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Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo - Dispensa Teologia 2 Invernizzi CORRETTA, Dispense di Teologia

In assenza, a detta della professoressa, di dispense concettualmente corrette in merito a questo libro, assicuriamo la correttezza di questa dispensa (30 e lode all'esame). anno 2019/2020

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 11/02/2020

caterinarnaud
caterinarnaud 🇮🇹

4.6

(71)

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Scarica Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo - Dispensa Teologia 2 Invernizzi CORRETTA e più Dispense in PDF di Teologia solo su Docsity! DA ADAMO AD ABRAMO O L'ERRARE DELL'UOMO Capitolo 1 – Un mondo secondo Dio La genesi si apre con la creazione del mondo, un disegno graduale in cui man a mano che Dio parla le cose e gli esseri vengono all'esistenza. L'universo prende forma in modo ordinato e sereno, in positivo, così che anche il lettore possa condividere la meraviglia provata dal Creatore che, invisibile, rimane esterno alla scena che prepara e la domina contemporaneamente in un progetto consapevole e progressivo. La narrazione non ha alcuna pretesa scientifica, riporta la rappresentazione che circolava nel contesto culturale babilonese in cui il testo era stato scritto. STRUTTURA: simmetrie e ripetizioni, che scandiscono il tempo che scorre e gli avvenimenti - Le simmetrie evidenziano rapporti di corrispondenza tra i 7 giorni: giorno opera separazione – immobili (quadro) ornamentazione – mobili (popolamento) opera giorno I 1 luci e tenebre, giorno e notte luminari (sole e luna), astri scandiscono il tempo 5 IV II 2 acque e volta del cielo animali cielo e acqua (pesci e uccelli) 6 V III 3 4 terraferma secca e mari piante della terra animali terrestri umanità 7 8 VI  Simmetria tra colonne : procedimento per separazioni (luce e tenebre, spazio verticale con alto e basso e orizzontale con acque e terra) a partire dagli elementi costitutivi del caos (tenebra, abissi), che predispone un quadro di elementi immobili, un setting che scandisce lo spazio e il tempo con giorno e notte. A questi elementi immobili si iniziano a predisporre simmetricamente gli elementi mobili: o IV giorno  astri e luminari in corrispondenza a luce e tenebre del I giorno, che scandiscono il tempo o V giorno  in corrispondenza al II, Dio popola acque e cieli o VI giorno  corrispondenza al III, popolazione animali e umanità, predisponendo le piante come alimentazione  Rottura netta al VII giorno con cessazione del lavoro: predisposizione di un ritmo settimanale che il Creatore dà a sé stesso, sottolineato dal gioco di parole con shabat (smettere, riporarsi) e shèba (sette) - Le ripetizioni scompongono la disposizione in due parti (4 giorni e 2 giorni in base al conteggio delle parole) o anche:  10 introduzioni narrative scandite da «E Elohim disse». La formula dà l’idea della potenza e efficacia della parola divina, e verso la fine si differenzia: alla nona ripetizione si aggiunge il pronome (“E Elohim disse loro”) in direzione dell’umanità  seconda benedizione dopo quella che Elohim fa ai pesci e gli animali quando li crea. 1 La decima ripetizione, invece, si differenzia dalle altre per l’introduzione di una formula di dono e non di ordine (“Ecco, ho dato per voi”)  Ripetizione per 6 volte di «e fu così», usata quando Elohim fa. [N.B.: ma non quando crea (bara’), che viene invece accostato alla parola di benedizione barak]  7 ripetizioni della constatazione meravigliata di Dio «E Elohim vide: che è bene», che l’ultima volta è più completa con “vide tutto quello che aveva fatto” Il testo è così scandito in due parti di struttura e lunghezza analoga, la prima che si cura delle separazioni e la seconda degli esseri viventi. INTERPRETAZIONE: 1. Elohim  “Quando Elohim iniziò a creare il cielo e la terra” – il primo versetto può essere interpretato con tre chiavi di lettura diverse: 1. Titolo : si situa la creazione come un atto unico collocato in un inizio assoluto 2. Racconto della prima azione di Dio : obiezione – il v.2 descrive la terra prima della creazione come un caos, per cui non risulta compatibile all’espressione “cielo e terra” 3. Preposizione circostanziale : inizio solenne al testo, relativa al momento in cui Dio prende l’iniziativa di creare l’universo. 1 e 2 si incontrano sulla visione dello sfondo dell’agire, un trasformare la materia prima e vincere sul caos: la terra era un “nohu bohu”, un qualcosa di inabitabile e inospitale, il contrario di un mondo creato. È occupato dalle tenebre che immergono le acque abissali dell’oceano primordiale (“tehom”), percosse dal vento di Elohim  può essere inteso concretamente come superlativo (è consuetudine usare l’espressione “di Dio” per sottolineare la forza di qualcosa), quindi un vento molto forte, oppure come una metafora evolutiva: una potenza apparentemente violenta che proviene da Elohim ma che in realtà è fremente, come se Dio calmasse la propria potenza mettendo a bada il caos. È proprio il contenimento di questa forza che comporta la creazione, contenersi per investire questa violenza in una parola  introduce il tema della parola creatrice. Parola inaugurale: il termine primo usato da Elohim nel momento della creazione è “Sia!” (yehi), verbo essere, strettamente legato a YHWH (Adonai), il nome che Dio rivelerà a Mosè come proprio. La parola creatrice sgorga dallo stesso nome divino, è messa in atto dell’essenza divina. Il verbo essere hyh viene ripetuto 26 volte, ossia la somma dei valori numerici delle lettere del nome di YHWH (10+5+6+4=26)  il capitolo non menziona YHWH ma potrebbe nascondersi dietro questo “Sia”. Una delle azioni principali attribuite ad Elohim è quella di separare: i vegetali in 3 categorie, astri in 3 gruppi, animali 3 generi  sono la condizione in cui ogni cosa distinta è collocata al proprio posto nel giusto rapporto con l’insieme, in una rete di relazioni in cui ogni cosa ha il suo posto e la sua utilità. Queste separazioni sono effettuate tramite la parola, un’istanza onnipotente nel senso che realizza e impone ciò che vuole. Così facendo imposta e sistema il mondo che il lettore può osservare nella realtà; non si trova di fronte al testo ma anche dentro di esso, può riconoscere il proprio mondo in esso. Nessun uomo ha assistito a questa creazione, ma c’è un narratore che la racconta, scegliendo di riportare le parole di questo personaggio che si chiama Elohim come se si trattasse di una fiction anche se, rappresentando il mondo riconoscibile, questo rimane tra finzione e realtà. L’onnipotenza sopracitata di Elohim si declina concretamente in due forme principali: 2 Capitolo 2 – L’umano e il suo mondo In che modo l’umano occuperà lo spazio che gli viene aperto? Qual è il legame con il racconto di apertura?  date le visioni inconciliabili degli inizi del mondo, la cronologia differente nell’apparizione dei viventi, alle immagini di Dio divergenti, la critica classica attribuisce i due racconti di creazione a due autori diversi. Ma se questa rottura è evidente, si cela in realtà una continuità nascosta. 1. Frattura  Transizione avviene senza rottura ed il versetto 4 del capitolo 2 sembra fungere contemporaneamente da conclusione del poema della creazione e introduzione del racconto che segue. Si sente una forte eco del cap. 1 che potrebbe indicare l’inizio di una nuova sezione evocando l’inizio della precedente. 2. Continuità  si vede il cap. 2 come uno studio più profondo dell’uomo in quanto creatura; se prima si era creato un inquadramento del contesto cosmico, adesso l’occhio della telecamera si focalizza sull’essere umano. Si richiamano già subito i temi del compito dell’essere umano e il cibo: Adonai Elohim (Divinità creatrice) sistema l’umano nel giardino, un quadro spaziale più ristretto, e gli dà un ordine riguardo al suo cibo: tutto gli viene dato in nutrimento meno una cosa, un limite: l’albero del conoscere bene e male. La vicenda si svolge in 3 momenti: 1. Preludio: triplice mancanza  non c’è vegetazione nei campi perché non ci sono né acqua né umani che possano lavorare l’humus. 2. Primo tempo di creazione: si colmano le mancanze  flutto d’acqua annaffia l’humus, creazione uomo e nascita vegetazione. 3. Secondo tempo di creazione: interrelazioni  il flutto diventa fiumi (Tigri, Eufrate, Pishon e Gihon), l’uomo viene collocato nel giardino come giardiniere e custode, la vegetazione sarà cibo dell’umano (tranne l’albero del conoscere bene e male, che invece costituisce un pericolo di morte). Profondo legame tra ha’adam e ha’damah, uomo e humus: colui di cui l’humus ha bisogno per essere la vorato è egli stesso plasmato a partire dall’humus dal quale è preso. A differenza dei vegetali, che germogliano, l’umano viene plasmato dal Creatore come modellato da un artigiano  si distingue l’essere umano dagli altri viventi, fin dall’inizio si dice che l’uomo è polvere, di frequente associata alla morte (polvere sei e polvere ritornerai): se ne parla solo a proposito dell’umano perché questo è l’unico ad avere coscienza che deve morire? Dopo averlo modellato, Adonai Elohim soffia nelle sue narici un alito di vita: la parola, che permette all’umano di articolare i nomi degli animali e quindi di esercitare il suo mite dominio. Ancora una volta l’ha’adam è in mezzo tra gli animali (plasmato dall’humus come loro) e Dio (alit di vita). Relazione tra umano e la natura raffigurata con giardino (gan, derivante dal verbo ganan = proteggere)  relazione di scambio: l’umano mette le proprie forze al servizio del giardino per lavorarlo e questo lo nutre, lo rallegra e lo tutela dall’ambiente inabitabile esterno. Albero della conoscenza del bene e del male (vv. 16-17)  Dio non dice nulla su sé stesso, parla dell’umano, del suo cibo e di una possibile morte. Duplice ordine in positivo: l’umano può mangiare tutto TRANNE quell’unico albero, ponendo un limite. Le parole di Adonai Elohim possono essere interpretate come: A) essendo l’unico ad avere la conoscenza di bene e male, Dio 5 non vuole concedere questa facoltà all’uomo e rafforza il veto con una minaccia a morte (sarà questa l’interpretazione che il serpente darà ad Eva per tentarla); B) un avvertimento, una messa in guardia di fronte a una scelta pericolosa. Porre un limite al godimento del tutto non è però un atteggiamento malevolo, anzi: Adonai vuole mettere in guardia l’umano contro la bramosia, in segno del suo amore verso di esso desidera condurlo all’accettare una mancanza così da appellarsi alla sua fiducia. Se l’umano è un essere di desiderio, allo stesso tempo dovrà allentare la sua voglia di sapere e fidarsi di colui che parla, che sta cercando di istruirlo non impedendogli di conoscere il bene e il male, quanto piuttosto avvertendolo su una scelta che potrebbe portarlo alla morte. Ma allo stesso tempo l’umano si ritrova così in una posizione di non sapere, non sapere se Dio così facendo vuole il suo bene o male, il che sarà proprio ciò sul quale il serpente farà leva per tentarlo. Quest’ignoranza radicale può essere colmata solo dalla fiducia verso Elohim ed è proprio qui che prende forma il test: se l’umano acconsente a non mangiare significa che rispetta colui che gli dona tutti gli altri alberi. Dopo aver posto quest’ordine Adonai Elohim constata: “Non bene che l’umano sia alla sua solitudine”  questo non bene si contrappone alla formula che è bene ripetuta più volte in precedenza. Questo passo (vv. 18-25) si sviluppa così: A. Introduzione: Adonai Elohim constata una mancanza (non bene), la solitudine, e decide di fare “un soccorso (ezer = intervento indispensabile) come di fronte a lui”  avendo posto il limite al desiderio e al sapere dell’umano, Adonai lo prepara alla relazione con l’altro, un confronto o affronto. 2 azioni: creazione e presentazione, crea gli animali poi li presenta davanti all’uomo e costui li nomina, atto che funge da reazione solenne. B. Intermezzo: gli animali non bastano al soccorso: creazione uomo/donna. Dio fa una nestesia all’umano indifferenziato, che si addormenta, poi lo separa [NB: la concezione comune della donna che nasce dalla costola è scorretta, in quanto il Testo parla soltanto di sela’ = lato]  separandolo da un lato e dall’altro, plasma uomo e donna. A questo punto duplice mancanza: nessuno dei due partner ha accesso alla propria origine né a quella dell’altro e ognuno dei due ha una perdita, un pezzo mancante laddove è stata effettuata la separazione. La relazione tra i due generi dovrà quindi formarsi sulla base dell’accettazione di questa perdita. Anche qui, dopo la creazione si passa alla presentazione: Elohim presenta la donna lasciando intendere questo incontro come un dono divino, che quindi dà la possibilità di non conoscere un isolamento mortale. L’uomo, meravigliato, riconosce subito nella donna una compagna, prende coscienza di lei in quanto a lui simile ma nel farlo cade in errore: la ritiene presa da sé stesso. La donna è presa dall’umano indifferenziato ma l’uomo agisce come se fosse a conoscenza di tutto e come se fosse lui l’ha’adam, l’umano di partenza. La nomina come ‘ishshah (da ish = uomo) e facendo così la situa rispetto a sé stesso, rivelandosi incapace di acconsentire all’alterità radicale di lei, al fatto che sia un altro essere umano che abita la propria singolare differenza. Nello stesso slancio, congeda Adonai Elohim, non menzionandolo nemmeno: è stato lui a dargli questa partner, eppure sembra non avere più spazio vicino all’umano e la sua donna  non solo ha dimenticato che la donna era un dono, non ha neppure rilevato l’azione divina. La donna, dalla sua, risponde col silenzio, non si pone di fronte all’uomo come Adonai aveva immaginato e facendo così si presta al desiderio del partner, accettando di colmare le sue mancanze. 6 C. Conclusione: Il narratore avverte perciò il lettore: questo tipo di fusione, questo amore cieco che non coglie quel che distingue i partner e genera riflessi di possesso, non è il giusto cammino dell’umano. Capitolo 3 – Il serpente, il frutto e una sventura La rottura tra cap. 2 e 3 è così profonda che la critica distingue spesso un “racconto di creazione” e un “racconto di caduta”; tuttavia, anche qui è presente una continuità. Struttura: breve scena muta inquadrata da due dialoghi. Nuovo personaggio giunto sulla scena rilancia la questione dell’albero proibito: serpente astuto più di ogni vivente (‘arum mi-) che rimanda alla nudità dei due umani (‘arummim)  gioco di parole, in quanto il serpente è il più nudo tra gli animali creati; l’astuzia del serpente potrebbe proprio consistere nell’esibire la sua nudità. Inoltre, la sua scelta di rivolgersi alla donna non è casuale: se l’umano può credersi senza mancanza dato che possiede la “sua donna”, ciò non è il caso di quest’ultima. Qui, è la donna a colmare una mancanza, una mancanza di conoscenza cercando di abolire il limite posto da Dio. L’uomo si lascerà fare da lei mangiando il frutto dalla sua mano. Nel suo colloquio con la donna il narratore ci avverte sin da subito della scaltrezza del serpente, contrariamente alla donna che non ne è al corrente. Le parole del serpente si caratterizzano per tre elementi determinanti: - Ingrandisce il limite e fa scparire dietro la mancanza tutto quello che viene donato  crea un’ambiguità riportando solo la parte negativa dell’ordine di Adonai, quella che pone il limite (“non mangerete”), e rimuove così la parte che evidenzia il dono  senza di questa la parola divina è solo legge che proibisce di mangiare o godere, una mancanza. - Gioca con l’ambiguità del linguaggio e getta il sospetto  si impadronisce dell’ordine di Adonai Elohim ripetendo le sue parole ma introducendo la frase con un dubbio: quel che afferma è corretto, ma formula la frase in maniera da farla sentire in un altro modo. - Semina la diffidenza per opporre l’umano a colui che gli dona la vita  trasforma il tu in un voi [non mangerete], così occultando la differenza tra i due umani e facendo di loro un unico apparato. Così facendo, dà un’idea di opposizione di Dio agli umani. Nulla viene esplicitato ma tutto viene sottinteso, tanto che il serpente si riferisce a Dio chiamandolo solo Elohim (divinità), senza aggiungere l’Adonai (creatore). Con questi astuti accorgimenti il serpente strumentalizza la parola divina, semina la confusione mantenendo però sempre una leggerezza, come a far finta di nulla. Mentre risponde alla creatura, la donna è già caduta in trappola: chiama anche lei Dio “Elohim”, e anche se rettifica ciò che ha detto il tentatore correggendo la sua frase totalmente negativa, condivide comunque la sua logica. Inoltre, se per Dio al centro del giardino si trova l’albero della vita, la donna pare vedere l’albero della conoscenza del bene e del male, come se al centro non ci fosse la vita ma il divieto  visto attraverso le parole del serpente, l’albero cattura totalmente lo sguardo della donna, asservendola alla propria mancanza. Nelle sue parole, in generale, si può avvertire una forte pulsione verso il frutto proibito, ma anche il timore della morte; timore che il serpente si cura presto di sfatare, smentendo le parole di Dio e contraddicendole: “si apriranno i vostri occhi e sarete come Elohim conoscenti bene e male”. Proprio il nome Elohim in questo caso viene accostato alla conoscenza come se, se entrassero in possesso di questa, anche gli uomini sarebbero come lui. Dio viene presentato come se fosse lui stesso ad avere timore di essere spogliato di tale privilegio  il serpente si presenta come amico degli umani ma, tentandola al trasgredire, in realtà suggerisce alla donna di diventare proprio come 7 Il narratore biblico si contraddistingue per il suo sopprimere il superfluo per risaltare l’essenziale. Nel raccontare, l’uomo viene nuovamente definito “l’umano” e sembra esserci un richiamo al passato: quale momento, però? Ambiguità: verbo conoscere (yada’) descrive un rapporto sessuale con l’uomo come soggetto che comporta spesso un potere da lui esercitato sulla partner: è usato ben poco per evocarlo, proprio perché non ha niente di idilliaco. Esistono due espressioni ebraiche che non situano la donna quale oggetto dell’agire dell’uomo: andare verso (bo’ ‘el) oppure coricarsi con (shakav ‘im o ‘et). L’uomo della Genesi, che aveva parlato della donna come se la conoscesse, che l’aveva nominata a partire da sé, in 3,20 le dà un altro nome, Eva (Hawwah), definendola come madre. Ed in questo rapporto non si unisce alla donna, secondo la formula con la quale il narratore descrive la giusta relazione in 2,24; la conosce. Eva viene situata come l’oggetto di questo agire dell’umano. Dopo la nascita, Eva chiamerà il bambino Caino, un gioco di parole con il nome di Qayin: “Qanini, ho acquistato un uomo con Adonai”  strane parole: un figlio è forse un acquisto di sua madre? E se fin qui l’uomo (ish) era “suo marito”, adesso è il figlio ad essere chiamato uomo. Eva esclude il suo partner e lo espelle anche dal suo ruolo di genitore, per sostituirlo con Adonai, attirando il bambino in una relazione esclusiva con lei  relazione di possesso tra madre e figlio. L’umano ha imposto sulla donna una relazione unilaterale e adesso lei esclude colui che non ha saputo darle spazio e prende possesso dell’”uomo” che colmerà in lei la frustrazione  si verifica così la prima parte della sentenza di Adonai per la donna. Il bambino è frutto di un duplice possesso geloso: dell’umano nei confronti della sua donna e della madre nei confronti di suo figlio. Presto, Caino avrà un fratello, il quale nome già dà un’idea della sua marginalità: Abele significa infatti fumo, vapore, vanità. Da un lato abbiamo un figlio portato alle stelle, dall’altro un fratello che esiste appena  duplice ingiustizia di Eva. Caino rimane prigioniero di questo legame. Salto in avanti nel tempo: Abele diventa pastore (a immagine di Abramo che dà nome agli animali) e Caino coltiva la terra (prolungando il ruolo di giardiniere del padre). I fratelli sono complementari, potrebbero non avere conflitti, così come ignorarsi a vicenda o finire in conflitto. Dato che tutto sembra normale, tocca a Adonai far evolvere la situazione: senza motivo apparente, quando i fratelli gli portano in omaggio dei doni, Dio guarda quello di Abele e non quello di Caino. Viene automatico per il lettore vedere un’ingiustizia nei confronti di quest’ultimo  la giustificazione più comune è che il sacrificio di Abele sia migliore dell’altro, ma bisogna guardare le cose con maggiore distanza. La situazione dei costui è abbastanza facile da capire: volgendo lo sguardo sul suo dono, Adonai dimostra il suo interesse nei suoi confronti e che quindi non è unicamente legato al primogenito  atteggiamento apparentemente ingiusto compensa l’ingiustizia di cui è vittima Abele. Assume così la funzione paterna che Eva gli aveva attribuito e, dando a suo fratello la consistenza che gli è stata finora negata, Adonai vuole offrire a Caino un’apertura all’alterità, ad un fratello, dargli una svegliata affinché possa diventare un adulto  lo costringe alla mancanza dell’esclusività. Ma per Caino questo è visto come una duplice inadeguatezza: la relazione tra i genitori e il legame tra ognuno di loro e lui  brutale sradicamento: irritato fino all’eccesso, è come murato in sé stesso, senza relazioni, senza prospettiva. La mancanza di Caino si trasforma in invidia, in impossibilità di accettare che suo fratello goda di quello che a lui manca  vede solo quello che non ha e questo gli impedisce di vivere. Vive queste circostanze come una vittima di una violenza 10 fin qui indolore per lui che ha finora preso le sembianze di un amore materno senza limiti. È proprio a questa violenza che Adonai vuole sottrarlo. L’OMICIDIO Nonostante Adonai non guardi il dono di Caino, non si disinteressa a lui e cerca un confronto, non lo lascia solo. Tuttavia, le sue parole risultano alquanto enigmatiche e presuppongono non una vera e propria risposta immediata allo sconforto, quanto un ragionamento dovuto al dialogo; vuole che Caino si faccia delle domande e ne ponga altrettante. Adonai pone diverse domande partendo dall’origine del dolore di Caino: cosa lo addolora e in che modo influisce sul suo passato e sul presente ma si chiede anche come la sua frustrazione possa influire sull’avvenire (per cosa stai vivendo ciò che vivi?). Secondo Adonai, Caino non si trova davanti un vicolo cieco ma riuscirà a staccarsi dalla sofferenza solo quando si renderà conto che non è una vittima degli eventi ma ha una responsabilità vera e propria nei confronti di se’ e della sua vita e si accorgerà di ciò solo riuscendo a guardare in faccia l’altro, quindi, nel compiere la scelta tra il fare bene o non fare bene. Il “fare bene” ha diverse possibili interpretazioni: agire bene ma anche rendere bene. Pur non essendoci una risposta chiara, possiamo cogliere dal contesto il reale significato delle sue parole e che, dopotutto, se fornisse una risposta a Caino lo proverebbe della possibilità di arrivare egli stesso alla soluzione, al contrario al lettore risulta più chiaro poiché laddove non viene chiarito cosa sia il “far bene”, viene esplicitato nel 2,18 cosa sia il “non bene” ovvero l’essere isolati dalle relazioni. A contrario possiamo arrivare ad affermare che il “far bene” sia, dunque, entrare nel pieno della relazione acconsentendo alla mancanza e al limite impostigli. In questo senso, si tratta anche di un “rendere bene” ciò che all’inizio può sembrare un male (dato il desiderio totalizzante che nutre Caino) Il risultato di questa scelta viene evocato con l’infinito del verbo nasa’ (se’ èt) che ha diverse declinazioni e nel testo si riconduce all’immagine della faccia che cade per indicarne l’inverso cioè alzare la testa : se Caino agisce bene, rialzerà la faccia e andrà a testa alta, con dignità (altro significato del termine usato come sostantivo); solo così potrà andare avanti e perdonare le colpe dei genitori e accogliere (ricevere) il fratello. Nemmeno l’evenienza contraria è del tutto chiara; se Caino non potrà “far bene” o “rendere bene” allora cadrà nel peccato (hatta’t) e nel fallimento (rabas) che è evocato dall’immagine di una bestia accovacciata in posizione, pronta all’agguato. Il fatto che il termine sia utilizzato al maschile e non al femminile, non concordando quindi con il femminile hatta’t, ci fa pensare che sia un animale maschile a minacciare Caino ovvero il serpente e 11 Adonai conferma velatamente facendo riferimento alla bramosia che logora da dentro e richiama la sua animalità interiore. Un ulteriore enigma si pone inoltre, solo per il lettore, dal momento in cui ci accorgiamo che Adonai utilizza la stessa frase ora per la donna dopo la colpa, ora per Caino facendo luce sul testo in maniera differente. Notiamo il seguente parallelismo: “verso il tuo uomo la tua avidità e lui dominerà in te”  Dio alla donna “verso di te la sua avidità (dell’animale) e tu dominerai in lui”  Dio a Caino. La bramosia di Caino si annida in lui già dalla sua nascita attraverso la figura della madre; infatti l’avidità arriva da lei che la riversa sul figlio generato in risposta al dominio che il marito(sempre guidato dalla brama) esercita su di lei. Il serpente si annida proprio in questo contesto di fragilità e di fallimento che procede in generazioni. Adonai però afferma che il fallimento può essere superato, Caino può adoperare una scelta e “rendere bene” il peccato dei genitori e della relazione di questi che si porta dentro. Adonai non fornisce soluzioni specifiche, né fa la paternale a Caino ma gli da un’ottica attraverso la quale è possibile trasformare il male in responsabilità e dignità. La sfida di Caino consiste nell’abbandonare il suo lato animale e irrazionale realizzando, così, la vocazione dell’essere umano ovvero dominando a pieno l’istinto animalesco. In tutto il discorso c’è speranza, c’è una possibilità ma Caino sembra non accogliere l’invito al dialogo e all’apertura e al momento di parlare, non dice nulla, agisce e basta. Non si rivolge ad Adonai e nemmeno al fratello, apre un discorso per dire il nulla, la frase è spezzata : “E Caino disse verso Abele suo fratello (..) e Caino si erse verso Abele suo fratello e lo uccise” I punti di sospensione rappresentano, appunto, il fatto che in realtà Caino non si sia pronunciato. Piuttosto che sfruttare l’aggressività e tramutarla in parola, liberandosene, lui la reprime e in questo modo la sprigiona, uccidendo. Caino fa al fratello quello che pensa sia stato fatto a lui, lo elimina, reprime e così facendo, lo annulla. Uccidendo, non fallisce solo lui personalmente ma fallisce anche Adonai e il suo progetto, vince l’inumano. Negando la parola, nega se stesso, la sua libertà e la possibilità di arrivare alla dignità. Conseguenze della violenza  Dopo l’omicidio Adonai non reagisce accusando Caino ma, ancora una volta, lo invita ad aprirsi e a dialogare cercando di far fuoriuscire una parola pura e autentica. La domanda è semplice : dov’è tuo fratello Abele? Questa volta Caino risponde ma lo fa con violenza, annientando addirittura la memoria del fratello-vittima. Adonai allora reagisce al rifiuto incriminando quello che si presuppone un misfatto pronunciando le stesse parole rivolte anche ad Eva : che cosa hai fatto? Quale miglior modo se non il processo e quale miglior forma se non quella della sentenza per chiedere giustizia della vita di Abele stroncata? Il processo è realmente significativo per cogliere che Adonai cerca di ripristinare l’umano che era sprofondato nell’inumano e questo è possibile solo attraverso la parola. Ciò su cui si pone luce è il fatto che è fondamentale la parola sia per evitare la violenza del diniego alla vittima, sia per evitare che la stessa violenza si riproponga altrove e si incastoni irremovibilmente come successo a Caino per colpa dei genitori. Per quanto concerne il giudizio vero e proprio, distinguiamo forma e contenuto. La forma è quella della sentenza giudiziaria dalla quale si richiede verità, un’accusa e una condanna. La maledizione è 12 un uomo, suo padre e che da lui ottiene un nome ma che rivendicato dalla madre, trova il proprio cammino verso la luce. Da Set, 10 genealogie. Ogni uomo viene nominato 5 volte con descrizioni sommarie attraverso uno schema invariato : “X visse tot anni e fece generare Y. E X visse, dopo aver fatto generare Y, tot anni e fece generare figli e figlie. E tutti i giorni di X furono tot anni, e morì” 1. UMANO (ADAMO) 930 ANNI (130+800) 2. SHET (SET) 912 ANNI (105+807) 3. ENOSH (ENOS) 905 ANNI (90+815) 4. QENAN 910 ANNI (70+840) 5. MAHALAL’EL 895 ANNI (65+830) 6. YERED(IARED) 962 ANNI (162+800) 7. KHANOK (ENOCH) 365 ANNI (65+300) 8. METUSHELAKH (MATUSALEMME) 969 ANNI (187+782) 9. LAMEK (LAMECH) 777 ANNI (182+595) 10. NOAKH (NOE’) 950 ANNI: 9,29 Matusalemme vive più a lungo di tutti e muore l’anno del diluvio. I primi tre nomi sono quelli noti, poi abbiamo molte somiglianze con la discendenza di Caino anche se l’ordine è diverso. Ciò che possiamo trarre è che in seno all’umanità tutto è mescolato e nessuno può pensare di rivendicare la propria genealogia per far valere un qualunque diritto. In ogni stirpe ci sono dei santi e dei mascalzoni, non buoni da una parte e cattivi dall’altra : in ognuno c’è un po’ di Set e un po’ di Caino, ognuno eredita da Lamech il bruto e da Enoch il fedele. Facciamo luce su due personaggi Enoch e Noè che ricevono un trattamento particolare. Il primo vive 365 anni (un anno solare in anni) e raggiunge una perfezione che gli altri non raggiungono : in un racconto Dio cercava l’umano e passeggiando Enoch è il primo ad armonizzare il suo passo con lui in modo che potesse “prenderlo” senza conoscere la morte. Quindi il verbo “prendere” sostituisce quello di “morire”. Per quanto riguarda Noè, invece, assistiamo ad un’evoluzione perché riesce a sfuggire al diluvio e dall’humus che coltiva produce il vino (ricordiamoci che l’humus era stato maledetto e reso sterile, in questo è un’evoluzione). Il diluvio e le sue cause Il testo ci presenta un passaggio dalla creazione alla distruzione e dalla distruzione al rinnovamento attraverso la fase di transizione dell’arca. Abbiamo detto che insieme al progresso, cresce nell’umano la sete di violenza, il desiderio di prevalere sull’altro e con il suo moltiplicarsi, si moltiplica anche il male sulla terra. I figli di Dio mettono gli occhi sulle figlie generate e le prendono per loro, Adonai decide dunque di ripristinare l’ordine perduto. Ma chi sono questi “figli di Dio” o “figli degli dei” (interpretazione emblematica)? Il tutto rimane emblematico e si parlerà in generale di “esseri”. Come la donna venne ispirata dal serpente, gli “esseri” consumano, prendono con bramosia generando caos. Le figlie sono ora oggetti di potere, attraenti e che devono essere possedute. È questo che genera un conflitto e una profonda confusione tra il terreno e il divino. Ora Adonai interviene ponendo un limite che indica il fallimento dell’umano di fronte ad una banale pretesa di raggiungere il divino. (gli ricorda che non sono altro che esseri fatti di carne”. Adonai dunque opera dapprima con un ritiro del vento che rappresenta un accorciarsi della vita (max 12° anni) e perdita di vitalità. Adonai si pente della sua più grande creazione poiché non fa altro che generare male e disordine e se ne addolora tanto da pensare di cancellarlo. Il suo progetto trova ostacolo nella personalità di Noè che ottiene grazia. Il processo di distruzione è ormai avviato e non si può far nulla per interromperlo; (Adonai dapprima contrasta la violenza, poi si rende conto che non si può fare più 15 nulla e vede il diluvio come mezzo necessario, quasi scontato) è colpa dell’uomo stesso che è stato accecato da un desiderio più grande di lui. Noè è un uomo giusto, integro in mezzo ad una generazione totalmente traviata ed in vista di una nuova alleanza Adonai lo risparmia e gli da l’ordine di costruire un’arca precisandone solo successivamente lo scopo. È la più chiara manifestazione divina di ricominciare la creazione, di ridare vita laddove non ci può più essere. L’arca ricoperta di bitume coperta con un tetto e fornita di una larga porta, rappresenta il mezzo di transizione da una condizione di peccato, lo “spazio” metaforico in cui trasformare il male in un nuovo inizio. Acconsentendo, Noè si fa carico di portare con sé una coppia di animali per ogni specie. Il diluvio incombe proprio mentre Noè carica l’arca. Nel racconto il diluvio è un ritorno parziale al caos iniziale eppure Elohim non si manifesta mai. Naturalmente ci sono molti elementi dei testi della Genesi e di questo che vengono ripresi : durante la creazione si “spaccano da se stesse le sorgenti del grande abisso”, qui si “aprono le finestre del cielo liberando le acque superiori in una pioggia diluviale che la volta celeste non trattiene più”. Tutto avviene come se Elohim avesse smesso di imporre alle acque la propria potenza creatrice. La terra viene sommersa dalle acque che sommergono tutto quanto fino alle cime delle montagne più alte. Quali sono le dinamiche del diluvio? Il testo ci riporta ciò: Le finestre del cielo cominciano ad inondare dopo 7 giorni dall’ordine e dalla manifestazione della volontà di Dio, la piena dura 150 giorni (le acque gonfiano, dice il testo) dopo i quali l’arca approda e si posa sui piedi del monte Ararat. 3 mesi dopo emergono le prime montagne, 40 giorni dopo questo evento Noè libera gli uccelli; 1 anno e 10 giorni dopo ancora la terra è secca di nuovo e i viventi sono nelle condizioni ottimali per sistemarsi, fruttificare e moltiplicare seguendo la volontà e la speranza di Adonai che da subito benedice Noè e i suoi figli che con il suo “sacrificio” (assistere alla distruzione della terra e rinunciando per sempre alla violenza deponendo le armi, fisiche e non  depone nella nube l’arco come segno di alleanza unendo cioè cielo e terra) ha permesso al diluvio di purificare l’uomo e la terra dal male; questo tipo di sacrificio è differente da quello concreto vero e proprio di natura totalmente differente (vedi dopo). Adonai, nonostante il sacrificio di Noè, ha pensieri disillusi nei confronti dell’umanità il cui cuore è per natura portato al male; non rimpiange propriamente di aver fatto l’umano ma di aver maledetto l’humus per colpa sua e fatto morire gli animali. L’olocausto descritto, quello concreto (primo sacrifico animale) è un’iniziativa di Noè e non un ordine divino come se avesse capito le sue intenzioni ma mentre Adonai aveva chiesto di salvare gli animali puri, Noè ne uccide uno: si mette in pratica l’espressione della violenza da cui Adonai voleva allontanarsi e far allontanare l’umano. L’alleanza con Noè Elohim benedice la stirpe di Noè ma solo dopo aver benedetto gli animali. Elohim concede nuovamente il dominio sugli animali e da adesso in poi concede che questi siano uccisi (per cibarsene). Paradosso esaminato da Beauchamp: dio cede la violenza per poterla in qualche modo contenere come succede ai liquidi nei recipienti. La legge avrà sempre qualcosa di violento. Sembrerebbe quindi che non si voglia restaurare la purezza ma la legge non legittima la violenza, semplicemente la accetta alla luce della natura umana con lo scopo di guadagnare tempo per trovare altre vie d’uscita. Indirettamente, inoltre, Dio chiede a Noè di attraversare la propria animalità compiendo la vocazione di pace. 16 Noè e i suoi figli Al diluvio sopravvivono solo Noè, i suoi tre figli (Sem, Cam e Iafet) e le loro spose (oltre alle coppie di animali) e da essi ricomincia la nuova umanità. Noè lavora la terra, crea la vigna e produce il vino. Pianta e beve. Si ubriaca dello stesso frutto del proprio lavoro, di questa bevanda di vita e di consolazione e si mette a nudo (secondo interpretazioni testuali la nudità non è tanto quella del padre ma quella della madre come ad intendere una relazione incestuosa tra Cam e sua madre da cui nasce appunto Cannan e così avrebbe anche più senso la maledizione su di lui  vedi dopo) nella propria tenda venendo visto da figlio Cam che, recandosi dagli altri fratelli, li incita ad andare a vedere come se volesse umiliare il gesto del padre. Gli altri fratelli però, proprio per questo, rifiutano. Non appena Noè si rende conto, maledice il figlio Cam  Canaan (e benedice gli altri due figli invece il cui comportamento richiama la dignità di Adonai) non soltanto per averlo voluto umiliare ma per la pretesa di sostituirsi a lui in qualche modo cercando di ottenere autorità. Colui che ha creduto di poter usurpare la figura paterna disonorando sua madre vedrà suo figlio ridotto al rango degli schiavi. “Colui che disprezza sua madre e suo padre, la sua lampada si spegnerà in mezzo alle tenebre”. Capitolo 6 – da Noè a Abramo Dopo Noè il narratore non aggiunge la tipica frase “e fece generare figli e figlie” e ciò fa pensare che da lui non si generano altri figli ma che dai suoi tre figli più volte menzionati si ripopoleranno le nazioni. In effetti si separano le nazioni dai tre figli di Noè ed in questo si realizza la benedizione di Elohim. All’origine la nuova umanità si sparpaglia indistintamente sulla terra; poi si divide rimanendo comunque una stessa umanità nonostante la diversità. Spostandosi ad oriente, viene poi compiuto il progetto più grande: arrivano a Sennear (Babilonia) e costruiscono una città con una torre “ la cui testa è nei cieli”. Il progetto nasce dal timore di dispersione e della debolezza come anche dalla paura della stessa (eccessiva) libertà che potrebbe essere divisione  gli uomini preferiscono a questo timore la schiavitù all’ombra del re Nimrod (guerriero leggendario che ha tutti i connotati per proteggere i suoi sudditi). Il progetto di Babilonia è simbolo di totalitarismo mosso dalla complicità del popolo di ridursi a schiavitù per timore della scissione. Ma notiamo anche l’opportunismo di un principe che mette a frutto desideri e angosce di un popolo pur di consolidare il proprio potere. L’unità si realizza livellando le differenze, cancellando ora la singolarità. Paura da un lato e sete di potere dall’altro, gli elementi di questa realizzazione. Come interviene Adonai? Scende per vedere il lavoro e l’impresa ed interviene ostacolando il processo di uniformazione e decreazione. La diversificazione dell’umanità è un’opportunità, una porta senza scorciatoie verso Dio, verso l’ “Uno” : serve un cammino di pazienza e alleanza. Possiamo concludere dicendo che il tutto sembra alludere quasi ad un progetto politico e di organizzazione in società ma è un racconto molto allusivo : Babilonia è una benedizione, rappresenta vittoria ma è sia un vicolo cieco per l’umanità, sia contraria alla volontà ultima del Creatore. Da Sem a Terach e i suoi Genealogia di Sem La lista dei discendenti di Sem fa da transizione tra l’episodio della costruzione di Babilonia e l’inizio del ciclo di Abramo che inizia con Terach, suo padre. Abbiamo una lista di 10 generazioni. Nove note standardizzate con alcune varianti, come aveva fatto per Adamo, questa volta il codice si presenta così : “X aveva vissuto tanti anni e fece generare Y. E X visse, dopo aver fatto generare Y tanti anni e fece generare figli e figlie” (manca solo l’ultima frase). La genealogia è: 17