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Criminologia clinica e penitenziaria, esame a scelta. Riassunto libri e lezioni., Appunti di Criminologia

- “L’operatore penitenziario” è un testo di poche nozioni e tanto contenuto; (contiene la descrizione delle principali figure che si trovano all’interno di un carcere dall’educatore penitenziaro, alla polizia penitenziaria eccetera.. tramite testimonianze di professionisti) -> Da leggere più volte - COMPENDIO DI CRIMINOLOGIA, Gian Luigi Ponti e Mezzagora (quinta edizione) CHI NON HA FATTO LA LAUREA TRIENNALE ALL’UNIMORE SCIENZE DELL’EDUCAZIONE DEVE STUDIARE IL CAPITOLO DUE, CHI INVECE HA FATTO SCIENZE DELL’EDUCAZIONE ALL’UNIMORE LO RIPASSA E BASTA; PER TUTTI STUDIARE I CAPITOLI NOVE E DIECI DEL MANUALE. Questo testo servirà per capire la strategia di politica criminale adottata dal nostro legislatore, sia verso i minori che verso gli adulti, in una ottica rieducativa.

Tipologia: Appunti

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Scarica Criminologia clinica e penitenziaria, esame a scelta. Riassunto libri e lezioni. e più Appunti in PDF di Criminologia solo su Docsity! Criminologia clinica e penitenziaria LEZIONI IN AULA Prima lezione – 15 Marzo 2021, PRESENTAZIONE DEL CORSO Aspetti organizzativi: La professoressa sconsiglia uno studio mnemonico, desidererebbe una preparazione contenutistica e non nozionistica. Il programma è diverso a seconda che si sia fatta la triennale a Scienze dell’educazione UNIMORE o meno. TESTI : - “L’operatore penitenziario” è un testo di poche nozioni e tanto contenuto; (contiene la descrizione delle principali figure che si trovano all’interno di un carcere dall’educatore penitenziaro, alla polizia penitenziaria eccetera.. tramite testimonianze di professionisti) -> Da leggere più volte - COMPENDIO DI CRIMINOLOGIA, Gian Luigi Ponti e Mezzagora (quinta edizione) CHI NON HA FATTO LA LAUREA TRIENNALE ALL’UNIMORE SCIENZE DELL’EDUCAZIONE DEVE STUDIARE IL CAPITOLO DUE, CHI INVECE HA FATTO SCIENZE DELL’EDUCAZIONE ALL’UNIMORE LO RIPASSA E BASTA; PER TUTTI STUDIARE I CAPITOLI NOVE E DIECI DEL MANUALE. Questo testo servirà per capire la strategia di politica criminale adottata dal nostro legislatore, sia verso i minori che verso gli adulti, in una ottica rieducativa. L’educatore professionale si trova spesso a confrontarsi con figure istituzionali più consolidate quali dirigenti scolastici, insegnanti eccetera; tutte queste figure che nel nostro panorama sociale e normativo, hanno una consuetudine professionale più “di vecchia data” e consolidata se paragonate alla posizione dell’educatore. Accade quindi spesso, che l’educatore debba farsi strada con fatica all’interno di questi contesti; tuttavia nell’avanzare di questo corso, invece si vedrà come questa figura (quella dell’educatore penitenziario), trovi una posizione centrale e di immenso rilievo nel panorama penitenziario, tale figura fu pensata accuratamente dal legislatore (grazie alla riforma dell’ordinamento penitenziario, che costituisce la legge fondamentale di questo settore, una delle riforme più importanti del Ventesimo secolo che studieremo all’interno di questo corso). Dal ’75 in poi, tramite la legge di riforma, la situazione carceraria cambia radicalmente, per fare un esempio pratico, basti pensare che non esistevano neanche luoghi in cui fare interventi diretti prima di tale riforma, i colloqui spesso si tenevano all’interno del Box stesso; ad oggi sono stati fatti passi da gigante, le professionalità si sono pian piano consolidate (prima della riforma non esistevano figure di riferimento), anche se non senza problemi, dal momento che possiamo definire questo cambiamento un cammino complesso. L’educatore penitenziario in primo luogo, ha vissuto diverse crisi in quanto figura, prima di instaurarsi come protagonista all’interno di questo panorama. NB. Quando si parla di “operatore penitenziario” ci si riferisce generalmente a una qualsiasi figura che opera in questo contesto, “operatore penitenziario” è quindi una categoria nella quale rientrano le diverse figure che operano nel carcere, dall’educatore penitenziario (che oggi in realtà viene definito “funzionario giuridico di area pedagogica”, ma noi per comodità continueremo ad utilizzare “educatore penitenziario”, alle guardie ecc.) Si noti bene che: la riforma del 75 sopracitata, vale solamente per gli adulti (legge 354 del 1975), per quanto riguarda i minori vi è una differenza abissale, regolata dalla riforma del processo penale minorile del 1988. Ciò significa che: mentre per il maggiorenne esiste una separazione netta tra processo penale ed esecuzione della pena. In parole povere-> fino a che non si pronuncia la sentenza vi è presunzione di innocenza verso l’individuo in esame, quindi in Italia, fino a che il processo non è terminato, il soggetto non può essere ritenuto colpevole, dunque processo e pena sono separati (la pena inizia a venire scontata quando il processo è inesorabilmente finito). Ciò è diversissimo nella condizione di un minorenne, per il nostro sistema penale infatti, il minore autore di reato va accompagnato in un percorso di trattamento già prima di cerebrale il processo penale. Dunque, la riforma del’88 vede la presa in carico dei minori autori di reato per tutto il processo penale, indipendentemente dal fatto che il soggetto sia stato condannato oppure no, che sia colpevole oppure no; tutto questo perché quando si ha davanti un soggetto minore sospetto autore di reato, il corpo sociale decide di prenderlo in carico per poter ri-educare l’individuo che ci troviamo davanti. L’essere umano è una macchina straordinariamente complicata, ogni soggetto è unico, e le caratteristiche individuali determinano sicuramente le scelte della vita di ognuno, ma non solo le uniche determinanti da tenere in considerazione; siamo infatti la risultante anche del contesto sociale di cui facciamo parte (crescere in una famiglia piuttosto che in un’altra, ad esempio incide particolarmente sulla nostra vita-> crescere in una famiglia come noi la intendiamo o in una famiglia malavitosa presenta già a colpo d’occhio grandi differenze), e la criminologia si è fermata a ragionare su queste variabili. In particolare, le principali teorie sulla criminalità si dividono in due macrocategorie:  TEORIE PSICOLOGICHE DELLA CRIMINALITA’ -> Partono dall’idea che le caratteristiche della nostra personalità, temperamento, caratteristiche fisiche e psicologiche intervengono a caratterizzare e connotare ognuno di noi in maniera precisa (timidezza, aggressività, pacatezza ecc.. dunque caratteristiche personali che influenzano il nostro percorso esistenziale)  TEORIE SOCIOLOGICHE DELLA CRIMINALITA’ -> Parte dal presupposto che anche il contesto sociale in cui siamo inseriti, svolgano un importante ruolo nelle nostre scelte. Quindi non solo la famiglia interviene a plasmare il nostro modo di vivere, anche se sicuramente è il primo agente sociale con cui l’individuo si confronta, ma abbiamo anche la scuola, i gruppi sportivi o in generale i gruppi che il soggetto frequenta (musica, catechismo, passioni varie..) o ancora il lavoro. In generale, possiamo definire che hanno influenza sui soggetti, l’ampia gamma di relazioni personali con le quali siamo chiamati a confrontarci. Possiamo affermare che i nostri rapporti, al momento della nascita, sono inizialmente limitati alla famiglia e vanno ad allargarsi fino alla maggiore età in maniera progressiva, dopo di che arrivati ai 18 anni che sono un punto cardine per il legislatore, in quanto è il momento dell’ottenimento della maggiore età, abbiamo un diverso rapporto con le leggi; l’ordinamento giuridico italiano definisce anche la categoria dei “giovani adulti” ovvero quella fascia che contiene gli individui dai 18 ai 25 anni; questa categoria nasce dal presupposto che a 18 anni, nonostante la maggiore età, il soggetto non abbia per forza raggiunto una maturità tale per cui sollevare il carico giuridico cui può essere sottoposto. Un contenuto che deve essere ben chiaro , prima dello studio e della comprensione della materia, è che non esiste una norma universale, non esiste un comportamento sempre giusto o sempre sbagliato, il diritto varia a seconda del momento storico in cui ci si trova e della cultura in cui si è immersi e così i crimini e i reati vengono giudicati. Per questo motivo, comportamenti che un tempo erano considerati normali (lasciare a morire i neonati a Sparta per esempio), oggi sono ritenuti completamente riprovevoli, o ancora, imputato all’interno e processo penale (il secondo viene ammanettato, viene scortato dalla polizia, su di lui gravano aspettative ben definite, mentre il primo è vestito con la toga, si siede al centro dell’aula e così via.. sono quindi due ruoli molto ritualizzati e ben connotati da diverse caratteristiche durante il processo). Infine, la Penologia cioè lo studio della pena, che riflette in maniera sovranazionale (il nostro diritto finisce nei confini italiani, in ogni paese ci sono le proprie regole ed il proprio diritto, mentre questa disciplina riflette sulla pena al di là dei confini geografici), su quali tipi di reazione penale è più idonea al caso. La Politica Penale definisce quale sia il modo migliore, il sistema di diritto penale, più adatto per l’ottenimento del risultato voluto. Quindi la Criminologia “pesca nozioni scientifiche” da tutti questi differenti bacini del sapere, il Criminologo deve conoscere i risultati di tutte queste scienze nello svolgere il proprio intervento. La criminologia, è anche una scienza interdisciplinare, perché oltre a dover conoscere i risultati delle varie discipline, deve anche essere in grado di connetterli e metterli insieme, per ottenere una soluzione qualitativamente migliore rispetto che ai singoli risultati. La criologia è una scienza avalutativa come già detto, il criminologo non è un giudice, ne dal punto di vista giuridico, ne dal punto di vista morale. Il Criminologo deve intervenire in maniera diretta, supportando il soggetto per reinserirlo in società, lavorando in maniera etica per migliorare le condizioni di vita in maniera generalizzata, sia sul soggetto che sul gruppo sociale. Il criminologo quindi, lavora con un soggetto che ha già ricevuto un giudizio, ovvero la sentenza che ha stabilito che la pena è diventata esecutiva (è immodificabile), il soggetto quindi, non potrà mai più diventare innocente -> questo significa che: o sono stati svolti o non sono più possibili, tutti i tre gradi del processo penale. Il primo grado di processo penale si conclude con una sentenza di pena o con l’assoluzione, qualora vi fosse un esito di pena, può quindi seguire “l’appello”, ovvero il secondo grado (il tribunale di primo grado è situato in ogni provincia, mentre il secondo grado cioè il processo di appello si trova in ogni capoluogo di regione) = non essendo soddisfatti della risoluzione del processo, si può andare in appello per vedere di cambiare l’esito del processo. Ancora una volta si avrà una nuova sentenza di condanna o di assoluzione, e per l’ultima volta se non si è soddisfatti, è possibile andare al terzo grado (per Cassazione)= la corte di Cassazione che si trova a Roma, rivede il processo, tuttavia il giudizio di Cassazione non può essere chiesto per rivalutare il merito (quindi per ristabilire se il soggetto è innocente o meno); in Cassazione si va per vizi di legittimità -> si controlla che nel corso del processo penale, non vi siano state violazioni di legittimità nel processo (per esempio, credo che mi sia stata negata la difesa). Possiamo quindi dire che il nostro ordinamento giuridico è tipo garantista, viste tutte le garanzie che sono state pensate per porre i membri del gruppo sociale al riparo da rischi di abusi o cattiva applicazione del diritto. In caso di errori giudiziali, cosa succede durante il processo? Qualora in presenza di situazioni molto precise e poco frequenti, vi sia un errore all’interno del processo (dunque non si parla di soddisfazione o meno dell’imputato rispetto alla sentenza), ma si intende un vero e proprio ERRORE, si può richiedere la revisione processuale. Tuttavia è bene ricordare che questa ipotesi è molto ben limitata ad alcuni casi. Quando si parla di reati, cosa si intende per numero oscuro? È il rapporto tra i crimini commessi e quelli conosciuti. Succede che spesso, alcuni crimini, non vengano denunciati, dunque alle istituzioni non siano noti-> Per esempio, una vittima di violenza sessuale potrebbe scegliere di non denunciare per mille motivi, dunque quel reato rimarrà sconosciuto alle istituzioni. Esistono così territori in cui il numero oscuro è più elevato rispetto ad altri. Quali reati vengono taciuti? tendenzialmente in questa categoria rientrano i reati famigliari o i reati interpersonali (violenze e reati commessi da amici, parenti, coniugi..), ma anche reati in cui non vi è l’interesse della vittima a denunciare: da reati più gravi, come quelli compiuti dalla criminalità organizzata (per esempio sequestri di persona o comunque tipologie di reati che se denunciati potrebbero creare un pericolo per me stessa o per gli altri), ma anche reati diametralmente opposti, i reati bagatellari cioè quelli di minima entità (dimentico una collana in un bar -> pur aprendo un fascicolo in questura, so benissimo che la denuncia non porterà nessun beneficio). Nei reati Bagatellari rientrano i “Micky Mouse Crime”, ovvero quei reati di piccolissimo contenuto e danno, vengono compiuti frequentemente da ragazzini (rubare un piccolo oggetto in un negozio) . Dunque la criminologia sa che il numero oscuro, probabilmente, è solo la punta dell’iceberg dei reati realmente commessi. Altri settori in cui il numero oscuro è molto alto, si possono delineare in base alle tipologie di reato-> il numero oscuro ha una proporzionalità inversa rispetto alla tipologia di reato: tanto più il reato è grave, più sarà basso il numero oscuro. Per intenderci, i Micky Mouse crime hanno un numero oscuro molto alto: sono tanti i reati di piccoli furtarelli compiuti da ragazzi che non sono denunciati e non si conoscono, ma naturalmente i reati più gravi quali gli omicidi hanno un numero oscuro molto più basso, perché si tende a denunciare (ad eccezione dei reati già descritti sopra = reati molto gravi quali le violenze domestiche ovvero reati famigliari, hanno comunque un numero oscuro molto alto nonostante la gravità). Esiste oltre a quelle descritte sopra, un’altra eccezione fatta per i reati economici: Sutherland negli USA, ha parlato per primo dei “white collars crime”, la criminalità dei colletti bianchi letteralmente, ovvero la criminalità di quei soggetti che realizzano la loro aziona criminale proprio in funzione del loro specifico ruolo professionale. La condizione professionale del soggetto è proprio il fulcro per la commissione del reato -> Nel Ventesimo secolo, quando viene coniata questa espressione, per la prima volta vengono fuori questi “ criminali non convenzionali”. Il ruolo di vertice dell’individuo nella produzione di beni o servizi, quindi ruoli manageriali nella direzione del paese, permetterebbe al soggetto di poter compiere crimini economici (falsi in bilancio, frodi fiscali..). Queste tipologie di soggetti, hanno chiaramente un profilo criminale diversissimo dagli autori di reato convenzionali (i reati della strada, furti, scippi, rapine..) -> la così detta “Criminalità convenzionale”; la criminalità economica, invece, dipende proprio dal background culturale del soggetto ed è strettamente collegato alla sua posizione di rilievo. In passato si è sentito parlare di “delitto per causa d’onore”, cosa si intendeva? In passato,il legislatore ha riconosciuto una serie di comportamenti e reati, che se compiuti dopo aver lesionato l’onore sessuale del coniuge, dovevano (per la cultura sociale di quel gruppo sociale in quel momento storico) venire giudicati in maniera più leggera. Dunque, compiere un omicidio di un soggetto, otteneva un trattamento diverso rispetto al delitto di un coniuge per mano dell’altro, in seguito alla lesione d’onore sessuale. In parole povere: uccidere il marito, in seguito al tradimento da parte di quest’ultimo (lesione del mio onore sessuale), avrebbe seguito un trattamento penale più leggero, rispetto all’omicidio che avrei potuto compiere verso un soggetto casuale. Tali diritti riguardavano omicidio del coniuge e infanticidio. Col passare dei decenni, si è arrivati a ritenere la commissione di un omicidio in queste condizioni non fosse da trattare in maniera più indulgente rispetto ad un omicidio “classico” (in particolare nel 1881 possiamo collocare l’abrogazione dei delitti per causa d’onore). Come possiamo suddividere il Diritto? Il diritto può essere suddiviso, in diritto privato e diritto pubblico. Il diritto privato comprende la quasi totalità del diritto (codice civile, fiscale, tributario..), mentre il diritto pubblico comprende aree del diritto più ristrette (una parte del diritto costituzionale e soprattutto il diritto penale.) Perché il diritto penale è parte del diritto pubblico? Perché ha una funzione precise: regolamenta le modalità più efficaci per facilitare le relazioni della vita del gruppo sociale. Terza lezione – 29 Marzo 2021 La figura dell’educatore nel settore dell’esecuzione della pena, ha una qualificazione molto specifica, cosa che non accade negli altri settori professionali dove interviene. Grazie alla legge di riforma penitenziaria, l’introduzione della figura dell’educatore penitenziario, diventa la più grande novità e rivoluzione che il legislatore ha introdotto: l’educatore penitenziario diventa così un meccanismo centrale per la macchina che è la riforma del ’75. La figura dell’educatore penitenziario, viene creata proprio grazie alla riforma; dentro agli istituti penitenziari, ovviamente, lavorano numerosi educatori che sono suddivisi in “numerosi livelli”: esiste l’educatore coordinatore di area pedagogica (laureato magistrale), che ha una funzione di dirigenza a tutti gli effetti ed è riconosciuto dal ministero della giustizia, tale posizione è apicale rispetto a quella degli altri educatori carcerari. In sintesi: esiste un educatore di secondo livello che coordina e organizza gli altri educatori carcerari di primo livello all’interno dell’ambiente carcerario. Come si accede al ruolo? Il ministero fa dei bandi, in cui vi è un concorso-> Laurea triennale in scienze dell’educazione: può fare domanda per educatore penitenziario (educatore di primo livello); mentre educatore coordinatore di area pedagogica-> è il concorso rivolto ai laureati magistrali. I soggetti vengono poi immessi in ruolo. Grazie alla legge del ’75, vi è un altro grandissimo cambiamento: il nostro sistema penale decide di permettere delle esecuzioni di condanna al di fuori del carcere -> un condannato invece che trascorrere tutto il tempo della sua pena rinchiuso in una cella, ottiene un piano di trattamento risocializzativo, grazie al quale sconta parte o l’intera condanna al di fuori del carcere. I numeri dei soggetti in esecuzione penale esterna sono in costante aumento dal ’75 ad oggi. Ma dove va di preciso il condannato? Il condannato viene posto in strutture autorizzate (comunità che nascono e sono in costante crescita nel nostro territorio), grazie all’avallo del giudice; all’interno delle quali il soggetto deve seguire un piano individualizzato (compie lavori, attività, lavori socialmente utili..), oppure NB. Un soggetto in esecuzione penale esterna, ovviamente, ha molte regole e norme da rispettare e qualora queste fossero ignorate, il suo trattamento esterno potrebbe essere interrotto. Ma perché inserire questa modalità di esecuzione penale esterna? Perché abbiamo le conoscenze scientifiche per sapere che questo tipo di trattamento regala all’individuo un buon contatto con il gruppo sociale, diminuendo con successo la recidiva e non permettendo che l’autore di reato si ritrovi come un “disadattato scollegato dalla società”, che ha trascorso tantissimo tempo in carcere escluso dal mondo. La sanzione penale è molto particolare nel nostro paese, le sanzioni previste dal diritto civile non hanno la stessa funzione di quelle previste dal diritto penale (le prime rispondono grazie a contenuti patrimoniali-> processo civile, mentre le seconde non sono sanzioni economiche, ma sono “mali” molto più grandi -> la carcerazione; privazione della libertà-> processo penale). Il contenuto della sanzione penale è strettamente collegato alla funzione a cui risponde; la sanzione penale quindi, ha uno scopo che cambia nel corso degli anni in funzione dell’organizzazione sociale e politica del gruppo sociale. In generale: la sanzione penale deve reprimere quei comportamenti che in quel momento storico, in quel gruppo sociale, sono definiti deleteri; ovviamente il diritto cambia nel corso della storia e dei cambiamenti del gruppo sociale, e così anche le sanzioni e le pene stabilite. Un grande cambiamento nella sanzione penale, si osserva nelle monarchie assolute pre illuministe (illuminismo = rivoluzione di pensiero culturale, ideologia e filosofia che a partire dal 1700 investe Inghilterra, Francia, Germania, Italia e cambia completamente la cultura medioevale che si era impostata durante tutto il 1500-1600)-> Il mondo giuridico era costituito quindi, da Monarchie assolute fino a quel momento, in una struttura piramidale: al vertice della piramide vi era il guadagnato con quel reato commesso -> la pena deve quindi creare nuovamente una situazione di equilibrio e sintonia. Arriviamo così al sistema penale moderno: tutti i sistemi moderni si basano su questo concetto della scuola classica. Nel corso del 1800, siamo chiamati a confrontarci ed incontrare il secondo cambiamento epocale (il primo è stato l’Illuminismo): cambiano le concezioni di tipo culturale, nasce l’ideologia DETERMINISTA (è il secondo cambiamento epocale). Facendo un passo indietro: il 1800 è il secolo dello scientismo, perché tutti i settori della conoscenze, sono investiti da un’importanza rilevante in questo momento storico; vengono fatte un’enorme quantità di conoscenze scientifiche e tecniche in TUTTI settori del sapere scientifico (vengono scoperti i vaccini e partono le campagne vaccinali, riuscendo a sconfiggere tantissime patologie mortali, la penicillina, vengono scoperte le macchine nell’uso del lavoro che sostituisce il lavoro di molte braccia umane …) -> le scienze vengono viste come un tassello fondamentale per il progresso, si diffonde un clima di grande ottimismo e di entusiastica aspettativa circa il fatto che di lì a poco, il sapere scientifico avrebbe potuto risolvere tutti i problemi dell’umanità. Il determinismo è proprio la consapevolezza che le leggi scientifiche portano alla entusiastica convinzione di un progresso crescente nei gruppi sociali e nelle loro capacità di controllare con successo lo svolgimento della propria vita; allo stesso tempo la nuova conoscenza circa tutta una serie di leggi che regolano il mondo naturalistico, iniziano a diffondere una nuova visione di libertà dell’uomo. Perché? Perché se è vero che esistono regole naturali che gestiscono tutti i vari mondi (animale, vegetale, dell’uomo …), allora è vero che all’interno d queste leggi si comincia a porre il quesito circa la piena libertà di scelta dell’essere umano -> se esistono delle regole al mondo di cui faccio parte, ciò significa che vengono posti dei limiti alla mia libertà. In Criminologia, in particolare, si seguono 2 riflessioni scientifiche parallele ma del tutto differenti, in questo periodo storico che rivoluzioneranno per la seconda volta il sistema del diritto penale:  DETERMINISMO BIOLOGICO Ha costituito una corrente di pensiero che trae origine da uno studioso considerato il padre storico della criminologia: Cesare Lombroso; le sue teorie hanno infiammato tutte le teorie dell’epoca a partire dall’Italia, per arrivare fino in Europa. Oggi, possiamo convenire sull’inquadramento di questo scienziato come precursore della Criminologia, pur sapendo che le sue teorie sono state decisamente superate essendo figlie del suo momento storico; rimane il fatto che le sue metodologie di studio hanno permesso di centrare l’argomento sull’uomo autore di reato, cosa che era completamente esclusa dall’Illuminismo. Lombroso era un medico, ed iniziò a catalogare un’enorme quantità di dati per capire quali fossero le caratteristiche biologiche dei criminali -> analizza i resti scheletrici dei detenuti nelle regie prigioni di Torino, studia accuratamente il corpo esterno ed interno dei criminali. Raccoglie così e classifica, un’enorme quantità di dati, alla ricerca di caratteristiche che contraddistinguessero il criminale rispetto agli altri uomini, in un lavoro che dura decenni. Infine, Lombroso ritenne di aver trovato una soluzione teorica, la radice della delinquenza: nasce così, la TEORIA DEL DELINQUENTE NATO che sostiene la presenza di una differenza di tipo somatico nell’individuo criminale, che lo distingue dall’individuo non criminale. Tali differenze vengono chiamate stigmate di degenerazione atavica-> quali sono questi tratti criminali? Fronte bassa, capigliatura abbondante, mandibola pronunciata, lobo dell’orecchio carnoso, corporatura bassa e tozza e muscolosa, sopracciglio folto, fossetta occipitale nel cranio.. Gli uomini che commettono reato quindi, lo commettono alla luce di queste loro differenze biologiche. Lombroso prosegue poi le sue ricerche: il suo passaggio successivo fu quello di collocare la sua teoria nell’evoluzionismo Darwiniano, che nasce appunto nel 1800: Darwin fornisce una visione qualitativamente differente rispetto alla creazione Divina, rivoluzionando la conoscenza scientifica in tutte le culture sociali contemporanee, fornendo una nuova chiave di lettura di carattere scientifico e non trascendentale -> Lombroso attraverso la sua seconda teoria, LA TEORIA DELLA DEGENEREAZIONE ATAVICA, sostenne che si potesse collocare il delinquente nato nell’evoluzione Darwiniana: il delinquente per C.L. era un soggetto più primitivo rispetto al livello raggiunto dalla specie umana in quel momento storico (l’uomo criminale è quindi una creatura più arretrata e primitiva rispetto al gruppo sociale, per questo delinque, perché è biologicamente strutturato in un modo più primitivo rispetto al modo in cui sono strutturati gli altri soggetti) -> delinquere quindi NON è una libera scelta  DETERMINISMO SOCIOLOGICO Per la prima volta l’organizzazione economica di tutti i gruppi sociali, viene scombussolata nel 1800: con l’introduzione delle macchine, il lavoro dell’uomo può quindi essere sostituito per produrre di più e più velocemente -> A partire dall’Inghilterra, per poi espandersi nel resto d’Europa, si diffonde questa rivoluzione commerciale, cambiando anche l’organizzazione della vita. Fino a quel momento, l’economia era di tipo agricolo: la società infatti prima del 1800, produceva benessere solo grazie alla capacità di produzione naturalistica (coltivazione, allevamento...), esponendo il gruppo sociale ad un impegno importante assoggettato sempre a eventi non scelti dall’agricoltore (una forte siccità, un terremoto in pochi minuti potevano distruggere il lavoro di mesi..). La scoperta delle macchine, comporta la nascita delle prime fabbriche nelle periferie dei grandi centri, colorando di nuove caratteristiche la produzione di beni e servizi -> la ricchezza inizia a derivare da processi differenti rispetto a quella delle campagne, lo svolgimento del lavoro e del prodotto finale, viene svolto al riparo dagli eventi atmosferici (si lavora al chiuso), si diffonde così una nuova modalità di produzione del reddito. Nelle città si assiste ad un enorme sovraffollamento, tuttavia le periferie e le città non erano pronte ad accogliere questa migrazione dalle campagne e le condizioni spesso non furono adeguate. Assistiamo ad un fenomeno che cambia in modo irreversibile l’organizzazione della vita in tutti i gruppi sociali europei, cambiandone anche l’aggregato DELLA FAMIGLIA. -> Perché cambia la famiglia? Il tipo di famiglia cui eravamo affacciati, era una famiglia di tipo patriarcale: alla coppia iniziale dei genitori pian piano si affiancano i figli (che nella famiglia contadina sono numerosi, perché la famiglia contadina ha bisogno “di braccia” ovvero di forza lavoro; già i bambini piccoli avevano piccole mansioni, e anche le donne lavoravano, in quanto solo una donna era necessaria per occuparsi dell’educazione di tutti, tutte le altre potevano tranquillamente produrre). Mano a mano che i figli si sposano, in questa dimensione contadina, non se ne vanno, ma rimangono nella casa dei genitori, che accolgono le varie consorti con i diversi nuovi nati (esempio di famiglia patriarcale allargata = famiglia che si ramifica e si allarga, creando una famiglia di grande potenza economica; ottimizzando le risorse riducendo al massimo le spese). Questo tipo di famiglia chiaramente non è idonea alla città, c’è una necessità di sfamare troppe bocche e la difficoltà a trovare case così grosse -> la famiglia così cambia la sua composizione: nasce LA FAMIGLIA MODERNA DI TIPO NUCLEARE = formata dal numero più minore possibile di persone e quindi anche di bambini, dal momento che non sono autosufficienti in una economia di tipo industriale e urbano, anzi paralizzano il lavoro degli adulti. La famiglia è tanto più vincente tanto meno ha dei membri incapaci di produrre reddito e di aumentare le spese. Il DETERMINISMO SOCIOLOGICO, riconosce le proprie origini in un approccio fondato sugli studi di due studiosi sconosciuti [Lombroso fu famoso in tutta l’Europa, questi autori assolutamente no] ed importanti: QUETELET e GUERRY che a Parigi condussero uno studio importantissimo. -> NB il Determinismo Biologico ha avuto inizialmente un enorme successo, che pian piano si è spento, mentre gli studi di Determinismo Sociologico sono nati “in punta di piedi”, ma questi contributi nel tempo si sono sempre più affermati, dando radici ad una nuova scienza: la Sociologia. Ma cos’hanno fatto di concreto? La loro ricerca longitudinale, lunga due decenni che li rese anche i padri della Statistica, fece sì che i due raccolsero i dati relativi ai reati commessi di diversi quartieri della città di Parigi: la loro ricerca scientifica cominciò separando i quartieri dal punto di vista della “qualità della vita”, suddividendo centro storico e zone residenziali (persone di ceto sociale più elevato) dalle periferie (sovraffollamento abitativo dalle campagne, disorganizzazione, carenza di presidi sanitari e sociali..) -> cercarono poi le statistiche giudiziarie di questi quartieri. PRIMA SCOPERTA-> i quartieri residenziali avevano un numero di reati molto basso, viceversa nei quartieri più degradati vi era un numero di reati elevatissimo; SECONDA SCOPERTA: vi era una persistenza nel tempo di questa discrepanza di tassi di criminalità. A partire Da questi studi ci si rende conto per la prima volta che il comportamento umano non è frutto solo del libero arbitrio dell’uomo (come ci diceva l’Illuminismo), ma risiede anche in componenti di carattere ambientale e sociale che prescindono dalla capacità dell’uomo di prendere decisioni -> tutta la perfetta macchina illuminista SI FRANTUMA. A partire da questi presupposti, vi è un superamento della scuola classica del diritto penale, dunque una diversità nella struttura e nella funzione della pena: nasce, nei primi decenni del ‘900, la Scuola Positiva del diritto penale (composta da Cesare Lombroso e dai suoi allievi Ferri e Garofalo). I soggetti (come ci introduce il Determinismo: o per motivi biologici o sociologici), possono essere motivo di pericolosità sociale (possono essere quindi una minaccia per il gruppo sociale). Nasce così il concetto di difesa sociale = il gruppo sociale deve creare strategie difensive rispetto al pericolo rappresentato da quei soggetti ritenuti pericolosi. Come deve essere quindi la sanzione penale per quei soggetti? Il presupposto: il soggetto va messo in condizione di non poter nuocere al gruppo sociale -> spesso la misura di sicurezza che si rivolgeva al Reo, aveva differenti tecniche di “incapacitazione del soggetto crimonoso”. La pena doveva rieducare il soggetto ed eliminare la sua pericolosità sociale. COME? Si poteva limitare la sua libertà personale (chiudere il soggetto in una gabbia) o intervenire chirurgicamente (privazione degli organi genitali, lobotomia, elettroshock..); tutto questo per poter eliminare la pericolosità sociale, attraverso queste tecniche che costruiscono LA difesa sociale del gruppo sociale. La sanzione penale, cambia così drasticamente il suo contenuto (dal modello fondato sul “rinchiudere il soggetto e lasciarlo solo in cella lasciandolo pensare” si passa all’intervento attivo, in quanto il soggetto, secondo la scuola Positiva, non è in grado/ non è libero di riflettere sul suo errore). La misura di sicurezza non può più quindi, fondarsi su un proporzione tra durata della pena e gravità del reato: nasce un nuovo contenuto di sanzione penale che si rivolge con attenzione al poter valutare la cessazione della pericolosità sociale del soggetto (la sanzione cessa quando il soggetto non è più pericoloso). Come faceva il giudice per ritenere un soggetto pericoloso? Il giudice ricavava dei parametri: chi commetteva più reati dello stesso tipo in un arco di tempo breve , faceva presupporre che alla luce della sua recidiva fosse pericoloso. Al termine della sanzione, inoltre, il soggetto non era automaticamente libero in quest’ottica, in quanto vi era nuovamente da ricalcolare “LA PERICOLOSITA’ SOCIALE” di quel soggetto. -> PER LA PRIMA VOLTA VI E’ LA DIMENSIONE RIEDUCATIVA NELLA PENA: nonostante i metodi, la misura di sicurezza persegue solo la funzione educativa, tant’è che finché il soggetto non viene ritenuto non pericoloso, non può essere rilasciato. I criminologi e gli specialisti, criticarono il modello appena visto, definendolo “un ergastolo in bianco”, nello senso che, tramite questa sanzione penale, la stessa perde il legame tra l’entità del reato e la durata della pena (c’è una discrezionalità ampia nel lavoro del giudice che finché non trova NON pericoloso il soggetto, non lo libera). legislatore e del gruppo sociale, tutti i condannati che nel nostro paese iniziano un appena detentiva, devono essere sottoposti ad un percorso di TRATTAMENTO INDIVIDUALIZZATO -> questo concetto è espresso a chiare lettere nell’articolo 1 della legge 354 del ‘75, ( sottolinea proprio come in esecuzione penale per tutti i condannati si debba dare luogo ad un trattamento individualizzato). Come si fa ad attuare il trattamento individualizzato del condannato? L’articolo 13, si introduce il concetto di OSSERVAZIONE SCIENTIFICA DELLA PERSONALITA’: raccolta di elementi di conoscenza approfonditi sul soggetto, a patto che si conoscano sia gli aspetti individuali e soggettivi della struttura psicologica e della personalità del soggetto -> conoscere la sua struttura psicologica, le modalità del suo funzionamento e delle sue capacità di ragionamento, approfondire le sue caratteristiche di temperamento quali carattere e intelligenza; conoscere tutto quello che caratterizza quel soggetto come individuo unico. Oltre a questi elementi, si prevede anche la raccolta di tutte le caratteristiche sociali ambientali e famigliari del soggetto -> come lo studio della struttura famigliare di appartenenza (ha genitori? Fratelli? Che rapporto ha con queste persone?), ha creato una nuova famiglia? (ha un partner? Figli? Che rapporti ha con questi ultimi?), com’è l’ambiente dove è cresciuto? E quello dove era inserito prima della reclusione?, ma anche: che relazioni allargate ha? Segue dei corsi? Lavora? In che ambienti sociali è inserito? - > Raccogliere il numero più ampio di dati e di conoscenze riguardo a questi temi, è un compito ambizioso, la legge ha anche organizzato delle azioni concrete per portare a termine queste mansioni così complesse. 2. Fino al ’75, la polizia penitenziaria aveva solo una funzione custodialistica (doveva tenere chiusi in cella il carcerati); era composta da militari che si chiamavano agenti di custodia (prima ancora secondini), ma non vi era una grande selezione di questo personale (le caratteristiche culturali erano praticamente inesistenti: era un corpo di operatori poco qualificato culturalmente). Dalla legge di riforma ad oggi, l’Italia, è stata uno dei paesi che ha investito maggiormente nella qualificazione del copro di polizia penitenziaria. Oggi, il corpo è formato quasi solo da giovani laureati, sottoposti dal momento in cui entrano in servizio, da una continua formazione garantita dal Ministero della Giustizia. Prima della riforma, all’interno dell’istituto penitenziario, potevano accedervi solo la polizia penitenziaria e un civile (il direttore del carcere) con funzioni solamente amministrative, (garantiva che il detenuto ammalato ricevesse cure, che venisse nutrito, che fossero rispettati gli incontri con gli avvocati..). Dalla riforma in poi, il legislatore impone che dentro gli istituti penitenziari entrino figure NON MILARITARI MA CIVILI, espressamente deputate alla funzione trattamentale; quella più accentuata è L’EDUCATORE PENITENZIARIO. L’educatore, ha un ruolo centrale nell’osservazione scientifica della personalità, lavorando per questo fine all’interno di un gruppo che si chiama EQUIPE DI OSSERVAZIONE E TRATTAMENTO. Questa equipe è organizzata e coordinata dall’educatore, ed è formata da figure professionali specializzate quali PRESIDENTE DELL’EQUIPE (ovvero il direttore penitenziario), ESPERTI NELLE SCIENZE DELL’UOMO (l’articolo 80 della legge definisce che vi siano esperti di: criminologia clinica, psichiatria o psicologia; la legge prevedrebbe anche esperti di Pedagogia ed esperti di Servizio Sociale, che però sono figure che non sono mai state attivate all’interno dell’equipe). Vi è poi l’ASSISTENTE SOCIALE, che dipende dal centro di servizio sociale per adulti; ed è un servizio sociale che non risponde a situazioni di disagio come quello territoriale, ma è proprio un organismo nuovo alle dipendenze del ministero della giustizia (è proprio solo riferito ai soggetti in esecuzione penale). Un ultimo soggetto importante, è un membro rappresentante della polizia penitenziaria (di solito è il comandante o qualcuno delegato da lui) -> apporta un grandissimo aiuto, siccome vede il carcerato nell’ambiente dell’istituto penitenziario, nei rapporti con gli altri detenuti ecc. Come potrebbe comportarsi il detenuto con noi educatori? Il soggetto detenuto si ritroverà sempre inserito in un contesto sociale, in cui non sceglie i suoi compagni. In questo contesto, il soggetto potrebbe inconsapevolmente attivare dei meccanismi inconsci non soliti, per evadere e poter gestire l’ansia o il suo stato emotivo complesso derivante da quella situazione di disagio che è il carcere: parliamo di manipolazione conscia o incoscia del soggetto. Il soggetto, potrebbe manipolare in maniera conscia o inconscia, il personale dell’equipe specialmente durante i colloqui -> tanto più conscia sarà la manipolazione del soggetto nei confronti di altri, tanto più significherà che il soggetto abbia alle spalle una carriera criminale aderente alla sua sottocultura e ben strutturata = se il criminale manipola consciamente, probabilmente è un criminale affermato, specialmente se l’individuo è parte della criminalità organizzata, in carcere non è afflitto da senso di colpa o vergogna / ansia ( sentimenti che potrebbero scaturire dalla sua nuova immagine di criminale o dal marchio di “famiglia afflitta”). Perché? Perché spesso ciò che ha fatto il soggetto appartenente alla criminalità organizzata ha carattere economico -> l’ha fatto per denaro e per garantire soldi alla famiglia (NB. Nelle organizzazioni criminali è INFAME chi esce dall’organizzazione criminale, il marchio negativo lo ha chi esce e non chi resta, anzi in carcere potrebbe essere segno di prestigio). Chi è delinquente primario, probabilmente manipola i soggetti intorno a lui,ma in maniera non conscia o comunque non ben studiata. Cosa deve fare l’educatore davanti a questi casi? Accompagnare il soggetto in un percorso che possa fargli mettere a fuoco, la presenza di questa manipolazione -> Fargli presente che mi accorgo di questa componente di manipolazione che inquina il nostro colloquio, ma senza adottare atteggiamenti di giudizio o altrimenti, se ci accorgiamo che il soggetto manipola inconsciamente perché “è fragile” (per esempio, mente a se stesso per sopravvivere, per gestire ansia e tensione) -> NON si parla quindi di un criminale affermato, ma di uno alle prime armi -> devo accompagnare sempre il soggetto con i suoi tempi e con modalità adatte nel suo percorso . Quali sono i momenti più critici per i detenuti? Quando le cose non vanno come si desidera (prolungamento della pena, quando viene negata un uscita o quando la pena non va come ci si aspettava), ma sopratutto le feste comandate quali il Natale, che attivano una serie di aspettative psicologiche, che il soggetto vive come frustrante, i compleanni dei figli, tutte le feste che appartengono alla vita sociale al di fuori, o ancora il ciclo delle stagioni come il momento estivo che porta il grande caldo (la convivenza in una cella con sconosciuti è già frustrante, l’arrivo del grande caldo aumenta l’esplosione dell’aggressività in maniera concreta); o ancora i rituali religiosi come il Ramadan (canto ad alta voce, preghiere diverse volte al giorno..) potevano, specialmente in passato, aumentare le condotte aggressive -> per chi pratica era giustamente una esigenza, tuttavia oggi viene più strutturato questo momento negli istituti penitenziari per evitare crisi tra i detenuti (in alcune carceri la componente straniera raggiunge anche il 70%). Sesta lezione- 26 Aprile 2021 Possiamo ritenere che a partire dal 1975, il consolidamento della sanzione penale ed il modo di utilizzare il tempo della condanna, la chiara e articolata analisi dei parametri di valutazione, ci danno la misura dello spessore scientifico della sfida lanciata dal legislatore. L’articolo 1 e l’articolo 13, delineano una rete ampia di ambiti di conoscenza che devono esistere e che devono essere conosciuti, per poter realizzare e dare vero contenuto al trattamento individualizzato: tutto ciò ci da l’idea dell’importanza degli obiettivi culturali che si da il legislatore italiano. Chi sono i tecnici del trattamento che si occupano del raggiungimento degli obiettivi posti dal legislatore?  DIRETTORE DELL’ISTITUTO PENITENZIARIO : una figura presente già prima della riforma, ma profondamente rivisitata dal legislatore del ’75. Con la riforma, diventa un membro dell’equipe come gli altri, mantenendo una serie di responsabilità amministrative e organizzative, proprie delle suo ruolo. La legge ha investito anche questa figura di una ventata di novità, che completa questa figura dal punto di vista dell’area di intervento professionale, aggiungendo nuove aree di competenza. I nuovi compiti assegnatogli, sono compiti di incontro diretto con i detenuti: appena vi è un nuovo ingresso, il soggetto che comincia la sua esecuzione penale, incontra subito il direttore che lo informa delle regole, della propria condizione legale, degli aspetti normativi- giuridici (una prima fase di informazione). Il direttore si presenta subito al soggetto come un interlocutore attivo, ponendosi come presidente di equipe; ha grande importanza e responsabilità -> il suo ruolo di presidenza dell’equipe, non è di tipo formale o autoritario, ma anzi è UNA PRESIDENZA FUNZIONALE = il peso del direttore nell’equipe, dal punto di vista decisionale, è pari a tutti gli altri membri dell’equipe, ma garantisce che nella composizione multidisciplinare dell’equipe ci siano TUTTE le figure stabilite (definisce quindi la delibera VALIDA). Un’altra novità per questa figura, è il nuovo ruolo di tipo MANAGERIALE -> vi è un forte collegamento infatti tra l’interno del carcere (quindi anche tra il lavoro fatto dall’equipe) e il territorio, ed oggi il direttore, non è solo chiamato a svolgere i compiti classici che aveva, ma è chiamato ad essere un vero e proprio MANAGER (organizzatore e gestore delle relazioni tra carcere e territorio); che conosce perfettamente a livello sociale e politico il suo territorio, per poter creare ponti con i detenuti e la loro esecuzione di pena (PRINCIPIO DI TERRITORIALIZZAZIONE DELLA PENA).  CORDINATORE DI AREA PEDAGOGICA: l’importanza che il legislatore da alla figura dell’educatore, è tale per cui non ne sia presente solo uno, ma anzi, la sua rilevanza è tale per cui, più ne sono presenti meglio è per la macchina del carcere. Sono dipendenti a tempo pieno del carcere, sono suddivisi in diversi livelli professionali, coordinati dall’educatore coordinatore di area pedagogica (o funzionario giuridico di area pedagogica). Quest’ultimo ha su di se tutte le responsabilità che hanno anche gli altri educatori, ma a queste si sommano altre responsabilità di tipo organizzativo: ha il compito di costruire e stilare il progetto trattamentale del carcere e condividerlo con gli altri educatori e il direttore, dopo l’approvazione tale progetto, finirà nelle mani dell’amministrazione penitenziaria. Deve ripartire i compiti tra gli educatori, assegnare specifici incarichi ad ognuno di loro, partecipa a riunioni anche esterne all’ambiente carcerario, svolge un ruolo manageriale in quanto la legge di riforma penitenziaria gli ha ceduto nuovi incarichi organizzativi. Il coordinatore personalizza e colora in modo accentuato, in funzione della propria formazione, la modalità con la quale è possibile svolgere il piano di trattamento. Quali compiti ha l’educatore INVECE? L’estrema complessità del lavoro dell’educatore si riassume nell’accompagnamento del soggetto, nel continuo adattamento alle regole di una vita complessa (con numerosi fattori di difficoltà e destabilizzazione) che è l’ambiente carcerario -> (compito che richiede grande competenze scientifiche e tecniche, che spaziano in tutte le scienze dell’uomo) -> l’educatore deve essere attentamente formato dal punto di vista criminologico. È chiaro che, in base al soggetto che si ha di fronte (un soggetto pienamente coinvolto nella sottocultura criminale, o un soggetto meno incluso), il ruolo di accompagnamento diventa radicalmente differente; l’educatore è chiamato ad essere il primo e il più profondo conoscitore delle caratteristiche di personalità del detenuto. L’educatore è presente al colloquio di primo ingresso (fatto anche dal direttore), in cui cerca di conoscere il più possibile il carcerato (può infatti già comprendere numerosi elementi di valutazione del soggetto: per esempio, un primario cioè un soggetto che ha commesso un reato per la prima volta, avrà una reazione più destruente rispetto al criminale affermato che è parte di una nelle scienze dell’uomo, sono figure necessarie, ma non sempre sono presenti in tutti gli istituti (a volte è presente solo una delle figure: la composizione del gruppo di equipe è così articolata nelle figure più auspicabili, che non sempre rispecchiano la realtà -> l’importante è che ne sia presente almeno una). Il laureato in Psicologia, deve supportare ed ampliare il quadro del detenuto, dal punto di visto psichico (le modalità con le quali il soggetto funziona, le caratteristiche della sua personalità...). Il contributo di questo esperto, è un valido aiuto anche come sostegno e supporto durante il percorso del detenuto, tuttavia questo compito è condiviso come obiettivo da tutti i membri dell’equipe. Perché? Perché l’istituto non è il luogo adatto per svolgere una psicoterapia, dunque tutti i membri devono approfondire la lettura e il sostegno del soggetto per stilare una proposta di piano trattamentale da sottoporre alla magistratura. Più il piano trattamentale del soggetto, è variegato e ha informazioni, tanto più è probabile che si avvicini al vero, per questo sono necessarie tutte queste figure.  L’ASSISTENTE SOCIALE DIPENDENTE DEGLI UFFICI DI ESECUZIONE PENALE ESTERNA: con la legge del 75, nascono gli UEPE (uffici di esecuzione penale esterna), che sono una vera e propria istituzione; un nuovo organismo del ministero della giustizia -> DUNQUE QUESTI ASSISTENTI SOCIALI (di esecuzione penale esterna), VANNO TENUTI DISTINTI DA QUELLI DEL SERVIZIO SANITARIO. Questi dipendenti del ministero della giustizia, intervengono solo sui soggetti in esecuzione di pena e sulle loro famiglie, per fornire all’equipe di trattamento tutte le informazioni raccolte, (gli assistenti sociali che operano sul territorio, aiutano invece le famiglie deboli -> es. ad uscire da una situazione economica difficoltosa). L’intervento di questi professionisti è quindi volto alla CONOSCENZA dell’ambiente e della famiglia del detenuto. L’A.S. conosce il soggetto, a seguito della segnalazione che viene fatta dall’educatore, svolgendo dei colloqui clinici col detenuto; per poi andare a conoscere i famigliari, il luogo di appartenenza ed assumere da tutto ciò le informazioni utili per approfondire la conoscenza del caso. -> riferendo sempre tutto ad educatore ed equipe. È l’unico membro dell’equipe che può riferire fattori del contesto sociale esterno (es. il detenuto potrebbe dichiarare di avere ottimi rapporti con la famiglia, l’A.S. è l’unico che può svelare quella faccia della medaglia; o altre volte succede che la famiglia non rivoglia più il soggetto detenuto “indietro”, ma che non riescano a dirlo esplicitamente al diretto interessato, sempre in questi casi interviene l’A.S.). Un esempio di informazione che l’A.S. può rivelare, che è importantissima, è la presenza di un famigliare IDONEO a sostenere il soggetto. Il detenuto è obbligato a parlare con tutti i membri dell’equipe? Non è obbligato, ha possibilità di scelta, può anche rifiutarsi di svolgere un colloquio. Ovviamente uno dei nostri obiettivi, è quello di far sì che il soggetto sia collaborativo. -> Anche se è raro che un detenuto dica in modo plateale ai membri dell’equipe di non chiamarlo, perché non ha interesse a colloquiare (meno raro che si presenti al colloquio e racconti bugie) -> Di solito ha sempre interesse a farsi ben vedere / lavorare / passare diversamente la giornata. Ottava lezione- 10 Maggio 2021 Quali sono le differenze tra il lavoro dello Psicologo e dello Psichiatra? L’esperto in Psicologia tratteggia la personalità del soggetto dal punto di vista psicologico: ognuno di noi infatti, è unico e irripetibile e col proprio funzionamento psichico (ognuno di noi ha modalità di funzionamento psicologico originali ed uniche -> chi è più induttivo, chi più deduttivo, chi più concreto...); tutta l’equipe cerca di capire il funzionamento psicologico del soggetto ovviamente, ma per lo Psicologo c’è proprio UN MANDATO. Lo Psichiatra invece, subentra quando il soggetto nel suo funzionamento psichico ha dei tratti PSICOPATOLOGICO (quando il soggetto non ha quindi un funzionamento normale, ma ha proprio un disturbo psicopatologico -> una visione scientifica totalmente diversa, in cui la Psicologia non basta più, è necessario lo Psicologo, dunque un laureato in Medicina con Specializzazione in PSICHIATRIA). Perché l’equipe ha bisogno di uno Psichiatra? Perché come si ammala un uomo libero (non carcerato) di depressione o di altre malattie mentali, è chiaro che questo possa succedere anche ad un detenuto vista la situazione stressante in cui vive. Lo specialista in Psichiatria che fa parte dell’equipe di osservazione del trattamento, non è soltanto un clinico (quindi non prescrive farmaci in base alla psicopatologia senza conoscere il detenuto), ma prima di incontrare il soggetto può consultare il suo fascicolo personale (quindi legge atti processuali, relazioni dei membri dell’equipe sul soggetto...). Psicologo Studia la personalità di un soggetto con funzionamento NORMALE. Psichiatra Subentra solo se è presente una Psicopatologia, quindi un funzionamento NON NORMALE. L’obiettivo di una buona equipe di trattamento e di un buon educatore, è quello di utilizzare al meglio il tempo della pena del detenuto, per restituire alla società un soggetto che non recidiva. Per esempio, se abbiamo un detenuto che sviluppa un delirio di gelosia e si auto convince che la moglie lo tradisca (quando questa in realtà viene spesso a trovarlo e non ci pensa minimamente a tradirlo), è cura dell’equipe tenere attentamente conto di questo comportamento per costruire il suo piano di trattamento -> sicuramente non gli verranno dati permessi premio per ritornare in famiglia, siccome si trova quella moglie verso cui lui ha un delirio di gelosia, ma si indirizzerà il detenuto in un metodo migliore. È molto importante quindi avere ogni contributo scientifico e clinico sul soggetto, come si può ben capire; il contributo dello Psichiatra, qualora vi fosse, diventa così fondamentale. Qualora venga attivata la funziona dello Psichiatra, viene attivato solo quello dell’equipe o anche quello del presidio sanitario? Vengono attivati entrambi, e possono anche dialogare tra loro. Quello del presidio sanitario può prescrivere farmaci, quello dell’Equipe NO. -> Lo Psichiatra d’Equipe da le maggiori informazioni possibili che ricava, per completare il quadro. Con che criteri i detenuti vengono inseriti in una cella piuttosto che in un’altra? L’Italia è il paese dell’Unione Europea che ha investito di più nella Polizia Penitenziaria, che ad oggi si presenta come un corpo fortemente formato e umanitario. Proprio la Polizia Penitenziaria, gestisce la scelta delle celle -> Valutano i soggetti, tenendo in considerazione i rapporti che l’educatore fa (l’educatore, deve saper formare buoni rapporti anche con i colleghi). Le scelte che vengono fatte, sono scelte molto attente, fatte per gestire un perfetto adattamento -> evitare situazioni di tensione tra i soggetti (se ci sono antecedenti problematici tra due soggetti, si tenderà a non metterli ne in cella insieme, ne nello stesso reparto), vengono costruiti gruppi adatti alla convivenza (i reparti sono gestiti anche in base alle caratteristiche dei soggetti: esistono reparti ordinari, reparti di grande sicurezza, reparti per soggetti con caratteristiche specifiche -> l’articolazione ad esempio è un tipo di reparto per raccogliere soggetti con disturbi psicopatologici). Un collaboratore di giustizia per esempio, è UN INFAME (e l’infamia si estende a TUTTO il suo gruppo famigliare -> ci sono regole molto rigide nella sottocultura criminale), per questi motivi i fratelli di un collaboratore di giustizia per esempio, sono in grande pericolo di vita nell’istituto penitenziario, in quanto l’infame è punito con la morte nella sottocultura criminale (e così i parenti). Spesso, anche ai detenuti più socievoli, meno pericolosi, più responsabili, viene chiesto di poter essere messi in cella con un soggetto più complesso; accettando di prestarsi, il soggetto ottiene il riconoscimento di “PIANTONE” (che è una etichetta di responsabilità e che fa ricevere anche un compenso economico, che il detenuto può spedire alla famiglia). Dunque sia la polizia penitenziaria, che l’area del trattamento creano le sinergie nelle celle e nei reparti, per garantire una miscela ottimizzata tra i detenuti. Quanto tempo passano in cella i detenuti? La valutazione di quanto un soggetto possa stare fuori o dentro, è una decisione che prendono i dirigenti in base al tipo di operatori che lavorano nel carcere (alcuni preferiscono avere le celle aperte, altri preferiscono essere meno elastici) ed in base alle caratteristiche dei detenuti. Quindi ogni istituto sceglie per se stesso. Esistono soggetti autori di reato, caratterizzati dall’aver commesso determinate tipologie di reato. Come dicevamo, la sottocultura criminale ha delle regole precise, anche dal punto di vista “etico”, a tal punto che determinati atti delittuosi NON sono ammessi (è una sorta di codice d’onore della criminalità). Esistono quindi reati che sono sanzionati perché DISONORANTI / DISONOREVOLI -> violenza sessuale e pedofilia, o reati nei confronti dei quali si necessita che gli autori vengano ISOLATI. Non è approvata l’omosessualità ed è disapprovata particolarmente la pedofilia come già detto -> dunque chi commette questi reati non può stare in un reparto ordinario, ma deve essere assolutamente separato (per poter essere protetto). Non è sempre detto che l’autore di reato frequenti tutte le figure dell’equipe, infatti solitamente è più seguito dalle figure di cui necessita (solitamente è una), mentre invece TUTTI frequentano l’educatore, l’assistente sociale e il direttore. Ogni carcerato, in qualsiasi momento, può infatti chiedere di vedere e parlare col direttore. Il coordinamento da parte dell’educatore è un coordinamento TECNICO essenziale, infatti dopo ogni intervento professionale degli altri membri, l’educatore deve ricevere e raccogliere le informazioni ottenute; valutando se ci sia un numero sufficiente di informazioni per definire il caso sufficientemente istruito. Convoca poi una riunione con tutti i membri e si costruisce un primo momento di condivisione dei risultati della personalità del soggetto (= ognuno dice la propria), si analizzano poi possibili proposte trattamentali in ambito intramurario. Esistono anche casi in cui, il soggetto ha una pena detentiva talmente breve che si opta per qualche situazione esterna come risoluzione della pena, favorendo una sua migliore socializzazione (ma non sono casi frequenti -> le condanne sotto i 2 anni e 6 mesi, specie per reati di piccola entità o in caso in cui sia il primo reato, fanno si che il giudice decreti la sospensione condizionale della pena -> il giudice stabilisce che il soggetto non entri nemmeno in carcere, ma che il suo atto riprovevole venga “perdonato” e lasciato libero-> dunque viene sospesa la applicazione della pena ad una condizione: NON ripetere più quel reato). Questo perché? Per evitare di affollare le carceri eccessivamente con autori di reato “ai margini della criminalità”, i quali trarrebbero più danni che benefici dall’entrare in una carcerazione reale. Il piano di trattamento NON SI FERMA MAI, dunque è da intendersi come un processo ininterrotto che TUTTI i tecnici devono seguire per tutta la esecuzione della pena, riferendo tutto all’educatore. In se e per se, il piano di trattamento individualizzato, non diventa effettivo finché dopo averlo stilato, non riceve l’autorizzazione della magistratura di sorveglianza. Dal momento della approvazione in poi, il piano acquista efficacia effettiva. La magistratura di sorveglianza ha dei poteri di assunzione di informazione, anche ulteriori rispetto al piano di trattamento, può infatti attivare diverse fonti per raccogliere informazioni in maniera autonoma (polizia giudiziaria, carabinieri, polizia municipale, servizio sociale del ministero della giustizia – UEPE-, comitato per la sicurezza del territorio..). Dal ’75 il meccanismo di valutazione quindi, diventa particolarmente approfondito e articolato. La magistratura di sorveglianza, viene costituita dopo la legge di riforma, creando un ramo parallelo a quello della magistratura distribuito su tutto il territorio nazionale, con personale autonomo e si rivolge soltanto al settore dell’esecuzione della pena. I tribunali sono situati su ogni provincia (Reggio Emilia, Parma..), mentre la corte d’appello è solamente nei psicologia o criminologia -> come l’equipe di trattamento e due magistrati togati (uno è quello che accompagna il detenuto nel suo percorso) -> sono due magistrati di carriera. Decima lezione - 24 Maggio 2021 L’autore di reato condannato adulto, che è in una fase avanzata del trattamento (e magari in contemporanea si porta dietro anche una condizione di tossico dipendenza) = pesa su di lui un doppio stigma = lo stigma di essere carcerato e quello di essere allo stesso tempo tossicodipendente, con un percorso di analisi. Le SEAT sono una realtà nella quale la vita è stata voluta e pensata dal dipartimento della amministrazione penitenziaria, in una funzione e in una modalità organizzativa nella quale la vita, in quei reparti, si svolge a porte delle celle aperte (tranne che di notte), i detenuti possono partecipare a gruppi di lavoro e di riflessione, gruppi di terapia, in modo tale da costruire una situazione nella quale gli operatori del trattamento sono inclinati nella direzione trattamentale, e la custodia è formata da agenti di custodia in borghese = questa condizione crea un’immagine visiva dei condannati molto chiara: si tratta di un percorso più trattamentale che custodialistico. Le SEAT sono strutture a custodia attenuata letteralmente, e il legislatore del ’88 per i minori, invece, ha costituito un sistema organizzato alla luce di questa prospettiva = la detenzione tradizionale deve venire applicata con estrema RATIO nel confronti di un minore -> la prima struttura in cui si ritrova il minore autore di reato infatti, è i centro di prima accoglienza (che è strutturato nello stesso modo = forte componente di personale educativo, è più “una dimora” che un carcere, la parte centrale dell’impatto per il minore è quella con i tecnici del trattamento, non tanto il contatto con la polizia che è più lo sfondo). La Dott. Della Branca, desidererebbe appunto, un trattamento più simile a quello per i minori anche per gli adulti. Queste strutture SEAT, sono di tipo sperimentale ed innovativo, non sono presenti su tutto il territorio italiano, la prima negli anni 90 è apparsa a Rimini, un’altra si trova nella casa di lavoro di Castel Franco Emilia. All’interno della casa di Castel, i detenuti hanno già scontato parte della pena in altre strutture (istituti ordinari), tuttavia hanno anche una condizione di tossicodipendenza (da cui sono stati seguiti dagli esperti della struttura ordinaria in cui erano, e dal Sert = con al riforma degli anni 80 – 90 le equipe SERT sono entrate anche in carcere. Il SERT , è parte del sistema sanitario nazionale, dunque non del sistema di giustizia = sono infermieri, educatori, psicologi ecc.. che sul nostro territorio gestiscono soggetti con dipendenze, sia detenuti che non. Da dopo la riforma quindi, anche negli istituti penitenziari tramite le EQUIPE SERT, il Sert gestisce i detenuti -> collaborano con l’equipe di trattamento). In alcuni casi, dentro gli istituti penitenziari, vengono riuniti i condannati che soffrono di tossicodipendenza, proprio perché il loro piano è particolarmente inclinato verso la terapia, dunque hanno una condizione un po’ diversa rispetto agli altri = queste sezioni vengono costruite, solo quando la popolazione detenuta, ha una ampia percentuale di detenuti dipendenti. I soggetti che hanno un percorso nel quale è presente la dipendenza, qualora si rivelasse un BUON PERCORSO, questo può essere mandato in un SEAT. Le equipe Sert, hanno la possibilità di fare TUTTI gli accertamenti tossicologici sul detenuto (esami urine, sangue ecc..), ottenendo i dati di carattere clinico di quel detenuto; se il soggetto è un tossicodipendente del proprio territorio, il Sert probabilmente già lo conosce = solitamente quando il soggetto arriva in carcere con una dipendenza, è già conosciuto dal Sert del suo territorio, mentre quando non è appartenente a quel territorio, semplicemente tramite la rete si ottengono le informazioni (es. il sert di RE chiede info al sert di Catania su quel sogg.). Con l’esordio in termini quantitativi della cocaina (e di altre droghe di sintesi / laboratorio), troviamo più frequentemente, oltre al problema della tossicodipendenza, anche una carriera importante in termini di narcotraffico = il narcotraffico è diventato un fenomeno TRANSNAZIONALE ed INTERCONTINENTALE, con una diffusione capillare, che mette a dura prova anche le risorse avanzate della polizia postale = c’è un ramo della postale, che è stato costituito solo per controllare il traffico di sostanze stupefacenti. Abbiamo quindi accennato al fatto che, all’interno del carcere possiamo trovare 2 equipe:  EQUIPE SERT -> Deve constatare la condizione di tossico dipendenza, deve attestare quindi la realtà della tossicodipendenza = spesso succede anche, che i detenuti pensino che dichiararsi tossici faccia aprire loro dei percorsi facilitati rispetto all’uscita dal carcere (così non è) e mentano sulla loro condizione.  EQUIPE DI TRATTAMENTO -> costruire il piano di trattamento risocializzativo anche alla luce del piano terapeutico che costituirà l’equipe SERT. Es. se l’equipe Sert stabilisce che il soggetto debba fare diversi colloqui con i suoi specialisti in ambito intramurario, per poi percorrere un percorso terapeutico che potrebbe essere migliorato dall’ingresso del sogg in comunità -> entra così in gioco l’equipe di trattamento per valutare la proposta: deve così capire se il sogg. è indicato come un sogg. adatto o meno. La prima equipe ha una funzione TERAPEUTICA, mentre il lavoro dell’equipe di trattamento tiene in conto non solo la condizione di dipendenza, ma anche il fatto che il sogg. Sia un autore di reato = le due equipe devono sempre lavorare con sinergia, in cui l’educatore si pone come ponte tra le due (funge da trasmissione delle info tra i due gruppi di lavoro). Quando il detenuto tossicodipendente, nel carcere ordinario, ha fatto un percorso avanzato, anche in rapporto alla propria tossicodipendenza, può venire inviato per la seconda metà della sua esecuzione in una SEAT = es. un sogg ha una condanna di 4 anni, nei primi due anni da prova di avere un comportamento e una partecipazione tale, sia verso l’equipe Sert, sia dall’equipe di trattamento, per cui ottiene dei successi = si può scegliere di trasferirlo per rimanere a Castel Franco Emilia in SEAT a terminare il suo percorso,che sarà ancora più inclinato verso lo stampo terapeutico (infatti, nonostante le sbarre alle pareti, le celle aperte ecc possiamo dire che la SEAT, abbia uno stampo di struttura comunitaria, pur rimanendo un carcere). MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE Le misure alternative alla detenzione costituiscono a tutti gli effetti, l’equivalente di istituti il cui contenuto sanzionatorio, ha voluto differenziarsi da quello tradizionale -> sono nuove modalità di esecuzione penale che differiscono più o meno rispetto alla pena detentiva tradizionale. Dal ’75 in poi, nascono questi istituti prima inesistenti, attraverso i quali il periodo della condanna stabilita dal giudice, prevede una variazione rispetto al mero trascorrere in cella la condanna. Sono misure costruite dal nostro legislatore in un’opera di TRATTAMENTO PROGRESSIVO = all’interno di queste misure, ne esistono numerose e di molte diverse, e l’equipe è chiamata ad usare una di queste, in base alle caratteristiche del soggetto ed in base al percorso più ideale, nel quale l’educatore penitenziario e l’equipe possano accompagnare il soggetto in un percorso dove lo si aiuta a sperimentare PROGRESSIVAMENTE (= in successione) fardelli di responsabilizzazione sempre più elevati. Il soggetto pian piano, in base al suo comportamento, sarà chiamato a rispondere a momenti di responsabilità sempre più elevati, ed in base ad ogni risposta salirà il grado di gradino in gradino. Alla fine del percorso, il detenuto potrebbe essere posto in condizione di scontare tutta la giornata a casa sua, ovviamente controllato = affidamento in prova al servizio sociale = rimanere in casa propria, trascorrere i pasti e dormire in famiglia, avere la possibilità di uscire in un lasso di tempo (es. 16,30 – 18,30) per svolgere una attività lavorativa (dopo il controllo dell’UEPE). Il soggetto potrebbe anche essere posto, avendo problematiche trattamentali (tossico o alcool dipendenti), in una forma speciale di affidamento, con cui scende la probabilità di tornare a vivere a casa propria, ma venga collocato invece, in una comunità terapeutica = percorso terapeutico = dentro la comunità il ruolo professionale di un educatore, non si svolge solo dentro al carcere, ma si troverà davanti a soggetti ospiti della comunità anche non detenuti; per tutti gli ospiti della comunità si può uscire dalla stessa, mentre per gli ospiti - detenuti si può SOLO con l’approvazione della magistratura di sorveglianza (es. uscire tutti insieme per visitare una mostra) -> i contatti col mondo esterno per i detenuti VANNO SEMPRE autorizzati. Nella costruzione ideale, immaginata dal legislatore, le misure alternative potrebbero e dovrebbero venir proposte ai sogg detenuti = per soggetti a minor spessore di carriera criminale per esempio (ridotta pericolosità sociale), altre misure come la SEMILIBERTA’ potrebbero essere adottate anche da un ergastolano... diciamo che ogni misura, delinea un proprio destinatario, essendo tutte diverse le une dalle altre. Queste misure, favoriscono notevolmente il grado di socializzazione del soggetto, dunque lo aiutano poi ad entrare nella piena responsabilità del suo stato, che corrisponderà alla sua scarcerazione. Il detenuto è quindi accompagnato PROGRESSIVAMENTE, trattato tramite concessioni sempre maggiori, fino ad arrivare a una situazione nella quale il soggetto è QUASI vicino alla piena libertà. Le misure alternative alla detenzione sono: AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE -> (misura più ampia), era la misura più attesa, corrispettivo italiano del PROBATION. Può essere concessa a determinati detenuti: ovvero ai sogg che hanno un limite di pena di 3 ANNI, dopo essere stati sottoposti all’istituto penitenziario in osservazione della personalità per un periodo di 3 MESI (non sono molto numerosi, in quanto sotto i 2 anni e 6 mesi vi è la concessione di una sospensione condizionale della pena -> sostanzialmente sono quei soggetti con pena che va dai 2 anni e 6 mesi si 3 anni). Le leggi di riforma successive alla 354, hanno un po’ allargato questi confini rigidi: il limite di pena è passato a 4 anni, mentre quello di osservazione della personalità è stato ridotto ad un mese (diventa difficile però fare una osservazione della personalità concreta in così poco tempo, tuttavia questo cambiamento è stato necessario per rendere la misura più fruibile). Infine, l’ultimo cambiamento ha fatto si che: chi avesse un residuo di pena non superiore ai 4 anni -> questa scelta è stata chiesta dalla magistratura di sorveglianza, per rendere il sistema di esecuzione di pena più flessibile e meno rigida ->negli ultimi quattro anni di detenzione, chiunque può accedere a questa misura (anche chi ha pene piuttosto importanti). Perché? Proprio per rispondere a quella motivazione di PROGRESSIVITA’ di cui parlavamo all’inizio -> se il trattamento è stato ben costruito dall’educatore e dall’equipe, il sogg viene gradualmente sperimentato -> percorsi scolastici, culturali, corsi professionali, sono alcune delle attività intramurarie che potremmo inizialmente proporre al sogg, dopo di che se il sogg dimostra di partecipare attivamente, allora potremmo nuovamente sperimentare una concessione di “piccola libertà” (per esempio, un permesso premio = incontrare per 3 ore la propria famiglia), e così via fino ad arrivare nell’ultimo periodo (alla fine della sua condanna, magari gli ultimi due anni di una condanna di un totale di 15 anni), nel quale il condannato potrebbe essere messere in prova al servizio sociale visti I SUCCESSI precedentemente ottenuti = tornerà poi in società quasi abituato alla piena libertà sperimentata. Inizialmente, era impossibile nel nostro ordinamento giuridico, applicare le misure alternative ai soggetti plurirecidivi, ad alta pericolosità sociale. -> questa preclusione iniziale del legislatore del ’75, è caduta con la legge di riforma (LEGGE CORTINI DEL 1986) -> ha completato la riforma. Il legislatore ha eliminato la preclusione ostativa a tutti i soggetti con la misura di sicurezza, dunque è caduta la condizione per cui NESSUNA misura alternativa potesse essere applicata ai soggetti pericolosi. Inizialmente infatti, un soggetto per essere ritenuto pericoloso, bastava che recidivasse TOT volte in un anno = 3 scippi di portafogli e sei ritenuto pericoloso.  Un caso particolare è quello di soggetti con età superiore ai 65 anni (quindi non un anziano, non una condizione di fragilità come avrebbe un signore di 80 anni) CHE PERO’ HA COME CONDIZIONE L’INABILITA’ = un requisito sanitario, un soggetto dichiarato tale da una commissione medico – legale -> es. patologie agli arti, difficoltà di movimento; potrebbe essergli concesso in vista di questa condizione di scontare la pena a casa.  Quando il soggetto ha patologie gravi tali da necessitare costanti contatti con i presidi sanitari = la legge parla di “macchinari” dal punto di vista terapeutico -> es. rene artificiale -> le attrezzature del carcere non sarebbero idonee, non gli si può garantire di avere i macchinari adatti, che invece si troverebbero negli ospedali fuori dal carcere. (NON PARLIAMO DI GRAVITA’ DELLA PATOLOGIA = ESISTONO PATOLOGIE MOLTO GRAVI ANCHE LETALI, CHE POSSONO ESSERE CURABILI NELL’ISTITUTO PENITENZIARIO, COME IL CANCRO O L’AIDS; IL PARAMETRO E’ QUELLO DELLA NECESSITA’ DEL COSTANTE CONTATTO CON I PRESIDI SANITARI)  Quando il soggetto, che non rientra in nessun altra misura di detenzione, è ritenuto particolarmente adatto Le ultime tre misure, costituiscono importanti strumenti nell’attuazione del trattamento progressivo, nonostante siano un po’ differenti rispetto alle misure alternative alla detenzione vere e proprie, infatti sono più strumenti “PER TESTARE IL SOGGETTO”: PERMESSI PREMIALI -> In caso di stretta necessità, era l’unica condizione che già PRIMA DELLA RIFORMA, rappresentava una risorsa da utilizzare in casi estremi = es. caso in pericolo di vita di un congiunto del detenuto, per partecipare ad un funerale, per una malattia molto grave del detenuto.. = il soggetto era scortato, accompagnato dalla polizia e poteva uscire ammanettato in quei casi emergenziali già visti. Questo istituto, è stato poi RIVISITATO con la legge di riforma del ’75, facendone il suo primo strumento di trattamento. Al soggetto oggi, è garantito col permesso premiale, di passare un periodo di tempo variabile fuori dall’istituto (VARIBAILE = di poche ore, di mezza giornata, di uno o due giorni, o anche più prolungato che non può superare i 45 giorni di detenzione annuale = DUNQUE IL DETENUTO PUO’ USUFRUIRE DI NON PIU’ DI 45 GIORNI IN UN ANNO). Il detenuto può proporre lui stesso una richiesta di permesso premio (per incontrare la famiglia, per uscire a cercare il lavoro, per presenziare a delle sedi processuali...), che ovviamente deve essere accettata e concessa dall’equipe di trattamento, che trasmetterà il proprio parere al MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA (che prende provvedimenti = decide di concedere o non concedere il permesso)-> se il magistrato si rifiuta, il detenuto può proporre l’appello al tribunale di sorveglianza. Il permesso premio prevede delle condizioni di concedibilità: può essere concesso dopo un periodo di carcerazione NON INFERIORE AI DIECI ANNI, dopo l’espiazione di almeno ¼ di pena per chi ha una condanna superiore ai 4 anni, oppure, oppure può essere concesso dopo l’espiazione di almeno metà della pena per quei soggetti che sono stati condannati per uno dei delitti previsti dal primo comma dell’articolo 4 BIS dell’ordinamento penitenziario = quei soggetti condannati per reati appartenenti alla criminalità organizzata (quei reati che suscitano maggior allarme sociale). Il permesso premio, può essere concesso anche all’ergastolano dopo 10 anni. Ad oggi il permesso premio, è un tassello centrale, in quanto rappresenta un modo per saggiare e mettere alla prova le capacità del soggetto = difficilmente si arriva all’affidamento in prova o alla semilibertà, prima di avere testato il soggetto con un permesso premio. LIBERAZIONE ANTICIPATA -> è un istituto con caratteristiche particolari, prevede tutte quelle situazioni nelle quali, il soggetto ha trascorso il tempo di carcerazione dando prova della sua attiva partecipazione al piano di trattamento proposto = NON E’ SUFFICIENTE CHE IL DETENUTO NON ABBIA COMMESSO ATTI NEGATIVI, MA SERVE PROPRIO CHE CI SIA STATA LA SUA ATTIVA PARTECIPAZIONE. In questo modo la durata della condanna DIMINUISCE / SI RIDUCE di 45 giorni per ogni sei mesi di pena detentiva. Questa previsione, ha un senso profondo: il detenuto è un essere umano, attraversa momenti di positivo percorso e momenti di grande crisi per mille motivi (es. si aspettava la fine della pena in sei mesi, sopravviene una nuova condanna che allunga la detenzione di tre anni; la moglie lo abbandona; i genitori gli dicono di non rivolerlo più a casa; contrasti con la polizia o i compagni di cella..). Il comportamento del detenuto viene quindi suddiviso per semestre (appunto perché l’essere umano non è una macchina, ma è variabile), e la legge di riforma con questa tecnica legislativa sofisticata, permette all’equipe di valutare il comportamento di sei mesi in sei mesi -> dopo un mese particolarmente negativo, il soggetto può recuperare il semestre successivo. La liberazione anticipata è concessa o non concessa, in funzione del suo concreto comportamento: es. i primi due anni di carcerazione il soggetto era furibondo, dopo di che tramite l’intervento dell’equipe, si è riuscito a farlo aderire al percorso risocializzativo - > la condanna si riduce di 45 giorni ogni semestre espiato positivamente. Questa misura permette così di accorciare la pena di 45 giorni ogni sei mesi (quindi per un TOT. Di 90 giorni all’anno, cioè 3 mesi su 12, nei casi più fortunati, consente un quarto di pena in meno -> su una pena di 4 anni, il soggetto può uscire dopo 3...). Il soggetto torna ad essere un uomo libero prima della scadenza, è una misura alternativa suis generis, e il legislatore e gli studiosi del diritto penale, lo hanno definito “diritto penale premiale”, perché non ha un contenuto attivo trattamentale ( = nei mesi di liberazione anticipata, non vi è un piano di trattamento, il soggetto torna proprio LIBERO, funge proprio da PREMIO) -> se il soggetto si impegna nel proprio reinserimento sociale, ha la aspettativa che il suo impegno porti alla riduzione della pena -> è uno strumento INDIRETTO che sollecita il soggetto LAVORO ALL’ESTERNO -> in realtà riguarda soltanto la possibilità concessa solo ad alcuni detenuti, di svolgere attività lavorative per l’amministrazione penitenziaria AL DI FUORI della cinta di detenzione (es. manutenzione del fabbricato in tutte le parti dell’istituto, dentro MA ANCHE FUORI, la manutenzione delle zone verdi, quindi coltivazione o irrigazione -> per esempio la manutenzione dell’aiuola che circonda le mura del carcere, dunque proprio una zona AL DI FUORI dell’istituto..). Il lavoro all’esterno concede al detenuto di prestare la sua attività lavorativa, in aree all’interno delle quali, in condizioni ordinarie non potrebbe accedervi -> seppur aree vicine, comunque sempre al di fuori. Il direttore sceglie se accettare o meno che il detenuto si presti. NB PRIMA DELLA LEGGE DEL 75, NON VI ERA NESSUN ASPETTO DI RILEVANZA DA NORMARE (NON C’ERANO PERSONALE, SPAZI...) SECONDO L’OPINIONE DEL TEMPO, MOTIVO PER CUI, AL DI LA DI PICCOLE DECISIONI NON VI ERA UN CORPUS NORMATIVO: LA CARCERAZIONE ERA SOLO UNA LUNGA ATTESA ( = L’INSIEME DEI GIORNI, NESSUN PERCORSO, SEMPLICE ATTESA). DUNQUE, NON VI ERANO OVVIAMENTE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE = IL SOGGETTO SCONTAVA LA PENA INTRAMURARIA = ECCO PERCHE’ LA LEGGE DEL 75 E’ COSì ENORME, PERCHE’ NASCE SUL NULLA. NOTE FINALI Nel colloquio clinico è importante: capire le relazioni del detenuto con la famiglia, capire se il soggetto ha dei precedenti in famiglia di criminalità (es. se la famiglia ha dei criminali al suo interno), capire che scuole ha fatto e che formazione ha (sia al di fuori del carcere, ma anche quali certificazioni ha ottenuto il detenuto all’interno del carcere), analizzare le modalità e il tipo di reato commesso (alcuni reati sono sviluppati in maniera abbastanza banale, altri in maniera più cruenta). Il colloquio deve trovare informazioni sempre più approfondite rispetto a questi tasselli, ritrovare una coerenza nelle informazioni ricevute (spesso il detenuto da delle informazioni che sono in antitesi tra di loro -> magari nel primo colloquio dice una cosa e nel secondo la smentisce, a volte bisogna tirare fuori e sollecitare il dialogo col detenuto, altre ancora il soggetto parla tantissimo e da mille informazioni -> il tutto dipende, come tra le persone libere, dalle inclinazioni caratteriali del soggetto). La coerenza va ritrovata non solo nel colloquio col detenuto, ma anche con le altre informazioni che il soggetto rilascia agli altri esperti -> dunque importantissimo è il dialogo con le altre figure che colloquiano col detenuto, la condivisione è alla base della raccolta di informazioni -> al termine di ogni colloquio, o comunque ogni tot colloqui, bisogna riportare il tutto all’educatore. È sempre bene ricordare inoltre, che il colloquio non è una seduta terapeutica, e che il detenuto probabilmente farà fatica a fidarsi e ad entrare in confidenza in tempi brevi con un esperto (ci vogliono ALMENO alcuni mesi). I colloqui vanno svolti con cadenza periodica, tornando sui temi centrali per allargarsi col tempo verso nuovi argomenti (ad esempio: il soggetto si ritrova con un coniuge al di fuori che non lo vuole e non lo accetta più, magari lo stesso ci dice invece che la famiglia lo adora; per sua convinzione o mentendo, riportando il tutto all’educatore e mettendo in condivisione la cosa, potrebbe venire fuori tramite l’assistente sociale che ha fatto un sopraluogo, tutta la verità -> ecco emergere diversi contenuti CENTRALI. ). Fondamentali sono sempre le teorie criminologiche. NB. IL SEGRETO PROFESSIONALE RIGUARDA SEMPRE L’ESTERNO, MAI LA CONDIVISONE INTERNA CON I COLLEGHI DI LAVORO -> NON E’ VIOLAZIONE DEL SEGRETO PROFESSIONALE, MA E’ PROPRIO UN DOVERE DI TRASMISSIONE. IL DETENUTO SA BENISSIMO CHE LE SUE INFORMAZIONI CIRCOLERANNO (guardare bene il capitolo sul segreto professionale!!). Il detenuto deve dimostrare di dare un contenuto reale alla relazione nel colloquio, l’educatore deve essere in grado di capire se ha davanti un soggetto abbastanza responsabile per portare avanti un dialogo CHIARO E VERITIERO -> qualora il detenuto mentisse più volte, gli si deve fare presente che siamo disponibili a riprendere il rapporto da dove era stato lasciato e che ogni menzogna corrisponde ad una interruzione del rapporto -> SIAMO DISPONIBILI SEMPRE AD ACCOMPAGNARE E SOSTENERE IL SOGG, MA NON A FARCI PRENDERE IN GIRO.