Scarica Dall'emergenza alla normalità (capitoli 1, 2, 3 e 11) e più Appunti in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! 1 DALL’EMERGENZA ALLA NORMALITÀ Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell’emergenza A cura di Calogero Iacolino (capitoli: 1, 2, 3, 11) CAPITOLO 1 FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA Antiche osservazioni sulle reazioni dell’uomo nelle calamità Il difficile rapporto tra l'uomo e le calamità è iniziato con l'esistenza stessa del mondo ed è destinato a continuare per sempre. Proprio perché la lotta dell'uomo contro gli eventi devastanti è una costante che lo accompagna da sempre, esistono molte descrizioni di reazioni umane nelle grandi emergenze, risalenti a diverse epoche: da Seneca che descrive gli scenari umani, sociali ed ambientali causati dal terremoto che aveva sconvolto la Campania e Pompei. Già in questo scritto Seneca aveva colto la natura generale e pervasiva della paura degli eventi straordinari, l'eventualità che raggiunga livelli estremi, la necessità di intervenire. Se pensiamo che queste osservazioni ci vengono da uno studioso che parlava del comportamento umano nel 65 d.C., non possiamo apprezzarle, riconoscerne l'assoluta infondatezza e rivelarne la piena validità ancora oggi. Nascita e sviluppo della disaster psychology Anche se non sono mai mancate iniziative di assistenza umana, morale e psicologica alle vittime di eventi emergenziali collettivi, soltanto negli anni 70 del secolo scorso si sono visti i primi veri e propri cambiamenti sostanziali nel modo di concepire e gestire le emergenze collettive. In quegli anni, infatti, grazie ad alcuni studi si acquisirono nuovi contributi che ampliarono il quadro delle conoscenze relativo alle reazioni psicologiche in situazioni di emergenza. Vengono studiate, infatti, le reazioni delle persone coinvolte nelle emergenze in base alla loro personalità, fascia di età, livello di integrazione sociale, condizioni psichiche precedenti l'evento emergenziale, e vengono studiati anche i gruppi sociali e le fasce d'età maggiormente a rischio, i disturbi che compaiono più frequentemente, i problemi a cui vanno incontro i soccorritori. Con questi studi si andavano delineando altri importanti contributi della psicologia nella tutela del benessere individuale e collettivo in situazioni di emergenza, e sempre più andava costituendosi un corpo dottrinale che nei paesi anglosassoni prendeva il nome di disaster psychology. Dagli studi di Barton e Dynes si evince che la reazione delle comunità colpite si sviluppa per stati, ossia le popolazioni colpite tendono ad andare incontro a differenti fasi di reazione che si succedono in maniera simile in quasi tutti i casi, a prescindere dal tipo di evento emergenziale. Gli stadi attraverso cui le popolazioni colpite passano sono: fase eroica, fase della luna di miele, fase di disillusione, fase di stabilizzazione. Ogni fase presenta delle specificità rispetto a ciò che i membri della comunità vivono dentro di sé ed intorno a sé. Verso gli anni 80 alcuni studi condussero all'articolazione di un programma condiviso e concordato di intervento psicologico nel dopo disastro, che prese il nome di “Crisis Inventory Program” e mirava a: neutralizzare l'impatto degli eventi stressanti collettivi sull’individuo e sulla comunità, ripristinare il positivo funzionamento delle vittime e ripristinare il positivo funzionamento sociale. Particolarmente importanti per lo sviluppo della psicologia dell'emergenza sono stati anche gli studi sulle reazioni psicologiche dei soldati americani impegnati nella guerra del Vietnam punto molti studiosi furono coinvolti in ricerca sulle reazioni dei soldati allo stress da combattimento (combat stress) 2 e sull'individuazione di prassi di trattamento efficace in rapide. A seguito di questi studi vennero istituite in tutte le divisioni dell'esercito statunitense le unità di “combat stress control” a seguito di eventi disastrosi nei vari paesi, si sono via via costituiti i gruppi di ricercatori e clinici che si sono occupati delle reazioni umane nelle emergenze. L'attenzione della comunità internazionale ai contributi della psicologia dell'emergenza si è concretizzata nella risoluzione dell'assemblea generale delle nazioni unite che ha promosso la nascita nel 1992 dell’inter-agency standing commitee (IASC), un organismo costituito dalle maggiori organizzazioni non governative mondiali e dai più importanti centri di ricerca mondiali che si occupano di emergenze collettive e traumi psichici. Nascita e sviluppo della psicologia dell’emergenza in Italia Per delineare la nascita della psicologia dell'emergenza in Italia dobbiamo partire dal 1909, quando un gravissimo terremoto che colpì Messina e Reggio Calabria causò 86.000 vittime accertate, e la psicologia, ma anche la psichiatria, si trovarono a doversi confrontare con questa catastrofe naturale. Dobbiamo attendere poi il 1976, cioè il terremoto del Friuli che causano 965 vittime, per avere un luogo coinvolgimento della psicologia in una situazione di emergenza, e questa volta dobbiamo parlare del primo coinvolgimento operativo, non solo teorico. Si è trattato cioè di un vero e proprio intervento sulle persone e sulla comunità, coordinato dal professore Guido Petter e da Giuseppe Fava, che mirava a organizzare la vita quotidiana dei bambini dividendo la loro giornata in routine di gioco, di riposo, di vita con la famiglia. L'intervento fu di tipo psicosociale, perché attivò unità nei campi dei sopravvissuti, fornendo contemporaneamente scopo e divertimento ai bambini e tempo libero e tranquillità agli adulti per le prime attività di recupero e di ricostruzione. Nel giugno del 1999 si costituisce finalmente a Roma la società italiana di psicologia dell'emergenza (SIPEm), e nel novembre del 1999 si costituisce a Bolzano l'associazione di volontariato psicologi per i popoli. A questo percorso va affiancato in parallelo lo sviluppo dell'attenzione alle emergenze individuali, ossia ai traumi subiti dal singolo individuo o da piccoli gruppi di persone derivanti dal lavoro, malattia, incidenti stradali, violenze, aggressioni. Questo settore delle emergenze che riguarda l'individuo mira a ripristinare la funzionalità del tessuto psicologico del singolo colpito da eventi di natura traumatica. Al centro dell'attenzione di questo segmento della psicologia dell'emergenza, quella individuale, ci sono il rapporto individuo e vento, i fattori protettivi, i fattori di rischio, i vari livelli e tipi di trauma. Normativa italiana sull’intervento psicologico in situazioni di emergenza Pensando alla psicologia dell'emergenza si può essere indotti a ritenere che si tratti di un settore di intervento fondato sulla buona volontà, sull'improvvisazione e quindi non disciplinato dalle leggi e direttive che lo governano. La realtà è però completamente diversa. La psicologia delle emergenze italiana ha goduto di una specifica attenzione è di un’adeguata considerazione nell'ambito della protezione civile, come dimostrano alcune norme. Se si tiene presente che con la legge 225 del febbraio 1992, in Italia è stato istituito il servizio nazionale della protezione civile, e si considera che sono state emanate delle linee generali di programmazione del soccorso sanitario nelle grandi emergenze all'interno delle quali si trova un capitolo sugli aspetti psicologici in cui si esamina il comportamento umano nelle emergenze degli interventi da effettuare, e immediatamente chiaro che gli aspetti psicologici e l'intervento psicologico sono stati tenuti in debita considerazione sin dall'inizio dell'attività del dipartimento di protezione civile. Direttiva del presidente del consiglio dei ministri del 13 giugno 2006, intitolata criteri di massima sugli interventi psicosociali nelle catastrofi, rappresenta una preziosa direttiva nazionale che definisce tutto quello che riguarda il ruolo dello psicologo e della psicologia dell'emergenza in Italia nelle catastrofi e negli eventi incidentali maggiori. Il documento indica infatti dove lo psicologo opera, chi sono i destinatari del suo intervento, quando deve intervenire, quali obiettivi deve avere, a chi deve rispondere. La direttiva, oltre ad indicare la necessità e l'opportunità di effettuare il triage psicologico prima degli interventi di assistenza psicologica, fornisce anche una scheda di triage, per raccogliere i dati della persona, i criteri in base ai quali valutare il livello di urgenza, ossia di differibilità dell'intervento. 5 CAPITOLO 2 IL COLLOQUIO IN EMERGENZA Il pronto soccorso psicologico Il colloquio è uno dei principali strumenti nella cassetta degli attrezzi dello psicologo, e dovrebbe trovare un'adeguata valorizzazione all'interno della progettazione dell' assistenza psicosociale alla popolazione, già nelle primissime fasi che seguono il verificarsi di un evento traumatico. Le ricerche hanno empiricamente dimostrato che l'atto di portare alla mente il ricordo di un evento sia frutto anche di influenze operanti nel presente. Intervenire nella fase di codifica, consolidamento, immagazzinamento e primo recupero dell'esperienza traumatica significa avere la possibilità di operare sulle esperienza soggettiva del ricordo prima che i contenuti trovati ci siano cristallizzati. Inoltre, i tempi ed i modi del ristabilimento delle condizioni di sicurezza e fiducia si saldano con le componenti traumatiche, ea seconda di come vengono condotti possono gravare o alleggerire significativamente le condizioni psichiche della vittima. La possibilità di essere pienamente riconosciuti e rispettati appare decisiva, chi non viene accolto come persona con il medesimo valore e la medesima dignità è completamente ferito. Il colloquio vs il colloquio in emergenza Le principali caratteristiche che differenziano il colloquio in situazioni di emergenza da quello tradizionale riguardano il setting e gli obiettivi. In ambito emergenziale, la persona da soccorrere viene raggiunta dallo psicologo direttamente sul luogo e nei centri di prima accoglienza, oppure potrebbe essere necessario recarsi nell'abitazione della vittima. L'assenza di una situazione ambientale controllata e prevedibile come quella che troviamo nello studio professionale non è di ostacolo e permette di perseguire quegli importanti obiettivi di primo soccorso che ci affida la direttiva sui criteri di massima sull' intervento psicosociale in emergenza, ovvero la messa in sicurezza, l'identificazione attiva dei bisogni, la valutazione psicologica e la comunicazione di tutte le informazioni utili ad attivare comportamenti auto protettivi e di riorientamento adattivo, ha fatto però di mantenere un'accurata attenzione alle altre componenti del setting quali l'ambiente interno soggettivo dello psicologo e l'ambiente istituzionale. Un’adeguata formazione clinica, teorica e pratica, unita ad un'attenta valutazione delle attitudini dello psicologo ad operare in questo campo, saranno importanti fattori di protezione personale per il professionista e condizioni determinanti per l'efficacia dell’intervento. È superfluo dire che operare in emergenza richiede consolidate competenze professionali, oltre ad un costante monitoraggio delle proprie condizioni psicofisiche, e che sono da evitare inutili eroismi. Un setting interno elastico ma anche solido contenitore di pensieri ed emozioni e sostenuto essenzialmente dalla professionalità e dall'esperienza dello psicologo, ma anche dalla fiducia che il professionista ripone nel sistema dei soccorsi e nella rete di sostegno che le istituzioni saranno in grado di offrire. Condurre il primo colloquio in emergenza Obiettivi del colloquio sono stabilizzare, prevenire altri traumi che possono avvenire a ridosso dell'evento, dovuti anche alla qualità dell'assistenza ricevuta, ed agevolare l'apertura alla via interiore ed al lavoro su se stessi per far fronte in maniera positiva all'evento traumatico. Il primo approccio alla vittima deve sempre essere preceduto da un'auto presentazione, completa di informazioni sul ruolo dello psicologo e sul mandato a lui affidato. Nel corso del primo colloquio è importante mettere le basi per una relazione di fiducia della persona coinvolta con il mondo del soccorso e con i servizi di salute mentale che prenderanno in carico eventuali problematiche nei giorni, mesi o anni successivi. Si tratta di avviare un'alleanza che non deve coinvolgere in modo esclusivo lo psicologo soccorritore, ma indirizzare verso uno spazio, possibilmente non solo mentale, di cura del sé e di fiducia nell’altro. Anche se le vittime sono numerose, deve essere posto uno sforzo costante nel riconoscimento dell'individualità di ciascuno per fornire un'assistenza che parta dai bisogni espressi, anche il più concreti e semplici. È importante curare l'accoglienza, agevolare i ricongiungimenti familiari ed ascoltare le 6 richieste sostenendo le persone nell’espressione dei bisogni e nell'elaborazione delle domande, attività che va costantemente accompagnata da un'attenta valutazione delle loro condizioni psichiche e delle dinamiche relazionali, per evitare ogni aspetto collusivo o manipolatorio. Un altro modo utile per sviluppare la relazione nella prima fase del colloquio può essere un coinvolgimento misurato della vittima nelle operazioni di soccorso, soprattutto se sono in corso le ricerche di familiari, conoscenti o amici, e l'attenzione della persona che si sta soccorrendo è rivolta verso gli esiti delle ricerche. In questi casi può essere opportuno incoraggiare la vittima a fornire informazioni per essere d'aiuto ai soccorritori. Questo escamotage, oltre ad indirizzare in senso costruttivo l'ansia dell'attesa, permette una prima valutazione diagnostica dello stato di coscienza e dell'orientamento. Intervento breve in acuto: il riequilibrio funzionale Prima di iniziare l'indagine di triage, è opportuno aiutare la vittima a ripristinare uno stato di coscienza e percezione sufficientemente adattivo, ovvero far sì che davvero sia in relazione con noi, al meglio che può in quel momento. Uno dei fattori che più disturba la stabilizzazione delle vittime in questa fase dell'emergenza è l'alterazione della regolazione del sistema nervoso autonomo. Ogni evento traumatico agisce sulle vittime provocando uno stato di stress acuto. Lo stato di pericolo attiva l'organismo che reagisce modificando il proprio equilibrio nervoso di base più spesso in direzione di una simpaticotonia. Lo stato di attivazione neurofisiologica della vittima, nelle diverse sfumature di alterazione del comportamento, è oggetto di osservazione e valutazione durante tutto il colloquio, ma in questa fase diventa focus di lavoro per disattivare, o alleggerire, la reazione neurofisiologica che l'evento traumatico ha provocato. Per raggiungere questo scopo utilizziamo una proposta che nasce dall'interno della psicologia funzionale, nell'ambito della cura dello stress cronico. In emergenza, si tratta lo stress acuto come semplici tecniche psicomotorie che hanno l'obiettivo di equilibrare il sistema nervoso autonomo. Dopo l'iniziale fase di accoglienza si chiede alla vittima tifare con noi semplici pratiche di riequilibrio funzionale che possono aiutarlo a sentirsi meglio, a fronte della alterazione che può presentare. L'intervento proposto ha l'obiettivo di sostenere l'integrazione dei funzionamenti di fondo e promuovere il ripristino del processo di apprendimento nella vittima, dal percepire il qui e ora al ripristino del controllo e della capacità riflessiva. In altre parole, si facilita il passaggio dal vissuto alla consapevolezza del vissuto. Attraverso il contatto ed il movimento è possibile promuovere il ripristino del senso della percezione, riportando la vittima in relazione con il momento attuale e con se stessa. In questo modo “avremo riportato la vittima a terra”, consentendogli di ripristinare il circuito dell'apprendimento, di fronteggiare meglio la situazione emergenziale ed accedere a soluzioni più ad attive. Lavorando sulla gamma, mobilità e modularità delle funzioni ripristiniamo la funzionalità ed il controllo, invertiamo il processo in corso orientando la vittima verso la calma e verso il raggiungimento del omeostasi. Quando sentiremo una voce più aperta, quando il respiro si farà più profondo e la postura più armonica, quando il tono muscolare tornerà ad essere rilassato, quando gli occhi saranno più vitali, allora questi e molti altri segni ci diranno che stiamo andando nella giusta direzione di riequilibrio funzionale. Valutazione psichica post evento traumatico Gli elementi diagnostici da rilevare sono quelli consentiranno, tenuto conto anche delle risorse immediatamente disponibili, di decidere il livello di assistenza da erogare. La richiesta di fornire informazioni sulla propria persona richiama la vittima ad una presenza osservante, e se fosse al momento giusto può rappresentare un ulteriore ausilio per la normalizzazione stabilizzazione della vittima. Si consiglia, tuttavia, di limitare la raccolta dei dati anamnestici a quelli previsti dalla scheda di triage: un'indagine più dettagliata non è necessario in questa fase potrebbe essere percepita come troppo invasiva. Le aree di indagine della valutazione psichica post evento traumatico si focalizzano sullo stato psichico attuale secondo i 5 parametri di vigilanza-coscienza, percezione, ideazione, affettività e comportamento. Possiamo attingere ai consigli di Semi sul colloquio e considerare alcuni degli indicatori adatti alla analisi della narrazione in un contesto emergenziale. Questi indicatori ci potranno aiutare nel 7 valutare quanto l'evento vissuto sia compromettendo le capacità di elaborazione dell'informazione traumatica e quanto bloccata sia la regolazione degli stati emotivi che l'evento traumatico ha sollecitato. È normale che nel racconto della vittima possano mancare elementi spazio-temporali coerenti ed una nazione che si configuri come una storia vera e propria, ma dovremmo fare molta attenzione alle espressioni emotive ed affettive. Sarà infatti la congruenza tra l'espressione emotiva e la vicenda narrata il più importante indicatore della capacità integrativa del soggetto, infatti maggiore sarà la congruenza, maggiore sarà una risorsa che il soggetto ci sta mostrando. Questo ci riporta a fare attenzione alla tempistica del nostro intervento in quanto, solo quando la vicenda traumatica avrà un termine, quindi raggiungerà un punto che aiuta a dare una conclusione all'evento, potremmo meglio valutare la capacità di autocontenimento emozionale della vittima. Tuttavia, sia a evento concluso sia a evento in corso, lo psicologo può cogliere la capacità integrativa della vittima attraverso la qualità della coerenza del vissuto e poi intervenire avendo cura di garantire la migliore stabilizzazione. Per quanto riguarda i contenuti portati dalla vittima e che riguardano specificamente l'evento traumatico è sconsigliato, in questa fase, indirizzarsi verso un approfondimento, con sollecitazioni tipo si ricorda di quando è scoppiata la bomba? Oppure che cosa ha provato quando ha visto tutto quel sangue? Il materiale traumatico, per il rischio di scompensi è stati dissociativi, andrà trattato da psicoterapeuti formati in psicotraumatologia. Le linee guida internazionali rilevano tuttavia l'importanza per i sopravvissuti di raccontare la loro storia, 24 ore dopo il disastro o 24 ore dopo essere usciti da uno stato di coma, e di come sia fondamentale quando nella racconto emerge il timore di aver preso decisioni sbagliate, avere l'opportunità di discutere al più presto il senso di colpa allo scopo di rimuovere un elemento negativo dal processo di coping. Una persona vittima di trauma ha la necessità primaria di essere accolta, validata, rassicurata ed informata. La narrazione dell'evento va attentamente valutata è mai forzata, in quanto le manifestazioni sintomatiche quali la dissociazione, la derealizzazione e depersonalizzazione rappresentano un'utile difesa contro l'angoscia che consentono l'avvicinamento graduale ai contenuti traumatici. Il primo colloquio in emergenza si configura come un intervento vero e proprio. Questo è tanto più vero quanto più lavoriamo per accompagnare la vittima verso una stabilizzazione emotiva che le consenta di calmierare la reazione all'evento ed accedere alle risorse adattive. Prima della conclusione del colloquio è importante rinforzare le sensazioni positive che la vittima può avere recuperato, consolidando il ripristino della calma, del controllo e del proprio stato vitale. Qualora non fosse necessario un invio diretto è immediato alle strutture sanitarie, forniremo informazioni sullo stato di post trauma, preferibilmente lasciando un depliant contenente anche riferimenti telefonici a cui rivolgersi in caso di necessità. 10 Concetto e obiettivo del triage psicologico Il triage psicologico è un'azione, o meglio un processo, accoglitivo-valutativo-decisionale, che si effettua attraverso l'uso di criteri valutativi e modalità operative prestabilite, che consentono procedure e valutazioni uniformi del paziente, articolate in momenti successivi e ben definiti, che sono: - Accoglienza (disponibilità, empatia, rassicurazione, normalizzazione); - Riconoscimento (dei segni, dei sintomi e del problema principale); - Attribuzione (del codice di priorità). Il triage psicologico è il processo attraverso cui si arriva a stimare l'urgenza, per quel determinato soggetto, in quel determinato momento, di ricevere e percepire sostegno psicologico. Il triage psicologico va concepito come una procedura preliminare ai successivi interventi di visita psicologica e supporto psicologico, funzionale alla determinazione di un ordine di accesso al trattamento psicologico. La domanda a cui deve dare risposta lo psicologo, attraverso il processo di triage è: al fine di tutelare la funzionalità e prevenire lo scompenso, il soggetto che sto osservando deve ricevere sostegno subito o può aspettare? Differenze tra triage psicologico, screening e psicodiagnosi Il triage psicologico non deve essere affatto considerato un atto o un processo diagnostico. Il triage psicologico infatti va considerato come un processo valutativo che mira ad individuare chi ha bisogno di intervento psicologico urgente e chi no, in modo da concentrare l'azione clinica su chi ha più urgenza di essere trattato. Con il triage psicologico per veniamo ad una stima della differibilità dell'intervento, non ad una diagnosi, che sarà effettuata successivamente da coloro che prenderanno in carico le persone che presentano un quadro psichico con i caratteri dell' urgenza clinica. Molto diversa è la finalità degli screening oh, che si effettuano su persone che al momento non mostrano nessuna urgenza di trattamento, ma rispetto alle quali noi supponiamo che, per effetto di ciò che hanno vissuto in situazioni di emergenza, potrebbero sviluppare in tempi successivi alcune difficoltà psicologiche correlate all'evento emergenziale vissuto. Gli screening, al contrario del triage, portano l'attenzione valutativa non sulle persone che già presentano un quadro più o meno evidente e difficoltà, ma sulle persone che non presentano al momento un bisogno manifesto di trattamento, ma per le quali noi teniamo che potrebbe sorgere successivamente il bisogno di ricevere aiuto. Necessità del triage psicologico Spesso nelle situazioni di maxi emergenza si crea una proporzione tra risorse umane disponibili e bisogno di assistenza della popolazione colpita. Nelle grandi emergenze spesso ci si trova nella situazione di dover distribuire una quantità limitata di risorse ad un elevato numero di pazienti. La forte probabilità, qui, che in situazioni di emergenza collettiva ci si possa trovare in un evidente sproporzione tra la consistenza delle richieste di aiuto e l'esiguità del numero degli psicologi disponibili per fronteggiare le rende evidente la necessità di uno strumento che consente di svolgere una selezione nel modo migliore possibile, è lo strumento migliore è il triage. Tutto questo implica che se lo psicologo delle emergenze collettive non fosse formato al triage e non si attrezzate con schede e criteri di triage, si troverebbe a dover decidere chi assistere e chi non assistere, chi trattare prima e chi dopo, si troverebbe cioè ad effettuare delle scelte, delle selezioni, ma in maniera improvvisata, secondo criteri soggettivi e non sostenuti da precedenti momenti di analisi. Ogni psicologo, si troverebbe infatti a prendere decisioni in base alla propria esperienza, alle proprie conoscenze ed alle proprie capacità di organizzarsi, con tutti i rischi connessi a fare questo in una situazione di emergenza, quando è già difficile fare anche ciò che è chiaro, ben definito e di cui si ha esperienza. Il triage psicologico alla luce dei criteri di massima del 2006 Con la direttiva del Presidente del consiglio dei Ministri “Criteri di massima sugli interventi psicosociali da attuare nelle catastrofi” del 2006, vengono emanate le disposizioni relative agli interventi psicologici da attuare nelle catastrofi, indicando: obiettivi degli interventi, finalità, destinatari, sedi operative, èquipe che deve attuare gli interventi ecc., ponendo fine all’idea che l’intervento psicologico in emergenza è improvvisazione e al di fuori di ogni norma. 11 Il triage è l'insieme dei criteri su cui l'operatore si basa per classificare i soggetti in classi di priorità di trattamento, è per indicare il tipo e le modalità di invio del paziente alle strutture sanitarie della catena dei soccorsi. Il triage deve consentire la valutazione delle conseguenze psicologiche e psichiatriche dell'evento catastrofico, essere prioritariamente rivolto alle vittime, alle categorie a rischio ed ai soccorritori che presentano un evidente condizione di disagio che può interessare la sfera cognitiva, emotiva o comportamentale. Per effettuare un'efficace triage, selezione che deve avvenire a tutti i livelli della catena dei soccorsi, si deve tener conto che: - le operazioni richiedono la disponibilità degli spazi adeguati che consentano un livello accettabile di privacy, - le procedure devono essere adeguate alla peculiarità degli scenari ed essere utilizzabili da operatori con livelli di formazione differente, - i protocolli devono comunque essere semplici, in rapida memorizzazione ed esecuzione, basati su criteri di assegnazione dei livelli di priorità, - le valutazioni e gli eventuali interventi effettuati devono essere sempre registrati e la documentazione relativa deve essere opportunamente conservata e prontamente accessibile, - le operazioni di triage non devono rallentare o interferire con le altre operazioni di soccorso. Classi di priorità: Priorità bassa: soggetti con sintomi psicopatologici piedi che richiedono interventi di supporto psicologico o trattamenti farmacologici differibili. Priorità intermedia: soggetti con sintomi psicopatologici di gravità intermedia che richiedono una valutazione specialistica per interventi di supporto psicologico o trattamento farmacologico, dopo eventuale periodo di osservazione. Priorità alta: soggetti con gravi reazioni traumatiche che comportano marcata riduzione dell'autonomia individuale, ridotta consapevolezza di malattia, compromissione delle funzioni cognitive, pericolosità per sé e per gli altri, e pertanto richiedono interventi immediati o valutazioni specialistiche. SCHEDA TRIAGE DATA: __/__/____ OPERATORE PSICOLOGO PSICHIATRA ORA: NOME COGNOME SEDE DELL’INTERVENTO PAZIENTE COGNOME NOME SESSO M/F LUOGO E DATA DI NASCITA INDIRIZZO TEL. ACCOMPAGNATORE NOME COGNOME TEL. PREGRESSI PROBLEMI PSICOLOGICI SI NO (SPECIFICARE) PREGRESSI PROBLEMI PSICHIATRICI SI NO (SPECIFICARE) TRATTAMENTI PSICOFARMACOLOGICI PRECEDENTI REAZIONE ALL’EVENTO CATASTROFICO VALUTAZIONE DELLE RISORSE o ANSIOSO o LIEVE o GRAVE o CAPACITÀ DI COPING o INDIVIDUALI o COLLETTIVE o DEPRESSIVO o LIEVE o GRAVE o DISPONIBILITÀ A RICEVERE AIUTO o DI SCOMPENSO o LIEVE o GRAVE INDICAZIONI DI INTERVENTO FASE ACUTA o SANITARIO o PMA o OSPEDALE o SOSTEGNO ÈQUIPE PSICOSOCIALE FASE DI MEDIO TERMINE o STRUTTURE PSICOLOGICHE E PSICHIATRICHE o STRUTTURE SOCIO EDUCATIVE INDICAZIONI DI INTERVENTO o TRATTAMENTO PSICOLOGICO o TRATTAMENTO FARMACOLOGICO (DOSE E POSOLOGIA) ESCLUSIVAMENTE A CURA DEL PERSONALE MEDICO o DIMESSO o RIFIUTA FIRMA 12 Accoglienza, concentrazione sul presente e supporto nel triage L’accoglienza Rappresenta la prima fase del percorso di triage, che prende avvio con l’incontro tra lo psicologo e la vittima, e va sempre considerata come un momento delicato ed importante per la buona riuscita del processo di triage, in cui l’operatore si pone in modo empatico ed accogliente. È necessario qualificarsi, chiarire al soggetto il proprio ruolo e magari indicare l’ente o l’associazione con la quale si collabora in quell’emergenza. Subito dopo è necessario rassicurare il soggetto, spiegandogli cosa si sta facendo con lui. Non sempre è possibile condurre la fase dell’accoglienza nel modo descritto. Infatti, quando il quadro clinico è particolarmente grave, come ad esempio nei quadri di amnesia post traumatica, catatonia, irritabilità ecc.., il soggetto viene osservato in modo molto più sommario e le informazioni ritenute necessarie che non si possono avere dal paziente vengono chieste agli eventuali accompagnatore. La concentrazione sul presente Per quanto riguarda questo aspetto, dobbiamo dire che durante il breve colloquio con la persona, lo psicologo deve concentrarsi essenzialmente sul presente, ossia sull’evento emergenziale appena vissuto e le manifestazioni emotive e somatiche che ne sono derivate. Deve guardare anche al passato del paziente, ma solo per individuarne eventuali pregresse fasi di vulnerabilità, i precedenti bisogni di supporto psicologico o farmacologico e le modalità di reazione in occasione di eventuali precedenti esperienze di forte impatto emotivo. Il supporto psicologico durante le attività di triage Pur senza trasformare il momento del triage in una seduta di trattamento, durante il suo svolgimento si deve comunque intervenire sul paziente con atteggiamenti, chiarificazioni, normalizzazioni ecc, tutti strumenti nelle mani dello psicologo, strumenti che possono dare alla persona un immediato sollievo ed avviare le operazioni di tutela e riparazione del suo assetto psicologico. Il momento di triage deve essere quindi anche un primo spazio relazionale in cui la persona trova rassicurazione e accoglienza, e cioè un momento operativo che, oltre a valutare il bisogno di sostegno della persona, determina situazioni relazionali supportive, tali da consentire allo psicologo di ricevere, contenere e gestire le ondate di ansia della persona. Prudenze e raccomandazioni Non bisogna rischiare di fondare il triage su un presupposto sbagliato, ossia sull’assunto che l’effettuazione del triage psicologico significhi implicitamente che tutte le reazioni del post trauma sono da considerare patologiche. Questo assunto potrebbe portare lo psicologo ad effettuare il triage partendo dal presupposto sbagliato e clinicamente dannoso che le reazioni dell’immediato post trauma siano di per sé patologiche, quando in realtà si tratta solamente di normali reazioni di adattamento ad un evento eccezionale. Patologizzare, e non riconoscerle per quello che sono realmente, non è solo un errore metodologico, ma può diventare un pericoloso fattore iatrogeno. 15 l'obiettivo è fornire una guida su come rispondere, i messaggi chiave di supporto possono essere: prendete queste precauzioni, se probabilmente esposti contattate il medico, se si avvertono sintomi contattate il medico. Per costruire messaggi chiave efficaci bisogna: Fornire motivazioni: ad esempio, bisogna chiarire che le persone manifestano delle reazioni psicologiche perché pensano di proteggersi da un evento catastrofico che ha minacciato la loro incolumità. Forse le risposte nella zona efficace sono difficili da capire e supportare ma non rappresentano certamente una manifestazione di pazzia. Rendere protagonisti: non bisogna essere generici e parlare di una catastrofe in senso lato, facendo riferimento ai terremoti, alle alluvioni eccetera, bisogna entrare nello specifico evento e fare riferimento per particolare terremoto o alluvione, offrendo dati che si riferiscono a quell'evento. Non bisogna parlare delle strategie di fronteggiamento in senso lato, bisogna partire da strategie evidenziate dalle vittime e proporre strategie di fronteggiamento efficaci in relazione alle problematiche psicologiche dei superstiti con cui si sta parlando in quel preciso momento. Valutare l’impatto dei termini utilizzati: bisogna rivedere le osservazioni che si intendono fare per valutare l'impatto probabile che le parole dette possono avere sulla situazione e modificarle se necessario. Ad esempio, si stanno usando parole come crisi, pericoloso per la sopravvivenza e possono essere sostituite con altri vocaboli meno drammatici. Stare sul messaggio: dopo che si sono stabiliti obiettivi e messaggi chiave, la sfida diventa quella di recapitarli e di assicurarsi che i messaggi siano ascoltati e gli obiettivi vengano raggiunti. Bisogna sfruttare le opportunità di cominciare o concludere le dichiarazioni con una reiterazione del messaggio chiave. Se l'obiettivo è alleviare le preoccupazioni, e il messaggio di supporto a questo obiettivo è che il rischio per la popolazione è basso, tra le messaggio deve essere chiaramente esposto all'inizio e ripetuto quanto più spesso possibile. Costruire il supporto: non bisogna dare per scontato che non si avrò bisogno di aiuto, e non bisogna essere ritrosia richiederlo. A meno che non si sia sicuri che il soggetto della discussione sarà strettamente confinato nella propria area di competenza, non è la miglior cosa essere l'unico questa voce sull'argomento. Le situazioni di crisi hanno sfaccettature multiple sollevano una serie di tornanti. Portata di mano persone che possono rispondere a queste domande facilità e sveltisce il processo di comunicazione ed assicura che non si sviluppino vuoti informativi. Bisogna dunque attivarsi per reperire ed utilizzare i supporti comunicativi professionali disponibili. È opportuno identificare altri operatori istituzionali esperti che possono parlare delle questioni che con maggiore probabilità sollevate, e far conto sul loro aiuto quando necessario. Incontri pubblici A seguito di una maxi emergenza, è opportuno organizzare incontri con i superstiti per chiarire alcune questioni o per fornire informazioni utili. Preparare l’incontro Conoscere il pubblico: chi sono, da dove vengono? Quali sono i loro interessi e le loro preoccupazioni? Quali sono le loro possibili percezioni e distorsioni? Saranno ricettivi, o resistenti o persino ostili? Preparare una presentazione autointroduttiva: è importante ricordare che l’empatia percepita è valutata nei primi 30 secondi. Una forte presentazione introduttiva stabilisce il tono dell’incontro ed è cruciale. I suoi elementi includono: una dichiarazione sugli interessi e competenze personali (ad esempio: mi chiamo… sono uno psicologo da tempo interessato ad aiutare le vittime di eventi critici, e per questo mi sono formato in modo specifico…); una dichiarazione sugli impegni e sugli intenti dell’organizzazione (ad esempio: sono incaricato di offrire una serie di servizi di supporto psicologico e sociale alle vittime di questo evento); una dichiarazione sui propositi ed un piano dell’incontro (ad esempio: stasera vorremmo condividere con voi per circa 15 minuti alcune informazioni per noi importanti, e poi vorremmo dare spazio alla discussione, alle domande e alle preoccupazioni. 16 Sviluppare un massimo di tre messaggi chiave: i messaggi chiave sono punti che si vuole il pubblico tenga a mente dopo l’incontro. Questi messaggi devono riguardare argomenti generali, essere brevi e concisi. Per sviluppare i messaggi chiave si ricorre al brainstorming; bisogna pensare liberamente e annotare tutte le informazioni che si desidera comunicare, identificare le idee più importanti e selezionarne massimo tre. Preparare una dichiarazione riassuntiva a conclusione dell’incontro: bisogna riaffermare parola per parola i messaggi chiave. È necessario aggiungere una dichiarazione sull’azione futura: cosa farà la nostra organizzazione per offrire il suo aiuto nel breve e nel lungo termine? Organizzare i dati a supporto dei messaggi: i supporti audiovisivi possono rendere i messaggi più facili da capire. Le persone si ricorderanno con maggiore probabilità un punto se gli si offre un’associazione visiva con le parole. Alcuni supporti da prendere in considerazione sono: grafici, illustrazioni, diagrammi, glossari, mappe, poster, fotografie, video. Prepararsi a rispondere alle domande: se si conoscono i soggetti della comunicazione ed il pubblico a cui si deve comunicarlo, la maggior parte delle domande possono essere anticipate. Bisogna usare le risposte come opportunità per ri-sottolineare i messaggi chiave. Le risposte dovrebbero essere corte, focalizzate e non più lunghe di due minuti. Se non si sa una cosa, bisogna dirlo e, se la domanda riguarda il nostro ambito di competenza, adoperarsi per recuperare e trasmettere l’informazione mancante. Se non è chiara una domanda, è opportuno ripeterla al mittente per essere sicuri di aver capito bene. Gestire situazioni di ostilità Affrontare in maniera inefficace l’ostilità può erodere la fiducia e la credibilità. Bisogna ricordare, comunque, che l’ostilità del pubblico è solitamente diretta verso l’operatore istituzionale in quanto rappresentante dell’organizzazione, non in quanto individuo, così non va presa sul piano personale. È importante esercitarsi alla gestione di se stessi, inviare il messaggio che si è in una situazione di controllo. È importante ascoltare, riconoscere le frustrazioni delle persone e comunicare empatia e preoccupazione per l’altro. Bisogna rispondere alle domande in modo serio e concentrato, tramutare gli aspetti negativi in positivi e costruire occasioni per tornare al messaggio che si vuole trasmettere. Interviste e conferenze stampa I media sono un mezzo privilegiato per comunicare con il pubblico. Le interviste rappresentano un’ottima occasione per diffondere informazioni utili e per chiarire aspetti particolari legati al proprio intervento. Le interviste rappresentano anche un’occasione per raggiungere superstiti che, pur avendone bisogno, non hanno ancora ricevuto informazioni sui servizi offerti. Di seguito, alcuni consigli per ricavare il massimo risultato da una intervista o da una conferenza stampa: - Bisogna ascoltare le domande, pensare alle risposte e cercare sempre di proporre e riproporre i propri messaggi; - Bisogna esporre ciò che si sa, non ciò che si pensa; - Non si devono esprimere opinioni personali; se si è costretti, bisogna assicurarsi di essere molto chiari nel distinguere le proprie opinioni dalle posizioni e dalle politiche ufficiali; - Non bisogna fare speculazioni o cercare di rispondere a domande di cui non si sa la risposta; - Non è opportuno impegnarsi in discussioni informali e ufficiose; - Mai litigare con un reporter; - Mai prendersela sul piano personale. 17 Prima, durante e dopo un’intervista: cose da fare e cose da non fare Prima dell’intervista Cosa fare: - Chiedere chi farà l’intervista - Chiedere quali soggetti saranno trattati - Avvisare l’intervistatore sui limiti delle proprie competenze - Indagare sul formato e sulla durata - Chiedere chi altro sarà intervistato - Suggerire altre persone da intervistare Cosa non fare: - Permettere di essere intervistati su argomenti al di fuori delle proprie competenze - Chiedere che vengano fatte solo specifiche domande - Dichiarare alcuni argomenti fuori discussione Dichiarando che non saranno discusse certe cose si attira soltanto l’attenzione su queste cose e si dà l’impressione che c’è qualcosa da nascondere. Durante l’intervista Cosa fare: - Offrire e ribadire i propri messaggi chiave - Rimanere aderenti ai fatti - Essere disponibili a raccogliere informazioni che non si hanno - Offrire una giustificazione se non si può discutere un argomento - Correggere gli errori fatti - Ricordarsi che i microfoni e registratori sono accesi Cosa non fare: - Suscitare questioni che non si vogliono citare nella cronaca - Rispondere a domande che vanno al di là delle proprie responsabilità - Fare speculazioni, profezie, ipotesi - Parlare per altri - Dire “no comment” Dopo l’intervista Cosa fare: - Ricordarsi che si è ancora ascoltati e registrati - Verificare se è sorta qualche domanda - Offrirsi volontariamente di dare informazioni - Rispettare le scadenze e fornire tutte le informazioni aggiuntive che si sono promesse - Guardare e leggere gli articoli risultanti - Chiamare il giornalista per chiarire pacatamente le imprecisioni che intaccano il senso dell’intervista Cosa non fare: - Pensare che l’intervista è finita e che i registratori siano spenti - Rifiutare di parlare ulteriormente - Chiedere “come sono andato?” - Chiedere di rivedere l’articolo prima della pubblicazione o della trasmissione - Lamentarsi con il responsabile del giornalista prima di farlo con lui Come rispondere a imprecisioni sostanziali Se si verificano imprecisioni sostanziali, ad esempio imprecisioni che possono potenzialmente portare ad aggravare una situazione critica, ci si dovrebbe attivare per correggerle. È importante ricordare che più a lungo la disinformazione permane nell’ambiente informativo, più sarà difficile correggerla. È importante mantenere il proprio livello di risposta adeguato al livello del problema. Reagire compostamente ad un errore non farà che attrarre l’attenzione sul problema che si sta cercando di correggere. Il miglior modo per affrontare un errore singolo è quello di fare una tranquilla telefonata al giornalista che ha fatto l’errore.