Scarica Didattica dell'italiano come lingua prima (Cignetti, Demartini, Fornara, Viale) e più Dispense in PDF di Lingua Italiana solo su Docsity! Dida%ca dell’italiano come lingua prima Cigne&, Demar-ni, Fornara, Viale Capitolo 1 – insegnamento e apprendimento dell’italiano 1. Insegnamento e apprendimento dell’italiano 1.1. che cos’è la dida&ca dell’italiano La dida&ca dell’italiano è una disciplina applica-va che assomma e sinte-zza i contenu- propri delle discipline di riferimento con contenu- di ambito dida&co-pedagogico (dida&ca generale, pedagogia dell’apprendimento, scienze dell’educazione…) e di natura interdisciplinare. A&nge da contenu- di ambito linguis-co e storico-leIerario della lingua italiana: linguis-ca italiana, storia della lingua, studi filologici e storico-leIerari. La dida&ca dell’italiano pone al centro dell’interesse i processi di insegnamento e di apprendimento della lingua e leIeratura italiana, le rela-ve metodologie e le varie forme di trasposizione dida&ca. La dida&ca generale considera il soggeIo apprendente nella sua complessità, studiando i processi forma-vi in modo trasversale, fungendo da elemento di raccordo tra le diverse discipline. La dida&ca dell’italiano si occupa della ricerca delle condizioni per l’apprendimento di uno specifico sapere, ovvero della materia insegnata. Il rapporto tra dida&ca generale e dida&che disciplinari è ancora dibaIuto e non del tuIo risolto. La dida&ca dell’italiano ha una storia rela-vamente recente, nascendo aIorno agli anni Sessanta e SeIanta del Novecento. Precedentemente, la dida&ca della lingua coincideva con quella della leIeratura (sul modello di De Sanc-s Storia della le+eratura italiana), focalizzandosi sulla lingua scriIa e sull’analisi. 2. Teorie e contes- di apprendimento 2.1. le teorie dell’apprendimento Tra le teorie dell’apprendimento del Novecento più influen- per le sor- dele dida&che disciplinari vi sono: Teorie comportamen-ste: L’apprendimento deve essere interpretato come un cambiamento di comportamento, in par-colare quello che si realizza quando viene data una risposta correIa a uno specifico s-molo. Comportamento: è l’insieme delle relazioni ada&ve ogge&vamente osservabili che un organismo innesca in risposta agli s-moli, anch’essi ogge&vamente osservabili provenien- nell’ambiente in cui vive. Comportamen-s- celebri sono Burrhus F. Skinner (esperimen- sui topi asseta-) e Ivan Pavlov (induzione della salivazione nei cani). Teorie cogni-viste: Studiano ciò che accade nella mente degli individui, principalmente in termini di memoria e processi cogni-vi. Apprendimento: è un processo di acquisizione di conoscenze che nasce dall’esigenza di dare ordine e struIura al reale, ed è il prodoIo dei cambiamen- che avvengono nella mente del soggeIo. Rappresentan- celebri del cogni-vismo sono Jerome S. Bruner e George A. Miller. Teorie costru&viste: l’a&vità di insegnamento deve essere intesa non come trasmissiva, ma come un’azione che prevede il coinvolgimento a&vo del soggeIo, che viene posto al centro del processo di apprendimento. Formazione: è un’esperienza situata in uno specifico contesto: è il soggeIo a costruire a&vamente il proprio sapere, mosso dai propri interessi e dalle conoscenze pregresse. Apprendimento: si realizza principalmente aIraverso la condivisione sociale e la cooperazione nei gruppi. Principali rappresentan- sono Jean Piaget e Lev. S. Vygotskij. Nella dida&ca dell’italiano prevalgono oggi i metodi di -po costru&vista, entro i quali sono privilegia- gli approcci di -po indu&vo, che partono dall’osservazione di casi par-colari per arrivare alla formulazione di regole generali. L’approccio indu&vo: si centra sulle modalità di processamento delle informazioni da parte del soggeIo e propone una serie di da- empirici come materiali di partenza, s-molando l’elaborazione di conce& organizzatori. Questo metodo è caraIerizzato dall’esperienza concreta, che va verso forme di conceIualizzazione. Si oppone al metodo dedu&vo, che parte da assiomi e postula- teorici per ricavare informazioni sull’esperienza. Insegnare a pensare indu&vamente significa accompagnare lo studente nell’acquisire una metodologia esperienziale, una modalità di esplorazione della realtà orientata a formare dei conce& u-li a leggere la realtà stessa, a ordinarla e a classificarla. Il focus è sui processi cogni-vi di elaborazione dell’informazione e si basa su una sequenza di passaggi che richiama il metodo scien-fico galileiano: - definizione del problema da affrontare - osservazione della realtà - elaborazione di ipotesi - verifica delle ipotesi - formulazione della regola generale il docente si pone come guida allo sviluppo del processo di elaborazione conceIuale, aIraverso la preparazione del materiale, l’indicazione dei passaggi dell’analisi, la conduzione del confronto, lo s-molo a trarre conclusioni etc. un problema di questo metodo è rela-vo al tempo necessario per sviluppare i diversi passaggi, che può andare a scapito di un’estensione dei contenu-. È quindi u-le evidenziare il valore metodologico del lavoro proposto, al di là del contenuto in cui si applica, con la possibilità di impiegarlo in discipline differen-. La valorizzazione di un approccio che parte dal dato concreto può favorire gli allievi con maggiori difficoltà nei processi di astrazione. 2.2. I contes- di apprendimento L’azione dida&ca si svolge sempre all’interno di un contesto che la condiziona: un contesto di apprendimento. I contes- di apprendimento possono essere: - Contes- informali → contes- in cui i sogge&, aIraverso esperienze e relazioni sociali di vario -po, acquisiscono abilità, conoscenze e competenze in modo non struIurato. esempi: manifestazioni spor-ve, concer- o speIacoli teatrali - Contes- non formali → le a&vità sono pianificate ma non sono esplicitamente orientate all’apprendimento. esempi: associazionismo lavora-vo e professionale - Contes- formali → sono i contes- in cui le a&vità sono is-tuzionalmente finalizzate all’insegnamento e dove le conoscenze, le abilità e le competenze sono esplicitamente valutate e cer-ficate. esempi: scuole, università e is-tu- di formazione 2.3. Il contraIo dida&co Il contraIo dida&co è un sistema di regole che va garan-to affinché un’a&vità di insegnamento risul- efficace. Può essere definito come l’insieme dei comportamen- del docente che sono aIesi dall’allievo e come l’insieme dei comportamen- dell’allievo che sono aIesi dal docente. È un “paIo non scriIo” da cui derivano diri& e doveri che docen- e discen- devono conoscere e impegnarsi a rispeIare. Non è un documento vero e proprio, ma il risultato di consuetudini che danno luogo a comportamen- e aspeIa-ve. studen- che la scuola lasciava da parte e promuovendo l’idea solidale di innalzamento del livello di competenza linguis-ca per chi parte da situazioni svantaggiate. Questa è anche la sostanza dell’idea rivoluzionaria alla base dell’educazione linguis-ca che, grazie a insegnan- e studiosi impegna- in un’operazione di rinnovamento, smosse le acque di un insegnamento immobile da secoli. Tullio De Mauro ha il merito di aver sensibilizzato a temi come l’analfabe-smo, la delicata situazione linguis-ca italiana e le responsabilità della scuola. Nascono così associazioni che pongono al centro dei loro interessi le condizioni della società, della scuola e dell’educazione linguis-ca italiana: - SLI (Società di Linguis-ca Italiana) – 1967 - GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguis-ca) – 1975; orientato alla sperimentazione dida&ca delle novità provenien- dagli studi teorici. Inizia a maturare, in modo trasversale, la prospe&va della linguis-ca educa-va: la componente delle discipline linguis-che che supera la sola dimensione descri&va e anali-ca del linguaggio e delle lingue, per interessarsi opera-vamente alle ricadute concrete sul piano educa-vo e sociale. Nel 1975 il GISCEL elabora le Dieci tesi per l’educazione linguis/ca democra/ca: un aIo di denuncia rispeIo ai metodi dida&ci tradizionali e, al tempo stesso, l’inizio di un nuovo modo di concepire la dida&ca della lingua. Pongono al centro dell’aIenzione conce& come la centralità del linguaggio verbale, l’importanza del benessere globale anche per lo sviluppo delle competenze linguis-che, lo spirito democra-co dell’educazione linguis-ca, l’importanza del retroterra culturale degli allievi, l’inefficacia della pedagogia linguis-ca tradizionale e la trasversalità della lingua nelle diverse discipline. Si pone come un’ondata di svecchiamento che, per quanto non sia entrata immediatamente nella maggioranza delle prassi circolan-, ha avuto un grande impaIo: iniziano a fiorire le sperimentazioni nelle scuole, mentre i programmi iniziano a cambiare in prospe&va linguis-ca e contenu-s-ca. Dieci tesi per l’educazione linguis-ca democra-ca (riassunto) Le dieci tesi sono un testo colle&vo preparato dai soci del GISCEL nel 1975 con cui si intende definire i presuppos- teorici e basilari e le linee di intervento dell’educazione linguis-ca, con la finalità di una scuola democra-ca. I. Centralità del linguaggio verbale Il linguaggio verbale è fondamentale nella vita sociale e individuale, perché grazie alla sua padronanza rice&va e produ&va è possibile comunicare, analizzare l’esperienza (uso cogni-vo) e trasformare l’esperienza stessa (usi emo-vi e argomenta-vi). II. Il suo radicamento nella vita biologica, emozionale, intelleIuale, sociale Lo sviluppo delle capacità linguis-che affonda le sue radici nello sviluppo dell’intero essere umano (crescita psicomotoria, di socializzazione, rappor- affe&vi, interessi intelleIuali e partecipazione alla vita culturale e comunitaria). Lo sviluppo delle capacità linguis-che dipende da un buon sviluppo organico e, quindi, anche da una buona alimentazione. III. Pluralità e complessità delle capacità linguis-che Il linguaggio verbale è faIo di molteplici capacità. Alcune sono percepibili: capacità di produrre parole e frasi appropriate (orali o scriIe); capacità di conversare esplicitamente; capacità di leggere ad alta voce. Altre si percepiscono meno facilmente: capacità di dare un senso alle parole udite o leIe; capacità di verbalizzare e analizzare interiormente in parole le varie situazioni, capacità di ampliare il patrimonio linguis-co. IV. I diri& linguis-ci nella Cos-tuzione Una pedagogia linguis-ca efficace deve badare al rapporto tra lo sviluppo delle capacità linguis-che nel loro insieme e lo sviluppo fisico, affe&vo, sociale e intelleIuale dell’individuo, in vista dell’importanza decisiva del linguaggio verbale. Una pedagogia linguis-ca efficace è democra-ca soltanto se accoglie e realizza i principi linguis-ci espos- nella Cos-tuzione. Ad esempio, l’ar-colo 3 dichiara l’eguaglianza di tu& i ciIadini senza dis-nzioni di lingua, impegnandosi a rimuovere gli ostacoli che vi si frappongono. Secondo la Cos-tuzione, la scuola è chiamata a individuare e perseguire i compi- di una educazione linguis-ca efficacemente democra-ca. L’obie&vo è il rispeIo e la tutela delle varietà linguis-che. La scuola non deve essere l’unica a proporsi problemi e scelte dell’educazione linguis-ca, ma altri momen- e is-tu- di una società democra-ca hanno il compito di garan-re un’a&vazione paritaria delle capacità linguis-che di tu&. La condizione per la piena a&vazione delle capacità verbali è uno sforzo coordinato di tuIe le is-tuzioni che a&vano la vita culturale di massa. È dalla scuola che deve venire una spinta di rinnovamento anche per altre is-tuzioni di massa. È sulla scuola che, in modo dominante, devono concentrarsi gli sforzi per avviare un diverso programma di sviluppo delle capacità linguis-che individuali. V. CaraIeri della pedagogia linguis-ca tradizionale La pedagogia linguis-ca tradizionale mira a un rapido apprendimento da parte dei più dota- di un soddisfacente grafismo e del possesso delle norme di ortografia italiana, produzione scriIa anche scarsamente mo-vata, analisi gramma-cale, apprendimento a memoria della gramma-ca, capacità di verbalizzare oralmente e per iscriIo apprezzamen- di tes- leIerari. Gli interven- corre&vi sono spesso privi di ogni fondamento metodico e di coerenza, sono vol- a reprimere le deviazioni ortografiche, di sintassi di s-le e di vocabolario. VI. Inefficacia della pedagogia linguis-ca tradizionale La pedagogia linguis-ca tradizionale è inefficace. Ha puntato tu& i suoi sforzi sull’ortografia, nonostante un ciIadino su tre sia in condizioni di semianalfabe-smo. La pedagogia linguis-ca tradizionale non insegna bene l’ortografia, e nemmeno la produzione scriIa. La pedagogia linguis-ca tradizionale non realizza bene nemmeno gli scopi su cui punta, è inefficace. VII. Limi- della pedagogia linguis-ca tradizionale La pedagogia tradizionale pecca per inefficacia e per parzialità dei suoi scopi: - Pretende di operare seIorialmente nell’ora “di italiano”, ignorando i processi di maturazione linguis-ca e la necessità di coinvolgere nello sviluppo delle capacità linguis-che tu& gli insegnamen-. La pedagogia linguis-ca tradizionale si occupa delle capacità linguis-che produ&ve, ignorando quelle rice&ve, essenziali per le competenze linguis-che produ&ve. - Considera soltanto la produzione scriIa, senza curare le capacità di produzione orale, messe alla prova solo nell’interrogazione, dove ci si concentra solo sul contenuto. Le capacità di organizzare un discorso orale, di conversare, discutere, capire parole nuove, sono fuori dall’aIenzione della pedagogia linguis-ca. Si aggiunge la negligenza per degli aspe& orali dell’espressione, tra cui i difficili rappor- tra l’ortografia e la pronuncia standard italiana e quelle regionali locali. - Nella produzione scriIa, vengono trascura- capacità come prendere appun-, schema-zzare, sinte-zzare… - È fondata sulla fiducia nell’u-lità dell’analisi gramma-cale e logica. La riflessione scolas-ca sulla lingua si riduce a: A) parzialità dell’insegnamento gramma-cale tradizionale: la riflessione linguis-ca deve tener conto anche dei fenomeni di mutamento linguis-co, delle relazioni del mutamento con le vicende storico- sociali... (storia della lingua, storia linguis-ca, sociologia del linguaggio, psicologia del linguaggio, seman-ca). B) inu-lità dell’insegnamento gramma-cale tradizionale rispeIo ai fini primari e fondamentali dell’educazione linguis-ca C) nocività dell’insegnamento gramma-cale tradizionale: le gramma-che tradizionali sono corroIe ed equivocate. In più non esiste un grande e serio repertorio dei fenomeni linguis-ci gramma-cali dell’italiano e dei diale&. L’italiano dovrebbe disporre di una gramma-ca adeguata. - Trascura la realtà linguis-ca di partenza, colloquiale e dialeIale, degli allievi (es. libri di testo unici su tuIo il territorio), trasformando in causa di svantaggio la diversità della popolazione italiana. - Trascura il rapporto tra le capacità propriamente verbali e quelle simboliche ed espressive (disegno, danza, capacità di calcolo…) La pedagogia linguis-ca tradizionale è parziale dal punto di vista sociale e poli-co, risponde ai fini poli-ci e sociali complessivi della scuola di classe. È rivolta a integrare il processo di educazione linguis-ca degli allievi delle classi sociali più colte e agiate. Svela la sua inefficacia nel momento in cui si confronta con l’esigenza degli allievi provenien- da classi sociali popolari e contadine, ai quali l’educazione tradizionale ha dato una sommaria alfabe-zzazione parziale e il senso di vergogna delle condizioni linguis-che originali, estromeIendo precocemente dalla scuola masse di ingen- ciIadini. VIII. Principi dell’educazione linguis-ca democra-ca Dieci principi dell’educazione linguis-ca nella scuola democra-ca: 1. Lo sviluppo delle capacità verbali va promosso in streIo rapporto con una correIa socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio e con la maturazione delle capacità espressive e simboliche. 2. Lo sviluppo delle capacitò linguis-che non vanno propos- come fini a se stessi, ma come strumen- di partecipazione alla vita sociale e intelleIuale. 3. La sollecitazione delle capacità linguis-che deve par-re dall’individuazione del retroterra linguis-co- culturale e ambientale dell’allievo, con lo scopo di arricchire il patrimonio linguis-co dell’allievo aIraverso ampliamen- graduali. 4. La scoperta della diversità dei retroterra linguis-ci individuali deve essere il punto di partenza di approfondite esplorazioni della varietà linguis-ca di una stessa società. 5. Occorre sviluppare anche le capacità linguis-che rice&ve. 6. Occorre sviluppare sia l’orale che lo scriIo. 7. Occorre sviluppare e s-molare la capacità di passaggio dalle formulazioni più locali e colloquiali a quelle più meditate e formali. 8. È necessario addestrare alla conoscenza e all’u-lizzo di modi is-tuzionalizza- d’uso della lingua comune (linguaggio giuridico, leIerario…). 9. Occorre curare e sviluppare la capacità, inerente al linguaggio verbale, di autodefinirsi, autodichiararsi e analizzarsi, sia per l’italiano che per i diale&. 10. Occorre sviluppare il senso della funzionalità di ogni possibile -po di forme linguis-che note e ignote. La vecchia dida&ca linguis-ca era diIatoriale, quella nuova non è però anarchica: ha una regola e segue il principio di funzionalità comunica-va, a seconda degli interlocutori e delle situazioni comunica-ve, rispeIando le parlate locali e quelle di più larga circolazione. IX. Per un nuovo curriculum degli insegnan- La nuova educazione linguis-ca richiede aIenzioni e conoscenze anche negli insegnan-, la cui formazione dovrebbe avvenire aIraverso un curriculum universitario e post-universitario adeguato alle esigenze di una società democra-ca. I futuri docen- dovrebbero integrare a loro formazione con competenze sul linguaggio e sulle lingue e competenze sui processi educa-vi e le tecniche dida&che, con l’obie&vo di avere una consapevolezza cri-ca delle esigenze che la vita scolas-ca pone. X. Conclusione È necessaria l’organizzazione di adegua- luoghi di formazione linguis-ca ed educa-va, che correggano gli errori realizza- dal Ministero dell’istruzione, e che correggano la lacunosità dell’ordinamento universitario in faIo si insegnamento delle scienze del linguaggio. È un problema amministra-vo, civile e poli-co. 3.5. Uno sguardo alla storia dei programmi scolas-ci I Programmi per la scuola dell’obbligo in Italia, dall’Unità alle Indicazioni nazionali - Programmi del 1860, legge Casa- (1859): istruzione elementare suddivisa in due bienni, il primo obbligatorio 5. I documen- ufficiali per insegnare l’italiano L1 Esistono degli strumen- che forniscono al docente un aiuto indispensabile per la programmazione annuale. Sono documen- di riferimento ufficiali: programmi e piani di studio, con lo scopo di fornire al docente orientamen- di massima, che guidino l’operato senza vincolare in maniera troppo rigida. 5.1. L’Italia Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (Miur 2012) sono il documento ministeriale aIualmente in vigore che regola l’insegnamento delle materie nella scuola dell’infanzia e nella primaria e secondaria di primo grado. Per la secondaria di secondo grado si aggiungono le indicazioni nazionali per i licei e documen- analoghi che fissano gli obie&vi di apprendimento per gli is-tu- tecnici e professionali. Dall’Unità d’Italia fino agli anni Novanta, l’insegnamento era regolato da apposi- programmi ministeriali promulga- a livello centrale, che definivano deIagliatamente i principi e i contenu- da insegnare in ciascun anno di insegnamento. Nel 1999 è stato introdoIo il principio di autonomia scolas-ca: ogni is-tuto scolas-co è diventato un ente dotato di personalità giuridica e autonomo dal punto di vista amministra-vo, ges-onale e dida&co. Ogni is-tuto scolas-co definisce la propria programmazione dida&ca. Il curricolo non è completamente libero, ma deve muoversi all’interno di indicazioni ufficiali, che fissano i traguardi e gli obie&vi di apprendimento che lo studente deve possedere in alcune tappe intermedie: fine scuola dell’infanzia, terza e quinta primaria, terzo anno della secondaria di primo grado. Ogni is-tuto decide come programmare concretamente il percorso di apprendimento. Le indicazioni nazionali del 2012 muovono esplicitamente dalle OIo competenze chiave dell’Unione Europea (2006, 2018): Competenze: 1. Alfabe-ca funzionale 2. Mul-linguis-ca 3. Matema-ca e in scienze, tecnologie e ingegneria 4. Digitale 5. Personale, sociale e capacità di imparare a imparare 6. In materia di ciIadinanza 7. Imprenditoriale 8. In materia di consapevolezza ed espressione culturali Competenza alfabe-ca funzionale: capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare conce&, sen-men-, fa&, in forma sia orale che scriIa, u-lizzando materiali visivi, sonori e digitali, a&ngendo a varie discipline e contes-. Implica l’abilità di comunicare e relazionarsi efficacemente con gli al- in modo opportuno e crea-vo. Il suo sviluppo è la base per l’apprendimento successivo e l’ulteriore interazione linguis-ca. La competenza alfabe-ca funzionale può essere sviluppata nella lingua madre o nelle lingue di istruzione scolas-ca o ufficiali di un paese. Per quanto riguarda la lingua materna, il documento europeo rimarca una visione della lingua come uno strumento di comunicazione e di interazione sociale, in grado di adaIarsi alle diverse situazioni comunica-ve. Le quaIro abilità linguis-che vengono viste come tuIe ugualmente importan- nel formare la competenza comunica-va nella lingua madre. Nella scuola dell’infanzia ha ruolo cruciale il campo di esperienza I discorsi e le parole: la scuola ha il compito di promuovere in tu& i bambini la padronanza della lingua italiana, rispeIando l’uso della lingua d’origine. Nel primo ciclo vengono defini- per le diverse materie i traguardi d’apprendimento e gli obie9vi d’apprendimento, che individuano campi del sapere, conoscenze e abilità ritenute indispensabili al fine di raggiungere i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Nelle diverse tappe, con complessità crescente, i traguardi e gli obie&vi di apprendimento vengono declina- per ciascuno dei cinque ambi- individua-: - Oralità - ScriIura - LeIura - Acquisizione ed espansione del lessico rice&vo e produ&vo - Elemen- di gramma-ca esplicita e di riflessione sugli usi della lingua La sola leIura dei traguardi di apprendimento al termine della scuola secondaria di primo grado (p. 45) fa emergere lo spirito delle Indicazioni nazionali per quanto riguarda l’approccio all’educazione linguis-ca: emerge una forte visione della lingua come strumento di interazione sociale e di ciIadinanza, con un’enfasi sul caraIere complesso della lingua, intesa come repertorio di varietà linguis-che e testuali. Grande aIenzione è data alla dimensione sociolinguis-ca della lingua, che si realizza aIraverso l’appropriatezza alle diverse situazioni comunica-ve e ai diversi contes- d’uso. Il testo delle Indicazioni nazionali è ricco di rinvii a specifici conce& delle scienze linguis-che. Questa visione dell’insegnamento linguis-co caraIerizza anche i documen- programma-ci per la scuola del secondo ciclo: - Licei: indicazioni formate da una parte generale e da una declinazione per i diversi indirizzi (p. 46) - Formazione professionale e tecnica; Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento Tu& ques- documen- enfa-zzano la dimensione trasversale dell’educazione linguis-ca. 5.2. Il Canton Ticino Il contesto italofono della Svizzera italiana è cos-tuito dal Canton Ticino e da una parte circoscriIa del Canton Grigioni (di lingua prevalentemente tedesca). La Svizzera ha quaIro lingue nazionali: tedesco, francese, italiano, romancio. Recentemente, ogni regione linguis-ca ha rielaborato i documen- programma-ci per regolare l’insegnamento della lingua di scolarizzazione sulla base di un accordo intercantonale: HarmoS, con lo scopo di armonizzare il livello linguis-co previsto al termine della scuola dell’obbligo. Dal 2015 anche nel Canton Ticino è entrato in vigore il Piano di studio della scuola dell’obbligo: un documento che accorpa le indicazioni per tu& e tre i cicli della scuola dell’obbligo -cinese (I – II – III ciclo). Il documento si allinea ai principi delle Indicazioni nazionali: per ogni disciplina sono mostra- i traguardi di competenza e di apprendimento che gli allievi devono raggiungere entro la fine di ciascuno dei tre cicli. All’aumentare della scolarità, le competenze diventano sempre più ar-colate e complete, coerentemente con lo sviluppo cogni-vo e linguis-co dell’allievo. Il vantaggio di un piano di studio così concepito è quello di rendere subito visibile la progressione delle competenze e di permeIere il confronto immediato tra ordini scolas-ci differen-. 5.3. Altri contes- italofoni Oltre all’Italia, ci sono altri contes- in cui l’italiano è lingua nazionale ed è quindi insegnata come L1 ad almeno una parte della popolazione del posto: - CiIà del Va-cano → italiano e la-no - Repubblica di San Marino → solo italiano - Alcune zone della Croazia e della Slovenia → l’italiano è la terza lingua nazionale, quindi minoritaria Capitolo 2 – Quale italiano insegnare 1. Insegnamento dell’italiano e della variazione linguis-ca 1.1. la scuola alla scoperta della variazione linguis-ca Le Dieci tesi segnano un punto di roIura rispeIo all’impostazione tradizionale dell’insegnamento dell’italiano, incentrata su una visione monoli-ca della lingua. Il rinnovamento dell’educazione linguis-ca consiste in una nuova concezione della lingua che ne valorizza gli aspe& dinamici e il suo radicamento nella vita degli allievi. L’educazione linguis-ca viene vista come un “viaggio” di scoperta della diversità linguis-ca, che rappresenta il punto di partenza di esperienze più approfondite ed esplorazioni della varietà linguis-ca che caraIerizza il nostro patrimonio linguis-co. Le Dieci tesi fanno riferimento a una visione della lingua proposta su base scien-fica → sociolinguis-ca. Uno degli obie&vi dell’insegnamento dell’italiano è portare gli allievi a riconoscere ed esemplificare i casi di variabilità linguis-ca, il rapporto tra varietà linguis-che o lingue diverse (plurilinguismo) e il loro uso nello spazio geografico, sociale e comunica-vo. La padronanza dell’italiano passa aIraverso la comprensione del plurilinguismo, in cui convivono diverse norme di realizzazione di un medesimo idioma. La causa del cambiamento linguis-co è cos-tuita da diversi faIori: - tempo → variazione diacronica o diacronia - spazio → variazione diatopica o diatopia - mezzo di espressione → variazione diamesica o diamesia - faIori sociali → variazione diastra-ca o diastra-a - situazione comunica-va → variazione diafasica o diafasia l’esplorazione a scuola delle varietà dell’italiano passa aIraverso la scoperta quo-diana delle varie realizzazioni del cambiamento linguis-co per fornire strumen- di comprensione e orientamento che por-no a leggere implicitamente con gli strumen- dell’analisi linguis-ca i tes- di studio o lega- all’esperienza. L’osservazione può diventare esplicita se si scegli di confrontarsi con le varietà dell’italiano e vengono proposte a&vità dida&che volte al riconoscimento delle diverse manifestazioni della varietà linguis-ca. 1.2. L’italiano nel tempo La variazione diacronica è studiata specificatamente dalla storia della lingua italiana. Anche se i tes- del passato entrano spesso nell’esperienza scolas-ca, generalmente non viene data par-colare aIenzione a questo aspeIo. Gli spun- possono essere molteplici, e anche l’osservazione del “paesaggio linguis-co” del contesto ciIadino può trasformarsi in scoperta della storicità dell’italiano (esempio: cartello “è vietato di abbeverare quadrupedi”, “è vietato di fumare”). Queste osservazioni possono scaturire anche dalla leIura di tes- diversi. 1.6. La situazione comunica-va: registri e soIocodici dell’italiano Diafasia → variazione della lingua per adaIarsi alle diverse situazioni comunica-ve. È di fondamentale importanza per l’educazione linguis-ca, vista la centralità che riveste nella padronanza linguis-ca la capacità di adaIare il proprio discorso all’argomento, ai ruoli, allo scambio linguis-co e ai modi in cui si realizza. La variazione di registro è il modo in cui i parlan- e gli scriven- adaIano la lingua in base alle caraIeris-che peculiari della situazione comunica-va (livello di formalità, -po di rapporto instaurato, grado di familiarità con l’interlocutore…). L’allievo, rifleIendo sulla variazione di registro, impara che uno stesso contenuto può essere declinato in modi diversi per risultare appropriato alle diverse situazioni. Si possono proporre a&vità dida&che di caraIere produ&vo, come la richiesta di declinare lo stesso contenuto in una situazione comunica-va informale o formale, adeguando il modo di esprimersi alla diversa situazione. Variazione di soIocodice: è l’adaIamento del linguaggio alle esigenze comunica-ve e referenziali di un contesto disciplinare o professionale → linguaggi seIoriali. 2. L’autobiografia linguis-ca Secondo le Dieci tesi, la sollecitazione delle capacità linguis-che deve par-re dall’individuazione del retroterra linguis-co-culturale personale. La scuola deve quindi dotarsi di strumen- adegua- a raccogliere informazioni sul repertorio linguis-co degli studen-, in modo da meIere in aIo strategie dida&che adeguate. L’autobiografia linguis-ca è uno strumento nato nell’ambito delle ricerche dialeIologiche, molto u-le a scopo dida&co. Consiste nel far raccontare in un testo il rapporto con le lingue e i diale& che caraIerizzano l’esperienza dello studente e della sua famiglia, sulla base di una traccia che possa orientare il racconto. Una possibile traccia è quella proposta da Mari D’Agos-no, che può essere adaIata ai diversi cicli dida&ci. 3. I problemi della norma a scuola Un problema da affrontare in contesto dida&co è quello del modello di lingua standard e della rela-va norma linguis-ca, oggeIo di discussioni in tuIa la storia linguis-ca. Norma linguis-ca: è l’uso sta-s-camente prevalente che i parlan- fanno della lingua, il fruIo di una convenzione implicita o esplicita tra i parlan- sulle regole di funzionamento della lingua ai suoi vari livelli in un dato momento storico. Storicamente, la scuola ha rappresentato il luogo di apprendimento e fissazione della norma linguis-ca, spesso luogo di conservazione e difesa contro i cambiamen- linguis-ci in corso. Norma interiorizzata (Serianni): è quella norma che è andata stra-ficandosi non tanto sulla base della propria esperienza di parlante, quanto sull’immagine di lingua che si è formata sopraIuIo negli anni di scuola. È un’immagine stereo-pata di lingua che la scuola ha a&vamente difeso e promosso, in contrapposizione ai cambiamen- linguis-ci in corso nel mondo reale. L’effeIo è stato quello di fissare nelle aule scolas-che un codice ar-ficioso e svincolato dalla realtà. Questa varietà d’italiano, aIestata fino agli anni OIanta del Novecento e non del tuIo scomparsa, è stata definita italiano scolas-co. 4. Insegnare l’italiano che cambia: il neostandard Nel corso del Novecento si sono verifica- una serie di cambiamen- nel sistema dell’italiano, in par-colare nel secondo dopoguerra, dovu- al miglioramento delle condizioni di vita, alla maggiore scolarizzazione e ai mezzi di comunicazione di massa. Ne consegue una maggiore diffusione della lingua italiana e un aumento del numero di parlan- non esclusivamente dialeIofoni. Nasce l’italiano parlato, parlato da un numero sempre maggiore di persone. Ciò ha effe& sul sistema linguis-co: l’italiano cessa di essere una lingua esclusivamente scriIa e scolas-ca, estende i suoi domini d’uso per adaIarsi anche alle situazioni informali. Si diffondono fenomeni di oralizzazione e semplificazione, con mutamen- nell’architeIura delle sue varietà. Alcuni tra& diventano acceIabili. Francesco Saba-ni ha parlato di italiano dell’uso medio, Gaetano Berruto di italiano neostandard. I mutamen- della norma riguardano varie aree del sistema linguis-co. Il neostandard comprende tra& innova-vi entra- nell’uso comune con la diffusione del parlato, fenomeni considera- in precedenza substandard ora in fase di riassestamento. Il rapporto della scuola con i cambiamen- linguis-ci recen- o in corso non è pacifico: convivono negli insegnan- posizioni contrastan-, di intransigenza o abbandono della dicotomia giusto-sbagliato. Capitolo 3 – la dida&ca del parlato e dell’ascolto 1. A parlare e ad ascoltare si insegna? Sin da quando si è piccoli, si impara a parlare e ad ascoltare in modo spontaneo. Parlato → i bambini acquisiscono e realizzano in un tempo rela-vamente breve capacità espressive nella loro L1. Roman Jackobson ha intuito che le prime ar-colazioni fone-che dei neona- si assomigliano in tuIe le lingue (/m/, /a/, /p/) e da esse derivano le parole mamma e papà. Ascolto → l’orecchio del feto inizia a formarsi intorno alla 24esima se&mana di gestazione, mentre verso la 30esima è in grado di recepire i rumori materni (ba&to cardiaco), le musiche provenien- dall’esterno e, successivamente, le voci della mamma e di chi lo circonda. L’udito è già maturo nelle prime 36 ore di vita del bambino. Un esperimento su un numeroso campione di neona- ha mostrato le loro reazioni in risposta a tre s-moli diversi: voce della mamma in L1, voce della mamma in un’altra lingua, voce di un estraneo in L1. È emerso che la reazione di piacere allo s-molo della L1 era superiore a quella in risposta alla voce della mamma in un’altra lingua → lingua materna. Saper parlare e saper ascoltare sono qualcosa di diverso, e la scolarità dovrebbe intervenire molto presto per incen-vare la costruzione delle competenze trasversali in queste due dimensioni, non solo dal punto di vista gramma-cale (perfezionamento dei costru& e arricchimento lessicale), ma anche dal punto di vista delle abilità comunica-vo-pragma-che, ovvero il saper padroneggiare la dimensione linguis-ca dell’oralità in una prospe&va di uso contestualizzato, in risposta a diversi bisogni e in diverse situazioni che richiedono l’a&vazione di capacità differen-. Una dida&ca dell’oralità è e deve essere tra i compi- della scuola. È un compito fondamentale, perché l’espressione orale, nelle diverse situazioni in cui può realizzarsi, è qualcosa con cui studentesse e studen- devono confrontarsi non solo durante il percorso scolas-co, ma anche nella vita quo-diana. Parlato e ascolto sono complementari e inscindibili: il parlato si presenta streIamente connesso alla simmetrica abilità rice&va dell’ascolto. Nelle situazioni di interazione le due azioni sono ravvicinate e quasi simultanee. L’esposizione al parlato può s-molare l’ascolto aIento, rendendolo non solo un’abilità rice&va, ma a&vandolo come momento necessario di interpretazione. Un buon ascoltatore avrà maggiori possibilità di esprimersi in forma parlata in modo più sicuro, per-nente e adeguato. 2. Una dida&ca più scriIa che orale Nell’insegnamento delle lingue straniere parlare e ascoltare sono centrali. Storicamente, la dida&ca dell’italiano L1 è stata prevalentemente incentrata sulla dimensione scriIa, mentre l’oralità è stato l’aspeIo meno considerato, nonostante nella nostra scuola la maggior parte dei contenu- è trasmessa in forma orale. Questa non è solo una conseguenza dell’idea che l’allievo impari a parlare e ad ascoltare prima dell’ingresso a scuola, ma è anche esito di una percezione sociale, secondo cui la scriIura ha maggior pres-gio e alla dimensione dell’oralità sono lega- i diale&, a lungo nega- dalla scuola. Ne è derivata una “condanna del parlato”, in par-colare dall’Unità d’Italia in poi. I programmi erano fortemente orienta- all’esercizio della produzione scriIa, mentre l’oralità era raramente citata e vista come qualcosa da tenere soIo controllo onde evitare ricadute nella dialeIofonia e neo problemi di pronuncia. I primi programmi contenevano riferimen- non approfondi- all’oralità, con la raccomandazione di prestare aIenzione all’ortoepia: la reIa pronuncia. Nel programma di Lombardo Radice (1923) vi erano raccomandazioni circa l’opportunità di proporre esercizi orali di traduzione dal dialeIo all’italiano. Per quanto riguarda il docente, vi sono brevi indicazioni sull’uso della voce nei momen- di leIura. Non si parla dell’abilità di ascolto da parte degli allievi. I programmi del 1955 erano fortemente centra- sulla dimensione scriIa. Un primo interesse all’oralità inizia a emergere, ponendo l’accento sulla conversazione (duplice situazione comunica-va di parlato e ascolto). Segue lo sviluppo della capacità di costruire tes- orali complessi: raccontare, discutere, ges-re i turni di una conversazione… anche grazie all’incremento degli elemen- linguis-ci a disposizione. AIorno ai 6 anni, e con sempre più maturità verso gli 8 anni, si aIua il passaggio dalla dimensione del singolo enunciato a quella del testo complesso. Compito della scuola dell’infanzia e dei primi anni di scuola primaria è incen-vare la produzione parlata e migliorarla tramite proposte dida&che. 5. L’insegnamento del parlato A parlare e ad ascoltare non si insegna da zero, ma si insegna per raggiungere livelli sempre più al- e complessi in termini di abilità e di consapevolezza. 5.1. Lingua parlata e lingua scriIa La lingua parlata e la lingua scriIa, non solo sono due canali diversi per veicolare messaggi, ma sono modalità comunica-ve differen-. Sono spazi semio-ci solo di rado perfeIamente traducibili l’uno nell’altro, in quanto sono modalità che forniscono rappresentazioni diverse del messaggio. Anche a fronte di un’apparente parità di contenuto, la differenza di mezzo comporta un diverso rapporto con il contesto e con i partecipan- alla comunicazione, a cui conseguono scelte diverse a livello di pianificazione, di lessico e di realizzazione. Il parlato, o meglio i parla-, hanno la loro gramma-ca, delle regole che risultano dalle caraIeris-che più ricorren-. È necessario integrare, in una dida&ca consapevole, la sensibilità alla variazione linguis-ca, anche quando si traIa di ascolto e parlato, proprio per sviluppare la capacità di esprimersi in modo adeguato in diversi contes- comunica-vi. Differenze tra parlato e scriIo: L’elenco si riferisce solamente al parlato-parlato, ma spesso possono essere presen- forme di parlato più preparate e pianificate. ScriIo e parlato sono due modi espressivi molto diversi, uno caraIerizzato dall’immediatezza, l’altro dalla distanza. Una conseguenza è la fluenza: il parlato spontaneo, che si svolge in direIa, ha una pianificazione inferiore rispeIo allo scriIo, portando ad autocorrezioni, riformulazioni, ridondanze, pause vuote e piene, segnali discorsivi. Ques- sono elemen- che non ci sono quando si scrive in modo controllato. Situazione diversa è quella dei tes- scri& che riproducono le movenze del parlato (ad esempio la messaggis-ca istantanea): come il parlato sono per lo più le& in modalità sincrona. Il lessico tende a una maggiore genericità, si fa maggiore uso di verbi categoriali e di conne&vi poco specifici, l’enfasi è marcata da frequen- dislocazioni, sono frequen- fenomeni di deissi accentuata e tra& marcatamente colloquiali. [Gestualità → è un elemento importante del parlato. I principali -pi di ges- sono: - Iconici: riproducono in modo s-lizzato qualcosa - Simbolici: codifica- in una certa cultura - Batonici: servono a scandire e a segmentare ciò che si dicembre - Gramma-cali: aggiungono ulteriori informazioni sull’interpretazione da dare all’enunciato - Dei&ci: indicano Sono un importante elemento di comunicazione non verbale.] Con gli allievi più grandi è possibile esplorare i loro tes- scri& cercando gli elemen- del parlato, per rifleIere sull’adeguatezza o non adeguatezza. Oppure si possono registrare le loro produzioni orali per analizzare come sono struIurate e quali elemen- linguis-co-espressivi le caraIerizzano. [Principali tra& linguis-ci del parlato dei bambini (mol- sono condivisi anche dal parlato degli adul-): gestualità marcata, espressività, intonazione variata, ricorso a conne&vi blandi e altamente ripetu-, deissi non sempre chiara (spaziale, temporale o personale), frequen- ellissi e implici-, lessico generico, uso di frasi rela-ve in modo ricorsivo, “che” a inizio frase, pause ed esitazioni.] Nel parlare, l’aIo linguis-co che produciamo non veicola solo un contenuto, ma ha una forza e un’intenzione diversa a seconda dei casi (ordine, richiesta, complimento, parere…). Gli studen- si trovano immersi in una realtà molto complessa, di cui devono acquisire sì gli elemen- linguis-ci, ma anche quelli pragma-ci, per evitare inadeguatezze. Parlare spesso fa paura: si pensa di essere inadegua- perché si ha il dubbio di non sapere che cosa dire o come dirlo. La scuola dovrebbe porsi l’obie&vo di incen-vare negli allievi un aIeggiamento diverso e più consapevole sull’oralità, aIraverso occasioni frequen- di parlato senza valutazione. 5.2. Modi e generi del parlato a scuola La scuola è un luogo di pra-ca dell’oralità per gli allievi. Nella scuola dell’infanzia e nei primi tre anni della primaria promuovere il parlato è prioritario per lo sviluppo personale, linguis-co e relazionale. L’insegnante assume il ruolo di modello linguis-co non invadente dal punto di vista delle correzioni: è necessario parlare con chiarezza, adeguatezza, correIezza, in modo espressivo e variando il volume della voce e l’intonazione, aIuando strategie per far evolvere il parlato dei bambini. Esempio: rispecchiare le enunciazioni dei bambini contenen- piccole imprecisioni in modo gramma-calmente correIo. Generalmente, nella scuola dell’infanzia, i bambini sono propensi all’uso orale della lingua, ma vanno rispeIa- ed eventualmente approfondi- anche i silenzi e i tempi di tu& nel partecipare alle conversazioni. Nella scolarità successiva permangono le occasioni di parlato interazionale o intera&vo (ci si saluta, si parla con i docen- e con i compagni, in modo formale e informale, si rifleIe e si dibaIe). Un altro caso è quello del parlato monologico, quando ad esempio di espone qualcosa al docente o alla classe. La demarcazione tra parlato dialogico e monologico non è sempre neIa. Sono invece ne& i casi di comunicazione asimmetrica, come l’interrogazione, in cui il docente ha un ruolo diverso dallo studente e ha un bagaglio di sapere in più. Nel contesto scolas-co vi sono più -pi e generi di parlato: raccon-, esposizioni, spiegazioni e argomentazioni, domande rivolte all’insegnante, discussioni o richieste. Ma di rado viene valutata nel deIaglio la qualità del parlato. Il parlato deve essere parte della riflessione dell’insegnante, considerando due aspe& significa-vi: - Un’interazione posi-va in classe genera condizioni favorevoli all’apprendimento e favorisce la capacità di discutere i significa- e i contenu-; - Per migliorare le competenze linguis-che legate all’oralità è necessario che la si eserci- in modo cri-co, favorendo la metacognizione e l’autocri-ca, fornendo elemen- per l’autovalutazione e poi per la valutazione. 5.3. Incen-vare il parlato dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado e oltre Il capitolo propone alcuni spun- e proposte concrete per s-molare e promuovere il parlato a scuola in tuIe le fasce d’età. Ascolto e parlato sono abilità streIamente connesse. Le proposte possono essere graduate e adaIate per allievi con diverse età e differente maturazione cogni-va. Promuovere il parlato non significa solo s-molare i più piccoli, ma anche lavorare con studen- più grandi, per i quali è fondamentale con-nuare a sollecitare e allenare la dimensione dell’oralità con un grado maturo di consapevolezza e con il ricorso a strumen- metacogni-vi e metalinguis-ci diversi. Devono essere considera- tre principi a sostegno di un lavoro sistema-co e consapevole sul parlato a scuola: a. È possibile e necessaria la dida&ca esplicita del parlato; b. La dida&ca esplicita del parlato deve avviarsi fin dalle scuole e deve abbracciare diversi -pi di tes- orali in modo che la competenza orale non si eserci- solo nelle interrogazioni; c. L’apprendimento delle abilità linguis-che va calato in un addestramento globale alla comunicazione e al potenziamento della competenza comunica-va. Una solida padronanza del parlato è uno dei modi in cui la lingua permeIe di farci capire meglio e di pensare meglio. Lev Vygotskij → l’uso del canale fonico-udi-vo permeIe di udirci ed è la condizione essenziale per interiorizzare il linguaggio e farlo strumento di pensiero, trasformandolo in endofasia (la lingua dentro di noi). Il curricolo dell’oralità dovrebbe essere considerato lungo tuIa la scolarità, procedendo dalle forme più spontanee e radicate nei bisogni dei bambini, fino a lavorare su occasioni più complesse, legate al futuro scolas-co e alle future esigenze, che richiedono strategie e preparazione. Par-colare aIenzione sarà rivolta al lessico, ai -pi testuali e alle competenze di adeguatezza situazionale che gli allievi dovrebbero sviluppare. • Parlare per parlare A scuola non sono frequen- le occasioni in cui si parla per rifleIere su come si parla: il parlato è o un modo per esprimersi e raccontarsi liberamente, o un modo per verificare l’acquisizione di un contenuto (interrogazione). Sarebbe u-le offrire in classe momen- di dialogo in cui ci si guarda e ci si ascolta, e momen- in cui si parla di qualcosa agli altri senza l’ansia del giudizio e della valutazione, con mo-vazioni di fondo, spontanee o dichiarate. Si può is-tuire un laboratorio di parlato in cui gli studen- affrontano parla- diversi e si esprimono sul parlato proprio e altrui, rispondendo a semplici domande-guida. • Parlare per raccontare e descrivere Nella scuola dell’infanzia la narrazione orale è il -po di testo più richiesto e sollecitato. Anche la descrizione spontanea o vincolata da richieste più specifiche è un’occasione preziosa per parlare. Si possono osservare la fluenza, la capacità di struIurazione, gli aspe& enuncia-vi in senso lato e gli aspe& linguis-ci. L’ascolto a&vo Thomas Gordon ha basato il suo metodo di comunicazione sull’ascolto a&vo, volto all’instaurazione di relazioni efficaci e non confliIuali. Fasi che portano all’ascolto a&vo: - Prima fase: ascolto passivo → in silenzio, si mostrano la predisposizione all’ascolto e l’interesse nei confron- dell’interlocutore; - Seconda fase: accoglimento → segnali di rinforzo, rispecchiamento e feedback fanno capire a chi sta parlando che la comunicazione ha raggiunto il des-natario; - Terza fase: approfondimento → l’ascoltatore raccoglie eventuali altre informazioni per comprendere meglio quanto deIo dall’interlocutore anche aIraverso domande; - Quarta fase: ascolto a&vo → l’ascoltatore può riformulare e riproporre quanto ascoltato con parole proprie, meIendosi nei panni dell’interlocutore e creando empa-a, senza esprimere giudizi. L’ascolto a&vo è u-le in ogni contesto scolas-co, in quanto permeIe ai gruppi di lavorare in modo più funzionale. 6.2. Le finalità per cui si ascolta Gli studiosi hanno tentato varie classificazioni degli scopi dell’ascolto. La classificazione di Kathleen Galvin aiuta a individuare le grandi categorie su cui si dovrebbe concentrare anche la dida&ca, dis-nguendole a monte, quando si decide di proporre a&vità d’ascolto, perché gli ascol- non sono tu& uguali, né sarebbe u-le che lo fossero. Saper a&vare la giusta strategia d’ascolto per lo scopo prefissato e porsi nelle condizioni per meIerla in pra-ca è il requisito basilare per una dida&ca che contempli anche la dimensione dell’educare ad ascoltare. 6.3. Modi e generi di ascolto a scuola La scuola è uno dei luoghi per eccellenza prepos- all’ascolto. L’ascolto è pervasivo della nostra vita in generale. Anche l’ascolto avviene in diverse forme e condizioni, riconducibili a due macrosituazioni: - Ascolto in interazioni tra pari e con l’insegnante - Ascolto di parlato monologico del docente o di un compagno. Possono essere individua- degli scopi prevalen- che l’individuo si pone, ai quali dovrebbero conseguire modi di ascoltare più o meno diversi: - Ascoltare per piacere - Ascoltare per capire e imparare (richiede il maggior sforzo cogni-vo e necessita di condizioni adeguate) - Ascoltare per eseguire - Ascoltare per ricordare - Ascoltare per selezionare (per estrarre solo alcune informazioni u-li e funzionali a un obie&vo specifico) - Ascoltare per ribaIere - “ascolto perché devo” → -pico del contesto classe, ha un livello di aIenzione molto basso, con risulta- diversi e insoddisfacen-, è un ascolto passivo, sele&vo e casuale. 6.4. Incen-vare l’ascolto dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado Per l’ascolto circolano poche proposte dida&che sistema-che. È difficile esercitare in modo mirato la specifica azione dell’ascolto. Queste a&vità possono essere adaIate ai vari ordini scolas-ci. Anche le a&vità di ascolto dovrebbero essere talvolta proposte come situazioni problema aperte, in quanto anche l’ascolto pone in una condizione di problem solving. Tali situazioni possono precedere l’ascolto, essere svolte durante o successivamente all’ascolto. Alcuni suggerimen- per la dida&ca delle lingue straniere possono offrire spun- ed essere adaIa- alla dida&ca dell’L1. • Raccolta di idee e concezioni sull’ascolto Sin dalla scuola dell’infanzia è u-le effeIuare raccolte di idee e concezioni, in quanto aiutano a entrare in situazioni e a focalizzare i problemi. Con studen- più grandi si possono proporre spun- più complessi, che porteranno a dis-nguere diversi -pi di ascolto, e a correlare ascolto e comprensione orale. • Preascolto Avere scenari e schemi cogni-vi prea&va- su un certo tema, situazione o -po testuale agevola l’ascolto efficace. È quindi u-le curare i momen- di preascolto: come riservarsi un momento per parlare intorno al testo, far capire di che testo si traIa e quali sono gli obie&vi dell’ascolto. • Strumen- di controllo e strategie di ascolto Ogni allievo può farsi un promemoria o una lista di controllo da u-lizzare durante e dopo l’ascolto. Il rischio che il lavoro sull’ascolto sia troppo vago c’è, e per evitarlo possono essere messe in aIo strategie concrete. Quella per eccellenza è il prendere appun- durante l’ascolto, in modo da favorire un ascolto a&vo, cri-co e partecipato. Un’altra idea può essere quella di ascoltare e fare domande per-nen-. • Metacognizione sull’ascolto Possono essere poste domande come guida per cercare di analizzare, a posteriori, la situazione di ascolto. È possibile e proficua un’azione metacogni-va, cioè un’auto-osservazione da problema-zzare con gli studen-, per poi trovare situazioni idonee che favoriscano l’autonomia. • Interesse, mo-vazione e deautoma-zzazione La mo-vazione e l’interesse sono elemen- da considerare durante l’ascolto, perché possono incidere molto sull’efficacia dell’azione di ascoltare. Un messaggio chiaro e ben formulato può facilitare l’ascolto e la comprensione. È però importante deautoma-zzare l’ascolto, che spesso si rivela passivo. Se gli schemi sovrastano le capacità cri-che non sono u-li. L’ascolto è automa-co quando innesca inferenze non controllate, che emergono senza reale aIenzione agli elemen- e alle connessioni. Si possono proporre rapidi esercizi di allenamento di roIura che servano a risvegliare l’aIenzione a par-re dall’orecchio. • Focalizzazione È molto proficuo focalizzare i percorsi sull’ascolto su alcuni -pi specifici di ascolto. Ad esempio, durante un’interrogazione, si può spostare l’aIenzione degli allievi dalle risposte alle domande come oggeIo di ascolto cri-co e strategico → può portare benefici in termini cogni-vi e di riduzione dell’ansia. Valutare solo l’ascolto è molto delicato. L’insegnante può osservare nel tempo gli aIeggiamen- di ascolto dei singoli studen- e le loro principali difficoltà, come: distrazione, irrequietezza, difficoltà di elaborazioni orali o scriIe successive all’ascolto, scarsa capacità di a&vare opportuni scenari in fase di preascolto, difficoltà a cogliere le funzioni pragma-che dei tes- ascolta-, difficoltà a estrarre informazioni o a rimodulare. Capitolo 4 – La dida&ca della leIura e della scriIura 1. L’entrata nel codice Comprendere che cosa accade ai bambini quando entrano in possesso del codice “lingua scriIa” (ovvero quando imparano a leggere e a scrivere) è fondamentale. Diversamente da parlare e ascoltare, leggere e scrivere non sono processi spontanei e naturali, e maturano lentamente. 1.1. L’ingresso in un mondo nuovo A lungo si è ritenuto che imparare a scrivere significasse apprendere un codice di trascrizione, mentre imparare a leggere coincidesse con la capacità di decodificare e oralizzare le parole di un testo. Lev Vygostkij → il linguaggio scriIo non è la semplice traduzione del linguaggio orale in segni grafici; la padronanza del linguaggio scriIo non è la semplice assimilazione della tecnica di scriIura. Significa invece entrare in un mondo nuovo, e chiarire questo aspeIo è importante per progeIare una dida&ca adeguata sia rispeIo alla natura della scriIura come oggeIo di insegnamento sia rispeIo alle reali modalità di sviluppo del bambino. Indicazioni nazionali → “la lingua scriIa […] rappresenta un mezzo decisivo per l’esplorazione del mondo, l’organizzazione del pensiero e per la riflessione sull’esperienza e il sapere dell’umanità”. La scriIura deve essere intesa non come un mero codice di trascrizione, ma come una rappresentazione del linguaggio → costruire un sistema di rappresentazione implica una selezione di elemen-, e a ciò consegue che la rappresentazione sia un sistema alterna-vo rispeIo a quello di partenza, di cui conserva solo alcuni tra&. Oralità e scriIura non sono alterna-ve equivalen-: l’alfabe-zzazione ha permesso lo sviluppo di nuove funzioni e competenze, nonché un’evoluzione del pensiero tale da favorire lo sviluppo di scienza e filosofia. La scriIura è un’a&vità metalinguis-ca orientata alla riflessione sul linguaggio che diventa esso stesso oggeIo di ragionamento e valutazione. La storia della scriIura* si configura come un lungo processo di costruzione di sistemi di rappresentazioni, tra cui quello alfabe-co (completamente arbitrario). Il doppio binario di che cosa succede nel nostro cervello e di che cosa succede fuori da noi è la cifra della nascita e dello sviluppo della scriIura, e anche dell’apprendimento di essa. L’entrata in questo “nuovo mondo” non è spontanea. Scrivere non è spontaneo, perché la scriIura, nei suoi aspe& convenzionali, è un oggeIo culturale. Per aiutare l’allievo ad appropriarsene, l’azione dida&ca gioca un ruolo imprescindibile. *La storia della scriIura Le origini della scriIura risalgono a circa 10.000 anni fa, in luoghi diversi del globo. ScriIure diverse hanno richiesto diversi adaIamen- delle struIure cerebrali e hanno promosso varie scoperte intelleIuali: rappresentazione simbolica, permanenza del segno scriIo nello spazio e nel tempo, corrispondenza suono- segno. Tra il 3300 e il 3200 a.C. il sistema cuneiforme sumerico e i geroglifici egizi realizzano un balzo in avan-: il caraIere piIografico diventa prima logografico e poi logosillabico. Tra l’800 e il 750 a.C. al mondo greco risale il progenitore del nostro alfabeto la-no: i greci si basarono sull’alfabeto fenicio: un sistema di segni consonan-co al quale aggiunsero i simboli per le vocali. 1.2. Oltre la superficie: la leIo-scriIura come processo mul-livello e mul-componente Imparare a scrivere non significa soltanto imparare a padroneggiare un codice, ma è necessario cogliere i processi cogni-vi profondi e l’ambiente circostante e gli s-moli che offre. 1.4.3. Esercitare le abilità fonologiche È fondamentale che i bambini siano sensibilizza- a cogliere le caraIeris-che fonologiche della lingua, cioè il suo essere faIa anche di “pezze&” sonori che formano i significa- sul piano acus-co. La scoperta di quest’altra “faccia” non è immediata e va allenata, sopraIuIo per passare a riflessioni e operazioni esplicite e consapevoli. Per la costruzione della coscienza fonologica è necessario un allenamento tramite filastrocche, a&vità di sensibilizzazione alle rime, a&vità di produzione di rime, tes- con alliIerazioni, fino al lavoro sulle sillabe e sui fonemi. Una coscienza fonologica più sviluppata è prediIore significa-vo per lo sviluppo delle successive abilità di leIo-scriIura: tramite l’allenamento fonologico i bambini imparano a concentrarsi sulle parole, sulla loro forma e sulle par- che le compongono, facendo di esse oggeIo di riflessione. Nella scuola dell’infanzia e nei primi anni della primaria è indispensabile offrire numerose e regolari a&vità che s-molino e potenzino la coscienza fonologica dei bambini, affinché arrivino facilita- al momento di rifleIere sul funzionamento del codice alfabe-co per impadronirsene. Due elemen- da considerare sono la gradualità e la quan-tà del lavoro sui suoni. Alcuni compi- fonologici possono infa& essere molto difficili per i bambini. Le proposte devono poi essere proposte assiduamente affinché si costruiscano abilità. Esempio di gradualità (è necessario tener conto delle variabili individuali): 1. Percezione e ripe-zione di versi di animali, onomatopee e ritmi 2. Percezione, individuazione e produzione di rime 3. Percezione di alliIerazioni 4. Lavoro sulle sillabe: riconoscimento, produzione, segmentazione, fusione 5. Lavoro sui fonemi: riconoscimento, produzione, segmentazione, fusione. La gradualità dei compi- fonologici Secondo gli studi è più facile percepire porzioni più grandi di parola e rifleIere e operare su di esse → lavorare prima sulle rime, parole che finiscono nello stesso modo, poi sulle sillabe, iniziando dalle più semplici. La prima coscienza fonologica a emergere è quella globale, ossia in grado di cogliere segmen- sonori più grandi, che matura poi in quella anali-ca, capace di occuparsi dei singoli fonemi. I compi- fonologici sono molto complessi. Lavorare sui suoni delle parole con il supporto delle immagini Le a&vità fonologiche con il supporto di immagini possono essere molto u-li, senza mostrare subito la parola scriIa, affinché i bambini si concentrino sulla dimensione sonora. Le a&vità fonografiche (in cui compare anche la parola scriIa) sono u-li da quando il bambino inizia ad accostarsi al principio alfabe-co intuendone il funzionamento. Sono importan- anche le a&vità sulla segmentazione in sillabe, poi in fonemi. 1.4.4. Esplorare la dimensione pragma-ca Le intuizioni e il senso pra-co dei bambini sono protagonis- nella dimensione pragma-ca dell’alfabe-zzazione emergente. Rientrano in questa area le concezioni spontanee rispeIo all’u-lità, agli scopi e alle funzioni della lingua scriIa nei vari ambi- della vita scolas-ca e quo-diana. Possono essere poste ai bambini domande come: A che cosa serve leggere e scrivere? Perché si impara a leggere e scrivere? O riflessioni sul materiale linguis-co: Che cosa sono le parole? A cosa servono? Domande come queste possono essere s-molan- e possono offrire elemen- di discussione tra pari. Le ricerche hanno mostrato che i bambini con concezioni di -po funzionale nel tempo avranno migliori risulta- a livello di competenze di leIo-scriIura. 1.5. Che cosa dicono le scriIure dei bambini: la psicogenesi della lingua scriIa Negli anni OIanta, gli studi psicogene-ci (Ferreiro, Teberosky) hanno rivoluzionato il modo di concepire l’entrata nella leIo-scriIura. I bambini, sin da piccoli, se s-mola- iniziano a porsi domande e a elaborare ipotesi sul sistema di scriIura. Le studiose hanno indagato quali fossero le fasi del processo tramite cui si accede alla leIo-scriIura convenzionale. Hanno osservato le scriIure spontanee e le rileIure realizzate dai bambini, con le loro risorse e senza modelli. Queste prime prove sono passaggi preziosi e significa-vi verso ar-colate costruzioni conceIuali. È quindi fondamentale che un docente sappia osservare consapevolmente le scriIure infan-li, anche nell’o&ca di una differenziazione pedagogica che consideri i tempi individuali. Le fasi non vanno intese come compar-men- stagni, ma presentano elemen- costan- che si ravvisano in tu& i bambini impegna- nella sfida di capire come funziona la scriIura. Si susseguono tre grandi periodi: - Differenziazione tra disegno e scriIura - Costruzione di differenziazioni quan-ta-ve e qualita-ve - Progressiva fone-zzazione della scriIura. All’interno di ques- periodi, i bambini sperimentano diversi tra& grafici e meIono in aIo numerose conceIualizzazioni sul funzionamento della lingua scriIa, che vanno raffinandosi verso la scoperta del principio alfabe-co. Prima fase: viene chiaramente dis-nta la parte figurale da quella scriIa. È la fase dei grafismi primi-vi, che possono apparire in forma di segni con-nui o discre-, re&linei, curvi o pseudoleIere. Nelle fasi iniziali di dis-nzione disegno-scriIura è possibile che i segni u-lizza- per scrivere possano rievocare la forma del referente → ipotesi del referente: deriva da un’idea non ancora correIa sul sistema di scriIura: idea che a cose lunghe e grandi debbano corrispondere parole lunghe e grandi. Sin dai primi tenta-vi è cruciale abbinare alla richiesta di scriIura anche quella di leIura, aIraverso domande come Mi rileggi quello che hai scri+o? La strategia adoIata dai bambini dice molte cose sul loro livello di conceIualizzazione. Secondo periodo: i bambini si avventurano alla scoperta di alcune importan- differenziazioni nella scriIura, individuando due condizioni formali di leggibilità: l’ipotesi di quan-tà minima e l’ipotesi di varietà interna. Ipotesi di quan-tà minima: per essere leIa la parola deve essere composta da un numero minimo di tre segni; Ipotesi di varietà interna: i segni all’interno di una stessa scriIa devono variare. Raramente i bambini acceIano come scriIe sequenze di segni tu& uguali. Spesso, i bambini molto piccoli e-cheIano con sequenze di segni iden-che cose diverse, magari “leggendole” diversamente → “regola dell’e-cheIa” o “del -mbro” / “scriIure fisse”. Poi, da un certo momento, intuiscono la proprietà secondo cui la varietà non deve solo essere interna a una scriIa, ma dev’esserci anche tra scriIe diverse: a significa- diversi devono corrispondere significan- diversi. Conseguono quindi alcune differenziazioni nella scriIura: Differenziazione di -po intra-figurale: all’interno di una scriIa i segni sono diversi Differenziazione di -po inter-figurale: segni più o meno diversi e in sequenza diversa per scriIe diverse. La rileIura effeIuata in generale è ancora globale. In questo periodo possono maturare anche altri elemen- conceIuali u-li, come il faIo che le parole che hanno qualcosa in comune a livello seman-co debbano avere par- in comune quando vengono scriIe. Terzo periodo: fone-zzazione della scriIura, si ar-cola in fase sillabica (con due soIofasi: preconvenzionale e convenzionale), sillabico-alfabe-ca e alfabe-ca. In questo periodo il bambino coglie, raffina e stabilizza in modo sempre più anali-co la corrispondenza dei segmen- sonori con quelli grafici, dalle sillabe ai singoli fonemi. Fase sillabica preconvenzionale: esempio: “R M L” per “lumaca” è sillabica → lo scrivente ha colto le tre sillabe che compongono la parola e le rappresenta con tre segni è preconvenzionale → le tre leIere non appartengono correIamente alle sillabe della parola. Anche in questa fase possono essere usa- segni diversi dalle leIere per rappresentare le sillabe, oppure può essere usato un numero superiore di segni che, però, non vengono considera- al momento della leIura. Fase sillabica convenzionale: esempio: “A B R” per “albero” è convenzionale → il bambino legge la parola indicando con il dito le tre sillabe, una per ogni leIera realmente presente nella parola. Il passaggio al raggiungimento della fase alfabe-ca è breve: il controllo della quan-tà e della qualità dei segni è solo da completare, così come la segmentazione delle parole, che andrebbe allenata con opportune a&vità → fase sillabico-alfabe-ca. L’italiano è considerata una lingua a ortografia trasparente (a differenza di inglese o francese, a ortografia opaca), ma anch’essa ha i suoi nodi cri-ci, lega- all’imperfeIa biunivocità del sistema alfabe-co e alla presenza di alcuni segni paragrafema-ci (h, doppie, digrammi e trigrammi, accen-, apostrofi…). L’appropriazione delle norme ortografiche è successiva all’appropriazione del principio alfabe-co, portando la riflessione sul codice a un’ulteriore fase di consapevolezza metalinguis-ca. Esempio di raggiungimento di fase alfabe-ca ma non ancora ortografica: OVISTO LA PIOGA E LE FOIE CE CADIVANO. Fase ortografica: dura per tuIa la vita, anche se in modo sempre meno os-co; i dubbi infa& resistono, anche se sporadici. Dopo aver scoperto il principio alfabe-co i bambini vivono un grande confliIo cogni-vo. Il percorso è lungo e tortuoso per il cervello del bambino, per cui non bisogna avere freIa, ma cogliere e potenziare il processo in aIo, considerando le differenze individuali (come l’L1 di partenza). Scrivere il proprio nome La scriIura del nome va considerata a sé rispeIo al reale livello di conceIualizzazione della lingua scriIa del bambino. Il nome, assieme a poche altre parole, i bambini riescono a riprodurlo anche se ancora non hanno conceIualizzato il funzionamento della scriIura alfabe-ca: è una parola-icona. La copiatura La copiatura è un’a&vità diversa rispeIo all’appropriazione profonda del funzionamento della scriIura. SopraIuIo se effeIuata quando ancora non è iniziato il percorso di entrata nei principi della lingua scriIa, va tenuto presente che è un’a&vità che di per sé non potenzia cogni-vamente le scoperte più profonde legate all’appropriazione del codice e in par-colare alla fone-zzazione della scriIura. Scoprire per tenta-vi La scriIura è un sistema grafico che si stabilizza lentamente, anche a livello dello spazio e dei segni che lo occupano. Le parole possono essere scriIe e leIe anche per un lungo periodo da destra verso sinistra, o in modo bustrofedico (alterna-vamente destra – sinistra e sinistra - destra). 1.6. Nel fraIempo… la leIura La maggior parte dei modelli descri&vi di come avviene la leIura sos-ene che esistono due vie per accedere all’informazione scriIa ed elaborarla: una via direIa o lessicale e una indireIa o fonologica. Il loro realizzarsi è fruIo dell’interazione tra azioni e sub-processi molto complessi. Entrambe le vie sono a&vabili in ogni leIore Via direIa o lessicale: si a&va in modo direIo, in quanto recupera dal lessico mentale la parola che vi è immagazzinata con tuIe le informazioni a essa associate. scrivere, ma immergendolo in una situazione in cui l’orale diventa scrivibile e quindi scriIura: da flusso unico, l’oralità si fa concretamente parola su carta. Fasi: 1. Leggere un breve testo narra-vo, interrompendolo in un punto saliente verso il finale (con la richiesta di deIare il finale) o leggere per intero la storia (per chiedere cosa è piaciuto di più); 2. Accertarsi la comprensione della storia ripetendola; 3. Esplicitare la consegna chiedendo di pensare a come finisce (o la parte preferita), per poi disegnarlo; 4. Chiedere agli allievi di dire cos’hanno disegnato; 5. Chiamarli a deIare la storia: il docente scrive accanto al disegno ciò che il bambino deIa. Il docente può ripetere ad alta voce le parole mentre le scrive; 6. Fase di rileIura ed eventuale revisione, in cui l’allievo ritorna sulla scriIura realizzata mentre l’adulto rilegge. L’insegnante deve mantenere fedelmente quanto deIato dal bambino, senza riformulare o correggere, a eccezione degli errori lega- alla forma delle parole, che possono essere re&fica- con la ripe-zione correIa del docente e la scriIura nella forma esaIa. L’interpunzione può essere aggiunta dal docente e discussa poi con il bambino. Le indicazioni base possono essere adaIate a -pi di testo diversi. Il livello di competenza di scriIura degli allievi influirà sulla resa e sulle modalità di interazione col docente: in una fase più avanzata di conceIualizzazione della lingua il bambino potrà partecipare alla rileIura o riconoscere alcune parole. È importante scrivere in stampatello: è il formato più vicino al bambino e il più u-le per visualizzare e comprendere il principio alfabe-co. Il corsivo maturerà con la pra-ca della scriIura manuale. 1.7.3. Sperimentare la leIura: rileggere a qualcuno, ipo-zzare e an-cipare La leIura si può esercitare anche senza ancora sapere decodificare la parola, ma sollecitando gli aspe& pragma-ci e quelli di ricostruzione di ipotesi e an-cipazioni. Si può proporre ai bambini della scuola dell’infanzia di rileggere ai compagni una storia, un semplice albo illustrato, prima leIa insieme. Sarà un ri-raccontare, con il libro in mano e di fronte ad un pubblico, meIendo in gioco gli aspe& prosodici o intenzionali, di interazione con l’uditorio e di uso del testo fondamentali nel corso della leIura. Oppure si può proporre una situazione di leIura per previsione, cioè per an-cipazione. Tipo testuale è il testo narra-vo, faIo di sole immagini (silent book) o di immagini e parole. La coper-na verrà mostrata a un gruppo di allievi dicendo che si lavorerà cercando di capire di che cosa parla, secondo loro, quel libro. Faranno ipotesi guardando sopraIuIo le immagini: l’insegnante dovrà ricordare le varie idee emerse, ripetendole ai bambini, tenendo vivi i filoni principali ciò è fondamentale perché ci si entrerà nel testo per vedere che cosa effe&vamente accadrà, ponendo domande pagina per pagina. Alcune ipotesi reggeranno il confronto con la realtà del testo e altre no, per capirlo, i bambini dovranno cercare di elaborare inferenze e collegamen- fondamentali per seguire il filo della storia e verificare la bontà delle loro idee iniziali. Alla fine il testo verrà leIo per intero, così i bambini ascoltano la leIura e vivono il confronto con la stabilità della prosa scriIa fissata sulla pagina. 1.7.4. Consolidare le abilità tecniche: a&vità fonografiche Con la scolarità primaria è u-le proporre a&vità mirate per consolidare alcune capacità basilari per la ges-one del codice scriIo, come la padronanza della corrispondenza fonologica, essenziale per le competenze ortografiche. Consiste nella capacità di associare correIamente un segno a un suono (leIura) o un suono a un segno (scriIura) ed è connessa con la memoria a breve e lungo termine. A&vità di consolidamento dell’associazione suono-segno (lavorando sulla dimensione della sillaba e del fonema e grafema corrispondente): - Predisposizione di carte con immagini e carte con sillabe/fonemi da abbinare; - Tombola delle sillabe o delle le+ere; - Ricostruzione della forma scriIa di alcune parole che vengono pronunciate dall’insegnante/compagno, avendo a disposizione tessere o altri suppor- con scriIe sopra le leIere; - A&vità di segmentazione lessicale: l’insegnante dice oralmente il -tolo di un libro (o qualcosa che susci- interesse) chiedendo agli allievi quante parole con-ene l’enunciato, esortandoli a contarle. Poi si procede alla verifica mostrando la scriIa alla lavagna. Si possono anche proporre frasi in forma univerbata con la consegna di separare le parole, contarle e scriverle segmentate. 1.8. Ques-one di… metodo? Teruggi → la ques-one del metodo da analizzare per insegnare a leggere e scrivere è un falso dilemma: conta la consapevolezza del faIo che, nel processo di entrata nella leIo-scriIura, il vero costruIore del sapere è il bambino (con i suoi tempi). Il docente offre le occasioni che promuovono l’alfabe-zzazione emergente e poi formalizzata. La modalità generalmente più efficace per gli allievi per l’entrata nella leIo-scriIura è quella di matrice fono- sillabica, che si basa sulla decodifica del grafema e sull’associazione con il rispe&vo fonema. La contrapposizione tra metodi globali (leIura come aIo di riconoscimento d’insieme di parole o frasi) e metodi sinte-ci (basa- sulla scoperta dell’associazione fonema-grafema) va rivista alla luce della complessità dei processi. Sono sta- messi in discussione alcuni assun- tradizionali, come la necessità di procedere in modo lineare leIere, parole, frasi… La parcellizzazione del sapere prospeIata dall’adulto può essere poco sensata agli occhi del bambino, che costruisce ipotesi partendo da contes- complessi. È necessario ripensare l’entrata nella leIo-scriIura al di là della ques-one del metodo e dei tempi, ragionando su come accompagnare efficacemente gli allievi in un percorso di scoperta e di sistema-zzazione di che cos’è la lingua scriIa, che veda loro come protagonis-. Si traIa di presentare la leIura nella sua complessità. 2. La comprensione del testo scriIo e del suo insegnamento Nelle fasi iniziali dell’apprendimento allo studente è richiesto di arrivare a padroneggiare le operazioni di decodifica dei segni grafici, con l’obie&vo di diventare sempre più autonomo nella leIura decifra-va o strumentale. Ma l’a&vità di leIura comprende anche l’acquisizione dei processi di comprensione del testo scriIo, ovvero la capacità di svolgere tuIe le operazioni necessarie per la ricostruzione del significato di ciò che si legge → leIura funzionale. LeIura strumentale: acquisita aIorno al terzo anno di scuola primaria; LeIura funzionale: si perfeziona durante tuIo il corso della vita. 2.1. Le strategie di leIura funzionale Non esiste un modo di leggere: tra le preroga-ve del leIore competete c’è anche la capacità di valutare la modalità di leIura più adaIa al testo e ai propri scopi. A guidare il leIore nella scelta del modo più efficace per leggere sono le caraIeris-che del testo stesso, gli obie&vi e il tempo che si intende dedicare alla leIura. Ci sono quaIro principali strategie di leIura: • LeIura orienta-va (skimming) serve a destreggiarsi tra gli argomen- di un testo, dis-nguendo i principali dai secondari. È una strategia impiegata per cogliere il significato nelle sue linee generali, è u-le per valutare l’opportunità di una rileIura. PermeIe di rendersi conto in breve tempo se un testo merita una leIura più aIenta o di farsi una prima idea sugli argomen- del testo. • LeIura sele&va (scanning) consiste nel cercare in un testo parole o informazioni specifiche, procedendo a balzi tra le diverse porzioni di testo. Si adoIa con i tes- di consultazione, come dizionari o enciclopedie, ma può essere impiegata con ogni genere testuale. • LeIura globale (estensiva) È usata per comprendere il significato complessivo del testo, che è leIo nella sua interezza, in modo con-nuo, senza prestare par-colare aIenzione ai deIagli e allo s-le. Esempio: leIura di svago. • LeIura anali-ca (intensiva o per lo studio) È usata per appropriarsi dei contenu- di un testo in modo più profondo e duraturo. In quanto leIura di studio di ricerca, può prevedere operazioni di rielaborazione come soIolineature o appun-. RispeIo alle preceden- richiede più tempo. L’effeIo sulla società della leIura orienta-va La leIura non è data da un progeIo gene-co come la vista e il linguaggio, ma ha bisogno di un ambiente per svilupparsi, tendendo ad adaIarsi alle esigenze dell’ambiente (sistemi di scriIura e mezzo u-lizzato). Il mezzo digitale comporta minore aIenzione e minor tempo ai processi di leIura profonda, indispensabile per l’apprendimento a qualunque età. La leIura a schermo può causare effe& duraturi e preoccupan- sulla comprensione del contenuto negli studen- delle scuole superiori e università. Lo stesso materiale, può essere compreso diversamente se leIo aIraverso mezzi diversi (cartaceo e digitale). La nuova norma di leIura si basa sullo skimming, sulla scansione di parole chiave nella navigazione veloce del testo, riducendo il tempo assegnato ai processi di leIura profonda, senza riuscire ad afferrare la complessità. 2.2. Il processo di comprensione del testo La comprensione del testo scriIo è materia ancora in gran parte inesplorata negli studi di linguis-ca. Cosa significa comprendere un testo? La reading literacy (competenza di leIura) coinvolge una serie di a&vità cogni-ve complesse, che hanno come fine la costruzione del significato globale. Tale risultato e l’esito di un processo intera&vo, nel quale il leIore agisce costruendo il significato aIraverso una serie di operazioni: il leIore elabora le informazioni di -po lessicale, sinta&co, seman-co e testuale fornite dal testo e le incrocia con le conoscenze già presen- nella sua mente. Per costruire il significato, il leIore dovrà comportarsi diversamente a seconda del -po o genere di testo. Abilità fondamentali: - A&vazione dei significa- di parole Il leIore deve conoscere i significa- delle parole del testo per poterne comprendere il senso. Alcuni significa- non no- possono essere inferi- dal contesto. - Comprensione della struIura della frase - Monitoraggio della comprensione il leIore esperto sa riconoscere i propri problemi di comprensione e porvi rimedio. - Comprensione della struIura del testo riconoscere la struIura del testo consente al leIore di formulare ipotesi e interpretazioni più precise. - Capacità di produrre inferenze La comprensione del testo chiama in causa numerosi faIori, di natura linguis-ca e cogni-va, è il risultato dell’interazione tra le variabili presen- nel testo e quelle introdoIe dal leIore. 2.2.1. Le inferenze il leIore ha il compito di recuperare le informazioni lasciate implicite in un testo, creando collegamen- tra le par-, sciogliendo ambiguità lessicali e sinta&che, aIribuendo il significato più adaIo al contesto. Per realizzare queste operazioni il leIore deve compiere delle inferenze: procedure di a&vazione delle informazioni necessarie per giungere a una rappresentazione coerente e coesa del testo. tra le -pologie di inferenze, ci sono le: inferenze di connessione → consentono di is-tuire nessi tra le diverse par- di un testo e di garan-re la coesione e la coerenza testuale. Generalmente, i collegamen- sono segnala- da conne&vi, in assenza dei quali il nesso rimane implicito. • Cloze orali: per mezzo del registratore audio o video è possibile eseguire dei cloze inserendo delle pause da riempire. 2.3.1.3. Il puzzle di parole Puzzle di parole: È un’a&vità finalizzata alla ricostruzione del testo. Il leIore deve ricomporre frasi o interi tes- in cui le parole sono state disposte in un ordine diverso da quello originale. Sono possibili numerose varian-, in cui le tessere del puzzle non saranno parole ma, per esempio, interi sintagmi o paragrafi. Il risultato aIeso dell’operazione di ricomposizione del puzzle non dovrà necessariamente coincidere con il testo originale, l’importante è che il risultato sia un testo coeso e coerente. La procedura jigsaw, l’incastro tra parole, frasi, paragrafi, tes- Scopo: la procedura jigsaw ha varie finalità: - Lingue non na-ve: abitua lo studente a esplorare globalmente il testo per tentarne la ricostruzione; - Lingua materna o livelli avanza- di altre lingue: dà risulta- in merito alla capacità di comprensione di uno studente; - È un o&mo esercizio per il recupero, in quanto risolvere un’a&vità a incastro a&va tuIe le componen- della comprensione e tu& gli aspe& della lingua. Materiali, strumen- e dinamica: E la facilità di realizzazione pra-ca consente di predisporre le a&vità di incastro anche dagli allievi stessi. Varian-: 1. Ricostruzione di una frase a par/re dalle singole parole È adaIa ai bambini, ma può essere u-lizzata con adolescen- e adul- se lo studente viene chiamato a spiegare il processo mentale che ha seguito (think aloud protocol). Le parole vengono date in successione casuale o alfabe-ca e si deve ricomporre la frase di partenza o una frase acceIabile. Il processo è seguito da una persona efficiente nel comprendere è ar-colato in fasi: -individuare tra le parole di classe aperta quelle con l’area seman-ca più precisa -vedere se un’altra parola insiste sulla stessa area seman-ca -recuperare tra le proprie conoscenze del mondo i nessi -procedere sul piano morfo sinta&co a formulare le ipotesi di frasi. 2. La ricostruzione di una frase a par/re dai suoi sintagmi Si presentano spezzoni di frase da- in ordine casuale in due colonne, chiedendo di ricomporre le frasi. I processi coinvol- sono di duplice natura: di caraIere lessicale oppure morfo sinta&co. Vengono presentate due colonne di spezzoni di frasi da unire tracciando una freccia tra il segmento iniziale nella colonna di sinistra e quello conclusivo nella colonna di destra. Il compito richiede di osservare l’intero universo della colonna sinistra e poi di quella di destra creando una visione globale delle possibilità di combinazione, a&vando strategie morfo sinta&che o lessicali per poter fornire la soluzione. 3. L’incastro tra paragrafi di un testo in prosa Si prende un testo e si tagliano i paragrafi, fornendoli in maniera casuale. Gli studen- devono numerare i paragrafi secondo la sequenza correIa. È una tecnica specifica per lavorare sia sulla coerenza testuale sia sugli indicatori meta comunica-vi e può servire per il tes-ng. 4. La ricomposizione dei dialoghi Si presentano dei dialoghi le tue baIute sono state scompaginate e lo studente deve restaurare l’ordine iniziale. Questa tecnica può avere diverse varian-, caraIerizzate da 1° crescente di difficoltà. - dialogo in cui le baIute di un personaggio sono scriIe nella successione correIa, mentre quella di un secondo personaggio in ordine casuale. - si possono offrire le baIute dei due personaggi in due blocchi, ciascuno dei quali con-ene le baIute di un singolo personaggio date in ordine casuale. - si meIono in ordine alfabe-co le baIute di entrambi personaggi: può essere necessario descrivere la situazione in modo da consen-re di a&vare la gramma-ca dell’an-cipazione. In tu& i casi la soluzione si basa su considerazioni di ordine pragma-co linguis-co e di caraIere seman-co. 5. Il riordino dei tes/ Una variante più complessa delle preceden- consiste nel presentare tes- autonomi ma correla- tra loro: gli allievi devono indicare la correIa sequenza dei vari tes-. È necessaria la comprensione della successione logica e/o temporale, viene messo in moto l’intero processo di comprensione testuale a livello di evento comunica-vo, non solo di singolo testo. Commento: per portare a termine il compito, gli studen- devono: comprendere il contenuto di tu& i frammen-, considerarli globalmente per elaborare un’ipotesi, procedere con una leIura anali-ca dei singoli frammen- per individuare elemen- di coerenza, coesione, sintassi che consentano di confermare l’ipotesi. Questa famiglia di tecniche presenta un vantaggio in termini di autovalutazione in i/nere: un errore nel riordino blocca la possibilità di concludere l’esercizio. Si o&ene quindi un feedback in progress e lo studente viene informato che la sua ipotesi errata e quindi necessario rivedere tuIo. 2.3.1.4. La parafrasi, il riassunto e la sintesi Parafrasi: È l’operazione aIraverso la quale partendo da un testo di base si produce un secondo testo scriIo in modo più chiaro e usando un registro più colloquiale. L’esercizio della parafrasi efficace anche contes- specialis-ci e tes- di uso quo-diano. Nell’impiego dida&co, allo scopo di favorire l’assimilazione delle peculiarità espressive del testo parafrasato ed assicurare l’esaIa comprensione linguis-ca. La parafrasi prevede per ogni frase una riformulazione puntuale. Riassunto e sintesi sono operazioni di riduzione del testo d’origine e si compiono in tre operazioni: 1. Cancellazione dei contenu- non essenziali 2. Generalizzazione delle informazioni, riformulate con un maggior grado di astrazione 3. Costruzione, ovvero la sos-tuzione di una sequenza di proposizioni con una macroproposizione che denota l’evento come un tuIo, combinazione di alcuni a& parziali in un microaIo. Riassunto: Deve contenere in un testo di minori dimensioni le informazioni più importan- e res-tuire il senso complessivo del testo di origine. Può essere un valido esercizio sia per favorire la comprensione sia per verificarla. Corrisponde -picamente alla rielaborazione di una fonte unica. Sintesi: È il risultato della fusione di più documen- in uno solo, che ne conservi la quan-tà complessiva di informazione aIraverso una serie di operazioni conceIuali e linguis-che. Gli esi- di a&vità dida&che di parafrasi, riassunto e sintesi sono condiziona- dalle competenze linguis-che del leIore. 2.3.2. Le modalità collabora-ve Modalità di dida&ca della leIura di -po collabora-vo: in questa a&vità la comprensione si sviluppa e si realizza aIraverso un’interpretazione tra pari, con un rapporto con il testo scriIo non individuale. Le modalità collabora-ve favoriscono l’acquisizione di competenze specifiche legate alla comprensione del testo, ma offrono un contributo prezioso anche all’esercizio delle competenze trasversali: pensiero cri-co, capacità di risolvere problemi, crea-vità, socialità, competenza comunica-va. 2.3.2.1. L’insegnamento reciproco Insegnamento reciproco (reciprocal teaching): È un metodo elaborato negli anni OIanta del Novecento, incentrato sull’interazione e sulla collaborazione tra i membri del gruppo. Il metodo consente di accompagnare lo studente a ricostruire il significato del testo in modo graduale, aIraverso la mediazione del docente che aIribuisce agli studen- un’autonomia sempre maggiore fino ad arrivare a farsi sos-tuire nella conduzione. Nelle fasi iniziali il docente mostra le a&vità e guida gli studen- nella leIura del testo si fonda su quaIro azioni: - Predire (predic/ng): viene richiesto durante la leIura di formulare ipotesi sulle informazioni che potrebbe contenere il testo - Interrogare (ques/oning): vengono formulate domande dallo studente, che assume ruolo dell’insegnante, sui contenu- del testo - Chiarire (claryfing): viene chiesto di riconoscere i passaggi poco chiari oppure le parole difficili. AIraverso l’aiuto del gruppo o dell’insegnante viene superato l’ostacolo di comprensione - Riassumere (summarizing): È richiesto di selezionare le informazioni più importan- e legami logico- temporali che le collegano. Gli studen- si esercitano ad affrontare il testo con diverse tecniche fino a diventare sempre più autonomi e consapevoli. L’insegnamento reciproco segue diverse fasi: - Fase dell’insegnamento direIo del docente: il docente presenta le diverse strategie gli studen-, spiegandone funzione e ruolo - Fase del modellamento: il docente verbalizzare operazioni che la mente compie durante la comprensione, fornendo in tal modo agli studen- un modello per interagire col testo - Fase di feedback: il docente incoraggia gli studen- commentando i compi- svol- nelle azioni di interrogare e riassumere e valorizzando i risulta- raggiun- - Fase di lavoro autonomo degli studen-: in piccoli gruppi gli studen- applicano le strategie apprese nelle diverse fasi preceden- e si sostengono reciprocamente assumendo a turno il ruolo di docente, il quale si limita a osservare. 2.3.2.2. Il social reading Social reading: È una pra-ca di leIura colle&va che coinvolge gruppi di leIori, come il gruppo-classe, messi nella condizione di leggere e commentare insieme uno stesso testo. È caraIerizzata dalla partecipazione simultanea alle a&vità di commento, annotazione o correzione del testo, che viene favorita dall’u-lizzo di piaIaforme web (Ac/vely Learn, Now Comment), quali gli studen- possono interagire anche al di fuori del contesto scolas-co, in un contesto di apprendimento di -po informale. Oggi sono a&vità svolte in un ambiente digitale. Il docente ha il ruolo di mediatore dida&co: fornisce domande s-molo per orientare la presa di parola degli studen-, mo-va le discussioni o coordina le interazioni. Il docente può raccogliere organizzare le a&vità degli studen- in vario modo. Questo metodo consente un coinvolgimento naturale degli studen-, che permeIe loro di partecipare all’a&vità di leIura e commento in modo molto spontaneo. 2.3.2.3. L’approccio coopera-vo di Chambers Approccio Tell me alla comprensione del testo (Aidan Chambers): È una pra-ca di social reading realizzato in ambiente non digitale. È un insegnamento incentrato sulla condivisione dell’esperienza di leIura tra i membri di un gruppo ispirato al principio secondo cui condividere, aIraverso il dialogo socra-co, le osservazioni su quanto si è leIo comporta per il gruppo l’acquisizione di conoscenze che rivelano il significato di un testo ognuno dei componen-. È un apprendimento coopera-vo e con la discussione di gruppo, la comprensione di ciascun allievo migliora, grazie al confronto con le opinioni dei compagni. Il docente assume ruolo di mediatore e ha il compito di creare le condizioni favorevoli per la discussione e di porre la classe domande u-li per consen-re lo scambio di opinioni, mantenendosi neutrale rispeIo al tema principale del diba&to. 3.2. Come scrivono i bambini “inesper-” Il paragrafo traIa della prospe&va del bambino che deve scrivere il testo, per capire quali sono le sue reali difficoltà e quali processi cogni-vi meIe in moto quando scrive. Il testo segue uno schema definito, riporto una serie di informazioni soIoforma di elenco secondo una struIura che ricalca quella -pica della conversazione. Sembra quasi che la bambina risponda alle domande poste da un interlocutore fi&zio. Per costruire un linguaggio in autonomia, la bambina si affida l’unico schema che le è familiare, ovvero la conversazione orale. L’adulto pone delle domande e il bambino risponde, cioè costruisce linguaggio grazie al sostegno rappresentato dagli s-moli dell’interlocutore adulto. Lo schema della conversazione è quanto di più naturale ci possa essere a livello di comunicazione tra individui ed è conosciuto dai bambini perché con esso entrano nel linguaggio sin dalla nascita. Così si spiega il ricorso a questo schema quando per le prime volte i bambini si trovano a comporre un testo scriIo: è la soluzione più semplice e meno problema-ca. In questa fase i loro scri& assomigliano però a delle conversazioni abbreviate piuIosto che a veri e propri tes-. Gli scri& assumono spesso la struIura dell’elenco, con una successione non organizzata di informazioni generalmente in ordine cronologico, a volte collegate da conne&vi deboli e ripe--vi. In altri casi i tes- sono ancora meno struIura- e si presentano come un flusso ininterroIo di parole. RispeIo ai tes- a elenco, nei tes- a flusso non si vede ancora la capacità di costruire la frase e la totale assenza di segni di interpunzione. I tes- a flusso sono una primissima fase di apprendimento della composizione scriIa, mentre i tes- a elenco rappresentano una fase immediatamente successiva. La strategia cogni-va naturale e semplice che produce tes- afflusso o elenco è stata definita come knowledge telling (“dire le conoscenze” “dire ciò che si sa”) dal momento che non c’è una rielaborazione dei ricordi recupera- nella mente, ma una loro semplice trascrizione su carta. 3.3. Come scrivono i bambini “esper-” I tes- ar-cola- hanno un aspeIo diverso e sono prodo& da “bambini esper-”, che dimostrano di avere competenze di scriIura più solide e in alcuni casi avanzate. Esempio di una bambina di quinta primaria: È il racconto di un’esperienza personale che viene faIo oggeIo di riflessione aIraverso il paragone con una conoscenza più generale, al fine di ricavarne un insegnamento dal punto di vista linguis-co emerge una perfeIa ges-one dei tempi e dei modi verbali, l’ortografia è padroneggiata E la punteggiatura è ges-ta con rispeIo delle relazioni sinta&che tra frasi e periodi. Dal punto di vista testuale non si traIa di un semplice elenco di fa&, ma del risultato di un percorso di riflessione che ha portato la giovane autrice a considerare a fondo il problema di scriIura: è riuscita a problema-zzare i ricordi stessi per costruire su di essi una revisione delle proprie conoscenze. Questo passaggio è iden-ficabile nel momento in cui la narrazione della propria esperienza viene interroIa dalla riflessione più generale. Questa strategia cogni-va è stata definita knowledge transforming (“trasformazione delle conoscenze” o “trasformare ciò che si sa”) 3.4. Costruire linguaggio in autonomia: il ruolo del docente Il compito di scriIura è per un bambino una sfida molto complessa: il bambino è abituato a scrivere grafemi, parole o brevi frasi e a conversare invece che a scrivere, per cui il bambino non so come comportarsi. Dovrebbe programmare con aIenzione il percorso ma non è aIrezzato per farlo, quindi ricorre a ciò che meglio conosce e cerca di risolvere il problema nella maniera più semplice: tes- afflusso e te sia elenco. Il problema di un bambino per la prima volta alle prese con un testo da comporre e che per apprendere a scrivere deve passare da un sistema di produzione linguis-ca dipendente a ogni livello delle sollecitazioni di un partner conversazione anale ad uno capace di funzionare autonomamente. È un’operazione che richiede l’intervento consapevole dell’adulto. Il docente ha il ruolo di facilitare il passaggio tra due sistemi di produzione linguis-ca molto diversi tra loro affinché l’allievo non si senta più spaesato di fronte a una consegna. Il docente deve aiutare l’allievo a evitare le soluzioni di comodo, in favore di una scriIura più immediata in modo da condurlo verso una trasformazione delle conoscenze. Il docente deve riuscire a costruire un sistema di appigli che abbiano una funzione analoga a quella dell’interlocutore nella conversazione orale, ma di livello più avanzato. Appigli necessari: - Consegna di scriIura - Schemi testuali - Modelli - Ciò che si fa prima della scriIura 3.5. Il primo appiglio: la consegna di scriIura Una buona consegna dovrebbe avere come caraIeris-ca principale il giusto grado di problema-cità: non troppo facile, non troppo difficile, non troppo libera e aperta. Una consegna virtuosamente problema-ca pone un problema di scriIura ma fornisce anche degli appigli sui quali costruire il proprio testo. Le consegne efficaci sono più lunghe, deIagliate e meno aperte. Il numero di appigli che possiamo fornire agli allievi estremamente variabile e si presta bene alla formulazione di consegne differenziate, così come livello di complessità della consegna deve essere adaIato al variare dell’età del des-natario. Esercizi di riscriIura o consegne che partono da tes- le& in classe permeIono di far precedere alla stesura un’adeguata fase di preparazione. E anche vero che non è deIo che le consegne in adaIe siano sempre dannose: in generale favoriscono la scriIura elenco, di geIo e sono da ricorrere solo saltuariamente e magari come momento di verifica, per vedere a che punto è giunta la capacità dell’allievo di costruire in autonomia il testo. È bene alternare e variare il più possibile il -po di consegna data per evitare l’insorgere dell’abitudine e della noia, e per rispeIare i diversi s-li cogni-vi degli allievi. 3.6. Il secondo appiglio: gli schemi testuali Una consegna efficace non basta se la prendente scriIore non conosce gli schemi testuali alla base dello scriIo. Di comporre un preciso -po di testo se prima non si è data la possibilità a chi deve scriverlo di scoprirne e conoscerne le caraIeris-che struIurali e linguis-che. Prima di far scrivere un testo, bisogna fare in modo che gli allievi scoprano, preferibilmente mediante a&vità indu&ve di confronto e analisi di un buon numero di tes-, e interiorizzino le struIure testuali che sono alla base del -po di testo richiesto. In questo modo si trasmeIe anche l’idea che alla base di un testo ben scriIo ci siano delle regole, che vanno scoperte, prese e interiorizzate. Non bisogna trascurare il faIo che tes- che appartengono allo stesso -po testuale, benché si fondino su una struIura simile, possono presentare differenze significa-ve. È quindi opportuno esporre gli allievi a un considerevole numero di tes- appartenen- allo stesso -po o genere testuale, affinché sia più facile arrivare a una generalizzazione dello schema soggiacente. Tipo testuale: famiglia di tes- che condividono determinate caraIeris-che; Genere testuale: testo che appar-ene a una famiglia, cioè che ne condivide le caraIeris-che generali, ma che si dis-ngue dagli altri tes- della stessa famiglia per alcune sue peculiarità. 3.7. Il terzo appiglio: una biblioteca di modelli Modelli: tes- che esemplificano in modo ideale le caraIeris-che struIurali e linguis-che del -po o del genere a cui appartengono. I piani di studio odierni insistono molto sulla centralità del testo, in par-colare quello d’autore, che permeIe di ricavare tra&, caraIeris-che e struIure in maniera più efficace, potendo al contempo apprezzarne lo s-le, la varietà e l’eventuale ricchezza lessicale. Questa strategia può essere aIuata a tu& livelli di scolarità. Ogni docente deve avere a disposizione un bagaglio di leIure che consenta di scegliere il testo giusto per ogni occasione di insegnamento o apprendimento. Deve essere preparato con pazienza e costanza nel corso del tempo. Una strategia concreta è quella di far tesoro dei buoni tes- incontra- nelle leIure occasionali e quo-diane raccogliendoli con lo scopo di costruire vere proprie biblioteche personali uso dida&co. 3.8. Il quarto appiglio: la preparazione alla scriIura La stesura del testo deve sempre essere preparata. Il tema dell’inven/o, ovvero del reperimento delle idee, è un tema ancora aperto, in quanto È necessario evitare che chi scrive si trovi con l’ansia da pagina bianca o che risolve il problema di scriIura aIraverso la memoria senza una rielaborazione. Ques- rischi si possono prevenire rivalutando lo spazio e il tempo da dedicare a tuIo ciò che si dovrebbe fare prima di formulare una traccia di scriIura. Prima di fornire una traccia è indispensabile discuterne in classe a par-re dalla leIura di ar-coli o dalla consultazione di materiali, in modo che le opinioni possono formarsi consapevolmente e andare oltre a sen-to dire e all’uomo comune. E anche possibile prendere spunto dalla leIura di un racconto o di un brano da autore. È di grande importanza che la traccia di scriIura non arrivi dal nulla ma che venga adeguatamente preparata: lo scopo è infa& quello di fornire allo studente spun- appigli affinché possa superare gli ostacoli con successo. In questo modo si rinsaldano i legami tra i diversi ambi- di competenza dell’italiano (ricezione e produzione). 3.9. Tre validi allenamen-: scrivere riassun-, recensioni e quarte di coper-na Anche per la composizione scriIa è fondamentale allenarsi in maniera mirata e avendo chiaro il mo-vo per cui ci si allena. Dovrebbe seguire un percorso graduale di complessità crescente, indirizzato verso una sempre maggiore autonomia. All’inizio gli appigli devono essere più vincolan-, per farsi sempre meno stringen- una 3.12. La valutazione delle competenze di scriIura Se si vuole aIuare una dida&ca di -po progeIuale non si può prescindere da un lavoro che sia calibrato sui livelli di competenza dei singoli allievi, che si fondi su un efficace differenziazione pedagogica. La dimensione progeIuale favorisce un lavoro che sia differenziato sulla base delle competenze, sia individuali che in gruppi. È fondamentale conoscere u-lizzare bene le Indicazioni nazionali e i piani di studio, perché fissando delle competenze previste al termine di ogni periodo di scolarità, permeIono di avere pun- di riferimento con i quali confrontare il livello di competenza raggiunto dai singoli. È necessario una visione più ampia, che vede nel prodoIo finale solo il segno di una competenza più o meno sviluppata, ovvero il risultato di un processo di apprendimento niente graduale. È indispensabile abituarsi a pra-care una valutazione forma-va con-nua: un monitoraggio costante delle competenze dei singoli e della classe, al fine di sapere su cosa è opportuno agire per guidare l’allievo verso un miglioramento delle competenze non raggiunte o da rafforzare o sviluppare. L’insegnante deve essere costantemente aIento ai segnali che gli permeIano di intervenire per guidare al meglio gli sforzi di apprendimento. Il testo scriIo finale è un aiuto ma non è il solo elemento oggeIo di valutazione. 3.13. La correzione Di fronte a tes- problema-ci è comprensibile un’incertezza sull’opportunità di segnare tu& gli errori, in quanto c’è il rischio concreto di mor-ficare ed è mo-vare lo studente. Una soluzione può essere quella di scegliere quali sono gli interven- più urgen- e limitare a ques- le segnalazioni esplicite. Ci sono quaIro modalità principali di intervento sul testo: risolu-va, rileva-va, classificatoria ed esorta-va. L’adozione di una modalità non esclude le altre è una delle migliori soluzioni e quella mista, che selezioni il -po di intervento in base al -po di errore da marcare ma anche alle caraIeris-che dell’allievo che riceverà le indicazioni, in modo che queste ul-me siano le più efficaci possibile. 3.14. Il ruolo della punteggiatura È difficile correggere e insegnare la punteggiatura. C’è un legame molto streIo tra la punteggiatura e l’architeIura testuale: costruire per un testo è impossibile senza usare bene la punteggiatura, padroneggiare le struIure sinta&che che determina l’architeIura del testo significa saperle legare tra loro. Un allievo esperto usa meglio la punteggiatura perché è in grado di ges-re bene le struIure sinta&che che cos-tuiscono il testo stesso. Ne consegue che per apprendere a usare bene la punteggiatura è necessario imparare a scrivere bene il testo → apprendimento della composizione scriIa e apprendimento del sistema Interpun-vo procedono di pari passo. Bisognerebbe insegnare contemporaneamente i segre- dell’architeIura testuale e quelli dei segni Interpun-vi. Principi cardine della dida&ca della punteggiatura efficace: - È necessario abbandonare l’idea che si possa insegnare l’uso dei singoli segni astraendoli dal testo e considerandoli delle pause del respiro, legate alla dimensione della leIura ad alta voce. Bisogna quindi abbandonare l’impostazione dida&ca tradizionale che può funzionare solo in casi isola-. La punteggiatura infa& non è nata per la leIura ad alta voce, ma per la leIura silenziosa, cioè per rendere più trasparente gli snodi sinta&ci del testo. - Deve essere incen-vata la riflessione sul testo anche quando si traIa di scoprire e capire le funzioni e gli usi dei segni di interpunzione. Si possono iden-ficare usi standard, più facili da apprendere, e usi avanza-, più complessi perché si prestano a varian- E non sono codificabili in regole sempre fisse e immutabili. Ques- usi corrispondono a struIure sinta&che e Testori definite che è fondamentale padroneggiare dal punto di vista linguis-co e testuale, per poter ges-re bene anche dal punto di vista interpun-vo. Dis-nguere usi standard e usi avanza- rende possibile una progressione di insegnamento- apprendimento: si parte dagli usi standard per poi passare gradualmente a quelli avanza-. Gli usi dei segni di punteggiatura dipendono dal -po testuale nel quale si manifestano: esistono -pi testuali più formali e standard nei quali gli usi Interpun-vi sono più fissi e standard, ed esistono -pi testuali più liberi nei quali si possono trovare soluzioni interpun-ve più avanzate e a volte devian- dalle norme standard. 3.15. La revisione Revisione: È una delle fasi più importan- di tu& i processi di scriIura, ma ancora oggi spesso trascurata a scuola. È una fase ricorsiva che torna più volte durante tuIo il processo di scriIura ed è indispensabile per giungere a un testo soddisfacente e di qualità. TuIavia è molto dispendioso in termini di tempo e di energie cogni-ve, per cui parlare in maniera esplicita di revisione a scuola può essere controproducente, in quanto gli allievi l’avvertono come un compito poco mo-vante e quindi fonte di grande noia. È quindi necessario studiare strategie dida&che innova-ve che non facciano più avver-re il peso della revisione, ma che ne enfa-zzino il valore e le implicazioni qualita-ve, adoIando un’o&ca progeIuale. Come funziona una revisione benfaIa? Modello teorico CDO (Confronta – Diagnos-ca – Opera) Ideato da Bereiter e Scardamalia, iden-fica tre operazioni che, in sequenza, cos-tuiscono le basi per una revisione di successo: Confronta: leIura aIenta del testo per individuare eventuali problemi; Diagnos-ca: aIenta riflessione volta a stabilire quali sono le cause dei problemi riscontra-; Opera: intervento risolu-vo sul testo, grazie al quale si elimina il problema. Queste operazioni si prestano bene a una traduzione dida&ca, che può essere presentata in maniera più o meno ludica a seconda dell’età degli allievi. Scuola primaria → si può puntare sull’analogia medica (C: visita medica per l’individuazione dei problemi; D: diagnosi che segue la visita medica; O: cura prescriIa a seconda dei sintomi) Ordini scolas-ci successivi → si possono adoIare altre soluzioni, come trasformare la classe in una redazione editoriale, differenziando i compi- a seconda delle competenze dell’abilità degli allievi suddividendoli in piccole équipe più o meno specializzate. È indispensabile inserire un discorso di questo -po sono sfondo più ampio di non o&ca progeIuale, affinché la revisione si configuri come un momento necessario per curare maggiormente la qualità del prodoIo finale, che necessita di con-nui e ripetu- interven- di regolazione e modifica. È indispensabile combinare qualsiasi soluzione si decida di intraprendere con l’ideazione di un sistema di facilitatore che aiu-no concretamente gli apprenden- scriIori nella conduzione concreta delle operazioni della revisione → strumen- dida&ci (domande-guida, check-list, promemoria, appun-, schemi) che possono essere presenta- in forme più o meno ludiche e acca&van-. È importante che l’allievo possa disporre di sostegni personalizza- che gli facciano avver-re il compito di rivedere il testo come un passaggio necessario ma non problema-co, perché seguire una procedura costruito su misura sulle proprie esigenze e sempre possibile. Capitolo 5 – La leIura espressiva ad alta voce 1. Che cosa si intende con leIura ad alta voce Solitamente si iden-fica la leIura ad alta voce come la pra-ca della leIura da parte dell’adulto che legge un pubblico di apprenden-, con un’aIenzione generica alla modalità espressiva con la quale essa dovrebbe essere eseguita. Più di rado ci si riferisce la leIura ad alta voce faIa dall’allievo stesso, nonostante questa competenza sia indicata nei programmi e nei piani di studio. LeIura ad alta voce: È la capacità di leggere in maniera efficace ed espressiva un testo, sapendo differenziare la modalità di leIura a seconda dei -pi e dei generi testuali, del significato del testo, delle intenzioni comunica-ve, delle situazioni del contesto di leIura. Questa capacità è complessa sia per gli adul- che per i giovani e si colloca all’incrocio di due diversi ambi- di competenza (l’ascolto e la leIura). La leIura ad alta voce segue un percorso ciclico: - Apprendente: ascolto dell’adulto che legge → leIura ad alta voce; - Insegnante: leIura ad alta voce → ascolto dello studente che legge. Affinché la competenza di leIura ad alta voce si possa sviluppare nell’allievo, è indispensabile che l’adulto ne offre precocemente una manifestazione chiara ed esemplare. Questa competenza è connessa alla capacità di comprensione del testo: aIraverso l’ascolto della voce dell’insegnante la prendente può concentrarsi sul significato, quando gli stessi chiamato leggere in modo espressivo può farlo bene solo se prima è riuscito a cogliere in profondità il senso di ciò che sta leggendo. LeIura ad alta voce e nuove tecnologie Le nove tecnologie possono essere u-lizzate per creare contes- mo-van- che favoriscono lo sviluppo di competenze legate alla leIura espressiva. Si possono proporre percorsi dida&ci finalizza- alla produzione di registrazioni audio in s-le podcast da caricare realmente. La strategia si adaIa alla res-tuzione di ricerca su argomen- di studio lega- alle discipline, lavorando sul testo esposi-vo-informa-vo. PermeIe di ges-re il lavoro di gruppo e a collaborar è, oltre a usare in maniera finalizzata alle nuove tecnologie. 6. Come leggere ad alta voce? Alcuni principi di riferimento Ci sono alcuni principi di riferimento per aIuare una leIura ad alta voce efficace. È necessario conoscere e studiare bene il testo, capire la storia, coglierne il senso. Esistono però c’è la leIura ad alta voce che sono intreccia- con la linguis-ca, come quello che prevede uno studio aIento e preciso della struIura linguis-co-testuale dei brani che si andranno a leggere. Per coglierne il senso e per individuare le informazioni nuove e le informazioni date, che vanno leIe in modo diverso. Uno degli scopi è quello di giungere a ricostruire la complessa spontaneità del parlato. È opportuno evitare gli eccessi: la leIura non deve mai apparire eccessivamente espressiva non bisogna enfa-zzare ciò che il testo già dice in par-colare nel caso di storie for-, che coinvolgono emo-vamente il leIore, con rischio di prendere il posto alla storia, relegandolo in secondo piano. Conoscere bene il testo permeIe di avere più occasioni per rivolger e lo sguardo verso il pubblico e stabilire un contaIo visivo. PermeIe poi di stabilire in quali passaggi opportuno intervallare alla voce alcuni silenzi, oppure soIolineare le parole chiave più importan- del testo, per conferire il giusto ritmo alla leIura. E poi necessario conoscere bene la propria voce per sfruIare le caraIeris-che e le potenzialità: il legame tra voce respiro, il volume, il tono, il -mbro e la dizione. (DOP: Dizionario di Ortografia e Pronunzia della lingua italiana) Capitolo 6 – La riflessione sulla lingua 1. Che cos’è la gramma-ca Per capire davvero cos’è la gramma-ca bisogna liberarsi dal pregiudizio che tradizionalmente la compagna, una tradizione dida&ca dominante che si è perpetrata nei secoli. Marco Fabio Quin-liano nella Ins/tu/o oratoria ha deIo che la gramma-ca è l’unica forma di studio che abbia più sostanza che apparenza ed è pertanto indispensabile per i ragazzi nonché piacevole per gli adul-. Luisa Al-eri Biagi ha deIo che non è la gramma-ca essere sciocca quanto, piuIosto, in modo di insegnarla. Problema dida&co → per proporre la gramma-ca scuola in modo maggiormente u-le, interessante e adeguato occorre che gli insegnan- maturino una consapevolezza più profonda della materia e degli aspe& cogni-vi che si a&vano nell’allievo quando entrano i meccanismi della sua lingua. Questo per poter proporre la riflessione sulla lingua in modo più efficace, proficuo e mo-vante. I libri di testo e gli esercizi classici restano strumen-, ma le occasioni di scoperte linguis-che di apprendimento potranno essere innescate e avviate tramite modalità più originali, vive, indu&ve e contestualizzate. 1.1. La gramma-ca, una scelta intelligente Gramma-ca come una scienza → oggi è riconosciuto parlare di scienze del linguaggio, accostamento scienza – gramma-ca. Gramma/ké → arte o tecnica delle leIere, È l’ambito del sapere che ci permeIe di entrare in relazione profonda con la lingua materna, lo strumento che modella il nostro pensiero e ci permeIe di comunicarlo efficacemente. Téchne gramma/ké (Arte gramma/ca): È la più an-ca opera di gramma-ca pervenutaci scriIa da Dionisio Trace, a cui dobbiamo l’impianto classico della gramma-cografia. La gramma-ca è una scienza intelligente che si configura come un metalinguaggio. Metalinguaggio: È un linguaggio costruito per parlare di altri linguaggi: la gramma-ca è linguaggio con cui la lingua parla di sé, si concre-zza in un insieme di termini, nozioni, discorsi che si fanno intorno al linguaggio umano. A questo linguaggio appartengono parole entrate nell’uso comune e termini tecnici specialis-ci. Tramite la lente della gramma-ca acquisiamo strumen- per rifleIere sul nostro sull’altro operato linguis-co. Uno dei più grandi abbagli della storia della dida&ca è stato quello di ritenere la gramma-ca lo strumento che insegna parlare a scrivere correIamente. Questo fraintendimento a contribuito a rendere la gramma-ca un arsenale ingombrante di nozioni piuIosto che un ausilio per l’intelligenza: se la gramma-ca come strumento per imparare la lingua poteva andare bene per il la-no ed eventualmente per l’apprendimento dell’italiano da parte di viale Toffoli, non può funzionare nella dida&ca della lingua moderna, di cui i parlan- maturano competenze spontanee già prima dell’ingresso a scuola. I libri scolas-ci tendono però a mantenere queste abitudini. Giacomo Devoto → esprime con chiarezza la contrapposizione tra l’a&vità mentale suscitato dalla gramma-ca e gli schemi ammuffi- dai quali sembra difficile liberarla e apre la strada ad un rinnovamento novecentesco volta proporre una gramma-ca ragionevoli, una gramma-ca per l’intelligenza: pra-ca che non sovrapponga un’esagerata impianto di classificazioni termini a posteriori, ma che assecondi le naturali intuizioni e le conoscenze dei parlan- sulla loro lingua e sappia promuovere la riflessione a&va e non la vuota memorizzazione. Le cri-che alla gramma-ca tradizionale non sono state solo di ordine pedagogico, ma hanno riguardato diversi aspe&: limitatezza dei livelli linguis-ci (seman-ca lessico testualità etc. trascura-); assunzione come lingua di riferimento di un certo -po di uso formale scriIo, tralasciando il parlato e le diverse varietà registri possibili; impianto teorico conceIuale debole approssima-vo e fondato su definizioni risalen- ai gramma-ci greci e la-ni; debolezza di un modello di analisi dal semplice al complesso che tende a procedere parola per parola; ricorrente progressione dedu&va che va dalla regola all’esempio. Agli insegnan- speIa un cambiamento prospe&co: fare gramma-ca non per insegnare l’uso dell’italiano a chi già lo conosce e lo adopera e per esprimersi, ma fare gramma-ca per scoprire e comprendere i meccanismi linguis-ci, per poter rifleIere sul proprio modo di comunicare e migliorarlo. Gramma-ca come l’ente aIraverso cui osservare e sistema-zzare i fenomeni in cui siamo immersi, tramite strategie mo-van- e variate che non si limi-no all’uso del libro di testo 1.2. Che cosa si fa quando si fa gramma-ca Polisemia della parola gramma-ca: È una nozione (studio di una lingua), ma è anche il testo consacrato alla sua descrizione. C’è una coincidenza tra materia e testo, che dà la misura del peso che avuto la manualis-ca nel campo della dida&ca della lingua. La gramma-ca e anche il modello teorico di riferimento tramite cui i linguis- descrivono l’organizzazione e il funzionamento delle lingue ed è la conoscenza tacita che ciascun parlante matura spontaneamente rispeIa la sua lingua materna. Norma → conceIo ricorrente sia nella dida&ca che nella percezione comune di che cosa si intende con gramma-ca. Eugenio Coseriu ha dis-nto tra: - Sistema: insieme delle possibilità potenzialmente offerte da una lingua in base ai suoi meccanismi di formazione - Norma: concre-zzazione reali del sistema in una data comunità e ritenu- in essa acceIabili in un dato momento. La norma non è qualcosa di imposto ma è l’insieme delle caraIeris-che delle produzioni di coloro che realizzano individualmente la lingua (parole). Ciò che devia dalla norma potrebbe essere un errore che rientra nelle possibilità del sistema o che addiriIura viola il sistema. Norma: - Norma implicita (o sociale): is-nto che porta i parlan- a pra-care una sorta di sanzione sociale rispeIo a chi infrange; - Norma esplicita: quella che si trova proposta nelle gramma-che. Si basa sul lento sedimentarsi e codificarsi della norma implicita. La lingua è soggeIa a costante cambiamento e la norma non è da ritenersi immutabile. La gramma-ca è solo di rado fonte di certezze, spesso prende la forma delle gramma-che con mol- elemen- regolare i comuni ma un’ampia feIa di variazioni possibili. L’insegnante deve sapere che fare gramma-ca significa muoversi nel campo della norma descri&va e non di quella rigidamente prescri&va, cercando di far comprendere i fenomeni e le loro manifestazioni prevalen-. A scuola, facendo gramma-ca, andrebbe s-molata la curiosità degli allievi a rifleIere sulla propria lingua, facendo leva sulla naturale intelligenza linguis-ca, così che da un sapere spontaneo maturi la metalinguis-cità riflessiva, ovvero la capacità di rifleIere sulla propria lingua e di parlarne, usando la lingua come metalinguaggio di sé stessa. È bene proporre prima gli elemen- più salien- e regolari della lingua accompagna- da una terminologia essenziale, pos-cipando o traIando a parte i casi devian- ed eccezioni: prima è importante preparare il cervello a lavorare nell’o&ca della comprensione e dell’analisi dei film fenomeni principali. Le parole specialis-che della gramma-ca arriveranno gradualmente, accompagnando la costruzione conceIuale e serviranno come strumen- di precisione per chiarirsi le idee ed esprimerle con rigore. Uno dei problemi della gramma-ca tradizionale e l’eccesso di terminologia, fruIo in parte dall’essere stata adoIata dal la-no all’italiano e in parte del sovrapporsi di approcci e di classificazioni. Sta al docente adoIare una progressione dei contenu- e dei termini essenziali tenendo conto dei bisogni a livello di apprendimento, privilegiando meno acquisizioni ma davvero profonde. Lo Duca → quaIro ragioni a favore del fare gramma-ca a scuola: 1. Le disposizioni ufficiali prevedono il lavoro sulla gramma-ca; 2. Possibili ripercussioni sulle capacità nell’uso della lingua Anche se non ci sono da- che documentano quanto la conoscenza dei meccanismi della propria lingua migliori direIamente le prestazioni in essa, ci sono ambi- gramma-cali di vario livello in cui le in cui più solide competenze meta linguis-che potrebbero essere d’aiuto. Inoltre possono esserci situazioni in cui la produzione la ricezione linguis-ca non fluisce naturalmente Mas inceppa e un’efficace riflessione gramma-cale potrebbe fornire un sostegno prezioso; 3. La spontanea a&vità del bambino a costruire idee e ipotesi sulla sua lingua Insegnante deve accompagnare il bambino o lo studente a scoprire e ad affinare ciò che naturalmente è propenso a riconoscere, dando adesso una forma e un nome; 4. Ges-one dell’errore Il docente di italiano al compito di condurre gli allievi all’uso correIo della lingua recuperando, con giusta misura, l’aspeIo norma-vo nell’o&ca di dare linee guida, risposta ai dubbi, indicazioni su come dirimerli. La gramma-ca offre una bussola e l’errore deve essere vissuto come un’occasione di riflessione. 2.2. La ridescrizione rappresentazionale (RR) È una teoria elaborata da AnneIe Karmiloff-Smith, allieva di Piaget, che ha a trovato delle puntualizzazioni e degli aggiustamen- alla teoria del maestro, che si possono considerare una delle spiegazioni più efficaci e soddisfacen- nell’apprendimento linguis-co. Karmiloff-Smith rivede la concezione dello sviluppo di Piaget, sos-tuendo al conceIo di “stadio” quello di “fase”. Questa modifica permeIe di ipo-zzare che lo sviluppo cogni-vo non coinvolga tuIe le capacità cogni-ve in blocco, ma si dis-ngua in diversi “domini”, per cui un bambino, ad esempio, può essere a uno sviluppo linguis-co molto forte anche se per altri aspe& non è ancora altreIanto avan-. Teoria dello sviluppo in tre fasi: 1. Raccolta di da- esterni Il bambino riceve i da- grezzi che arrivano dall’esterno e li aggiunge a quelli che già possiede, sono aggiunte rappresentazionali che non modificano le preesisten-. 2. Focus sulle rappresentazioni interne Il bambino crea delle proprie rappresentazioni interne che partano dai da-, ma che non li rielaborano. Questa fase può portare a irrigidimen- ed errori. 3. Ricomposizione di da- esterni e rappresentazioni interne Il bambino meIe in dialogo le proprie rappresentazioni con i da- esterni, e descrivendo le rappresentazioni stesse, che raggiungono un equilibrio che ad esempio permeIe di ripris-nare la correIezza delle prestazioni verbali. Esempio di dialogo in cui il padre corregge la bambina, ma su intervento non fa presa (ho un effeIo immediato, ma pochi minu- di distanza dall’evento non ho più efficacia). La bambina è nella seconda fase: immagazzinata da- (fase 1) che l’hanno portata a crearsi una regola interna fondata sul principio della canonicità o della regolarità, senza meIere più in dialogo questa regola con i da- raccol- (fase 2). La correIezza si ripris-nerà quando la sua mente passerà alla fase 3, quando ricombinerà la sua regola interna con i da- esterni, ciò che le permeIerà di accorgersi che le forme sbagliate nella realtà non esistono. L’intervento del padre non fa presa perché cogni-vamente la bambina non è ancora pronta per assimilarlo. Karmiloff-Smith assegna al linguaggio un ruolo rilevante nello sviluppo cogni-vo dell’individuo e teorizza la complementarietà dell’inna-smo del costru&vismo, acceIando una componente di inna-smo maggiore rispeIo a quella implicitamente accolta da Piaget. È una componente che rimane però latente e solo aIraverso l’integrazione con l’ambiente può diventare parte del potenziale biologico, l’input influenza lo sviluppo. Ridescrizione rappresentazionale (RR): è la con-nua ridescrizione delle rappresentazioni interne del linguaggio. È un meccanismo fondamentale di apprendimento e rappresenta il lavorio che il bambino fa sulla sua lingua interna, faIo di proprie rappresentazioni mentali del linguaggio. Queste rappresentazioni sono flessibili e manipolabili e si modificano con il passare del tempo e con l’esperienza. Man mano cresce, il bambino ridescrive con-nuamente le proprie rappresentazioni interne, che diventano più complete, raffinate e complesse. Queste descrizioni mentalis- presentano diversi livelli di complessità, a seconda che siano o no consapevoli e verbalizzaabili: 1. Implicito: procedure finalizzate ad analizzare da- e rispondere a s-moli esterni; 2. Esplicito 1: descrizioni ridoIe, non necessariamente accessibili alla coscienza e alla verbalizzazione; 3. Esplicito 2: descrizioni accessibili alla coscienza ma non al resoconto verbale; 4. Esplicito 3: descrizioni accessibili alla coscienza e al resoconto verbale. Questa descrizione dimostra come il compito di ogni docente sia quello di aiutare il bambino a passare aIraverso i diversi livelli di complessità, a par-re da una conoscenza inconsapevole fino ad arrivare a una conoscenza consapevole in grado di essere verbalizzata. Se si adoIa questa prospe&va, il docente al compito di facilitare un processo naturale di apprendimento portando a compimento aIraverso la proposta graduale del meta linguaggio, indispensabile per verbalizzare le conoscenze gramma-cali che diventano consapevoli. 2.3. L’approccio dedu&vo e la lezione tradizionale di gramma-ca Approccio a discesa dedu&va: È l’approccio ancora oggi più diffuso, prevede la spiegazione frontale da parte del docente aIraverso il ricorso a esempi concre-, e la successiva memorizzazione della regola da parte dell’apprendente, che deve poi dimostrare di saperla applicare svolgendo degli apposi- esercizi. Può essere ridoIo a tre fasi (esempio p. 203): 1. Spiegazione del fenomeno a par-re da esempi 2. Descrizione della regola 3. Verifica dell’apprendimento È l’approccio con il quale è generalmente costruita la maggior parte dei libri scolas-ci di gramma-ca. 2.4. L’approccio indu&vo e la riflessione sulla lingua Approccio indu&vo: a par-re da da- concre- e singoli casi, lavorando su di essi a livello di manipolazione, confronto e contrasto, e a&vando nel contempo la riflessione, si costruiscono regole con un valore più generale. La lezione è scandita da cinque momen- (esempio p. 205): 1. Insieme di fenomeni linguis-ci 2. Ragionamento per confronto e contrasto 3. Costruzione di regole 4. Eventuale messa a punto 5. Ridescrizione delle regole La lezione può essere formata anche solo dal punto 1 e 2, ma il punto 3 e 4 sono estremamente importan- e caraIerizzan- nel caso in cui il tema necessi- di ulteriori precisazioni e sviluppi. 2.5. Vantaggi e svantaggi Sulla base del modello della ridescrizione rappresentazionale di Karmiloff-Smith, quale dei due approcci si pone maggiormente in sintonia con il naturale processo di apprendimento del linguaggio da parte del bambino? L’approccio indu&vo riproduce le stesse fasi -piche dell’apprendimento esperienziale, dall’immersione nei fa& linguis-ci alla costruzione di descrizioni del linguaggio sempre più precise e ar-colate. Questo approccio segue le fasi cos-tuite rivede il processo di ridescrizione rappresentazionale: il docente riproduce in classe in modo intenzionale in un ambiente proteIo ciò che avviene per via naturale al di fuori della scuola, favorendo la graduale presa di coscienza e l’emersione alla consapevolezza di fenomeni linguis-ci che il bambino u-lizza già spontaneamente. Possibili svantaggi: progeIare interven- dida&ci a the scoperta e riflessione richiede molto tempo e molta fa-ca per il docente, anche perché non esistono sul mercato editoriale scolas-co mol- tes- che seguono questo approccio. Una volta progeIa-, gli interven- richiedono tempo anche per essere u-lizza- e loro svolgimento è solo in parte prevedibile: il lavoro degli allievi può anche arrivare ad aprire vie impreviste. È un approccio che comporta l’adozione di un aIeggiamento aperto e flessibile da parte del docente e richiede parecchio tempo. 3. I contenu- e gli strumen- Scegliere i contenu- gramma-cali da proporre in classe e la loro progressione è uno dei nodi cruciali per concre-zzare in modo efficace i principi alla base della riflessione meta linguis-ca. Questo può avvenire aIraverso i documen- ufficiali che esplicitano le competenze da sviluppare, le proposte di curricolo elaborate dagli studiosi e i tes- che offre un esempio di percorsi a&vità dida&che secondo diverse impostazioni. 3.1. Per orientarsi Le Indicazioni nazionali (MIUR 2018) dis-nguono tra traguardi di competenza e obie&vi di apprendimento. Gli obie&vi di apprendimento mostrano le due anime scindibili della dida&ca della lingua: gli ogge& da richiamare a livello di gramma-ca esplicita e i processi specifici da a&vare per scoprirli e per interrogarsi sui loro usi. I nuclei aIorno ai quali ruotano le competenze rela-ve alla gramma-ca e alla riflessione sulla lingua sono il lessico, la morfologia, la sintassi, l’ortografia, solo accennata è la punteggiatura. La tabella propone una sintesi della progressione della riflessione a livello morfosinta&co, concerne la punteggiatura intesa come impalcatura logico-sinta&ca; ortografia e lessico sono intesi a parte, per le loro caraIeris-che peculiari. Scuola dell’infanzia: non è l’ordine di scolarità preposta alla riflessione esplicita sulla lingua, ma uno spazio in cui avvicinare a essa i bambini, proponendo situazioni spontanee ludiche che s-molino l’aIenzione sulla lingua. Il livello fonologico è uno dei livelli linguis-ci principali su cui lavorare con i più piccoli, perché è il primo che permeIe loro di distaccarsi dal mondo dei referen- iniziando a vedere la lingua come un sistema di corrispondenze suoni-segni. A livello terminologico i bambini parleranno di parole, frasi, talvolta sillabe e rime. A livello di lessico, oltre all’ampiamento legato alla scoperta di nuove parole, è u-le lavorare nell’oralità sui principali indicatori spaziali e temporali. Sollecitare la produzione di nomi e agge&vi è un modo non solo per arricchire il lessico avvicinarsi al testo descri&vo, ma anche per allenare la produzione di certe categorie lessicali. Anche la morfologia può iniziare a essere sollecitata, partendo da categorie semplici come plurale e singolare. Si può giocare poi con la produzione di frasi e tes- servendosi di materiali. Scuola primaria: la scuola primaria e luogo del primo sviluppo vero e proprio della riflessione metalinguis-ca. Bisognerebbe concentrarsi sulla morfologia (categorie lessicali o categorie gramma-cali o par- del discorso), ma è anche possibile affrontare le prime scoperte sinta&che, nella direzione della frase e di brevi tes-. Si possono indagare alcuni fenomeni formali, come il numero, genere, l’accordo, ai quali gli allievi sono precocemente sensibili. Si potranno poi scoprire macro-caraIeris-che come la variabilità di alcune par- del discorso e l’invariabilità di altre. La terminologia deve essere essenziale e univoca il più possibile. I nomi possono essere dis-n- i nomi propri e nomi comuni, è s-molante rifleIere su alterazione e derivazione. Per i verbi inizialmente è opportuno cogliere la natura e la funzione confrontando frasi diverse, anche semplici. Si svilupperanno scoperte sugli agge&vi, sui pronomi, sulla categoria degli ar-coli e categorie più complesse, come coniugazioni e avverbi, che saranno scoper- man mano. Parallelamente, è necessario iniziare a scoprire il funzionamento della sintassi, senza forzare le possibilità cogni-ve dei bambini, ma s-molandole e ragionando dapprima sui sintagmi, sperimentandone il funzionamento. Alla fine della scuola primaria si potrà scoprire cos’è una frase nucleare completa. Da qui si innesca la riflessione sul verbo e sulle sue valenze, cioè sugli argomen- necessari perché la frase abbia senso. Non è importante la terminologia, ma lo sviluppo di un criterio per ragionare sulla funzione delle parole nelle frasi. Osservando il verbo si cercherà di individuare la prima il soggeIo ed eventuali altri elemen- indispensabili. Poi si possono confrontare frasi con oggeIo direIo e indireIo e si potrà arrivare ad alcune scoperte su circostan- ed espansioni, cioè gli elemen- struIuralmente non necessari ma portatori di significa- di relazioni ulteriori. Accanto a ques- livelli linguis-ci è necessario portare avan- la dida&ca dell’ortografia e dell’interpunzione, fondamentale impalcatura logico-sinta&ca, nonché il lavoro trasversale sul lessico. Scuola secondaria di primo grado: E la scolarità dedicata per l’eccellenza della tradizione alla gramma-ca, in par-colare all’analisi logica e a quella del periodo. È inevitabile riprendere alcuni temi precedentemente affronta-, in una con-nuità non ripe--va. Gli argomen- andranno approfondi-: ad esempio si scopriranno per modo indu&vo e per confronto tra parole fenomeni par-colari come il caso dei plurali sovrabbondan-, i verbi transi-vi e intransi-vi, le forme a&ve e passive, i verbi riflessivi, i modali. Si tornerà, arricchendole, se certe dis-nzioni rela-ve alle categorie lessicali, ad esempio gli agge&vi qualifica-ve determina-vi. Tra morfologia e lessico si potrà anche scoprire l’esistenza delle polirema-che. La riflessione sulla frase non sarà orientata all’apprendimento di liste dei complimen-, ma il suo funzionamento. Si riparte dalla frase nucleare, rifleIendo sul senso di completezza e di valenza del verbo. Si approfondiscono i circostan- e le espansioni. Ci si accosterà alla frase complessa, cercando di dare priorità alla comprensione del funzionamento e poi all’indagine qualita-va delle par-: frasi argomentabili sogge&va e ogge&va, interroga-ve indireIe, frase rela-va, le altre subordinate sono extranucleari, cioè si rappresentano come espansioni. Si affronta il conceIo di coordinazione e sembrerà il repertorio di conne&vi. Scuola secondaria di secondo grado (e oltre): tradizionalmente nel primo biennio la gramma-ca ancora decisamente presente (analisi logica e del periodo), mentre nel triennio la riflessione linguis-ca tende a sparire. Nei primi due anni viene ripreso quasi ogni contenuto gramma-cale, sopraIuIo in termini di analisi. Ciò che potrebbe davvero far cambiare approccio alla riflessione sulla lingua potrebbe essere l’individuare le difficoltà più ricorren- degli studen-: - Superare la visione lineare delle espressioni linguis/che - Gerarchizzare le componen/ di frasi complesse: la riflessione su frase principale su coordinazione e subordinazione. Non dovrebbe essere un esercizio meccanico, ma dovrebbe aprire la strada alla riflessione sull’organizzazione informa-va dei tes- e sul contributo che le diverse frasi semplici portano la costruzione della seman-ca globale. - Amme+ere la ricorsività delle stru+ure: accostarsi a costru& casali complessi ar-cola- e a indagarne l’ipotassi. - Padroneggiare le procedure di coesione: conne&vi e rimandi interni al testo (anafore e catafore) Come argomen- veri e propri, restano temi cri-ci e complessi da riprendere: i pronomi rela-vi, le funzioni della forma che, i vari tempi e modi del congiun-vo. Possono essere approfondi- i conne&vi in una prospe&va più ampia, oppure le riprese testuali, anafore e cataforesi. Ques- elemen- dovrebbero essere osserva- in tes- modello, seguendo il principio dell’osservazione e della discussione. 3.4. L’insegnante e il libro di gramma-ca Dagli anni SeIanta numerosi linguis- hanno mosso cri-che alle modalità di traIazione delle gramma-che scolas-che: teoricamente deboli, lacunose, non universali rispeIo alle categorie proposte, ipertrofiche a livello terminologico e sorde a interi ambi- sociali (lessico, testualità, sociolinguis-ca). Spesso poi, la manualis-ca, a livello di italiano proposto sembra ricadere in un modello distante dalla realtà (“scolas-chese”), che discende dalla difficoltà a rappresentare le diverse possibilità parietale di italiano reale in contes- diversi: la gramma-ca è un’approssimazione rispeIo alla realtà linguis-ca. Quale uso è possibile e ragionevole del libro di gramma-ca? Il testo resta una presenza significa-va nel processo di insegnamento apprendimento, in quanto presenta significa-vi elemen- di senso: scandisce i contenu-, mostra il modo compaIo e sistema-co la materia, propone linguaggio specialis-co della disciplina, è un riferimento condiviso, con-ene spun- che possono essere u-lizza- in modo u-le. Bisognerebbe fare un uso cri-co e non sempre convenzionale delle gramma-che scolas-che. Si potrebbe prima cercare la gramma-ca in frasi propos- dall’insegnante, in vari -pi e generi di testo e in contes- ed esempi reali, solo dopo aver faIo ipotesi e congeIure sono date elemento o fenomeno, leggi una definizione una spiegazione, e magari discuterla e riscriverla. Anche la con-nuità e la sostanziale ripe--vità delle gramma-che al crescere degli ordini scolas-ci può essere trasformata in un’occasione di riflessione, confrontando definizioni in libri des-na- a classi anche molto diverse tra loro. L’insegnante dovrebbe sempre essere aggiornata e sapere quali strumen- u-lizzare, trovare tempo per una dida&ca più lenta e impostare materiali e diverse modalità di lavoro. 4. Scoprire la gramma-ca Seguono alcune possibili proposte dida&che rela-ve ai diversi nuclei previs- dalle Indicazioni nazionali. Viene mostrato come si possono affrontare alcuni temi centrali in ogni curricolo gramma-cale, andando oltre l’approccio tradizionale e aIuando quello indu&vo. 4.1. La dida&ca dell’ortografia L’ortografia è uno dei livelli gramma-cali maggiormente ancora- a un approccio dedu&vo e mnemonico. Il suo insegnamento si esaurisce negli anni della scuola primaria, ridoIo alla spiegazione della regola, alla richiesta di memorizzazione e all’applicazione degli esercizi. Questa prassi però non garan-sce che la competenza ortografica si sviluppi realmente. Possibili a&vità per una dida&ca dell’ortografia efficace e coinvolgente: 1. A&vità di scoperta e riflessione Sono da preferire perché a&vano indu&vamente la riflessione meta linguis-ca. Sono ada& sopraIuIo per i nodi più difficili, per i quali la memorizzazione non è sufficiente, o quando una regola ortografica si presta bene a essere così fruita aIraverso il lavoro di riflessione svolta gruppi, oppure quando le norme ortografiche si combinano con implicazioni di senso. È possibile proporre quasi tu& i temi ortografici in maniera indu&va. 2. A&vità di definizione e fissazione Sono a&vità indispensabili per fissare le scoperte gli apprendimen-, altrimen- il senso del lavoro indu&vo rischia di perdersi. Sono da da prevedere come momento finale dell’a&vità di scoperta o come consolidamento successiva S: si traIa di formulare in maniera chiara la regola scoperta di fissarla fisicamente su qualche supporto, mantenendo la possibilità di aggiornare il tuIo con eventuali nuove scoperte regolazioni, coerentemente con il processo della ridescrizione rappresentazionale. La fissazione va preparata già in fase di progeIazione dida&ca: come insegnan-, bisogna avere chiaro qual è il punto di arrivo verso il quale va guidata la classe. Quando l’a&vità si è svolta con successo, bisogna aiutare la cassa fissare ciò che si è scoperto. C’è sempre la possibilità per cer- temi di proporre delle lezioni più tradizionali: l’ideale alternare gli approcci. 3. A&vità di allenamento e di esercizio Sono le schede più tradizionali e sono u-li perché facilitano l’automa-zzazione delle regole, a paIo di u-lizzarle preferibilmente dopo aver a&vato la riflessione aIraverso altri -pi di proposte. 4. DeIato È uno strumento di verifica e di correzione degli errori. Ne esistono tante varietà, che permeIono di sfruIare le potenzialità anche a livello di apprendimento: deIato classico, deIato camminato (gli allievi devono alzarsi dal posto e leggere una frase appesa una parete, tornare il posto e scriverla ho deIo ora che è rimasto seduto), deIato preparato (si prepara prima, studiando le difficoltà ortografiche che con-ene, allo scopo di non commeIere nemmeno un errore), deIato ripreso da altre materie di studio, deIato di sole parole, autodeIato, deIato a memoria (si deve prima leggere un testo, imparando a memoria le parole difficili, per poi riscriverle senza vedere il testo di partenza). Il deIato non è sempre il modo più u-le per verificare il raggiungimento delle competenze ortografiche, ma visto come uno dei tan- possibili esercizi di allenamento, u-le a insegnare e a verificare, a paIo di ricorrere con consapevolezza, oppure come spunto iniziale per spingere gli allievi a capire il loro errore classificarli. 5. Sfondi mo-vazionali Sono contes-, anche di -po narra-vo, che possono fungere da cornice a tuIe le a&vità di insegnamento di apprendimento dell’ortografia. Sono par-colarmente efficaci quando si basano su una metafora coerente con i nodi cruciali dell’ortografia. Esempio: ciIà dell’ortografia. 6. Facilitatori Consentono gli allievi di ricordare le regole scoperte per non commeIere più gli stessi errori. Possono accompagnare lo sfondo metaforico e funzionano bene se sono coeren- ad esso. Sono indispensabili anche se non si sceglie di proporre uno sfondo metaforico. Esempi: check-list, cartelloni, promemoria… meglio se sono crea- dagli allievi e personalizza-, da aggiornare e da tenere a portata di mano. Negli ordini scolas-ci successivi alla primaria si traIa di consolidare la conoscenza e l’applicazione delle regole dell’ortografia. La parola chiave per indicare la competenza ortografica più avanzata è autonomia: è fondamentale sviluppare la capacità di prendere coscienza delle proprie difficoltà -piche residue, per essere in grado di individuarle e di correggerlo in maniera autonoma, ricorrendo agli strumen- che permeIono di risolvere i propri dubbi, come dizionari e gramma-che. Per gli ordini scolas-ci successivi alla primaria è importante contestualizzare il ripasso e l’eventuale approfondimento delle regole ortografiche nel processo di revisione del testo, concentrando l’aIenzione sugli errori e sui dubbi più frequen- e incen-vando la capacità di operare in autonomia. È altresì possibile sollecitare il raggiungimento della maggiore consapevolezza della natura convenzionale delle norme ortografiche. In questo modo, grazie alla riflessione meta linguis-ca che si a&va, è più facile che le regole indagate vengano anche interiorizzate a livello di competenza ortografica. Privilegiare la dimensione testuale significa anche legare la dida&ca della punteggiatura alla dida&ca dei -pi testuali, perché i tes- appartenen- a -pi testuali differen- hanno caraIeris-che proprie, e questo vale anche per l’uso della punteggiatura. Imparare gli usi avanza- non è da tu&: è giusto che la scuola sia la possibilità però tu& di venire in contaIo. Più che l’insegnamento direIo ed esplicito giova l’esposizione a buoni e diversifica- modelli, accompagnato da una riflessione mirata sulle molte possibilità s-lis-che della punteggiatura. Per questo è importante soffermarsi sui tes- di autore, sopraIuIo negli ordini scolas-ci più avanza-. È necessario ripensare la dida&ca incentrandola sugli usi realmente problema-ci. RifleIere sul testo per scoprire il punto e virgola Per capire il legame tra i segni di punteggiatura la costruzione del testo si può puntare sui cambiamen- di significato che la diversa collocazione dei segni di punteggiatura può a volte veicolare, concentrando l’aIenzione su precisi costru& sinta&ci, per poi guidare la riflessione sui singoli segni. (Esempio p. 239) 4.4. La riflessione su frase e periodo e l’approccio valenziale Nella scuola primaria l’insegnamento della gramma-ca si ferma di solito a livello della morfologia. Nella scuola secondaria prende gradualmente spazio la riflessione di -po sinta&co sulla frase del periodo: dall’analisi gramma-cale si passa all’analisi logica e a quella del periodo, con lo stesso percorso dedu&vo che si segue tradizionalmente per le par- del discorso e l’analisi gramma-cale, ma con un livello di complessità superiore. A differenza degli altri livelli linguis-ci, non è però ancora possibile proporre con assoluta certezza una soluzione nove efficace per superare i limi- dell’approccio tradizionale perciò che riguarda il piano sinta&co, nonostante gli studi teorici abbiano faIo notevoli passi avan- rispeIo al passato. Gramma-ca valenziale → E la pista più promeIente per intravedere determina-vi e per avvicinarsi all’analisi logica del periodo, evitando almeno una parte dei problemi connessi all’approccio tradizionale, nonostante sia una via comunque complicata. La sua formulazione sistema-ca risanò le metà del secolo scorso, con il lavoro di Lucien Tesnière, tradoIo in italiano solo nel 2001. Il fulcro della sua teoria è il conceIo di valenza verbale, secondo cui ogni verbo iden-fica un numero definito di argomen- necessario a completarne il significato. I verbi si possono classificare a seconda della loro valenza: verbi zerovalen- (non hanno bisogno di nessun argomento per formare una frase minima), verbi monovalen- (un solo argomento), verbi bivalen- (due argomen-), verbi trivalen- (tre argomen-), verbi tetravalen- (quaIro argomen-). Questa logica permeIe di superare il limite dell’analisi logica tradizionale: l’eleva-ssimo numero di complemen- che ne fanno parte. Questo metodo dis-ngue semplicemente soggeIo, complemen- dire& (che non sono introdo& da proposizioni) e i complemen- indire& (che sono introdo& da preposizione), indagando il loro legame sinta&co più o meno streIo con gli elemen- nucleari della frase minima. Saba-ni, studioso che prima di tu& ha esplorato il potenziale dida&co della teoria Valenziale per la lingua italiana, dis-ngue tra: circostan- → Elemen- che si legano sinta&camente in maniera streIa gli argomen- del nucleo e non possono essere sposta-; espansioni → non hanno un legame sinta&co altreIanto streIo con il nucleo e possono essere sposta-. Un vantaggio dell’approccio valenziale è che si presta bene a una rappresentazione grafica intui-va della frase semplice e delle sue espansioni. Il fulcro della teoria valenziale è la centralità del verbo nella frase, con il suo ruolo di organizzatore sinta&co degli elemen- che lo completano. La teoria Valenziale e anche il punto di partenza delle più recen- sperimentazioni dida&che che si fondano su di essa, che mostrano come sia possibile avviare una proficua riflessione sul verbo anche molto presto, già dalla scuola primaria: spun- di -po valenziale per rafforzare la consapevolezza della centralità del verbo, poi spostare l’aIenzione sugli argomen- che ne completano il significato, quindi sulla frase minima, con la rappresentazione grafica della frase che facilita la riflessione. La centralità del verbo è un passo fondamentale per avviare una riflessione di -po logico sulla frase, che potrebbe facilitare il superamento di alcuni errori -pici nel riconoscimento delle funzioni logico-sinta&che degli elemen- implica-. Non è azzardato pensare ad applicazioni dida&che ludiche adaIe già alla scuola dell’infanzia, con l’accortezza di non passare già livello della gramma-ca esplicita. La ques-one diventa più complessa quando l’interesse si allarga agli elemen- circostan- e ancora di più alle espansioni: a questo livello la maggior parte delle gramma-che per la scuola secondaria inferiore superiore non riesce ad affrancarsi completamente l’analisi logica di -po classico. Le cose che si complicano ancora di più sulla frase complessa, ovvero sul terreno dell’analisi del periodo: la rappresentazione grafica valenziale è applicabile anche a questo livello di analisi, ma la sua realizzabilità concreta può diventare molto problema-ca al crescere della complessità del periodo, meIendo a rischio i vantaggi di partenza. Per ques- mo-vi, spesso, i libri di testo finiscono per ricadere nelle stesse soluzioni dell’analisi del periodo tradizionale, cioè la tendenza a categorizzare e e-cheIare seman-camente ogni frase. La ludolinguis-ca Consiste nella possibilità di proporre i contenu- gramma-cali passando per un approccio ludico, che pun- molto sui giochi di parole (anagrammi, acros-ci, lipogrammi, cruciverba) e sul diver-mento che ques- possono trasmeIere, per agganciare a essi la riflessione meta linguis-ca, alleggerendo il peso della teoria. La ludolinguis-ca ha sviluppato proposte che hanno sviluppato ampliato la connessione tra enigmis-ca, gramma-ca e linguis-ca, arrivando a definire una grandissima varietà di giochi e a&vità u-li a coinvolgere gli allievi di ogni età, a prescindere dal livello delle loro prestazioni scolas-che abituali, favorendo l’a&vazione di un aIeggiamento di curiosità e interesse per la lingua e per i suoi meccanismi di funzionamento. Capitolo 7 – La dida&ca del lessico 1. Insegnare il lessico: alcuni conce& preliminari 1.1. Lessemi e lemmi Cosa si intende per lessico di una lingua? Lessemi: unità di base del lessico con significato autonomo. Sono en-tà astraIe, che in concreto una lingua rappresenta in modo convenzionale aIraverso i lemmi, ovvero l’entrata che cerchiamo nel vocabolario. Esempio: per raccogliere le forme come sono, fossi rimandiamo al lemma essere. I lessemi si dis-nguono in: lessemi semplici → sono cos-tui- da un’unica forma (credere) lessemi complessi (o polirema-che) → quando un gruppo di parole grafiche assume un significato autonomo indivisibile che va aldilà del significato dei suoi componen- (carta di credito) lessico: il lessico di una lingua è l’insieme dei suoi lessemi. Dis-nzione tra: parole piene o parole lessicali: (nomi, agge&vi qualifica-ve, verbi e avverbi) hanno un significato di per sé. Il numero delle parole piene può cambiare: in una lingua possono entrare parole piene di nuova creazione, i neologismi: parole o espressioni nuove che si compongono aIraverso le regole di formazione proprie del sistema lessicale della lingua. Parole vuote o gramma-cali: (pronomi, ar-coli, preposizioni, congiunzioni, agge&vi determina-vi) il numero delle parole vuote, gramma-cali, è sostanzialmente fisso e molto raramente può aumentare. 1.2. La composizione del lessico italiano Un modo indireIo per far quan-ficare la consistenza del lessico italiano e contare quan- sono i suoi lessemi, osservando il numero di lemmi raccol- nei principali dizionari: Nuovo Devoto Oli 2022 → 75.000 entrate nel cartaceo, 115.000 nel digitale; Zingarelli 2022 → 145.000 entrate; Saba/ni Cole9. Dizionario della lingua italiana → 154.000 entrate; GRADIT, Grande dizionario italiano dell’uso (Tullio De Mauro) → 260.000 lemmi. I numeri sono indica-vi, dal momento che nessun dizionario può comprendere tuIe le parole di una lingua. Se con-amo i termini tecnici delle discipline, i numeri salgono di molto. Non tuIe le parole sono note e usate allo stesso modo dai parlan-. Per capire peso e diffusione dei diversi lemmi del lessico italiano è importante il vocabolario di base, cioè la lista di circa 7000 parole usate con maggiore frequenza sta-s-ca nella nostra lingua e comprensibili alla quasi totalità della popolazione italiana. Anche il testo più specialis-co e complesso è cos-tuito per non meno dell’80% da queste 7000 parole. La frequenza è stata misurata a par-re dagli anni SeIanta da Tullio De Mauro ed è stata aggiornata nel 2017 con la pubblicazione del Nuovo vocabolario di base. Il vocabolario di base è a sua volta diviso in: - Vocabolario fondamentale: 1900 parole più usate in assoluto nella nostra lingua; - Vocabolario ad alto uso: altre circa 2750 parole molto usate, ma meno di quelle del vocabolario fondamentale; - Vocabolario di alta disponibilità: 2300 parole circa poco usate nella lingua scriIa, ma molto in quella parlata. Le parole che formano le fasce del vocabolario fondamentale e del vocabolario di alto uso sono ricavate sulla base della frequenza d’uso delle parole nel corpus realizzato negli anni SeIanta dal Centro di calcolo dell’Università di Pisa, aggiornato recentemente con il Nuovo vocabolario di base della lingua italiana (De Mauro 2016). Il vocabolario di alta disponibilità è cos-tuito solo sulla base di esperimen- psicologici tesi a valutare la comprensione delle parole da parte dei parlan- aldilà della semplice frequenza d’uso. Nell’impiego concreto della lingua nei vari contes- di vita i parlan- a&ngono di volta in volta dalle diverse fasce del lessico di base, dal lessico comune e talvolta dal lessico specialis-co. Lessico comune: È un ampio gruppo di parole (circa 40.000), è una zona di transizione tra il vocabolario di base e i termini via via lega- ad ambi- specialis-ci e appannaggio di un gruppo ristreIo di persone. Raffigurazione degli stra- del lessico di Gualdo e Telve (2011). La consapevolezza della stra-ficazione del lessico è u-le per capire le parole come oggeIo di studio e campo di riflessione sulla lingua, ma sta alla base di numerose applicazioni a livello dida&co in tu& cicli scolas-ci, sia per apportare indagini sulla conoscenza del lessico da parte la classe, si apre sistema-ca a&vità dida&che. caso di quaIro termini il verde o il giallo. Ci sono però molte differenze di vocaboli e di par-zioni nello speIro croma-co a seconda delle lingue e gli studiosi si interrogano per quanto riguarda le conseguenze dal punto di vista perce&vo e di relazione con la realtà. È complicato per un docente impostare una dida&ca del lessico: se sono spesso chiarissime la povertà lessicale e l’imprecisione nell’uso dei vocaboli da parte degli allievi, e altreIanto chiaro come costruire un’azione dida&ca in campo lessicale sia molto complesso. Il lessico è l’elemento della lingua meno circoscrivibile e più esposta all’innovazione. 2.2. Quando e come si apprendono le parole L’apprendimento di parole fa parte del percorso di acquisizione linguis-ca del bambino. Prima dell’anno di vita, le parole o pseudo-parole si aIestano intorno alla decina. Nel primo anno-anno e mezzo si osserva una produzione più rilevante di vocaboli: tra le 10 e le 50 parole. In questa fase le parole sono acquisite molto lentamente e usate in modo economico. Verso il secondo anno (18 - 24 mesi) si aIesta l’esplosione del vocabolario: a 18 mesi circa i bambini producono grosso modo un’oIan-na di parole, a 24 mesi circa 300. Questo evento si verifica in modo molto variabile nei tempi e nei modi da un soggeIo all’altro. Le parole acquisite in questo periodo iniziano a cos-tuire il lessico mentale dell’individuo: l’insieme di informazioni e memorie riferite alle parole rispeIo alle varie dimensioni che lo caraIerizzano. L’apprendistato lessicale si stabilizza poi senza arrestarsi mai nella sua natura di life-long learning, che quo-dianamente pra-chiamo a seconda degli input e dei nuovi vocaboli che incontriamo. Il ricorso alle parole nasce da un bisogno dapprima strumentale (soddisfare necessità) per poi assumere fini informa-vi ampi e vari. Questa acquisizione lessicale è fortemente caraIerizzata come processo sociale, cioè a seconda delle occasioni in cui il bambino è emerso. Inoltre, su di esso agiscono alcuni vincoli, in par-colare nei primi tempi (fino a quaIro anni di età): principio della mutua esclusività, per cui inizialmente il bambino tende ad aIribuire a ogni referente una sola parola; principio dell’aIribuzione rapida del significato, per cui le parole nuove vengono rapidamente riferite a referen- per cui bambino ancora non possiede un’e-cheIa linguis-ca. Ques- processi mo-vano l’efficienza e la rapidità dell’apprendimento lessicale, che andrebbe promosso già dalla scuola dell’infanzia. Sono molteplici le occasioni per promuovere l’arricchimento lessicale alla scuola dell’infanzia o alla primaria. 2.3. Che cosa significa conoscere una parola? Gli studi degli ul-mi trenta-quarant’anni hanno permesso di rendersi conto molto più chiaramente della numerosità del lessico delle lingue e della sua composizione, con conseguenze sul piano quan-ta-vo, ma anche sul piano qualita-vo: si osservata e approfondita la differenziazione interna tra -pi di parole e di locuzioni. Quello di parola è un conceIo molto complesso, che non si può circoscrivere a mera sequenza di suoni o di caraIeri. Il lessico ha un ruolo chiave nello sviluppo delle competenze nella lingua materna e la conoscenza delle parole è determinante per la buona riuscita della comunicazione. Se vuoto lessicale è diffuso e sistema-co, cioè se il bagaglio di parole estremamente limitato, la comprensione e la comunicazione possono risultare compromesse. Significa conoscere le parole, oltre all’idea di avere un bagaglio lessicale? Non è possibile conoscere tuIe le parole. Per affrontare secondo una prospe&va dida&ca più consapevole la ques-one del lessico, l’idea del conoscere le parole virus Tito esaminando il quadro composito e instabile di le semi della lingua, la loro storia, i loro ambi- doso e le loro peculiarità combinatoria. Occorre essere consapevoli di che cosa significhi davvero possedere una parola, considerando la pluralità di dimensioni e di livelli in gioco. Elenco delle informazioni associate le parole, fondamentali per capire a fondo che cosa succede sul piano cogni-vo: 1. Forma fonica e forma ortografica → necessarie per l’oralità e per la scriIura 2. StruIura morfologica → saper riconoscere i cos-tuen-, cioè i morfemi 3. Pa+ern sinta&co → configurazione del sintagma nella frase 4. Significato → referenziale, figurato, connota-va, s-lis-co-pragma-co 5. Relazioni lessicali → sinonimi, contrari, iponimi, iperonimi etc. 6. Collocazioni privilegiate → combinazioni obbligate, frequen- o ammissibili Non tu& ques- tra& sono padroneggia- sempre tu& insieme per ogni parola, sopraIuIo in fase di acquisizione. Ci sono poi ulteriori dis-nzioni: Differenza tra dimensione della ricezione (comprensione) e dimensione della produzione (uso a&vo di una certa parola o espressione); Dis-nzione tra vocabolario rice&vo e produ&vo: si comprendono più parole di quelle che si usano a&vamente; Dis-nzione tra comprensione contestualizzata e decontestualizzata: riferire il significato di una parola fuori contesto e altra cosa rispeIo saperne ipo-zzare un ricostruire il significato in contesto avvalendosi della expectancy grammar (gramma-ca dell’an-cipazione). Luca Serianni → ha soIolineato l’importanza di aIribuire centralità al lavoro sulle parole in dida&ca, rimarcando come il gramma-calismo a scuola vada abbandonato a vantaggio del lessico. 2.4. S-mare la conoscenza lessicale di allieve e allievi, tra aIese e realtà Come si fa a monitorare la conoscenza lessicale e a sapere qualcosa sulla ricchezza lessicale di cui dispongono gli studen-? Quali sono le aIese che un insegnante dovrebbe avere rispeIo al bagaglio di parole degli alunni? Sono alcuni tra gli aspe& più insidiosi di una dida&ca. Le Indicazioni nazionali (MIUR 2012) E le linee guida per tu& gli ordini di scolarità insistono molto sull’importanza della componente lessicale nel percorso di educazione linguis-ca sia in modo diffuso sia tramite traguardi obie&vi dedica-. L’accento è sull’estensione, sull’arricchimento, sull’appropriatezza e sulle varietà, sin dalla scuola dell’infanzia. È però difficile, perché insegna, progeIare l’espansione progressiva nel curricolo e anche considerare delle aIese u-li e plausibile per gli allievi. Le Indicazioni nazionali riprendono e u-lizzano i conce& di composizione del lessico di market uso di Tullio de Mauro per aiutare il docente a rifleIere in termini di aIese lessicali: ad esempio, alla fine della quinta primaria l’obie&vo è quello di comprendere e u-lizzare in modo appropriato il lessico di base (vocabolario fondamentale e quello di alto uso), la padronanza dei circa 7000 lemmi dell’intero vocabolario di base andrebbe idealmente completata a fine secondaria di primo grado. È ancora più difficile dare una s-ma” per uno studente in uscita dalla scolarità di secondo grado: dovrebbe essere noto il vocabolario di base, ma secondo serie anni, un dicioIenne scolarizzata dovrebbe capire appieno l’editoriale di un grande quo-diano. Non si traIa solo di lessico, ma anche di conoscenze e di ges-one della testualità. Le indicazioni per i pieni liceali, oltre ai richiami ripetu- all’adeguatezza e all’arricchimento lessicale, citano: “facilitare l’arricchimento del lessico sviluppare le capacità di interazione con diversi /pi di testo […] Trasversalità dell’insegnamento della lingua italiana impone che la collaborazione con le altre discipline sia effe9va e programmata” È soIolineato il valore della lingua come imprescindibile strumento trasversale a tuIe le discipline → importanza dei lessici disciplinari. Per tuIa la scolarità le aIese lessicali sembrano ambiziose, anche se non esplicitata in modo chiaro nei documen- ufficiali. È molto difficile s-mare quale sia il reale bagaglio lessicale degli allievi e si possono rilevare solo le difficoltà e la ricchezza dei repertori individuali. Un insegnante deve favorire l’uso sempre più autonomo dei dizionari e far lavorare sul lessico considerando i diversi tempi e generi testuali. 2.5. Lessico e discipline Lessici delle discipline: porzioni vas-ssime di vocaboli che caraIerizzano specifici ambi- del sapere, e che a scuola assumono la forma di lessici disciplinari. Dis-nzione tra: parole: parole dell’uso corrente; termini: parole specialis-che di determina- ambi- del sapere (dota- di terminologie); termini-parole: parole che hanno uno o più significa- nella vita di tu& giorni e uno più significa- tecnico- specialis-ci. I tecnicismi possono essere: tecnicismi specifici: sono imprescindibili; tecnicismi collaterali: sono -pici ma evitabili, in quanto lega- piuIosto all’esigenza di elevare il registro. Come collocare l’apprendimento del lessico delle discipline in un piano di alfabe-zzazione lessicale? Non si traIa solo di parole nuove, ma di conce& nuovi, che necessitano di tali parole per stabilizzarsi nella memoria dell’allievo: l’apprendimento del lessico specialis-co è scindibile dall’apprendimento disciplinare → trasversalità della lingua. È importante che il docente sappia come procedere, senza dimen-care la gradualità e la ragion d’essere dei termini, evitando eccessi e scremando consapevolmente quelli non necessari. È u-le stabilire quali termini disciplinari è necessario che siano acquisi- entro un certo momento dallo studente in modo proporzionato agli argomen- traIa-. Gli insegnan- di ogni materia dovrebbero stabilire, a inizio anno, dei chiari obie&vi lessicali, circoscrivendo nell’insieme i nodi conceIuali i termini imprescindibili, secondo il criterio del poco ma fondamentale e ben acquisito. È importante poi il lavoro interdisciplinare con chi insegna italiano perché, affinché la lingua diven- davvero strumento per capire le discipline, i termini specialis-ci non bastano, se non ci sono soldi e competenze linguis-che di ampio raggio. 2.6. Le difficoltà più ricorren- e qualche idea dida&ca Difficoltà lessicali degli allievi → non finiscono mai e non si ha la garanzia che non si ripresen-no. Il lessico è il livello linguis-co più libero individuale, caraIerizzato da una con-nuità e una trasversalità costan-. Principali difficoltà: Poche parole, parole generiche Di fronte all’abuso di lessico generico di parole tuIofare, il dubbio che il pensiero degli allievi sia povero o che non abbiano i mezzi linguis-ci per esprimerlo si fa largo. Parole come fare, avere, andare, dare… sono esempi di lessico generico altamente spendibile riu-lizzabile, ma non preciso e a basso carico informa-vo. Anche i conne&vi possono essere caren-, mancan- o altamente ripetu- (e, e poi, e dopo). Anche l’esercizio classico dei cloze* può essere un allenamento dopo aver osservato tes- modelli, in cui i conne&vi sono presen- e usa- in modo funzionale. La scoperta e il riuso dei conne&vi è una pista di lavoro proficua per favorire l’ampliamento del bagaglio di parole per legare, affinché la logica del testo non scompaia in assenza di parole che la esplici-no. *cloze: pra-ca consistente nel reinserimento di parole in un brano da cui sono state tolte secondo vari criteri e per diversi fini dida&ci. Principali fini dida&ci: testare l’acquisizione di saperi disciplinari, lavorare su aspe& propriamente linguis-ci, esercitare la comprensione testuale aIraverso la richiesta di inserire parole rela-ve a informazioni ricavabili da inferenze e collegamen- interni al testo. A&vità di arricchimento lessicale La ludolinguis-ca può essere un contesto mo-vante anche per l’arricchimento lessicale: lipogrammi, trasformazione di parole di senso compiuto in acronimi da sciogliere, anagrammi, acros-ci, tautogrammi, cruciverba. espressioni idioma-che. Sono elemen- su cui è possibile esercitare la comprensione e l’uso, favorendo la naturale figura/ve competence degli allievi. Capitolo 8 – Il testo e la sua dida&ca 1. Il testo e la sua testualità Il capitolo dà spazio all’esposizione dei principi teorici fondamentali della linguis-ca del testo e solo parzialmente le loro applicazioni dida&che. 1.1. Le origini e la diffusione Negli anni SeIanta del Novecento la linguis-ca testuale viene introdoIa in Italia grazie agli studi di Bice Mortara Garavelli e Maria-Elisabeth Conte. Nel 1981 la Società di Linguis-ca Italiana ha dedicato il proprio convegno annuale alla linguis-ca del testo. 1984 → viene tradoIo Introduzione alla linguis/ca testuale di Beaugrande e Dressler. Riferimento e la testualità compaiono già nei programmi delle medie del 1979 e con maggiore sistema-cità in quelli dell’elementari del 1985. 1.2. Che cos’è un testo Che cos’è un testo? L’unitarietà del significato è la più importante caraIeris-ca testuale: garan-sce la coerenza, la principale proprietà del testo e anche la condizione necessaria sufficiente per la sua esistenza. Ma l’unitarietà di significato può essere anche sostenuta da elemen- linguis-ci che hanno lo scopo di segnalare o consolidare i collegamen- tra le par-. Insieme di ques- elemen- corrisponde alla proprietà della coesione. La coerenza riguarda significato, la coesione si riferisce agli aspe& formali e non è necessaria, ma con-ngente. Coerenza e coesione sono proprietà complementari. La coesione può essere considerata la realizzazione concreta della coerenza, e la coerenza la proiezione su un piano astraIo e conceIuale della coesione. Agendo in modo congiunto e coordinato, entrambi consentono al testo di trasmeIere un messaggio unitario, completo ed efficace. Testo → da textus = trama, tessuto. Testo come struIura unica tenuta insieme da più fili streIamente intreccia-. La concezione larga e la concezione streIa di linguis-ca del testo Una concezione più ampia del conceIo di testo vede la linguis-ca del testo come una teoria del discorso. L’obie&vo è quello di costruire un avere propria teoria del processo produ&vo e interpreta-vo del discorso. È una prospe&va di analisi dinamica, che si concre-zza soIoforma di un insieme di condizioni che determinano e producono con la forma di comportamento definibile come comunicazione testuale. Accanto a proprietà incentrate sul testo quali la coerenza la coesione, vi sono un insieme di altre proprietà che riguardano l’a&vità della comunicazione discorsiva. Se queste condizioni di comunicazione discorsiva non sono soddisfaIe, il processo comunica-vo fallisce o si realizza in modo incompleto. Proprietà: 1. Intenzionalità: è soddisfaIa quando la produzione del discorso si può aIribuire un fine globale che deve essere riconosciuto dall’interpretante 2. AcceIabilità: il des-natario deve acconsen-re a entrare nel gioco comunica-vo testuale, cioè poter considerare che il testo che gli viene rivolto sia per lui u-le o rilevante, in modo che sia disposto a fornire lo sforzo interpreta-vo necessario; 3. Informa-vità: E realizzata se il testo accresce o modifica le conoscenze del des-natario sul mondo oppure l’aIeggiamento e piste Mikko o emo-vo che egli ha rispeIo ad esso; 4. Situazionalità: si realizza quando la comunicazione discorsiva sia ancora a una situazione specifica, sullo sfondo della quale si realizza il processo interpreta-vo; 5. Intertestualità: la comunicazione discorsiva e caraIeris-camente in dialogo con altri discorsi, in qualche modo per-nente con essa. Vi sono poi tre principi regola-vi: l’efficacia, l’efficienza, l’appropriatezza. Un testo è tanto più efficace quanto maggiori sono le reali conseguenze cogni-ve ed emo-ve che produce sul des-natario; ed è tanto più efficiente quanto minori sono la quan-tà e la qualità dello sforzo cogni-vo che l’interprete deve fornire per poterne apprezzare l’effe&vità informa-va. Efficienza ed efficacia tendono a lavorare nella posizione tra di loro, ma questo gioco di forze opposte è controllato dal principio dell’appropriatezza: in funzione degli obie&vi con Monica a&vi del discorso, del suo grado di acceIabilità, delle connessioni Inter testuali che lo caraIerizzano, della situazione in cui si manifesta, l’appropriatezza al compito di mediare tra la ricerca dell’effe&vità e dell’efficienza. 2. Tipi e generi testuali Organizzazione dei tes- in -pi e generi è molto nota al mondo della scuola: gran parte dei documen- ufficiali si spira proprio alla teoria dei -pi e al principio della centralità del testo. Grazie gli studi sulla testualità, oggi a scuola può essere considerato testo ogni messaggio coerente e coeso, di registro formale informale, di varietà scriIa o parlata. A par-re dagli anni SeIanta sono state elaborate numerose proposte di classificazione. Le tre più importan- sono accomunate dallo sforzo di correlare le caraIeris-che formali del prodoIo (lingua, registro, grado di coinvolgimento del ricevente) con caraIeris-che funzionali (scopo), cogni-ve (par-colare modalità di elaborazione dell’esperienza che sono alla base dell’ideazione e della realizzazione del testo) o altri parametri socio o pragmalinguis-ci. Prima classificazione, proposta da Francesco Saba-ni: Si fonda sulla natura del faIo interpreta-vo che lega autore e des-natario, dis-nguendo i tes- in: Fortemente vincolan- → traIa- scien-fici, tes- norma-vi, tes- tecnico-composi-vi; Mediamente vincolan- → manuali, saggi, ar-coli divulga-vi, voci dell’enciclopedia; Poco vincolan- → opere leIerarie. Seconda classificazione, proposta da Emilio Manzo&: Tipologia “ragionata”, dis-ngue: Tes- autonomi → tes- non dipenden- dall’esistenza di altri tes-. Si divide nelle due classi di tes- di libera elaborazione intelleIuale, che non seguono schemi predefini- e sono caraIerizza- dal faIo che scriIura e formarsi del pensiero sono streIamente lega-; E tes- fortemente codifica-, che seguono schemi preordina- e non sono caraIerizza- da un reale sforzo crea-vo. Tes- che elaborano altri tes- → riguardano i generi di scriIura come il riassunto, la parafrasi, la recensione, la sintesi, il verbale. Sono forme i cui contenu- sono già no- e che consentono quindi a chi scrive di concentrarsi sulla formulazione linguis-ca. Terza classificazione, elaborata da Egon Werlich: E di matrice funzionalista e si traIa di un modello che suddivide i tes- secondo la funzione prevalente data a livello comunica-vo: - Descri&vi - Narra-vi - Esposi-vo-informa-vi - Argomenta-vi - Prescri&vi o regola-vi Per determinare l’appartenenza di un testo a uno specifico -po deve essere considerato il focus dominante. Ogni -po testuale può inoltre essere ar-colato in classi dotate di un grado di astrazione più basso, deIe generi e soIogeneri. I -pi sono categorie stabili, universali e meno soggeIe a differenze storico-culturali, i generi e soIogeneri sono più precise nel classificare i tes- reali, di cui rappresentano le configurazioni -piche e ricorren-. 2.1. Il -po descri&vo Testo descri&vo: allo scopo di rappresentare per mezzo delle parole una persona, un oggeIo, un luogo o una situazione, conformemente alle funzioni dell’aIo di descrivere, che consiste nell’illustrare una porzione di mondo considerata in un contesto spaziale sta-co e atemporale. Dal punto di vista della forma linguis-ca, nelle descrizioni è frequente l’impiego di un’ampia varietà di sostan-vi agge&vi, sopraIuIo qualifica-ve. Generi -picamente descri&vi sono le didascalie e le descrizioni tecniche, anche se più spesso le descrizioni si trovano all’interno di altri tes-, sopraIuIo in quelli di -po narra-vo. Essendo correlate la capacità di cogliere le percezioni dello spazio, le descrizioni si prestano bene ad a&vità dida&che, anche di caraIere interdisciplinare. La descrizione permeIe di sviluppare l’osservazione, la memoria, l’immaginazione, educa la ricerca all’uso di un lessico preciso, aderente a ciò che si vuole rappresentare, offre la possibilità di coinvolgere più ambi- disciplinari. 2.2. Il -po narra-vo Testo narra-vo: l’aIenzione è spostata sugli even-, ovvero sui fa& che si realizzano aIraverso uno più azioni entro uno specifico arco di tempo. Gli even- possono essere presenta- secondo un ordine di -po cronologico oppure secondo un ordine ar-ficiale, come le an-cipazioni o il flashback. A par-colare rilievo l’elemento temporale, che determina anche la presenza di specifici tra& linguis-ci, come i conne&vi di tempo. Nei tes- narra-vi i tempi verbali sono spesso al passato: imperfeIo, passato prossimo, passato remoto, presente storico. Tra le possibili a&vità dida&che con i tes- narra-vi c’è il gruppo delle pra-che elabora-ve, ispirate al modello di organizzazione testuale di Emilio Manzo&. Entro gruppo dei “tes- che elaborano altri tes-” si potranno assegnare i consigli scriIura di rielaborazioni, riassun-, sintesi e parafrasi. Esempio di quaIro varian- di a&vità di rielaborazione in cui tes- di partenza vengono soIopos- a interpolazione di complessità crescente: - Forme di riscriIura che agiscono esclusivamente sulla superficie linguis-ca e s-lis-ca, per esempio modificare i tempi verbali o i discorsi dire& in indire&; mo-vi influisce in profondità sull’espressione. Un’azione mo-vata comporta una decisione dell’agente. Di solito non parliamo della decisione perché la diamo per ovvia. La differenza tra cause e mo-vi è una ques-one di coerenza conceIuale. Per un essere umano è coerente valutare i fa&, avere intenzioni e desideri, fare previsioni e prendere decisioni. Per gli ogge& del mondo fenomenico non è coerente. 4. I disposi-vi della coesione Il rispeIo della coesione è favorito da disposi-vi appartenen- a tu& livelli linguis-ci: lessicale, sinta&co, interpreta-vo ecc. Piano lessicale: il mancato rispeIo della concordanza the genero di numero contribuisce a rendere il testo meno coeso. Piano sinta&co: l’ordine delle parole non adeguato potrà portare lo stesso risultato. È però oltre il livello della frase che operano i principali strumen- di garanzia della coesione testuale, cioè le anafore e i conne&vi. 4.1. Le anafore Anafore: indicatori linguis-ci che rinviano ad altre parole o gruppi di parole già introdoIe nel testo. Sequenze di anafore prendono il nome di catene anaforiche, il cui referente principale è il capo-catena o antecedente, gli altri elemen- sono gli anelli di collegamento. Gli anelli di una catena anaforica possono assumere forme diverse. Anafore di ripe-zione: riproducono la stessa forma dell’antecedente; Anafore per sos-tuzione: assumono forme diverse → pronomi possessivi, pronomi personali, i Peroni, sogge& so&ntesi. Possono realizzarsi anche soIo la forma di pronomi, avverbi, sinonimi, iperonimi e perifrasi. Incapsulatore anaforico: È l’anafora che sos-tuisce un’intera frase o porzione di testo, in generale alla forma di un sostan-vo o di un pronome. Catafora: anafora che rinvia a parole o gruppi di parole poste nella porzione successiva di testo. Nei tes- complessi è possibile anche che più catene anaforiche si incrocino o si sovrappongono. A&vità sulle anafore possono essere proposte sia per la riflessione gramma-cale che per l’a&vità legata alla comprensione e la produzione di tes-. 4.2. I conne&vi Conne&vi: sono parole o locuzioni impiegate per introdurre segnalare legami logici presen- all’interno di un testo. Possono appartenere diverse classi di parole: congiunzioni e locuzioni subordina-, congiunzioni coordinan-, proposizioni o locuzioni preposizionali e avverbi o locuzioni avverbiali. L’informazione sul -po di relazione logica introdoIa dai conne&vi può essere specifica o generica. Ad esempio, siccome e anche se introducono relazioni specifiche, perché definiscono in modo preciso un -po di legame logico tra le diverse par- del testo. Usi in cui i conne&vi sono usa- come semplici riempi-vi priva- del proprio valore seman-co sono molto diffusi nella scriIura e nel parlato. I -pi di relazioni logiche introdoIe da conne&vi sono molto varie, e corrispondono alla segnalazione in forma esplicita dei collegamen- logici. Principali collegamen- logici: 5. Il testo digitato Tes- digita-: potres- media- dal computer, ne fanno parte forme diverse, ciascuna delle quali è dotata di specifici tra& linguis-ci e formali. Si dividono i singoli generi, accomuna- in riferimento al registro che -picamente li accompagna. Sulla base dell’italiano neostandard, si dividono in: - Chat e instant messaging → posizione bassa - Blog, forum e social network → posizione centrale - Email e blog culturali → posizione elevata Sono caraIerizza- da due aspe&, potenzialmente presen- in quasi tu& i da- digita-: - mul-medialità → possibilità che in un unico supporto siano presen- contemporaneamente media diversi. Sono numerosi gli impieghi della mul-medialità a favore dell’apprendimento, anche interdisciplinare - ipertestualità → proprietà che permeIe al leIore di seguire linee di leIura alterna-va quella prevista dall’autore, creando sei percorsi testuale originali e potenzialmente infini-. Italiano e nuovi media: esiste un italiano di Internet? Si può parlare di un italiano di Internet, inteso come varietà par-colare della lingua italiana dotata di caraIeris-che proprie che la dis-nguono dalla lingua comune? Esiste una lingua speciale del web? Non è facile rispondere. È quasi impossibile individuare un insieme di caraIeris-che che siano comuni a tuIe le scriIure circolan- in rete. Bisogna dis-nguere i tra i tes- scri& da professionis- (Web 1.0) e le scriIure prodoIe dagli uten- comuni (Web 2.0). Le scriIure di -po 1.0 sono linguis-camente molto vicino alla norma tradizionale dello scriIo controllato non eleIronico, mentre la lingua delle scriIure due punto zero è riconducibile complessivamente al modello della neoepistolarietà tecnologica. Le forme neoepistolari hanno faIo da modello per le forme non dialogiche e molte delle loro caraIeris-che si ritrovano nella lingua dei blog e dei social network. Le caraIeris-che s-lis-che e linguis-che non si mantengono costan- nemmeno all’interno della stessa -pologia di scriIura. Negli scri& dei social network lo s-le e le scelte linguis-che variano radicalmente a seconda della -pologia di utente. Spesso non c’è nulla che dis-ngue i post di un social network dall’italiano colloquiale o dall’italiano giovanile. Nell’italiano usato in Internet trovano espressioni scriIa tra& del parlato che di solito avrebbero spazio soltanto nell’espressione orale. Più che fondare una nuova varietà di lingua, i tes- circolan- in rete si fanno veicolo di s-li già da tempo consolida- nello scriIo e assecondano una preesistente tendenza all’informalità dello scriIo e la mancanza di rispeIo per la norma gramma-cale. Capitolo 9 – L’italiano come lingua di comunicazione a scuola 1. l’italiano come strumento dida&co Il capitolo affronta il ruolo che la lingua assume come strumento dida&co di per sé: in tu& i contes- in cui compare come lingua di insegnamento, oltre a essere una materia di studio, l’italiano e anche il principale veicolo di trasposizione dida&ca, nonché di mezzo per gli scambi comunica-vi nel contesto scolas-co. Indipendentemente dalla materia insegnata, è indispensabile che sia impiegato in modo efficace e preciso, così da garan-re a tu& gli studen- il pieno accesso al sapere disciplinare. Il faIore linguis-co infa& molta importanza nel fallimento scolas-co, anche discipline non umanis-che. Ogni insegnante deve essere consapevole dell’importanza e espressione chiara, correIa e precisa, in quanto l’insegnante è sempre anche un educatore linguis-co e un modello linguis-co per i propri studen-. Nel contesto scolas-co, tu& gli insegnan- e tu& gli studen- usano la lingua per accedere i tes- di studio e per interagire nei diversi momen- del lavoro in classe. Enfa-zzare il ruolo che la lingua assume nell’apprendimento di materie diverse dall’italiano si può rivelare produ&vo: da un lato fornire gli strumen- per un uso più efficaci della lingua dello studio delle materie scolas-che e significa facilitare l’accesso al sapere delle singole discipline, dall’altro osservare come viene usato l’italiano nelle diverse materie significa allargare il campo di azione dell’educazione linguis-ca a tes- diversi da quelli tradizionali, con il risultato di mostrare realizzazioni diverse della lingua e di consolidare la competenza linguis-ca. 2. Quando l’insegnante parla Per una parte consistente del suo tempo l'insegnante parla classe, e questo può provocare la paura di parlare in pubblico, che può par-re anche i professionis- di un'esperienza. Il capitolo dà suggerimen- u-li perché deve parlare di fronte a un pubblico. 2.1. La prima regola La prima regola consiste nel curare con la massima aIenzione la qualità dei contenu- della lezione, in assenza dei quali nessuna forma di trasposizione potrà essere veramente efficace. 2.2. L’esordio e la conclusione La struIura della lezione frontale è composta da un esordio (introduzione), un corpo centrale e una conclusione. Esordio → È l’occasione per presentarsi e per dare una prima impressione di sé. Un esordio ben organizzato agisce da rinforzo alla mo-vazione degli studen-. L’esordio classico prevede, dopo un richiamo ai contenu- traIa- nelle lezioni preceden-, l’enunciazione dell’argomento che sarà affrontato, suddiviso nei temi che lo compongono così da permeIere agli studen- di predisporsi all’ascolto. Segue l’indicazione delle modalità dida&che previste per la lezione. L’esordio può essere integrato con alcuni stratagemmi: iniziare con una domanda; - iniziare con una storia o un aneddoto; - iniziare con una citazione; - iniziare con da- o sta-s-che; - iniziare con una baIuta. Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione → delineano il campo d’azione dell’a&vità dida&ca: “le discipline […] sono state storicamente separate l’una dall’altra da confini convenzionali che non hanno alcun riscontro con l’unitarietà /pica dei processi di apprendimento. […] Le stesse fondamenta delle discipline sono cara+erizzate da un’intrinseca complessità e da vaste aree di comprensione che rendono improponibili rigide separazioni.” (MIUR 2012) Nelle Indicazioni le discipline non sono aggregate in aree precos-tuite per non favorire un’affinità più intensa tra alcune rispeIo ad altre, volendo rafforzare così trasversalità e interconnessioni più ampie e assicurare l’unitarietà del loro insegnamento. Sul piano organizza-vo e dida&co ogni scuola ha una valutazione autonoma. “un ruolo strategico essenziale svolge l’acquisizione di efficaci competenze comunica/ve nella lingua italiana […] e compito condiviso da tu9 gli insegnan/, ciascuno per la propria area disciplina, al fine di curare ogni campo una precisa espressione scri+a ed orale.” “lo sviluppo di competenze linguis/che ampie e sicure è una condizione indispensabile per la crescita della persona e per l’esercizio pieno della ci+adinanza […]. Per realizzare queste finalità estese e trasversali è necessario che l’apprendimento della lingua sia ogge+o di specifiche a+enzioni da parte di tu9 i docen/ che, che in questa prospe9va coordineranno le loro a9vità.” Per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, le Indicazioni nazionali per i licei (MIUR 2010) pongono tra i propri criteri cos-tu-vi ambi- trasversali: “la competenza linguis/ca nell’uso dell’italiano come responsabilità condivisa e obie9vo trasversale comune a tu+e le discipline. La padronanza dei classici specifici, la comprensione di tes/ a livello crescente di complessità, la capacità di esprimersi ed argomentare in forma corre+a e in modo efficace sono competenze che le indicazioni propongono come obie9vo di tu9. […] La trasversalità dell’insegnamento della lingua italiana impone che la collaborazione con le altre discipline sia effe9va e programmata.” In questa impostazione interdisciplinare la lingua italiana svolge un ruolo centrale e la dida&ca della lingua materna si deve concre-zzare in un approccio laboratoriale aIenta alle specifiche esigenze linguis-che di questo -po di scuole. 4.2. L’italiano dei libri di testo delle diverse materie scolas-che AIraverso la lingua dei libri di testo gli studen- entrano in contaIo con un primo esempio di linguaggio disciplinare, ad esempio quello del testo scien-fico. AIraverso il rapporto con i manuali delle diverse materie di studio affrontate, gli studen- scoprono come ciascuna disciplina specializzi le risorse linguis-che in base ai propri specifici bisogni comunica-vi e specialis-ci. Il manuale scolas-co non rappresenta però una comunicazione tra esper-, né una comunicazione di caraIere divulga-vo. I libri di testo sono esempio di una comunicazione tra esperto e “profano”, in cui il primo guida il secondo aIraverso un percorso di appropriazione dei contenu- e dei linguaggi della disciplina progressivo ma rigoroso. Si trova a metà strada tra testo specialis-co e testo divulga-vo, per cui è un testo ibrido e non facilmente collocabile nella categoria delle lingue speciali dell’italiano. Marie Loffler-Laurian → manuali scolas-ci come discorso scien-fico pedagogico, in cui la necessità di guidare un pubblico di non specialis- alla comprensione di conce& complessi porta meIere in secondo piano alcune esigenze specialis-che legate al linguaggio della disciplina per giungere a dei compromessi. L’obie&vo linguis-co è che il testo risul- sì preciso, ma anche scorrevole e non eccessivamente os-co per la prendente. Dal punto di vista testuale, il libro è un testo misto, con un testo guida e svaria- riquadri in con-nuo dialogo con immagini, mappe, grafici, formule lega- a esigenze specifiche. Si aggiunge la presenza di appara- di a&vità laboratori ali ed esercizi. Il lessico dei libri di testo rinuncia dare per scontata la conoscenza della terminologia disciplinare e spiega i termini tecnici ricorrendo alla lingua comune, anche aIraverso veri e propri glossari o rubriche di approfondimento terminologico. Il libro di testo cerca di non rinunciare mai del tuIo a rigore lessicale nell’uso dei termini, con l’obie&vo di familiarizzare il leIore con il linguaggio disciplinare specifico. Per l’insegnante di italiano il confronto con i manuali delle altre materie può essere l’occasione per far entrare la classe in contaIo con esempi concre- di scriIura specialis-ca e rifleIere sulle peculiarità dei linguaggi disciplinari. 4.3. Alcuni esempi di i-nerari linguis-ci trasversali e interdisciplinari Nell’apprendimento della matema-ca e di scienze la componente linguis-ca svolge un ruolo fondamentale. Già dagli anni OIanta si registrano convegni ed inizia-ve editoriali dedicata la trasversalità, con contribu- focalizza- sul lavoro dida&co a par-re dai tes- matema-ci e scien-fici. Inizio anni Duemila → Comunicazione e linguaggi disciplinari di Cris-na Lavinio. Proge& ed esperienze di lavoro comune tra italiano e matema-ca: - ProgeIo MAT.ITA, Università di Catania, dedicato al potenziamento delle competenze linguis-che matema-che in chiave trasversale per studen- delle scuole secondarie aIraverso il lavoro congiunto sulla matema-ca e sull’italiano; - ProgeIo Leggere e scrivere matema/ca, fisica e scienze, promosso dall’IPRASE nelle scuole tren-ne, Sperimentazione dell’integrazione dida&ca tra lingua, matema-ca e scienze in proge& scolas-ci dedica- ad aspe& significa-vi dal punto di vista culturale, dida&co e organizza-vo; - ProgeIo Italma/ca. Comprendere la matema/ca a scuola, tra lingua comune e linguaggio specialis/co, finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scien-fica e condoIo presso la Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana, dedicata ai libri di testo e di matema-ca analizzato in modo sistema-co approfondito con strumen- linguis-ci; - A&vità del Polo dell’Emilia-Romagna del progeIo nazionale I lincei per una nuova dida9ca nella scuola, promosso dall’Accademia dei Lincei e ges-to a Bologna dalla Fondazione Golinelli: numerosi insegnan- di italiano e matema-ca di diversi cicli scolas-ci sono sta- coinvol- in una formazione comune su vari aspe& della trasversalità tra italiano, matema-ca e scienze. Esempi di a&vità dida&che da svolgere in classe: - A&vità di riscriIura semplificata di varie par- del manuale di geografia in supporto al superamento delle difficoltà linguis-che dei tes- disciplinari da parte degli allievi più fragili, realizzato da studen- di secondaria di primo grado a favore di alcuni studen- stranieri neo arriva- nella classe, u-lizzando tecniche di semplificazione linguis-ca del testo nella classe plurilingue. L’esperienza è stata u-le non solo gli studen- stranieri, ma anche agli studen- madrelingua, dal momento che per realizzare la riscriIura semplificata del libro di testo e se necessario addentrarsi nelle caraIeris-che linguis-che del manuale e superare le difficoltà di comprensione; - A&vità di riflessione meta linguis-ca sulla lingua della scienza che si può realizzare a par-re dai manuali scolas-ci: analisi del lessico aIraverso la costruzione di glossari, lavoro sulle peculiarità testuali retoriche, manipolazione testuale per creare tes- divulga-vi a par-re dai contenu- scien-fici traIa- (voci di enciclopedia, ar-coli divulgazione, fume&, prodo& mul-mediali); - A&vare cri-camente gli allievi nella leIura e nella comprensione dei manuali, confrontando e discutendo par- di libri diversi che traIano uno stesso contenuto, per trovare differenze, elemen- comuni, elemen- cri-ci ed eventualmente riscriverli; - RiscriIura tecnica* → si può concre-zzare nel lavoro di redazione di relazioni di laboratorio o di poster scien-fici, con a&vità che enfa-zzino la presa di coscienza delle peculiarità linguis-che di questo -po di scriIura in rapporto a quella crea-va e argomenta-va. *scriIura tecnica → trasversali sull’italiano rinforza le competenze degli studen- nella loro L1, ma li dota anche di strumen- comunica-vi u-li in o&ca specialis-ca, agendo anche sulla loro mo-vazione. Italiano e matema-ca sono spesso percepi- nell’esperienza scolas-ca come ambi- separa- e incomunicabili. Sono state svolte sperimentazioni dida&che che hanno mostrato l’importanza e l’u-lità di un lavoro linguis-co sui tes- usa- in matema-ca, dei libri di testo, agli esercizi, fino alla lingua delle prove standardizzate. Un focus linguis-co sui tes- disciplinari guidato dagli insegnan- consente di superare l’idea che la matema-ca sia una materia in cui la lingua italiana ricopre un ruolo secondario. Vari studi hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione molto chiara tra competenze di leIura e prestazione matema-ca. Pra-che dida&che hanno infa& enfa-zzato il ruolo della comprensione linguis-ca in matema-ca, evidenziando la necessità di superare i nodi della reading literacy, vista come porta di accesso alla numeracy, la competenza matema-ca vera propria. Alcune sperimentazioni dida&che hanno cercato di andare oltre la semplice comprensione testuale, tendendo a far superare l’inerzia di fronte al testo matema-co che la caraIerizza mol- studen- aIraverso rielaborazioni ludiche, approcci narra-vi e ricorso a tes- o normali come ar-coli di giornale o fiabe per la realizzazione di a&vità matema-che improntata a un impiego a&vo della competenza linguis-ca. Ques- risulta- confronta- hanno evidenziato come la collaborazione tra l’insegnante di italiano e quelli delle altre materie rappresen- una via da seguire e approfondire in futuro nell’o&ca di un’integrazione dei saperi e di una piena realizzazione delle competenze linguis-che degli studen-. Capitolo 10 – La valutazione 1. La valutazione nella dida&ca per competenze Valutare l’acquisizione di un contenuto tramite l’osservazione (interrogazione, verifica), con tu& i problemi che essa comporta, è cosa rela-vamente semplice ed è la via privilegiata della valutazione scolas-ca tradizionale. Oggi si è assis-to allo spostamento del fulcro della dida&ca dai saperi disciplinari verso la prospe&va delle competenze, con la conseguente messa in crisi di mol- aspe& degli approcci scolas-ci tradizionali, tra cui la pra-ca della valutazione. Considerare le competenze e il loro sviluppo significa puntare l’aIenzione non più su un prodoIo finale, bensì sui processi che hanno portato a realizzarlo: il prodoIo finale è solo la manifestazione conclusiva di una serie di processi molto più ampia ar-colata, è la manifestazione di una competenza, o di una serie di competenze, e non la dimostrazione di un sapere acquisito. Non esiste una valutazione perfeIamente ogge&va: l’aIo del valutare è sempre un processo di interpretazione da parte di chi la esegue. Un aiuto fondamentale è l’individuazione di una competenza focus, perché indicando il traguardo, permeIe a chi valuta di avere un punto di riferimento con il quale confrontare gli apprendimen- dell’allievo. È indispensabile avere dei da- concre- su cui fondare la valutazione e la verifica deve essere un compito auten-co, possibilmente soIoforma di situazione-problema. 2. Funzioni e forme della valutazione Assumendo l’o&ca delle competenze, la valutazione è un momento fondamentale per pianificare, monitorare e orientarne lo sviluppo. È necessario dis-nguere tra: - Valutazione dell’apprendimento: risponde a una logica di controllo ed è finalizzata ad accertare e aIestare determina- risulta- forma-vi, spesso anche a beneficio di stanze esterne alla realtà scolas-ca; - Valutazione per l’apprendimento: risponde a una logica di sviluppo, è finalizzata a potenziare il processo forma-vo stesso i suoi risulta- e si rivolge principalmente a studen-, docen-, genitori, proprio per la sua valenza forma-va. Le due logiche possono comunicare tra loro: la valutazione dell’apprendimento può dialogare con la valutazione per l’apprendimento, perché fornisce da- importan- per regolare le strategie di insegnamento sulla base di risulta- aIendibili. Si possono dis-nguere almeno cinque diverse funzioni specifiche del valutare: - Valutazione predi&va → precede l’aIo forma-vo e serve per determinare quale sia il percorso forma-vo più adaIo alle caraIeris-che di un certo soggeIo; - Valutazione diagnos-ca → si svolge -picamente all’inizio del percorso forma-vo per determinare il livello di entrata di un allievo e definirne le caraIeris-che in relazione a ciò che dovrà fare; all’analisi dei risulta- e dei report prodo&. Questo meccanismo consente ai paesi di sorvegliare la validità scien-fica del test e il rispeIo dei contes- culturali educa-vi. Per l’Italia questo ruolo è svolto dall’INVALSI. Le prove PISA non hanno l’obie&vo di valutare la padronanza di specifici contenu- scolas-ci, diversi da un paese all’altro, quanto di verificare il possesso da parte degli studen- di una serie di competenze u-li ad affrontare i cambiamen- e le sfide che pone la società globale. Lo scopo principale è capire quanto i quindicenni siano in grado di u-lizzare nella pra-ca quo-diana le conoscenze e le abilità acquisite aIraverso l’educazione scolas-ca, orientata a soddisfare le esigenze le sfide poste dall’aIuale società della conoscenza e a favorire l’inserimento dei sogge& nel contesto sociale in maniera a&va e consapevole. 4.1.2. L’impostazione delle prove PISA di reading literacy Il framework della prova di comprensione del testo, la cui ul-ma revisione è avvenuta per l’edizione del 2018, ha cercato di tener conto degli esi- più recen- della ricerca, in modo da indagare come sono cambiate le abitudini di leIura e di u-lizzo delle informazioni da parte degli studen-, in par-colare le nuove forme di fruizione del testo legato all’uso di strumen- di tes- digitali per accedere all’informazione. Definizione di reading literacy: Reading literacy is understanding, using, evalua-ng, reflec-ng on and engaging with texts in order to achieve one’s goals, to develop one’s knowledge and poten-al and to par-cipate in society. L’idea di leIura soIesa questa definizione va al di là della semplice decodifica del testo, per arrivare a far luce sui processi cogni-vi alla base dell’accesso alle informazioni. Entra nel conceIo di leIura anche il coinvolgimento nei confron- del testo, la valutazione dell’aIendibilità di quanto si sta leggendo e l’integrazione di informazioni provenien- da fon- diverse e dall’enciclopedia personali del leIore. Per quanto riguarda I processi cogni-vi coinvol-, il framework dis-ngue tra processi lega- alla leIura vere propria (text processing) e quelli connessi con la risposta al quesito (task managment) in un’o&ca di meta cognizione (por- obie&vi di leIura coeren- con il compito dato, monitorare il processo e regolarlo con la strategia più adeguata). Le prove PISA di reading literacy sono cos-tuite prevalentemente da quesi- a scelta mul-pla, ma ci sono anche domande a risposta aperta. Nella scelta dei tes- sono privilegia- i tes- funzionali, ma vi sono casi di tes- narra-vi. La comprensione di alcuni tes- è indagata aIraverso la loro contestualizzazione di scenari, lega- sopraIuIo a situazioni con-ngen-, all’interno delle quali si inserisce l’interpretazione del testo per svolgere il compito richiesto. Nelle ul-me edizioni sono sta- introdo& tes- forma- da più tes- tra loro collega- e i tes- mul-pli, con possibili contraddizioni tra le varie par- da comprendere e risolvere in base al contesto, pensa- sopraIuIo per la fruizione digitale. Per interpretare i da- vengono propos- dei livelli di reading literacy in cui collocare i risulta- del campione, che vanno dal livello uno a livello sei. Nella logica dei livelli di competenza, sono defini- lower performers gli studen- che non raggiungono il livello due (considerato livello base di competenza) e sono considera- top performers chi si colloca nei livelli di competenza 5 e 6. La distribuzione del campione dei diversi livelli di età da un’idea dello stato delle competenze di leIura del campione esaminato. 4.1.3. I risulta- PISA sulla competenza di leIura riferi- all’Italia Risulta- del test PISA 2018 sulla competenza di leIura in Italia: Gli studen- italiani oIengono il punteggio di 476 pun-, significa-vamente inferiore alla media OCSE di 487 pun-. Le differenze territoriali sono molto accentuate: gli studen- del Nord oIengono risulta- superiori alla media OCSE (501 pun-), mentre al sud i risulta- mostrano maggiori difficoltà (439 pun- nel sud). Risulta- di leIura nei vari -pi di scuola secondaria di secondo grado: emergono numerose differenze: i licei oIengono le migliori prestazioni e una ridoIa percentuale di studen- soIo la soglia cri-ca del livello due, mentre la formazione professionale la maggioranza degli studen- è soIo la soglia cri-ca di comprensione del testo. 4.2. Le prove INVALSI 4.2.1. Le prove standardizzate nazionali in Italia Ci sono prove di livello nazionale che hanno caraIere censuario, ovvero rivolte all’intera popolazione studentesca di uno specifico momento del percorso scolas-co. L’obie&vo è quello di valutare in deIaglio il sistema scolas-co nazionale per fornire elemen- u-li alle singole scuole. In Italia, la legge affida all’INVALSI (Is-tuto nazionale per la valutazione del sistema educa-vo di istruzione e di formazione) il compito di predisporre somministrare verifiche periodiche sulle conoscenze abilità degli studen- per monitorare la qualità dell’offerta forma-va. L’INVALSI è stato is-tuito il 20 luglio del 1999 e ha preso posto del precedente CEDE (centro europeo dell’educazione). Nei primi anni 2000 viene formalmente is-tuito il SNV (servizio nazionale di valutazione del sistema educa-vo di istruzione e di formazione, dal 2010 sistema nazionale di valutazione), che assegna all’INVALSI il compito di creare strumen- per meIere a confronto le diverse scuole aIraverso teste standardizza- che permeIano di operare confron- sincroni di a cronici in grado di evidenziare cri-cità ed indicare possibilità di miglioramento. Le prime prove INVALSI hanno avuto luogo nel 2004, dedicata all’italiano e alla matema-ca. Oggi le prove in valsi sono somministrate: - Grado 2 = seconda primaria - Grado 5 = quinta primaria - Grado 8 = terza secondaria di primo grado - Grado 10 = seconda secondaria di secondo grado - Grado 13 = quinta secondaria di secondo grado Dal 2018 è stata introdoIa per i gradi 5, 8 e 13 una prova di inglese modellata sulle cer-ficazioni linguis-che. Dal 2018 le prove si tengono tramite un applica-vo informa-co (Computer Based Test CBT) per i gradi 8, 10,13, mentre la scuola primaria è ancora a&va la somministrazione tramite fascicolo cartaceo (Paper & Pencil P&P). 4.2.2. La prova INVALSI di italiano La prova in valsi di italiano si suddivide in due par-: comprensione del testo e riflessione sulla lingua. Solo per la secondaria di primo grado, dal 2018 è presente una sezione della prova dedicata in modo specifico al lessico. La struIura e l’impostazione della prova sono descriIe e messe in rapporto alla leIeratura scien-fica nel Quadro di riferimento delle prove INVALSI di italiano, documento che definisce la cornice conceIuale della prova, da conto dei criteri scien-fici alla base della costruzione dei così te ne fornisce esempi. Punto di partenza è la definizione di padronanza linguis-ca: consiste nel possesso ben struIurato di una lingua assieme la capacità di servirsene per vari scopi. Comprensione del testo → per affrontare la prova vengono messe in aIo tre competenze: - competenza pragma-co-testuale: capacità di ricostruire, a par-re dal testo, dal contesto in cui esso è inserito e dalle conoscenze enciclopediche del leIore, l’insieme di significa- che il testo veicola, assieme al modo in cui essi sono veicola-; - competenza lessicale: conoscenza o capacità di ricostruire il significato di un vocabolo in un determinato contesto e di riconoscere le relazioni di significato tra vocaboli; - competenza gramma-cale: capacità di ricorrere alle proprie conoscenze gramma-cali per orientarsi di fronte al testo e risolvere dubbi di comprensione. I quesi- per sondare la correIa comprensione dei tes- fanno riferimento tra diverse aree, chiamate macroaspe& della comprensione del testo, ciascuno dei quali corrispondente a diversi processi cogni-vi messi in aIo nell’elaborazione del significato del testo: A. Localizzare e individuare informazioni all’interno del testo B. Ricostruire il significato del testo a livello locale o globale C. RifleIere sul contenuto o sulla forma del testo a livello locale e globale e valutarli A ciascun macro aspeIo corrispondono poi soIo-aspe& più mira-, che definiscono più in deIaglio il -po di azione richiesta e le conoscenze cui richiamarsi. Con l’eccezione delle prove per i gradi 2:13, nelle prove di italiano è presente una sezione dedicata alla riflessione sulla lingua, che comprende circa il 20% dei quesi- complessivamente somministra-. La