Scarica diritti umani concetto teoria evoluzioni - pariotti e più Sintesi del corso in PDF di Diritti Umani solo su Docsity! Elena Pariotti I DIRITTI UMANI: CONCETTO, TEORIA, EVOLUZIONE INTRODUZIONE Il concetto dei diritti umani si presenta per la prima volta nel corso dell’età contemporanea come un concetto complesso e allo stesso tempo risultante privo di basi condivise e stabili anche a causa del condizionamento da assunti ideologici. La nozione di ‘diritti umani’ risulta: 1. Complessa: composta da più dimensioni (etica, sociale, politica, giuridica) interconnesse ma utilizzanti strumenti diversi. 2. Problematica: molte questioni sono ancora aperte (es. definizione di diritti umani). La nozione di ‘diritti umani’ ha un carattere dinamico ed espansivo: 1. Tende al mutamento del contenuto dei diritti in relazione al tempo ed ai contesti. 2. Tende alla moltiplicazione. I profili tendono a confluire ed a sovrapporsi: • Il profilo del processo storico di affermazione dei diritti condiziona il concreto sedimentarsi, nel tempo e nello spazio, dell’idea di diritti; • Il profilo della giustificazione morale dei contenuti associati ed associabili ai diritti umani; • Il profilo delle scelte politiche interne agli stati e delle relazioni internazionali che hanno influenza sulle diverse visioni del concetto all’interno delle società. Emergono due tendenze utili all’analisi complessa della riflessione attorno ai diritti umani: 1. Tendenza a ridurre completamente la nozione giuridica dei diritti alle sue concretizzazioni giuridico- positive. 2. Tendenza ad enfatizzare, nell’idea di diritti, il contenuto etico-politico, trascurando il nesso con il piano giuridico positivo. L’analisi teorico-giuridica in materia di diritti umani consente la comprensione di importanti aspetti dei processi di riconoscimento, di affermazione e di garanzia dei diritti, e offre elementi indispensabili per il rinvenimento delle potenzialità insite in tali processi. Risulta utile tale analisi anche per affrontare alcuni dubbi sul dibattito sui diritti umani. I diritti umani sono esposti, nell’opinione pubblica, nella prassi politica e nelle teorie filosofiche, ad operazioni mistificatorie e di legittimazione. Norberto Bobbio ha sostenuto, nel 1964, che quanto conta, con riferimento ai diritti umani, è la loro protezione e non tanto il loro fondamento. Importante è l’impegno per la protezione giuridica dei diritti umani. Bobbio ritenne la tappa della “Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo” del 1948 come il segno di un consenso sufficiente a spronare verso la difesa e la promozione dei diritti. La tesi di Bobbio risulta ancora oggi condivisibile nella misura in cui invita a non assegnare un ruolo pregiudiziale al tema ed alle questioni del fondamento, ma la questione sulla giustificazione dei diritti non è da trascurare. Infatti, la ricerca sarà incentrata sulle ragioni per le quali i diritti umani meritano riconoscimento e rispetto. È presente all’interno dell’analisi teorico-giuridica, un problema che riguarda il pericolo dell’uso retorico o strumentale dei diritti umani. Occorre distinguere tra uso legittimo ed uso strumentale dei diritti risulta necessario: a. Chiarire gli elementi che compongono la nozione di diritti umani; b. Distinguere le varie tipologie di diritti sulla base di diversi elementi (es. soggetti, struttura, contenuto); c. Definire lo statuto giuridico dei diritti umani, il tipo e il grado di “copertura” giuridica di cui godono e di cui potrebbero godere; d. Definire i rapporti fra dimensione giuridica e dimensione morale dei diritti; e. Chiarire e indagare i rapporti tra diritti e fini dell’agire politico. La tutela giurisdizionale riconnette implicitamente l’applicazione dei diritti alla loro giustificazione e le giustificazioni sottese alla determinazione del contenuto concorrono a chiarire anche aspetti centrali dell’applicazione. L’analisi concettuale dei diritti può consentire di constatare la tendenza all’”inflazione dei diritti”, la tendenza ad assegnare la forma di diritto a qualsiasi pretesa. Allo stadio attuale di evoluzione dei diritti umani, nel quale questi si sono moltiplicati, specificati ed in una certa misura internazionalizzati, stabilire il sussistere di tale condizione non è operazione meccanica e invece richiede conoscenza dei sistemi giuridici, dei loro rapporti reciproci ed il preliminare chiarimento dei rapporti intercorrenti tra nozioni giuridiche. Capitolo primo – IL CONCETTO DI DIRITTI UMANI: DEFINIZIONE, GENESEI E STRUTTURA 1. Premessa terminologica: Le questioni lessicali relative ai diritti umani sono controverse. I diritti umani si possono intendere come nozione giuridica ovvero come diritti positivi, mirante a valorizzare in essi due elementi. La definizione mira a valorizzare il carattere potenziale e dinamico. La natura dinamica spiega il carattere parziale della positivizzazione dei diritti. Il termine “diritto” inteso in senso soggettivo (‘right’), distinto dal significato oggettivo, indicante le norme appartenenti ad un ordinamento giuridico (‘law’), indica una pretesa giustificata. I lemmi ‘diritti umani’ in senso giuridico e ‘diritti fondamentali’ (‘legal rights’) indicano pretese giustificate da ragioni particolarmente forti sotto il profilo morale e sostenute da fonti di particolare livello gerarchico: • Costituzione (o la legge), per quanto riguarda i diritti fondamentali; • Diritto Internazionale, per quanto riguarda i diritti umani. Pretese giustificabili sotto il profilo morale, ma non supportate da norme giuridiche, sono classificabili come diritti morali (‘moral rights’). I diritti umani hanno due volti: 1. Dimensione morale: giustifica il carattere dell’inviolabilità; 2. Dimensione giuridica: individua il percorso di garanzia sul piano dei rapporti civili ed istituzionali. Giustizia, normatività ed efficacia sono i livelli imprescindibili dei diritti umani. È importante la distinzione tra Diritti Umani e Diritti Fondamentali: la prospettiva funzionale associa alla nozione di diritti umani una funzione filosofica ideale ed un carattere astratto, e invece a quella di diritti fondamentali una funzione giuridica ed un carattere concreto. I diritti umani possono trasformarsi in diritti fondamentali, qualora siano concretizzati all’interno di un ordinamento giuridico nazionale e all’interno delle istituzioni (ci sono dei limiti però). La teorizzazione filosofica viene sollevata da ogni responsabilità nei confronti delle conseguenze determinate entro i contesti reali; i contesti politici, giuridici e sociali vengono allontanati dal confronto con i principi e con la razionalità. Distinzione analitica fra diritti umani e diritti fondamentali: entrambi costituiscono sottoinsiemi di una categoria più ampia di diritti, rappresentata dai diritti soggettivi, ovvero dalle posizioni giuridiche che conferiscono al titolare immunità, facoltà, poteri, o pretese. • Sono diritti fondamentali i diritti soggettivi riconosciuti da fonti di rango costituzionale (fondamentali = danno fondamento al sistema giuridico); • Sono diritti umani i diritti soggettivi riconosciuti da fonti internazionali. Le due categorie rinviano a due distinti livelli di ordinamenti giuridici. Ma si distinguono anche rispetto alla struttura della titolarità. • Esempi di diritti soggettivi (né fondamentali né umani): diritto di proprietà, diritto di credito, diritti reali; • Esempi di diritti fondamentali (non necessariamente umani): diritto di voto, libertà di associazione, libertà di circolazione; • Esempi di diritti umani (in senso stretto): diritto alla vita, diritto d’asilo, libertà di pensiero, di coscienza, di religione, diritto a non subire discriminazioni. Si tratta di diritti riconosciuti nelle fonti internazionali a partite dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, 1948 (UDHR) e dai Patti Internazionali sui Diritti Civili e Politici, 1966 (ICCPR). I diritti umani e i diritti fondamentali sono una classe speciale dei diritti soggettivi ma la differenza sta nel contesto normativo di riferimento e nell’estensione della titolarità. Negli ultimi decenni, un ulteriore livello normativo, l’ordinamento comunitario, è andato riservando uno spazio crescente ai diritti fondamentali. In questo caso, da un lato, è corretto parlare di ‘diritti fondamentali’, poiché il riconoscimento e la garanzia di questi diritti dipendono dall’adesione degli stati all’Unione Europea, dall’altro, può essere corretto parlare di ‘diritti umani’, poiché in questa materia, tra le fonti di riferimento dell’ordinamento comunitario, troviamo anche fonti internazionali sui diritti umani. Sotto il profilo del contenuto c’è una convergenza tra i diritti civili previsti dalla Costituzione italiana e i diritti civili riconosciuti nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti e delle Libertà fondamentali. In entrambi i casi, siamo di fronte a diritti qualificabili come diritti umani anche se esiste una distinzione che riguarda l’ambito della loro applicabilità e validità. Il principio di eguaglianza sovrana degli Stati stabilisce l’autonomia e la pari importanza nella comunità internazionale di ciascuno stato. Il rapporto che si instaura tra sovranità e diritti umani è ambiguo: i diritti umani al tempo stesso necessitano della sovranità statale e fungono da limite ad essa. Questo vale sia nel piano interno sia nel piano esterno con alcune differenze. La sovranità statale è oggi al centro di varie forze o fenomeni centripeti, che incidono sulla sua erosione e non sempre sono necessariamente in linea con l’obiettivo della diffusione dei diritti umani. • Caduta della partecipazione e proliferare delle rivendicazioni identitarie su base etnica e culturale; • Globalizzazione (= espansione su scala globale degli scambi economici, dei modelli politici, culturali e giuridici, con i suoi effetti sul funzionamento degli ordinamenti giuridici, sui loro rapporti e sui legami civici. 4. Diritti fondamentali, Stato di Diritto e principio di eguaglianza formale: Stato di diritto è lo stato in cui il potere politico è sub lege (sottoposto alla legge), e per leges (esercitato mediante leggi). Per “legge in senso formale” intendiamo un atto giuridico dell’organo legislativo. Il principio di legalità rappresenta il principio costitutivo dell’esperienza giuridica moderna ed insieme al principio di separazione dei poteri è alla base del modello dello Stato di diritto. “Legalità” significa “conformità alla legge”. Si dice allora principio di legalità quel principio in base al quale i pubblici poteri sono soggetti alla legge, a pena di invalidità. Lo stato di diritto è la forma di organizzazione dello stato che essenzialmente tende a realizzare il principio del “governo della legge” in opposizione al “governo degli uomini”. Può dirsi conforme alla legge ogni atto che sia espressamente autorizzato o che sia con la legge compatibile. La legge può disciplinare il contenuto di un atto in almeno due modi diversi: 1. Limitarlo (in senso negativo), circoscrivendolo entro delimitati confini; 2. Vincolarlo (in senso positivo), predeterminandolo completamente. Il senso debole del principio di legalità tende a regolare il rapporto tra potere legislativo e potere esecutivo, il senso forte tende a regolare il rapporto tra potere legislativo e potere giudiziario. Per effetto del processo di “costituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico”, la costituzione risulta suscettibile di applicazione diretta anche da parte del giudice ordinario laddove la struttura della norma costituzionale sia sufficientemente completa da poter valere come regola per il caso concreto. Con la “costituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico” si è affermato il principio per il quale la Costituzione diviene anche punto di riferimento per l’interpretazione delle norme di grado inferiore. Lo stato di diritto non presenta strumenti giuridici sufficienti alla sicura e stabile realizzazione dei diritti. “Lo stato rappresentativo, il principio di legalità, la divisione dei poteri, l’indipendenza della magistratura … sono una soluzione obbligata ma non sufficiente a garantire l’individuo e le sue libertà dagli abusi della maggioranza”. Connesso al principio di legalità c’è il principio di eguaglianza in senso formale che riguarda l’esercizio del potere giudiziario e l’esercizio imparziale del potere legislativo. L’universalità riguarda il rapporto tra ratio e contenuto: la norma deve disciplinare tutti e soli i casi cui la sua ratio è riferibile. Il principio di eguaglianza quelle differenziazioni che non si riconducono ad uno scopo. 5. Diritti fondamentali, Stato sociale e principio di eguaglianza sostanziale: Se il modello dello Stato di diritto è alla base della positivizzazione dei diritti civili, il modello dello Stato sociale è alla base delle istanze che inducono progressivamente al riconoscimento dei diritti sociali. Il principio di eguaglianza è enunciato nella Costituzione italiana all’art 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il principio di eguaglianza non implica assoluta parità di trattamento, bensì che situazioni eguali siano trattate in modo eguale e situazioni diverse in modo diverso. È il cardine del nostro sistema costituzionale, rappresentando un criterio-guida per il legislatore e un parametro fondamentale nell’interpretazione dell’intero ordinamento giuridico. È essenziale nel giudizio di ragionevolezza nell’ambito dell’esercizio del sindacato di costituzionalità delle leggi da parte della Corte Costituzionale. Dall’articolo 3 traggono giustificazioni i diritti sociali • diritto all’istruzione (art. 34 Cost); • diritto all’assistenza sanitaria (art. 32 Cost); • diritti dei lavoratori (art. 36 Cost); • diritti alla sicurezza sociale; • diritto al mantenimento e all’assistenza per gli inabili al lavoro sprovvisti per mezzi necessari per vivere; • diritto all’educazione e all’avviamento professionale per le persone con disabilità fisica o psichica. Le “azioni positive” sono delle misure attuate in applicazione del principio di eguaglianza sostanziale che realizzano una “discriminazione inversa”. In esse l’eguaglianza rappresenta lo scopo, i mezzi utilizzati, diversi dall’eguagliamento formale e possono consistere nella lotta contro i rapporti di dominio o di oppressione. L’obiettivo generale delle azioni positive è la garanzia a tutti gli individui di pari opportunità relativamente ad alcuni aspetti della loro dignità o del loro benessere. Ai diritti sociali sono correlati degli obblighi dalla struttura diversa rispetto a quelli connessi ai diritti civili. L’obbligo correlativo creato dai diritti sociali è di tipo positivo ed impone allo Stato di attivarsi per offrire servizi o assistenza. • Stato sociale: rappresenta un modello di organizzazione istituzionale distante dallo Stato di diritto liberale; lo Stato chiamato ad “assistere” l’individuo e il cittadino; • Stato liberale: lo Stato non interviene se non per impedire l’interferenza all’interno della sfera privata dei singoli; favorisce l’dea dei diritti come “side-constraints” come vincoli collaterali sulle azioni dei soggetti diversi dal titolare. Lo stato che si apre al riconoscimento dei diritti sociali crea un contesto istituzionale rispetto al quale la giustificazione e la comprensione dei diritti subisce un ampliamento. Se i diritti fondamentali/umani nascono come strumenti per tutelare le ragioni dell’autonomia individuale contro lo Stato e contro istanze o fini collettivi, se i diritti debbono intendersi come “carte vincenti” contro qualsiasi interesse, può risultare difficile far rientrare entro questo disegno la struttura dei diritti sociali. (I diritti civili e diritti sociali rinviano a due “logiche” in conflitto: quella del mercato, del contratto e della proprietà, nel primo caso, e quella della giustizia sociale, nel secondo caso). L’eguaglianza sostanziale richiede che si stabilisca quali siano le differenze rilevanti ai fini della tutela o della promozione e quale sia il livello adeguato di vantaggio, di tutela o di promozione da accordare. Se un gruppo ha subito un’ingiustizia, essendo i suoi membri stati oggetto di discriminazione sulla base di una caratteristica moralmente irrilevante, è legittimo utilizzare tale caratteristica come base per fornire speciali trattamenti o vantaggi come forma di riparazione? La domanda introduce la difficoltà insita nel fatto che l’idea di eguaglianza sostanziale costringe il diritto a prendere in considerazione non soltanto individui ma anche gruppi o categorie di soggetti. Il principio di eguaglianza è da tempo al centro di numerose critiche, principalmente prevenienti da due prospettive: 1. “Pensiero della differenza” 2. Prospettiva della “politica del riconoscimento” Queste prospettive evidenziano gli effetti distorsivi imputabili al principio di eguaglianza nei confronti rispettivamente della condizione femminile e di gruppi individuati su base etnico-culturale. 6. I limiti euristici delle classificazioni dei diritti: Le classificazioni utilizzate nei discorsi intorno ai diritti umani o ai diritti fondamentali sono 3: 1. Analitico-concettuali; 2. Storiche; 3. Giuridico-concettuali. Tali classificazioni assumono rilievo per la riflessione teorica intorno ai diritti nella misura in cui concorrono all’identificazione della struttura dei diritti e possono rappresentare un utile supporto per la costruzione di un punto di vista sia descrittivo che normativo, atto a valutare le pretese formulate ricorrendo al linguaggio dei diritti. Un elemento trasversale alle diverse classificazioni è la struttura del dovere correlativo: • Negativa: nel caso in cui il diritto implichi per il destinatario del dovere la mera non interferenza; I Diritti civili implicano una condotta negativa. • Positiva: quando la realizzazione del diritto implica l’obbligo per il destinatario di una condotta attiva; I Diritti sociali implicano una condotta positiva. Un ulteriore elemento che guida nella distinzione tra diritti civili e diritti sociali riguarda il rapporto tra norme costituzionali e norme legislative nel loro processo di attuazione. L’esclusione dei diritti sociali dal catalogo dei diritti umani risulta recentemente riaffermata all’interno di prospettive filosofiche sui diritti umani qualificate come “minimaliste”. La tendenza è quella di vedere nella categoria dei diritti civili il nucleo esclusivo dei diritti umani. Ci sono delle ragioni strutturali per le quali le nuove questioni connesse ai diritti umani sempre meno risultano accostabili a partire dalla tripartizione fra diritti civili, diritti sociali e nuovi diritti. Questo porta ad un graduale formarsi di aspettative sociali e pretese che tendono in realtà ad incidere sostanzialmente sulle forme di garanzia degli stessi diritti civili o anche dei diritti sociali. La tendenza alla contrapposizione concettuale tra diritti civili e diritti sociali risulta in via di superamento, se si considera l’emergere di prospettive teoriche che propongono una revisione della tradizionale tassonomia dei diritti. Con riferimento a ciascuna categoria, i diritti umani sono ritenuti comportare obblighi correlativi sia negativi che positivi. Gli obblighi correlativi ai diritti umani sono per numerose teorie contemporanee articolabili in termini di rispetto, protezione ed attuazione. Capitolo secondo – POSITIVIZZAZIONE ED EVOLUZIONE DEI DIRITTI UMANI 1. Normalità ed effettività dei diritti: una premessa La dimensione giuridica dei diritti umani risulta essenzialmente legata alla loro positivizzazione. • POSITIVITA’: condizione in base alla quale un diritto trova sostegno in una norma giuridica; • POSITIVIZZAZIONE: processo tramite il quale i diritti si trasformano da ideale morale, in situazioni soggettive dotate di copertura normativa entro gli ordinamenti giuridici. Presenta una dimensione dinamica sia in senso storico che in senso concettuale. • Senso storico -> il riconoscimento normativo dei diritti è avvenuto prima all’interno di documenti privi di vincolatività giuridica e solo in seguito all’interno delle carte costituzionali e degli atti internazionali. Fasi di affermazione dei Diritti Umani: 1. Affermazione nelle teorie filosofiche 2. Riconoscimento nelle carte storiche 3. Costituzionalizzazione 4. Internazionalizzazione • Senso concettuale -> in uno stadio di positivizzazione avanzata, il dinamismo si manifesta nei processi di evoluzione dei diritti. Evoluzione dei diritti = alcuni percorsi che accompagnano la trasformazione dei diritti una volta che abbiano raggiunto lo stadio di diritti riconosciuti da un ordinamento giuridico. Tendenze evolutive: • Generalizzazione; • Specificazione; • Moltiplicazione. • Internazionalizzazione (o universalizzazione); 1. SPECIFICAZIONE: processo attraverso il quale diritti dalla titolarità universale vengono espressamente riferiti e precisati in relazione a specifiche categorie di soggetti, individuati sulla base di parametri quali l’età, il genere, l’appartenenza etnica, determinate condizioni psico-fisiche. 2. GENERALIZZAZIONE: processo mediante il quale viene estesa la titolarità dei diritti umani limitatamente positivizzati. 3. MOLTIPLICAZIONE: processo consistente nell’ampliamento del catalogo dei diritti, attraverso l’individuazione di nuovi valori o beni da tutelare. 4. INTERNAIONALIZZAZIONE (O UNIVERSALIZZAZIONE): si realizza mediante la codificazione dei diritti entro convenzioni internazionali. I meccanismi di evoluzione tendono ad avvalersi di vari strumenti normativi di diverso impatto giuridico. Nuovi diritti possono essere affermati prima entro fonti di soft law e poi in atti giuridicamente vincolanti. Oppure possono risultare espressi tramite principi giuridici progressivamente concretizzati attraverso l’attività giurisdizionale. Il riconoscimento è la previsione di un diritto entro una fonte giuridica. La garanzia è qualsiasi tecnica normativa di tutela di un diritto soggettivo. Un diritto può ritenersi positivizzato se viene riconosciuto all’interno di un ordinamento giuridico. della sovranità limitata. La supremazia del parlamento viene sostituita dalla supremazia dei principi dei diritti fondamentali affermati nella costituzione = la legge cessa di imporsi in forza della propria esistenza formale e necessita di configurarsi secondo criteri di validità. Neppure il popolo può dirsi sovrano nel senso superiorem non recognoscens. In questi termini si cerca di realizzare la sintesi tra potere e diritto. È un processo che fin dal 1948 riguarda esclusivamente il piano interno degli stati. La concezione statualistica del diritto conduce al consolidarsi dell’idea secondo cui il diritto sarebbe esclusivamente il prodotto della normazione statale ed alla ideologica identificazione tra diritto e legge. La sovranità statuale risulta rafforzata esternamente, ovvero nei rapporti con gli altri stati nella comunità internazionale. Il processo incide significativamente sul percorso di affermazione dei diritti umani. 4. Dal “modello di Westfalia” al “modello della Carta delle NU”: Solitamente si fa iniziare la storia del diritto internazionale moderno con l’emergere dell’assetto giuridico assunto, dalla società internazionale e dagli stati sovrani nascenti, successivamente alla pace di Westfalia (1648), al termine della Guerra dei 30 anni. Elementi che influenzano la concezione del diritto internazionale: 1. L’ordine raggiunto in quel momento storico riflette il processo genetico dello Stato moderno e alimenta il rafforzamento della sovranità esterna. 2. La caratterizzazione della struttura del diritto internazionale risente dell’idea di diritto che si sviluppa in simultanea della nascita dello Stato moderno. In base a questo la norma giuridica ha origine nell’atto di posizione effettuato dall’autorità competente e con riferimento a tale atto si qualifica e si legittima. Si consolida così un modello del diritto internazionale e delle relazioni internazionali denominato nella letteratura «modello di Westfalia» in base al quale: • Soggetti esclusivi del diritto internazionale sono gli stati; • Gli stati sono caratterizzati da un’autonomia totale e agiscono sulla base dell’auto-interesse; • Unico fine del diritto internazionale è la garanzia della coesistenza tra gli Stati. Nel 1945 viene approvata a San Francisco la Carta che istituisce l’ONU, contenente importanti elementi di svolta in favore della possibilità di elaborare un diverso modello sia del diritto internazionale che delle relazioni internazionali, «modello della Carta delle NU». Il modello sottolinea che: • I soggetti nel diritto internazionale non sono solo gli Stati, ma anche i singoli individui; • Il diritto internazionale persegue obiettivi, interessi e valori della Comunità Internazionale in quanto tale; • I rapporti inter-statali sono improntati anche ai principi della cooperazione e delle relazioni amichevoli tra i popoli. Nel 1945 si afferma quindi il nuovo diritto internazionale. La Carta di San Francisco rappresenta un punto di svolta nel senso che esprime una forza propulsiva verso l’affermarsi di nuovi principi, i quali andranno ad aggiungersi a quelli tradizionali. Tra i principi strutturali del diritto internazionale tradizionale vi sono: 1. Principio di eguaglianza sovrana degli stati; 2. Principio di non ingerenza negli affari interni, che include il divieto per gli stati di stabilire quale organo straniero è competente a compiere specifiche attività, il divieto per gli stati di costringere uno Stato straniero a tenere un determinato comportamento, il divieto per gli stati di intromettersi nelle questioni interne di altri stati, …; i principi la cui emersione nel diritto internazionale è promossa dalla linea avviata con l’approvazione della Carta di San Francisco sono: 1. Il rispetto dei diritti umani; 2. L’obbligo di soluzione pacifica delle controversie ed il divieto della minaccia e dell’uso della forza; 3. Il principio di autodeterminazione dei popoli. La lenta e non sempre coerente ed uniforme emersione dei nuovi principi del diritto internazionale ha permesso che sopravvivesse la lettura del diritto internazionale improntata al modello di Westfalia e ad una concezione essenzialmente statualistica del diritto. 5. L’internazionalizzazione dei diritti civili: Il processo di internazionalizzazione costituisce la modalità di positivizzazione dei diritti umani. Come diritti dell’essere umano in quanto tale, possono dirsi positivi perché riconosciuti da fonti internazionali a tutti gli esseri umani. La categoria concettuale dei diritti umani si esprime entro quella dei diritti fondamentali; i diritti dell’essere umano si esprimono nei diritti del cittadino. Con la loro internazionalizzazione questi diritti acquisiscono universalità anche sul piano tecnico-giuridico. L’internazionalizzazione dei diritti umani inizia con l’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – UDHR (1948). La dichiarazione costituisce il primo strumento giuridico relativo ai diritti umani elaborato da un’organizzazione internazionale dalla portata universale. Rappresenta quindi un atto molto importante sia sotto il profilo giuridico che simbolico. È il primo passo verso la realizzazione degli obiettivi indicati dalla Carta delle NU del 1945. • Le premesse sono date dal “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili”. • La finalità è rappresentata dalla protezione dei diritti umani come ideale comune di tutti i popoli e di tutte le nazioni. Da questo momento la protezione dei diritti umani diviene un fine della comunità internazionale in quanto tale. La dichiarazione è stata proclamata dall’Assemblea generale delle NU e ripropone la matrice giusnaturalistica delle carte moderne dei diritti. Si incontrano le visioni dei diritti occidentali e socialiste. I diritti sono riconosciuti come strumenti di protezione della libertà e dell’autonomia del singolo non solo rispetto alla sua sfera intima, ma anche nell’ambito delle “formazioni sociali” in cui la personalità dell’individuo si costruisce e si realizza. Prevede il riconoscimento dei diritti civili, politici e sociali senza porre nessun criterio gerarchico. Non è previso in maniera esplicita il diritto all’autodeterminazione dei popoli e il diritto allo sviluppo. Funzioni fondamentali: 1. Costituisce un quadro ideale della successiva codificazione dei diritti; 2. Esercita una graduale influenza sulla protezione interna dei diritti umani. I primi atti internazionali promossi dall’ONU sono i due Patti del 1966: • Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici – ICCPR • Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali – ICESCR A partire dal Processo di Norimberga ha inizio un percorso che condurrà alla possibilità di applicare anche nel diritto internazionale il principio di responsabilità penale. I crimini internazionali hanno per oggetto le violazioni di norme consuetudinarie poste a protezione dei “valori, beni ed interessi giuridici considerati meritevoli di tutela dall’intera comunità internazionale” e vincolanti “per tutti gli Stati e tutti gli individui”. Si considerano crimini internazionali: • Crimini di guerra; • Crimini contro l’umanità; • Genocidio, tortura, aggressione, Apartheid; • Terrorismo internazionale; La repressione dei crimini internazionali era basata sul principio di territorialità, sulla competenza delle corti interne, le quali potevano attivarsi solo in presenza di almeno un criterio di collegamento tra territorialità, nazionalità attiva, nazionalità passiva e difesa dello stato. Con il principio di universalità della giurisdizione penale qualsiasi stato può attivarsi, mediante proprie corti interne, per giudicare e punire i responsabili di crimini internazionali. Con il Trattato di Roma del 1998 si istituisce la Corte Penale Internazionale e nel 2002 con l’entrata in vigore si aggiunge anche quella permanente. L’elemento della permanenza: • Contribuisce al rispetto degli elementi della naturalità del giudice e dell’imparzialità del giudizio; • Conferisce all’attività giudiziale sia la funzione repressiva sia la funzione preventiva; • Contribuisce a costruire linee interpretative uniformi del diritto internazionale; • Fornisce alla decisione una visibilità maggiore rispetto ai tribunali ad hoc. La rilevanza dell’elemento soggettivo risulta determinante per l’individuazione della responsabilità ai fini dell’imputabilità. Affinché l’imputato venga riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità si richiede il dolo (intent), cioè l’intenzione di causare un determinato risultato. L’imputabilità richiede il dolo diretto o intenzionale o almeno una forma di dolo intermedia (recklessness) tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, che sussiste quando l’agente attua una condotta, assumendo consapevolmente il rischio di causare tali conseguenze. È presente un altro elemento ovvero la consapevolezza del più ampio contesto all’interno del quale i crimini internazionali si inseriscono. Dall’evoluzione del diritto internazionale penale emerge la possibilità di considerare l’individuo come soggetto dell’ordinamento internazionale. L’individuo può essere titolare di diritti e doveri in base a norme internazionali, al di là del fatto che possa ricorrere a, o essere condannato da, Corti internazionali. L’individuo, nel passaggio di paradigma, rileva non più solo in quanto straniero, ma in quanto persona, portatrice come tale di valori ed interessi che è compito della Comunità internazionale proteggere. I diritti dell’uomo impongono agli stati degli obblighi internazionali che condizionano l’esercizio esclusivo della sovranità territoriale e l’organizzazione stessa dei rapporti tra il potere pubblico e gli individui sottoposti a questa sua autorità. Il mutamento rende il diritto internazionale: meno formalista, meno neutrale e meno volontarista. 6. L’internazionalizzazione dei diritti sociali: Con il Patto Internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali inizia il percorso di positivizzazione di quelli che si possono identificare come i diritti di solidarietà sociale. • Diritto al lavoro, diritto di ogni individuo di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro, diritto di aderire ad un sindacato, diritto di sciopero, diritto alla sicurezza sociale, diritto al congedo di maternità, diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, diritto alla libertà dalla fame, diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire, diritto di ogni individuo all’istruzione. La garanzia dei diritti sociali comporta il positivo intervento da parte dei destinatari degli obblighi correlativi, al fine di concretizzare quanto stabilito dalle norme in materia; lo strumento di concretizzazione è la legge. Il percorso attuativo è condizionato da vari elementi quali la volontà politica, la sensibilità verso il valore dell’eguaglianza sostanziale sottesa ai diritti sociali, la disponibilità finanziaria degli stati, il grado di efficienza dei servizi istituiti. L’attuazione implica molte risorse e impegno politico e organizzativo. Per molto tempo non si poteva parlare di violazione di diritti sociali, ma bensì si parlava di mancata o non piena realizzazione. Ci sono alcuni diritti sociali il cui contenuto rinvia sia ad obblighi correlativi negativi sia ad obblighi correlativi positivi. Nel caso dei diritti civili si identificano come titolari di obblighi correlativi sia lo stato sia i terzi e per questo si può parlare di “effetto orizzontale” di tali diritti = hanno la capacità di valere nei rapporti verticali e tra stato e individui ma anche tra gli individui stessi. Finora c’è stata da parte dei diritti sociali scarsa attuazione nell’essere considerati come diritti spettanti alla persona e come diritti capaci di generare obblighi da parte dello stato e della comunità internazionale. • Il paradigma stato-centrico sostiene la centralità della comunità politica come orizzonte morale appropriato per la discussione e la definizione dei problemi di distribuzione delle risorse; • Il modello cosmopolitico difende la possibilità di individuare dei principi di giustizia distributiva globale. = Nulla nel quadro degli strumenti internazionali consente di porre i diritti sociali in una posizione gerarchica inferiore ai diritti civili, se non la previsione di misure di garanzia meno cogenti rispetto a quelle associate a questi ultimi. L’impegno degli stati nella garanzia dei diritti sociali è qualcosa che il diritto internazionale non si mostra ancora in grado di esigere e l’impegno della comunità internazionale verso la garanzia minimale di tali diritti nei paesi poveri è totalmente affidati agli strumenti della cooperazione. (I paesi maggiormente impegnati nella promozione dei diritti umani sono anche più interessati ai diritti civili e politici). Nonostante molte costituzioni (es. Italia) siano attente anche alle istanze dell’eguaglianza sostanziale, i diritti sociali hanno ricevuto per moltissimo tempo uno scarsissimo impulso sul piano della loro internazionalizzazione. La posizione della comunità internazionale muta con la Dichiarazione di Vienna del 1993, nella quale si sancisce il principio della universalità, indivisibilità, interdipendenza ed interconnessione dei diritti umani. Questo principio fonda l’obbligo di trattare i diritti umani in modo globale ponendoli tutti su un piano di parità e valorizzandoli allo stesso modo. Sotto il profilo della giustificazione filosofica, le teorie odierne più attente al tema della giustizia distributiva globale riconducono il mancato raggiungimento del livello essenziale nelle prestazioni relative ai diritti sociali alla violazione del diritto alla sussistenza. L’adesione alla prospettiva della giustizia distributiva globale, unita all’approccio del contenuto minimo dei diritti porta a respingere una lettura dei diritti umani che va in questi ultimi anni diffondendosi con forza: la concezione minimalista dei diritti. La concezione affronta al medesimo tempo due problemi distinti: 1. Il problema dell’inflazione dei diritti; 2. Il problema delle vie da seguire per l’universalizzazione dei diritti umani. Il minimalismo sembra costruirsi su di un originario errore di valutazione: i diritti sui quali il conflitto risulta più acceso in termini di giustificazione non sono i diritti sociali bensì i diritti civili. A differenza dei diritti civili, i diritti sociali sollevano difficoltà rispetto agli strumenti ed alle modalità di garanzia. L’attuazione dei rapporti tra ordinamenti giuridici degli stati membri e ordinamento comunitario. Tali principi sono i principi di autonomia, primazia ed effetto diretto dell’ordinamento comunitario rispetto agli ordinamenti degli stati membri. L’ordinamento giuridico si configura come dotato di fonti autonome, composto di norme che, in caso di conflitto con norme interne agli stati membri prevalgono su queste ultime, che debbono essere dal giudice disapplicate, e che entrano in vigore direttamente. La forte capacità di penetrazione entro gli ordinamenti nazionali posseduta dalle norme comunitarie solleva progressivamente il problema del rapporto tra norme comunitarie e diritti fondamentali previsti dall’ordine costituzionale interno agli stati e non permette di escludere la possibilità dell’ingresso, negli ordinamenti statali, di norme comunitarie in contrasto con tali diritti. L’organo competente per la garanzia del diritto comunitario è la ECJ. Le fonti dei diritti umani sono dalla ECJ individuate nei principi generali dell’ordinamento comunitario e nelle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, una fonte giuridica di nuova identificazione. A partire dal 1992, con il Trattato di Maastricht, queste stesse fonti risultano riconosciute e così codificate, con l’aggiunta del riferimento alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nel diritto comunitario originario. Sono due le peculiarità che contraddistinguono la nascita e l’attuale struttura della protezione dei diritti umani a livello comunitario: 1. La centralità del ruolo svolto dalla giurisprudenza della ECJ; 2. L’apertura tra ordinamento comunitario, ordinamenti interni ed ordinamento internazionale. L’ordine europeo sarebbe un ordine costituzionale, in quanto risultato dell’interazione tra diversi ordinamenti giuridici. L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha chiuso l’incerto tentativo di elaborare una Costituzione per l’UE, avviato con il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma nel 2004, ma mai ratificato. Il Trattato di Lisbona è stato individuato come fonte di un “costituzionalismo multilivello in azione” e il processo di integrazione europea qualificato come una “rivoluzione cosmopolitica silente” che ha trasformato gli stati membri anziché costruire uno stato sovranazionale. La Carta dei diritti fondamentali dell’UE contiene uno sforzo di globalità, attingendo a tradizioni costituzionali comuni degli stati membri, fonti internazionali, trattati comunitari. In varie occasioni sono state sottolineate alcune difficoltà legate alla struttura atipica del documento e alla formulazione di alcuni diritti o principi meno accurata rispetto ad altre carte costituzionali. Alla luce della clausola della miglior tutela, in base alla quale nessuna disposizione della carta “deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la comunità o tutti gli stati membri sono parti contraenti, in particolare la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli stati membri”, essa è destinata a costituire un punto di riferimento particolarmente pregnante per i paesi membri dalla tradizione costituzionale più recente. Con il superamento della fase della tutela pretoria dei diritti fondamentali, a partire dal 1992, l’esigenza della formalizzazione dei rapporti tra corti interne e Corte di Giustizia e tra quest’ultima e la Corte europea per i diritti umani, risulta acuito. A seconda della teoria del rapporto tra legislazione e giurisdizione cui si aderisca, il momento interpretativo apparirà, nell’analisi dell’evoluzione dei molteplici sistemi di tutela dei diritti, come il principale pericolo oppure come una possibile risorsa. Capitolo terzo – APPROCCI TEORICI AL DIRITTO INTERNAZIONALE: PREMESSE E PROSPETTIVE 1. Introduzione: La teoria giuridica non ha dedicato al diritto internazionale uno spazio sistematico eppure ogni presa di posizione intorno ai diritti umani presuppone una specifica visione o concezione del diritto internazionale. Non è possibile intendere il percorso di internazionalizzazione dei diritti umani senza disporre anche di uno strumentario concettuale capace di cogliere le trasformazioni del diritto internazionale necessarie al processo. Solo con un graduale mutamento del ruolo attribuito al diritto internazionale con il secondo Dopoguerra e con la Carta delle NU può aprirsi la possibilità per l’internazionalizzazione dei diritti umani. La progressiva affermazione dei diritti umani a livello internazionale è a sua volta un fattore propulsivo per il cambiamento del diritto internazionale. Non è possibile leggere le trasformazioni del diritto internazionale senza muovere una concezione del diritto internazionale. È necessario spiegare la natura giuridica e le caratteristiche delle norme internazionali. Si noti che la frequente scarsa effettività del diritto interno non è stata un motivo per mettere in questione la natura giuridica delle norme che lo compongono; nel caso del diritto internazionale, le caratteristiche dei soggetti e delle norme hanno immediatamente condotto a porre la “questione ontologica”, ovvero la domanda se tali norme fossero da considerare propriamente giuridiche. Le varie posizioni sviluppate rispetto alla natura delle norme emergenti nella sfera internazionale comprendono una gamma che va: a. Dalle posizioni che negano la natura propriamente giuridica delle norme internazionali; b. Agli idealisti che difendono la giuridicità del diritto internazionale; c. Ai riformisti che sottolineano i passi ancora da compiere per il diritto internazionale verso una piena realizzazione al suo interno del principio di legalità; d. Fino ai critici che riconoscono alle norme internazionali natura giuridica, ma ne denunciano il potenziale discriminatorio. È importante spiegare anche il ruolo del diritto internazionale nella più ampia e complessa realtà del sistema internazionale, che include il riferimento alla politica ed all’economia, e il rapporto che il diritto internazionale intrattiene con la possibilità di un ordine internazionale. Il ragionamento nel diritto internazionale è una mediazione: dimensione pragmatica del contesto politico interpretazione di norme date formulazione di nuove prescrizioni. L’obiettivo dell’analisi consiste nell’individuare gli elementi da portare all’attenzione di una teoria del diritto internazionale che sappia tenere insieme l’idea del diritto come sistema di norme e l’idea del diritto come processo = coniugare analisi teorico-giuridica e analisi policy-oriented. 2. Teoria delle norme, dell’ordinamento giuridico e concezioni del diritto internazionale: Il compito della teoria generale del diritto è l’identificazione delle caratteristiche del diritto = l’elaborazione dei criteri alla luce dei quali distinguere il diritto dal non-diritto attraverso il riferimento alle norme e all’ordinamento. La gradualità del percorso di internazionalizzazione dei diritti umani si spiega anche con le difficoltà di concettualizzazione stessa del diritto internazionale. Il perseguimento degli obiettivi prefissati dalla Carta delle NU ha comportato un costante confronto con una radicata concezione del diritto internazionale tendente a qualificare quest’ultimo come una sorta di pseudo-ordinamento giuridico. Il diritto internazionale è definito tradizionalmente come insieme di norme primarie frutto della volontà degli stati, che ad esse affidano la regolazione di materie residuali rispetto alla sfera di esercizio della sovranità interna. La premessa metodologica si muove dal presupposto che la società internazionale dovrebbe riproporre una struttura analoga a quella dello stato. Il mancato riscontro di tale requisito conduce a ravvisare in essa il carattere dell’anarchia. Prospettiva di HEBERT HART → diritto interno e diritto internazionale presentano delle analogie quanto a funzione e contenuto, ma non nella struttura, presentandosi l’ordinamento internazionale privo di un livello normativo relativo alle norme che conferiscono poteri. Fra le norme internazionali non ci sarebbero norme aventi la struttura delle norme secondarie, e quindi nemmeno delle norme di riconoscimento, necessarie per fondare la validità delle norme che impongono obblighi. Quindi le norme internazionali non costituiscono un ordinamento giudico in senso proprio, ma possono essere strutturabili come ordinamento solo a partire dalla loro connessione con gli ordinamenti interni e con volontà statale. Prospettiva di HANS KELSEN → difende la prospettiva monistica sul rapporto tra ordinamenti interni e ordinamento internazionale; difende la giurisdizione internazionale rispetto alla quale si propone di introdurre il principio della obbligatorietà, come elemento fondamentale per il rafforzamento del diritto internazionale e per la creazione di un sistema di rapporti inter-statali improntato sulla pace; assegna alla funzione giurisdizionale un ruolo di primo piano nell’adattamento della comunità internazionale ai fondamentali principi di giustizia che dovrebbero consentire al suo interno la pace e il rispetto dei diritti umani essenziali. = Regolano l’applicazione delle norme primarieIdentificano le norme primarie valideCo sent a trasformazion e la creazione delle norme primarie HART e KELSEN convergono nel ritenere che l’ordinamento internazionale si trovi ad uno stadio di evoluzione meno avanzato rispetto a quelli interni. HART non esclude che vi potrà essere un avanzamento capace di rendere il diritto internazionale del tutto analogo nella struttura al diritto interno; KELSEN ne è convinto. Sulla base di quanto stabilito dall’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, le fonti del diritto internazionale sono costituite da: a. NORME PATTIZIE; b. NORME CONSUETUDINARIE; c. PRINCIPI GENERALI RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI; d. GIURISPRUDENZA DELLA ICJ. ① Assenza di un foro produttivo centrale dotato di natura rappresentativa = carattere acefalo del diritto internazionale pattizio. Gli obblighi internazionali sono obblighi che legano che si situano in una posizione paritaria (orizzontale). Questa caratteristica è alla base della specifica strategia di qualificazione delle norme internazionali = carattere giuridico se frutto del consenso e della volontà statale. Questo non vale per il diritto internazionale consuetudinario (ha validità erga omnes quindi non sottoposto alla legittimazione della volontà statale). ② Caratteristica dell’ordinamento internazionale è la consensualità (non obbligatoria) della giurisdizione internazionale. 2 4 6 2 un’altra caratteristica dell’ordinamento internazionale riguarda la giurisdizione e la carenza di esecutività delle sentenze internazionali come cause di indebolimento della forza coattiva del diritto internazionale nel suo complesso. Per quanto riguarda il diritto consuetudinario internazionale, si tratta di diritto internazionale generale e valido erga omnes, che pone delle difficoltà sul piano di rapporti tra elementi giuridici ed elementi politici nella legittimazione delle norme. Le difficoltà emergono sul terreno della giustizia internazionale in relazione alle norme imperative. L’identificazione delle norme imperative trova il principale punto di riferimento nell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati – 1969: una norma imperativa del diritto internazionale generale è “una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli stati nel suo insieme come norma non modificabile che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente il medesimo carattere”. I criteri identificativi di una norma ius cogens sono l’accettazione ed il riconoscimento da parte della comunità internazionale nel suo insieme come norma inderogabile. L’individuazione del contenuto concreto e delle materie regolabili con norme imperative è rinviata al momento giurisdizionale. Le difficoltà legate alla precisazione del contenuto sono esemplificate dalle difficoltà incontrate dal diritto internazionale tout court, in quanto diritto che deve potersi imporre agli stati, senza però poter prescindere dal consenso degli stati medesimi. L’ordinamento internazionale viene rappresentato come un ordine dinamico e le norme di ius cogens sono presentate come strumentali alla difesa di valori fondamentali della comunità internazionale, mutevoli e revocabili sulla base della coscienza sociale maturata entro gli stati. La materia dello ius cogens dovrebbe investire sia interessi e valori comuni alla comunità internazionale sia specifici interessi di soggetti incapaci di proteggersi dagli stati. Lo ius cogens può concorrere alla almeno parziale verticalizzazione dell’ordinamento internazionale ed all’introduzione in esso della nozione di illegalità oggettiva. Qualsiasi stato della comunità internazionale potrebbe invocare la nullità di una norma internazionale in contrasto con norme imperative. Va segnalato il crescente ruolo riservato, in sede giurisdizionale, ai principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili. Dall’idea in base alla quale per “principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili” sarebbero da intendersi i principi accettati in foro domestico da tutti gli stati, si è passati a diverse soluzioni interpretative compatibili con la natura compromissoria dell’art. 38 dello statuto della ICJ. I principi generali sono considerati come originariamente propri dell’ordinamento internazionale. Nella misura in cui alle caratteristiche del diritto internazionale sia attribuita una valenza rigorosamente strutturale, esse non potranno meramente ricondursi ad un carattere presuntivamente meno evoluto dell’ordinamento internazionale. La centralizzazione della funzione legislativa in ambito internazionale è un processo che è in corso per alcune materie specifiche, in particolare per la codificazione dei diritti umani e dei crimini internazionali o per quanto attiene ad alcuni aspetti del diritto del commercio. 3. Il ruolo del diritto internazionale nel sistema internazionale: principali approcci giusfilosofici: nell’ordinamento internazionale. Questo ruolo è all’origine della crescente “pluralizzazione ratione personae” del diritto internazionale, consistente in una estensione della funzione normativa a soggetti privati e a modalità informali. Altre forme di pluralizzazione riguardano una diversificazione degli strumenti di produzione normativa. b. La complessità della nozione di comunità internazionale. La definizione di comunità internazionale dice che ogni concetto di diritto internazionale è basato si un certo modo di intendere la struttura sociale a cui il diritto internazionale si applica. La comunità internazionale non ha soggettività giuridica nel diritto internazionale. Si può sostenere che la comunità internazionale coincida sia con una comunità di stai sia con una comunità di individui e gruppi. Essa si configura secondo una struttura multilivello, attraverso mutevoli intersezioni tra comunità e individui. Per questo è affermato che il concetto di comunità internazionale sia strutturalmente inclusivo nei confronti degli attori non-statali. L’idea di comunità internazionale è reputata esprimere un insieme di regole, procedure e meccanismi designati per proteggere gli interessi collettivi del genere umano basati su di una percezione di valori condivisi. La concezione del diritto internazionale che appare maggiormente in grado di dare spazio a questa idea di comunità internazionale è quella cosmopolitica. c. Teoria delle fonti e concezioni del diritto internazionale. L’emersione della categoria di attori del diritto internazionale, la complessità propria della nozione di comunità internazionale e i mutamenti nelle competenze e nel ruolo svolto dal diritto internazionale dovrebbero retroagire anche sulla comprensione della natura del diritto internazionale e delle sue fonti. Si sottolinea che l’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia non contiene la parola ‘fonte’ al proprio interno. 6. Diritti umani e rule of international law: La possibilità di sostenere che i diritti umani contengano un collegamento strutturale con la giustizia internazionale è condizionata dall’idea di diritto internazionale ed al modello delle relazioni internazionali accolti. Risulta subordinata alle seguenti tesi: a. L’anarchia non rappresenta la chiave di lettura delle relazioni internazionali; b. Il carattere decentrato del diritto internazionale è strutturale, vi deve essere la consapevolezza che ogni lettura del diritto internazionale comporta precise assunzioni intorno al concetto di diritto tout court, va contrastata la tendenza allo stato-centrismo metodologico; c. La modellizzazione del diritto internazionale dovrebbe avvenire secondo un paradigma che integri il modello di Westfalia ed il modello della Carta delle NU. Per quanto riguarda le fonti, gli aspetti che oggi sono oggetto di indagine sono l’essenza di una gerarchia preordinata fra le norme internazionali. Esse sembrano evolvere e strutturarsi in più direzioni, dando luogo anche a regimi non sempre armonicamente riconducibili ai principi comuni. La stessa verticalizzazione mediante lo sviluppo delle norme ius cogens sembra non riuscire a superare le difficoltà della struttura decentrata del diritto internazionale e contribuire alla sua frammentazione. Per quanto riguarda la giurisdizione, le difficoltà derivano da una tendenziale apertura delle norme internazionali e dalla conseguente centralità acquisita dalla decisione giudiziale, a tal punto da indurre a denunciare una sorta di “giurisdizionalizzazione del diritto internazionale”. HANS KELSEN: teorico del diritto che per primo ha argomentato a favore della centralità della giurisdizione internazionale come strumento per la piena affermazione del diritto internazionale e per la soluzione giuridica delle controversie fra gli stati. I problemi di legittimazione che investono la giurisdizione internazionale emergono nelle sue tesi. La difesa della centralità del ruolo del diritto per la costruzione di un ordine internazionale retto sulla pace è condotta attraverso: a. La critica alla tesi della subordinazione della centralizzazione giurisdizionale alla centralizzazione della produzione giuridica; b. La destituzione di fondamento della distinzione tra conflitti politici e conflitti giuridici tra gli stati. Kelsen nega che sia corretto far derivare dalla sovranità dello stato le tesi secondo le quali nessuno stato può essere giuridicamente vincolato senza o contro la propria volontà. La prospettiva kelseniana elude principalmente le questioni aperte derivanti dalla specifica natura delle norme del diritto internazionale dei diritti umani. Esse hanno tendenzialmente un carattere non sinallagmatico (non producono obblighi) e stabiliscono principi di sistema. Se la definizione della sovranità esterna nei termini di indipendenza giuridica dello stato dagli altri stati consente effettivamente di impostare su nuove basi l’analisi del rapporto fra diritto internazionale e sovranità statuale a garanzia di un’applicazione imparziale delle norme del diritto internazionale, non risulta sufficiente l’appello alla validità delle norme internazionali in quanto semplicemente esistenti entro un ordinamento giuridico. Anche se la corte internazionale non costituisce la stretta applicazione di una norma giuridica preesistente, si suppone che essa sia fondata almeno su un principio di diritto, cioè su una norma che dovrebbe diventare diritto e che realmente diventa diritto positivo per il caso regolato dalla particolare decisione giudiziale. Kelsen introduce l’idea che la sottoposizione al diritto, come corpo di norme che cambia lentamente e costantemente, è compatibile con il principio dell’eguaglianza sovrana, poiché è solo questo diritto che garantisce la coesistenza degli stati in quanto comunità sovrane ed eguali. Un buon terreno d’indagine per evidenziare la problematicità del dato positivo in materia di tutela dei diritti umani è rappresentato dai problemi legati alla concettualizzazione delle norme dello ius cogens. Dall’esistenza delle norme dello ius cogens nel diritto internazionale si è soliti trarre una prova del declino della sovranità esterna degli stati: le norme di ius cogens e gli obblighi erga omnes sono usualmente considerati la prova dell’esistenza di un ordine pubblico internazionale che oltrepassi il carattere contrattualistico del diritto internazionale. Si ritiene che la semplice esistenza di atti internazionali in materia di diritti umani o l’esistenza stessa delle norme imperative del diritto internazionale decretino il tramonto della sovranità esterna degli stati. Le tesi di Kelsen costituiscono una risposta solo parziale alla critica rivolta al globalismo giuridico. Il globalismo giuridico risente dei difetti di legittimazione del diritto internazionale, costituisce una forma di imperialismo e non risentono i principi giuridici dello stato di diritto. L’attività delle corti internazionali non può essere legittimata, perché incapace di formulare giudizi davvero imparziali, rimanendo condizionata da interessi politici particolaristici. La civitas maxima, intesa come luogo ideale della ragione in cui dovrebbero convergere una morale universale, un diritto universale e uno stato globale è illusoria e ingannevole, perché i valori e i principi veicolati attraverso le norme e le istituzioni internazionali sono quelli in realtà validi solo per l’occidente. Si propone come alternativa all’approccio kelseniano una teoria “impura” del diritto internazionale: impura perché al suo interno la spinta verso l’affermazione di una legalità internazionale è considerata come indisgiungibile dalla trama degli interessi legati al potere politico degli stati. La teoria impura del diritto internazionale si accompagna al relativismo etico, dando origine ad una concezione non oggettivistica, pluralistica e policentrica, ovvero non monistica e non gerarchica. In una situazione di elevata complessità e di turbolenza delle variabili ambientali, è più prudente convivere con un grado anche molto elevato di disordine, piuttosto che tentare di imporre un ordine perfetto. L’abbandono del programma insieme illusorio e mistificatorio della civitas maxima in nome di un potenziamento del pluralismo policentrico è ritenuto un modo per valorizzare, nell’ordine internazionale, l’integrità e l’autonomia delle culture. Da una parte si giudica indispensabile ogni tentativo di emancipare il diritto dalla politica, dall’altra si contesta la legittimità delle istituzioni internazionali, proprio perché sarebbero condizionate da interessi politici. La critica non sarebbe in contraddizione con le premesse da cui parte solo qualora puntasse ad un totale rifiuto del diritto internazionale e non solo ad una sua concettualizzazione in termini di ordine minimo. A partire da un impianto realista è evidente che qualsiasi discorso intorno alla giustizia dell’ordine internazionale è precluso in partenza. Al fine di pervenire ad una legittimazione dell’importante ruolo svolto dalla giurisdizione internazionale, un ruolo tale che da più parti conduce ad individuare una sorta di “giurisdizionalizzazione del diritto internazionale” è opportuno insistere su due aspetti: a. Il carattere complementare della giurisdizione internazionale rispetto a quella interna; b. La contiguità della giurisdizione internazionale con i principi dello stato di diritto più che con i principi riconducibili alla democrazia. Il perseguimento della tutela dei diritti umani per via principalmente giurisdizionale dovrebbe oggi considerarsi come uno dei tratti irrinunciabili di un modello di stato di diritto valido sul piano internazionale e in grado di concorrere alla realizzazione della giustizia internazionale. Vi sono buone ragioni per sostenere che i diritti umani abbiano svolto un ruolo centrale nel consolidamento degli stati costituzionali anche sul piano interno, sempre per effetto di quella compenetrazione degli ordinamenti che si attua nel momento giurisdizionale. Si può ritenere anche che i diritti umani possano e dovrebbero costituire la chiave di volta per rendere l’ordine internazionale compatibile con parametri associabili al rule of law. L’analisi del processo di positivizzazione dei diritti umani a livello internazionale permette di evidenziare precisamente nel fenomeno dell’interrelazione tra le fonti il principale meccanismo attuativo dell’internazionalizzazione. Il tema del rapporto tra diritti umani e giustizia tocca il più ampio e fondamentale terreno del rapporto tra diritto e giustizia. Se alcune esigenze incorporate nel diritto possono ritenersi condivise anche sul piano internazionale, è più difficile l’individuazione del contenuto dei principi di giustizia e conseguentemente l’accordo intorno ad essi. Uno dei momenti-chiave nel processo di interazione tra differenti livelli normativi è rappresentato dall’attività giurisdizionale. L’interazione passa anche attraverso forme di comunicazione informali, quali la conoscenza delle sentenze emesse da corti di altri paesi o da corti internazionali. Il dialogo fra le corti sarebbe il nucleo decisivo per la formazione di una sorta di comunità giuridica globale, incardinata su 3 punti: a. La condivisione di valori e principi giuridici; b. La difesa dell’autonomia di tali principi dalla sfera politica; c. Il rispetto delle differenze persistenti tra culture giuridiche. Non si dovrebbe escludere che persino i meccanismi di transnazionalizzazione possiedano potenzialità in grado di aumentare le possibilità di garanzia dei diritti. 7. Diritti umani e democrazia: Il rapporto tra diritti umani e democrazia non si presenta lineare neppure a livello internazionale. L’idea di democrazia applicabile all’ordine internazionale è stata essenzialmente concepita secondo 3 paradigmi: 1. Come insieme di caratteristiche riferibili ai rapporti internazionali in quanto proiezione di caratteristiche delle istituzioni interne agli Stati – DEMOCRAZIA INTERNAZIONALE IN SENSO STRETTO; 2. Come insieme di caratteristiche proprie di un ordine internazionale che si costruisce quale rete di rapporti interindividuali su scala globale – DEMOCRAZIA GLOBALE; 3. Come insieme di caratteristiche per le istituzioni e l’ordine internazionale in quanto tali, a prescindere dall’organizzazione interna degli stati – DEMOCRAZIA DELLE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI. Nella valutazione di norme e istituzioni a livello interno, accanto al parametro della legittimità democratica bisogna considerare anche quello della “legittimità cosmopolitica” ovvero la loro capacità di tenere conto degli interessi della Comunità internazionale. JOHN RAWLS: filosofo statunitense che, nella propria teoria contrattualistica della giustizia internazionale, identifica il contenuto di quest’ultima con il contenuto della “ legge dei popoli”, un insieme di 8 principi idonei ad orientare i rapporti tra le società domestiche, improntandoli alla pace e alla stabilità. Peculiare è: • Il carattere essenziale; • Il fatto che possano risultare condivisi e giustificati da società le cui istituzioni non siano necessariamente strutturate in senso liberal-democratico purché rispettino i criteri della decenza. Società decenti = società prive di mire aggressive, dotate di un sistema giuridico ispirato ad un’idea di giustizia come bene comune, dotate di un’organizzazione giuridica capace di imporre diritti e doveri e tutti i membri e di garantirne i diritti umani (vita, libertà, proprietà, eguaglianza formale). Le caratteristiche delle società domestiche condizionano a priori il tipo di rapporto che risulta raggiungibile nella sfera internazionale e la giustificazione dei principi ispiratori di tale rapporto. Anche l’idea di diritti umani si configura in termini minimali. Rawls riduce il catalogo dei diritti umani al fine di accrescere le possibilità di contesto intorno alla loro giustificazione, oltre i confini della cultura politica liberale e le possibilità di garanzia. Il rischio che si vuole evitare è quello dell’etnocentrismo = evitare la costruzione di un catalogo dei diritti che si radichi entro il punto di vista della cultura politica liberale. • Totale rinuncia alla concezione individualistica: i diritti umani sono strumento per la coesistenza pacifica all’interno della società e tra società = TEORIA FUNZIONALE DEI DIRITTI: i diritti umani sono quegli standard la cui violazione giustifica l’interferenza della comunità internazionale negli affari interni di uno stato e il cui rispetto permette di qualificare una società domestica come almeno “decente”. JOSEPH RAZ: i diritti umani sono quei diritti in relazione ai quali le misure che limitano la sovranità sono moralmente giustificate e impongono gli unici limiti morali alla sovranità. I diritti umani non hanno nulla a che vedere con la democrazia, che resta un’ideale perseguibile esclusivamente a livello interno. Nella prospettiva del cosmopolitismo, l’obiettivo è una società internazionale altamente complessa, in cui le istituzioni statali e sociali convivano con istituzioni cosmopolitiche, prescindendo dalla costruzione di un centro di governo unitario. Si tratta di una specifica visione del diritto internazionale che si muove dalla contestazione del modello di Westfalia, ritenuto idoneo a cogliere le esigenze di democratizzazione del mondo contemporaneo. Come alternativa si propone un’articolazione delle istituzioni ispirata al criterio dell’interdipendenza tra arena politica nazionale e arena politica internazionale. La società internazionale è concettualmente rappresentabile nei termini di un insieme di entità sovrane ma interdipendenti, la cui convivenza è regolata dal diritto internazionale e dalla diplomazia, e che nel diritto internazionale possono progressivamente rivenire indicazioni circa interessi propri della comunità internazionale in quanto tale. Proprio la natura composita e derivata della società internazionale non può non ostacolare una verticalizzazione completa del diritto internazionale che voglia essere legittima. Capitolo quarto – L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI DIRITTI NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE 1. Introduzione: I diritti umani sono visti come un elemento-chiave: • della GLOBALIZZAZIONE DALL’ALTO: quando si assumono come dotati di un contenuto e di una validità dati e sempre già universali; • della GLOBALIZZAZIONE DAL BASSO: quando si riconosce l’universalità potenziale e il radicamento entro specifici contesti, nell’ottica di un processo di emancipazione implicante l’affermazione di principi universalizzati. L’idea di universalità dei diritti e dei principi di giustizia risulta come già data, intrinseca non solo al concetto di diritti umani ma anche alle concretizzazioni. Da un altro punto di vista, i diritti umani sono il frutto della convergenza delle varie culture giuridiche intorno ad un nucleo irrinunciabile di principi, che va assumendo concretezza attraverso molteplici processi di tipo giuridico, politico e sociale. 2. La nozione di globalizzazione: Il concetto di Globalizzazione si presenta come un concetto dal significato fortemente indeterminato perché la categoria è idonea a sintetizzare alcuni fondamentali aspetti innovativi dell’organizzazione sociale, politica e giuridica attuale che potrebbero altrimenti sfuggire o non ricevere il giusto peso. L’idea di globalizzazione costringe a considerare seriamente l’interdipendenza, quale dato imprescindibile di realtà, riguardante la sfera politica, economica, socioculturale e giuridica. Non esiste una definizione di globalizzazione che sia un’unanimemente accettata né esaustiva : il termine rinvia ad un fenomeno multidimensionale, il cui tratto principale è quello economico, ma che va sempre più manifestando importanti conseguenze sul terreno delle interazioni sociali, delle istituzioni politiche e del diritto. In generale la globalizzazione è intesa come un complesso insieme di processi legati: a. alla contrazione del mondo, al rapido abbattimento delle distanze e della loro rappresentazione sociale, reso possibile dallo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, dall’imponente riduzione dei tempi e dei costi dei trasporti e delle comunicazioni, nonché dalla riduzione delle barriere nella circolazione dei beni, dei servizi e dei capitali; b. all’intensificarsi dell’interdipendenza, determinata dalla compressione spazio-temporale, per effetto della quale eventi lontani nello spazio possono avere ricadute a livello locale, e viceversa; L’effetto più generale della globalizzazione sarebbe quello di attenuare il rilievo dello spazio territoriale e ridisegnare i confini del mondo senza abbatterli. c. Alla conseguente circolazione su scala globale di modelli culturali. Il termine globalizzazione denota una vera e propria trasformazione nella scala dell’organizzazione della società prima che degli stati. Le analisi della globalizzazione sono diversificate a seconda del livello di intensità da esse riconosciuto a tali innovazioni. Considerata come fenomeno essenzialmente economico, la globalizzazione si esprime nella delocalizzazione delle funzioni produttive da parte delle imprese, nell’intensificarsi dell’integrazione fra i mercati, nella globalizzazione dei flussi finanziari. • Sotto il profilo giuridico, è stato osservato che il progetto di personalizzazione del diritto cede il passo ad un quadro in cui la giuridicità si rivela sempre più dipendente dai soggetti. Oggi gli stati risultano indeboliti, la loro sovranità deve essere ristrutturata in relazione ad una distribuzione meno lineare e più articolata delle competenze. • La globalizzazione incide sulla crisi della sovranità, già in atto per effetto di altre spinte (esplosione dei particolarismi interni e crescente sottrazione allo stato di quote di sovranità esterna in alcune materie fondamentali). • Gli effetti della globalizzazione riguardano il mutamento del rapporto tra diritto e territorialità a favore del rapporto tra diritto e spazialità: il passaggio allo stato moderno avviene con la monopolizzazione della produzione del diritto. Sono 3 i livelli da considerare quando si analizzano gli effetti della globalizzazione: 1. Il modo in cui i processi di interconnessione economica, politica, giuridica e militare stanno mutando la natura, la sfera di azione e la capacità di operare dello stato dall’alto, via via che la sua capacità regolativa viene ridotta o modificata; 2. Il modo in cui gruppi, movimenti e nazionalismi locali e regionali vanno contestando lo stato- nazione dal basso; 3. Il modo in cui l’interconnessione globale crea catene di decisioni ed esiti politici fra gli stati e i loro cittadini. Sul piano della valutazione del fenomeno, sono3 le principali prospettive sulla globalizzazione: 1. OPPOSITORI; 2. FAUTORI; 3. La globalizzazione sta ridefinendo il potere, le funzioni e l’autorità dei governi nazionali, effetti sia positivi che negativi. I fenomeni riconducibili alla globalizzazione si configurano secondo dinamiche segnate da un’ambiguità di fondo = con la globalizzazione il legame esclusivo tra territorio e potere politico si è spezzato, favorendo il diffondersi di un sistema di livelli multipli di governance. La globalizzazione induce in certa misura anche a nuove forme di frammentazione giuridica, che incidono sul diritto internazionale e concorre a creare nuove forme di diseguaglianza. Viene frequentemente sottolineato come, sotto il profilo sociologico, anche l’individuo nell’età della globalizzazione sia de-localizzato, ovvero venga separato dai contesti di appartenenza e proiettato in un universo sempre più grande ma incapace di restituirgli un’identità. La globalizzazione dall’alto mina i postulati della sovranità, senza estendere veramente il senso di comunità. Determina una cittadinanza cosmopolitica per le élite del mondo, ma si tratta di una cittadinanza fondata su consuetudini indotte dal mercato e dai mass-media. Risulta evidente come la globalizzazione abbia acuito, sotto il profilo della distribuzione della ricchezza, il divario tra paesi ricchi e paesi poveri. A differenza degli altri processi di trasformazione del diritto attualmente in corso, la globalizzazione non consente di escludere gli scenari provocati dalla drastica evaporazione della sovranità statale. Il rapporto tra globalizzazione e diritti risulta complesso. In un quadro in cui il diritto interno tende ad organizzarsi secondo logiche plurali, il diritto internazionale non può strutturalmente mirare ad acquisire una forma rigidamente gerarchica e centralizzata. In questo senso si deve tenere conto dell’importanza del diritto internazionale anche rispetto alla difesa dei diritti umani. Una delle più significative conseguenze prodotte dalla globalizzazione sul sistema internazionale è l’impossibilità di continuare a leggere quest’ultimo sulla base di una logica binaria: anarchia o gerarchia; ordine o disordine; interno o esterno. La dimensione della spazialità può contribuire all’emergere di una società civile globale = la globalizzazione può condurre al superamento dell’interpretazione nazionalistica dei diritti umani. Il passaggio dallo stato di diritto allo stato costituzionale di diritto cominciò ad indicare nei diritti il fondamento di legittimazione dello stato e della costituzione medesima. Con il processo di costituzionalizzazione i diritti umani ricevono piena positività, ma la loro universalità viene ridotta dalla connessione che di fatto vengono ad intrattenere con la condizione della cittadinanza. La componente costituzionale della democrazia rinvia a uno spazio transnazionale in materia di diritti. L’intensificazione dell’interdipendenza che rappresenta la cifra essenziale della globalizzazione potrebbe oggi essere utilizzata per fornire un impulso decisivo all’internazionalizzazione dei diritti. 3. Attori non statali e diritti umani: il ruolo delle imprese transnazionali a) L’emersione delle imprese transnazionali come attori del diritto internazionale: Uno degli effetti più significativi della globalizzazione economica sul diritto si lega al ruolo crescente assunto dagli attori privati operanti in ambito economico. Le imprese transnazionali – TNCs, hanno acquisito margini crescenti di libertà di movimento tra gli ordinamenti giuridici e la capacità di influire sulla formazione stessa delle norme giuridiche, entro lo spazio rappresentato dal diritto transnazionale. Le imprese assumono la caratteristica di imprese transnazionali quando: • La loro attività è in rado di toccare individui, comunità o ambiente non solo nello stato di appartenenza ma anche nei paesi ospitanti; • La loro dimensione economica ed organizzativa le porta ad interagire con i governi. Hanno un potere quasi politico: • Potere strumentale: capacità di influenzare i fini della decisione politica e dell’attività regolativa; • Potere strutturale: passivo, capacità di influenzare l’input delle decisioni politiche; attivo, produzione normativa; • Potere persuasivo: potere di influenzare le policies e il processo politico dando forma a norme e idee. Questo ha indotto il diritto internazionale a strutturare dei percorsi di responsabilizzazione indiretta e diretta, delle imprese verso i diritti umani. Il legame fra impresa controllante e imprese controllate, nella struttura holding, ha natura fattuale e non emerge sotto il profilo formale, con conseguente difficoltà in sede di riscontro delle responsabilità in caso di violazione dei diritti. Le corporations si sono segnalate per avere imposto condizioni di lavoro inumane, per aver sfruttato il lavoro minorile, per avere causato ingenti danni ambientali, per aver concorso con i governi locali a forme di maltrattamento di popolazioni indigene, per aver avuto parte in episodi di corruzione. Con riferimento all’ordinamento internazionale, buona parte della discussione su questo tema dipende dal significato conferito al concetto di effetto orizzontale dei diritti: può indicare l’applicabilità ai rapporti tra privati delle norme relative ai diritti, ma anche l’azionabilità in giudizio di tali norme fra soggetti privati. • Art. 30 – Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; • Art. 2 (3)(a) – Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici; • Art. 13 – Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali. Due possibili approcci: 1. Il principio per cui la protezione internazionale degli individui dagli atti privati che minacciano i loro diritti costituisce un obbligo internazionale dello stato; 2. La distinzione fra atti pubblici e atti privati può essere difficilmente tracciabile ed esclude la sfera privata dalla competenza del diritto internazionale dei diritti umani, in un’epoca segnata dalla crescente importanza degli attori privati transnazionali, portando a notevoli svantaggi per le vittime della violazione dei diritti commesse da attori privati. Secondo il rapporto fra responsabilità e personalità giuridica delle imprese, 3 tesi: 1. Negazione della possibilità di ascrivere responsabilità in ragione dell’assenza di personalità giuridica; 2. Ammissione dell’ascrivibilità della responsabilità per atti di violazione dei diritti umani alle imprese; 3. Indebolimento del contenuto della nozione di personalità giuridica. Un altro problema è rappresentato dai criteri da seguire per la definizione della responsabilità nel caso di gruppi di società aventi la forma holding, ovvero dove una società ha il ruolo di capogruppo rispetto ad altre e dove la responsabilità per la violazione dei diritti umani potrebbe risultare di difficile attribuzione. Ogni società del gruppo nei confronti di terzi è un soggetto di diritti distinto; ciò rende massimo il beneficio della responsabilità limitata. Il rischio di impunità rispetto a violazioni dei diritti umani commesse da imprese transnazionali che si diano la forma del gruppo di società può essere specifico ed elevato. Al principio della separazione giuridica fra controllante e controllate si va, a livello di ordinamento comunitario, contrapponendo l’enterprise entity doctrine, che procede attraverso il sollevamento del velo societario, nel tentativo di stabilire la responsabilità delle imprese costituenti. b) Gli strumenti internazionali in materia di diritti umani e imprese: caratteristiche e logica di fondo La produzione di strumenti orientati a disciplinare la condotta delle imprese transnazionali in materia di diritti umani è stata promossa da varie organizzazioni internazionali, intergovernative e non. La Tripartite Declaration on Fundamental Principles and Rights at Work, è uno strumento volontario rivolto a stati, organizzazioni sindacali e imprese, che affronta le questioni salienti connesse al nodo diritti umani- condizione del lavoratore. Le Guidelines for Multinational Enterprises, promosse nel 2011 dalla OECD, si pongono quale quadro per il perseguimento dell’obbligo di protezione dei diritti in capo agli stati. Un esempio a parte è il Social Accountability 8000 come sistema di certificazione. L’attività che si sviluppo all’interno dell’ordinamento internazionale evidenzia un interessante mutamento di prospettiva, in virtù del quale il diritto internazionale tende ad imporre obblighi anche ad attori privati. Nell’ambito dell’etica degli affari, si è affermato il paradigma della responsabilità sociale d’impresa – RSI, che ha inciso sempre più nelle teorie della gestione d’impresa. L’impresa non avrebbe soltanto obblighi di tipo economico né solo di tipo giuridico, ma avrebbe anche obblighi di tipo morale e sociale, verso tutti i soggetti toccati dalla sua attività. Il punto di contatto tra tutela dei diritti umani e RSI è esplicitato all’interno delle Stakeholder Theories. Stakeholder è: • Chi ha un interesse rivendicabile nei confronti dell’impresa; • Qualsiasi gruppo o individuo che possa incidere sulla realizzazione dei fini dell’impresa; • Qualsiasi individuo o gruppo verso cui il livello di benessere le decisioni dell’impresa risultano avere un ruolo di responsabilità causale. Il concetto di popolo assume una connotazione organicistica e mostra tutte le difficoltà legate al tentativo di articolare gli interessi ad esso interni. Un fenomeno che ha condizionato il destino del diritto di autodeterminazione dei popoli è la frammentarietà della logica con cui il riconoscimento delle identità etniche è stato perseguito nel diritto internazionale. Se i patti del ’66 fanno riferimento al diritto all’autodeterminazione ed al diritto al libero sviluppo della cultura riferendoli ai popoli, le fonti che sviluppano il tema della tutela delle identità culturali fanno riferimento alle minoranze culturali. Lo sviluppo del diritto internazionale tende alla tematizzazione dell’autodeterminazione e della tutela delle identità come ambiti distinti. Tutela dell’autodeterminazione esterna rispetto ai popoli e tutela dei diritti culturali delle minoranze sembrano seguire strade concettualmente distinte. Alla distinzione tra popoli e minoranze può aver contribuito il processo di frammentazione in corso nel diritto internazionale, un processo a causa del quale si possono distinguere a dismisura soggetti titolari di differenti diritti. • POPOLI: titolari esclusivi del diritto all’autodeterminazione; • MINORANZE NAZIONALI: si configurano come titolari di diritti culturali (art. 27 UDHR) Non c’è una definizione né di popoli né di minoranza nazionale. La medesima entità può configurarsi di volta in volta come popolo o come minoranza unicamente in ragione del fatto che costituisca la totalità o solo una parte minoritaria della popolazione all’interno di uno stato. Se il contenuto del diritto all’autodeterminazione deve includere le istanze normalmente espresse tramite il riferimento alla tutela dell’identità, allora esso risulta garanzia di determinate forme di rappresentanza, partecipazione e tocca il profilo interno. Alla luce delle fonti e della loro interpretazione, possiamo affermare che il fine della protezione dei “group rights” sia quello di fornire a popoli e gruppi etnici la possibilità di godere della propria cultura, di trasmetterla e di partecipare pienamente alla vita politica. Uno sforzo per determinare e garantire il diritto all’autodeterminazione non solo sotto il profilo esterno ma anche sotto il profilo interno avrebbe l’effetto di ridurre le occasioni di appello alla secessione. La tematizzazione dell’autodeterminazione interna da parte del diritto internazionale, come diritto dei popoli a determinare liberamente la propria condizione politica ed a perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale, conformemente all’art.1 dei Patti del ’66, consentirebbe di evitare questo esito e potrebbe creare uno spazio per la protezione delle identità etnico-culturali in un’ottica già bilanciata con ulteriori esigenze della vita civile e dello sviluppo sociale ed economico. Promuovere l’autodeterminazione interna significa promuovere tutte le condizioni che rendano possibile una partecipazione alla vita politica, sociale, culturale e economico, e la possibilità che si affermi un concetto pluralistico della democrazia rappresentativa. Lo spostamento verso una nozione meno monolitica di popolo ed il riconoscimento di uno spazio a tutti i gruppi portatori di identità specifiche a livello infrastatuale costituiscono linee di evoluzione congruenti con il processo di moltiplicazione dei soggetti del diritto internazionale. Solo così i popoli potranno configurarsi come veri e propri soggetti dell’ordinamento internazionale e non solo come destinatari indiretti di norme da esso create. Se si vuole che il sistema delle NU fornisca la più ampia protezione dei diritti in modo da prevenire lo sfruttamento e l’oppressione di individui ma anche di gruppi vulnerabili, è necessario creare un nuovo schema per la comprensione delle identità individuali e collettive. Attualmente il diritto internazionale si trova in difficoltà nell’includere la giustizia rispetto ai popoli. Questo perché la nozione di popolo è un’opzione opaca e intrattiene con il concetto di stato un rapporto ambivalente. L’idea di popolo pare in grado di esprimere identità, culture, bisogni che necessariamente sfuggono alla struttura dello stato ed alla configurazione dei rapporti interstatali. 2. Il diritto allo sviluppo: statuto e potenzialità Attività del riconoscimento del diritto allo sviluppo: • Commissione sui Diritti Umani dell’ONU – 1977; • Gruppo di lavoro degli esperti governativi sul diritto allo sviluppo – 1981; • Art. 22 della Carta Africana dei diritti umani e dei popoli; • Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo – 1986; • Dichiarazione di Bangkok – 2000. Riferimenti al diritto allo sviluppo ricorrono in varie fonti relative alla tutela ambientale ed ai diritti sociali e culturali, soft law. Il quadro delle fonti tende naturalmente ad esprimere i diversi significati che l’idea di sviluppo è andata assumendo sotto il profilo storico. “Lo sviluppo umano va oltre la semplice disponibilità di beni e servizi, coinvolgendo le capacità e le libertà individuali e comunitarie, intese come la capacità di scelta degli individui e collettive, che non riguardano solo i bisogni materiali vitali ma anche le capacità, le libertà e i diritti fondamentali correlati a tutte le dimensioni della vita umana”. Il carattere multidimensionale del diritto allo sviluppo risulta evidente se si presta attenzione al modo in cui esso viene elaborato lungo 3 linee fondamentali: • LINEA 1: nell’idea di sviluppo c’è il vettore per la garanzia del nucleo minimo dei diritti sociali a livello globale; • LINEA 2: mira a realizzare congiuntamente sviluppo economico e sociale, e sviluppo sostenibile; • LINEA 3: porta l’idea dello sviluppo a convergere con la tutela della garanzia della sopravvivenza dei popoli e della loro integrità culturale. La Dichiarazione del Millennio (risoluzione 5/22 Assemblea Generale delle NU – 2000) stabilisce precisi obiettivi di sviluppo economico, il miglioramento nella garanzia dell’accesso a beni, farmaci e cure essenziali, la lotta alla povertà grave, obiettivi legati allo sviluppo sostenibile da raggiungersi su scala globale entro il 2015, in un’ottica di miglioramento della situazione rilevabile nel 1990. Nell’ottica delle linee tendenziali del diritto internazionale odierno, la realizzazione del diritto allo sviluppo risulta affidato agli stati e alle istituzioni internazionali e anche agli attori non statali. La sua concretizzazione risulta condizionata dalla capacità di realizzare una corretta sinergia tra coinvolgimento degli attori non statali e programmi governativi o intergovernativi. Il concetto di diritto allo sviluppo vanta un’ulteriore peculiarità positiva: quella di contribuire ad emancipare i diritti umani dal loro legame con la cultura giuridica occidentale o con gli interessi dei paesi ricchi, introducendo anche il riferimento ad istanze ed interessi collettivi. 3. I “diritti culturali”: un caso di moltiplicazione o di riconfigurazione anti-liberale dei diritti? La difesa del riconoscimento delle identità etnico-culturali viene formulata attraverso il linguaggio dei diritti. Sotto la categoria dei “diritti culturali” sono rubricate richieste finalizzate ad ottenere: • Il pieno riconoscimento dell’identità culturale nella sfera pubblica; • Una rappresentanza speciale dei gruppi minoritari all’interno dei meccanismi politici; • L’autogoverno. Il dibattito intorno al multiculturalismo è stato sviluppato con particolare riferimento all’ambito interno. Il tema dei diritti culturali interessa in modo pregnante anche il piano internazionale e intrattiene relazioni importanti con il tema dei diritti umani. Il rapporto tra diritti culturali e diritti umani costringe a riflettere su importanti aspetti di intersezione tra ordinamenti interni e ordinamento internazionale. La tutela delle differenze etniche, culturali, religiose e linguistiche compare all’interno dell’ordinamento giuridico internazionale nella forma dei diritti dei gruppi, classificabili secondo 3 ambiti: 1. DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE; 2. DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI; 3. DIRITTI DELLE MINORANZE NAZIONALI. Le fonti in materia sono sia pattizie che consuetudinarie, appartenenti sia alla tipologia dell’hard law che a quella del soft law. • International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination – 1965; • Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide – 1951; • Convention concerning Indigenous and Tribal Peoples in Independent Countries – 1989. La considerazione dell’identità culturale rispetto agli individui costituisce un esempio di specificazione dei diritti umani: il contenuto dei diritti così riconosciuti non presenta elementi innovativi ed è sostanzialmente riconducibile ai diritti civili. La struttura dei diritti culturali riferiti a minoranze e popoli configura un esempio del processo di moltiplicazione dei diritti: qui muta il contenuto dei diritti. I diritti culturali, sotto il profilo teorico-giuridico, emergono come specifica categoria di diritti solo nella misura in cui sono concettualizzabili come diritti collettivi. Il riconoscimento della natura collettiva dei diritti dei gruppi attribuisce rilievo ad una delle conseguenze più problematiche: la possibilità che tali diritti si trasformino in strumenti oppressivi verso la libertà dei membri del gruppo stesso. Sul piano filosofico, i modi di guardare a tali diritti sono essenzialmente di due tipi: • PROSPETTIVA LIBERALE -> Le richieste riassunte nel concetto di diritti culturali non sono dotate di una specificità tale da legittimare la formazione di una specifica categoria di diritti fondamentali o di diritti umani volti alla tutela dell’identità culturale. Le esigenze delle minoranze etnico-culturali risulterebbero già tutelate dai diritti civili tipicamente riconosciuti dallo stato costituzionale alla persona. Quegli aspetti dell’identità individuale ed etnico-culturale che non risultino cadere nelle maglie dei diritti intesi secondo l’accezione liberale non assumono valenza giuridica, ma riguardano i rapporti sociali. Un individuo che venga privato di un contesto culturale, sarà privato della base necessaria per auto-comprendersi, per compiere scelte autentiche, all’insegna della libertà. • PROSPETTIVA DEL COMUNITARISMO -> La logica dell’individualismo, della pari dignità e del divieto di discriminazione risulta inidonea a rispondere alle richieste di pieno riconoscimento e di piena inclusione delle identità etnico-culturali. Il pieno riconoscimento e la piena inclusione sono obiettivi da raggiungere mediante il mutamento della logica individualistica alla base della giustificazione e dell’esercizio dei diritti fondamentali e mediante l’ampliamento delle istanze da essi tutelabili. Da un lato, i diritti culturali vengono difesi come categoria di diritti umani che si aggiunge ai diritti già tradizionalmente riconosciuti e che sarebbe finalizzata a proteggere e promuovere le culture al cui interno i singoli possono ritrovare gli elementi per la costruzione dell’identità. I diritti tutelano esigenze collettive ed il linguaggio dei diritti si allontana dalla matrice individualistica. Rispetto al contenuto dei diritti culturali: a. Categoria delle immunità; b. Promozione attiva delle culture; c. Misure implicabili restrizioni della libertà degli individui esterni al gruppo destinatario della protezione; d. Misure di riconoscimento del diritto tradizionale delle minoranze nazionali; e. Meccanismi di rappresentanza speciale per i gruppi; f. Auto-governo prodotto attraverso secessione. Rispetto alla titolarità dei diritti culturali, l’oscillazione può riguardare la possibilità di ascrivere tali diritti ai membri di minoranze etnico-culturali in quanto individui oppure ai gruppi in quanto tali. Alcune forme di protezione (immunità, promozione attiva) possono essere interpretate come misure esprimenti diritti riconosciuti ai singoli oppure al gruppo; altre misure (auto-governo, protezione esterna) sono idonee ad essere tradotte in termini collettivi. Sotto il profilo giuridico, le forme di protezione legate all’identità culturale vanno dalle libertà negative, alle azioni positive ed alle misure di promozione attiva. La tradizione liberale richiede che la legge rispetti la sfera della libertà individuale e che la ratio generale della legge sia il coordinamento delle singole libertà individuali. • Le immunità possono sollevare problemi con riferimento al principio di eguaglianza formale ed alla necessità, in sede di applicazione della legge, di individuare di volta in volta l’appartenenza del singolo al gruppo rilevante. Esempio = richiesta da parte di genitori di religione islamica di poter operare mutilazioni genitali sulle proprie figlie senza incorrere nelle conseguenze previste dalla legge penale in vigore negli stati costituzionali. • Le misure di promozione attiva presentano problemi rispetto ai criteri di legittimazione perché determinano conseguenze e costi anche per la maggioranza. • L’auto-governo sposta il problema sul piano internazionale, senza che il diritto internazionale possa gestirlo. La categoria dei diritti culturali coagula richieste e risposte giuridiche tra loro eterogenee quanto a contenuto, struttura, titolarità e giustificazioni, tanto da non poter costituire una categoria dei diritti fondamentali. Negli stati costituzionali, i diritti fondamentali sono in generale giustificati dai principi di libertà ed eguaglianza. Il lemma ‘diritti culturali’ sarebbe da utilizzare esclusivamente per promuovere la positivizzazione di quei diritti riconosciuti da fonti internazionali o anche da fonti statali, con l’obiettivo di difendere bisogni collettivi di vitale importanza per determinare minoranze. L’espressione non dovrebbe indicare una categoria autonoma di diritti fondamentali, finalizzata a fornire garanzie speciali rivolte all’individuo e riconducibili a sfere della libertà e dell’eguaglianza già tutelate per mezzo dei tradizionali diritti costituzionali. Capitolo sesto – DIRITTI UMANI E SVILUPPO ECONOMICO 1. Diritti umani, dignità e progresso tecnologico: Le trasformazioni tecnologiche tendono a porre costantemente in discussione il contenuto dei diritti e a richiedere la messa a punto dei meccanismi di garanzia. Lungo il percorso di tutela dei diritti umani in relazione ai progressi tecnologici, l’idea di soggetto viene spesso configurato per mezzo del riferimento all’idea di persona, la quale diviene il tratto che consente di dare rilevanza alla materialità dei rapporti in cui ciascuno è collocato, ed alle relazioni sociali che lo caratterizzano. L’idea di persona è la nozione attraverso la quale riemergono gli elementi di concretezza che il concetto di soggetto giuridico aveva implicitamente dichiarato irrilevanti. La nozione astratta del soggetto giuridico ha progressivamente manifestato la propria insufficienza rispetto al conseguimento di una piena eguaglianza 1. Riduzionismo da parte del giuspositivismo, disposto a riconoscere della nozione di diritti fondamentali soltanto la dimensione giuridica e non anche i legami con la sfera morale; 2. Riduzionismo di matrice giusnaturalistica, che assegna alla dimensione morale una valenza superiore. I diritti sono una nozione poggiante su valori. Il rapporto che i diritti intrattengono con i valori si esplicita attraverso la pratica dei diritti, intesa come la discussione pubblica intorno alla loro giustificazione o il processo di positivizzazione per quanto riguarda la dimensione giuridica. I diritti non sono essi stessi il dato originario dell’argomentazione pratica, ma costituiscono degli schemi di ragionamento, decisione ed azione atti ad istituire un qualche rapporto tra i valori. La relazione che lega i diritti ai valori è una relazione complessa. Concepire i diritti come schemi idonei ad istituire un rapporto tra i valori non comporta di per sé l’adesione ad una concezione formalistica né di diritti né dell’etica: i diritti hanno un contenuto, che interviene strutturalmente nella qualificazione del concetto. Il consenso non dovrebbe essere richiesto neppure come precondizione per legittimare la lotta per i diritti. I diritti fondamentali e i diritti umani si caratterizzano per provocare fratture all’interno dell’ordine giuridico. L’ingresso dei diritti all’interno di una teoria etica può introdurre elementi di tensione rispetto alla gerarchia dei valori in essa stabilita o rispetto al loro contenuto consolidato. Riconoscere ai diritti uno spazio nell’etica significa anche riconoscere che i diritti pongono dei limiti all’ammissibilità delle teorie etiche. Il crescente peso dei diritti nell’etica non andrebbe visto come il concretizzarsi di un’etica minima comune che permette il libero gioco delle diversità morali. Non si potrà non riconoscere grande importanza al tema dell’universalità dei diritti e insieme avere consapevolezza della sua complessità. L’universalità è da intendersi come un tratto intrinseco del concetto di diritti umani. 4. L’universalità dei diritti umani come problema: La domanda relativa all’universalità dei diritti umani risulta configurabile secondo 3 direttrici: 1. TITOLARITA’ 2. EFFETTIVITA’ 3. GIUSTIFICAZIONE Domande più specifiche che si nascondono dietro all’interrogativo che stabilisce se i diritti umani sono davvero universali: a. Spettano i diritti umani a tutti gli esseri umani in quanto tali? b. Sono i diritti umani effettivamente garantiti a tutti gli esseri umani in quanto tali? c. Sono i diritti umani giustificabili su basi accettate universalmente? Il riferimento alla dimensione normativa consente di concludere che le fonti internazionali riconoscono la titolarità dei diritti in senso universale. La titolarità dei diritti umani può dirsi universale. I diritti umani configurano una categoria di diritti distinta da quella dei diritti del cittadino. L’esclusione dei non cittadini dalla titolarità dei diritti civili non risulta compatibile con il quadro normativo del diritto internazionale (norme consuetudinarie e pattizie). L’effettività dei diritti dipende dalla messa a punto di concreti meccanismi di garanzia, sia all’interno che sul piano internazionale. Il livello di garanzia interno è legato alla specifica configurazione degli ordinamenti statali ed alla capacità del diritto internazionale di esercitare almeno una direttiva su di essi e sulla cultura politica interna. La tutela internazionale spiega perché i diritti umani non siano universali rispetto all’effettività. È importante non confinare la giustificazione dei diritti umani all’ambito di una sola società, data la loro strutturale aspirazione all’universalità. Una prima strategia teorica per rispondere alla difficoltà dell’universalismo dei diritti umani è quella della “prospettiva del minimalismo”. Si propone come risposta a diversi problemi che avvolgono oggi la giustificazione e la tutela dei diritti: l’inflazione dei diritti (proliferazione eccessiva) e la difficoltà di pervenire ad un consenso interculturale interno ad essi. La prospettiva difesa dal minimalismo recupera una visione tradizionale del liberalismo. I pericoli che il minimalismo intende contrastare sono quello dell’abuso retorico dei diritti e quello dell’individuazione etnocentrica dei valori soggiacenti alla giustificazione dei diritti e negli effetti imperialistici di questa attitudine. Il riferimento ai diritti umani per mascherare operazioni tendenti ad estendere l’egemonia politica e/o culturale dei paesi occidentali è una realtà con cui la difesa teorica e pratica dei diritti deve confrontarsi. L’imposizione teorica del minimalismo veicola un punto di vista sui diritti in controtendenza rispetto ai principi fissati sin dall’inizio del processo di codificazione internazionale, che individua nella democrazia e nella giustizia sociale le condizioni sempre più strutturalmente connesse alla promozione dei diritti umani. 5. Giustificazione dei diritti e forme del pluralismo: I diritti umani e i diritti fondamentali risultano esposti ad una crisi di giustificazione e di legittimazione anche negli stati costituzionali e liberal-democratici, per effetto del carattere multiculturale delle società contemporanee. I problemi emergenti sul terreno della determinazione del contenuto dei diritti esprimono difficoltà relative all’interpretazione. Questo è molto evidente nelle società multiculturali e accade soprattutto a seguito della trasformazione delle richieste provenienti dai migranti. In alcuni casi queste richieste paiono entrare in conflitto con i principi della tradizione costituzionale del paese ospitante. La possibilità che i diritti fondamentali possano essere giustificati a partire da teorie etiche e da orizzonti culturali tra loro diversi è stata considerata e difesa da numerosi filosofi: -> “LIBERALISMO POLITICO” di John Rawls. La teoria offre un resoconto dei criteri che garantiscono la stabilità di una società bene ordinata in un contesto pluralistico. Le società occidentali contemporanee sono caratterizzate dal pluralismo delle concezioni del bene. Il bene riguarda la sfera privata, le scelte individuali e l’importanza del liberalismo attribuita all’autonomia individuale impone che la pluralità di tali concezioni venga rispettata. I cittadini hanno il diritto di godere di una sfera intangibile. Interrogativo centrale della prospettiva: in che modo cittadini che restano profondamente divisi rispetto alle loro concezioni religiose, morali e filosofiche, possono mantenere una società democratica stabile e giusta? L’isolamento dei valori solo politici richiede una specifica procedura implicante: a. La distinzione fra concezioni comprensive ragionevoli e non ragionevoli; b. Il ricorso al consenso per intersezione (“overlapping consensus”) ed alla ragione pubblica nell’argomentazione riguardante le scelte pubbliche; c. L’”equilibrio riflessivo” come metodo per l’individuazione dei valori utilizzabili nel dibattito pubblico. Il fine del liberalismo politico è di realizzare le condizioni per creare una base pubblica ragionevole di giustificazione per le questioni politiche fondamentali. L’obiettivo è di regolare la convivenza tra “diversi morali” alla luce esclusiva dei principi di giustizia, con il raggiungimento del consenso attraverso la ragione pubblica (esempio della modalità d’operazione della ragione pubblica sono le deliberazioni della Corte Suprema). Le società contemporanee presentano elementi di complessità riconducibili al pluralismo etico e al pluralismo culturale. Il multiculturalismo pone in questione: a. La tenuta e la desiderabilità della separazione tra sfera privata e sfera pubblica; b. La lettura individualistica del rapporto tra singolo e comunità politica; c. Il principio di neutralità dello stato rispetto alle concezioni etiche ed ai fattori non politici dell’identità individuale dei cittadini. Nelle realtà multiculturali viene messo in evidenza come siano gli stessi valori politici a dover essere discussi. La difesa di un multiculturalismo “moderato” richiede il ricorso a modelli di ragionamento pratico finalizzati al raggiungimento dell’accordo intorno al giusto ed all’analisi dei possibili rapporti tra concezioni morali e concezioni politiche -> “fusione degli orizzonti”, fulcro della politica di riconoscimento. Diritti fondamentali e diritti umani si configurano come dei candidati ideali a costituire l’orizzonte entro il quale reperire i punti di partenza del costante processo dialogico ed argomentativo in cui si manifesta l’uso pubblico della ragione. Il perimetro al cui interno prende forma il processo di giustificazione delle concezioni etico-politiche è rappresentato dai diritti fondamentali e dai diritti umani, i quali costituiscono degli schemi concettuali in cui contenuto ha da essere costantemente precisato e che invitano a discutere le possibili concezioni della persona e della società meglio in grado di esprimere quel contenuto. I sostenitori del minimalismo giudiziale ritengono che i giudici debbano risolvere i casi in un senso che sia il più neutrale possibile sotto il profilo teorico = affrontare esclusivamente gli aspetti più circoscritti del caso. Il minimalismo giudiziale viene equiparato ad una specie di “uso costruttivo del silenzio” da parte dei giudici, motivato da ragioni di ordine pragmatico, strategico o per favorire la democrazia. Rapporto tra incompletely theorized agreements e overlapping consensus: • Rispondono all’esigenza di introdurre stabilità e consenso sociale dove coesistono differenti concezioni comprensive; • Il modello della nozione di incompletely theorized agreements afferma che si può avere un accordo anche su un piano astratto dei principi – il modello della nozione di overlapping consensus afferma che il contrario. I diritti umani non possono dissolvere i conflitti derivanti dal pluralismo perché non sono dei valori, ma rinviano a valori. Nell’esercizio dell’attività di giustificazione e di interpretazione dei diritti umani si dovrebbe fare riferimento ad un’idea di giustizia che non può essere programmaticamente limitata all’ambito delle comunità culturali e della comunità politica. La perenne sfida alla giustificazione dei diritti consiste nella ricerca degli argomenti in grado di dimostrare: • Perché i diritti umani meritino di essere tutelati; • Che i diritti umani possono guidare nell’individuazione del loro contenuto nei concreti e mutevoli contesti in cui i soggetti umani vengono a trovarsi; • Che i diritti umani sono idonei ad orientare il loro bilanciamento in caso di conflitto. 6. Contro la proliferazione dei diritti e la giuridificazione dei valori. Elementi per una definizione filosofica dei diritti umani: “GIURIDIFICAZIONE DEI VALORI (etico-politici)” = attitudine ad assegnare forma giuridica ai valori, come se ciò potesse costituire una sorta di antidoto nei confronti della frammentazione morale e dare loro una “patente” di soggettività. La forza che la forma giuridica pare conferire ai diritti induce la loro proliferazione. Potersi appellare ad un diritto per rivendicare una certa pretesa o il rispetto di un certo valore equivale ad assegnare ad essi un peso superiore ad argomenti, interessi, preferenze di tipo diverso. A fronte della crescente complessità delle forme di vira diffuse entro le comunità politiche liberal- democratiche, al diritto è sempre più spesso assegnata una funzione di integrazione. L’integrazione cui si può pervenire grazie al diritto non potrà mai assumere una valenza né sociale né politica: solo integrazione giuridica che può favorire o riflettere un’integrazione sociale e politica. Il diritto è e deve essere anche forza = senso della tesi della separazione tra diritto e morale all’origine dello stato liberale. L’inflazione dei diritti è in qualche misura un fenomeno connesso al dinamismo che istituisce legami sempre più forti tra contenuto dei diritti e modelli socioculturali. Rappresenta un fenomeno negativo perché può minacciare la forza del linguaggio del diritto e perché ha l’idea che l’intero ambito della giustizia e dei valori possa essere espresso tramite tale linguaggio. La teoria dei diritti deve resistere alla tentazione di includere in essi qualsiasi aspettativa, obiettivo, pretesa, bisogno. La pratica dei diritti dovrebbe investire maggiori risorse ed energie nell’implementazione del nucleo essenziale dei diritti dotati di un già chiaro statuto normativo. Il problema non è rappresentato solo dalla proliferazione dei diritti, ma anche dalla loro dilatazione interna. Una definizione afferma che i diritti umani sono strumenti per garantire ciò la cui privazione costituisce un grave affronto alla giustizia, ciò che è dovuto ad ogni essere umano semplicemente in quanto tale. I diritti umani possono essere anche definiti come strumenti di difesa dall’oppressione, dove l’oppressione non riguarda solo la libertà, ma anche l’impossibilità di accedere ai mezzi materiali per la sussistenza. I diritti umani possono essere considerati come connessi ai bisogni essenziali dell’uomo. il concetto di bisogno può meglio di altri giustificare i diritti come strumenti per la garanzia di una “vita minimamente decente”. I diritti umani non hanno nulla a che vedere con la democrazia, con un certo grado di benessere, con i valori culturalmente condizionati. Essi sono ciò la cui violazione permette una legittima intromissione negli affari di uno stato da parte di altri stati. La forza dei diritti umani sta nella loro capacità di essere una risorsa rivoluzionaria, mirante all’emancipazione dell’essere umano. I diritti umani non sono da vendersi come i diritti di chi è diventato un essere umano e nient’altro. Promuovere la fioritura umana in senso completo rimane un obiettivo meritevole di essere perseguito. I DIRITTI UMANI SONO QUEI DIRITTI SENZA I QUALI LA CONDIZIONE UMANA DIVIENE INSOPPORTABILMENTE PEGGIORE, MA CHE NON POSSONO E NON DEVONO ASPIRARE AD ESPRIMERE TUTTO CIO’ CHE LA FIORITURA DELLA PERSONALITA’ UMANA PUO’ RICHIEDERE, IN TEMPI, IN LUOGHI E IN CULTURE DIVERSI.