitori, per la scuola del primo ciclo, un rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori per la scuola del secondo ciclo, scelti dal consiglio d’istituto, infine, un componente esterno individuato dall’USR tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici) dura in carica un triennio Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Sotto il profilo giuridico, l’INVALSI rientra nella categoria delle “Agenzie”, le quali comportano una formula organizzativa che scorporano dall’organizzazione diretta dei Ministeri alcune funzioni che possono essere più efficacemente svolte attraverso il loro conferimento a strutture fornite di autonomia e sottoposte al controllo della Corte dei conti. Con D.P.R. 28 marzo 2013, n. 80 ha preso il via il “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”. I soggetti che concorrono alla costituzione del Sistema nazionale di valutazione (SNV) sono: l’INVALSI l’INDIRE il contingente ispettivo L’art. 3 regolamenta le funzioni dell’INVALSI: assicurare il coordinamento funzionale dell’SNV proporre protocolli di valutazione e il programma delle visite alle istituzioni scolastiche da parte dei nuclei di valutazione esterna definire gli indicatori di efficienza e di efficacia in base ai quali l’SNV individua le istituzioni scolastiche che necessitano di supporto e da sottoporre prioritariamente a valutazione esterna definire gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici curare la selezione, la formazione e l’inserimento in un apposito elenco degli esperti dei nuclei per la valutazione esterna Circa la collaborazione degli insegnanti e delle scuole all’effettuazione delle rilevazioni dell’INVALSI, si tenga presente che essa è divenuta obbligatoria in quanto “attività ordinaria d’istituto” (legge 4 aprile 2012, n. 35). Dalla Mostra Didattica Nazionale del 1925 all’INDIRE. INDIRE è acronimo di Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. L’idea che la scuola avesse bisogno di un centro di documentazione e di studio, finalizzato a investire in formazione e innovazione e a sostenere i processi di miglioramento, è antica quanto la scuola stessa. La prima attivazione di quest’idea risale al 1925: in quell’anno, infatti, l’INDIRE nasce a Firenze come Mostra didattica nazionale sui prodotti delle scuole “nuove”, quelle che realizzavano l’idea di Giuseppe Lombardo Radice di una didattica intesa come esperienza “attiva”. Nel 1929, per dare una sede permanente alla Mostra, viene istituito il Museo Didattico Nazionale che nel 1941 diviene Centro Didattico Nazionale. Nel 1953, in ottemperanza a quanto disposto della legge n. 1545 del 1942, si ebbe l’effettiva costituzione di altri 10 centri sparsi su tutto il territorio nazionale e il passaggio del CDN di Firenze a Centro Didattico di Studi e Documentazione di Studi e Documentazione. La storia moderna dell’INDIRE comincia però con i decreti delegati. L’art. 14 del D.P.R. n. 419/1974 istituiva infatti la Biblioteca di documentazione pedagogica (BDP), con sede in Firenze e, in ciascun Regione, gli Istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi (IRRSAE: art. 9 e seguenti). Il decreto 419 riconosceva personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia amministrativa alla BDP e le affidava le seguenti attività: 1) raccolta, conservazione e valorizzazione del materiale bibliografi co e di documentazione didattico-pedagogica in collaborazione con gli istituti regionali e con il Centro europeo dell’educazione; 2) sviluppo e funzionamento della biblioteca pedagogica nazionale a servizio delle istituzioni e degli studiosi, oltre che del personale della scuola. L’istituzione dell’Unione europea a seguito del Trattato di Maastricht (1992) dava prospettive di unione politica, e non solo economica, alle vecchie Comunità europee e, insieme, apriva nuove prospettive alla cittadinanza europea e alla dimensione europea dell’insegnamento. Negli stessi anni si Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png attuavano importanti riforme nel sistema scolastico italiano come l’introduzione dell’autonomia scolastica (legge n. 59/1997), l’istituzione del sistema nazionale dell’istruzione, composto dalle scuole statali e dalle scuole paritarie (legge 62/2000) e la riforma del sistema dell’istruzione (legge n. 53/2003, c.d. “riforma Moratti”). Con l’art. 2 del D.Lgs. n. 258/1999 la BDP fu trasformata in INDIRE (Istituto nazionale di documentazione per l’innovazione e la ricerca educativa), sottoposto alla vigilanza del Ministero della pubblica istruzione e collegato con gli IRRSAE; questi ultimi furono però soppressi con legge n. 296/2006 (art. 1, c. 610 e 611). Al neonato Istituto furono attribuiti, oltre ai compiti già svolti dalla BDP, nuovi campi di impegno a fi anco delle istituzioni scolastiche autonome: lo sviluppo di un sistema di documentazione finalizzato alle esperienze di ricerca e innovazione didattica e pedagogica in ambito nazionale e internazionale; la creazione di servizi e materiali a sostegno dell’attività didattica e del processo di autonomia; lo sviluppo dei sistemi tecnologici e documentari; la collaborazione con il Ministero della pubblica istruzione per la gestione dei programmi e dei progetti dell’Unione europea. Fra il 2007 e il 2011, a seguito della Legge 296/2006, l’INDIRE divenne Ansas, Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, salvo poi recuperare il precedente nome (INDIRE) a partire dal primo settembre 2012 (D.L. 98/2011 convertito con modificazioni dalla Legge 111/2011). Oggi l’ente, con l’INVALSI e il corpo ispettivo del MIUR, è parte del Sistema Nazionale di Valutazione in materia di istruzione e formazione (art. 2 del D.P.R. 80/2013, Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione). L’INDIRE parte del Sistema Nazionale di valutazione. In particolare, secondo l’articolo 4 del Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, l’INDIRE concorre a realizzare gli obiettivi del Sistema Nazionale di Valutazione attraverso il supporto alle istituzioni scolastiche nella definizione e attuazione dei piani di miglioramento della qualità dell’offerta formativa e dei risultati degli apprendimenti degli studenti, autonomamente adottati dalle stesse. A tal fi ne, cura il sostegno ai processi di innovazione centrati sulla diffusione e sull’utilizzo delle nuove tecnologie, attivando coerenti progetti di ricerca tesi al miglioramento della didattica, nonché interventi di consulenza e di formazione in servizio del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario e dei dirigenti scolastici, anche sulla base di richieste specifiche delle istituzioni scolastiche (art. 4 D.P.R. 80/2013). L’Istituto utilizza le nuove tecnologie per la formazione in servizio del personale docente, non docente, dei dirigenti scolastici. La mission dell’INDIRE è infatti quella di sostenere l’innovazione in atto nelle scuole italiane e indirizzare i processi di trasformazione delle metodologie e degli strumenti didattici, delle architetture interne ed esterne delle scuole del nostro Paese, degli arredi e degli ambienti di apprendimento. L’Istituto è infatti un punto di riferimento per la ricerca educativa in Italia: sviluppa nuovi modelli didattici, sperimenta l’utilizzo delle nuove tecnologie nei percorsi formativi, promuove la ridefinizione del rapporto fra spazi e tempi dell’apprendimento e dell’insegnamento. L’Istituto vanta una consolidata esperienza nella formazione in servizio del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario e dei dirigenti scolastici ed è stato protagonista di alcune delle più importanti esperienze di e-learning a livello europeo. Attraverso monitoraggi quantitativi e qualitativi, banche dati e rapporti di ricerca, l’INDIRE osserva e documenta i fenomeni legati alla trasformazione del curricolo nell’istruzione tecnica e professionale e ai temi di scuola e lavoro. Il D.M. 850/2015 affida inoltre all’INDIRE il compito di realizzare e aggiornare la piattaforma digitale per i docenti neoassunti, uno strumento online che deve essere in grado di accompagnare e supportare Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png gli insegnanti con una serie di attività guidate di analisi e di riflessione sul loro percorso professionale durante tutto il periodo di formazione. L’INDIRE, infine, guarda all’Europa attraverso il Lifelong Learning Programme e le tante collaborazioni internazionali, contribuendo allo sviluppo di una rete di contatti, scambi, flussi di informazioni ed esperienze fra scuole, studenti, aziende e istituzioni di tutti i Paesi dell’Unione europea. Insieme all’Invalsi e al corpo ispettivo del Ministero dell’Istruzione, l’INDIRE è parte del Sistema Nazionale di Valutazione in materia di istruzione e formazione. In questo ambito, l’Istituto sviluppa azioni di sostegno ai processi di miglioramento della didattica per l’innalzamento dei livelli di apprendimento e il buon funzionamento del contesto scolastico. L’Istituto ha il compito di gestire Erasmus+, il nuovo programma dell’Unione europea per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport per il periodo 2014-2020. Sempre in ambito internazionale, l’Indire fa parte del Consorzio EUN – European Schoolnet, composto da 31 Ministeri dell’Educazione dei Paesi europei, che promuove l’innovazione nei processi educativi in una dimensione transnazionale. L’Istituto guarda all’Europa anche attraverso le sue tante collaborazioni, grazie alle quali contribuisce allo sviluppo di una rete di contatti, scambi, flussi di informazioni ed esperienze fra scuole, studenti, aziende e istituzioni di tutti i Paesi dell’Unione europea. La legge n. 104/1992. La legge 5 febbraio 1992, n. 104, è stata (ed è, con le successive integrazioni) la “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. Ha l’obiettivo di garantire l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap: il suo riferimento è, quindi, la classificazione dell’ICIDH. Il concetto di integrazione è mirato a ottenere la piena partecipazione della persona con handicap alla vita della società. Esso si contrappone al concetto di emarginazione e di esclusione della persona con handicap. L’integrazione deve avvenire nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società. La persona con handicap viene definita all’art. 3 commi 1 e 2 della L. 104/1992: “È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. Si delinea, quindi, il paradigma di una minorazione che causa una difficoltà (una disabilità) e che determina uno svantaggio sociale (un handicap). Pertanto, la L. 104/1992 riprende complessivamente il paradigma presentato nella ICIDH: MINORAZIONE DIFFICOLTÁ (Disabilità) SVANTAGGIO (Handicap) All’art. 12 commi 3 e 4, L. 104/1992 viene indicata la finalità dell’integrazione scolastica e viene sancito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata: “3. L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione. 4. L’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap”. Il comma 5 dello stesso art. 12 presenta le tappe che garantiscono l’integrazione scolastica e il diritto all’educazione e alla formazione dello studente disabile: “All’individuazione dell’alunno come persona handicappata ed all’acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della Pubblica Istruzione. Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche e sociali ed affettive dell’alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Inoltre, poiché non si tratta di DSA, questi disturbi non possono essere certificati ai sensi della L. 170/2010, che consente di fruire di particolari metodologie, strumenti compensativi e misure dispensative, al fine di garantire l’apprendimento. Proprio per fornire alle istituzioni scolastiche opportuni strumenti di lavoro al fine di garantire il successo formativo anche di questi studenti, la Direttiva del 27 dicembre 2012 menziona la possibilità di estendere, anche a loro, le disposizioni previste dalla L. 170/2010. Difatti, nella direttiva si afferma che “è bene precisare che alcune tipologie di disturbi, non esplicitati nella legge 170/2010, danno diritto ad usufruire delle stesse misure ivi previste in quanto presentano problematiche specifiche in presenza di competenze intellettive nella norma”. Più avanti si ribadisce ancora che “vi è quindi la necessità di estendere a tutti gli alunni con bisogni educativi speciali le misure previste dalla legge 170 per alunni e studenti con disturbi specifici di apprendimento”. La promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità nella legge n. 107/2015 e nei decreti attuativi. Una delle deleghe legislative previste dalla legge n. 107/2015 è relativa alla “promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione “. Tale delega fu esercitata con l’emanazione, in data 13 aprile 2017, del D.Lgs. n. 66 rubricato “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”: l’entrata in vigore vi era prevista con decorrenza primo gennaio 2019. Nel frattempo, tuttavia, su impulso dell’Osservatorio permanente sull’inclusione scolastica (istituito dallo stesso decreto, art. 15) fu elaborata una serie di modifiche al D.Lgs. n. 66/2017, modifiche confluite nel D.Lgs. n. 96 del 7 agosto 2019, recante “Disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 66.” Pertanto, il testo di riferimento per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è oggi costituito dal D.Lgs. n. 66 del 2017 come integrato e corretto dal D.Lgs. n. 96 del 2019. L’entrata in vigore delle innovazioni ivi contenute decorre, in generale, dal 1° settembre 2019: da tale data è stata disposta, altresì, la soppressione del D.P.R. 24 febbraio 1994, ossia l’Atto di indirizzo che per oltre venti anni ha costituito la linea di raccordo tra istituzioni sanitarie e istituzioni scolastiche nella costruzione di passaggi fondamentali, quali la Diagnosi funzionale, il Profilo dinamico funzionale e il PEI. La stessa legge n. 104/1992 è stata novellata in alcuni passaggi. Di conseguenza, tutte le citazioni della legge n. 104/1992 e del D.Lgs. n. 66/2017, esposte nel corso delle pagine successive, si intendono aggiornate dalle “Disposizioni integrative e correttive” di cui al D.Lgs. n. 96/2019. Il Piano per l’inclusione. L’inclusione costituisce impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica le quali, nell’ambito degli specifici ruoli e responsabilità, concorrono ad assicurare il successo formativo degli studenti promuovendo la partecipazione della famiglia, nonché delle associazioni di riferimento, quali interlocutori dei processi di inclusione scolastica e sociale. Con il D.Lgs. n. 66/2017 trovano riconoscimento legislativo le anticipazioni contenute nella C.M. n. 8 del 6 marzo 2013, che invitava i collegi dei docenti alla costruzione del Piano annuale per l’inclusività. In effetti, l’art. 8 del D.Lgs. n. 66 istituzionalizza, nell’ambito del Piano triennale dell’offerta formativa, il Piano per l’inclusione. Esso definisce le modalità: per l’utilizzo coordinato delle risorse, compreso l’utilizzo complessivo delle misure di sostegno sulla base dei singoli PEI di ogni alunno; per il superamento delle barriere e l’individuazione dei facilitatori del contesto di riferimento, nel rispetto del principio di accomodamento ragionevole; per progettare e programmare gli interventi di miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Gli alunni stranieri. La nuova edizione delle Linee guida è stata emanata con nota ministeriale del 19 febbraio 2014, prot. n. 4233. Questo testo parte dalla constatazione che, negli anni intercorsi dal 2006 al 2014, gli alunni con cittadinanza non italiana sono raddoppiati, con una presenza più articolata; nel testo del 2014 sono inoltre maggiormente sottolineati aspetti legati all’orientamento e alla frequenza del secondo ciclo. Nelle Linee Guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri del 2006 si chiariva l’aspetto dell’obbligo scolastico, in quanto si afferma che esso è “integrato nel più ampio concetto di diritto- dovere all’istruzione e alla formazione, concerne evidentemente anche i minori stranieri che abbiano tra i 15 e i 18 anni”. Pertanto, l’iscrizione avviene secondo le modalità previste per gli alunni italiani. Inoltre, è consentita in qualunque periodo dell’anno scolastico (per gli stranieri che arrivano in Italia ad anno già iniziato). Le Linee guida del 2014 entrano più nel dettaglio relativamente ai documenti da acquisire all’atto dell’iscrizione. Quando gli alunni stranieri, che non parlano l’Italiano, vengono iscritti in una scuola del sistema di istruzione nazionale, hanno come prima necessità quella di apprendere l’Italiano come seconda lingua; spesso si fa riferimento a questo apprendimento come all’Italiano L2. Le Linee guida del 2014 delineano questo processo di apprendimento, ripartendolo in tre fasi: 1) fase iniziale dell’apprendimento dell’Italiano L2 per comunicare; 2) fase “ponte” di accesso all’Italiano dello studio; 3) fase degli apprendimenti comuni. In relazione ai Bisogni Educativi Speciali, le Linee guida sottolineano “il ruolo e le responsabilità delle istituzioni scolastiche autonome e dei docenti nella valutazione degli alunni stranieri non italofoni, anche attraverso strumenti di lavoro in itinere che abbiano la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento personalizzato programmate”. La valutazione degli alunni stranieri deve essere anch’essa formalmente identica a quella degli alunni italiani come indicato nell’art. 1 comma 9 del D.P.R. 122/2009. Le Linee guida 2014 per l’esame al termine del primo ciclo stabiliscono che “nel caso di notevoli difficoltà comunicative, è possibile prevedere la presenza di docenti o mediatori linguistici competenti nella lingua d’origine degli studenti per facilitare la comprensione”, mentre per l’esame al termine del secondo ciclo “sono da considerarsi crediti formativi eventuali percorsi di mantenimento e sviluppo della lingua d’origine”. La nota MIUR del 18 dicembre 2014. I dati sulle adozioni internazionali evidenziano come si tratti di un fenomeno di forte rilievo: fra il 2010 e il 2013 sono stati infatti adottati circa 14.000 minori nati all’estero (nello stesso periodo, le adozioni nazionali sono state 4.000). Il trend sembra essere in diminuzione (dopo un picco toccato nel 2010 con 4.130 bambini stranieri adottati nel nostro Paese ci si è attestati a circa 2mila nel 2014) ma rappresenta comunque un fenomeno che coinvolge tutte le istituzioni del nostro Paese. L’età media d’ingresso in Italia dei minori stranieri oscilla intorno ai 6 anni: ne consegue che il sistema d’istruzione sia una delle istituzioni più coinvolte nel processo di accoglienza. Consapevole di tale ruolo, il MIUR nel dicembre 2014 ha diffuso delle apposite Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati (nota MIUR prot. n. 7443 del 18 dicembre 2014) con l’obiettivo di fornire conoscenze teoriche e metodologiche che aiutino tutti coloro che operano nel mondo scolastico a garantire il necessario supporto ai bambini adottati e alle loro famiglie. Si tratta di un documento che, stante l’identità di problematiche, in molti punti richiama le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, solo di pochi mesi precedente. Le aree critiche. Il documento propone un quadro non univoco di situazioni: i bambini adottati presentano condizioni molto differenti fra loro, da un estremo di alta problematicità ad un altro di positivo adattamento. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Sembrerebbe accertata la presenza, tra i bambini adottati, di una percentuale di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) superiore a quella mediamente presente tra i coetanei non adottati. Occorre infatti considerare che, pur nell’estrema varietà di situazioni, vi sono alcune esperienze sfavorevoli che tutti i bambini adottati hanno sperimentato prima dell’adozione: la dolorosa realtà della separazione dai genitori di nascita e, a volte, anche dai fratelli e, oltre questi difficili eventi, molti di loro hanno sperimentato condizioni di solitudine, lunghi periodi di istituzionalizzazione, esperienze di maltrattamento fisico e/o psicologico. Taluni bambini vengono adottati dopo affidi o precedenti esperienze di adozione non riuscite. Per tale motivo, pur in assenza di DSA certificati, molti bambini adottati possono presentare problematiche nella sfera psico-emotiva e cognitiva tali da interferire con le capacità di apprendimento (in particolare con le capacità che ci si aspetterebbe in base all’età anagrafica). Tali difficoltà possono manifestarsi con deficit nella concentrazione, nell’attenzione, nella memorizzazione, nella produzione verbale e scritta, in alcune funzioni logiche. I bambini e i ragazzi, segnatamente quelli arrivati per adozione internazionale, hanno inoltre bisogno di essere accolti nel sistema scolastico con modalità rispondenti alle loro personali esigenze e alla scolarizzazione nei Paesi d’origine (occorre infatti considerare che, in molti dei Paesi di provenienza dei bimbi, il percorso scolastico inizia a sette anni). Negli ultimi anni sono inoltre andate significativamente aumentando le cosiddette adozioni di bambini con bisogni speciali (special needs adoption: adozioni di due o più minori; di bambini di sette o più anni di età; di bambini con significative problematiche di salute o di disabilità; di bambini reduci da esperienze particolarmente difficili e/o traumatiche); si tratta di situazioni che richiedono particolare attenzione in relazione all’inserimento e alla frequenza scolastica. Per quanto riguarda l’apprendimento dell’italiano, l’esperienza indica come, generalmente, i bambini adottati internazionalmente apprendano velocemente il vocabolario di base dell’italiano e le espressioni quotidiane mentre per il linguaggio più astratto, necessario per l’apprendimento scolastico avanzato i progressi avvengono più lentamente. Le buone prassi. Le Linee Guida si preoccupano inoltre di fornire alcune indicazioni sugli adempimenti amministrativo- burocratici. Il momento dell’iscrizione, nel caso delle adozioni nazionali e internazionali, può presentare numerose criticità. Ad esempio, poiché non può essere possibile prevedere il momento di arrivo dei bambini nei nuclei familiari adottivi, è comunque consentito alle famiglie - sia nei casi di adozione nazionale che internazionale – di iscrivere ed inserire i figli a scuola in qualsiasi momento dell’anno, anche dopo la chiusura delle procedure online, presentando la domanda di iscrizione direttamente alla scuola prescelta. In raccordo con le famiglie e con i servizi locali di supporto alla persona, con l’intento di favorire il benessere del minore e la costruzione dei legami affettivi con le nuove fi gure genitoriali, è possibile procrastinare l’inizio del percorso scolastico, anche con possibilità di deroga dall’iscrizione alla primaria al compimento dei sei anni e con la possibilità di rimanere un anno in più nella scuola dell’infanzia sulla base di apposito progetto. L’ambito comunicativo-relazionale. Il momento dell’accoglienza e del primo ingresso sono fondamentali per il benessere scolastico di ogni bambino ed in particolare di quelli adottati, sia nazionalmente che internazionalmente. L’accoglienza, l’integrazione e il successo formativo del bambino adottivo a scuola possono essere garantiti solo attraverso un processo di collaborazione tra famiglia, istituzione scolastica, équipes adozioni, Enti Autorizzati e gli altri soggetti coinvolti tra cui bisogna annoverare anche le associazioni cui sovente le famiglie fanno riferimento. Al fine di agevolare tale lavoro di rete, è auspicabile che ogni Istituzione scolastica individui un insegnante referente sul tema. Al primo contatto con la scuola, prima di iscrivere il figlio o la fi glia, i genitori potranno ricevere informazioni riguardanti l’organizzazione Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png 7) CONOSCENZA DEI SEGUENTI DOCUMENTI IN MATERIA EDUCATIVA: organizzazione delle nazioni unite - risoluzione adottata dall’assemblea generale il 25 settembre 2015 trasformare il nostro mondo: l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile; raccomandazione del consiglio dell’unione europea, relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 22 maggio 2018; risoluzione del consiglio su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione verso uno spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021- 2030) Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni. ‘Obiettivi comuni’ significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità. Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Obiettivo 1 Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo Obiettivo 2 Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile Obiettivo 3 Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età Obiettivo 4 Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti Obiettivo 5 Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze Obiettivo 6 Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico- sanitarie Obiettivo 7 Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni Obiettivo 8 Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti Obiettivo 9 Costruire un'infrastruttura resiliente e promuovere l'innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile Obiettivo 10 Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le nazioni Obiettivo 11 Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili Obiettivo 12 Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo Obiettivo 13 Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico* Obiettivo 14 Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile Obiettivo 15 Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre Obiettivo 16 Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile Obiettivo 17 Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile * Riconoscendo che la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici è il principale forum internazionale e intergovernativo per la negoziazione della risposta globale al cambiamento climatico. Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Competenze chiave per l’apprendimento permanente: quadro di riferimento europeo (RdC 22/05/2018). Contesto e obiettivi. Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro. Ogni persona ha diritto a un’assistenza tempestiva e su misura per migliorare le prospettive di occupazione o di attività autonoma. Ciò include il diritto a ricevere un sostegno per la ricerca di un impiego, la formazione e la riqualificazione. Questi principi sono definiti nel pilastro europeo dei diritti sociali. In un mondo in rapido cambiamento ed estremamente interconnesso ogni persona avrà la necessità di possedere un ampio spettro di abilità e competenze e dovrà svilupparle ininterrottamente nel corso della vita. Le competenze chiave, come definite nel presente quadro di riferimento, intendono porre le basi per creare società più uguali e più democratiche. Soddisfano la necessità di una crescita inclusiva e sostenibile, di coesione sociale e di ulteriore sviluppo della cultura democratica. I principali scopi del quadro di riferimento sono: a) individuare e definire le competenze chiave necessarie per l’occupabilità, la realizzazione personale e la salute, la cittadinanza attiva e responsabile e l’inclusione sociale; b) fornire uno strumento di riferimento europeo al servizio dei decisori politici, dei fornitori di istruzione e formazione, del personale didattico, degli specialisti dell’orientamento, dei datori di lavoro, dei servizi pubblici per l’impiego e dei discenti stessi; c) prestare sostegno agli sforzi compiuti a livello europeo, nazionale, regionale e locale, volti a promuovere lo sviluppo delle competenze in una prospettiva di apprendimento permanente. Competenze chiave. Ai fini della presente raccomandazione le competenze sono definite come una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti, in cui: a) la conoscenza si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento; b) per abilità si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi ed applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati; c) gli atteggiamenti descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire a idee, persone o situazioni. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza attiva. Esse si sviluppano in una prospettiva di apprendimento permanente, dalla prima infanzia a tutta la vita adulta, mediante l’apprendimento formale, non formale e informale in tutti i contesti, compresi la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro, il vicinato e altre comunità. Le competenze chiave sono considerate tutte di pari importanza; ognuna di esse contribuisce a una vita fruttuosa nella società. Le competenze possono essere applicate in molti contesti differenti e in combinazioni diverse. Esse si sovrappongono e sono interconnesse; gli aspetti essenziali per un determinato ambito favoriscono le competenze in un altro. Elementi quali il pensiero critico, la risoluzione di problemi, il lavoro di squadra, le abilità comunicative e negoziali, le abilità analitiche, la creatività e le abilità interculturali sottendono a tutte le competenze chiave. Il quadro di riferimento delinea otto tipi di competenze chiave: 1) competenza alfabetica funzionale, 2) competenza multilinguistica, 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria, 4) competenza digitale, 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare, Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png 6) competenza in materia di cittadinanza, 7) competenza imprenditoriale, 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali 1. Competenza alfabetica funzionale. La competenza alfabetica funzionale indica la capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali visivi, sonori e digitali attingendo a varie discipline e contesti. Essa implica l’abilità di comunicare e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo opportuno e creativo. Il suo sviluppo costituisce la base per l’apprendimento successivo e l’ulteriore interazione linguistica. A seconda del contesto, la competenza alfabetica funzionale può essere sviluppata nella lingua madre, nella lingua dell’istruzione scolastica e/o nella lingua ufficiale di un paese o di una regione. Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza Tale competenza comprende la conoscenza della lettura e della scrittura e una buona comprensione delle informazioni scritte e quindi presuppone la conoscenza del vocabolario, della grammatica funzionale e delle funzioni del linguaggio. Ciò comporta la conoscenza dei principali tipi di interazione verbale, di una serie di testi letterari e non letterari, delle caratteristiche principali di diversi stili e registri della lingua. Le persone dovrebbero possedere l’abilità di comunicare in forma orale e scritta in tutta una serie di situazioni e di sorvegliare e adattare la propria comunicazione in funzione della situazione. Questa competenza comprende anche la capacità di distinguere e utilizzare fonti di diverso tipo, di cercare, raccogliere ed elaborare informazioni, di usare ausili, di formulare ed esprimere argomentazioni in modo convincente e appropriato al contesto, sia oralmente sia per iscritto. Essa comprende il pensiero critico e la capacità di valutare informazioni e di servirsene. Un atteggiamento positivo nei confronti di tale competenza comporta la disponibilità al dialogo critico e costruttivo, l’apprezzamento delle qualità estetiche e l’interesse a interagire con gli altri. Implica la consapevolezza dell’impatto della lingua sugli altri e la necessità di capire e usare la lingua in modo positivo e socialmente responsabile. 2. Competenza multilinguistica. Tale competenza definisce la capacità di utilizzare diverse lingue in modo appropriato ed efficace allo scopo di comunicare. In linea di massima essa condivide le abilità principali con la competenza alfabetica: si basa sulla capacità di comprendere, esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) in una gamma appropriata di contesti sociali e culturali a seconda dei desideri o delle esigenze individuali. Le competenze linguistiche comprendono una dimensione storica e competenze interculturali. Tale competenza si basa sulla capacità di mediare tra diverse lingue e mezzi di comunicazione, come indicato nel quadro comune europeo di riferimento. Secondo le circostanze, essa può comprendere il mantenimento e l’ulteriore sviluppo delle competenze relative alla lingua madre, nonché l’acquisizione della lingua ufficiale o delle lingue ufficiali di un paese. Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza. Questa competenza richiede la conoscenza del vocabolario e della grammatica funzionale di lingue diverse e la consapevolezza dei principali tipi di interazione verbale e di registri linguistici. È importante la conoscenza delle convenzioni sociali, dell’aspetto culturale e della variabilità dei linguaggi. Le abilità essenziali per questa competenza consistono nella capacità di comprendere messaggi orali, di iniziare, sostenere e concludere conversazioni e di leggere, comprendere e redigere testi, a livelli diversi di padronanza in diverse lingue, a seconda delle esigenze individuali. Le persone dovrebbero Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png Vi rientrano la capacità di individuare le proprie capacità, di concentrarsi, di gestire la complessità, di riflettere criticamente e di prendere decisioni. Ne fa parte la capacità di imparare e di lavorare sia in modalità collaborativa sia in maniera autonoma, di organizzare il proprio apprendimento e di perseverare, di saperlo valutare e condividere, di cercare sostegno quando opportuno e di gestire in modo efficace la propria carriera e le proprie interazioni sociali. Le persone dovrebbero essere resilienti e capaci di gestire l’incertezza e lo stress. Dovrebbero saper comunicare costruttivamente in ambienti diversi, collaborare nel lavoro in gruppo e negoziare. Ciò comprende: manifestare tolleranza, esprimere e comprendere punti di vista diversi, oltre alla capacità di creare fiducia e provare empatia. Tale competenza si basa su un atteggiamento positivo verso il proprio benessere personale, sociale e fisico e verso l’apprendimento per tutta la vita. Si basa su un atteggiamento improntato a collaborazione, assertività e integrità, che comprende il rispetto della diversità degli altri e delle loro esigenze, e la disponibilità sia a superare i pregiudizi, sia a raggiungere compromessi. Le persone dovrebbero essere in grado di individuare e fissare obiettivi, di automotivarsi e di sviluppare resilienza e fiducia per perseguire e conseguire l’obiettivo di apprendere lungo tutto il corso della loro vita. Un atteggiamento improntato ad affrontare i problemi per risolverli è utile sia per il processo di apprendimento sia per la capacità di gestire gli ostacoli e i cambiamenti. Comprende il desiderio di applicare quanto si è appreso in precedenza e le proprie esperienze di vita nonché la curiosità di cercare nuove opportunità di apprendimento e sviluppo nei diversi contesti della vita. 6. Competenza in materia di cittadinanza. La competenza in materia di cittadinanza si riferisce alla capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente alla vita civica e sociale, in base alla comprensione delle strutture e dei concetti sociali, economici, giuridici e politici oltre che dell’evoluzione a livello globale e della sostenibilità. Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza. La competenza in materia di cittadinanza si fonda sulla conoscenza dei concetti e dei fenomeni di base riguardanti gli individui, i gruppi, le organizzazioni lavorative, la società, l’economia e la cultura. Essa presuppone la comprensione dei valori comuni dell’Europa, espressi nell’articolo 2 del trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Comprende la conoscenza delle vicende contemporanee nonché l’interpretazione critica dei principali eventi della storia nazionale, europea e mondiale. Abbraccia inoltre la conoscenza degli obiettivi, dei valori e delle politiche dei movimenti sociali e politici oltre che dei sistemi sostenibili, in particolare dei cambiamenti climatici e demografici a livello globale e delle relative cause. È essenziale la conoscenza dell’integrazione europea, unitamente alla consapevolezza della diversità e delle identità culturali in Europa e nel mondo. Vi rientra la comprensione delle dimensioni multiculturali e socioeconomiche delle società europee e del modo in cui l’identità culturale nazionale contribuisce all’identità europea. Per la competenza in materia di cittadinanza è indispensabile la capacità di impegnarsi efficacemente con gli altri per conseguire un interesse comune o pubblico, come lo sviluppo sostenibile della società. Ciò presuppone la capacità di pensiero critico e abilità integrate di risoluzione dei problemi, nonché la capacità di sviluppare argomenti e di partecipare in modo costruttivo alle attività della comunità, oltre che al processo decisionale a tutti i livelli, da quello locale e nazionale al livello europeo e internazionale. Presuppone anche la capacità di accedere ai mezzi di comunicazione sia tradizionali sia nuovi, di interpretarli criticamente e di interagire con essi, nonché di comprendere il ruolo e le funzioni dei media nelle società democratiche. Il rispetto dei diritti umani, base della democrazia, è il presupposto di un atteggiamento responsabile e costruttivo. La partecipazione costruttiva presuppone la disponibilità a partecipare a un processo decisionale democratico a tutti i livelli e alle attività civiche. Comprende il sostegno della diversità sociale e culturale, della parità di genere e della coesione sociale, di stili di vita sostenibili, della promozione di una cultura di pace e non violenza, nonché della disponibilità a rispettare la privacy degli altri e a essere responsabili in campo ambientale. L’interesse per gli sviluppi politici e Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png socioeconomici, per le discipline umanistiche e per la comunicazione interculturale è indispensabile per la disponibilità sia a superare i pregiudizi sia a raggiungere compromessi ove necessario e a garantire giustizia ed equità sociali. 7. Competenza imprenditoriale. La competenza imprenditoriale si riferisce alla capacità di agire sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri. Si fonda sulla creatività, sul pensiero critico e sulla risoluzione di problemi, sull’iniziativa e sulla perseveranza, nonché sulla capacità di lavorare in modalità collaborativa al fine di programmare e gestire progetti che hanno un valore culturale, sociale o finanziario. Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza. La competenza imprenditoriale presuppone la consapevolezza che esistono opportunità e contesti diversi nei quali è possibile trasformare le idee in azioni nell’ambito di attività personali, sociali e professionali, e la comprensione di come tali opportunità si presentano. Le persone dovrebbero conoscere e capire gli approcci di programmazione e gestione dei progetti, in relazione sia ai processi sia alle risorse. Dovrebbero comprendere l’economia, nonché le opportunità e le sfide sociali ed economiche cui vanno incontro i datori di lavoro, le organizzazioni o la società. Dovrebbero inoltre conoscere i principi etici e le sfide dello sviluppo sostenibile ed essere consapevoli delle proprie forze e debolezze. Le capacità imprenditoriali si fondano sulla creatività, che comprende immaginazione, pensiero strategico e risoluzione dei problemi, nonché riflessione critica e costruttiva in un contesto di innovazione e di processi creativi in evoluzione. Comprendono la capacità di lavorare sia individualmente sia in modalità collaborativa in gruppo, di mobilitare risorse (umane e materiali) e di mantenere il ritmo dell’attività. Vi rientra la capacità di assumere decisioni finanziarie relative a costi e valori. È essenziale la capacità di comunicare e negoziare efficacemente con gli altri e di saper gestire l’incertezza, l’ambiguità e il rischio in quanto fattori rientranti nell’assunzione di decisioni informate. Un atteggiamento imprenditoriale è caratterizzato da spirito d’iniziativa e autoconsapevolezza, proattività, lungimiranza, coraggio e perseveranza nel raggiungimento degli obiettivi. Comprende il desiderio di motivare gli altri e la capacità di valorizzare le loro idee, di provare empatia e di prendersi cura delle persone e del mondo, e di saper accettare la responsabilità applicando approcci etici in ogni momento. 8. Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali. La competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali implica la comprensione e il rispetto di come le idee e i significati vengono espressi creativamente e comunicati in diverse culture e tramite tutta una serie di arti e altre forme culturali. Presuppone l’impegno di capire, sviluppare ed esprimere le proprie idee e il senso della propria funzione o del proprio ruolo nella società in una serie di modi e contesti. Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza. Questa competenza richiede la conoscenza delle culture e delle espressioni locali, nazionali, regionali, europee e mondiali, comprese le loro lingue, il loro patrimonio espressivo e le loro tradizioni, e dei prodotti culturali, oltre alla comprensione di come tali espressioni possono influenzarsi a vicenda e avere effetti sulle idee dei singoli individui. Essa include la comprensione dei diversi modi della comunicazione di idee tra l’autore, il partecipante e il pubblico nei testi scritti, stampati e digitali, nel teatro, nel cinema, nella danza, nei giochi, nell’arte e nel design, nella musica, nei riti, nell’architettura oltre che nelle forme ibride. Presuppone la consapevolezza dell’identità personale e del patrimonio culturale all’interno di un mondo caratterizzato da diversità culturale e la comprensione del fatto che le arti e le altre forme culturali possono essere strumenti per interpretare e plasmare il mondo. Le relative abilità comprendono la capacità di esprimere e interpretare idee figurative e astratte, esperienze ed emozioni con empatia, e la capacità di farlo in diverse arti e in altre forme culturali. Comprendono anche la capacità di riconoscere e realizzare le opportunità di valorizzazione personale, Versione del 22/12/2023 – Tommaso Png sociale o commerciale mediante le arti e altre forme culturali e la capacità di impegnarsi in processi creativi, sia individualmente sia collettivamente. È importante avere un atteggiamento aperto e rispettoso nei confronti delle diverse manifestazioni dell’espressione culturale, unitamente a un approccio etico e responsabile alla titolarità intellettuale e culturale. Un atteggiamento positivo comprende anche curiosità nei confronti del mondo, apertura per immaginare nuove possibilità e disponibilità a partecipare a esperienze culturali. Risoluzione del Consiglio su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione verso uno spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021- 2030). La risoluzione, adottata a febbraio 2021, definisce lo strumento principale a livello dell’Unione europea (Unione) per la cooperazione nel settore dell’istruzione e della formazione per il decennio corrente. Il quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione verso lo spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021-2030) mira a sostenere gli sforzi degli Stati membri dell’Unione volti a migliorare i sistemi nazionali di istruzione e formazione attraverso lo sviluppo di strumenti complementari a livello di Unione, l’apprendimento reciproco e lo scambio di buone pratiche tramite il metodo di coordinamento aperto. Fino al 2030, raggiungere e sviluppare ulteriormente lo spazio europeo dell’istruzione è l’obiettivo politico generale del quadro strategico. Punti chiave. Cinque priorità strategiche: 1) migliorare la qualità, l’equità, l’inclusione e il successo per tutti nell’istruzione e nella formazione; 2) fare in modo che l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e la mobilità divengano una realtà per tutte le persone; 3) rafforzare le competenze e la motivazione nelle professioni nel settore dell’istruzione; 4) rafforzare l’istruzione superiore europea; 5) sostenere le transizioni verde e digitale nell’istruzione e nella formazione e attraverso l’istruzione e la formazione. Traguardi a livello di Unione. Nella risoluzione del febbraio 2021, gli Stati membri hanno anche concordato sette traguardi a livello di Unione da raggiungere: 1) Quindicenni con scarsi risultati nelle competenze di base: la percentuale di quindicenni con scarsi risultati in lettura, matematica e scienze dovrebbe essere inferiore al 15 % entro il 2030. 2) Discenti all’ottavo anno della scuola dell’obbligo con scarsi risultati in termini di competenze digitali: la percentuale di discenti all’ottavo anno della scuola dell’obbligo con scarsi risultati in alfabetizzazione informatica dovrebbe essere inferiore al 15 % entro il 2030. 3) Partecipazione all’educazione e cura della prima infanzia: almeno il 96 % dei bambini di età compresa tra i 3 anni e l’età di inizio dell’istruzione primaria obbligatoria dovrebbe partecipare all’educazione e cura della prima infanzia entro il 2030. 4) Abbandono precoce dell’istruzione e della formazione: la percentuale di abbandono precoce dell’istruzione e della formazione dovrebbe essere inferiore al 9 % entro il 2030. 5) Completamento dell’istruzione terziaria: la percentuale di persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni che hanno completato l’istruzione terziaria dovrebbe essere almeno del 45 % entro il 2030. 6) Esposizione dei diplomati dell’IFP all’apprendimento basato sul lavoro: la percentuale di neodiplomati dell’IFP che beneficiano di un’esposizione all’apprendimento basato sul lavoro durante la loro istruzione e formazione professionale dovrebbe essere almeno del 60 % entro il 2025.