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Bullismo e Cyberbullismo: Definizioni e Reflessioni Socio-Educative - Prof. Gallina, Schemi e mappe concettuali di Sociologia

Definizioni e riflessioni sul bullismo tradizionale e cyberbullismo, incluse le loro forme dirette e indirette, l'asimmetria, il bullismo omofobico e etnico, e le cause possibili. Vengono anche presentati tre paradigmi per intervenire in tema di omosessualità/omofobia e bullismo omofobico. Inoltre, vengono discusse le forme di bullismo, come comportamenti di esclusione, verbale, fisico, e quelle legate ai mezzi di comunicazione online. Il documento conclude con considerazioni sul ruolo delle credenze e dei sistemi valoriali.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 07/01/2024

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Scarica Bullismo e Cyberbullismo: Definizioni e Reflessioni Socio-Educative - Prof. Gallina e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Sociologia solo su Docsity! “Dal bullismo al cyberbullismo” Cap. 1 “Forme di prevaricazione. Bullismo/i, riflessioni socio-educative” →definire il bullismo e il cyberbullismo Il bullismo è un fenomeno che esiste da sempre, ma solo dagli anni Settanta, con gli studi di Olweus è diventato un tema di pubblico dominio. Il bullismo ha radici nella normale conflittualità, che si mostra nei confronti di altri coetanei. E’ simile all’avversione che può indurre il bambino a spingere un altro perché desideri il suo gioco. E’ quindi importante che nel corso dello sviluppo psico-fisico, ogni bambino impari a controllare il proprio istinto. Un fattore di rischio per la comparsa di comportamenti aggressivi da bullo può essere individuato nelle caratteristiche dell’individuo: nell’incapacità di riuscire ad attribuire agli altri intenzioni, emozioni e desideri. L’incapacità di elaborare soluzioni adatte ed efficaci ai problemi (problem solving) può indurre il soggetto a trovare nell’aggressività l’unica modalità di risoluzione. Il bullismo si caratterizza come un fenomeno influenzato dall’ethos, ovvero dal sistema di valori, veicolato dal gruppo dei pari, dalla famiglia e dalla istituzione scolastica.eir Per definire il bullismo possiamo fare riferimento al pioniere degli studi di tale fenomeno, Olweus, il quale afferma che uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe in atto da parte di uno e più compagni. Stephenson e Smith definiscono invece il bullismo come un’interazione in cui un individuo o un gruppo di individui maggiormente dominanti causano sofferenze a un singolo o a un gruppo con soggetti meno dominanti. Tali definizioni mostrano come si verifichi uno sbilanciamento di potere tra le due parti. Secondo Olweus il bullismo è un fenomeno che può instaurarsi tra due persone o tra un gruppo di persone nei confronti di un soggetto individuato come destinatario della prevaricazione. La maggior parte delle aggressioni consiste in attacchi di gruppo finalizzati a umiliare le vittime, dopo aver individuato i soggetti più deboli. Il desiderio di farsi accettare dal gruppo, nel timore di rimanere soli, spinge gli studenti ad adattarsi ai valori negativi del gruppo. Il leader può permettersi di non sporcarsi le mani”, delegando il compimento dell’atto ai suoi gregari, che lo ammirano e lo incoraggiano. In seguito alla diffusione dei social e dell’uso delle tecnologie audiovisive, insieme al bullismo tradizionale si è diffusa una nuova forma di prevaricazione: il bullismo elettronico o cyberbullismo (può diventare molto più crudele e pericoloso). Il termine cyberbullismo è stato coniato dall'insegnante canadese Bill Belsey, che nel 2002, realizzò il primo sito al mondo dedicato al bullismo elettronico. Il cyberbullying indica l’utilizzo dei dispositivi di comunicazione con contenuti diffamatori, per effettuare azioni di bullismo al fine di molestare una persona o un gruppo attraverso attacchi personali. Le caratteristiche: - internazionalità: si parla di responsabilità dell’atto, il quale chiama in causa sia il ragazzo che effettua una ripresa con il proprio telefonino, sia lo spettatore che visiona il video sul web - asimmetria: si parla di bullismo quando c’è un’asimmetria nella relazione, che può essere legata all’età, alla forza fisica o al genere. L’azione sul web è in parte diversa. L'anonimato permette a chiunque di diventare prevaricatore. La cybervittima ha difficoltà a rintracciare il cyberbullo e per poterlo fare deve rivolgersi alla polizia - persistenza e reiterazione nel tempo: il cyberbullismo trova attuazione in tutte le ore del giorno, nel weekend e nel periodo estivo. Il tempo dell’oppressione si protrae: il video o le immagini rimangono online. Entrambe le forme di bullismo presentano una forma diretta e indiretta. Nella forma diretta, nel caso del bullismo tradizionale, l'aggressione è svolta direttamente dal bullo attraverso il contatto fisico, nel caso del cyberbullismo, il cyberbullo comunica con la sua cybervittima senza nascondere la propria identità. Nella forma indiretta, nel caso del bullismo tradizionale, non avviene un contatto fisico, ma l’aggressore ferisce un soggetto psicologicamente, nel caso del cyberbullismo, troviamo la sua attuazione quando il desiderio di screditare un soggetto avviene con l’uso dei mezzi elettronici. Nell’immaginario comune, il bullo è spesso visto come il figlio di genitori incapaci ad adempiere al loro compito educativo, aggressivi o troppo permissivi. In realtà il fatto di diventare bullo o vittima non è l’esito di un solo problema, ma il risultato di più cause e fattori tra loro collegati. Fin dalla scuola primaria, il gruppo dei pari offre ai ragazzi un punto di riferimento in cui costruire la propria identità e sviluppare il senso di appartenenza. Attraverso tali processi di definizione e differenziazione, all'interno del gruppo si creano delle gerarchie non ufficiali di cui i ragazzi sono a conoscenza e nelle quali si inseriscono. Ci sarà chi accetterà la propria posizione all’interno del gruppo e chi invece vorrà a tutti i costi emergere, esserne il capo. Chi accetta di posizionarsi in fondo alla gerarchia, di essere vittima, può farlo per timore di diventare vittima di un bullo peggiore o per non essere escluso dal gruppo. Il fenomeno del bullismo è stato associato al genere maschile per le sue forme di violenza. Intorno agli anni Novanta, fu però osservato anche il coinvolgimento del genere femminile, con componenti meno legati al mondo fisico, ma di natura psicologica. Le “bulle” sono, in genere ragazze adolescenti o preadolescenti, che si impongono con la violenza, principalmente verbale, su una o più coetanee. Queste ragzze individuano nelle coetanee qualità che esse non si riconoscono e che vorrebbero possedere: si tratta quindi di invidia. E’ necessario sottolineare che spesso il bullismo viene considerato come il segnale anticipatorio più evidente di una futura condotta deviante. Per questo è necessario intervenire con una progettualità educativa, che consente di agire sulle caratteristiche del singolo individuo, ma anche sull’ambiente culturale e sociale in cui esso è inserito. I bulli vengono spinti a prevaricare gli altri a causa di un grande bisogno di potere e di dominio, a cui segue una piacevole sensazione di controllo e nell’intero gruppo classe o in un ristretto gruppo amicale dei suoi seguaci. Gli attacchi, ripetuti e imprevedibili, del bullo possono portare la vittima a vivere una costante situazione di ansia e incertezza. Man mano che il bullo acquista potere, autostima, sicurezza e considerazione sociale, il potere, l'autostima, la sicurezza e la considerazione sociale della vittima scendono di pari passo. Si può sviluppare un senso di impotenza, la vittima si sente incapace. Quando la vittima entra in questa condizione, rischia di chiudersi sempre più in se stessa e di perdere la speranza che possa esservi una qualsiasi forma di aiuto. In alternativa può accettare il ruolo di “inferiore” e di bersaglio degli scherzi, pur di non essere escluso da tutto il gruppo, convincendosi che in fondo è nella natura delle cose che i più forti e prepotenti debbano sottomettere i più deboli. La vittima è emozionalmente e fisicamente in trappola, e questo senso di intrappolamento si può accompagnare ad un senso di colpa verso se stessi, un senso di vergogna verso gli altri, il sentirsi “fuori posto” e inadeguato alla situazione. Tutte queste emozioni negative possono portare la vittima alla depressione oppure a pesanti svalutazioni della propria identità. Dal punto di vista del bullo, il “dominare” la vittima può portare a numerosi vantaggi. Quando il suo comportamento non viene contrastato il bullo impara che è possibile guadagnare benefici emozionali e monetari dal bullismo, senza correre alcun rischio. → il ruolo delle credenze e dei sistemi valoriali: l’approccio socio-culturale Cosa spinge una ragazza o un ragazzo a compiere atti di bullismo? Le ragioni sono molteplici. L’insorgere di fenomeni di bullismo è sicuramente correlato a caratteri individuali attribuiti alla figura del bullo, quali aggressività, mancanza di empatia, incapacità di gestire le emozioni negative, bisogno di autoaffermazione. Un’influenza decisiva viene svolta dai gruppi e dalle culture di riferimento, le quali definiscono norme e pressioni tipici degli ambienti in cui i ragazzi, bulli e vittime, si trovano a vivere. La prospettiva che vede il bullismo non come un fenomeno legato a fattori individuali ma come un fenomeno con una rilevante connotazione sociale viene denominata approccio socio-culturale al bullismo. Secondo questo approccio, studiare il bullismo significa studiare la costruzioni di credenze e sistemi valoriali da parte di bulli, gregari, vittime, spettatori; intervenire sul bullismo significa mettere in discussione le credenze correnti e proporre ai ragazzi sistemi valoriali alternativi. Le credenze che guidano e giustificano le azioni di prevaricazione sono spesso riassumibili in affermazioni quali: “non sto facendo niente di male, è solo uno scherzo per divertirsi” o “gli insegnanti non posso farmi niente, io sono minorenne”. Tali credenze non nascono ovviamente dal nulla, ma sono frutto di messaggi, impliciti o espliciti, veicolati dai propri pari, da amici più grandi o dal mondo degli adulti. Alcuni esempi di ethos contestuale che può orientare i soggetti verso atti di prevaricazione nei confronti degli altri: - l’autoaffermazione ad ogni costo - la competizione non vista come raggiungimento degli obiettivi comuni, ma come “gara contro l’altro” - la visione secondo cui “è giusto e naturale che il più forte domini il più debole” - la visione del “chi è più furbo vince” - la visione del “i ragazzi se la devono vedere tra di loro” Da questi ethos è normale che, anche tra i “non bulli”, il fenomeno venga visto da molti ragazzi come un fenomeno con carattere di quotidianità e di normalità. → mai senza il pubblico: il ruolo dell’ethos del gruppo dei pari Il bambino costruisce progressivamente la propria identità, sulla base delle esperienze che compie nell’interazione con il mondo e con gli altri. Il ragazzo risente di due bisogni, da un lato esso si vuole sentire parte di un gruppo, dall’altro lato ha bisogno di riconoscersi come individuo, di emergere all’interno del gruppo di riferimento e questo viene fatto attraverso un confronto con i pari. Il risultato di questi due processi è la formazione di gerarchie non ufficiali, formando una scala che va dall’alto verso il basso. I criteri di accettabilità sono diversi da gruppo a gruppo. Per elevare il suo status un soggetto può quindi entrare in un nuovo gruppo, scalare le gerarchie del gruppo in cui si trova, oppure cercare di formare un nuovo gruppo ad hoc in cui il suo status sia quello desiderato. L’elevazione di status è subordinata al fatto che vi siano platee di testimoni: se faccio “bravate” per far vedere quanto sono bravo, se nessuno mi vede non ha senso farle. Questo spiega perché i bulli lasciano spesso dietro di sé le tracce delle loro azioni (spiega quindi perché i bulli filmano i loro atti e li pubblicano sui social network). Non tutti i ragazzi ovviamente sentono il bisogno di emergere nelle gerarchie. Alcuni accettano di assumere ruoli subordinati in un gruppo o si rassegnano al ruolo di vittime di fronte alla prepotenza di un bullo, e questo può accadere per molteplici ragioni: a volte si accetta la subordinazione ad un bullo per non finire nelle grinfie di un bullo ancora peggio, altre volte lo si fa per non essere esclusi del tutto dal gruppo. Nel bullo invece il bisogno di autoaffermazione è molto marcato. Il bullo è colui che continuamente “attacca briga” cercando il confronto per “scoprire” altri che non hanno le sue qualità e metterli anudo, devalorizzandoli. Gli atti di bullismo possono avere molteplici funzioni. In primo luogo possono essere utili per aumentare la coesione tra i membri del gruppo. Il gruppo può darsi forza escludendo i suoi membri colpevoli di essersi dimostrati “inadeguati”, oppure includono altri soggetti che si sono dimostrati meritevoli. I criteri per la formazione delle gerarchie sono ovviamente diversi tra maschi e femmine. Nel gruppo di ragazzi, il “maschio ideale” può avere caratteristiche diverse: può essere il ragazzo bravo negli sport, il campione dei videogiochi, il ragazzo che si veste alla moda. In questa visione del mondo, i maschi “ideali” sono grossi e forti, temerari, spavaldi e aggressivi. “Usano” le femmine piuttosto che esserne partner. Nella visione del mondo di questi soggetti il peggior insulto è “gay”, dato che assumere questa etichetta vanificherebbe il loro continuo sforzo per affermare il loro alto status di identità sessuale. Un discorso analogo vale per le gerarchie femminili. Nelle ragazze la competizione si basa su criteri “femminili” di successo. La “femmina ideale” è una costruzione sociale, può essere ad esempio la ragazza più carina, quella più attraente, quella che veste alla moda, quella più “fisica” e aggressiva. quella che riesce a sedurre più ragazzi. → conclusioni Secondo l’approccio socio-culturale al bullismo, affrontare il problema delle prepotenze significa lavorare sui gruppi, sulle culture e sui contesti in cui i singoli casi hanno origine. L’azione di prevenzione e di recupero deve impattare, oltre che sui prevaricatori e sulle loro vittime, anche sul gruppo dei pari, sugli adulti di riferimento e sulla comunità di appartenenza dei soggetti coinvolti. Tale azione deve essere mirata a far sì che tutti i soggetti sviluppino consapevolezze dei propri diritti e dei propri doveri. Il successo di tali interventi si misurerà dalla capacità del gruppo dei pari di mettersi contro i prepotenti, dalla capacità delle vittime di trovare il coraggio di pretendere il rispetto che è loro dovuto. Cap. 10 “Dribilliamo l’indifferenze” prevenzione al bullismo e cambiamento culturale → introduzione “Dribilliamo l’indifferenza” è un progetto fondato da Marco Tealdo (un educatore) in collaborazione con Gianluca Gallina, che a partire dal 2010, si occupa di costruire, attraverso il calcio e la formazione degli studenti nelle scuole, dei percorsi necessari per costruire nuove politiche di reale inclusione sociale. → metodo preventivo al bullismo. L’inclusione come strada per produrre il cambiamento Negli anni è emersa la considerazione che la lotta al bullismo non può che attuarsi in una logica culturale e in un dinamismo preventivo. Progettare percorsi di inclusione, provare a offrire l’inclusione come categoria culturale irrinunciabile e come valore fondamentale di riferimento, rappresentano il solo modo per produrre un vero cambiamento e per abbattere modalità sociali prevaricanti nei confronti delle minoranze o nei confronti di chi dimostra di essere più fragile, più vulnerabile e più incapaci di tutelarsi e di autodeterminare il suo percorso di vita. Progettare inclusione sociale deve essere una necessità. L’inclusione è la capacità di una società di porsi in cammino, tenendo realmente conto di tutti coloro che la costituiscono. L’esperienza educativa ci ha fatto comprendere che il cambiamento, anche quello apparentemente inimmaginabile e irraggiungibile, lo si può ottenere in tre semplici mosse: - sognarlo - progettarlo - mettersi in moto per realizzarlo Cap. 11 “Interventi assistiti con animali (I.A.A.) e prevenzione al bullismo → I.A.A. e prevenzione dei comportamenti di prevaricazione Gli animali favoriscono lo sviluppo dell’empatia e del comportamento prosociale e possono perciò essere un tramite per insegnare ai bambini a interagire senza essere aggressivi o violenti, come accade spesso in situazioni di bullismo. Avvalersi della meditazione animale per interventi educativi e trapeutici per l’uomo è una metodologia che si è notevolmente sviluppata negli ultimi anni in tutto il mondo. A