Scarica Diritto Commerciale 1 e più Appunti in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! 1. LA FATTISPECIE “IMPRESA” Codice civile e nozione d’impresa La nozione generale di imprenditore è dettata dall’Art. 2082 c.c., il quale afferma che “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Questa nozione traccia il confine tra la figura dell’imprenditore e quella del semplice lavoratore autonomo e fissa i requisiti minimi che devono ricorrere affinché un soggetto sia esposto all’applicazione delle norme dettate dal codice civile per l’impresa e l’imprenditore. Secondo tale articolo, in primo luogo, l’impresa è un’attività (ovvero una sequenza di atti) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o di servizi: affinché si possa parlare di attività produttiva, tale sequenza di atti deve essere volta a produrre un’utilità che prima non c’era attraverso la produzione e lo scambio di beni o di servizi. La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche quando l’attività svolta è illecita, ovvero contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, in particolare distinguiamo: • Illiceità forte, per quei casi dove è illecito l’oggetto stesso dell’attività d’impresa (es. fabbricazione o commercio di droga, sfruttamento della prostituzione, ecc…); • Illiceità debole, per quei casi in cui sono violate norme imperative che subordinano l’esercizio dell’attività di impresa a concessione o autorizzazione (es. commercio all’ingrosso senza licenza). In questo caso la disciplina d’impresa si applica solo in mala parte: il soggetto che svolge l’attività resta destinatario di quella parte di statuto che tutela gli interessi (es. obbligo di scritture contabili ed eventuale assoggettamento a fallimento) ma non può beneficiare delle norme poste a tutela dell’imprenditore; Lo statuto dell’imprenditore commerciale invece, è l’insieme delle norme che disciplinano la struttura e il funzionamento dell’impresa commerciale (imprenditore agricolo escluso). Per lo statuto, l’imprenditore commerciale: • È tenuto all’iscrizione nel registro delle imprese (per le società l’iscrizione ha efficacia costitutiva); • È soggetto al fallimento, a tutela del creditore; • Si può avvalere di ausiliari; Un’attività produttiva per poter essere qualificata come impresa deve soddisfare tre requisiti oggettivi richiesti dall’Art. 2082 c.c.: • Professionalità, secondo cui si fa riferimento al fatto che deve essere un esercizio abituale e non occasionale di una certa attività produttiva. Questo requisito contraddistingue l’attività sul piano della frequenza relativa al suo svolgimento (es. non è imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita di merce). • Organizzazione, secondo cui “non è concepibile l’attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi, ovvero senza l’impegno di capitale e lavoro”. Questo requisito contraddistingue l’attività sul piano dei mezzi impiegati nel suo svolgimento. Solitamente l’imprenditore crea un complesso produttivo formato da persone e beni strumentali, tuttavia non è necessario che entrambi gli elementi ricorrano congiuntamente. La qualità di imprenditore non può essere negata: ▪ A chi opera senza utilizzare le prestazioni lavorative di collaboratori; ▪ Quando il coordinamento dei fattori produttivi non si concretizza nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile; • Economicità, secondo cui è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico, ovvero secondo modalità che consentono quanto meno la copertura dei costi con i ricavi e assicurino l’autosufficienza economica. Non è essenziale quindi che l’intento dell’imprenditore sia quello di conseguire un guadagno bensì è sufficiente l’economicità della gestione. I liberi professionisti I liberi professionisti (avvocati, dottori, notai, commercialisti) non sono mai in quanto tali imprenditori, l’Art. 2238 c.c. stabilisce che le disposizioni in materia d’impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa” (es. il medico che gestisce una clinica privata nella quale opera). Pertanto si applicheranno nei confronti del soggetto sia la disciplina d’impresa sia la disciplina specifica per la professione intellettuale. Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non diventa mai imprenditore anche se, in linea di principio, i requisiti inerenti all’attività d’impresa possono ricorrere tutti nell’esercizio delle professioni intellettuali. c) Categoria d’impresa per soggetto che la esercita: impresa pubblica e privata (ind. e soc.) L’impresa commerciale È imprenditore commerciale colui che esercita una o più delle attività elencate dall’Art. 2195 c.c.: • Attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi, fa riferimento al settore delle imprese industriali (automobilistiche, chimiche, tessili, edili…); • Attività intermediaria nella circolazione di beni, fa riferimento al settore del commercio; • Attività di trasporto per terra, acqua o aria (sia di persone che di cose); • Attività bancaria o assicurativa; • Attività ausiliarie alle precedenti (es. impresa di agenzia, mediazione, pubblicità); L’impresa commerciale a sua volta si distingue in impresa pubblica e privata. L’impresa pubblica L’espressione impresa pubblica fa riferimento ad un fenomeno produttivo imprenditoriale di natura commerciale esercitato da o riconducibile ad un soggetto di diritto pubblico (ente pubblico). In particolare, un’attività commerciale può costituire l’oggetto esclusivo o principale di un ente pubblico che in questo caso si identifica come ente pubblico economico, oppure può essere anche un’iniziativa secondaria che in questo caso si identifica come ente pubblico non economico. Distinguiamo quindi: • Ente pubblico economico, il quale persegue il suo fine istituzionale principalmente attraverso un’attività commerciale ed ha l’obbligo di pubblicità (iscrizione nel registro delle imprese). Inoltre, è sottratto alla disciplina del fallimento ed è assoggettato a tutta la parte della disciplina d’impresa per la quale non è stabilito diversamente; • Società in mano pubblica, il quale è una comune società la cui partecipazione di controllo è detenuta da un ente pubblico ed è assoggettata all’applicazione della disciplina d’impresa; • Ente pubblico non economico, il quale realizza molteplici fini istituzionali attraverso un’azione che si articola in diverse iniziative le quali tipicamente non presentano i caratteri dell’impresa, ma che talvolta possono essere vere e proprie imprese. Non è soggetto all’obbligo di pubblicità ed inoltre, è sottratto alla disciplina del fallimento. Infine, è assoggettato a tutta la parte della disciplina d’impresa per la quale non è stabilito diversamente; L’impresa privata Con il termine impresa privata si fa riferimento ad un fenomeno produttivo imprenditoriale che assume la forma giuridica di diritto privato cioè la persona fisica (impresa individuale), la società (impresa societaria) o un altro ente privato non societario (impresa collettiva non societaria). In particolare: • Se l’impresa ha la forma individuale, non si verificano particolari ripercussioni con riguardo alla disciplina applicabile; • Se l’impresa assume la forma societaria, bisogna soltanto precisare che se si tratta di società di forma commerciale (snc, sas, srl, sa) e cooperative, la disciplina della forma giuridica implementa alcune regole (regole della forma giuridica) come la tenuta delle scritture contabili e l’obbligo di pubblicità; • Se l’impresa assume la forma di un ente privato non societario (gruppo europeo di interesse economico, consorzio tra imprenditori, associazione o fondazione) nel codice civile manca ogni riferimento all’applicazione della disciplina dell’impresa. La maggiore controversia circa l’applicazione della disciplina dell’impresa spetta alle associazioni e fondazioni, anche se oggi prevale l’idea che tale disciplina debba trovare applicazione nella sua interezza anche nelle associazioni e fondazioni che esercitano un’attività commerciale, qualunque sia la posizione o il ruolo assunta da quest’ultima (esclusiva, principale o secondaria); 1.3 L’IMPUTAZIONE DELL’IMPRESA L’impresa, soprattutto quella commerciale, deve essere ricondotta ad un soggetto in quanto la relativa disciplina deve avere un soggetto su cui gravare e tale soggetto è colui al quale si imputa l’impresa, ovvero l’imprenditore in senso giuridico. Tale imputazione, tuttavia, è problematica in quanto manca nel nostro ordinamento un esplicito criterio di imputazione che quindi viene ricavato in via interpretativa attraverso due criteri: • Criterio formale, ovvero la spendita del nome, secondo cui si ritiene che l’imprenditore è colui che svolge l’impresa a suo nome; • Criterio sostanziale, ovvero dell’interesse perseguito, secondo cui si ritiene che l’imprenditore è colui nel cui interesse l’impresa è svolta; La questione dell’imputazione in questo caso appare risolta nel momento in cui l’impresa viene svolta in nome e per conto di uno stesso soggetto, ovvero quando l’elemento formale e sostanziale convergono nella stessa sfera giuridica soggettiva. Questa conclusione prescinde dalla circostanza che il soggetto eserciti materialmente l’impresa, infatti, l’imprenditore può affidare l’esercizio dell’impresa ad uno o più soggetti diversi (frequente nel caso di medie-grandi imprese, dove l’esercizio concreto dell’iniziativa è affidato all’organizzazione e al personale) e, talvolta, l’imprenditore è addirittura obbligato ad affidare l’esercizio dell’impresa ad uno o più altri soggetti (frequente nel caso in cui l’imprenditore non abbia capacità di agire). Il problema dell’imputazione dell’impresa si fa rilevante invece, nel momento in cui l’elemento formale (spendita del nome) e sostanziale (interesse perseguito) fanno capo a soggetti diversi (es. un soggetto esercita l’impresa a suo nome per perseguire l’interesse di un altro soggetto). In questo caso è problematico determinare se per l’imputazione bisogna considerare l’elemento formale o sostanziale. L’orientamento prevalente in questo caso è quello secondo cui l’elemento decisivo ai fini dell’imputazione dell’impresa è la spendita del nome: si ritiene quindi che l’impresa debba imputarsi al soggetto il cui nome viene speso nello svolgimento dell’impresa stessa. Tuttavia, tale conclusione è soggetta ad alcune forme di abuso, infatti, vi sono dei casi in cui il soggetto che svolge l’impresa a proprio nome sia un nullatenente, che non ha quindi nulla da perdere nel caso in cui l’iniziativa non vada a buon fine e che si presta a fungere da prestanome nello svolgimento di un’impresa per conto di un altro soggetto, il quale invece ha interesse a non esporre il suo patrimonio al rischio d’impresa. In questo caso, è evidente che se l’iniziativa non va a buon fine, il peso economico dell’insolvenza è destinato a gravare quasi integralmente su coloro che hanno finanziato l’iniziativa a titolo di credito. Si delinea quindi una situazione in cui: • Da un lato, il patrimonio del prestanome non contiene sostanze patrimoniali sufficienti a soddisfare i creditori; • Dall’altro, il patrimonio del dominus non può essere aggredito dai creditori del prestanome a meno che quest’ultimi non vantino nei suoi confronti una forma di garanzia diretta; Per tale motivo, sono state proposte diverse ricostruzioni, tutte volte a dimostrare che l’impresa si deve imputare a prescindere dall’imputazione dei singoli atti giuridici e, quindi, dal nome speso nel suo svolgimento. In questo caso prevale la teoria dell’imprenditore occulto. La teoria dell’imprenditore occulto parte dal presupposto che, nell’ordinamento, vi sia un’indivisibile relazione biunivoca tra potere e rischio, quindi chi ha la direzione di un’iniziativa economica e, in particolare, imprenditoriale, non può sottrarsi alle relative conseguenze patrimoniali e alle obbligazioni che sorgono durante il suo svolgimento. Pertanto, il dominus di un’iniziativa imprenditoriale è responsabile per le obbligazioni sorte nel corso dello svolgimento di un’impresa ed acquista anche la qualifica di imprenditore: di conseguenza è assoggettato alla disciplina dell’impresa e, in caso di insolvenza, alle procedure concorsuali. Tale teoria prende spunto dall’Art. 147 della legge fallimentare, secondo cui l’impresa si imputa in funzione dell’interesse perseguito e a prescindere dal nome speso nel suo svolgimento. Esso stabilisce che: • Il fallimento di una società con soci illimitatamente responsabili determina il fallimento in estensione (personale) di tali soci palesi; • Nell’ipotesi in cui la società abbia nella sua compagine un socio occulto, il fallimento deve essere dichiarato anche nei confronti di questo se si accerta attraverso opportuni indizi, l’esistenza di questo ulteriore socio; L’inizio dell’impresa Con l’espressione inizio dell’impresa si fa riferimento al momento dal quale si inizia ad applicare la disciplina dell’impresa. Questo momento deve essere accertato secondo un criterio di effettività, ovvero deve essere identificato “nel momento in cui nella realtà concreta si verifica un fenomeno riproduttivo qualificabile come impresa”. Tuttavia, tale momento prescinde da qualunque tipo di adempimento formale che si associa allo svolgimento dell’impresa (es. iscrizione nel registro delle imprese, autorizzazione o licenza per lo svolgimento delle attività). Tutto ciò vale sia che si tratti di un’impresa esercitata da una persona fisica o da una società (o altro ente). C’è anche chi distingue l’attività di organizzazione con l’attività dell’organizzazione e associa solo a quest’ultima l’inizio dell’impresa. Per l’inizio dell’impresa si ritiene quindi necessaria “l’esecuzione di una serie di atti coordinati tra loro e volti ad organizzare un’attività produttiva”. La fine dell’impresa Con l’espressione fine dell’impresa si fa riferimento al momento in cui la disciplina dell’impresa cessa di applicarsi. Anche la fine dell’impresa deve essere accertata secondo un criterio di effettività, ovvero deve essere identificata “nel momento in cui nella realtà concreta viene meno il fenomeno produttivo qualificabile come impresa”. Tuttavia con la fine dell’impresa, si deve escludere che per il venir meno di quest’ultima, occorra attendere la fase della liquidazione, ovvero della disgregazione del complesso produttivo, ovvero la fase in cui vengono monetizzati tutti i beni che costituiscono il complesso aziendale e si risolvono tutti i rapporti pendenti (creditori e debitori). La liquidazione infatti non è una fase essenziale dell’impresa, bensì una fase che riguarda l’eliminazione dell’ente attraverso cui si esercita l’impresa, tuttavia, è una fase obbligatoria della società (o di ogni altro ente collettivo). È evidente quindi, che l’impresa di una società può cessare anche prima della fine della società che invece sopravvive finché non è liquidata e successivamente estinta attraverso la sua cancellazione dal registro delle imprese. Questo però trova eccezione per quanto riguarda uno degli istituti che compongono la disciplina delle imprese, ovvero le procedure concorsuali. Infatti, la fine dell’impresa non comporta il venir meno della possibilità di aprire una procedura concorsuale che può essere messa in atto per tutto l’anno successivo alla cessazione, a condizione che lo stato di insolvenza sia antecedente alla cessazione dell’iniziativa o che si sia verificato l’anno successivo. In questo modo si evita che il titolare dell’impresa possa sfuggire alla soluzione concorsuale dell’insolvenza attraverso la cessazione della sua iniziativa, dando così ai creditori la possibilità di aprire una procedura concorsuale. 3. L’ORGANIZZAZIONE DELL’IMPRESA La struttura dell’organizzazione La struttura organizzativa dell’impresa può essere guardata sotto diversi profili: • Dal punto di vista delle componenti distinguiamo: ▪ La struttura degli asset (materiali e immateriali), ovvero il complesso di fattori produttivi; ▪ La struttura collaborativa, ovvero il personale (dipendenti e collaboratori autonomi); • Dal punto di vista delle funzioni distinguiamo: ▪ La struttura decisionale, ovvero il complesso di soggetti (imprenditore e collaboratori) che concorrono ad assumere le decisioni e a porre in essere gli atti giuridici in cui l’impresa si svolge; ▪ La struttura esecutiva, ovvero il complesso di fattori (umani e non) attraverso il quale si realizza il prodotto o il servizio offerto sul mercato; L’organizzazione dell’azienda L’Art. 2555 c.c. ci dice che “l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Il diritto commerciale tuttavia, non si occupa della “dimensione” costituita dalle componenti della struttura organizzativa bensì della “dimensione” funzionale, ovvero della struttura decisionale dell’impresa. L’imprenditore persona fisica (se si tratta di impresa individuale) o gli amministratori (società o altro ente) non curano personalmente ogni atto, ma delegano alcuni poteri ai propri collaboratori. Il codice civile, disciplina le figure funzionali che tipicamente compongono questa struttura e ne regola la posizione e i poteri. Essi sono: institori, procuratori e commessi; Anche altri collaboratori possono essere affidatari di poteri decisori, ma operando dall’esterno, ovvero come collaboratori autonomi che rimangono strutturalmente estranei all’impresa ed essi sono: mandatari, agenti e mediatori; La disciplina generale dei collaboratori d’impresa Sia che i collaboratori siano interni che esterni, la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell’imprenditore, agendo quindi in rappresentanza dell’imprenditore. Il fenomeno della rappresentanza è regolato dagli Art.2203-2213 c.c. quando riguarda atti inerenti all’esercizio d’impresa commerciale posti in essere da alcune figure tipiche di collaboratori interni che, per la posizione assegnata loro nell’impresa, sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi e a concludere affari per l’imprenditore, ed essi sono: institori, procuratori e commessi. Queste tre figure si differenziano tra loro per la diversa posizione nell’impresa e per la diversa tipologia di potere rappresentativo ma si distinguono comunque alcuni principi comuni poiché: sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore, nel senso che esso costituisce un effetto naturale della loro collocazione nell’impresa da parte dell’imprenditore. L’imprenditore tuttavia, potrà modificare il contenuto legale tipico del loro potere di rappresentanza ma in questo caso è necessario uno specifico atto (procura), opponibile ai terzi solo se portato alla loro conoscenza nelle forme stabilite dalla legge, ovvero attraverso uno specifico regime di pubblicità. Chi conclude affari con i collaboratori dell’imprenditore commerciale quindi, non dovrà verificare se la rappresentanza è stata loro conferita ma dovrà solo verificare se l’imprenditore ha modificato i loro naturali poteri rappresentativi. L’eventuale omissione della pubblicità della procura non consente di rendere opponibili ai terzi i limiti in essa contenuti a meno che non si provi che i terzi ne erano comunque a conoscenza (Art. 2206 c.c.). L’institore L’Art. 2203 c.c. dice che “è institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio di un’impresa commerciale o ad una parte di esse che può essere rappresentata da una sede secondaria o da un ramo particolare”. Può esservi: • Un unico institore preposto all’intera iniziativa; • Più institori, uno preposto all’impresa e uno o più altri ad ogni sua articolazione organizzativa o funzionale (sede o ramo), oppure due o più ad ogni sua articolazione. Nel caso in cui vi siano più institori, essi agiscono disgiuntamente, ovvero ognuno agisce indipendentemente dall’altro o dagli altri, rispetto all’ambito operativo che gli è stato assegnato; L’institore può compiere tutti gli atti pertinenti all’impresa, ha quindi poteri delineati dal “criterio della pertinenza all’impresa”, cioè può decidere e fare tutto ciò che è congruo rispetto all’iniziativa gestita. Da questo ne consegue il fatto che l’institore non può spingersi al di là della gestione dell’impresa, e non può quindi ad esempio alienare l’azienda oppure cambiare l’oggetto dell’impresa gestita, così come non può alienare o ipotecare gli eventuali beni immobili di cui l’azienda si compone. Inoltre, l’institore aggiunge ai poteri sostanziali, i poteri processuali, potendo stare in giudizio per l’imprenditore come attore o come convenuto. Egli inoltre è tenuto all’osservanza delle disposizioni riguardanti le scritture contabili e la pubblicità commerciale, ed è tenuto anche a spendere il nome dell’imprenditore. In caso di omissione, diventa titolare di tutti gli atti compiuti a proprio nome, tuttavia, se si tratta di atti pertinenti all’impresa, si affianca anche la responsabilità dell’imprenditore (Art. 2208 c.c.). Il procuratore Il procuratore è il “collaboratore che compie atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur senza esservi preposto” (Art. 2209 c.c.). È una figura di grado inferiore rispetto all’institore in quanto, a differenza di quest’ultimo, non è posto a capo dell’impresa ma di una sua sede secondaria o di un suo ramo, e il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa (es. sono procuratori il direttore del settore acquisti, del settore pubblicità e il dirigente del personale). In mancanza di specifiche limitazioni nel registro delle imprese, i procuratori sono investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore, riguardo però alla tipologia di operazioni per le quali sono stati investiti di autonomo potere decisionale. Il procuratore non ha nemmeno la rappresentanza processuale dell’imprenditore (nemmeno per gli atti da lui posti in essere) e non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tutela delle scritture contabili. Infine l’imprenditore non risponde per gli atti compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso. Ad esso si applicano le disposizioni degli Art.2206-2207 c.c. in materia di pubblicità, modificazione e revoca della procura. Il commesso Il commesso è un “ausiliario subordinato a cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che mettono in contatto l’impresa con i terzi” (Art. 2210 c.c.) (es. commesso del negozio, impiegato di banca addetto agli sportelli). Ai commessi è riconosciuto il potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di uno specifico atto di conferimento, molto più limitato però rispetto a quello di institori e procuratori. L’Art. 2210 c.c. dispone che “essi possono compiere gli atti che ordinariamente comportano la tipologia di operazioni per cui sono incaricati”, nello specifico i commessi: • Non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non siano d’uso; • Se sono preposti alla vendita nei locali dell’impresa, non possono esigere il prezzo fuori dai locali stessi, né possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione è destinata un’apposita cassa; L’imprenditore può ampliare o limitare tali poteri anche se non è previsto un sistema di pubblicità legale, per tale motivo le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei (es. avvisi affissi nei locali di vendita) o se si prova l’effettiva conoscenza. 3.2 I PRESIDI ORGANIZZATIVI Il legislatore introduce alcuni importanti presidi organizzativi, ovvero degli obblighi diretti ad assicurare una gestione sana e consapevole dell’impresa attraverso il principio di adeguatezza e la documentazione. Il principio di adeguatezza Secondo il principio di adeguatezza della struttura organizzativa “l’imprenditore ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (Art. 2086 c.c.). Si tratta di una norma che è si riferisce alle società o ad altri enti, inoltre, l’adeguatezza è richiesta per l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile in modo da assicurare: • Che i fattori produttivi disponibili siano congrui rispetto al programma imprenditoriale che s’intende svolgere; • Che l’articolazione del procedimento decisionale interno all’impresa sia coerente in relazione alla complessità dell’iniziativa; • Che i centri decisionali siano sorretti da un sistema informativo, capace di mettere nelle condizioni di assumere decisioni ponderate; • Che il sistema informativo sia in grado di intercettare segnali di una crisi; La documentazione: scritture contabili obbligatorie e bilancio d’esercizio La disciplina dell’impresa stabilisce un obbligo di documentazione d’impresa e si tratta dell’obbligo di dare rappresentazione scritta dei diversi accadimenti relativi allo svolgimento dell’attività d’impresa, che viene adempiuto attraverso l’obbligo di tenuta delle scritture contabili. Attraverso le scritture contabili infatti, l’imprenditore può avere un riscontro di come si è svolta l’iniziativa ed accertare se i risultati che ne sono derivati siano in linea con quanto era stato programmato. Le scritture contabili obbligatorie Le norme stabiliscono un criterio di carattere generale in merito alle scritture contabili, ovvero impone la tenuta delle scritture che siano richieste dalla natura e dalla dimensione dell’impresa (Art. 2214 c.c.). La legge quindi, preferisce un criterio elastico di determinazione delle scritture contabili obbligatorie, le quali quindi possono variare da impresa a impresa. Il codice civile fissa comunque due scritture contabili obbligatorie minime: • Il libro giornale, che è la scrittura contabile nella quale “vanno indicate giorno per giorno tutte le operazioni relative all’esercizio dell’impresa” (Art. 2216 c.c.), essa è perciò una scrittura che va tenuta secondo un criterio cronologico. Al suo interno vanno rilevati i fatti di gestione nel loro profilo patrimoniale e reddituale, ovvero accertandone l’impatto sulla consistenza patrimoniale dell’impresa e sulla formazione del risultato di esercizio; • Il libro degli inventari, che è la scrittura contabile nella quale “vanno periodicamente indicati e valutati tutti gli elementi patrimoniali attivi e passivi dell’impresa ed estranei all’impresa” (Art. 2217 c.c.), ovvero il patrimonio caratterizzato da un vincolo funzionale di destinazione dell’impresa e il patrimonio che invece viene utilizzato per fini differenti. Essa è quindi una scrittura che va tenuta secondo un criterio sistematico. Infine, gli elementi da cui è composto devono essere indicati e valutati, ovvero riportati in forma descrittiva e, nel caso in cui sia possibile, anche attraverso la loro valutazione. L’inventario deve essere redatto all’inizio dell’impresa (inventario iniziale) e poi con cadenza annuale (inventario annuale). L’inventario annuale si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite (bilancio d’esercizio); • Forme richieste ai fini probatori verso terzi, secondo l’Art.2556 comma 1 c.c. che impone la forma scritta ad probationem quando il contratto ha ad oggetto aziende relative ad imprese soggette a registrazione (quindi non piccola impresa). Per tutte le imprese soggette a registrazione è inoltre prescritto che i relativi contratti di trasferimento siano depositati per l’iscrizione nel registro delle imprese entro 30 giorni, a cura del notaio rogante o autenticante: per ottenere l’iscrizione è necessario che il contratto sia redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata; Per quanto riguarda la pubblicità nel registro delle imprese, sono soggetti all’obbligo di iscrizione i trasferimenti di qualsiasi azienda, purché almeno una delle due parti sia un imprenditore soggetto allo stesso obbligo. Il divieto di concorrenza Oltre gli effetti dedotti in contratto, la vendita dell’azienda produce ulteriori effetti che riguardano il divieto di concorrenza dell’alienante e la successione nei contratti, crediti e debiti aziendali. L’Art. 2557 c.c. afferma che “chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta”. La ragione alla base di questo divieto di concorrenza è dato dalla pericolosità che l’eventuale concorrenza del cedente rivestirebbe nei confronti del cessionario: egli infatti potrebbe utilizzare la propria esperienza e reputazione per raggiungere agevolmente i clienti e dirottarli verso la propria nuova attività. In ogni caso però, è vietato prolungare oltre i 5 anni la durata di tale divieto, ed inoltre, le parti possono determinare la dimensione del divieto nel contratto traslativo dell’azienda (es. ampliando la portata dell’obbligo ad attività anche non direttamente concorrenziali), purché non sia impedita ogni attività professionale all’alienante. La successione nei contratti aziendali L’Art. 2558 c.c. afferma che “se non è pattuito diversamente l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”. Si tratta dei contratti in forza dei quali il titolare dell’azienda: • Può godere dei beni aziendali di cui non è proprietario (locazione e leasing); • Consegue determinate prestazioni collaborative (contratto di agenzia o di prestazione d’opera intellettuale con un professionista); • Entra in contratto con la clientela e i fornitori; In tutti questi rapporti è naturale che subentri l’acquirente dell’azienda, non solo nel suo interesse ma anche di quello dei terzi contraenti nell’avere una controparte contrattuale. La successione nei contratti in corso di esecuzione rappresenta un effetto naturale e automatico del trasferimento dell’azienda e si determina ex lege nel momento in cui diviene efficace il trasferimento. Il subentro prescinde dalla volontà dell’acquirente e del cedente e persino dalla conoscenza che l’acquirente ha dell’esistenza del rapporto. Non è richiesto inoltre il consenso del terzo contraente. L’Art. 2558 comma 2 c.c. predispone però una tutela a favore del terzo, riconoscendogli il diritto di recesso dal contratto se viene esercitato nei confronti dell’acquirente entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento solo in presenza di una giusta causa. Il recesso non determina il ritorno del contratto in capo all’alienante bensì la definitiva estinzione dello stesso. Resta solo la possibilità al terzo di chiedere il risarcimento del danno all’alienante dando la prova che questi non abbia agito correttamente nella scelta dell’acquirente dell’azienda. Esiste tuttavia, una categoria di rapporti contrattuali rispetto ai quali non opera la regola della successione, ovvero quei contratti a carattere personali, i quali continuano a far capo all’alienante. Sono quei contratti che attribuiscono specifica rilevanza alle qualità personali dell’alienante dell’azienda per cui la prestazione promessa è oggettivamente infungibile (se la prestazione sarebbe impossibile da parte dell’acquirente dell’azienda) o soggettivamente infungibile (es. quei contratti dove è stata pattuita l’incedibilità del contratto). Per cedere tali contratti è necessaria un’espressa pattuizione tra alienante e acquirente e il consenso del terzo. La successione nei crediti e debiti aziendali La successione riguarda solo i contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite da nessuno dei due contraenti nel momento in cui si verifica il trasferimento, quando da un contratto però, residuano soltanto un credito a favore o un debito a carico dell’alienante si applicano gli Art. 2559-2560 c.c.: • Per i crediti (Art. 2559 c.c.), “la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto nei confronti dei terzi dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto traslativo dell’azienda”. La pubblicità nel registro rende dunque efficace la cessione del credito nei confronti del debitore il quale però è comunque liberato se paga in buona fede all’alienante; • Per i debiti (Art. 2560 c.c.), “l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, ma continua a rispondere di tali debiti in solido con l’acquirente, a meno che i creditori non acconsentano alla sua liberazione”, mantiene fermo quindi il principio secondo cui non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore; Il principio generale secondo cui ciascuno risponde solo delle obbligazioni assunte è invece derogato per le sole aziende commerciali, in quanto l’Art. 2560 comma 2 c.c. dispone che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda solo se essi risultano dalle scritture contabili obbligatorie”. Disciplina diversa e più favorevole per i lavoratori è invece prevista per i debiti da lavoro, in quanto di questi l’acquirente dell’azienda risponde in solido con l’alienante anche se non risultano dalle scritture contabili e anche se non ne ha avuto conoscenza all’atto del trasferimento. Usufrutto e affitto dell’azienda L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento, essa infatti può essere concessa in usufrutto o in affitto. In particolare: • La concessione in usufrutto, comporta il riconoscimento in capo all’usufruttuario di particolari poteri e doveri disciplinati dall’Art. 2561 c.c. tra cui: ▪ L’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue; ▪ Deve gestirla senza modificare la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione, degli impianti e le normali dotazioni di scorte; La violazione di questi obblighi o la cessazione arbitraria della gestione dell’azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario; Dall’altro lato, questo potere-dovere di gestione dell’usufruttuario comporta che egli può: ▪ godere dei beni aziendali; ▪ disporne nei limiti segnati dalle esigenze di gestione (può acquistare ed immettere nell’azienda nuovi beni che diventano di proprietà del concedente); Al termine dell’usufrutto l’azienda risulterà composta in tutto o in parte da beni diversi da quelli originari e per tale motivo è previsto che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che la differenza venga regolata in denaro; • L’affitto di azienda, prevede la stessa disciplina dell’usufrutto secondo un rinvio operato dall’Art. 2562 c.c.; l’affitto di azienda è un contratto diverso dalla locazione di un immobile destinato all’esercizio di attività d’impresa in quanto nel primo caso l’oggetto del contratto è un complesso di beni organizzati eventualmente comprensivo dell’immobile, nel secondo caso il contratto ha per oggetto il locale in quanto tale; Sia ad usufrutto che affitto di azienda si applicano il divieto di concorrenza e la disciplina della successione dei contratti aziendali. La disciplina dei crediti aziendali invece si applica solo all’usufrutto mentre quella per i debiti aziendali non si applica né all’usufrutto né all’affitto: ciò significa che dei debiti aziendali anteriori alla costituzione di usufrutto o affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore, salvo che per i debiti da lavoro espressamente accollati anche al titolare del diritto di godimento. 5. I SEGNI DISTINTIVI L’attività d’impresa vede coesistere più imprenditori che producono e/o distribuiscono beni o servizi identici o similari, per tale motivo, ciascun imprenditore utilizza uno o più segni distintivi che consentono di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti. I segni distintivi si distinguono in due grandi categorie: • Tipici, ovvero quelli previsti e disciplinati dal legislatore (ditta marchio, insegna, ragione e denominazione sociale, nomi a dominio aziendali); • Atipici, ovvero quelli non previsti dal legislatore (slogan pubblicitari e jingle); Ditta, insegna e marchio sono i tre principali segni distintivi dell’imprenditore e, pur avendo un proprio specifico ruolo, assolvono una funzione comune ovvero favoriscono la formazione e il mantenimento della clientela in quanto consentono ai consumatori di distinguere tra i vari operatori economici e di operare scelte consapevoli. In generale, essi sono disciplinati con disposizioni parzialmente diverse ma è comunque possibile ricavare dei principi comuni: • L’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi ma è tenuto a rispettare determinate regole volte ad evitare inganno e confusione sul mercato; • L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi ma si tratta di un diritto relativo in quando non può evitare che altri adottino il medesimo segno distintivo quando questo non può creare confusione o sviamento della clientela a causa della diversa attività d’impresa; • L’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi ma neppure questo diritto è pieno e incondizionato, in quanto l’ordinamento vuole evitare che la circolazione dei segni possa trarre in inganno il pubblico; La ditta La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore, ovvero il nome con il quale l’imprenditore agisce nell’esercizio dell’attività d’impresa (Art. 2563-2567 c.c.). Esso è un segno distintivo necessario poiché, in mancanza di diversa scelta, coincide con il nome civile dell’imprenditore. La ditta può essere liberamente scelta in virtù dell’Art. 2563 c.c. il quale afferma che “l’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo della ditta da lui prescelta”, tuttavia tale scelta incontra due limiti rappresentati dal rispetto di due principi: • Principio di verità, ha contenuto diverso a seconda che si tratti di ditta originaria o derivata per cui: ▪ La ditta originaria è quella utilizzata dall’imprenditore che l’ha creata, ed essa deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore. Ciò è sufficiente perché sia soddisfatto il principio di verità, restando poi l’imprenditore libero di completare come preferisce la propria ditta; ▪ La ditta derivata è quella formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad altro imprenditore insieme all’azienda, in questo caso nessuna disposizione impone a chi utilizza una ditta derivata di integrarla con il proprio cognome o con la propria sigla; Una ditta è irregolare quando non contiene il nome o la sigla dell’imprenditore, tuttavia, essa è comunemente ritenuta tutelabile in base alla disciplina della concorrenza sleale; • Principio di novità, secondo l’Art. 2564 c.c. “la ditta non deve essere uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e tale da creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa viene esercitata”. Chi ha adottato per primo una ditta ha diritto all’uso esclusivo della stessa mentre chi adotta successivamente una ditta uguale o simile può essere costretto ad integrarla o modificarla con indicazioni idonee. Ovviamente però, il diritto all’uso esclusivo della ditta e l’obbligo di differenziazione sussistono solo se i due imprenditori sono in rapporto concorrenziale tra loro; Per quanto riguarda la tutela della ditta, essa è da ritenersi protetta solo a fronte di concreti rischi di confusione, da accertare relativamente al territorio e al settore di attività dell’imprenditore. L’Art. 2565 c.c. stabilisce che la ditta è trasferibile ma solo insieme all’azienda. Se il trasferimento avviene per atto tra vivi è necessario il consenso dell’alienante mentre nella successione dell’azienda per causa di morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria. possono costituire oggetti di registrazione come marchi i segni privi di carattere distintivo, in particolare: ▪ Quelli che consistono esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio (es. la parola “mega” o “super”); ▪ Quelli costituiti unicamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o la loro figura generica (es. la parola “cravatta” o “camicia”); ▪ Quelli formati esclusivamente da indicazioni descrittive degli elementi essenziali o della provenienza del prodotto (es. la parola “brillo” non può essere usata per prodotti lucidanti”); • Novità, per cui non possono essere registrati marchi simili o identici ad altri già registrati in una categoria merceologica uguale o affine. In ogni modo, la mancanza di novità può essere sanata nel caso in cui per cinque anni consecutivi l’impresa avente il diritto sul marchio tolleri il suo utilizzo da parte di un’altra impresa che abbia registrato il marchio privo di novità, sempre che la domanda non sia stata presentata in malafede; L’assenza di capacità distintiva può comunque essere sanata (Art. 13 c.p.i.), infatti “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo”. Questo è il caso del secondary meaning, ovvero un fenomeno che consente ad una parola priva di carattere distintivo di acquistare nel tempo un secondo significato agli occhi dei consumatori, riuscendo ad identificare la provenienza dei prodotti da parte di una determinata impresa (es. quotidiano “Il Giornale”). Il fenomeno opposto al secondary meaning è la volgarizzazione del marchio, che avviene quando il segno distintivo perde la sua capacità distintiva e la sua funzione di collegamento tra prodotto e impresa che lo ha registrato, diventando una parola comune (es. “scotch” sinonimo di nastro adesivo). Tutela del marchio, trasferimento e decadenza In caso di contraffazione del marchio, sono molte le tutele previste per il soggetto che ha il diritto di esclusiva sul marchio, in particolare: • Azione di rivendicazione, in base al quale il titolare del marchio, in caso di nuova registrazione da parte dei terzi del marchio, può assumere a proprio nome la domanda (se il marchio non è ancora stato rilasciato) o chiederne il rigetto; • Azione di contraffazione, che consente al titolare di inibire la fabbricazione o commercio di merci che violano il diritto di esclusiva, o addirittura, di chiederne la distruzione; • Azione di concorrenza sleale, che può essere richiesta anche nell’ipotesi in cui i consumatori siano indotti a credere (tramite pubblicità e utilizzo di altri segni distintivi) che esista un legame commerciale fra imprenditori, quando invece manca; • Azione di risarcimento del danno e di riversione dei profitti; Inoltre il marchio può essere anche trasferito dal titolare in due modi: • A titolo definitivo, il trasferimento in questo caso può essere parte di un’alienazione anche di altri elementi aziendali (es. un ramo d’azienda) o può avvenire autonomamente; • Temporaneo (licenza di marchio), e la licenza in questo caso può essere trasferita anche a più soggetti; Il marchio decade in ipotesi di non uso effettivo da parte del titolare entro 5 anni dalla registrazione o comunque nell’eventualità di mancato utilizzo per un periodo ininterrotto di 5 anni. Altro motivo di decadenza del marchio è in caso di sopravvenuta illiceità o ingannevolezza, ovvero quando il segno distintivo registrato non rispetta, dopo la registrazione, il requisito della liceità o se può indurre il consumatore in inganno. Ultima ipotesi di decadenza si ha nell’ipotesi di volgarizzazione, ovvero quando l’uso comune del termine usato ha come effetto quello di far perdere la capacità distintiva del prodotto originale. I segni distintivi ad uso plurimo: marchio collettivo e di certificazione e le indicazioni geografiche Gli ordinamenti nazionale ed europeo riconoscono e proteggono altre due tipologie di segni distintivi destinati all’utilizzazione contemporanea da parte di una pluralità di imprenditori: • Marchio collettivo e di certificazione che possono essere registrati da: ▪ Marchi collettivi, persone di diritto pubblico e associazioni di categoria, per cui appaiono destinati all’uso di produttori e commercianti che condividono le finalità istituzionali dell’ente; ▪ Marchi di certificazione, persone fisiche o giuridiche preposte a garantire origine, natura o qualità di determinati prodotti o servizi; Devono inoltre, essere utilizzati nel rispetto dei regolamenti d’uso allegati alla domanda di registrazione, in cui vengono determinate: ▪ Condizioni d’uso del marchio; ▪ I controlli per verificarne il rispetto delle stesse; ▪ Le sanzioni previste in caso di inosservanza; • Indicazioni geografiche, che sono regolate dal codice di proprietà industriale, norme europee e accordi internazionali. Esse sono collocate nella categoria dei segni distintivi non registrati, per cui sono tutelate in ragione della sussistenza di una tradizione produttiva riconosciuta dal pubblico ad un territorio dal quale viene originato il prodotto in questione e dal quale dipendono le sue qualità, la reputazione e le caratteristiche. Hanno particolare importanza nel settore dei prodotti agroalimentari, in quanto è possibile tutelare in tutti i paesi europei le indicazioni geografiche mediante la registrazione presso la commissione, a titolo di DOP o IGP, al fine di evitare utilizzazioni ingannevoli o approfittamenti della notorietà; 6. LA COOPERAZIONE TRA IMPRENDITORI Gli strumenti di cooperazione e forme di integrazione tra imprese L’esercizio dell’attività imprenditoriale competitiva in mercati in continua evoluzione, presuppone l’esistenza di un gran numero di risorse finanziare ed economiche, aggiornate competenze tecnologiche, strategie ed investimenti che un singolo imprenditore non può procurarsi o effettuare in maniera isolata, per cui si rende necessaria l’adozione di: • Strumenti di cooperazione, il quale trovano la propria fonte in contratti mediante il quale gli imprenditori conservano la propria sostanziale autonomia giuridica ed economica e distinguiamo in: ▪ Forme di cooperazione inderogabilmente strutturate, che presuppongono un apparato organizzativo adeguato ad un rapporto di collaborazione potenzialmente stabile e duraturo tra imprenditori (es. consorzi, società consortili); ▪ Forme di cooperazione potenzialmente flessibili, che sono tendenzialmente prive di una rigida organizzazione interna e sono finalizzate ad una cooperazione occasionale per la realizzazione di obiettivi a breve termine (es. contratti di rete, associazioni temporanee di impresa); • Forme di integrazione, che sono caratterizzate dall’esistenza di legami partecipativi nella proprietà dell’impresa. Esse comportano: ▪ La formazione di un gruppo di imprese, ovvero un’unica entità economica; ▪ La fusione, che determina la creazione di una nuova entità giuridica nella quale confluiscono le imprese alleate; I consorzi I consorzi sono contratti con i quali “più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” (Art. 2602 c.c.). Essi sono finalizzati a: • Conseguire un vantaggio economico diretto nell’esercizio della propria attività (risparmio di spesa o maggior ricavo dovuto a razionalizzazione del ciclo produttivo o distributivo); • Limitare, direttamente o indirettamente, la concorrenza tra imprenditori, anche se i consorzi sono vietati se hanno per oggetto quello di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato; Sono soggetti ad una disciplina generale secondo cui: • La costituzione avviene mediante un contratto stipulato tra imprenditori, per cui non possono essere parti del contratto le persone fisiche o giuridiche non qualificabili come imprenditori agricoli o commerciali; • Per iscritto, a pena di nullità, con una serie di indicazioni tra cui: ▪ Oggetto del consorzio; ▪ Obblighi assunti dai consorziati (es. non vendere/comprare se non tramite il consorzio); ▪ Contributi da essi dovuti, come versamenti iniziali e/o periodici; • Con validità di 10 anni se non diversamente stabilito; Un elemento essenziale del consorzio è la presenza di un’organizzazione comune per il compimento degli atti necessari per l’esecuzione del programma consortile, il quale lascia spazio all’autonomia privata. Il modello legale prevede comunque una struttura organizzativa composta da: • Organo deliberativo, il quale è composto da tutti i consorziati, ed è retto dal principio maggioritario, se il contratto di consorzio non dispone diversamente. Inoltre, adotta le modificazioni del contratto di consorzio per iscritto e all’unanimità; • Organo esecutivo, il quale è composto da persone preposte dai consorziati alla direzione del sodalizio e che controlla l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dai consorziati; Associazioni temporanee di imprese Le associazioni temporanee di imprese (join venture) sono forme di cooperazione flessibili, che non determinano la nascita di alcuna organizzazione o di un soggetto diverso dalle imprese coinvolte. Sono strutturate secondo un modello che prevede una serie di imprese aspiranti al compimento di un determinato compito o progetto (es. un appalto), che si presentano distinte e autonome dal committente ma con un collegamento realizzato con: • Assegnazione ad una delle imprese del ruolo di capogruppo, con il compito di gestire i rapporti con il committente ed assicurare il coordinamento necessario per realizzare l’opera; • Sottoposizione al committente di un’offerta congiunta, assumendo un impegno comune di eseguire l’opera, specificando le parti di competenza di ciascuna impresa; Tra le tipologie fondamentali di queste associazioni abbiamo quelle costituite per la partecipazione agli appalti pubblici, il quale: • Sono previste e regolate dal codice dei contratti pubblici; • Ruotano attorno alla fattispecie del mandato collettivo speciale di rappresentanza, il quale risulta da un atto: ▪ Irrevocabile; ▪ Gratuito; ▪ Redatto con scrittura privata autenticata dalle imprese mandanti prima della presentazione dell’offerta complessiva; ▪ Diretto alla capogruppo, che assume la rappresentanza esclusiva delle altre imprese mandanti nei confronti della stazione appaltante; 7. CONCORRENZA E CORRETTEZZA IMPRENDITORIALE La concorrenza sleale La tutela contro gli atti di concorrenza sleale è imposta a livello internazionale dall’Art.10-bis della Convenzione d’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, attuato in Italia all’interno degli Art.2598 c.c. e seguenti. Per quanto riguarda i soggetti, la disciplina della concorrenza sleale presuppone: • La qualità di imprenditore del soggetto attivo e del soggetto passivo; • Un rapporto di concorrenza, che sussiste: ▪ Sia quando le imprese si rivolgono ad una clientela comune sotto il profilo merceologico (es. produttore di software non è in concorrenza con produttore di alimentari) e/o territoriale (es. attività di alimentari di Milano non è in concorrenza con medesima attività di Reggio Calabria); ▪ Sia a livelli economici diversi, quando le attività di uno incidono sulla medesima clientela dell’altro (es. distributore che denigra le caratteristiche dei prodotti di un fabbricante); Tipologie di concorrenza sleale Gli atti di concorrenza sleale possono essere racchiuse in varie tipologie (Art. 2598 c.c.) tra cui: • Concorrenza sleale per confusione, il quale consiste in: ▪ Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con nomi o segni distintivi legittimamente usati da altri; ▪ Compimento di atti idonei a creare confusione con prodotti o attività di un concorrente; ▪ Imitazione servile dei prodotti di un concorrente, determinando quindi un inganno in ordine alla provenienza del prodotto. Tuttavia, le forme proteggibili contro l’imitazione sono solo quelle registrabili come marchi; Tale concorrenza sleale ha una disciplina che tutela i segni distintivi tipizzati dall’ordinamento (ditta, ragione e denominazione sociale, insegna, marchio, titoli e testate di periodici, nome a dominio) ed assume rilievo centrale nel definire i presupposti e l’ambito di protezione dei segni distintivi non registrati, in quanto se essi sono registrati tale disciplina viene assorbita dalla protezione più ampia prevista dal codice di proprietà industriale; • La denigrazione, il quale consiste nel comportamento di chi diffonde notizie e giudizi sui prodotti e sull’attività di un concorrente tali da determinare discredito. • L’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente, che si ha quando un imprenditore: ▪ Rappresenta nei propri cataloghi i prodotti del concorrente; ▪ Dichiara di aver ricevuto premi o riconoscimenti attribuiti ad altri; ▪ Afferma di intrattenere rapporti commerciali con un’impresa particolarmente nota al pubblico, mentre questi rapporti sono intrattenuti da terzi; Questa disciplina presuppone che il pregio venga vantato falsamente; • Atti contrari ai principi di correttezza professionale, che consistono nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi di correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l’azienda altrui. La giurisprudenza ha elaborato una serie di tipologie generali di comportamenti scorretti, tra cui: ▪ Affermazioni ingannevoli relative al proprio prodotto o attività; ▪ Scorretta imputazione dei costi e dei benefici dell’attività imprenditoriale (violazione di norme di diritto pubblico che introducono limiti e costi allo svolgimento dell’attività d’impresa); ▪ Atti volti a trarre profitto da iniziative imprenditoriali altrui o a scaricare su terzi i costi delle proprie decisioni; ▪ Storno di dipendenti, ovvero l’iniziativa volta a sottrarre lavoratori al concorrente, promettendo loro migliori condizioni di retribuzione e mansioni; Sanzioni e processo La violazione della disciplina della concorrenza sleale comporta l’applicazione delle seguenti sanzioni: ▪ Azione inibitoria, ovvero l’ordine di cessare la continuazione dell’illecito da parte del giudice il quale può disporre provvedimenti per eliminare gli effetti dell’atto (es. cancellazione dei segni distintivi illegittimamente apposti). Essa prescinde dallo stato soggettivo di dolo e colpa dell’autore e può essere pronunciata anticipatamente in via cautelare, in modo da prevenire tempestivamente attività che produrrebbero danni difficilmente quantificabili; ▪ Risarcimento del danno, che può essere richiesto solo in caso di atti dolosi o colposi e permette un’agevolazione dell’onere probatorio, in quanto la colpa si presume una volta accertati gli atti di concorrenza. Può essere pronunciato e pubblicato con sentenza; Le pratiche commerciali Il codice del consumo impone a chi offre beni e servizi di tenere un comportamento corretto in qualsiasi contatto instaurato con i consumatori, per cui vi è un divieto generale di pratiche commerciali scorrette tra cui quelle: ▪ Contrarie alla diligenza professionale, ovvero al di sotto del normale grado di competenza e attenzione che i consumatori si attendono; ▪ Idonee a falsare il comportamento economico del consumatore, ovvero che alterano sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole in merito ad acquisto o cessione del prodotto, modalità di pagamento ed esercizio dei diritti; Sono invece più specifiche due categorie di pratiche sleali: ▪ Pratiche ingannevoli, che comprendono: ▪ Comunicazione di informazioni non vere; ▪ Pratiche che inducono in errore il consumatore medio; ▪ Omissione di informazioni rilevanti per il consumatore; ▪ Informazioni oscure e incomprensibili; ▪ Pratiche aggressive, che comprendono le molestie di carattere fisico o psicologico idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio. In questo ambito si valuta l’aggressività tenendo conto di: ▪ Persistenza delle molestie (es. continue sollecitazioni telefoniche); ▪ Presenza di minacce e sfruttamento di eventi tragici; ▪ Comportamenti ostruzionistici nei confronti del consumatore che intende esercitare i propri diritti; In particolare, le pratiche scorrette trovano maggiore spazio di applicazione in materia di pubblicità, per tale motivo il legislatore europeo ha dettato una disciplina specifica al fine di: ▪ Tutelare dalla pubblicità ingannevole, ovvero quella idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche raggiunte; ▪ Stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa, ovvero stabilire dei limiti oltre il quale si incorre nella denigrazione o nell’appropriazione di pregi; Inoltre, l’adozione di pratiche commerciali scorrette: ▪ Costituisce un illecito amministrativo, il cui accertamento ed applicazione delle sanzioni sono di competenza dell’AGCM; ▪ Si configura sul piano privatistico come fonte di obbligazione di risarcimento del danno; 9. LA NOZIONE DI SOCIETÀ E PRINCIPI GENERALI La nozione di società Secondo il codice civile “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economia allo scopo di dividerne gli utili” (Art. 2247 c.c.). Le società sono strutture organizzative destinate all’esercizio di un’attività produttiva e l’ordinamento ne individua una pluralità: • Società lucrative che a loro volta si dividono in: ▪ Società di persone, quali: società semplice (s.a.s.), società in nome collettivo (s.n.c.) e società in accomandita semplice (s.a.s.); ▪ Società di capitali, quali: società a responsabilità limitata (s.r.l.), società per azioni (s.p.a.) e società in accomandita per azioni (s.a.p.a.); • Società con scopo mutualistico, ovvero società cooperative e società delle mutue assicuratrici; • Società europea e società cooperativa europea; Le società lucrative hanno scopo di lucro, ovvero realizzano profitto da dividere tra i soci, ed oltre ad esse abbiamo le società con scopo mutualistico (società cooperative e delle mutue assicuratrici) il quale non hanno l’obiettivo di generare profitto, ma di portare un beneficio comune ai soci che ne fanno parte. In tutti i casi la società è una struttura costituita per il perseguimento di uno scopo egoistico. Le società inoltre possono essere: • Organismi pluripersonali, che sono senza eccezioni: ▪ Le società di persone, che si sciolgono o estinguono se viene meno la pluralità dei soci; ▪ Le società in accomandita per azioni, dove i soci si distinguono in accomandanti e accomandatari; ▪ Le società a scopo mutualistico; ▪ Le società consortili; • Organismi non necessariamente pluripersonali che possono essere: ▪ Società a responsabilità limitata; ▪ Società per azioni; Il contratto e l’atto unilaterale costitutivo Le società nascono a seguito di un atto di autonomia privata, ovvero tramite contratto per le società pluripersonali e tramite atto unilaterale per le società unipersonali. Dalla definizione del contratto di società secondo cui esso “è il contratto con cui due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economia allo scopo di dividerne gli utili” possiamo dedurre degli elementi essenziali: • Il conferimento di beni o servizi da parte dei soci; • Lo svolgimento dell’attività economica, il quale deve essere un’attività produttiva e non di mero godimento di beni; • La realizzazione di un profitto da dividere tra i soci, ovvero uno scopo lucrativo; a) I conferimenti Il primo elemento caratterizzante della società, nonché il mezzo attraverso il quale si svolge l’attività economica sono i conferimenti (beni o servizi) apportati dai soci e l’insieme dei conferimenti forma il capitale sociale (o capitale iniziale). Ogni cosa suscettibile di valutazione economica può essere oggetto di conferimento (denaro, immobili, brevetti, marchi) e l’atto costitutivo della società contiene l’obbligo da parte dei soci di effettuare i conferimenti che quindi sono elemento essenziale dell’atto costitutivo. La legge non prevede un capitale iniziale minimo per le società di persone, mentre fissa un minimo nella società di capitali, infatti: • S.r.l., il capitale iniziale è di almeno 10.000€ (anche se oggi è possibile costituire una s.r.l. con capitale pari almeno a 1€, anche se in questo caso si parla di “società senza conferimento”); • S.p.a., con capitale iniziale di almeno 50.000€; L’atto costitutivo impone inoltre sui beni conferiti un vincolo di destinazione, per cui è impedito che essi vengano sottratti alla società in quanto: • Il socio non può mai chiedere la restituzione del bene, in caso di recesso gli spetta solo una somma di denaro (quota di liquidazione); • Il socio non è libero di chiedere la liquidazione della sua quota, se non in specifiche ipotesi di recesso; • I soci non possono servirsi dei beni per fini estranei a quelli della società; • I beni sono destinati alla garanzia dei creditori sociali, e poi ai creditori dei singoli soci; Il capitale sociale si differenzia dal patrimonio, in quanto: • Il capitale sociale è un importo contabile che rappresenta il valore dei conferimenti e che viene indicato nell’atto costitutivo. Inoltre, è un’entità immutabile che può essere variata solo modificando l’atto costitutivo della società; • Il patrimonio è l’insieme degli elementi dell’attivo e del passivo della società, dunque quei beni, crediti e debiti che appartengono alla società. È quindi un complesso di entità concrete e subisce continue modifiche in relazione alle vicende della società. Inoltre costituisce la garanzia dei creditori della società che può essere di due tipi: ▪ Garanzia principale, se per le obbligazioni rispondono anche i soci con i loro patrimoni; ▪ Garanzia esclusiva, se per le obbligazioni risponde solo la società con il proprio patrimonio; Vi è poi un vincolo di indisponibilità del capitale sociale, il quale stabilisce che i soci possono prelevare dal patrimonio della società solo le somme che eccedono il valore del capitale (solo se il patrimonio netto è maggiore del capitale si può dire che l’attività sociale ha prodotto un’utile, il quale è l’unico a poter essere distribuito tra i soci); b) L’esercizio in comune di attività economica L’esercizio in comune di un’attività economica rappresenta il secondo elemento caratterizzante della nozione di società e fa riferimento alla specifica attività economica che i soci si pongono di svolgere. Essa è modificabile nel corso della vita della società solamente tramite modifica dell’atto costitutivo e deve essere comunque possibile e lecita. Infine, deve consistere nello svolgimento di un’attività produttiva condotta con metodo economico e finalizzata alla produzione di beni e servizi. c) Lo scopo della società Lo scopo perseguito dalle parti è l’ultimo elemento caratterizzante della nozione di società e l’Art. 2247 c.c. enuncia solo uno dei possibili scopi ovvero la divisione degli utili. Questo scopo ovviamente vale per le c.d. società lucrative, mentre le società cooperative perseguono uno scopo mutualistico, ovvero di fornire direttamente ai soci beni, servizi e occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle sul mercato. Le tipologie di società Le 8 tipologie di società previste dall’ordinamento nazionale possono essere aggregate in categorie omogenee sulla base di alcuni criteri di classificazione tra cui: • Distinzione basata sullo scopo istituzionalmente perseguibile, secondo cui le società cooperative e le mutue assicuratrici (scopo mutualistiche) si contrappongono a tutti gli altri tipi di società, ovvero da quelle di persone e capitali (scopo lucrativo); • Distinzione basata sulla natura dell’attività esercitabile, secondo cui la società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale mentre tutte le altre società lucrative possono esercitare sia attività commerciale che non commerciale e sono sempre soggette ad iscrizione nel registro delle imprese; • Distinzione legislativa tra società con personalità giuridica (società di capitali e cooperative) e senza personalità giuridica (società di persone). In particolare: Nelle società con personalità giuridica: ▪ È prevista un’organizzazione di tipo corporativo, ovvero basata sulla presenta di una pluralità di organi (assemblea, organo di gestione e organo di controllo); ▪ Il funzionamento degli organi sociali è determinato dal principio maggioritario; ▪ Il singolo socio non ha alcun potere diretto di amministrazione e controllo, ma solo il diritto di concorrere alla designazione di tali organi attraverso il voto, per il quale il peso è proporzionale all’ammontare del capitale sociale che ha sottoscritto; Nelle società senza personalità giuridica: ▪ Non è prevista un’organizzazione basata sulla presenza di una pluralità di organi; ▪ L’attività della società prevede un modello organizzativo che riconosce ad ogni socio a responsabilità illimitata il potere di amministrazione, mentre richiede il consenso di tutti i soci per la modificazione dell’atto costitutivo (Art. 2252 c.c.); ▪ Il singolo socio è investito del potere di amministrazione e rappresentanza, indipendentemente dal capitale conferito; • Distinzione basata sul regime di responsabilità per le obbligazioni sociali secondo cui vi sono: ▪ Società nella quali rispondono sia il patrimonio sociale, sia i singoli personalmente ed illimitatamente, in modo inderogabile (s.n.c.) o con possibilità di deroga (s.s.); ▪ Società nelle quali coesistono soci a responsabilità limitata (accomandanti) e a responsabilità illimitata (accomandatari) (s.a.s. e s.a.p.a.); ▪ Società nelle quali risponde solo la società con il proprio patrimonio (tutte le altre); I soggetti che costituiscono una società possono liberamente scegliere fra tutti i tipi di società previsti dalla legge se l’attività non è commerciale, e tutti tranne la società semplice se l’attività è commerciale. Personalità giuridica e autonomia patrimoniale Tramite il riconoscimento della personalità giuridica il patrimonio sociale è reso autonomo rispetto a quello dei soci e viceversa. Tuttavia il legislatore, che nelle società di persone ha negato la personalità giuridica, ha comunque provveduto a soddisfare le esigenze dei creditori con specifiche disposizioni che rendono il patrimonio della società autonomo da quello dei soci, in quanto: • I creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi. È concesso però a questi di ottenere la liquidazione della quota del proprio debitore se i beni di quest’ultimo sono insufficienti (Art. 2270 c.c.); • I creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, se prima non tentano di soddisfarsi su quello della società; In sintesi, anche nella società di persone il patrimonio della società è relativamente autonomo rispetto a quello dei soci e viceversa. Nomina e revoca degli amministratori La nomina degli amministratori può avvenire in due momenti: • Nomina nell’atto costitutivo, secondo cui i soci al momento della costituzione della società indicano gli amministratori nell’atto costitutivo e, se non specificato, vale la regola di amministrazione e rappresentanza di tutti i soci; • Nomina con atto separato, secondo cui i soci al momento della costituzione della società, indicano nell’atto costitutivo solo il numero di amministratori, rinviando la decisione; Per quanto riguarda la revoca invece, può essere: • Negoziale, ovvero per volontà dei soci ed in questo caso bisogna distinguere se gli amministratori sono stati: ▪ Nominati nell’atto costitutivo, in questo caso la decisione di revocare un amministratore richiede l’unanimità dei consensi. La revoca ha effetto solo per giusta causa, ovvero per gravi inadempimenti degli obblighi degli amministratori. Tuttavia, la revoca priva il socio del potere di amministrazione, non della sua partecipazione sociale; ▪ Nominati con atto separato, in questo caso la revoca è ammessa secondo quanto disposto in tema di mandato. Si potrà procedere efficacemente alla revoca anche in assenza di giusta causa, sebbene questo esponga la società al rischio di dover risarcire il danno; • Giudiziale, secondo cui ciascun socio ha diritto a chiedere la revoca giudiziale di un altro socio davanti al tribunale per giusta causa; Gli obblighi degli amministratori Gli amministratori hanno il potere e il dovere di gestire l’impresa sociale secondo le norme sul mandato, per tale motivo devono compiere tutti gli atti necessari al conseguimento dell’oggetto sociale tra cui delineare le strategie imprenditoriali e organizzare la modalità di svolgimento dell’attività. Devono inoltre tenere le scritture contabili, redigere il bilancio d’esercizio e provvedere agli adempimenti necessari per l’iscrizione nel registro delle imprese, pena sanzioni. L’obbligo degli amministratori di gestire l’attività è un’obbligazione di mezzi e non di risultato e devono svolgere le proprie funzioni secondo la diligenza del buon padre di famiglia, in quanto se osservano tale diligenza non sono responsabili per eventuale andamento negativo della gestione. Inoltre, sono responsabili solidalmente verso la società per l’inadempimento degli obblighi imposti dalla legge e dal contratto sociale, tuttavia, la responsabilità non si estende agli amministratori che dimostrano di essere esenti da colpe. La figura di socio e amministratore non sempre coincidono, infatti abbiamo: • Amministratore non socio, che è un soggetto estraneo alla società; • Socio non amministratore, che può essere previsto dall’atto costitutivo, essi sono esclusi dall’amministrazione ma parteciperanno comunque all’attività sociale avendo un potere di controllo che consiste in: ▪ Diritto di informazione, sullo svolgimento degli affari della società; ▪ Diritto di ispezione, consultando i documenti relativi all’amministrazione; Le decisioni dei soci Nelle società di persone, quindi nella s.n.c., il codice non indica una regola in merito al procedimento da applicare per le decisioni dei soci. La legge prevede solo quali decisioni possono essere prese in base alle modalità: • Decisioni all’unanimità, riguardo le modifiche dell’atto costitutivo (Art. 2252 c.c.); • Decisioni a maggioranza: ▪ Calcolata in base alla partecipazione agli utili, riguardo le decisioni di opposizione in regime di amministrazione disgiunta, trasformazione in società di capitali, fusione e scissione; ▪ Calcolata per teste, riguardo la decisione di esclusione dell’amministratore; ▪ Calcolata in base alla partecipazione al capitale sociale, per la proposta di concordato fallimentare; Le modifiche devono essere iscritte dagli amministratori entro 30 giorni a pena di non opponibilità nei confronti di terzi, tranne se si dimostra che questi ne fossero a conoscenza. Lo scioglimento del singolo rapporto sociale e delle società Lo scioglimento del singolo rapporto sociale (Art. 2284 c.c.) indica il venir meno della partecipazione di un singolo socio nella società e la sua fonte può essere un evento naturale (morte), la volontà del socio (recesso), la volontà degli altri soci (esclusione facoltativa) o una previsione legale (esclusione di diritto). Nelle s.n.c. lo scioglimento del singolo rapporto sociale non tronca immediatamente ogni legame tra socio e società, infatti l’ex socio o i suoi eredi: • Devono attendere massimo 6 mesi per vedersi liquidata la propria quota di partecipazione; • Continuano a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sorte prima dello scioglimento del rapporto sociale; • Potranno essere assoggettati a fallimento per estensione entro 1 anno dallo scioglimento del rapporto sociale; • Il nome dell’ex socio potrà restare nella denominazione sociale, con il consenso dell’interessato (recesso) o dei suoi eredi (morte); Gli amministratori devono provvedere entro 30 giorni dallo scioglimento, alla registrazione dello scioglimento nel registro delle imprese e, se ciò non avviene, i soci uscenti saranno ritenuti responsabili delle obbligazioni sorte anche successivamente allo scioglimento del rapporto sociale. a) Morte del socio La morte di un socio determina l’obbligo della società di liquidare la quota agli eredi dello stesso. Tuttavia, non è prevista l’automatica trasmissione della quota di partecipazione del defunto ai suoi eredi, in quanto nel termine di 6 mesi i soci superstiti possono scegliere tra due alternative: • Scioglimento anticipato della società, per due motivi: ▪ Motivi di ordine soggettivo, qualora ritengono che la figura del socio deceduto fosse essenziale per la prosecuzione dell’attività; ▪ Motivi di ordine oggettivo, qualora risulti impossibile proseguire l’attività senza la quota del deceduto perché il patrimonio sociale risulterebbe insufficiente; In questo caso gli eredi, come gli altri soci, per la corresponsione della quota di liquidazione dovranno attendere l’esito del procedimento di liquidazione della società; • Continuazione della società con gli eredi, che richiede il consenso di tutti gli eredi del socio defunto; Se nel termine di sei mesi non vengono adottate nessuna delle due alternative, si procederà con la liquidazione della quota del deceduto agli eredi. b) Il recesso il recesso consiste nella manifestazione di volontà del socio di sciogliersi dal rapporto sociale e varia a seconda di: • Recesso nella società a tempo indeterminato, per cui i soci sono liberi di recedere in qualsiasi momento, con il solo obbligo di dare un preavviso di 3 mesi; • Recesso nella società a tempo determinato, per cui il recesso può avvenire solo per giusta causa o se direttamente previsto dall’atto costitutivo. Il recesso è permesso a tutti i soci che hanno espresso il loro voto a sfavore delle decisioni riguardo la trasformazione della società di persone in società di capitali, fusione o scissione. Il diritto di recesso è consentito anche per quei soci che non abbiano concorso alle decisioni di trasformazione, fusione e scissione della società. Questa disposizione è applicabile anche per quelle modifiche prese a maggioranza, ma per cui era richiesta l’unanimità, quindi per modifiche particolarmente incisive; c) Esclusione facoltativa e di diritto L’esclusione facoltativa consiste nella decisione, voluta dalla maggioranza dei soci calcolata per teste, di escludere un determinato socio e i presupposti sono: • Gravi inadempienze delle obbligazioni previste dalla legge o dall’atto costitutivo (mancato conferimento previsto da contratto o il comportamento del socio contrario al principio di buona fede); • Interdizione, inabilitazione del socio o condanna che porta all’intervento dei pubblici uffici; • Impossibilità sopravvenuta nell’eseguire la prestazione prevista nel conferimento dell’opera oppure perimento della cosa dovuta per conferimento in godimento; • Ipotesi specifiche previste nell’atto costitutivo; Sul piano del procedimento, l’esclusione va decisa dai soci a maggioranza (per testa) non calcolando il socio da escludere e sono ammessi al voto anche i soci “non di capitale”, ovvero quelli in cui conferimento non sono capitalizzati (es. socio d’opera). La legge prevede che l’esclusione ha efficacia solo 30 giorni dopo la comunicazione al socio escluso, tempo in cui il socio avrà la possibilità di opporsi dinanzi ad un tribunale. Se l’opposizione viene accolta il socio escluso viene reintegrato nella società. Nel caso particolare in cui la società è composta da soli due soci, non potendosi formare una maggioranza per teste, ciascun socio ha la facoltà di chiedere al tribunale l’esclusione dell’altro ed in questo caso l’esclusione avrà efficacia solo dopo la pronuncia da parte del tribunale. L’esclusione di diritto invece, è prevista direttamente dalla legge ed avviene automaticamente per 2 eventi: • Il socio viene assoggettato al fallimento (perché titolare di un’impresa individuale o perché socio illimitatamente responsabile di un’altra società), e se la dichiarazione di fallimento è revocata il socio viene reintegrato; • Il creditore particolare del socio ottiene la liquidazione della sua quota; La liquidazione della quota In tutti i casi di scioglimento del singolo rapporto sociale, la società ha l’obbligo di liquidare entro 6 mesi, la quota del socio la cui partecipazione è venuta meno. Il valore della quota da liquidare è calcolata al momento dello scioglimento del singolo rapporto sociale e, se la società non rispetta il termine, il socio diventa creditore della società. Una volta liquidata la quota all’ex socio, il capitale sociale della s.n.c. andrà ridotto. La società in accomandita semplice irregolare (s.a.s. irregolare) La s.a.s. irregolare si ha nel caso di mancata iscrizione nel registro delle imprese ed è disciplinata secondo la disciplina della società semplice. La legge in questo caso accentua le limitazioni degli accomandanti all’attività gestoria ai quali è preclusa anche la possibilità di operare con “procura speciale per singoli affari”, a pena di responsabilità illimitata. Ciò viene fatto per tutelare i creditori per l’inadeguata pubblicità della società, che non garantirebbe la possibilità di verificare il ruolo di ciascun socio. LA SOCIETÀ SEMPLICE La società semplice può svolgere esclusivamente l’esercizio di attività di impresa agricola o di professione intellettuale (quindi non attività commerciale). Essa è il prototipo normativo delle società di persona, per cui il legislatore, nel caso in cui manchino norme specifiche per gli altri tipi societari, applica la disciplina della società semplice. Per la sua costituzione l’atto costitutivo non è soggetto a forme speciali salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti e può essere concluso anche verbalmente o per fatti concludenti (società di fatto). Il contenuto dell’atto costitutivo può: • Non menzionare un capitale sociale o i conferimenti dei soci (il capitale sociale nella società semplice non è regolato); • È escluso l’obbligo della tenuta di scritture contabili e la redazione del bilancio; • Prima della riforma del 2001, il codice non prevedeva l’obbligo di iscrizione nel registro, mentre successivamente si è riconosciuta l’iscrizione nella sezione speciale, con efficacia dichiarativa per le società semplici con attività agricola e pubblicità notizia per quelle professionali; Conferimenti e responsabilità Come nella s.n.c. i conferimenti possono essere beni o prestazioni d’opera. In merito alla responsabilità invece, il principio generale è che tutti i soci sono illimitatamente responsabili. Tale regola è parzialmente derogabile, infatti, è possibile che i soci stipulino un accordo per limitare la responsabilità di alcuni di essi, tuttavia tale limitazione è opponibile ai terzi solo se: • I soci beneficiari dell’accordo limitativo non hanno potere di agire in nome e per conto della società (potere di rappresentanza); • Il patto è portato a conoscenza dei terzi; Nelle società semplici il beneficio di escussione opera in maniera meno rigida rispetto alla s.n.c., infatti, il creditore può aggredire direttamente il patrimonio del socio, senza aggredire prima quello sociale. Sarà il socio a dover richiedere il beneficio di preventiva escussione indicando i beni societari su cui il creditore può soddisfarsi. Cambia anche la posizione dei creditori personali del singolo socio, in quanto nei confronti del socio della società semplice (così come nella s.n.c. regolare) il creditore personale può colpire gli utili spettanti al socio debitore ma, a differenza della s.n.c., nella società semplice il creditore particolare può chiedere ed ottenere in ogni momento la liquidazione della quota del socio debitore, purché dimostri che gli altri beni sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti. Amministrazione e rappresentanza Per l’amministrazione della società semplice trova applicazione la stessa disciplina della s.n.c., mentre per la rappresentanza abbiamo una particolare disciplina. Viene confermato il principio base (Art. 2266 c.c.) secondo cui: • La società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza; • In mancanza di diversa previsione contrattuale, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale; Da questo ne consegue quindi che: • Se non è diversamente pattuito nel contratto sociale, la rappresentanza della società spetta a ciascun amministratore, disgiuntamente o congiuntamente, a seconda che in un modo o nell’altro sia stata prevista l’amministrazione; • Il contratto sociale può riservare la rappresentanza solo ad alcuni soci e prevedere anche dei limiti a tale potere; Differente rispetto alla s.n.c. invece, è il regime dell’opponibilità dei limiti originari del potere, nonché delle sue modificazioni ed estinzioni. Occorre infatti fare una distinzione a seconda degli effetti ricollegati dalla pubblicità nel registro delle imprese, poiché: • Quando l’iscrizione della società ha efficacia notizia (società semplice professionale) i limiti di rappresentanza sono sempre opponibili ai terzi, anche se non sono stati iscritti; • Quando l’iscrizione ha efficacia dichiarativa (società semplice agricola) l’atto di limitazione della responsabilità è opponibile ai terzi solo se è stato iscritto; 11. LE SOCIETÀ DI CAPITALI: S.P.A., S.R.L., S.A.P.A. LA SOCIETÀ PER AZIONI La S.p.A. è una società di capitali, unipersonale o pluripersonale, destinata alla realizzazione di progetti imprenditoriali che necessitano ingenti risorse finanziarie. Gli elementi caratteristici della S.p.A. sono: • La presenza di investitori di rischio anonimi interessati a non essere coinvolti nella gestione dell’iniziativa e nelle responsabilità. La gestione della società è affidata agli amministratori; • Gli investitori, in qualità di soci, hanno un controllo di merito sugli atti posti in essere dagli amministratori e possono nominarli e revocarli; • Il criterio di distribuzione dei profitti e del potere all’interno della società sono proporzionali alla ricchezza investita; • La responsabilità del socio è limitata al conferimento effettuato (al contrario delle società di persone); • Le S.p.A. hanno autonomia patrimoniale perfetta, per le obbligazioni risponde solo il patrimonio della società; • Le quote possono essere cedute a terzi in ogni momento senza che si attenda la scadenza del termine di durata della società (disinvestimento anticipato). La circolazione avviene tramite azioni; • È necessaria la presenza di tre organi: assemblea, organo di gestione e organo di controllo; Le tipologie di S.p.A. Esistono diverse tipologie di S.p.A. ed in particolare possiamo distinguere tra: • Società di medio-grandi dimensioni dalle società piccole (in ogni caso il capitale minimo è 50.000€) in base a dati economici relativi al capitale investito o patrimonio netto, ricavi ed esposizione finanziaria; • S.p.A. con compagini sociali ampie, ovvero aperte alla partecipazione di nuovi soci, da quelle a ristretta base familiare, ovvero chiuse all’ingresso di investitori esterni; • Società che si rivolgono al mercato del capitale di rischio per il reperimento di investitori da quelle prive di questa caratteristica; • Società con partecipazioni di privati e società le cui partecipazioni sono in mano pubblica; Da qui, la legge individua due statuti speciali: • Uno statuto per le società aperte all’ingresso di nuovi soci con ricorso al mercato del capitale di rischio; • Un altro statuto con riguardo a tutte le altre; La S.p.A. unipersonale L’ordinamento prevede la possibilità di formare una S.p.A. unipersonale e ciò può avvenire sia dal momento della costituzione per atto unilaterale (Art. 2328 c.c.), sia successivamente senza che questo comporti la conseguenza del necessario scioglimento dell’ente (diversamente da quanto accade nelle società di persone). L’imprenditore che costituisce una S.p.A. unipersonale ha responsabilità limitata e risponde alle obbligazioni solo in proporzione al conferimento che ha effettuato. La società infatti avrà autonomia patrimoniale perfetta e risponderà delle obbligazioni con il patrimonio sociale, a patto che: • Per quanto riguarda i conferimenti, l’azionista è sempre obbligato a prestare da subito l’intero apporto a cui si è impegnato alla sottoscrizione dell’atto costitutivo. La stessa regola riguarda i conferimenti in natura in quanto dovrà eseguire tutta la prestazione; • Per quanto riguarda l’informazione dei terzi, gli amministratori sono obbligati a rendere pubblica la presenza di un unico socio, tramite un’apposita dichiarazione contenente le generalità dell’azionista; Qualora le due prescrizioni non vengano rispettate, per le obbligazioni sorte, in caso di insolvenza della società, il singolo socio risponde illimitatamente. In caso di fallimento, l’Art. 147 della legge fallimentare stabilisce che la procedura di fallimento resta solo a carico della società e non si estende all’unico socio, anche se è diventato illimitatamente responsabile. I patti parasociali I patti parasociali sono accordi tra soci che vincolano i diritti degli azionisti e che gli permettono, pur detenendo quote modeste di capitale (1% o 2%) di garantirsi un controllo della società. Esistono diversi tipi di patti parasociali: • Sindacati di voto, è un patto tra tutti o parte dei soci con i quali essi si impegnano a concordare preventivamente il modo in cui votare all’assemblea; • Sindacati di blocco, ovvero patti che impongono limiti alla circolazione delle azioni; • Sindacati di controllo, ovvero patti che hanno per oggetto l’esercizio di un potere di controllo nella società; Il legislatore disciplina la validità di tali accordi definendo delle condizioni: • Oggetto, secondo cui gli accordi parasociali possono riguardare solo sindacati di blocco, di voto o di controllo (non possono avere come oggetto altri tipi di accordi); • Finalità, secondo cui sono validi solo gli accordi volti a stabilizzare gli assetti amministrativi della società; • Pubblicità, secondo cui i patti devono essere comunicati in apertura di ogni assemblea, con l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; È inoltre stabilito che i patti non possono avere durata superiore a 5 anni. LA STRUTTURA FINANZIARIA DELLE S.P.A. Il capitale sociale e i conferimenti Lo svolgimento dell’attività di una S.p.A. presuppone la raccolta di risorse finanziarie, ed in merito distinguiamo: • Raccolte di risorse finanziarie essenziali, tramite la quale gli investitori ottengono strumenti rappresentativi della loro posizione nella società, ovvero le azioni, il cui insieme forma il capitale sociale. Gli azionisti sono titolari di diritti patrimoniali e amministrativi, ed essi partecipano alla distribuzione degli utili e all’esercizio dell’attività d’impresa; • Raccolta di risorse finanziarie eventuali, tramite la creazione di: ▪ Strumenti finanziari partecipativi, che consistono nella contribuzione non finanziaria (prestazioni d’opera), e attribuiscono ai loro titolari diritti di tipo patrimoniale analoghi a quelli degli azionisti, ma con diritti amministrativi ridotti; ▪ Obbligazioni, ovvero strumenti tramite cui la S.p.A. si procura risorse a “debito”, impegnandosi alla restituzione della somma maggiorata degli interessi. I titolari delle obbligazioni non godono degli stessi diritti degli azionisti; Il capitale sociale della S.p.A. Il capitale sociale è l’insieme delle risorse versate dai soci a disposizione dell’attività. La legge stabilisce come condizione per la costituzione della S.p.A. che il capitale sia integralmente sottoscritto, ovvero che i soci si impegnano ad effettuare i conferimenti in misura pari alla cifra che si sottoscrive. Il conferimento va fatto in denaro, ma sono ammessi conferimenti in natura, se previsto dall’atto costitutivo. È richiesto inoltre che il 25% dei conferimenti (o l’intero ammontare in caso di società unipersonale) debba essere versato dai soci al momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo, spetterà poi agli amministratori richiedere ai soci i versamenti residui se necessario. Per garantire la stabilità del capitale sociale, la clausola statuaria del capitale impone alla società un vincolo al mantenimento nel tempo di entità pari all’ammontare netto. Infatti, per modificare il capitale sociale è necessaria una formale modifica dello statuto, decisa dall’assemblea straordinaria. Da tale regola discende un vincolo di non distribuzione presso gli azionisti che si manifesta: • Nel divieto di ripartizione di utili in caso di perdita del capitale sociale, fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente; • La restituzione dei conferimenti ai soci e la riduzione reale del capitale sociale non è libera, ma condizionata da un giudizio dei creditori ed eventualmente del tribunale sulla sostenibilità dell’operazione da parte della società; Nella S.p.A., diversamente dalla società di persone, è previsto un capitale minimo non inferiore a 50.000€ ed inoltre, è previsto che il capitale sociale non possa mai ridursi al di sotto di tale soglia anche durante la vita dell’impresa, pena lo scioglimento della società. Se i conferimenti non sono stati integralmente versati, le azioni possono comunque circolare. L’alienante non è liberato dall’obbligo di versare i conferimenti per un periodo di 3 anni e, una volta superato questo termine, resta obbligato il solo acquirente ai versamenti residui. In caso di socio inadempiente in seguito alla richiesta da parte degli amministratori dei conferimenti ancora dovuti, la società può, decorsi 15 giorni dalla pubblicazione di una diffida sulla Gazzetta Ufficiale (Art. 2344 c.c.): 1. Offrire le azioni agli altri soci, in maniera proporzionale alla loro partecipazione al capitale; 2. Se nessuno dei soci sottoscrive, le azioni vengono poste sul mercato; 3. In mancanza di compratori, il socio può essere dichiarato decaduto e alla fine dell’esercizio le sue azioni verranno estinte, con una corrispondente riduzione del capitale sociale; Il socio in mora con i versamenti invece, non potrà esercitare diritto di voto. I conferimenti diversi dal denaro Per i conferimenti diversi dal denaro il legislatore prevede una serie di norme ispirate ai principi di effettività in senso stretto e di integrità del capitale, attraverso cui si vuole assicurare che il capitale sociale reale sia certo nel se e nel quanto, per cui: • I conferimenti di beni in natura e di crediti devono essere interamente effettuati al momento della sottoscrizione; • È ammissibile il conferimento di un diritto personale o reale di godimento (uso di un brevetto, marchio, ecc…); • Non possono essere oggetto di conferimento le prestazioni d’opera o servizi; La consegna di azioni societarie derivanti da un conferimento di beni in natura o di crediti, prevede un procedimento, che si compone in diverse fasi: 1. Stima del valore del bene o del credito, realizzata da un esperto estraneo alla società e nominato da un tribunale; 2. Controllo della stima da parte degli amministratori; 3. Proporzionale riduzione del capitale sociale se dalla revisione degli amministratori risulta che il valore dei beni o crediti conferiti è inferiore di oltre 1/5 a quello per cui avvenne il conferimento. In questo caso il conferente può decidere di integrare il versamento in denaro o di recedere dalla società; Gli acquisti da soggetti correlati alla S.p.A. e la compensazione tra il debito al conferimento del sottoscrittore e il credito da questi vantato verso la società La legge vuole scongiurare l’eventualità in cui, chi ha sottoscritto le azioni, concordi con la società di non effettuare in tutto o in parte il proprio conferimento, ma di operare una compensazione del debito dell’azionista con un credito che deriva da un negozio stipulato tra società e l’azionista. Nelle S.p.A. quindi, l’acquisto di beni o crediti appartenenti a soggetti correlati alla società (promotori, fondatori, soci o amministratori), nei 2 anni dall’iscrizione nel registro e a fronte di un corrispettivo pari almeno ad 1/10 del capitale, può avvenire operando come segue: 1. L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea; 2. I soci devono essere messi a conoscenza di una stima del valore del bene/credito da acquistare; 3. Il verbale dell’assemblea deve essere depositato e iscritto presso il registro delle imprese; Sovrapprezzo e apporti “fuori capitale” Non sempre ad ogni apporto del socio corrisponde una quota del capitale sociale. È possibile che il socio possa essere sollecitato ad effettuare, oltre al conferimento che lo identifica come socio di S.p.A., anche una prestazione ulteriore che accresca il patrimonio della società senza però farne aumentare il capitale. Ci sono essenzialmente tre casi: • Sovrapprezzo, ovvero una prestazione aggiuntiva priva di diritto di restituzione; • Conferimento a capitale individualmente esuberante, ovvero l’azionista si obbliga ad un conferimento superiore per consentire l’emissione in favore di un altro socio (es. alcuni soci potrebbero fornire in questo modo la provvista necessaria per le azioni che decidono di assegnare a chi è disposto a conferire una propria invenzione, per un valore complessivo superiore a quello della stima dell’invenzione, qualora si ritenga fondamentale per il successo dell’attività); • Versamenti a fondo capitale o a fondo perduto, per affrontare eventuali bisogni della società, che tuttavia non vanno ad incrementare o variare il capitale sociale: ▪ Versamenti a fondo capitale, sopperiscono ad una futura esigenza capitale; ▪ Versamenti a fondo perduto, servono a coprire eventuali perdite; LE AZIONI Le azioni rappresentano la partecipazione al capitale sociale dei soci e, dal numero di azioni assegnate, discendono diritti ed obblighi del socio. Esse sono omogenee, standardizzate, liberamente trasferibili e sono l’unità minima di apporto finanziario richiesta per partecipare all’attività d’impresa. Le azioni assolvono una duplice funzione: • Funzione di legittimazione, in quanto chi le possiede può esercitare i diritti di socio; • Funzione di trasferimento, poiché con la trasmissione del titolo si trasferisce la qualità di socio; Esse possono avere: • Valore nominale, che corrispondono ad una determinata porzione del capitale, data dalla divisione del capitale sociale per il numero delle azioni emesse. Non è consentito emettere azioni di diverso valore nominale; • Senza valore nominare o con un valore nominale inespresso, quando l’atto costitutivo non indica il valore delle azioni ma solo il loro numero; • Valore reale, dato dalla divisione tra il patrimonio netto ed il numero di azioni emesse; Il patrimonio netto può essere calcolato in base a: • Valore contabile, valutato secondo i dati del bilancio; • Valore effettivo, in relazione alle prospettive reddituali della società; • Valore di mercato, valutato in base al valore della società in un dato ambiente commerciale; La creazione delle azioni Le azioni nascono con la sottoscrizione del capitale sociale da parte dei soci, ovvero una dichiarazione con la quale essi si vincolano a prestare conferimenti. La sottoscrizione del capitale e la relativa emissione di azioni può avvenire in due diverse occasioni: • Al momento della costituzione della S.p.A.; • Nel corso dell’attività, precisamente: ▪ Quando si decide di aumentare il capitale sociale tramite nuovi conferimenti; ▪ Quando si decide un aumento di capitale gratuito tramite utili; I presupposti per la creazione di azioni sono: • La sottoscrizione del capitale al momento della stipula dell’atto costitutivo; • Il versamento del 25% del conferimento, o versamento integrale per conferimenti in natura; La violazione delle norme determina la nullità della partecipazione ed ha efficacia irretroattiva, ovvero non legittima una pretesa di restituzione del conferimento effettuato. L’estinzione delle azioni è prevista: • Nelle ipotesi di riduzione del capitale previste dalla legge o per volontà dei soci; • In occasione dello scioglimento della società; • Nel caso di scioglimento del rapporto sociale di un unico socio; Il contenuto della partecipazione azionaria La titolarità delle azioni attribuisce al socio diritti patrimoniali e amministrativi, in particolare: • Diritti patrimoniali, sono quelli per cui i soci hanno diritto di partecipare alla ripartizione degli utili e sono invalide le clausole che escludono tale diritto. Perché l’utile sia distribuibile occorre che: ▪ Gli utili di esercizio devono risultare dal conto economico dell’anno considerato; ▪ Gli utili devono risultare al netto delle perdite prodotte negli esercizi precedenti; ▪ L’assemblea dei soci deve stabilire la distribuzione dei dividendi; • Diritto di recesso, secondo cui gli azionisti hanno il diritto di sciogliersi dalla società ed ottenere una quota di liquidazione. Tale diritto è esercitabile solo in alcuni casi previsti dalla legge, ovvero: ▪ Cause inderogabili di recesso, per tutelare gli interessi del socio (es. modifica dello statuto, trasformazione della società, modifica dell’oggetto sociale); ▪ Cause derogabili di recesso, sono previste dalla legge ma operano solo se lo statuto non dispone diversamente (es. proroga del termine della società o introduzione/rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari); ▪ Cause di recesso specificatamente previste dallo statuto; ▪ Recesso ad nutum, secondo cui il socio può recedere in qualsiasi momento, ma solo se la società non è quotata ed è costituita a tempo indeterminato; Il recesso, esercitato per tutte o solo alcune azioni, è valido solo dopo 15 giorni a seguito della consegna di una lettera raccomandata; • Diritto alla liquidazione della quota in caso di recesso, secondo cui l’ammontare della quota di liquidazione è stabilita dagli amministratori, tenendo conto del valore di mercato delle azioni, del patrimonio della società e delle prospettive reddituali. Il recesso dell’azionista non determina l’estinzione della partecipazione sociale, ma il suo trasferimento ad altri soggetti (differente rispetto alle società di persone). Le azioni del recedente devono essere offerte in opzione agli altri soci e, in mancanza di soci interessati, gli amministratori possono venderle sul mercato. Se non si trova nessun acquirente, le azioni devono essere rimborsate dalla società o in alternativa si provvede ad una riduzione del capitale sociale; • Diritti amministrativi, secondo cui i soci possono esercitare il diritto al voto che permette di partecipare alle delibere assembleari e di nominare e revocare gli amministratori; • Diritti della minoranza, secondo cui gli azionisti minori godono dei diritti della minoranza che consentono di convocare l’assemblea, impugnare le delibere, denunciare al collegio sindacale o al tribunale gravi inadempienze o irregolarità dell’agire degli amministratori. Questo perché nella S.p.A. vi è una contrapposizione tra maggioranza dei soci (con il potere di indirizzare le scelte sociali) e minoranza dei soci (che mirano a scongiurare che i soci maggiori approfittino della loro posizione); Le categorie di azioni speciali nelle S.p.A. È consentito per le S.p.A. emettere “azioni speciali”, che attribuiscono o escludono diritto patrimoniali o amministrativi. In particolare: • Per quanto riguarda i diritti patrimoniali abbiamo: ▪ Azioni che attribuiscono un utile maggiorato (percentuale più alta di utile) o maggiormente garantito (priorità nella riscossione del diritto di dividendo); ▪ Azioni con diversa incidenza alle perdite, che permettono di subire perdite solo dopo altri soci; ▪ Azioni correlate, che attribuiscono diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività in un determinato settore e non all’intero profitto della società; • Per quanto riguarda i diritti amministrativi, lo statuto può prevedere; ▪ Azioni a voto escluso, senza diritto di voto; ▪ Azioni con diritto di voto limitato a particolari argomenti; ▪ Azioni con voto condizionato al determinarsi di determinate condizioni; ▪ Azioni a voto plurimo, per un massimo di 3 voti; ▪ Azioni con diritto di veto, che attribuiscono il diritto di vietare determinate decisioni; ▪ Azioni con diritto di nomina, che attribuiscono il diritto di nominare un membro del consiglio di amministrazione; ▪ Altre tipologie di azioni, con unico limite il divieto di patto leonino; In questa categoria infine, abbiamo le azioni di godimento, ovvero azioni assegnate come rimborso all’ex azionista nel caso in cui le sue azioni siano state annullate per via di una riduzione del capitale sociale. Esse attribuiscono un diritto di partecipazione agli utili futuri solo dopo la remunerazione di tutte le altre categorie di azioni, ovvero sono postergate rispetto alle altre categorie di soci (attribuiscono il diritto di percepire gli utili alla fine, ovvero solo dopo che questi siano stati attribuiti agli altri soci). Alle azioni di godimento è negato il diritto di voto. Esse sono dovute per la differenza di valore che intercorre tra il valore nominale e reale dell’azione: l’azione all’atto del rimborso ha un valore di gran lunga superiore a quello originario (valore nominale) e per la differenza vengono attribuite queste azioni di godimento; Le assemblee speciali Le assemblee speciali nascono per proteggere gli interessi dei possessori di azioni speciali contro la possibilità che la maggioranza non tenga conto dei loro interessi. L’assemblea speciale è disciplinata con regole analoghe a quella dell’assemblea straordinaria. Se le decisioni dell’assemblea dei soci pregiudicano i diritti di una determinata categoria di azioni, allora la stessa decisione deve essere approvata anche dall’assemblea speciale, pena l’inefficacia della delibera. LEGITTIMAZIONE E CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI Il modello della S.p.A. permette agli azionisti di trasferire le azioni possedute e l’emissione dei titoli azionari è regolata dalla disciplina dei titoli di credito. Al momento della creazione dell’azione, deve essere emesso il relativo documento cartaceo che rappresenta l’azione e permette l’esercizio dei relativi diritti, o un titolo scritturale, non emesso fisicamente. Lo statuto della S.p.A. può escludere l’emissione delle azioni, sia in forma cartacea che scritturale e, se non avviene l’emissione delle azioni e la partecipazione è iscritta solo nel libro dei soci, il trasferimento della partecipazione ha effetto solo al momento dell’iscrizione nel libro dei soci. Titoli azionari cartacei I titoli azionari cartacei sono azioni emesse con relativo documento cartaceo. Il “possesso” del titolo consente di riconoscere all’azionista la legittimazione del diritto contenuto e l’acquisto in buona fede del titolo, in conformità con le norme per la circolazione, non è soggetto a rivendicazione. Le azioni sono obbligatoriamente nominative e per la loro circolazione è necessaria: • Doppia annotazione, una sul titolo tramite la girata, e una sul registro dell’emittente (libro dei soci). Il giratario che si dimostra possessore del titolo è legittimato ad esercitare i diritti, anche se non è ancora avvenuta la registrazione sul libro dei soci; • In alcuni casi è possibile emettere azioni al portatore, trasferite con la consegna materiale del titolo; La dematerializzazione delle azioni Per le azioni di società quotate in mercati regolamentati le azioni devono essere obbligatoriamente dematerializzate e quindi, saranno rappresentate da titoli scritturali, ovvero titoli non emessi fisicamente. Al momento dell’emissione, i tradizionali documenti cartacei sono sostituiti da registri informatici tenuti da appositi intermediari detti “depositari centrali”, ovvero soggetti individuati dalla società incaricati di gestire l’emissione e il trasferimento delle azioni. Per le azioni dematerializzate si applicano le stesse norme dei titoli cartacei (es. possesso vale titolo); Limiti alla circolazione delle azioni Uno dei principi della S.p.A. è la libera circolazione delle azioni, tuttavia, è possibile limitare tale circolazione tramite: • Divieto di trasferimento delle azioni obbligatoriamente temporaneo, la durata massima del divieto è di 5 anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto; • Clausole statuarie di “prelazione”, secondo cui il socio che intende trasferire le azioni è vincolato a offrirle prima agli altri soci rispetto ad un terzo interessato; • Clausola di gradimento degli organi sociali, secondo cui il trasferimento delle azioni è subordinato al consenso degli organi sociali per selezionare le persone che entreranno a far parte della società. Tale clausola è lecita solo se i criteri di selezione dell’aspirante acquirente sono stati precedentemente stabiliti; • Azioni riscattabili, secondo cui lo statuto prevede che tutte o alcune categorie di azioni della società, al verificarsi di particolari condizioni, possano essere acquistate senza che il titolare possa opporsi alla vendita. Mentre le clausole di gradimento impediscono a chi non possiede determinati requisiti di diventare socio, al contrario, le azioni riscattabili evitano che rimanga socio colui che le azioni le abbia già acquistate e che non rientri in tali requisiti; Obbligazioni convertibili in azioni Il possessore di obbligazioni convertibili in azioni (obbligazionista) ha il diritto di vedersi assegnate delle azioni della società in cambio delle obbligazioni possedute. La delibera di emissione delle obbligazioni convertibili in azioni è di competenza dell’assemblea straordinaria e questo perché insieme all’emissione delle obbligazioni convertibili in azione c’è bisogno di una delibera di aumento del capitale di una somma pari al valore delle obbligazioni emesse. L’ORGANIZZAZIONE DELLE S.P.A. La S.p.A. può essere caratterizzata da diversi sistemi organizzativi: • Sistema tradizionale, composto dall’assemblea (ruolo deliberativo), organo amministrativo (ruolo esecutivo) e collegio sindacale (ruolo di controllo); • Sistema dualistico, composto dal consiglio di sorveglianza (sostituisce il consiglio sindacale), e dal consiglio di gestione (sostituisce l’organo amministrativo); • Sistema monistico, composto solo dal comitato per il controllo sulla gestione; IL SISTEMA ORGANIZZATIVO TRADIZIONALE: L’assemblea L’assemblea dei soci è un organo collegiale che rappresenta gli azionisti della società ed ha come ruolo quello di prendere decisioni di tipo organizzativo, tramite un principio di maggioranza, il cui quorum dipende dalla materia trattata. Partecipano all’assemblea solo gli azionisti con diritto al voto. Le competenze dell’assemblea variano a seconda che si parli di assemblea ordinaria o straordinaria. Si tratta di uno stesso organo che, a seconda delle materie, delibera con maggioranze o regole diverse. Per quanto riguarda le relative competenze abbiamo: • Competenze dell’assemblea ordinaria, il quale deve essere convocata almeno una volta al mese: ▪ Approvazione del bilancio e distribuzione degli utili; ▪ Nomina e revoca degli altri organi sociali (amministratori, sindaci, revisori); ▪ Determinazione del compenso degli amministratori e dei sindaci; ▪ Deliberazione dell’azione di responsabilità contro altri organi della società; ▪ Ogni competenza indicata come appartenente all’assemblea (se non è specificato); • Competenze dell’assemblea straordinaria: ▪ Modifiche dello statuto; ▪ Nomina dei liquidatori; ▪ Emissione di obbligazioni convertibili in azioni; ▪ Autorizzazione di finanziamento e garanzie per l’acquisto di azioni proprie; Vi è una netta separazione tra le competenze attribuite all’assemblea e agli amministratori. Lo statuto non può attribuire all’assemblea competenze di gestione che il legislatore ha attribuito agli amministratori. Tuttavia, l’assemblea ordinaria può rilasciare autorizzazioni per alcuni atti degli amministratori, anche se gli amministratori sono lo stesso responsabili per questi atti (seppur autorizzati dall’assemblea) e possono comunque decidere se compiere o meno quell’atto autorizzato dall’assemblea (non sono quindi obbligati ad eseguirlo). Il procedimento assembleare L’assemblea è un organo collegiale che deve seguire un procedimento collegiale formato dalle fasi di: 1. Convocazione dell’organo con il relativo ordine del giorno; 2. Costituzione dell’assemblea e riunione; 3. Discussione; 4. Votazione; 5. Deliberazione; 6. Proclamazione; 7. Verbalizzazione; Se il procedimento non viene rispettato, si avrà l’annullabilità delle delibere e, nel caso di mancata convocazione o verbalizzazione, si avrà la nullità delle delibere. La convocazione dell’assemblea può essere: • Opzionale, il quale è decisa dall’organo amministrativo ogni volta che lo ritiene opportuno; • Obbligatoria: ▪ Una volta l’anno per approvare il bilancio di esercizio (entro 120 gg dalla chiusura dell’esercizio); ▪ Quando si verificano perdite superiori ad 1/3 del capitale sociale; ▪ Quando si verifica una causa di scioglimento della società; ▪ Per richiesta della minoranza che rappresenti almeno 1/10 del capitale, indicando gli argomenti che vogliono essere trattati. Gli amministratori non possono respingere la richiesta se non per giusta causa (es. illiceità degli argomenti da trattare); Atto e avviso di convocazione L’atto di convocazione dell’assemblea è di competenza dell’organo amministrativo, ed è deliberato collegialmente dal consiglio di amministrazione. Altri soggetti titolari del potere di convocazione sono: • Sindaci, quando vengono a mancare tutti gli amministratori; • Tribunale; • Amministratore giudiziario; • Liquidatori; L’avviso di convocazione, invece, deve contenere tutte le indicazioni relative a data, ora e luogo della riunione. La sua emanazione si differenzia per tipologie di società, infatti: • Società chiuse (non quotate), l’avviso deve essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, almeno 15 giorni prima della riunione. Lo statuto può tuttavia prevedere che l’avviso sia comunicato tramite posta elettronica certificata; • Società quotate, la convocazione deve avvenire almeno 30 giorni prima della data di svolgimento dell’assemblea mediante un avviso pubblicato sul sito web della società; In merito al luogo, l’assemblea è convocata nel comune dove ha sede la società, salvo che lo statuto non preveda diversamente. L’ordine del giorno ha la funzione di informare i soci sulle materie di cui si dovrà discutere e deliberare. Le delibere prese su materie non all’ordine del giorno sono annullabili, tuttavia, è possibile deliberare su materie “simili” o “consequenziali” a quelle presenti nell’ordine del giorno. Infine, le delibere assunte da un’assemblea convocata senza rispettare queste norme sono annullabili, a meno che non ci sia l’assemblea totalitaria, ovvero quando è rappresentato l’intero capitale sociale e la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo vi partecipa (soci, amministratori e sindaci, anche se non è necessaria la presenza di tutti, essendo sufficiente la maggioranza di questi componenti). Costituzione dell’assemblea e validità delle delibere La validità delle delibere è subordinata al raggiungimento di un quorum costitutivo e deliberativo, ovvero: • Quorum costitutivo, ovvero la presenza alla riunione di un numero minimo di azioni. Senza il raggiungimento del quorum costitutivo l’assemblea non può iniziare ad operare, tuttavia non devono considerarsi nel calcolo del quorum le azioni prive di diritto al voto o che non hanno voto sulla materia dell’ordine del giorno. Devono essere invece considerate le azioni occasionalmente prive di diritto al voto (es. quelle in possesso della società stessa, quelle dei soci in conflitto d’interessi che dichiarano di astenersi dal voto); • Quorum deliberativo, il quale serve per prendere una decisione e occorre la maggioranza dei voti favorevoli dei soci, tuttavia, non vengono considerate sia le azioni “normalmente” che “occasionalmente” prive di diritto al voto; Invalidità delle deliberazioni assembleari Le delibere assembleari che violano il procedimento deliberativo sono invalide e tale invalidità può presentarsi sotto forma di: • Inesistenza della delibera, che si ha quando manca qualsiasi atto qualificabile come deliberazione da parte di un’assemblea, come nel caso di verbalizzazione di un’assemblea mai convocata e mai tenutasi; • Inefficacia della delibera, che si ha quando manca la legittimità a deliberare da parte dell’assemblea (es. l’assemblea delibera l’esclusione di un socio); • Annullabilità della delibera, che si ha quando le delibere non sono prese in conformità della legge o dello statuto. Questa difformità può determinarsi per vizi di contenuto della delibera o vizi di procedimento, tuttavia, non tutte le violazioni della legge e dello statuto determinano l’invalidità della delibera, ma occorre che il vizio superi in concreto una determinata soglia di rilevanza, come nei casi di: ▪ Partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, secondo cui la delibera è annullabile solo se la loro partecipazione è stata determinante per il raggiungimento del quorum costitutivo; ▪ Invalidità dei singoli voti o errato conteggio, secondo cui la delibera è annullabile solo se il voto viziato è stato determinante per il raggiungimento della maggioranza; ▪ Incompetenza e inesattezza del verbale, secondo cui la deliberà è annullabile solo quando l’incompletezza e l’inesattezza impediscono l’accertamento del contenuto o degli effetti della delibera; La delibera può essere impugnata entro 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese da una minoranza qualificata, costituita dal 5% del capitale sociale, ridotto al 1% nel caso delle società quotate. Nel caso in cui la delibera possa arrecare rischio nel periodo in cui si aspetta la sentenza del tribunale, può essere disposta una “sospensione cautelare” che sospende gli effetti della delibera fino al momento della sentenza. L’annullamento invece, non può essere pronunciato se la società nel frattempo sana il vizio attraverso la sostituzione della delibera impugnata con un’altra, presa in conformità alla legge o allo statuto. L’annullamento ha effetto immediato nei confronti di tutti i soci; • Nullità della delibera, per cui le cause sono previste dalla legge e sono: ▪ Illiceità dell’oggetto della delibera; ▪ Mancata convocazione dell’assemblea, per cui la delibera è nulla se anche solo uno dei soci aventi diritto al voto non è stato avvertito della convocazione. La nullità è prevista solo se la convocazione manca completamente, mentre non c’è nullità ma annullabilità della delibera se la convocazione manca di elementi tipici o non è stata fatta entro i termini previsti dalla legge; ▪ Mancanza di verbale, per cui la delibera è nulla se manca il documento del verbale, o nel caso in cui il verbale è presente ma mancano gli elementi essenziali come la data, l’oggetto e le delibere, tuttavia, può essere sanata verbalizzando prima dell’assemblea successiva; La nullità può essere richiesta da chiunque ne abbia interesse, compresi i soci che hanno votato a favore della delibera, entro 3 anni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese. L’impugnazione non è possibile nelle società quotate per tutte le decisioni riguardanti l’emissione e l’annullamento di titoli, fusione, scissione e trasformazione che hanno già prodotto effetti. Tuttavia, è previsto un risarcimento del danno; GLI AMMINISTRATORI Nel sistema tradizionale, la gestione dell’impresa è affidata all’organo amministrativo ed esso può essere, a seconda di come deciso nello statuto: • Unipersonale (amministratore unico); • Pluripersonale (consiglio di amministrazione); Gli amministratori hanno competenza esclusiva sull’attività di gestione ed è nulla la clausola che attribuisce competenze gestionali ad altri organi sociali. L’assemblea dei soci non ha poteri in materia di gestione, ma può influenzare l’operato degli amministratori tramite: • Scelta degli amministratori; • Controllo sull’operato; • Potere autorizzatorio sugli atti di competenza degli amministratori, se previsto dallo statuto; La nomina dei membri dell’organo amministrativo spetta all’assemblea dei soci, tuttavia, esistono alcune deroghe: • È possibile che possessori di particolari tipi di azioni possano nominare un amministratore (azioni speciali di nomina); • Lo statuto può prevedere che enti pubblici titolari di partecipazioni in S.p.A. non quotate possano nominare un numero di amministratori in maniera proporzionale alla partecipazione al capitale; Nella S.p.A. gli amministratori possono essere sia soci, sia terzi non soci, tuttavia lo statuto può prevedere che i membri non debbano essere soci. Le cause di ineleggibilità e di decadenza dalla carica sono: incapacità legale, fallimento e condanne penali. L’assunzione della carica di amministratore richiede un atto di accettazione che deve essere iscritto nel registro delle imprese. La legge riconosce sia gli amministratori di diritto, sia gli amministratori di fatto, ovvero coloro che non hanno ricevuto un atto di nomina, ma possono svolgere comunque atti di gestione con il consenso dei soci. La durata massima della carica di amministratore è di 3 anni ed è possibile la rielezione e, inoltre, l’amministratore cessa dalla carica per: • Scadenza del termine, tuttavia mantiene i suoi poteri fino alla nomina di un nuovo membro; • Rinuncia, che ha effetto immediato, tranne nel caso in cui viene meno la maggioranza degli amministratori o nel caso di amministratore unico. In questi casi la rinuncia ha effetto solo dal momento della nomina di un nuovo amministratore o se viene ripristinata la maggioranza degli amministratori; • Revoca, disposta dall’assemblea ordinaria, il quale non richiede la giusta causa ma in mancanza di essa si deve risarcire il danno all’amministratore revocato; • Cause previste dalla legge; • Decesso; Se durante il mandato vengono a mancare gli amministratori per cause diverse dalla revoca, si procede alla loro sostituzione in diversi casi: • Se viene a mancare uno o più amministratori ma rimane in carica la maggioranza degli amministratori, allora i membri del C.d.A. possono procedere con la cooptazione, che consiste nel nominare un membro temporaneo che resterà in carica fino all’assemblea successiva; • Se viene a mancare uno o più amministratori e viene meno la maggioranza degli amministratori, allora i membri del C.d.A. devono immediatamente convocare l’assemblea dei soci per nominare nuovi amministratori; • Se vengono meno tutti gli amministratori, allora il collegio sindacale nomina l’assemblea e assume temporaneamente poteri di amministrazione ordinaria; Lo statuto inoltre, può prevedere la clausola di “simul stabunt simul cadent”, secondo cui, nel caso in cui vengano a mancare nel corso del mandato uno o più amministratori, si dovrà procedere alla convocazione dell’assemblea e alla rinnovazione dell’intero organo. Consiglio di amministrazione e presidente Se gli amministratori sono più di uno, essi costituiscono dunque il consiglio di amministrazione e l’amministrazione dovrà essere attuata con metodo collegiale. Le deliberazioni perciò, sono prese seguendo diverse fasi, quali: 1. Convocazione con relativo ordine del giorno; 2. Riunione; 3. Discussione; 4. Votazione; 5. Proclamazione; 6. Verbalizzazione; Il C.d.A. è presidiato dal presidente del consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea dei soci o dal consiglio stesso, che ha il compito di dirigere tutte le fasi del procedimento collegiale, inoltre, il C.d.A. prende le sue delibere rispettando il: • Quorum costitutivo, con la maggioranza degli amministratori in carica; • Quorum deliberativo, con la maggioranza assoluta dei presenti; Lo statuto può prevedere quorum più alti, ma non all’unanimità. Le delibere del C.d.A. sono impugnabili se non conformi alla legge o allo statuto. Le funzioni amministrative possono essere delegate ad amministratori delegati o al comitato esecutivo a cui viene attribuito il pieno potere di gestione sulle materie delegate, anche se alcune competenze non sono delegabili. La delega deve essere prevista dallo statuto o approvata dall’assemblea ordinaria e deve determinare il contenuto e i limiti dei poteri attribuiti, pena nullità. Il C.d.A. ha il potere di: • Indirizzare il comportamento dell’amministratore delegato o comitato esecutivo; • Avocare, ovvero sospendere la delega per singoli atti; • Sostituire o revocare l’amministratore delegato o il comitato esecutivo; Gli amministratori hanno: • Obbligo di gestione diligente e perseguimento dell’interesse sociale; • Obbligo di trasparenza, nel caso in cui egli sia in conflitto di interessi con la società, deve subito renderlo noto al consiglio di amministrazione. L’amministrazione in conflitto di interesse avrà l’obbligo di votare in modo non pregiudizievole all’interesse della società. L’amministratore delegato con conflitto d’interesse invece, dovrà astenersi dal proprio compito ed investire il C.d.A. della decisione. Infine, in caso di mancata comunicazione del conflitto di interessi, la delibera è soggetta ad impugnazione entro 90 giorni, ma solo qualora possa recare danno alla società; La rappresentanza La società può attribuire il potere di agire in nome e per conto della società attraverso la rappresentanza: • Rappresentanza volontaria, il quale è eventuale e conferita con procura da parte dell’interessato; • Rappresentanza legale, il quale è necessaria e prevista per legge; I rappresentanti devono essere necessariamente iscritti nel registro delle imprese e ci sono dei limiti ai poteri degli amministratori rappresentanti, in quanto: • Gli atti compiuti possono essere fatti valere nei confronti di terzi solo se iscritti nel registro; • La violazione dei limiti di rappresentanza sarà sempre opponibile al rappresentante che ha agito a danno della società; IL CONTROLLO SULLA GESTIONE CONTABILE La funzione di controllo nelle S.p.A. ad amministrazione tradizionale è suddivisa tra: • Collegio sindacale, che è un soggetto interno alla società; • Revisore legale dei conti, che è un soggetto esterno alla società; Collegio sindacale e sindaci Il collegio sindacale è un organo interno alla società, composto da 3 o 5 membri (Art. 2397 c.c.), definiti “sindaci”, affiancati da 2 supplenti. Esso si occupa della funzione di controllo sull’attività degli amministratori e dell’attività sociale. Il collegio sindacale ha un controllo formale (assicurandosi che l’attività sia svolta in osservanza della legge e dello statuto) ma non di merito (non è suo compito valutare la convenienza economica delle attività intraprese). Ai sindaci non spetta la funzione di controllo contabile, poiché questa è affidata ai revisori legali dei conti, tuttavia, nelle società non quotate, lo statuto può prevedere che il collegio sindacale possa svolgere tale funzione e, in questo caso, tutti i sindaci dovranno possedere la qualifica di revisore contabile. Altri poteri del collegio sindacale sono: • Obbligo di informazione verso l’assemblea, poiché in sede di approvazione del bilancio, deve presentare una relazione in cui descrive le attività svolte; • Poteri di amministrazione attiva, secondo cui il collegio assume funzione amministrativa temporanea nel caso in cui venga a mancare l’amministratore unico o se vengono meno tutti gli amministratori; • Approva gli atti degli amministratori nel caso in cui è prevista la cooptazione; I sindaci invece, devono possedere dei requisiti professionali a pena di nullità della nomina, ovvero: • Almeno uno di essi deve essere revisore dei conti; • Gli altri devono essere iscritti ad albi professionali (es. avvocati, commercialisti); Sono cause di ineleggibilità e decadenza (non derogabili dallo statuto): • Parentela entro il quarto grado con amministratori della società; • Rapporti di lavoro o di natura patrimoniale con la società; • Incapacità legale e fallimento; Nomina e cessazione dei sindaci La nomina dei sindaci avviene la prima volta nell’atto costitutivo e successivamente spetta all’assemblea ordinaria. Essi rimangono in carica per tre esercizi, tuttavia, nella nomina dei sindaci esistono 2 eccezioni: • Nomina da parte di un ente pubblico che possiede parte del capitale della società; • Nomina da parte di portatori di strumenti finanziari partecipativi; Nelle S.p.A. aperte lo statuto deve prevedere, così come per gli amministratori, che debbano essere nominati dei sindaci facenti parte di liste di minoranza; A seguito della nomina deve esserci l’accettazione, che può avvenire anche per comportamenti concludenti se il sindaco non accetta formalmente l’incarico ma comincia comunque a svolgere i compiti. Le cause di cessazione invece, sono: • Scadenza del termine dopo 3 anni, la quale è simultanea per tutti i sindaci. Fino alla nomina del nuovo collegio, i precedenti sindaci rimangono in carica con una proroga; • Decesso, se muore prima dei 3 anni, in questo caso il sostituto scadrà simultaneamente a tutti gli altri; • Decadenza, nei casi in cui: ▪ Sindaco perde i requisiti di eleggibilità (professionalità o indipendenza); ▪ Inadempimento dei compiti, ovvero assenza ingiustificata per 2 riunioni del collegio sindacale; • Recesso, che ha effetto immediato quando è possibile sostituirlo immediatamente, mentre se non è possibile resta in carica in proroga fino alla nomina di un nuovo sindaco; • Revoca per giusta causa, che si ha tramite delibera dell’assemblea ordinaria che deve poi essere approvata da un tribunale; Funzioni e poteri Il collegio sindacale è un organo collegiale che delibera tramite le fasi di: 1. Convocazione con indicazione dell’ordine del giorno; 2. Riunione; 3. Discussione; 4. Votazione; 5. Proclamazione; 6. Verbalizzazione; Ed ha l’obbligo di riunirsi ogni 90 giorni, tuttavia è possibile richiedere una riunione in qualsiasi momento se necessario. L’attività del collegio sindacale si divide in 3 fasi: • Fase istruttoria, dove i sindaci singolarmente hanno poteri ispettivi, in quanto possono esaminare i documenti sociali e interrogare i dipendenti. Tutte le informazioni devono essere inserite nel libro dell’adunanza del collegio sindacale; • Fase valutativa, che viene esercitata collegialmente; • Fase reattiva, dove il collegio può: ▪ Convocare l’assemblea per l’adozione di provvedimenti urgenti, in caso di gravi irregolarità nella gestione da parte degli amministratori; ▪ Impugnare le delibere assembleari, qualora esse siano lesive dell’interesse sociale; ▪ Promuovere l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori con la maggioranza dei 2/3 dei componenti; L’intervento dei sindaci inoltre, può essere sollecitato dagli azionisti o da una minoranza qualificata. Responsabilità dei sindaci I sindaci devono adempiere ai propri doveri seguendo un principio di diligenza professionale e sono solidalmente responsabili con gli amministratori se: • Il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità dei propri doveri; • Si dimostra la causalità tra il comportamento omissivo del sindaco e l’evento dannoso degli amministratori; Tuttavia, il danno può anche essere determinato esclusivamente da un comportamento dei sindaci e questo è il caso della violazione di segreti a danno della società oppure di false attestazioni date agli azionisti o al pubblico. La revisione legale dei conti Il revisore contabile svolge la funzione di controllo contabile ed egli ha l’obbligo di verificare la regolare tenuta delle scritture contabili e la redazione del bilancio. Il giudizio formulato dal revisore può essere: • Positivo, nel caso in cui il bilancio sia veritiero e corretto sulla situazione patrimoniale della società; • Positivo con rilievi, nel caso in cui ci siano piccole difformità poco rilevanti da correggere; • Negativo, nel caso in cui vi siano delle difformità troppo significative per approvare il bilancio; • Impossibilità di emettere il giudizio con la documentazione pervenuta; Il bilancio d’esercizio potrà quindi essere approvato solo in caso di giudizio positivo senza rilievi ed il controllo contabile deve esercitarsi con continuità durante il corso dell’esercizio. Il revisore contabile può essere sia un libero professionista che una società di revisione contabile che: • Viene nominato dall’assemblea su proposta dell’organo di controllo (collegio sindacale); • Resta in carica per 3 esercizi; • La revoca può essere deliberata dall’assemblea solo per giusta causa e la delibera deve essere approvata dall’organo di controllo; Il revisore deve essere inoltre indipendente dalla società, quindi non deve essere coinvolto nei processi decisionali e non deve detenere strumenti finanziari emessi dalla società, né rivestire cariche sociali. 1. LA FATTISPECIE “IMPRESA” Codice civile e nozione d’impresa La nozione generale di imprenditore è dettata dall’Art. 2082 c.c., il quale afferma che “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Questa nozione traccia il confine tra la figura dell’imprenditore e quella del semplice lavoratore autonomo e fissa i requisiti minimi che devono ricorrere affinché un soggetto sia esposto all’applicazione delle norme dettate dal codice civile per l’impresa e l’imprenditore. Secondo tale articolo, in primo luogo, l’impresa è un’attività (ovvero una sequenza di atti) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o di servizi: affinché si possa parlare di attività produttiva, tale sequenza di atti deve essere volta a produrre un’utilità che prima non c’era attraverso la produzione e lo scambio di beni o di servizi. La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche quando l’attività svolta è illecita, ovvero contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, in particolare distinguiamo: • Illiceità forte, per quei casi dove è illecito l’oggetto stesso dell’attività d’impresa (es. fabbricazione o commercio di droga, sfruttamento della prostituzione, ecc…); • Illiceità debole, per quei casi in cui sono violate norme imperative che subordinano l’esercizio dell’attività di impresa a concessione o autorizzazione (es. commercio all’ingrosso senza licenza). In questo caso la disciplina d’impresa si applica solo in mala parte: il soggetto che svolge l’attività resta destinatario di quella parte di statuto che tutela gli interessi (es. obbligo di scritture contabili ed eventuale assoggettamento a fallimento) ma non può beneficiare delle norme poste a tutela dell’imprenditore; Lo statuto dell’imprenditore commerciale invece, è l’insieme delle norme che disciplinano la struttura e il funzionamento dell’impresa commerciale (imprenditore agricolo escluso). Per lo statuto, l’imprenditore commerciale: • È tenuto all’iscrizione nel registro delle imprese (per le società l’iscrizione ha efficacia costitutiva); • È soggetto al fallimento, a tutela del creditore; • Si può avvalere di ausiliari; Un’attività produttiva per poter essere qualificata come impresa deve soddisfare tre requisiti oggettivi richiesti dall’Art. 2082 c.c.: • Professionalità, secondo cui si fa riferimento al fatto che deve essere un esercizio abituale e non occasionale di una certa attività produttiva. Questo requisito contraddistingue l’attività sul piano della frequenza relativa al suo svolgimento (es. non è imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita di merce). • Organizzazione, secondo cui “non è concepibile l’attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi, ovvero senza l’impegno di capitale e lavoro”. Questo requisito contraddistingue l’attività sul piano dei mezzi impiegati nel suo svolgimento. Solitamente l’imprenditore crea un complesso produttivo formato da persone e beni strumentali, tuttavia non è necessario che entrambi gli elementi ricorrano congiuntamente. La qualità di imprenditore non può essere negata: ▪ A chi opera senza utilizzare le prestazioni lavorative di collaboratori; ▪ Quando il coordinamento dei fattori produttivi non si concretizza nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile; • Economicità, secondo cui è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico, ovvero secondo modalità che consentono quanto meno la copertura dei costi con i ricavi e assicurino l’autosufficienza economica. Non è essenziale quindi che l’intento dell’imprenditore sia quello di conseguire un guadagno bensì è sufficiente l’economicità della gestione. I liberi professionisti I liberi professionisti (avvocati, dottori, notai, commercialisti) non sono mai in quanto tali imprenditori, l’Art. 2238 c.c. stabilisce che le disposizioni in materia d’impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa” (es. il medico che gestisce una clinica privata nella quale opera). Pertanto si applicheranno nei confronti del soggetto sia la disciplina d’impresa sia la disciplina specifica per la professione intellettuale. Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non diventa mai imprenditore anche se, in linea di principio, i requisiti inerenti all’attività d’impresa possono ricorrere tutti nell’esercizio delle professioni intellettuali. c) Categoria d’impresa per soggetto che la esercita: impresa pubblica e privata (ind. e soc.) L’impresa commerciale È imprenditore commerciale colui che esercita una o più delle attività elencate dall’Art. 2195 c.c.: • Attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi, fa riferimento al settore delle imprese industriali (automobilistiche, chimiche, tessili, edili…); • Attività intermediaria nella circolazione di beni, fa riferimento al settore del commercio; • Attività di trasporto per terra, acqua o aria (sia di persone che di cose); • Attività bancaria o assicurativa; • Attività ausiliarie alle precedenti (es. impresa di agenzia, mediazione, pubblicità); L’impresa commerciale a sua volta si distingue in impresa pubblica e privata. L’impresa pubblica L’espressione impresa pubblica fa riferimento ad un fenomeno produttivo imprenditoriale di natura commerciale esercitato da o riconducibile ad un soggetto di diritto pubblico (ente pubblico). In particolare, un’attività commerciale può costituire l’oggetto esclusivo o principale di un ente pubblico che in questo caso si identifica come ente pubblico economico, oppure può essere anche un’iniziativa secondaria che in questo caso si identifica come ente pubblico non economico. Distinguiamo quindi: • Ente pubblico economico, il quale persegue il suo fine istituzionale principalmente attraverso un’attività commerciale ed ha l’obbligo di pubblicità (iscrizione nel registro delle imprese). Inoltre, è sottratto alla disciplina del fallimento ed è assoggettato a tutta la parte della disciplina d’impresa per la quale non è stabilito diversamente; • Società in mano pubblica, il quale è una comune società la cui partecipazione di controllo è detenuta da un ente pubblico ed è assoggettata all’applicazione della disciplina d’impresa; • Ente pubblico non economico, il quale realizza molteplici fini istituzionali attraverso un’azione che si articola in diverse iniziative le quali tipicamente non presentano i caratteri dell’impresa, ma che talvolta possono essere vere e proprie imprese. Non è soggetto all’obbligo di pubblicità ed inoltre, è sottratto alla disciplina del fallimento. Infine, è assoggettato a tutta la parte della disciplina d’impresa per la quale non è stabilito diversamente; L’impresa privata Con il termine impresa privata si fa riferimento ad un fenomeno produttivo imprenditoriale che assume la forma giuridica di diritto privato cioè la persona fisica (impresa individuale), la società (impresa societaria) o un altro ente privato non societario (impresa collettiva non societaria). In particolare: • Se l’impresa ha la forma individuale, non si verificano particolari ripercussioni con riguardo alla disciplina applicabile; • Se l’impresa assume la forma societaria, bisogna soltanto precisare che se si tratta di società di forma commerciale (snc, sas, srl, sa) e cooperative, la disciplina della forma giuridica implementa alcune regole (regole della forma giuridica) come la tenuta delle scritture contabili e l’obbligo di pubblicità; • Se l’impresa assume la forma di un ente privato non societario (gruppo europeo di interesse economico, consorzio tra imprenditori, associazione o fondazione) nel codice civile manca ogni riferimento all’applicazione della disciplina dell’impresa. La maggiore controversia circa l’applicazione della disciplina dell’impresa spetta alle associazioni e fondazioni, anche se oggi prevale l’idea che tale disciplina debba trovare applicazione nella sua interezza anche nelle associazioni e fondazioni che esercitano un’attività commerciale, qualunque sia la posizione o il ruolo assunta da quest’ultima (esclusiva, principale o secondaria); 1.3 L’IMPUTAZIONE DELL’IMPRESA L’impresa, soprattutto quella commerciale, deve essere ricondotta ad un soggetto in quanto la relativa disciplina deve avere un soggetto su cui gravare e tale soggetto è colui al quale si imputa l’impresa, ovvero l’imprenditore in senso giuridico. Tale imputazione, tuttavia, è problematica in quanto manca nel nostro ordinamento un esplicito criterio di imputazione che quindi viene ricavato in via interpretativa attraverso due criteri: • Criterio formale, ovvero la spendita del nome, secondo cui si ritiene che l’imprenditore è colui che svolge l’impresa a suo nome; • Criterio sostanziale, ovvero dell’interesse perseguito, secondo cui si ritiene che l’imprenditore è colui nel cui interesse l’impresa è svolta; La questione dell’imputazione in questo caso appare risolta nel momento in cui l’impresa viene svolta in nome e per conto di uno stesso soggetto, ovvero quando l’elemento formale e sostanziale convergono nella stessa sfera giuridica soggettiva. Questa conclusione prescinde dalla circostanza che il soggetto eserciti materialmente l’impresa, infatti, l’imprenditore può affidare l’esercizio dell’impresa ad uno o più soggetti diversi (frequente nel caso di medie-grandi imprese, dove l’esercizio concreto dell’iniziativa è affidato all’organizzazione e al personale) e, talvolta, l’imprenditore è addirittura obbligato ad affidare l’esercizio dell’impresa ad uno o più altri soggetti (frequente nel caso in cui l’imprenditore non abbia capacità di agire). Il problema dell’imputazione dell’impresa si fa rilevante invece, nel momento in cui l’elemento formale (spendita del nome) e sostanziale (interesse perseguito) fanno capo a soggetti diversi (es. un soggetto esercita l’impresa a suo nome per perseguire l’interesse di un altro soggetto). In questo caso è problematico determinare se per l’imputazione bisogna considerare l’elemento formale o sostanziale. L’orientamento prevalente in questo caso è quello secondo cui l’elemento decisivo ai fini dell’imputazione dell’impresa è la spendita del nome: si ritiene quindi che l’impresa debba imputarsi al soggetto il cui nome viene speso nello svolgimento dell’impresa stessa. Tuttavia, tale conclusione è soggetta ad alcune forme di abuso, infatti, vi sono dei casi in cui il soggetto che svolge l’impresa a proprio nome sia un nullatenente, che non ha quindi nulla da perdere nel caso in cui l’iniziativa non vada a buon fine e che si presta a fungere da prestanome nello svolgimento di un’impresa per conto di un altro soggetto, il quale invece ha interesse a non esporre il suo patrimonio al rischio d’impresa. In questo caso, è evidente che se l’iniziativa non va a buon fine, il peso economico dell’insolvenza è destinato a gravare quasi integralmente su coloro che hanno finanziato l’iniziativa a titolo di credito. Si delinea quindi una situazione in cui: • Da un lato, il patrimonio del prestanome non contiene sostanze patrimoniali sufficienti a soddisfare i creditori; • Dall’altro, il patrimonio del dominus non può essere aggredito dai creditori del prestanome a meno che quest’ultimi non vantino nei suoi confronti una forma di garanzia diretta; Per tale motivo, sono state proposte diverse ricostruzioni, tutte volte a dimostrare che l’impresa si deve imputare a prescindere dall’imputazione dei singoli atti giuridici e, quindi, dal nome speso nel suo svolgimento. In questo caso prevale la teoria dell’imprenditore occulto. La teoria dell’imprenditore occulto parte dal presupposto che, nell’ordinamento, vi sia un’indivisibile relazione biunivoca tra potere e rischio, quindi chi ha la direzione di un’iniziativa economica e, in particolare, imprenditoriale, non può sottrarsi alle relative conseguenze patrimoniali e alle obbligazioni che sorgono durante il suo svolgimento. Pertanto, il dominus di un’iniziativa imprenditoriale è responsabile per le obbligazioni sorte nel corso dello svolgimento di un’impresa ed acquista anche la qualifica di imprenditore: di conseguenza è assoggettato alla disciplina dell’impresa e, in caso di insolvenza, alle procedure concorsuali. Tale teoria prende spunto dall’Art. 147 della legge fallimentare, secondo cui l’impresa si imputa in funzione dell’interesse perseguito e a prescindere dal nome speso nel suo svolgimento. Esso stabilisce che: • Il fallimento di una società con soci illimitatamente responsabili determina il fallimento in estensione (personale) di tali soci palesi; • Nell’ipotesi in cui la società abbia nella sua compagine un socio occulto, il fallimento deve essere dichiarato anche nei confronti di questo se si accerta attraverso opportuni indizi, l’esistenza di questo ulteriore socio; L’inizio dell’impresa Con l’espressione inizio dell’impresa si fa riferimento al momento dal quale si inizia ad applicare la disciplina dell’impresa. Questo momento deve essere accertato secondo un criterio di effettività, ovvero deve essere identificato “nel momento in cui nella realtà concreta si verifica un fenomeno riproduttivo qualificabile come impresa”. Tuttavia, tale momento prescinde da qualunque tipo di adempimento formale che si associa allo svolgimento dell’impresa (es. iscrizione nel registro delle imprese, autorizzazione o licenza per lo svolgimento delle attività). Tutto ciò vale sia che si tratti di un’impresa esercitata da una persona fisica o da una società (o altro ente). C’è anche chi distingue l’attività di organizzazione con l’attività dell’organizzazione e associa solo a quest’ultima l’inizio dell’impresa. Per l’inizio dell’impresa si ritiene quindi necessaria “l’esecuzione di una serie di atti coordinati tra loro e volti ad organizzare un’attività produttiva”. La fine dell’impresa Con l’espressione fine dell’impresa si fa riferimento al momento in cui la disciplina dell’impresa cessa di applicarsi. Anche la fine dell’impresa deve essere accertata secondo un criterio di effettività, ovvero deve essere identificata “nel momento in cui nella realtà concreta viene meno il fenomeno produttivo qualificabile come impresa”. Tuttavia con la fine dell’impresa, si deve escludere che per il venir meno di quest’ultima, occorra attendere la fase della liquidazione, ovvero della disgregazione del complesso produttivo, ovvero la fase in cui vengono monetizzati tutti i beni che costituiscono il complesso aziendale e si risolvono tutti i rapporti pendenti (creditori e debitori). La liquidazione infatti non è una fase essenziale dell’impresa, bensì una fase che riguarda l’eliminazione dell’ente attraverso cui si esercita l’impresa, tuttavia, è una fase obbligatoria della società (o di ogni altro ente collettivo). È evidente quindi, che l’impresa di una società può cessare anche prima della fine della società che invece sopravvive finché non è liquidata e successivamente estinta attraverso la sua cancellazione dal registro delle imprese. Questo però trova eccezione per quanto riguarda uno degli istituti che compongono la disciplina delle imprese, ovvero le procedure concorsuali. Infatti, la fine dell’impresa non comporta il venir meno della possibilità di aprire una procedura concorsuale che può essere messa in atto per tutto l’anno successivo alla cessazione, a condizione che lo stato di insolvenza sia antecedente alla cessazione dell’iniziativa o che si sia verificato l’anno successivo. In questo modo si evita che il titolare dell’impresa possa sfuggire alla soluzione concorsuale dell’insolvenza attraverso la cessazione della sua iniziativa, dando così ai creditori la possibilità di aprire una procedura concorsuale. 3. L’ORGANIZZAZIONE DELL’IMPRESA La struttura dell’organizzazione La struttura organizzativa dell’impresa può essere guardata sotto diversi profili: • Dal punto di vista delle componenti distinguiamo: ▪ La struttura degli asset (materiali e immateriali), ovvero il complesso di fattori produttivi; ▪ La struttura collaborativa, ovvero il personale (dipendenti e collaboratori autonomi); • Dal punto di vista delle funzioni distinguiamo: ▪ La struttura decisionale, ovvero il complesso di soggetti (imprenditore e collaboratori) che concorrono ad assumere le decisioni e a porre in essere gli atti giuridici in cui l’impresa si svolge; ▪ La struttura esecutiva, ovvero il complesso di fattori (umani e non) attraverso il quale si realizza il prodotto o il servizio offerto sul mercato; L’organizzazione dell’azienda L’Art. 2555 c.c. ci dice che “l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Il diritto commerciale tuttavia, non si occupa della “dimensione” costituita dalle componenti della struttura organizzativa bensì della “dimensione” funzionale, ovvero della struttura decisionale dell’impresa. L’imprenditore persona fisica (se si tratta di impresa individuale) o gli amministratori (società o altro ente) non curano personalmente ogni atto, ma delegano alcuni poteri ai propri collaboratori. Il codice civile, disciplina le figure funzionali che tipicamente compongono questa struttura e ne regola la posizione e i poteri. Essi sono: institori, procuratori e commessi; Anche altri collaboratori possono essere affidatari di poteri decisori, ma operando dall’esterno, ovvero come collaboratori autonomi che rimangono strutturalmente estranei all’impresa ed essi sono: mandatari, agenti e mediatori; La disciplina generale dei collaboratori d’impresa Sia che i collaboratori siano interni che esterni, la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell’imprenditore, agendo quindi in rappresentanza dell’imprenditore. Il fenomeno della rappresentanza è regolato dagli Art.2203-2213 c.c. quando riguarda atti inerenti all’esercizio d’impresa commerciale posti in essere da alcune figure tipiche di collaboratori interni che, per la posizione assegnata loro nell’impresa, sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi e a concludere affari per l’imprenditore, ed essi sono: institori, procuratori e commessi. Queste tre figure si differenziano tra loro per la diversa posizione nell’impresa e per la diversa tipologia di potere rappresentativo ma si distinguono comunque alcuni principi comuni poiché: sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore, nel senso che esso costituisce un effetto naturale della loro collocazione nell’impresa da parte dell’imprenditore. L’imprenditore tuttavia, potrà modificare il contenuto legale tipico del loro potere di rappresentanza ma in questo caso è necessario uno specifico atto (procura), opponibile ai terzi solo se portato alla loro conoscenza nelle forme stabilite dalla legge, ovvero attraverso uno specifico regime di pubblicità. Chi conclude affari con i collaboratori dell’imprenditore commerciale quindi, non dovrà verificare se la rappresentanza è stata loro conferita ma dovrà solo verificare se l’imprenditore ha modificato i loro naturali poteri rappresentativi. L’eventuale omissione della pubblicità della procura non consente di rendere opponibili ai terzi i limiti in essa contenuti a meno che non si provi che i terzi ne erano comunque a conoscenza (Art. 2206 c.c.). L’institore L’Art. 2203 c.c. dice che “è institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio di un’impresa commerciale o ad una parte di esse che può essere rappresentata da una sede secondaria o da un ramo particolare”. Può esservi: • Un unico institore preposto all’intera iniziativa; • Più institori, uno preposto all’impresa e uno o più altri ad ogni sua articolazione organizzativa o funzionale (sede o ramo), oppure due o più ad ogni sua articolazione. Nel caso in cui vi siano più institori, essi agiscono disgiuntamente, ovvero ognuno agisce indipendentemente dall’altro o dagli altri, rispetto all’ambito operativo che gli è stato assegnato; L’institore può compiere tutti gli atti pertinenti all’impresa, ha quindi poteri delineati dal “criterio della pertinenza all’impresa”, cioè può decidere e fare tutto ciò che è congruo rispetto all’iniziativa gestita. Da questo ne consegue il fatto che l’institore non può spingersi al di là della gestione dell’impresa, e non può quindi ad esempio alienare l’azienda oppure cambiare l’oggetto dell’impresa gestita, così come non può alienare o ipotecare gli eventuali beni immobili di cui l’azienda si compone. Inoltre, l’institore aggiunge ai poteri sostanziali, i poteri processuali, potendo stare in giudizio per l’imprenditore come attore o come convenuto. Egli inoltre è tenuto all’osservanza delle disposizioni riguardanti le scritture contabili e la pubblicità commerciale, ed è tenuto anche a spendere il nome dell’imprenditore. In caso di omissione, diventa titolare di tutti gli atti compiuti a proprio nome, tuttavia, se si tratta di atti pertinenti all’impresa, si affianca anche la responsabilità dell’imprenditore (Art. 2208 c.c.). Il procuratore Il procuratore è il “collaboratore che compie atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur senza esservi preposto” (Art. 2209 c.c.). È una figura di grado inferiore rispetto all’institore in quanto, a differenza di quest’ultimo, non è posto a capo dell’impresa ma di una sua sede secondaria o di un suo ramo, e il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa (es. sono procuratori il direttore del settore acquisti, del settore pubblicità e il dirigente del personale). In mancanza di specifiche limitazioni nel registro delle imprese, i procuratori sono investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore, riguardo però alla tipologia di operazioni per le quali sono stati investiti di autonomo potere decisionale. Il procuratore non ha nemmeno la rappresentanza processuale dell’imprenditore (nemmeno per gli atti da lui posti in essere) e non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tutela delle scritture contabili. Infine l’imprenditore non risponde per gli atti compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso. Ad esso si applicano le disposizioni degli Art.2206-2207 c.c. in materia di pubblicità, modificazione e revoca della procura. Il commesso Il commesso è un “ausiliario subordinato a cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che mettono in contatto l’impresa con i terzi” (Art. 2210 c.c.) (es. commesso del negozio, impiegato di banca addetto agli sportelli). Ai commessi è riconosciuto il potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di uno specifico atto di conferimento, molto più limitato però rispetto a quello di institori e procuratori. L’Art. 2210 c.c. dispone che “essi possono compiere gli atti che ordinariamente comportano la tipologia di operazioni per cui sono incaricati”, nello specifico i commessi: • Non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non siano d’uso; • Se sono preposti alla vendita nei locali dell’impresa, non possono esigere il prezzo fuori dai locali stessi, né possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione è destinata un’apposita cassa; L’imprenditore può ampliare o limitare tali poteri anche se non è previsto un sistema di pubblicità legale, per tale motivo le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei (es. avvisi affissi nei locali di vendita) o se si prova l’effettiva conoscenza. 3.2 I PRESIDI ORGANIZZATIVI Il legislatore introduce alcuni importanti presidi organizzativi, ovvero degli obblighi diretti ad assicurare una gestione sana e consapevole dell’impresa attraverso il principio di adeguatezza e la documentazione. Il principio di adeguatezza Secondo il principio di adeguatezza della struttura organizzativa “l’imprenditore ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (Art. 2086 c.c.). Si tratta di una norma che è si riferisce alle società o ad altri enti, inoltre, l’adeguatezza è richiesta per l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile in modo da assicurare: • Che i fattori produttivi disponibili siano congrui rispetto al programma imprenditoriale che s’intende svolgere; • Che l’articolazione del procedimento decisionale interno all’impresa sia coerente in relazione alla complessità dell’iniziativa; • Che i centri decisionali siano sorretti da un sistema informativo, capace di mettere nelle condizioni di assumere decisioni ponderate; • Che il sistema informativo sia in grado di intercettare segnali di una crisi; La documentazione: scritture contabili obbligatorie e bilancio d’esercizio La disciplina dell’impresa stabilisce un obbligo di documentazione d’impresa e si tratta dell’obbligo di dare rappresentazione scritta dei diversi accadimenti relativi allo svolgimento dell’attività d’impresa, che viene adempiuto attraverso l’obbligo di tenuta delle scritture contabili. Attraverso le scritture contabili infatti, l’imprenditore può avere un riscontro di come si è svolta l’iniziativa ed accertare se i risultati che ne sono derivati siano in linea con quanto era stato programmato. Le scritture contabili obbligatorie Le norme stabiliscono un criterio di carattere generale in merito alle scritture contabili, ovvero impone la tenuta delle scritture che siano richieste dalla natura e dalla dimensione dell’impresa (Art. 2214 c.c.). La legge quindi, preferisce un criterio elastico di determinazione delle scritture contabili obbligatorie, le quali quindi possono variare da impresa a impresa. Il codice civile fissa comunque due scritture contabili obbligatorie minime: • Il libro giornale, che è la scrittura contabile nella quale “vanno indicate giorno per giorno tutte le operazioni relative all’esercizio dell’impresa” (Art. 2216 c.c.), essa è perciò una scrittura che va tenuta secondo un criterio cronologico. Al suo interno vanno rilevati i fatti di gestione nel loro profilo patrimoniale e reddituale, ovvero accertandone l’impatto sulla consistenza patrimoniale dell’impresa e sulla formazione del risultato di esercizio; • Il libro degli inventari, che è la scrittura contabile nella quale “vanno periodicamente indicati e valutati tutti gli elementi patrimoniali attivi e passivi dell’impresa ed estranei all’impresa” (Art. 2217 c.c.), ovvero il patrimonio caratterizzato da un vincolo funzionale di destinazione dell’impresa e il patrimonio che invece viene utilizzato per fini differenti. Essa è quindi una scrittura che va tenuta secondo un criterio sistematico. Infine, gli elementi da cui è composto devono essere indicati e valutati, ovvero riportati in forma descrittiva e, nel caso in cui sia possibile, anche attraverso la loro valutazione. L’inventario deve essere redatto all’inizio dell’impresa (inventario iniziale) e poi con cadenza annuale (inventario annuale). L’inventario annuale si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite (bilancio d’esercizio); • Forme richieste ai fini probatori verso terzi, secondo l’Art.2556 comma 1 c.c. che impone la forma scritta ad probationem quando il contratto ha ad oggetto aziende relative ad imprese soggette a registrazione (quindi non piccola impresa). Per tutte le imprese soggette a registrazione è inoltre prescritto che i relativi contratti di trasferimento siano depositati per l’iscrizione nel registro delle imprese entro 30 giorni, a cura del notaio rogante o autenticante: per ottenere l’iscrizione è necessario che il contratto sia redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata; Per quanto riguarda la pubblicità nel registro delle imprese, sono soggetti all’obbligo di iscrizione i trasferimenti di qualsiasi azienda, purché almeno una delle due parti sia un imprenditore soggetto allo stesso obbligo. Il divieto di concorrenza Oltre gli effetti dedotti in contratto, la vendita dell’azienda produce ulteriori effetti che riguardano il divieto di concorrenza dell’alienante e la successione nei contratti, crediti e debiti aziendali. L’Art. 2557 c.c. afferma che “chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta”. La ragione alla base di questo divieto di concorrenza è dato dalla pericolosità che l’eventuale concorrenza del cedente rivestirebbe nei confronti del cessionario: egli infatti potrebbe utilizzare la propria esperienza e reputazione per raggiungere agevolmente i clienti e dirottarli verso la propria nuova attività. In ogni caso però, è vietato prolungare oltre i 5 anni la durata di tale divieto, ed inoltre, le parti possono determinare la dimensione del divieto nel contratto traslativo dell’azienda (es. ampliando la portata dell’obbligo ad attività anche non direttamente concorrenziali), purché non sia impedita ogni attività professionale all’alienante. La successione nei contratti aziendali L’Art. 2558 c.c. afferma che “se non è pattuito diversamente l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”. Si tratta dei contratti in forza dei quali il titolare dell’azienda: • Può godere dei beni aziendali di cui non è proprietario (locazione e leasing); • Consegue determinate prestazioni collaborative (contratto di agenzia o di prestazione d’opera intellettuale con un professionista); • Entra in contratto con la clientela e i fornitori; In tutti questi rapporti è naturale che subentri l’acquirente dell’azienda, non solo nel suo interesse ma anche di quello dei terzi contraenti nell’avere una controparte contrattuale. La successione nei contratti in corso di esecuzione rappresenta un effetto naturale e automatico del trasferimento dell’azienda e si determina ex lege nel momento in cui diviene efficace il trasferimento. Il subentro prescinde dalla volontà dell’acquirente e del cedente e persino dalla conoscenza che l’acquirente ha dell’esistenza del rapporto. Non è richiesto inoltre il consenso del terzo contraente. L’Art. 2558 comma 2 c.c. predispone però una tutela a favore del terzo, riconoscendogli il diritto di recesso dal contratto se viene esercitato nei confronti dell’acquirente entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento solo in presenza di una giusta causa. Il recesso non determina il ritorno del contratto in capo all’alienante bensì la definitiva estinzione dello stesso. Resta solo la possibilità al terzo di chiedere il risarcimento del danno all’alienante dando la prova che questi non abbia agito correttamente nella scelta dell’acquirente dell’azienda. Esiste tuttavia, una categoria di rapporti contrattuali rispetto ai quali non opera la regola della successione, ovvero quei contratti a carattere personali, i quali continuano a far capo all’alienante. Sono quei contratti che attribuiscono specifica rilevanza alle qualità personali dell’alienante dell’azienda per cui la prestazione promessa è oggettivamente infungibile (se la prestazione sarebbe impossibile da parte dell’acquirente dell’azienda) o soggettivamente infungibile (es. quei contratti dove è stata pattuita l’incedibilità del contratto). Per cedere tali contratti è necessaria un’espressa pattuizione tra alienante e acquirente e il consenso del terzo. La successione nei crediti e debiti aziendali La successione riguarda solo i contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite da nessuno dei due contraenti nel momento in cui si verifica il trasferimento, quando da un contratto però, residuano soltanto un credito a favore o un debito a carico dell’alienante si applicano gli Art. 2559-2560 c.c.: • Per i crediti (Art. 2559 c.c.), “la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto nei confronti dei terzi dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto traslativo dell’azienda”. La pubblicità nel registro rende dunque efficace la cessione del credito nei confronti del debitore il quale però è comunque liberato se paga in buona fede all’alienante; • Per i debiti (Art. 2560 c.c.), “l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, ma continua a rispondere di tali debiti in solido con l’acquirente, a meno che i creditori non acconsentano alla sua liberazione”, mantiene fermo quindi il principio secondo cui non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore; Il principio generale secondo cui ciascuno risponde solo delle obbligazioni assunte è invece derogato per le sole aziende commerciali, in quanto l’Art. 2560 comma 2 c.c. dispone che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda solo se essi risultano dalle scritture contabili obbligatorie”. Disciplina diversa e più favorevole per i lavoratori è invece prevista per i debiti da lavoro, in quanto di questi l’acquirente dell’azienda risponde in solido con l’alienante anche se non risultano dalle scritture contabili e anche se non ne ha avuto conoscenza all’atto del trasferimento. Usufrutto e affitto dell’azienda L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento, essa infatti può essere concessa in usufrutto o in affitto. In particolare: • La concessione in usufrutto, comporta il riconoscimento in capo all’usufruttuario di particolari poteri e doveri disciplinati dall’Art. 2561 c.c. tra cui: ▪ L’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue; ▪ Deve gestirla senza modificare la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione, degli impianti e le normali dotazioni di scorte; La violazione di questi obblighi o la cessazione arbitraria della gestione dell’azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario; Dall’altro lato, questo potere-dovere di gestione dell’usufruttuario comporta che egli può: ▪ godere dei beni aziendali; ▪ disporne nei limiti segnati dalle esigenze di gestione (può acquistare ed immettere nell’azienda nuovi beni che diventano di proprietà del concedente); Al termine dell’usufrutto l’azienda risulterà composta in tutto o in parte da beni diversi da quelli originari e per tale motivo è previsto che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che la differenza venga regolata in denaro; • L’affitto di azienda, prevede la stessa disciplina dell’usufrutto secondo un rinvio operato dall’Art. 2562 c.c.; l’affitto di azienda è un contratto diverso dalla locazione di un immobile destinato all’esercizio di attività d’impresa in quanto nel primo caso l’oggetto del contratto è un complesso di beni organizzati eventualmente comprensivo dell’immobile, nel secondo caso il contratto ha per oggetto il locale in quanto tale; Sia ad usufrutto che affitto di azienda si applicano il divieto di concorrenza e la disciplina della successione dei contratti aziendali. La disciplina dei crediti aziendali invece si applica solo all’usufrutto mentre quella per i debiti aziendali non si applica né all’usufrutto né all’affitto: ciò significa che dei debiti aziendali anteriori alla costituzione di usufrutto o affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore, salvo che per i debiti da lavoro espressamente accollati anche al titolare del diritto di godimento. 5. I SEGNI DISTINTIVI L’attività d’impresa vede coesistere più imprenditori che producono e/o distribuiscono beni o servizi identici o similari, per tale motivo, ciascun imprenditore utilizza uno o più segni distintivi che consentono di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti. I segni distintivi si distinguono in due grandi categorie: • Tipici, ovvero quelli previsti e disciplinati dal legislatore (ditta marchio, insegna, ragione e denominazione sociale, nomi a dominio aziendali); • Atipici, ovvero quelli non previsti dal legislatore (slogan pubblicitari e jingle); Ditta, insegna e marchio sono i tre principali segni distintivi dell’imprenditore e, pur avendo un proprio specifico ruolo, assolvono una funzione comune ovvero favoriscono la formazione e il mantenimento della clientela in quanto consentono ai consumatori di distinguere tra i vari operatori economici e di operare scelte consapevoli. In generale, essi sono disciplinati con disposizioni parzialmente diverse ma è comunque possibile ricavare dei principi comuni: • L’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi ma è tenuto a rispettare determinate regole volte ad evitare inganno e confusione sul mercato; • L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi ma si tratta di un diritto relativo in quando non può evitare che altri adottino il medesimo segno distintivo quando questo non può creare confusione o sviamento della clientela a causa della diversa attività d’impresa; • L’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi ma neppure questo diritto è pieno e incondizionato, in quanto l’ordinamento vuole evitare che la circolazione dei segni possa trarre in inganno il pubblico; La ditta La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore, ovvero il nome con il quale l’imprenditore agisce nell’esercizio dell’attività d’impresa (Art. 2563-2567 c.c.). Esso è un segno distintivo necessario poiché, in mancanza di diversa scelta, coincide con il nome civile dell’imprenditore. La ditta può essere liberamente scelta in virtù dell’Art. 2563 c.c. il quale afferma che “l’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo della ditta da lui prescelta”, tuttavia tale scelta incontra due limiti rappresentati dal rispetto di due principi: • Principio di verità, ha contenuto diverso a seconda che si tratti di ditta originaria o derivata per cui: ▪ La ditta originaria è quella utilizzata dall’imprenditore che l’ha creata, ed essa deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore. Ciò è sufficiente perché sia soddisfatto il principio di verità, restando poi l’imprenditore libero di completare come preferisce la propria ditta; ▪ La ditta derivata è quella formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad altro imprenditore insieme all’azienda, in questo caso nessuna disposizione impone a chi utilizza una ditta derivata di integrarla con il proprio cognome o con la propria sigla; Una ditta è irregolare quando non contiene il nome o la sigla dell’imprenditore, tuttavia, essa è comunemente ritenuta tutelabile in base alla disciplina della concorrenza sleale; • Principio di novità, secondo l’Art. 2564 c.c. “la ditta non deve essere uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e tale da creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa viene esercitata”. Chi ha adottato per primo una ditta ha diritto all’uso esclusivo della stessa mentre chi adotta successivamente una ditta uguale o simile può essere costretto ad integrarla o modificarla con indicazioni idonee. Ovviamente però, il diritto all’uso esclusivo della ditta e l’obbligo di differenziazione sussistono solo se i due imprenditori sono in rapporto concorrenziale tra loro; Per quanto riguarda la tutela della ditta, essa è da ritenersi protetta solo a fronte di concreti rischi di confusione, da accertare relativamente al territorio e al settore di attività dell’imprenditore. L’Art. 2565 c.c. stabilisce che la ditta è trasferibile ma solo insieme all’azienda. Se il trasferimento avviene per atto tra vivi è necessario il consenso dell’alienante mentre nella successione dell’azienda per causa di morte la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria. possono costituire oggetti di registrazione come marchi i segni privi di carattere distintivo, in particolare: ▪ Quelli che consistono esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio (es. la parola “mega” o “super”); ▪ Quelli costituiti unicamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o la loro figura generica (es. la parola “cravatta” o “camicia”); ▪ Quelli formati esclusivamente da indicazioni descrittive degli elementi essenziali o della provenienza del prodotto (es. la parola “brillo” non può essere usata per prodotti lucidanti”); • Novità, per cui non possono essere registrati marchi simili o identici ad altri già registrati in una categoria merceologica uguale o affine. In ogni modo, la mancanza di novità può essere sanata nel caso in cui per cinque anni consecutivi l’impresa avente il diritto sul marchio tolleri il suo utilizzo da parte di un’altra impresa che abbia registrato il marchio privo di novità, sempre che la domanda non sia stata presentata in malafede; L’assenza di capacità distintiva può comunque essere sanata (Art. 13 c.p.i.), infatti “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo”. Questo è il caso del secondary meaning, ovvero un fenomeno che consente ad una parola priva di carattere distintivo di acquistare nel tempo un secondo significato agli occhi dei consumatori, riuscendo ad identificare la provenienza dei prodotti da parte di una determinata impresa (es. quotidiano “Il Giornale”). Il fenomeno opposto al secondary meaning è la volgarizzazione del marchio, che avviene quando il segno distintivo perde la sua capacità distintiva e la sua funzione di collegamento tra prodotto e impresa che lo ha registrato, diventando una parola comune (es. “scotch” sinonimo di nastro adesivo). Tutela del marchio, trasferimento e decadenza In caso di contraffazione del marchio, sono molte le tutele previste per il soggetto che ha il diritto di esclusiva sul marchio, in particolare: • Azione di rivendicazione, in base al quale il titolare del marchio, in caso di nuova registrazione da parte dei terzi del marchio, può assumere a proprio nome la domanda (se il marchio non è ancora stato rilasciato) o chiederne il rigetto; • Azione di contraffazione, che consente al titolare di inibire la fabbricazione o commercio di merci che violano il diritto di esclusiva, o addirittura, di chiederne la distruzione; • Azione di concorrenza sleale, che può essere richiesta anche nell’ipotesi in cui i consumatori siano indotti a credere (tramite pubblicità e utilizzo di altri segni distintivi) che esista un legame commerciale fra imprenditori, quando invece manca; • Azione di risarcimento del danno e di riversione dei profitti; Inoltre il marchio può essere anche trasferito dal titolare in due modi: • A titolo definitivo, il trasferimento in questo caso può essere parte di un’alienazione anche di altri elementi aziendali (es. un ramo d’azienda) o può avvenire autonomamente; • Temporaneo (licenza di marchio), e la licenza in questo caso può essere trasferita anche a più soggetti; Il marchio decade in ipotesi di non uso effettivo da parte del titolare entro 5 anni dalla registrazione o comunque nell’eventualità di mancato utilizzo per un periodo ininterrotto di 5 anni. Altro motivo di decadenza del marchio è in caso di sopravvenuta illiceità o ingannevolezza, ovvero quando il segno distintivo registrato non rispetta, dopo la registrazione, il requisito della liceità o se può indurre il consumatore in inganno. Ultima ipotesi di decadenza si ha nell’ipotesi di volgarizzazione, ovvero quando l’uso comune del termine usato ha come effetto quello di far perdere la capacità distintiva del prodotto originale. I segni distintivi ad uso plurimo: marchio collettivo e di certificazione e le indicazioni geografiche Gli ordinamenti nazionale ed europeo riconoscono e proteggono altre due tipologie di segni distintivi destinati all’utilizzazione contemporanea da parte di una pluralità di imprenditori: • Marchio collettivo e di certificazione che possono essere registrati da: ▪ Marchi collettivi, persone di diritto pubblico e associazioni di categoria, per cui appaiono destinati all’uso di produttori e commercianti che condividono le finalità istituzionali dell’ente; ▪ Marchi di certificazione, persone fisiche o giuridiche preposte a garantire origine, natura o qualità di determinati prodotti o servizi; Devono inoltre, essere utilizzati nel rispetto dei regolamenti d’uso allegati alla domanda di registrazione, in cui vengono determinate: ▪ Condizioni d’uso del marchio; ▪ I controlli per verificarne il rispetto delle stesse; ▪ Le sanzioni previste in caso di inosservanza; • Indicazioni geografiche, che sono regolate dal codice di proprietà industriale, norme europee e accordi internazionali. Esse sono collocate nella categoria dei segni distintivi non registrati, per cui sono tutelate in ragione della sussistenza di una tradizione produttiva riconosciuta dal pubblico ad un territorio dal quale viene originato il prodotto in questione e dal quale dipendono le sue qualità, la reputazione e le caratteristiche. Hanno particolare importanza nel settore dei prodotti agroalimentari, in quanto è possibile tutelare in tutti i paesi europei le indicazioni geografiche mediante la registrazione presso la commissione, a titolo di DOP o IGP, al fine di evitare utilizzazioni ingannevoli o approfittamenti della notorietà; 6. LA COOPERAZIONE TRA IMPRENDITORI Gli strumenti di cooperazione e forme di integrazione tra imprese L’esercizio dell’attività imprenditoriale competitiva in mercati in continua evoluzione, presuppone l’esistenza di un gran numero di risorse finanziare ed economiche, aggiornate competenze tecnologiche, strategie ed investimenti che un singolo imprenditore non può procurarsi o effettuare in maniera isolata, per cui si rende necessaria l’adozione di: • Strumenti di cooperazione, il quale trovano la propria fonte in contratti mediante il quale gli imprenditori conservano la propria sostanziale autonomia giuridica ed economica e distinguiamo in: ▪ Forme di cooperazione inderogabilmente strutturate, che presuppongono un apparato organizzativo adeguato ad un rapporto di collaborazione potenzialmente stabile e duraturo tra imprenditori (es. consorzi, società consortili); ▪ Forme di cooperazione potenzialmente flessibili, che sono tendenzialmente prive di una rigida organizzazione interna e sono finalizzate ad una cooperazione occasionale per la realizzazione di obiettivi a breve termine (es. contratti di rete, associazioni temporanee di impresa); • Forme di integrazione, che sono caratterizzate dall’esistenza di legami partecipativi nella proprietà dell’impresa. Esse comportano: ▪ La formazione di un gruppo di imprese, ovvero un’unica entità economica; ▪ La fusione, che determina la creazione di una nuova entità giuridica nella quale confluiscono le imprese alleate; I consorzi I consorzi sono contratti con i quali “più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” (Art. 2602 c.c.). Essi sono finalizzati a: • Conseguire un vantaggio economico diretto nell’esercizio della propria attività (risparmio di spesa o maggior ricavo dovuto a razionalizzazione del ciclo produttivo o distributivo); • Limitare, direttamente o indirettamente, la concorrenza tra imprenditori, anche se i consorzi sono vietati se hanno per oggetto quello di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato; Sono soggetti ad una disciplina generale secondo cui: • La costituzione avviene mediante un contratto stipulato tra imprenditori, per cui non possono essere parti del contratto le persone fisiche o giuridiche non qualificabili come imprenditori agricoli o commerciali; • Per iscritto, a pena di nullità, con una serie di indicazioni tra cui: ▪ Oggetto del consorzio; ▪ Obblighi assunti dai consorziati (es. non vendere/comprare se non tramite il consorzio); ▪ Contributi da essi dovuti, come versamenti iniziali e/o periodici; • Con validità di 10 anni se non diversamente stabilito; Un elemento essenziale del consorzio è la presenza di un’organizzazione comune per il compimento degli atti necessari per l’esecuzione del programma consortile, il quale lascia spazio all’autonomia privata. Il modello legale prevede comunque una struttura organizzativa composta da: • Organo deliberativo, il quale è composto da tutti i consorziati, ed è retto dal principio maggioritario, se il contratto di consorzio non dispone diversamente. Inoltre, adotta le modificazioni del contratto di consorzio per iscritto e all’unanimità; • Organo esecutivo, il quale è composto da persone preposte dai consorziati alla direzione del sodalizio e che controlla l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dai consorziati; Associazioni temporanee di imprese Le associazioni temporanee di imprese (join venture) sono forme di cooperazione flessibili, che non determinano la nascita di alcuna organizzazione o di un soggetto diverso dalle imprese coinvolte. Sono strutturate secondo un modello che prevede una serie di imprese aspiranti al compimento di un determinato compito o progetto (es. un appalto), che si presentano distinte e autonome dal committente ma con un collegamento realizzato con: • Assegnazione ad una delle imprese del ruolo di capogruppo, con il compito di gestire i rapporti con il committente ed assicurare il coordinamento necessario per realizzare l’opera; • Sottoposizione al committente di un’offerta congiunta, assumendo un impegno comune di eseguire l’opera, specificando le parti di competenza di ciascuna impresa; Tra le tipologie fondamentali di queste associazioni abbiamo quelle costituite per la partecipazione agli appalti pubblici, il quale: • Sono previste e regolate dal codice dei contratti pubblici; • Ruotano attorno alla fattispecie del mandato collettivo speciale di rappresentanza, il quale risulta da un atto: ▪ Irrevocabile; ▪ Gratuito; ▪ Redatto con scrittura privata autenticata dalle imprese mandanti prima della presentazione dell’offerta complessiva; ▪ Diretto alla capogruppo, che assume la rappresentanza esclusiva delle altre imprese mandanti nei confronti della stazione appaltante; 7. CONCORRENZA E CORRETTEZZA IMPRENDITORIALE La concorrenza sleale La tutela contro gli atti di concorrenza sleale è imposta a livello internazionale dall’Art.10-bis della Convenzione d’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, attuato in Italia all’interno degli Art.2598 c.c. e seguenti. Per quanto riguarda i soggetti, la disciplina della concorrenza sleale presuppone: • La qualità di imprenditore del soggetto attivo e del soggetto passivo; • Un rapporto di concorrenza, che sussiste: ▪ Sia quando le imprese si rivolgono ad una clientela comune sotto il profilo merceologico (es. produttore di software non è in concorrenza con produttore di alimentari) e/o territoriale (es. attività di alimentari di Milano non è in concorrenza con medesima attività di Reggio Calabria); ▪ Sia a livelli economici diversi, quando le attività di uno incidono sulla medesima clientela dell’altro (es. distributore che denigra le caratteristiche dei prodotti di un fabbricante); Tipologie di concorrenza sleale Gli atti di concorrenza sleale possono essere racchiuse in varie tipologie (Art. 2598 c.c.) tra cui: • Concorrenza sleale per confusione, il quale consiste in: ▪ Utilizzazione di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con nomi o segni distintivi legittimamente usati da altri; ▪ Compimento di atti idonei a creare confusione con prodotti o attività di un concorrente; ▪ Imitazione servile dei prodotti di un concorrente, determinando quindi un inganno in ordine alla provenienza del prodotto. Tuttavia, le forme proteggibili contro l’imitazione sono solo quelle registrabili come marchi; Tale concorrenza sleale ha una disciplina che tutela i segni distintivi tipizzati dall’ordinamento (ditta, ragione e denominazione sociale, insegna, marchio, titoli e testate di periodici, nome a dominio) ed assume rilievo centrale nel definire i presupposti e l’ambito di protezione dei segni distintivi non registrati, in quanto se essi sono registrati tale disciplina viene assorbita dalla protezione più ampia prevista dal codice di proprietà industriale; • La denigrazione, il quale consiste nel comportamento di chi diffonde notizie e giudizi sui prodotti e sull’attività di un concorrente tali da determinare discredito. • L’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente, che si ha quando un imprenditore: ▪ Rappresenta nei propri cataloghi i prodotti del concorrente; ▪ Dichiara di aver ricevuto premi o riconoscimenti attribuiti ad altri; ▪ Afferma di intrattenere rapporti commerciali con un’impresa particolarmente nota al pubblico, mentre questi rapporti sono intrattenuti da terzi; Questa disciplina presuppone che il pregio venga vantato falsamente; • Atti contrari ai principi di correttezza professionale, che consistono nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi di correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l’azienda altrui. La giurisprudenza ha elaborato una serie di tipologie generali di comportamenti scorretti, tra cui: ▪ Affermazioni ingannevoli relative al proprio prodotto o attività; ▪ Scorretta imputazione dei costi e dei benefici dell’attività imprenditoriale (violazione di norme di diritto pubblico che introducono limiti e costi allo svolgimento dell’attività d’impresa); ▪ Atti volti a trarre profitto da iniziative imprenditoriali altrui o a scaricare su terzi i costi delle proprie decisioni; ▪ Storno di dipendenti, ovvero l’iniziativa volta a sottrarre lavoratori al concorrente, promettendo loro migliori condizioni di retribuzione e mansioni; Sanzioni e processo La violazione della disciplina della concorrenza sleale comporta l’applicazione delle seguenti sanzioni: ▪ Azione inibitoria, ovvero l’ordine di cessare la continuazione dell’illecito da parte del giudice il quale può disporre provvedimenti per eliminare gli effetti dell’atto (es. cancellazione dei segni distintivi illegittimamente apposti). Essa prescinde dallo stato soggettivo di dolo e colpa dell’autore e può essere pronunciata anticipatamente in via cautelare, in modo da prevenire tempestivamente attività che produrrebbero danni difficilmente quantificabili; ▪ Risarcimento del danno, che può essere richiesto solo in caso di atti dolosi o colposi e permette un’agevolazione dell’onere probatorio, in quanto la colpa si presume una volta accertati gli atti di concorrenza. Può essere pronunciato e pubblicato con sentenza; Le pratiche commerciali Il codice del consumo impone a chi offre beni e servizi di tenere un comportamento corretto in qualsiasi contatto instaurato con i consumatori, per cui vi è un divieto generale di pratiche commerciali scorrette tra cui quelle: ▪ Contrarie alla diligenza professionale, ovvero al di sotto del normale grado di competenza e attenzione che i consumatori si attendono; ▪ Idonee a falsare il comportamento economico del consumatore, ovvero che alterano sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole in merito ad acquisto o cessione del prodotto, modalità di pagamento ed esercizio dei diritti; Sono invece più specifiche due categorie di pratiche sleali: ▪ Pratiche ingannevoli, che comprendono: ▪ Comunicazione di informazioni non vere; ▪ Pratiche che inducono in errore il consumatore medio; ▪ Omissione di informazioni rilevanti per il consumatore; ▪ Informazioni oscure e incomprensibili; ▪ Pratiche aggressive, che comprendono le molestie di carattere fisico o psicologico idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio. In questo ambito si valuta l’aggressività tenendo conto di: ▪ Persistenza delle molestie (es. continue sollecitazioni telefoniche); ▪ Presenza di minacce e sfruttamento di eventi tragici; ▪ Comportamenti ostruzionistici nei confronti del consumatore che intende esercitare i propri diritti; In particolare, le pratiche scorrette trovano maggiore spazio di applicazione in materia di pubblicità, per tale motivo il legislatore europeo ha dettato una disciplina specifica al fine di: ▪ Tutelare dalla pubblicità ingannevole, ovvero quella idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche raggiunte; ▪ Stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa, ovvero stabilire dei limiti oltre il quale si incorre nella denigrazione o nell’appropriazione di pregi; Inoltre, l’adozione di pratiche commerciali scorrette: ▪ Costituisce un illecito amministrativo, il cui accertamento ed applicazione delle sanzioni sono di competenza dell’AGCM; ▪ Si configura sul piano privatistico come fonte di obbligazione di risarcimento del danno; 9. LA NOZIONE DI SOCIETÀ E PRINCIPI GENERALI La nozione di società Secondo il codice civile “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economia allo scopo di dividerne gli utili” (Art. 2247 c.c.). Le società sono strutture organizzative destinate all’esercizio di un’attività produttiva e l’ordinamento ne individua una pluralità: • Società lucrative che a loro volta si dividono in: ▪ Società di persone, quali: società semplice (s.a.s.), società in nome collettivo (s.n.c.) e società in accomandita semplice (s.a.s.); ▪ Società di capitali, quali: società a responsabilità limitata (s.r.l.), società per azioni (s.p.a.) e società in accomandita per azioni (s.a.p.a.); • Società con scopo mutualistico, ovvero società cooperative e società delle mutue assicuratrici; • Società europea e società cooperativa europea; Le società lucrative hanno scopo di lucro, ovvero realizzano profitto da dividere tra i soci, ed oltre ad esse abbiamo le società con scopo mutualistico (società cooperative e delle mutue assicuratrici) il quale non hanno l’obiettivo di generare profitto, ma di portare un beneficio comune ai soci che ne fanno parte. In tutti i casi la società è una struttura costituita per il perseguimento di uno scopo egoistico. Le società inoltre possono essere: • Organismi pluripersonali, che sono senza eccezioni: ▪ Le società di persone, che si sciolgono o estinguono se viene meno la pluralità dei soci; ▪ Le società in accomandita per azioni, dove i soci si distinguono in accomandanti e accomandatari; ▪ Le società a scopo mutualistico; ▪ Le società consortili; • Organismi non necessariamente pluripersonali che possono essere: ▪ Società a responsabilità limitata; ▪ Società per azioni; Il contratto e l’atto unilaterale costitutivo Le società nascono a seguito di un atto di autonomia privata, ovvero tramite contratto per le società pluripersonali e tramite atto unilaterale per le società unipersonali. Dalla definizione del contratto di società secondo cui esso “è il contratto con cui due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economia allo scopo di dividerne gli utili” possiamo dedurre degli elementi essenziali: • Il conferimento di beni o servizi da parte dei soci; • Lo svolgimento dell’attività economica, il quale deve essere un’attività produttiva e non di mero godimento di beni; • La realizzazione di un profitto da dividere tra i soci, ovvero uno scopo lucrativo; a) I conferimenti Il primo elemento caratterizzante della società, nonché il mezzo attraverso il quale si svolge l’attività economica sono i conferimenti (beni o servizi) apportati dai soci e l’insieme dei conferimenti forma il capitale sociale (o capitale iniziale). Ogni cosa suscettibile di valutazione economica può essere oggetto di conferimento (denaro, immobili, brevetti, marchi) e l’atto costitutivo della società contiene l’obbligo da parte dei soci di effettuare i conferimenti che quindi sono elemento essenziale dell’atto costitutivo. La legge non prevede un capitale iniziale minimo per le società di persone, mentre fissa un minimo nella società di capitali, infatti: • S.r.l., il capitale iniziale è di almeno 10.000€ (anche se oggi è possibile costituire una s.r.l. con capitale pari almeno a 1€, anche se in questo caso si parla di “società senza conferimento”); • S.p.a., con capitale iniziale di almeno 50.000€; L’atto costitutivo impone inoltre sui beni conferiti un vincolo di destinazione, per cui è impedito che essi vengano sottratti alla società in quanto: • Il socio non può mai chiedere la restituzione del bene, in caso di recesso gli spetta solo una somma di denaro (quota di liquidazione); • Il socio non è libero di chiedere la liquidazione della sua quota, se non in specifiche ipotesi di recesso; • I soci non possono servirsi dei beni per fini estranei a quelli della società; • I beni sono destinati alla garanzia dei creditori sociali, e poi ai creditori dei singoli soci; Il capitale sociale si differenzia dal patrimonio, in quanto: • Il capitale sociale è un importo contabile che rappresenta il valore dei conferimenti e che viene indicato nell’atto costitutivo. Inoltre, è un’entità immutabile che può essere variata solo modificando l’atto costitutivo della società; • Il patrimonio è l’insieme degli elementi dell’attivo e del passivo della società, dunque quei beni, crediti e debiti che appartengono alla società. È quindi un complesso di entità concrete e subisce continue modifiche in relazione alle vicende della società. Inoltre costituisce la garanzia dei creditori della società che può essere di due tipi: ▪ Garanzia principale, se per le obbligazioni rispondono anche i soci con i loro patrimoni; ▪ Garanzia esclusiva, se per le obbligazioni risponde solo la società con il proprio patrimonio; Vi è poi un vincolo di indisponibilità del capitale sociale, il quale stabilisce che i soci possono prelevare dal patrimonio della società solo le somme che eccedono il valore del capitale (solo se il patrimonio netto è maggiore del capitale si può dire che l’attività sociale ha prodotto un’utile, il quale è l’unico a poter essere distribuito tra i soci); b) L’esercizio in comune di attività economica L’esercizio in comune di un’attività economica rappresenta il secondo elemento caratterizzante della nozione di società e fa riferimento alla specifica attività economica che i soci si pongono di svolgere. Essa è modificabile nel corso della vita della società solamente tramite modifica dell’atto costitutivo e deve essere comunque possibile e lecita. Infine, deve consistere nello svolgimento di un’attività produttiva condotta con metodo economico e finalizzata alla produzione di beni e servizi. c) Lo scopo della società Lo scopo perseguito dalle parti è l’ultimo elemento caratterizzante della nozione di società e l’Art. 2247 c.c. enuncia solo uno dei possibili scopi ovvero la divisione degli utili. Questo scopo ovviamente vale per le c.d. società lucrative, mentre le società cooperative perseguono uno scopo mutualistico, ovvero di fornire direttamente ai soci beni, servizi e occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle sul mercato. Le tipologie di società Le 8 tipologie di società previste dall’ordinamento nazionale possono essere aggregate in categorie omogenee sulla base di alcuni criteri di classificazione tra cui: • Distinzione basata sullo scopo istituzionalmente perseguibile, secondo cui le società cooperative e le mutue assicuratrici (scopo mutualistiche) si contrappongono a tutti gli altri tipi di società, ovvero da quelle di persone e capitali (scopo lucrativo); • Distinzione basata sulla natura dell’attività esercitabile, secondo cui la società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale mentre tutte le altre società lucrative possono esercitare sia attività commerciale che non commerciale e sono sempre soggette ad iscrizione nel registro delle imprese; • Distinzione legislativa tra società con personalità giuridica (società di capitali e cooperative) e senza personalità giuridica (società di persone). In particolare: Nelle società con personalità giuridica: ▪ È prevista un’organizzazione di tipo corporativo, ovvero basata sulla presenta di una pluralità di organi (assemblea, organo di gestione e organo di controllo); ▪ Il funzionamento degli organi sociali è determinato dal principio maggioritario; ▪ Il singolo socio non ha alcun potere diretto di amministrazione e controllo, ma solo il diritto di concorrere alla designazione di tali organi attraverso il voto, per il quale il peso è proporzionale all’ammontare del capitale sociale che ha sottoscritto; Nelle società senza personalità giuridica: ▪ Non è prevista un’organizzazione basata sulla presenza di una pluralità di organi; ▪ L’attività della società prevede un modello organizzativo che riconosce ad ogni socio a responsabilità illimitata il potere di amministrazione, mentre richiede il consenso di tutti i soci per la modificazione dell’atto costitutivo (Art. 2252 c.c.); ▪ Il singolo socio è investito del potere di amministrazione e rappresentanza, indipendentemente dal capitale conferito; • Distinzione basata sul regime di responsabilità per le obbligazioni sociali secondo cui vi sono: ▪ Società nella quali rispondono sia il patrimonio sociale, sia i singoli personalmente ed illimitatamente, in modo inderogabile (s.n.c.) o con possibilità di deroga (s.s.); ▪ Società nelle quali coesistono soci a responsabilità limitata (accomandanti) e a responsabilità illimitata (accomandatari) (s.a.s. e s.a.p.a.); ▪ Società nelle quali risponde solo la società con il proprio patrimonio (tutte le altre); I soggetti che costituiscono una società possono liberamente scegliere fra tutti i tipi di società previsti dalla legge se l’attività non è commerciale, e tutti tranne la società semplice se l’attività è commerciale. Personalità giuridica e autonomia patrimoniale Tramite il riconoscimento della personalità giuridica il patrimonio sociale è reso autonomo rispetto a quello dei soci e viceversa. Tuttavia il legislatore, che nelle società di persone ha negato la personalità giuridica, ha comunque provveduto a soddisfare le esigenze dei creditori con specifiche disposizioni che rendono il patrimonio della società autonomo da quello dei soci, in quanto: • I creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi. È concesso però a questi di ottenere la liquidazione della quota del proprio debitore se i beni di quest’ultimo sono insufficienti (Art. 2270 c.c.); • I creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, se prima non tentano di soddisfarsi su quello della società; In sintesi, anche nella società di persone il patrimonio della società è relativamente autonomo rispetto a quello dei soci e viceversa. Nomina e revoca degli amministratori La nomina degli amministratori può avvenire in due momenti: • Nomina nell’atto costitutivo, secondo cui i soci al momento della costituzione della società indicano gli amministratori nell’atto costitutivo e, se non specificato, vale la regola di amministrazione e rappresentanza di tutti i soci; • Nomina con atto separato, secondo cui i soci al momento della costituzione della società, indicano nell’atto costitutivo solo il numero di amministratori, rinviando la decisione; Per quanto riguarda la revoca invece, può essere: • Negoziale, ovvero per volontà dei soci ed in questo caso bisogna distinguere se gli amministratori sono stati: ▪ Nominati nell’atto costitutivo, in questo caso la decisione di revocare un amministratore richiede l’unanimità dei consensi. La revoca ha effetto solo per giusta causa, ovvero per gravi inadempimenti degli obblighi degli amministratori. Tuttavia, la revoca priva il socio del potere di amministrazione, non della sua partecipazione sociale; ▪ Nominati con atto separato, in questo caso la revoca è ammessa secondo quanto disposto in tema di mandato. Si potrà procedere efficacemente alla revoca anche in assenza di giusta causa, sebbene questo esponga la società al rischio di dover risarcire il danno; • Giudiziale, secondo cui ciascun socio ha diritto a chiedere la revoca giudiziale di un altro socio davanti al tribunale per giusta causa; Gli obblighi degli amministratori Gli amministratori hanno il potere e il dovere di gestire l’impresa sociale secondo le norme sul mandato, per tale motivo devono compiere tutti gli atti necessari al conseguimento dell’oggetto sociale tra cui delineare le strategie imprenditoriali e organizzare la modalità di svolgimento dell’attività. Devono inoltre tenere le scritture contabili, redigere il bilancio d’esercizio e provvedere agli adempimenti necessari per l’iscrizione nel registro delle imprese, pena sanzioni. L’obbligo degli amministratori di gestire l’attività è un’obbligazione di mezzi e non di risultato e devono svolgere le proprie funzioni secondo la diligenza del buon padre di famiglia, in quanto se osservano tale diligenza non sono responsabili per eventuale andamento negativo della gestione. Inoltre, sono responsabili solidalmente verso la società per l’inadempimento degli obblighi imposti dalla legge e dal contratto sociale, tuttavia, la responsabilità non si estende agli amministratori che dimostrano di essere esenti da colpe. La figura di socio e amministratore non sempre coincidono, infatti abbiamo: • Amministratore non socio, che è un soggetto estraneo alla società; • Socio non amministratore, che può essere previsto dall’atto costitutivo, essi sono esclusi dall’amministrazione ma parteciperanno comunque all’attività sociale avendo un potere di controllo che consiste in: ▪ Diritto di informazione, sullo svolgimento degli affari della società; ▪ Diritto di ispezione, consultando i documenti relativi all’amministrazione; Le decisioni dei soci Nelle società di persone, quindi nella s.n.c., il codice non indica una regola in merito al procedimento da applicare per le decisioni dei soci. La legge prevede solo quali decisioni possono essere prese in base alle modalità: • Decisioni all’unanimità, riguardo le modifiche dell’atto costitutivo (Art. 2252 c.c.); • Decisioni a maggioranza: ▪ Calcolata in base alla partecipazione agli utili, riguardo le decisioni di opposizione in regime di amministrazione disgiunta, trasformazione in società di capitali, fusione e scissione; ▪ Calcolata per teste, riguardo la decisione di esclusione dell’amministratore; ▪ Calcolata in base alla partecipazione al capitale sociale, per la proposta di concordato fallimentare; Le modifiche devono essere iscritte dagli amministratori entro 30 giorni a pena di non opponibilità nei confronti di terzi, tranne se si dimostra che questi ne fossero a conoscenza. Lo scioglimento del singolo rapporto sociale e delle società Lo scioglimento del singolo rapporto sociale (Art. 2284 c.c.) indica il venir meno della partecipazione di un singolo socio nella società e la sua fonte può essere un evento naturale (morte), la volontà del socio (recesso), la volontà degli altri soci (esclusione facoltativa) o una previsione legale (esclusione di diritto). Nelle s.n.c. lo scioglimento del singolo rapporto sociale non tronca immediatamente ogni legame tra socio e società, infatti l’ex socio o i suoi eredi: • Devono attendere massimo 6 mesi per vedersi liquidata la propria quota di partecipazione; • Continuano a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sorte prima dello scioglimento del rapporto sociale; • Potranno essere assoggettati a fallimento per estensione entro 1 anno dallo scioglimento del rapporto sociale; • Il nome dell’ex socio potrà restare nella denominazione sociale, con il consenso dell’interessato (recesso) o dei suoi eredi (morte); Gli amministratori devono provvedere entro 30 giorni dallo scioglimento, alla registrazione dello scioglimento nel registro delle imprese e, se ciò non avviene, i soci uscenti saranno ritenuti responsabili delle obbligazioni sorte anche successivamente allo scioglimento del rapporto sociale. a) Morte del socio La morte di un socio determina l’obbligo della società di liquidare la quota agli eredi dello stesso. Tuttavia, non è prevista l’automatica trasmissione della quota di partecipazione del defunto ai suoi eredi, in quanto nel termine di 6 mesi i soci superstiti possono scegliere tra due alternative: • Scioglimento anticipato della società, per due motivi: ▪ Motivi di ordine soggettivo, qualora ritengono che la figura del socio deceduto fosse essenziale per la prosecuzione dell’attività; ▪ Motivi di ordine oggettivo, qualora risulti impossibile proseguire l’attività senza la quota del deceduto perché il patrimonio sociale risulterebbe insufficiente; In questo caso gli eredi, come gli altri soci, per la corresponsione della quota di liquidazione dovranno attendere l’esito del procedimento di liquidazione della società; • Continuazione della società con gli eredi, che richiede il consenso di tutti gli eredi del socio defunto; Se nel termine di sei mesi non vengono adottate nessuna delle due alternative, si procederà con la liquidazione della quota del deceduto agli eredi. b) Il recesso il recesso consiste nella manifestazione di volontà del socio di sciogliersi dal rapporto sociale e varia a seconda di: • Recesso nella società a tempo indeterminato, per cui i soci sono liberi di recedere in qualsiasi momento, con il solo obbligo di dare un preavviso di 3 mesi; • Recesso nella società a tempo determinato, per cui il recesso può avvenire solo per giusta causa o se direttamente previsto dall’atto costitutivo. Il recesso è permesso a tutti i soci che hanno espresso il loro voto a sfavore delle decisioni riguardo la trasformazione della società di persone in società di capitali, fusione o scissione. Il diritto di recesso è consentito anche per quei soci che non abbiano concorso alle decisioni di trasformazione, fusione e scissione della società. Questa disposizione è applicabile anche per quelle modifiche prese a maggioranza, ma per cui era richiesta l’unanimità, quindi per modifiche particolarmente incisive; c) Esclusione facoltativa e di diritto L’esclusione facoltativa consiste nella decisione, voluta dalla maggioranza dei soci calcolata per teste, di escludere un determinato socio e i presupposti sono: • Gravi inadempienze delle obbligazioni previste dalla legge o dall’atto costitutivo (mancato conferimento previsto da contratto o il comportamento del socio contrario al principio di buona fede); • Interdizione, inabilitazione del socio o condanna che porta all’intervento dei pubblici uffici; • Impossibilità sopravvenuta nell’eseguire la prestazione prevista nel conferimento dell’opera oppure perimento della cosa dovuta per conferimento in godimento; • Ipotesi specifiche previste nell’atto costitutivo; Sul piano del procedimento, l’esclusione va decisa dai soci a maggioranza (per testa) non calcolando il socio da escludere e sono ammessi al voto anche i soci “non di capitale”, ovvero quelli in cui conferimento non sono capitalizzati (es. socio d’opera). La legge prevede che l’esclusione ha efficacia solo 30 giorni dopo la comunicazione al socio escluso, tempo in cui il socio avrà la possibilità di opporsi dinanzi ad un tribunale. Se l’opposizione viene accolta il socio escluso viene reintegrato nella società. Nel caso particolare in cui la società è composta da soli due soci, non potendosi formare una maggioranza per teste, ciascun socio ha la facoltà di chiedere al tribunale l’esclusione dell’altro ed in questo caso l’esclusione avrà efficacia solo dopo la pronuncia da parte del tribunale. L’esclusione di diritto invece, è prevista direttamente dalla legge ed avviene automaticamente per 2 eventi: • Il socio viene assoggettato al fallimento (perché titolare di un’impresa individuale o perché socio illimitatamente responsabile di un’altra società), e se la dichiarazione di fallimento è revocata il socio viene reintegrato; • Il creditore particolare del socio ottiene la liquidazione della sua quota; La liquidazione della quota In tutti i casi di scioglimento del singolo rapporto sociale, la società ha l’obbligo di liquidare entro 6 mesi, la quota del socio la cui partecipazione è venuta meno. Il valore della quota da liquidare è calcolata al momento dello scioglimento del singolo rapporto sociale e, se la società non rispetta il termine, il socio diventa creditore della società. Una volta liquidata la quota all’ex socio, il capitale sociale della s.n.c. andrà ridotto. La società in accomandita semplice irregolare (s.a.s. irregolare) La s.a.s. irregolare si ha nel caso di mancata iscrizione nel registro delle imprese ed è disciplinata secondo la disciplina della società semplice. La legge in questo caso accentua le limitazioni degli accomandanti all’attività gestoria ai quali è preclusa anche la possibilità di operare con “procura speciale per singoli affari”, a pena di responsabilità illimitata. Ciò viene fatto per tutelare i creditori per l’inadeguata pubblicità della società, che non garantirebbe la possibilità di verificare il ruolo di ciascun socio. LA SOCIETÀ SEMPLICE La società semplice può svolgere esclusivamente l’esercizio di attività di impresa agricola o di professione intellettuale (quindi non attività commerciale). Essa è il prototipo normativo delle società di persona, per cui il legislatore, nel caso in cui manchino norme specifiche per gli altri tipi societari, applica la disciplina della società semplice. Per la sua costituzione l’atto costitutivo non è soggetto a forme speciali salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti e può essere concluso anche verbalmente o per fatti concludenti (società di fatto). Il contenuto dell’atto costitutivo può: • Non menzionare un capitale sociale o i conferimenti dei soci (il capitale sociale nella società semplice non è regolato); • È escluso l’obbligo della tenuta di scritture contabili e la redazione del bilancio; • Prima della riforma del 2001, il codice non prevedeva l’obbligo di iscrizione nel registro, mentre successivamente si è riconosciuta l’iscrizione nella sezione speciale, con efficacia dichiarativa per le società semplici con attività agricola e pubblicità notizia per quelle professionali; Conferimenti e responsabilità Come nella s.n.c. i conferimenti possono essere beni o prestazioni d’opera. In merito alla responsabilità invece, il principio generale è che tutti i soci sono illimitatamente responsabili. Tale regola è parzialmente derogabile, infatti, è possibile che i soci stipulino un accordo per limitare la responsabilità di alcuni di essi, tuttavia tale limitazione è opponibile ai terzi solo se: • I soci beneficiari dell’accordo limitativo non hanno potere di agire in nome e per conto della società (potere di rappresentanza); • Il patto è portato a conoscenza dei terzi; Nelle società semplici il beneficio di escussione opera in maniera meno rigida rispetto alla s.n.c., infatti, il creditore può aggredire direttamente il patrimonio del socio, senza aggredire prima quello sociale. Sarà il socio a dover richiedere il beneficio di preventiva escussione indicando i beni societari su cui il creditore può soddisfarsi. Cambia anche la posizione dei creditori personali del singolo socio, in quanto nei confronti del socio della società semplice (così come nella s.n.c. regolare) il creditore personale può colpire gli utili spettanti al socio debitore ma, a differenza della s.n.c., nella società semplice il creditore particolare può chiedere ed ottenere in ogni momento la liquidazione della quota del socio debitore, purché dimostri che gli altri beni sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti. Amministrazione e rappresentanza Per l’amministrazione della società semplice trova applicazione la stessa disciplina della s.n.c., mentre per la rappresentanza abbiamo una particolare disciplina. Viene confermato il principio base (Art. 2266 c.c.) secondo cui: • La società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza; • In mancanza di diversa previsione contrattuale, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale; Da questo ne consegue quindi che: • Se non è diversamente pattuito nel contratto sociale, la rappresentanza della società spetta a ciascun amministratore, disgiuntamente o congiuntamente, a seconda che in un modo o nell’altro sia stata prevista l’amministrazione; • Il contratto sociale può riservare la rappresentanza solo ad alcuni soci e prevedere anche dei limiti a tale potere; Differente rispetto alla s.n.c. invece, è il regime dell’opponibilità dei limiti originari del potere, nonché delle sue modificazioni ed estinzioni. Occorre infatti fare una distinzione a seconda degli effetti ricollegati dalla pubblicità nel registro delle imprese, poiché: • Quando l’iscrizione della società ha efficacia notizia (società semplice professionale) i limiti di rappresentanza sono sempre opponibili ai terzi, anche se non sono stati iscritti; • Quando l’iscrizione ha efficacia dichiarativa (società semplice agricola) l’atto di limitazione della responsabilità è opponibile ai terzi solo se è stato iscritto; 11. LE SOCIETÀ DI CAPITALI: S.P.A., S.R.L., S.A.P.A. LA SOCIETÀ PER AZIONI La S.p.A. è una società di capitali, unipersonale o pluripersonale, destinata alla realizzazione di progetti imprenditoriali che necessitano ingenti risorse finanziarie. Gli elementi caratteristici della S.p.A. sono: • La presenza di investitori di rischio anonimi interessati a non essere coinvolti nella gestione dell’iniziativa e nelle responsabilità. La gestione della società è affidata agli amministratori; • Gli investitori, in qualità di soci, hanno un controllo di merito sugli atti posti in essere dagli amministratori e possono nominarli e revocarli; • Il criterio di distribuzione dei profitti e del potere all’interno della società sono proporzionali alla ricchezza investita; • La responsabilità del socio è limitata al conferimento effettuato (al contrario delle società di persone); • Le S.p.A. hanno autonomia patrimoniale perfetta, per le obbligazioni risponde solo il patrimonio della società; • Le quote possono essere cedute a terzi in ogni momento senza che si attenda la scadenza del termine di durata della società (disinvestimento anticipato). La circolazione avviene tramite azioni; • È necessaria la presenza di tre organi: assemblea, organo di gestione e organo di controllo; Le tipologie di S.p.A. Esistono diverse tipologie di S.p.A. ed in particolare possiamo distinguere tra: • Società di medio-grandi dimensioni dalle società piccole (in ogni caso il capitale minimo è 50.000€) in base a dati economici relativi al capitale investito o patrimonio netto, ricavi ed esposizione finanziaria; • S.p.A. con compagini sociali ampie, ovvero aperte alla partecipazione di nuovi soci, da quelle a ristretta base familiare, ovvero chiuse all’ingresso di investitori esterni; • Società che si rivolgono al mercato del capitale di rischio per il reperimento di investitori da quelle prive di questa caratteristica; • Società con partecipazioni di privati e società le cui partecipazioni sono in mano pubblica; Da qui, la legge individua due statuti speciali: • Uno statuto per le società aperte all’ingresso di nuovi soci con ricorso al mercato del capitale di rischio; • Un altro statuto con riguardo a tutte le altre; La S.p.A. unipersonale L’ordinamento prevede la possibilità di formare una S.p.A. unipersonale e ciò può avvenire sia dal momento della costituzione per atto unilaterale (Art. 2328 c.c.), sia successivamente senza che questo comporti la conseguenza del necessario scioglimento dell’ente (diversamente da quanto accade nelle società di persone). L’imprenditore che costituisce una S.p.A. unipersonale ha responsabilità limitata e risponde alle obbligazioni solo in proporzione al conferimento che ha effettuato. La società infatti avrà autonomia patrimoniale perfetta e risponderà delle obbligazioni con il patrimonio sociale, a patto che: • Per quanto riguarda i conferimenti, l’azionista è sempre obbligato a prestare da subito l’intero apporto a cui si è impegnato alla sottoscrizione dell’atto costitutivo. La stessa regola riguarda i conferimenti in natura in quanto dovrà eseguire tutta la prestazione; • Per quanto riguarda l’informazione dei terzi, gli amministratori sono obbligati a rendere pubblica la presenza di un unico socio, tramite un’apposita dichiarazione contenente le generalità dell’azionista; Qualora le due prescrizioni non vengano rispettate, per le obbligazioni sorte, in caso di insolvenza della società, il singolo socio risponde illimitatamente. In caso di fallimento, l’Art. 147 della legge fallimentare stabilisce che la procedura di fallimento resta solo a carico della società e non si estende all’unico socio, anche se è diventato illimitatamente responsabile. I patti parasociali I patti parasociali sono accordi tra soci che vincolano i diritti degli azionisti e che gli permettono, pur detenendo quote modeste di capitale (1% o 2%) di garantirsi un controllo della società. Esistono diversi tipi di patti parasociali: • Sindacati di voto, è un patto tra tutti o parte dei soci con i quali essi si impegnano a concordare preventivamente il modo in cui votare all’assemblea; • Sindacati di blocco, ovvero patti che impongono limiti alla circolazione delle azioni; • Sindacati di controllo, ovvero patti che hanno per oggetto l’esercizio di un potere di controllo nella società; Il legislatore disciplina la validità di tali accordi definendo delle condizioni: • Oggetto, secondo cui gli accordi parasociali possono riguardare solo sindacati di blocco, di voto o di controllo (non possono avere come oggetto altri tipi di accordi); • Finalità, secondo cui sono validi solo gli accordi volti a stabilizzare gli assetti amministrativi della società; • Pubblicità, secondo cui i patti devono essere comunicati in apertura di ogni assemblea, con l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; È inoltre stabilito che i patti non possono avere durata superiore a 5 anni. LA STRUTTURA FINANZIARIA DELLE S.P.A. Il capitale sociale e i conferimenti Lo svolgimento dell’attività di una S.p.A. presuppone la raccolta di risorse finanziarie, ed in merito distinguiamo: • Raccolte di risorse finanziarie essenziali, tramite la quale gli investitori ottengono strumenti rappresentativi della loro posizione nella società, ovvero le azioni, il cui insieme forma il capitale sociale. Gli azionisti sono titolari di diritti patrimoniali e amministrativi, ed essi partecipano alla distribuzione degli utili e all’esercizio dell’attività d’impresa; • Raccolta di risorse finanziarie eventuali, tramite la creazione di: ▪ Strumenti finanziari partecipativi, che consistono nella contribuzione non finanziaria (prestazioni d’opera), e attribuiscono ai loro titolari diritti di tipo patrimoniale analoghi a quelli degli azionisti, ma con diritti amministrativi ridotti; ▪ Obbligazioni, ovvero strumenti tramite cui la S.p.A. si procura risorse a “debito”, impegnandosi alla restituzione della somma maggiorata degli interessi. I titolari delle obbligazioni non godono degli stessi diritti degli azionisti; Il capitale sociale della S.p.A. Il capitale sociale è l’insieme delle risorse versate dai soci a disposizione dell’attività. La legge stabilisce come condizione per la costituzione della S.p.A. che il capitale sia integralmente sottoscritto, ovvero che i soci si impegnano ad effettuare i conferimenti in misura pari alla cifra che si sottoscrive. Il conferimento va fatto in denaro, ma sono ammessi conferimenti in natura, se previsto dall’atto costitutivo. È richiesto inoltre che il 25% dei conferimenti (o l’intero ammontare in caso di società unipersonale) debba essere versato dai soci al momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo, spetterà poi agli amministratori richiedere ai soci i versamenti residui se necessario. Per garantire la stabilità del capitale sociale, la clausola statuaria del capitale impone alla società un vincolo al mantenimento nel tempo di entità pari all’ammontare netto. Infatti, per modificare il capitale sociale è necessaria una formale modifica dello statuto, decisa dall’assemblea straordinaria. Da tale regola discende un vincolo di non distribuzione presso gli azionisti che si manifesta: • Nel divieto di ripartizione di utili in caso di perdita del capitale sociale, fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente; • La restituzione dei conferimenti ai soci e la riduzione reale del capitale sociale non è libera, ma condizionata da un giudizio dei creditori ed eventualmente del tribunale sulla sostenibilità dell’operazione da parte della società; Nella S.p.A., diversamente dalla società di persone, è previsto un capitale minimo non inferiore a 50.000€ ed inoltre, è previsto che il capitale sociale non possa mai ridursi al di sotto di tale soglia anche durante la vita dell’impresa, pena lo scioglimento della società. Se i conferimenti non sono stati integralmente versati, le azioni possono comunque circolare. L’alienante non è liberato dall’obbligo di versare i conferimenti per un periodo di 3 anni e, una volta superato questo termine, resta obbligato il solo acquirente ai versamenti residui. In caso di socio inadempiente in seguito alla richiesta da parte degli amministratori dei conferimenti ancora dovuti, la società può, decorsi 15 giorni dalla pubblicazione di una diffida sulla Gazzetta Ufficiale (Art. 2344 c.c.): 1. Offrire le azioni agli altri soci, in maniera proporzionale alla loro partecipazione al capitale; 2. Se nessuno dei soci sottoscrive, le azioni vengono poste sul mercato; 3. In mancanza di compratori, il socio può essere dichiarato decaduto e alla fine dell’esercizio le sue azioni verranno estinte, con una corrispondente riduzione del capitale sociale; Il socio in mora con i versamenti invece, non potrà esercitare diritto di voto. I conferimenti diversi dal denaro Per i conferimenti diversi dal denaro il legislatore prevede una serie di norme ispirate ai principi di effettività in senso stretto e di integrità del capitale, attraverso cui si vuole assicurare che il capitale sociale reale sia certo nel se e nel quanto, per cui: • I conferimenti di beni in natura e di crediti devono essere interamente effettuati al momento della sottoscrizione; • È ammissibile il conferimento di un diritto personale o reale di godimento (uso di un brevetto, marchio, ecc…); • Non possono essere oggetto di conferimento le prestazioni d’opera o servizi; La consegna di azioni societarie derivanti da un conferimento di beni in natura o di crediti, prevede un procedimento, che si compone in diverse fasi: 1. Stima del valore del bene o del credito, realizzata da un esperto estraneo alla società e nominato da un tribunale; 2. Controllo della stima da parte degli amministratori; 3. Proporzionale riduzione del capitale sociale se dalla revisione degli amministratori risulta che il valore dei beni o crediti conferiti è inferiore di oltre 1/5 a quello per cui avvenne il conferimento. In questo caso il conferente può decidere di integrare il versamento in denaro o di recedere dalla società; Gli acquisti da soggetti correlati alla S.p.A. e la compensazione tra il debito al conferimento del sottoscrittore e il credito da questi vantato verso la società La legge vuole scongiurare l’eventualità in cui, chi ha sottoscritto le azioni, concordi con la società di non effettuare in tutto o in parte il proprio conferimento, ma di operare una compensazione del debito dell’azionista con un credito che deriva da un negozio stipulato tra società e l’azionista. Nelle S.p.A. quindi, l’acquisto di beni o crediti appartenenti a soggetti correlati alla società (promotori, fondatori, soci o amministratori), nei 2 anni dall’iscrizione nel registro e a fronte di un corrispettivo pari almeno ad 1/10 del capitale, può avvenire operando come segue: 1. L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea; 2. I soci devono essere messi a conoscenza di una stima del valore del bene/credito da acquistare; 3. Il verbale dell’assemblea deve essere depositato e iscritto presso il registro delle imprese; Sovrapprezzo e apporti “fuori capitale” Non sempre ad ogni apporto del socio corrisponde una quota del capitale sociale. È possibile che il socio possa essere sollecitato ad effettuare, oltre al conferimento che lo identifica come socio di S.p.A., anche una prestazione ulteriore che accresca il patrimonio della società senza però farne aumentare il capitale. Ci sono essenzialmente tre casi: • Sovrapprezzo, ovvero una prestazione aggiuntiva priva di diritto di restituzione; • Conferimento a capitale individualmente esuberante, ovvero l’azionista si obbliga ad un conferimento superiore per consentire l’emissione in favore di un altro socio (es. alcuni soci potrebbero fornire in questo modo la provvista necessaria per le azioni che decidono di assegnare a chi è disposto a conferire una propria invenzione, per un valore complessivo superiore a quello della stima dell’invenzione, qualora si ritenga fondamentale per il successo dell’attività); • Versamenti a fondo capitale o a fondo perduto, per affrontare eventuali bisogni della società, che tuttavia non vanno ad incrementare o variare il capitale sociale: ▪ Versamenti a fondo capitale, sopperiscono ad una futura esigenza capitale; ▪ Versamenti a fondo perduto, servono a coprire eventuali perdite; LE AZIONI Le azioni rappresentano la partecipazione al capitale sociale dei soci e, dal numero di azioni assegnate, discendono diritti ed obblighi del socio. Esse sono omogenee, standardizzate, liberamente trasferibili e sono l’unità minima di apporto finanziario richiesta per partecipare all’attività d’impresa. Le azioni assolvono una duplice funzione: • Funzione di legittimazione, in quanto chi le possiede può esercitare i diritti di socio; • Funzione di trasferimento, poiché con la trasmissione del titolo si trasferisce la qualità di socio; Esse possono avere: • Valore nominale, che corrispondono ad una determinata porzione del capitale, data dalla divisione del capitale sociale per il numero delle azioni emesse. Non è consentito emettere azioni di diverso valore nominale; • Senza valore nominare o con un valore nominale inespresso, quando l’atto costitutivo non indica il valore delle azioni ma solo il loro numero; • Valore reale, dato dalla divisione tra il patrimonio netto ed il numero di azioni emesse; Il patrimonio netto può essere calcolato in base a: • Valore contabile, valutato secondo i dati del bilancio; • Valore effettivo, in relazione alle prospettive reddituali della società; • Valore di mercato, valutato in base al valore della società in un dato ambiente commerciale; La creazione delle azioni Le azioni nascono con la sottoscrizione del capitale sociale da parte dei soci, ovvero una dichiarazione con la quale essi si vincolano a prestare conferimenti. La sottoscrizione del capitale e la relativa emissione di azioni può avvenire in due diverse occasioni: • Al momento della costituzione della S.p.A.; • Nel corso dell’attività, precisamente: ▪ Quando si decide di aumentare il capitale sociale tramite nuovi conferimenti; ▪ Quando si decide un aumento di capitale gratuito tramite utili; I presupposti per la creazione di azioni sono: • La sottoscrizione del capitale al momento della stipula dell’atto costitutivo; • Il versamento del 25% del conferimento, o versamento integrale per conferimenti in natura; La violazione delle norme determina la nullità della partecipazione ed ha efficacia irretroattiva, ovvero non legittima una pretesa di restituzione del conferimento effettuato. L’estinzione delle azioni è prevista: • Nelle ipotesi di riduzione del capitale previste dalla legge o per volontà dei soci; • In occasione dello scioglimento della società; • Nel caso di scioglimento del rapporto sociale di un unico socio; Il contenuto della partecipazione azionaria La titolarità delle azioni attribuisce al socio diritti patrimoniali e amministrativi, in particolare: • Diritti patrimoniali, sono quelli per cui i soci hanno diritto di partecipare alla ripartizione degli utili e sono invalide le clausole che escludono tale diritto. Perché l’utile sia distribuibile occorre che: ▪ Gli utili di esercizio devono risultare dal conto economico dell’anno considerato; ▪ Gli utili devono risultare al netto delle perdite prodotte negli esercizi precedenti; ▪ L’assemblea dei soci deve stabilire la distribuzione dei dividendi; • Diritto di recesso, secondo cui gli azionisti hanno il diritto di sciogliersi dalla società ed ottenere una quota di liquidazione. Tale diritto è esercitabile solo in alcuni casi previsti dalla legge, ovvero: ▪ Cause inderogabili di recesso, per tutelare gli interessi del socio (es. modifica dello statuto, trasformazione della società, modifica dell’oggetto sociale); ▪ Cause derogabili di recesso, sono previste dalla legge ma operano solo se lo statuto non dispone diversamente (es. proroga del termine della società o introduzione/rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari); ▪ Cause di recesso specificatamente previste dallo statuto; ▪ Recesso ad nutum, secondo cui il socio può recedere in qualsiasi momento, ma solo se la società non è quotata ed è costituita a tempo indeterminato; Il recesso, esercitato per tutte o solo alcune azioni, è valido solo dopo 15 giorni a seguito della consegna di una lettera raccomandata; • Diritto alla liquidazione della quota in caso di recesso, secondo cui l’ammontare della quota di liquidazione è stabilita dagli amministratori, tenendo conto del valore di mercato delle azioni, del patrimonio della società e delle prospettive reddituali. Il recesso dell’azionista non determina l’estinzione della partecipazione sociale, ma il suo trasferimento ad altri soggetti (differente rispetto alle società di persone). Le azioni del recedente devono essere offerte in opzione agli altri soci e, in mancanza di soci interessati, gli amministratori possono venderle sul mercato. Se non si trova nessun acquirente, le azioni devono essere rimborsate dalla società o in alternativa si provvede ad una riduzione del capitale sociale; • Diritti amministrativi, secondo cui i soci possono esercitare il diritto al voto che permette di partecipare alle delibere assembleari e di nominare e revocare gli amministratori; • Diritti della minoranza, secondo cui gli azionisti minori godono dei diritti della minoranza che consentono di convocare l’assemblea, impugnare le delibere, denunciare al collegio sindacale o al tribunale gravi inadempienze o irregolarità dell’agire degli amministratori. Questo perché nella S.p.A. vi è una contrapposizione tra maggioranza dei soci (con il potere di indirizzare le scelte sociali) e minoranza dei soci (che mirano a scongiurare che i soci maggiori approfittino della loro posizione); Le categorie di azioni speciali nelle S.p.A. È consentito per le S.p.A. emettere “azioni speciali”, che attribuiscono o escludono diritto patrimoniali o amministrativi. In particolare: • Per quanto riguarda i diritti patrimoniali abbiamo: ▪ Azioni che attribuiscono un utile maggiorato (percentuale più alta di utile) o maggiormente garantito (priorità nella riscossione del diritto di dividendo); ▪ Azioni con diversa incidenza alle perdite, che permettono di subire perdite solo dopo altri soci; ▪ Azioni correlate, che attribuiscono diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività in un determinato settore e non all’intero profitto della società; • Per quanto riguarda i diritti amministrativi, lo statuto può prevedere; ▪ Azioni a voto escluso, senza diritto di voto; ▪ Azioni con diritto di voto limitato a particolari argomenti; ▪ Azioni con voto condizionato al determinarsi di determinate condizioni; ▪ Azioni a voto plurimo, per un massimo di 3 voti; ▪ Azioni con diritto di veto, che attribuiscono il diritto di vietare determinate decisioni; ▪ Azioni con diritto di nomina, che attribuiscono il diritto di nominare un membro del consiglio di amministrazione; ▪ Altre tipologie di azioni, con unico limite il divieto di patto leonino; In questa categoria infine, abbiamo le azioni di godimento, ovvero azioni assegnate come rimborso all’ex azionista nel caso in cui le sue azioni siano state annullate per via di una riduzione del capitale sociale. Esse attribuiscono un diritto di partecipazione agli utili futuri solo dopo la remunerazione di tutte le altre categorie di azioni, ovvero sono postergate rispetto alle altre categorie di soci (attribuiscono il diritto di percepire gli utili alla fine, ovvero solo dopo che questi siano stati attribuiti agli altri soci). Alle azioni di godimento è negato il diritto di voto. Esse sono dovute per la differenza di valore che intercorre tra il valore nominale e reale dell’azione: l’azione all’atto del rimborso ha un valore di gran lunga superiore a quello originario (valore nominale) e per la differenza vengono attribuite queste azioni di godimento; Le assemblee speciali Le assemblee speciali nascono per proteggere gli interessi dei possessori di azioni speciali contro la possibilità che la maggioranza non tenga conto dei loro interessi. L’assemblea speciale è disciplinata con regole analoghe a quella dell’assemblea straordinaria. Se le decisioni dell’assemblea dei soci pregiudicano i diritti di una determinata categoria di azioni, allora la stessa decisione deve essere approvata anche dall’assemblea speciale, pena l’inefficacia della delibera. LEGITTIMAZIONE E CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI Il modello della S.p.A. permette agli azionisti di trasferire le azioni possedute e l’emissione dei titoli azionari è regolata dalla disciplina dei titoli di credito. Al momento della creazione dell’azione, deve essere emesso il relativo documento cartaceo che rappresenta l’azione e permette l’esercizio dei relativi diritti, o un titolo scritturale, non emesso fisicamente. Lo statuto della S.p.A. può escludere l’emissione delle azioni, sia in forma cartacea che scritturale e, se non avviene l’emissione delle azioni e la partecipazione è iscritta solo nel libro dei soci, il trasferimento della partecipazione ha effetto solo al momento dell’iscrizione nel libro dei soci. Titoli azionari cartacei I titoli azionari cartacei sono azioni emesse con relativo documento cartaceo. Il “possesso” del titolo consente di riconoscere all’azionista la legittimazione del diritto contenuto e l’acquisto in buona fede del titolo, in conformità con le norme per la circolazione, non è soggetto a rivendicazione. Le azioni sono obbligatoriamente nominative e per la loro circolazione è necessaria: • Doppia annotazione, una sul titolo tramite la girata, e una sul registro dell’emittente (libro dei soci). Il giratario che si dimostra possessore del titolo è legittimato ad esercitare i diritti, anche se non è ancora avvenuta la registrazione sul libro dei soci; • In alcuni casi è possibile emettere azioni al portatore, trasferite con la consegna materiale del titolo; La dematerializzazione delle azioni Per le azioni di società quotate in mercati regolamentati le azioni devono essere obbligatoriamente dematerializzate e quindi, saranno rappresentate da titoli scritturali, ovvero titoli non emessi fisicamente. Al momento dell’emissione, i tradizionali documenti cartacei sono sostituiti da registri informatici tenuti da appositi intermediari detti “depositari centrali”, ovvero soggetti individuati dalla società incaricati di gestire l’emissione e il trasferimento delle azioni. Per le azioni dematerializzate si applicano le stesse norme dei titoli cartacei (es. possesso vale titolo); Limiti alla circolazione delle azioni Uno dei principi della S.p.A. è la libera circolazione delle azioni, tuttavia, è possibile limitare tale circolazione tramite: • Divieto di trasferimento delle azioni obbligatoriamente temporaneo, la durata massima del divieto è di 5 anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto; • Clausole statuarie di “prelazione”, secondo cui il socio che intende trasferire le azioni è vincolato a offrirle prima agli altri soci rispetto ad un terzo interessato; • Clausola di gradimento degli organi sociali, secondo cui il trasferimento delle azioni è subordinato al consenso degli organi sociali per selezionare le persone che entreranno a far parte della società. Tale clausola è lecita solo se i criteri di selezione dell’aspirante acquirente sono stati precedentemente stabiliti; • Azioni riscattabili, secondo cui lo statuto prevede che tutte o alcune categorie di azioni della società, al verificarsi di particolari condizioni, possano essere acquistate senza che il titolare possa opporsi alla vendita. Mentre le clausole di gradimento impediscono a chi non possiede determinati requisiti di diventare socio, al contrario, le azioni riscattabili evitano che rimanga socio colui che le azioni le abbia già acquistate e che non rientri in tali requisiti; Obbligazioni convertibili in azioni Il possessore di obbligazioni convertibili in azioni (obbligazionista) ha il diritto di vedersi assegnate delle azioni della società in cambio delle obbligazioni possedute. La delibera di emissione delle obbligazioni convertibili in azioni è di competenza dell’assemblea straordinaria e questo perché insieme all’emissione delle obbligazioni convertibili in azione c’è bisogno di una delibera di aumento del capitale di una somma pari al valore delle obbligazioni emesse. L’ORGANIZZAZIONE DELLE S.P.A. La S.p.A. può essere caratterizzata da diversi sistemi organizzativi: • Sistema tradizionale, composto dall’assemblea (ruolo deliberativo), organo amministrativo (ruolo esecutivo) e collegio sindacale (ruolo di controllo); • Sistema dualistico, composto dal consiglio di sorveglianza (sostituisce il consiglio sindacale), e dal consiglio di gestione (sostituisce l’organo amministrativo); • Sistema monistico, composto solo dal comitato per il controllo sulla gestione; IL SISTEMA ORGANIZZATIVO TRADIZIONALE: L’assemblea L’assemblea dei soci è un organo collegiale che rappresenta gli azionisti della società ed ha come ruolo quello di prendere decisioni di tipo organizzativo, tramite un principio di maggioranza, il cui quorum dipende dalla materia trattata. Partecipano all’assemblea solo gli azionisti con diritto al voto. Le competenze dell’assemblea variano a seconda che si parli di assemblea ordinaria o straordinaria. Si tratta di uno stesso organo che, a seconda delle materie, delibera con maggioranze o regole diverse. Per quanto riguarda le relative competenze abbiamo: • Competenze dell’assemblea ordinaria, il quale deve essere convocata almeno una volta al mese: ▪ Approvazione del bilancio e distribuzione degli utili; ▪ Nomina e revoca degli altri organi sociali (amministratori, sindaci, revisori); ▪ Determinazione del compenso degli amministratori e dei sindaci; ▪ Deliberazione dell’azione di responsabilità contro altri organi della società; ▪ Ogni competenza indicata come appartenente all’assemblea (se non è specificato); • Competenze dell’assemblea straordinaria: ▪ Modifiche dello statuto; ▪ Nomina dei liquidatori; ▪ Emissione di obbligazioni convertibili in azioni; ▪ Autorizzazione di finanziamento e garanzie per l’acquisto di azioni proprie; Vi è una netta separazione tra le competenze attribuite all’assemblea e agli amministratori. Lo statuto non può attribuire all’assemblea competenze di gestione che il legislatore ha attribuito agli amministratori. Tuttavia, l’assemblea ordinaria può rilasciare autorizzazioni per alcuni atti degli amministratori, anche se gli amministratori sono lo stesso responsabili per questi atti (seppur autorizzati dall’assemblea) e possono comunque decidere se compiere o meno quell’atto autorizzato dall’assemblea (non sono quindi obbligati ad eseguirlo). Il procedimento assembleare L’assemblea è un organo collegiale che deve seguire un procedimento collegiale formato dalle fasi di: 1. Convocazione dell’organo con il relativo ordine del giorno; 2. Costituzione dell’assemblea e riunione; 3. Discussione; 4. Votazione; 5. Deliberazione; 6. Proclamazione; 7. Verbalizzazione; Se il procedimento non viene rispettato, si avrà l’annullabilità delle delibere e, nel caso di mancata convocazione o verbalizzazione, si avrà la nullità delle delibere. La convocazione dell’assemblea può essere: • Opzionale, il quale è decisa dall’organo amministrativo ogni volta che lo ritiene opportuno; • Obbligatoria: ▪ Una volta l’anno per approvare il bilancio di esercizio (entro 120 gg dalla chiusura dell’esercizio); ▪ Quando si verificano perdite superiori ad 1/3 del capitale sociale; ▪ Quando si verifica una causa di scioglimento della società; ▪ Per richiesta della minoranza che rappresenti almeno 1/10 del capitale, indicando gli argomenti che vogliono essere trattati. Gli amministratori non possono respingere la richiesta se non per giusta causa (es. illiceità degli argomenti da trattare); Atto e avviso di convocazione L’atto di convocazione dell’assemblea è di competenza dell’organo amministrativo, ed è deliberato collegialmente dal consiglio di amministrazione. Altri soggetti titolari del potere di convocazione sono: • Sindaci, quando vengono a mancare tutti gli amministratori; • Tribunale; • Amministratore giudiziario; • Liquidatori; L’avviso di convocazione, invece, deve contenere tutte le indicazioni relative a data, ora e luogo della riunione. La sua emanazione si differenzia per tipologie di società, infatti: • Società chiuse (non quotate), l’avviso deve essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, almeno 15 giorni prima della riunione. Lo statuto può tuttavia prevedere che l’avviso sia comunicato tramite posta elettronica certificata; • Società quotate, la convocazione deve avvenire almeno 30 giorni prima della data di svolgimento dell’assemblea mediante un avviso pubblicato sul sito web della società; In merito al luogo, l’assemblea è convocata nel comune dove ha sede la società, salvo che lo statuto non preveda diversamente. L’ordine del giorno ha la funzione di informare i soci sulle materie di cui si dovrà discutere e deliberare. Le delibere prese su materie non all’ordine del giorno sono annullabili, tuttavia, è possibile deliberare su materie “simili” o “consequenziali” a quelle presenti nell’ordine del giorno. Infine, le delibere assunte da un’assemblea convocata senza rispettare queste norme sono annullabili, a meno che non ci sia l’assemblea totalitaria, ovvero quando è rappresentato l’intero capitale sociale e la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo vi partecipa (soci, amministratori e sindaci, anche se non è necessaria la presenza di tutti, essendo sufficiente la maggioranza di questi componenti). Costituzione dell’assemblea e validità delle delibere La validità delle delibere è subordinata al raggiungimento di un quorum costitutivo e deliberativo, ovvero: • Quorum costitutivo, ovvero la presenza alla riunione di un numero minimo di azioni. Senza il raggiungimento del quorum costitutivo l’assemblea non può iniziare ad operare, tuttavia non devono considerarsi nel calcolo del quorum le azioni prive di diritto al voto o che non hanno voto sulla materia dell’ordine del giorno. Devono essere invece considerate le azioni occasionalmente prive di diritto al voto (es. quelle in possesso della società stessa, quelle dei soci in conflitto d’interessi che dichiarano di astenersi dal voto); • Quorum deliberativo, il quale serve per prendere una decisione e occorre la maggioranza dei voti favorevoli dei soci, tuttavia, non vengono considerate sia le azioni “normalmente” che “occasionalmente” prive di diritto al voto; Invalidità delle deliberazioni assembleari Le delibere assembleari che violano il procedimento deliberativo sono invalide e tale invalidità può presentarsi sotto forma di: • Inesistenza della delibera, che si ha quando manca qualsiasi atto qualificabile come deliberazione da parte di un’assemblea, come nel caso di verbalizzazione di un’assemblea mai convocata e mai tenutasi; • Inefficacia della delibera, che si ha quando manca la legittimità a deliberare da parte dell’assemblea (es. l’assemblea delibera l’esclusione di un socio); • Annullabilità della delibera, che si ha quando le delibere non sono prese in conformità della legge o dello statuto. Questa difformità può determinarsi per vizi di contenuto della delibera o vizi di procedimento, tuttavia, non tutte le violazioni della legge e dello statuto determinano l’invalidità della delibera, ma occorre che il vizio superi in concreto una determinata soglia di rilevanza, come nei casi di: ▪ Partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, secondo cui la delibera è annullabile solo se la loro partecipazione è stata determinante per il raggiungimento del quorum costitutivo; ▪ Invalidità dei singoli voti o errato conteggio, secondo cui la delibera è annullabile solo se il voto viziato è stato determinante per il raggiungimento della maggioranza; ▪ Incompetenza e inesattezza del verbale, secondo cui la deliberà è annullabile solo quando l’incompletezza e l’inesattezza impediscono l’accertamento del contenuto o degli effetti della delibera; La delibera può essere impugnata entro 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese da una minoranza qualificata, costituita dal 5% del capitale sociale, ridotto al 1% nel caso delle società quotate. Nel caso in cui la delibera possa arrecare rischio nel periodo in cui si aspetta la sentenza del tribunale, può essere disposta una “sospensione cautelare” che sospende gli effetti della delibera fino al momento della sentenza. L’annullamento invece, non può essere pronunciato se la società nel frattempo sana il vizio attraverso la sostituzione della delibera impugnata con un’altra, presa in conformità alla legge o allo statuto. L’annullamento ha effetto immediato nei confronti di tutti i soci; • Nullità della delibera, per cui le cause sono previste dalla legge e sono: ▪ Illiceità dell’oggetto della delibera; ▪ Mancata convocazione dell’assemblea, per cui la delibera è nulla se anche solo uno dei soci aventi diritto al voto non è stato avvertito della convocazione. La nullità è prevista solo se la convocazione manca completamente, mentre non c’è nullità ma annullabilità della delibera se la convocazione manca di elementi tipici o non è stata fatta entro i termini previsti dalla legge; ▪ Mancanza di verbale, per cui la delibera è nulla se manca il documento del verbale, o nel caso in cui il verbale è presente ma mancano gli elementi essenziali come la data, l’oggetto e le delibere, tuttavia, può essere sanata verbalizzando prima dell’assemblea successiva; La nullità può essere richiesta da chiunque ne abbia interesse, compresi i soci che hanno votato a favore della delibera, entro 3 anni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese. L’impugnazione non è possibile nelle società quotate per tutte le decisioni riguardanti l’emissione e l’annullamento di titoli, fusione, scissione e trasformazione che hanno già prodotto effetti. Tuttavia, è previsto un risarcimento del danno; GLI AMMINISTRATORI Nel sistema tradizionale, la gestione dell’impresa è affidata all’organo amministrativo ed esso può essere, a seconda di come deciso nello statuto: • Unipersonale (amministratore unico); • Pluripersonale (consiglio di amministrazione); Gli amministratori hanno competenza esclusiva sull’attività di gestione ed è nulla la clausola che attribuisce competenze gestionali ad altri organi sociali. L’assemblea dei soci non ha poteri in materia di gestione, ma può influenzare l’operato degli amministratori tramite: • Scelta degli amministratori; • Controllo sull’operato; • Potere autorizzatorio sugli atti di competenza degli amministratori, se previsto dallo statuto; La nomina dei membri dell’organo amministrativo spetta all’assemblea dei soci, tuttavia, esistono alcune deroghe: • È possibile che possessori di particolari tipi di azioni possano nominare un amministratore (azioni speciali di nomina); • Lo statuto può prevedere che enti pubblici titolari di partecipazioni in S.p.A. non quotate possano nominare un numero di amministratori in maniera proporzionale alla partecipazione al capitale; Nella S.p.A. gli amministratori possono essere sia soci, sia terzi non soci, tuttavia lo statuto può prevedere che i membri non debbano essere soci. Le cause di ineleggibilità e di decadenza dalla carica sono: incapacità legale, fallimento e condanne penali. L’assunzione della carica di amministratore richiede un atto di accettazione che deve essere iscritto nel registro delle imprese. La legge riconosce sia gli amministratori di diritto, sia gli amministratori di fatto, ovvero coloro che non hanno ricevuto un atto di nomina, ma possono svolgere comunque atti di gestione con il consenso dei soci. La durata massima della carica di amministratore è di 3 anni ed è possibile la rielezione e, inoltre, l’amministratore cessa dalla carica per: • Scadenza del termine, tuttavia mantiene i suoi poteri fino alla nomina di un nuovo membro; • Rinuncia, che ha effetto immediato, tranne nel caso in cui viene meno la maggioranza degli amministratori o nel caso di amministratore unico. In questi casi la rinuncia ha effetto solo dal momento della nomina di un nuovo amministratore o se viene ripristinata la maggioranza degli amministratori; • Revoca, disposta dall’assemblea ordinaria, il quale non richiede la giusta causa ma in mancanza di essa si deve risarcire il danno all’amministratore revocato; • Cause previste dalla legge; • Decesso; Se durante il mandato vengono a mancare gli amministratori per cause diverse dalla revoca, si procede alla loro sostituzione in diversi casi: • Se viene a mancare uno o più amministratori ma rimane in carica la maggioranza degli amministratori, allora i membri del C.d.A. possono procedere con la cooptazione, che consiste nel nominare un membro temporaneo che resterà in carica fino all’assemblea successiva; • Se viene a mancare uno o più amministratori e viene meno la maggioranza degli amministratori, allora i membri del C.d.A. devono immediatamente convocare l’assemblea dei soci per nominare nuovi amministratori; • Se vengono meno tutti gli amministratori, allora il collegio sindacale nomina l’assemblea e assume temporaneamente poteri di amministrazione ordinaria; Lo statuto inoltre, può prevedere la clausola di “simul stabunt simul cadent”, secondo cui, nel caso in cui vengano a mancare nel corso del mandato uno o più amministratori, si dovrà procedere alla convocazione dell’assemblea e alla rinnovazione dell’intero organo. Consiglio di amministrazione e presidente Se gli amministratori sono più di uno, essi costituiscono dunque il consiglio di amministrazione e l’amministrazione dovrà essere attuata con metodo collegiale. Le deliberazioni perciò, sono prese seguendo diverse fasi, quali: 1. Convocazione con relativo ordine del giorno; 2. Riunione; 3. Discussione; 4. Votazione; 5. Proclamazione; 6. Verbalizzazione; Il C.d.A. è presidiato dal presidente del consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea dei soci o dal consiglio stesso, che ha il compito di dirigere tutte le fasi del procedimento collegiale, inoltre, il C.d.A. prende le sue delibere rispettando il: • Quorum costitutivo, con la maggioranza degli amministratori in carica; • Quorum deliberativo, con la maggioranza assoluta dei presenti; Lo statuto può prevedere quorum più alti, ma non all’unanimità. Le delibere del C.d.A. sono impugnabili se non conformi alla legge o allo statuto. Le funzioni amministrative possono essere delegate ad amministratori delegati o al comitato esecutivo a cui viene attribuito il pieno potere di gestione sulle materie delegate, anche se alcune competenze non sono delegabili. La delega deve essere prevista dallo statuto o approvata dall’assemblea ordinaria e deve determinare il contenuto e i limiti dei poteri attribuiti, pena nullità. Il C.d.A. ha il potere di: • Indirizzare il comportamento dell’amministratore delegato o comitato esecutivo; • Avocare, ovvero sospendere la delega per singoli atti; • Sostituire o revocare l’amministratore delegato o il comitato esecutivo; Gli amministratori hanno: • Obbligo di gestione diligente e perseguimento dell’interesse sociale; • Obbligo di trasparenza, nel caso in cui egli sia in conflitto di interessi con la società, deve subito renderlo noto al consiglio di amministrazione. L’amministrazione in conflitto di interesse avrà l’obbligo di votare in modo non pregiudizievole all’interesse della società. L’amministratore delegato con conflitto d’interesse invece, dovrà astenersi dal proprio compito ed investire il C.d.A. della decisione. Infine, in caso di mancata comunicazione del conflitto di interessi, la delibera è soggetta ad impugnazione entro 90 giorni, ma solo qualora possa recare danno alla società; La rappresentanza La società può attribuire il potere di agire in nome e per conto della società attraverso la rappresentanza: • Rappresentanza volontaria, il quale è eventuale e conferita con procura da parte dell’interessato; • Rappresentanza legale, il quale è necessaria e prevista per legge; I rappresentanti devono essere necessariamente iscritti nel registro delle imprese e ci sono dei limiti ai poteri degli amministratori rappresentanti, in quanto: • Gli atti compiuti possono essere fatti valere nei confronti di terzi solo se iscritti nel registro; • La violazione dei limiti di rappresentanza sarà sempre opponibile al rappresentante che ha agito a danno della società; IL CONTROLLO SULLA GESTIONE CONTABILE La funzione di controllo nelle S.p.A. ad amministrazione tradizionale è suddivisa tra: • Collegio sindacale, che è un soggetto interno alla società; • Revisore legale dei conti, che è un soggetto esterno alla società; Collegio sindacale e sindaci Il collegio sindacale è un organo interno alla società, composto da 3 o 5 membri (Art. 2397 c.c.), definiti “sindaci”, affiancati da 2 supplenti. Esso si occupa della funzione di controllo sull’attività degli amministratori e dell’attività sociale. Il collegio sindacale ha un controllo formale (assicurandosi che l’attività sia svolta in osservanza della legge e dello statuto) ma non di merito (non è suo compito valutare la convenienza economica delle attività intraprese). Ai sindaci non spetta la funzione di controllo contabile, poiché questa è affidata ai revisori legali dei conti, tuttavia, nelle società non quotate, lo statuto può prevedere che il collegio sindacale possa svolgere tale funzione e, in questo caso, tutti i sindaci dovranno possedere la qualifica di revisore contabile. Altri poteri del collegio sindacale sono: • Obbligo di informazione verso l’assemblea, poiché in sede di approvazione del bilancio, deve presentare una relazione in cui descrive le attività svolte; • Poteri di amministrazione attiva, secondo cui il collegio assume funzione amministrativa temporanea nel caso in cui venga a mancare l’amministratore unico o se vengono meno tutti gli amministratori; • Approva gli atti degli amministratori nel caso in cui è prevista la cooptazione; I sindaci invece, devono possedere dei requisiti professionali a pena di nullità della nomina, ovvero: • Almeno uno di essi deve essere revisore dei conti; • Gli altri devono essere iscritti ad albi professionali (es. avvocati, commercialisti); Sono cause di ineleggibilità e decadenza (non derogabili dallo statuto): • Parentela entro il quarto grado con amministratori della società; • Rapporti di lavoro o di natura patrimoniale con la società; • Incapacità legale e fallimento; Nomina e cessazione dei sindaci La nomina dei sindaci avviene la prima volta nell’atto costitutivo e successivamente spetta all’assemblea ordinaria. Essi rimangono in carica per tre esercizi, tuttavia, nella nomina dei sindaci esistono 2 eccezioni: • Nomina da parte di un ente pubblico che possiede parte del capitale della società; • Nomina da parte di portatori di strumenti finanziari partecipativi; Nelle S.p.A. aperte lo statuto deve prevedere, così come per gli amministratori, che debbano essere nominati dei sindaci facenti parte di liste di minoranza; A seguito della nomina deve esserci l’accettazione, che può avvenire anche per comportamenti concludenti se il sindaco non accetta formalmente l’incarico ma comincia comunque a svolgere i compiti. Le cause di cessazione invece, sono: • Scadenza del termine dopo 3 anni, la quale è simultanea per tutti i sindaci. Fino alla nomina del nuovo collegio, i precedenti sindaci rimangono in carica con una proroga; • Decesso, se muore prima dei 3 anni, in questo caso il sostituto scadrà simultaneamente a tutti gli altri; • Decadenza, nei casi in cui: ▪ Sindaco perde i requisiti di eleggibilità (professionalità o indipendenza); ▪ Inadempimento dei compiti, ovvero assenza ingiustificata per 2 riunioni del collegio sindacale; • Recesso, che ha effetto immediato quando è possibile sostituirlo immediatamente, mentre se non è possibile resta in carica in proroga fino alla nomina di un nuovo sindaco; • Revoca per giusta causa, che si ha tramite delibera dell’assemblea ordinaria che deve poi essere approvata da un tribunale; Funzioni e poteri Il collegio sindacale è un organo collegiale che delibera tramite le fasi di: 1. Convocazione con indicazione dell’ordine del giorno; 2. Riunione; 3. Discussione; 4. Votazione; 5. Proclamazione; 6. Verbalizzazione; Ed ha l’obbligo di riunirsi ogni 90 giorni, tuttavia è possibile richiedere una riunione in qualsiasi momento se necessario. L’attività del collegio sindacale si divide in 3 fasi: • Fase istruttoria, dove i sindaci singolarmente hanno poteri ispettivi, in quanto possono esaminare i documenti sociali e interrogare i dipendenti. Tutte le informazioni devono essere inserite nel libro dell’adunanza del collegio sindacale; • Fase valutativa, che viene esercitata collegialmente; • Fase reattiva, dove il collegio può: ▪ Convocare l’assemblea per l’adozione di provvedimenti urgenti, in caso di gravi irregolarità nella gestione da parte degli amministratori; ▪ Impugnare le delibere assembleari, qualora esse siano lesive dell’interesse sociale; ▪ Promuovere l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori con la maggioranza dei 2/3 dei componenti; L’intervento dei sindaci inoltre, può essere sollecitato dagli azionisti o da una minoranza qualificata. Responsabilità dei sindaci I sindaci devono adempiere ai propri doveri seguendo un principio di diligenza professionale e sono solidalmente responsabili con gli amministratori se: • Il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità dei propri doveri; • Si dimostra la causalità tra il comportamento omissivo del sindaco e l’evento dannoso degli amministratori; Tuttavia, il danno può anche essere determinato esclusivamente da un comportamento dei sindaci e questo è il caso della violazione di segreti a danno della società oppure di false attestazioni date agli azionisti o al pubblico. La revisione legale dei conti Il revisore contabile svolge la funzione di controllo contabile ed egli ha l’obbligo di verificare la regolare tenuta delle scritture contabili e la redazione del bilancio. Il giudizio formulato dal revisore può essere: • Positivo, nel caso in cui il bilancio sia veritiero e corretto sulla situazione patrimoniale della società; • Positivo con rilievi, nel caso in cui ci siano piccole difformità poco rilevanti da correggere; • Negativo, nel caso in cui vi siano delle difformità troppo significative per approvare il bilancio; • Impossibilità di emettere il giudizio con la documentazione pervenuta; Il bilancio d’esercizio potrà quindi essere approvato solo in caso di giudizio positivo senza rilievi ed il controllo contabile deve esercitarsi con continuità durante il corso dell’esercizio. Il revisore contabile può essere sia un libero professionista che una società di revisione contabile che: • Viene nominato dall’assemblea su proposta dell’organo di controllo (collegio sindacale); • Resta in carica per 3 esercizi; • La revoca può essere deliberata dall’assemblea solo per giusta causa e la delibera deve essere approvata dall’organo di controllo; Il revisore deve essere inoltre indipendente dalla società, quindi non deve essere coinvolto nei processi decisionali e non deve detenere strumenti finanziari emessi dalla società, né rivestire cariche sociali. Durante lo svolgimento dei suoi compiti il revisore contabile deve esercitare: • Diligenza; • Professionalità; • Scetticismo professionale, ovvero un atteggiamento caratterizzato da un approccio dubitativo e dal costante monitoraggio delle condizioni che potrebbero indicare una potenziale inesattezza dovuta ad errore o frode. Per tale motivo il revisore gode di poteri informativi, ovvero il diritto di ottenere dagli amministratori documenti e notizie utili all’attività di revisione legale, ed ispettivi, ovvero di procedere a controlli, accertamenti ed esame di atti e documentazione; Inoltre, la sua responsabilità è solidale con gli amministratori. IL SISTEMA DUALISTICO E MONISTICO Lo statuto può prevedere sistemi alternativi all’amministrazione tradizionale, ovvero: • Sistema monistico, formato da comitato di controllo per la gestione ed assemblea dei soci; • Sistema dualistico, formato da consiglio di sorveglianza, consiglio di gestione ed assemblea dei soci; N.B. L’assemblea dei soci è presente in tutti i sistemi di amministrazione. In entrambi i sistemi, il ruolo del revisore contabile è sempre attribuito ad un soggetto esterno alla società, a differenza del tradizionale, in cui per le S.p.A. chiuse può essere attribuito al collegio sindacale. Il sistema monistico Il sistema monistico è caratterizzato dalla presenza di un comitato per il controllo sulla gestione, costituito all’interno del consiglio di amministrazione, con poteri simili a quelli del collegio sindacale. La caratteristica di tale sistema è quello di coinvolgere i soggetti deputati alla funzione di controllo nelle decisioni gestionali. Tutti i componenti del comitato di controllo devono essere scelti tra i consiglieri in possesso dei requisiti di indipendenza, professionalità e onorabilità stabiliti dallo statuto e devono essere scelti tra gli amministratori non esecutivi. Il numero, la nomina e la revoca dei componenti del comitato è stabilito dal consiglio di amministrazione e la revoca può avvenire anche senza giusta causa, salvo il risarcimento del danno. Le funzioni del comitato per il controllo sono simili a quelle del collegio sindacale, quindi svolgono una funzione di controllo sull’attività degli amministratori secondo la legge e lo statuto, con potere di denuncia al tribunale. La disciplina di funzionamento del comitato di controllo è uguale a quella del collegio sindacale, mentre per quanto riguarda la responsabilità, essa può presentarsi dal mancato rispetto della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e le specifiche competenze. Il sistema dualistico Il sistema dualistico è caratterizzato da una maggiore separazione tra gestione e proprietà in quanto, rispetto al sistema tradizionale, l’assemblea dei soci non provvede alla nomina degli amministratori, ma alla nomina di un organo intermedio, ovvero il consiglio di sorveglianza, al quale è affidato non solo il controllo di legalità sulla gestione, ma anche il complessivo rapporto con l’organo di gestione, che si traduce nelle competenze in merito alla nomina e alla determinazione del compenso degli amministratori, alla loro eventuale revoca anticipata ed all’approvazione del bilancio annuale. Abbiamo quindi due organi: il consiglio di gestione, a cui è affidata l’amministrazione, e il consiglio di sorveglianza, a cui è affidato il controllo che nel sistema tradizionale spetta al collegio sindacale. La struttura del bilancio Per quanto riguarda la struttura dei singoli elementi che compongono il bilancio, quindi stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa, abbiamo: • Stato patrimoniale, composto da due parti contrapposte, ovvero attivo e passivo: ▪ Attivo, dove vanno iscritti gli elementi patrimoniali positivi: o Immobilizzazioni, ovvero i beni utilizzati durevolmente dalla società iscritte al costo di acquisto o di produzione; o Attivo circolante, ovvero crediti (iscritti al loro valore di presumibile realizzo), rimanenze e cassa; ▪ Passivo, dove vanno iscritti gli elementi patrimoniali negativi (debiti e perdite future presunte) ed il patrimonio netto (differenza tra attivo e passivo). Il patrimonio netto è composto da: o Capitale sociale, soggetto al vincolo di indisponibilità; o Riserve, che rappresentano ricchezza che la società conserva nel proprio patrimonio e si dividono in: • Riserva legale, formata obbligatoriamente prelevando annualmente il 5% degli utili fino a raggiungere 1/5 del capitale; • Riserve statuarie, previste quindi dallo statuto; • Riserve facoltative, deliberate dall’assemblea se distribuirle o reinvestirle; o Utile o perdita, dove la variazione del patrimonio netto è detta reddito e se tale variazione è positiva, si parla di utile, viceversa, se è negativa, si parla di perdita. Le perdite gravano prima sugli utili, poi in ordine sulle riserve facoltative, statuarie e legali e infine sul capitale; • Conto economico, il quale è un conto scalare in cui sono indicati i ricavi, i costi e gli altri proventi e oneri che determinano il risultato economico d’esercizio; • Rendiconto finanziario, il quale illustra le disponibilità liquide della società all’inizio e alla fine dell’esercizio e la relativa composizione; • Nota integrativa, che contiene le informazioni numeriche e narrative per permettere una migliore comprensione dei documenti precedenti; Procedimento di formazione e invalidità del bilancio Il progetto di bilancio è redatto dall’organo gestorio in forma collegiale (la redazione non è delegabile) e dopo la sua redazione viene presentato all’organo di controllo e al revisore legale dei conti. Successivamente l’assemblea ordinaria approva il bilancio tramite una delibera e lo iscrive nel registro delle imprese. La delibera di approvazione del bilancio può essere impugnata dal revisore contabile o dai sindaci prima dell’approvazione del bilancio successivo, determinando: • Annullabilità del bilancio, per vizi nella procedura di delibera; • Nullità del bilancio, per bilancio non conforme alla verità o al principio di chiarezza; Per evitare impugnative meramente ostruzionistiche ad opera di azionisti di minoranza che mirano a danneggiare la società, il legislatore ha previsto dei limiti all’impugnativa, infatti: • Non si può impugnare la delibera di bilancio se è stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo, a meno che il vizio non riguardi anch’esso (entrambe le delibere); • Quando il soggetto incaricato della revisione del bilancio ha approvato la delibera, per poterla impugnare è necessario che la proposta debba provenire dai soci che rappresentino almeno il 5% del capitale (così da porre un limite ai soggetti legittimati ad impugnare delibere assembleari); Non tutti i bilanci sono approvati dall’assemblea, infatti, il bilancio consolidato (bilancio che descrive la situazione economica e finanziaria di un gruppo di imprese) è un atto degli amministratori e non è sottoposto all’approvazione dell’assemblea, anche se si applica la normativa delle delibere assembleari. LA SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA La società a responsabilità limitata (s.r.l.) è una società di capitali che può essere costituita unicamente mediante costituzione simultanea (i soci sottoscrivono l’atto in modo contestuale dinanzi al notaio) e il capitale sociale deve essere integralmente sottoscritto dai soci fondatori (a differenza della S.p.A. dove è prevista la costituzione con pubblica sottoscrizione e costituzione non simultanea). Nella s.r.l. non c’è una differenziazione tra assemblea ordinaria e straordinaria. La s.r.l. unipersonale La s.r.l. può essere costituita con un contratto oppure con un atto unilaterale: • In presenza di un unico socio al momento della fondazione della società, deve essere versato immediatamente l’intero ammontare del capitale sottoscritto, quando invece muta il socio unico, gli amministratori o il socio stesso devono depositare entro 30 giorni ai fini dell’iscrizione, una dichiarazione contenente tutte le generalità del socio medesimo. Se la pluralità viene meno dopo, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro 90 giorni; • La presenza di un unico socio deve essere indicata ai terzi e pubblicata nel registro; In violazione di tali obblighi, il socio risponde personalmente e illimitatamente delle obbligazioni sociali. Atto costitutivo L’atto costitutivo deve essere redatto in forma di atto pubblico e deve contenere: • Generalità dei soci fondatori; • Denominazione sociale, sede ed oggetto sociale; • Capitale sottoscritto e versato, valore dei crediti e dei beni conferiti in natura; • Quota di partecipazione di ciascun socio; • Norme sul funzionamento della società, come amministrazione, rappresentanza, organo di controllo e revisore contabile; La legge prevede solo l’atto costitutivo e non lo statuto, tuttavia, nulla vieta di creare uno statuto tramite atto separato e, inoltre, in caso di contrasto tra atto costitutivo e statuto, prevale lo statuto. Il notaio, dopo aver effettuato un controllo di legalità sull’atto costitutivo, deve depositarlo entro 10 giorni presso l’ufficio del registro delle imprese per richiederne l’iscrizione. L’ufficio quindi, verifica la regolarità dell’atto costitutivo ed iscrive la società che così acquista personalità giuridica. Modifiche dell’atto costitutivo Le modifiche dell’atto costitutivo avvengono tramite delibera dell’assemblea presa con il voto favorevole della metà del capitale sociale e, tale delibera di modifica, va iscritta nel registro delle imprese dopo la verifica di conformità alla legge del notaio. Se il notaio ritiene che la delibera non è conforme alla legge lo comunica agli amministratori i quali possono decidere: • Se convocare l’assemblea per rimediare; • Se ricorrere al tribunale, il quale verificherà la conformità alla legge della delibera e, in caso di esito positivo, procederà con l’iscrizione nel registro; Le s.r.l. semplificate Le s.r.l. semplificate nascono per agevolare iniziative imprenditoriali che non necessitano di un capitale elevato, in quanto: • Hanno un capitale compreso tra 1€ e 10.000€; • Il capitale deve essere sottoscritto e interamente versato al momento della costituzione; • I conferimenti sono fatti esclusivamente in denaro (no in natura, crediti o prestazioni d’opera); Esse possono essere costituite da uno o più soci, purché siano persone fisiche e l’atto costitutivo: • Avviene mediante contratto o atto unilaterale redatto da un notaio; • Viene redatto in conformità ad un modello standard predisposto dalla legge non modificabile; Nel caso in cui le perdite riducono al di sotto dello 0 il capitale sociale, la società dovrà sciogliersi o trasformarsi in una società di persone (con responsabilità illimitata). Inoltre, per la riserva legale, è previsto che ad ogni bilancio sia detratto 1/5 degli utili netti annuali per metterli a riserva, finché questa non raggiunge un valore pari almeno a 10.000€. LA STRUTTURA FINANZIARIA DELLA S.R.L. I conferimenti Nella s.r.l. il capitale sociale minimo è di 1€ (se è inferiore a 10.000€ allora dovrà essere versato integralmente al momento della costituzione e solamente in denaro). I conferimenti nelle s.r.l. pluripersonali possono essere: • Conferimenti in denaro, per cui il socio alla sottoscrizione deve versare almeno il 25% della quota; • Conferimenti di beni in natura o crediti, che devono essere integralmente liberati alla sottoscrizione. I beni o i crediti devono essere valutati da un revisore legale che ne accerta il valore. La scelta del revisore in questo caso spetta al socio, e non al tribunale come nelle S.p.A.; • Conferimenti sotto forma di prestazione d’opera o servizi (possibile nelle s.r.l. ma non nelle S.p.A.), per cui il soggetto deve fornire una polizza assicurativa o una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti gli obblighi assunti; Se il socio è inadempiente nell’effettuare i conferimenti, allora: 1. Gli amministratori devono diffidarlo ad adempiere entro 30 giorni; 2. Scaduto il termine, possono vendere la partecipazione agli altri soci; 3. In mancanza di offerte, se l’atto costitutivo lo permette, la quota può essere venduta all’asta; 4. Se anche qui non ci sono compratori, gli amministratori escludono il socio e riducono il capitale sociale (si riduce il capitale poiché nella s.r.l. non si possono comprare partecipazioni proprie); In caso di cessione di partecipazione non ancora interamente liberata, l’alienante è obbligato solidalmente con l’acquirente per i versamenti ancora dovuti. Scioglimento del rapporto L’uscita del socio dalla s.r.l. può verificarsi in diversi casi: • Morte del socio, per cui la quota viene trasferita agli eredi salvo che l’atto costitutivo non preveda diversamente; • Recesso, per volontà del socio, e prevede il rimborso della partecipazione entro 6 mesi. Si procede prima di tutto con la cessione della quota ad altri soggetti e, in mancanza di acquirenti, la quota viene liquidata usando le riserve disponibili. Ci sono inoltre, delle clausole inderogabili di recesso: ▪ Cambiamento dell’oggetto sociale; ▪ Cambiamento del tipo di società avvenuto per fusione o scissione; ▪ Modifica dei diritti particolari dei soci; ▪ Nelle società a tempo indeterminato, il recesso è sempre previsto, con preavviso di 6 mesi; • Cause previste dallo statuto; • Esclusione di diritto (per legge) nei casi di: ▪ Violazione degli obblighi sociali; ▪ Comportamenti del socio ritenuti incompatibili con l’attività; ▪ Sopravvenire di altri fattori legati alla persona del socio (es. condanna penale); • Esclusione facoltativa, che spetta ai soci o agli amministratori ma solo per “giusta causa”, ed il socio escluso potrà fare opposizione con una richiesta al tribunale. Inoltre, al socio escluso, spetta la quota di liquidazione della partecipazione; LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, la struttura organizzativa prevede un modello legale, apparentemente analogo a quello delle S.p.A., ovvero abbiamo: • I soci, che decidono sulle modifiche statuarie, nominano e revocano gli amministratori. A differenza delle S.p.A. hanno ruolo attivo nella società in quanto sono inclusi nella gestione e hanno accesso ai documenti societari; • Organo amministrativo unipersonale o collegiale, a cui è affidata la gestione dell’impresa; • Organo di controllo amministrativo e contabile; I soci hanno un ruolo centrale nella struttura organizzativa e le competenze si distinguono in: • Competenze necessarie o non derogabili, come le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto, la modifica dei diritti dei soci, l’approvazione del bilancio, la nomina del titolare di controllo e di revisione; • Competenze normali, ma derogabili, come la nomina degli amministratori e distribuzione degli utili; • Competenze eventuali, secondo cui l’atto costitutivo può attribuire al socio rafforzate competenze in ambito gestorio, come il potere di emissione di titoli di debito. Nella s.r.l. l’autonomia statuaria non incontra alcun limite, infatti, la clausola può assegnare ai soci il potere decisionale, vincolante per gli amministratori, su ogni argomento; Il coinvolgimento dei soci nella gestione della s.r.l. è dunque istituzionalizzato. Questo ruolo si rispecchia nella responsabilità per gli atti di mala gestione per i quali, rispondono in solido con gli amministratori, i soci che hanno autorizzato o deciso tali atti. I procedimenti decisionali possono essere due: • Metodo assembleare o collegiale, il quale resta sempre il modello principale, infatti le materie di maggiore importanza devono essere prese necessariamente con questo metodo e in questo caso si parla di deliberazioni; • Procedimenti non assembleari, il qual consentono l’assunzione di decisioni in tempi più brevi, in quanto le decisioni sono adottate con “consultazione scritta” senza la fase di discussione e confronto (il quale vengono lasciate all’iniziativa dei singoli) e in questo caso si parla di decisioni. Esse sono ammesse solo se previste dall’atto costitutivo e, anche quando l’atto lo preveda, se uno o più soci (rappresentanti almeno 1/3 del capitale) o uno o più amministratori lo richiedono, si deve passare alla discussione in assemblea; Il metodo assembleare prevede un procedimento assembleare con un modello simile a quello delle S.p.A.: 1. Convocazione, per cui sono legittimati alla convocazione gli amministratori, l’organo di controllo e i soci che rappresentano 1/3 del capitale; 2. Intervento, per il quale hanno diritto di intervenire tutti i soci con diritto di voto; 3. Discussione e votazione, per cui l’assemblea, presieduta dal presidente indicato dall’atto costitutivo, delibera con: • Quorum costitutivo, che si ha con i soci che rappresentano almeno la metà del capitale; • Quorum deliberativo, che si ha con la maggioranza del capitale presente; L’atto costitutivo può anche modificare i quorum, in riduzione o in aumento, fino al consenso unanime, ed inoltre, se non si raggiunge il quorum nella prima riunione è necessario avviare un nuovo iter in quanto la convocazione è unica come nelle S.p.A. aperte; 4. Proclamazione dei risultati; 5. Verbalizzazione per atto pubblico indicante l’identità dei partecipanti ed il voto espresso; Il procedimento non assembleare invece, non trova riscontro in nessuna norma. La procedura prevede l’invio ai soci, da parte degli amministratori o altri soci, della sollecitazione a pronunciarsi in merito ad una determinata proposta, ed il termine entro il quale inviare il proprio voto, più precisamente: • Tutti i soci devono essere informati in tempo e potervi prendere parte; • Ogni voto resta revocabile sino alla chiusura del procedimento; • Il quorum deliberativo è dato dal voto favorevole di almeno la metà del capitale; L’invalidità delle decisioni invece, analogamente alla S.p.A. si ha per: • Mancata convocazione; • Illiceità dell’oggetto; • Vizio di conformità alla legge o all’atto costitutivo; • Mancata verbalizzazione della delibera; • Conflitto di interessi del socio il cui voto è stato determinante per l’assunzione della decisione; L’impugnazione deve essere effettuata: • Entro 3 mesi per il difetto di conformità alla legge; • Entro 3 anni per l’assenza di convocazione; • Senza limiti di tempo per la delibera che introduce un oggetto sociale impossibile o illecito; L’amministrazione della società L’amministrazione della s.r.l. può essere affidata dall’atto costitutivo ad un amministratore unico (socio o non socio) oppure ad una pluralità di soggetti (soci o terzi) le cui decisioni sono prese con un procedimento consiliare (consultazioni). I possibili sistemi di amministrazione sono: • Consiglio di amministrazione, analogo a quello della S.p.A.; • Amministrazione disgiuntiva, secondo cui ciascun amministratore è autonomo (come nella s.n.c.); • Amministrazione congiuntiva, a maggioranza o all’unanimità (come nella s.n.c.); Gli amministratori della società hanno una competenza gestoria, in particolare: • La durata della carica è stabilita al momento della nomina e può essere a tempo indeterminato (nella S.p.A. massimo 3 anni); • Sono nominati e revocati dai soci, e per la revoca senza giusta causa è previsto il risarcimento; • Sono nominati con “diritti particolari del socio” che attribuiscono la carica di amministratore o permettono di nominare amministratori. Se la carica avviene con “diritto particolare del socio”, la revoca prevede la decisione unanime dei soci; La nomina dell’amministratore va iscritta nel registro delle imprese. La rappresentanza invece, è attribuita agli amministratori ed eventuali limiti, anche se presenti nell’atto costitutivo, non sono opponibili ai terzi, a meno che non si provi che essi hanno agito intenzionalmente a danno della società. Gli amministratori inoltre, hanno l’obbligo di agire secondo diligenza professionale e sono responsabili solidalmente dei danni derivanti dall’inosservanza della legge o dell’atto costitutivo. La responsabilità è esclusa per gli amministratori che attuano la procedura del “dissenso”, ovvero che manifestano il dissenso con voto negativo oppure opposizione alle delibere. L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori è attuabile da qualsiasi socio ed hanno, inoltre, responsabilità nei confronti di creditori e soci per tutti gli atti che danneggiano le loro ragioni. Infine, sono solidalmente responsabili anche i soci che abbiano intenzionalmente autorizzato il fatto dannoso. L’organo di controllo e il revisore La presenza di un organo di controllo nelle s.r.l. è facoltativa, ma diviene obbligatoria se: • La società è obbligata a redigere un bilancio consolidato se è a capo di un gruppo di società; • La società è controllata da un’altra; • La società supera, per 2 esercizi consecutivi, uno o più dei seguenti limiti: ▪ 4 milioni di euro di attivo patrimoniale; ▪ 4 milioni di euro di ricavi; ▪ 20 dipendenti; A differenza delle S.p.A., l’organo di controllo è monocratico e i poteri e doveri sono identici a quelli dell’organo di controllo delle S.p.A. (se vengono a mancare gli amministratori devono convocare l’assemblea e devono intervenire in caso di irregolarità). La nomina spetta alla collettività dei soci, oppure, se lo statuto lo consente, con decisione non collegiale. Infine, il tribunale interviene con controllo giudiziale nella s.r.l. per denuncia esposta da sindaci (se presenti) o soci che rappresentano almeno il 10% del capitale. Per quanto riguarda i poteri dei liquidatori, essi hanno poteri simili al curatore in quanto: • Possono compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società, a differenza delle società di persone dove si può solo liquidare, e non hanno il divieto di compiere nuove operazioni; • Possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti ma solo se i fondi non sono sufficienti a soddisfare i creditori; • Si potrà optare anche per la continuazione dell’attività d’impresa (esercizio provvisorio), per cui ci si chiede se è necessaria la deliberazione assembleare o potrebbe anche essere un’autonoma scelta dei liquidatori (generalmente accettato); I liquidatori, tuttavia, sono assoggettati a degli obblighi in quanto devono agire con professionalità e diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, essi dovranno quindi curare l’attività di liquidazione che consiste essenzialmente nel pagamento dei creditori sociali e l’eventuale ripartizione dell’utile tra i soci. Sono inoltre assoggettati alla stessa disciplina in tema di responsabilità degli amministratori e sono responsabili nei confronti dei creditori sociali per l’illecita ripartizione tra i soci di acconti sul risultato della liquidazione e per la cancellazione della società dal registro delle imprese senza aver provveduto al pagamento dei creditori sociali. Infine, la legge prevede la continuità degli organi sociali nella fase di liquidazione, in quanto: • I soci possono deliberare: fusione, scissione, trasformazione o operazioni sul capitale; • Nella S.p.A., la liquidazione è: ▪ Compatibile con il sistema dualistico, anche se il consiglio di sorveglianza perde il potere di nomina e revoca degli amministratori e approvazione del bilancio; ▪ Incompatibile con il sistema monistico, quindi gli amministratori cessano dalla carica e l’assemblea ha l’obbligo di nominare i sindaci; Il bilancio nella liquidazione Anche nella fase di liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio d’esercizio, che deve essere approvato dall’assemblea ed ha la stessa struttura di quello di funzionamento. Al primo bilancio dei liquidatori devono essere allegati due documenti, ovvero: • Situazione dei conti alla data di scioglimento; • Rendiconto di gestione successivo all’ultimo bilancio approvato; Il mancato deposito per oltre 3 anni consecutivi del bilancio nel corso di liquidazione comporta la cancellazione della società interessata. La revoca della liquidazione È possibile revocare la liquidazione se sono state rimosse le cause di scioglimento e la delibera è presa dall’assemblea con le maggioranze richieste per le modificazioni dello statuto. Inoltre: • Per i soci dissenzienti è previsto il diritto di recedere dalla società; • I creditori possono fare opposizione al tribunale; • Occorre verificare la sussistenza del capitale minimo richiesto e redigere un bilancio straordinario; La delibera di revoca può essere presentata dal momento in cui la nomina dei liquidatori è iscritta nel registro delle imprese, fino al deposito del bilancio finale presso il registro. La chiusura della liquidazione e il bilancio finale Compiuta la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio finale, il quale: • Deve essere approvato dai soci tra i quali verrà ripartito l’eventuale attivo residuo; • Si compone di due parti: ▪ Bilancio finale in senso stretto, dove nell’attivo compare solo la liquidità residua; ▪ Piano di riparto, dove viene indicata la ripartizione tra i soci dell’attivo residuo; • Deve essere depositato nel registro insieme alla relazione dei sindaci e del revisore contabile ed entro 90 giorni, ognuno dei soci può proporre reclamo. La mancata opposizione vale come approvazione tacita, secondo il principio del “silenzio assenso”; Una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro. Se permangono creditori, questi potranno agire solo nei confronti dei soci, nei limiti di quanto hanno percepito in sede di riparto, o dei liquidatori, se il mancato pagamento sia dipeso da una loro colpa. A seguito della cancellazione, la società si estingue e determina il venir meno della società come soggetto di diritto, anche quando persistono debiti. 13. L’ARTICOLAZIONE DEL RISCHIO D’IMPRESA I GRUPPI DI SOCIETÀ Il gruppo di società nasce per limitare i danni di un’impresa che opera in più settori, evitando di rispondere all’inadempimento delle obbligazioni con tutto il suo patrimonio. I gruppi di società sono organizzazioni nelle quali la capogruppo (persona fisica o giuridica) esercita un’attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre società che mantengono un’autonomia giuridica, ma hanno, dal punto di vista economico, un unico centro di riferimento (la capogruppo), in particolare abbiamo: • Benefici di appartenenza ad un gruppo: prestiti intra-gruppo, beneficiando di economie di scala; • Rischi: eventualità che la capogruppo leda alcune società a vantaggio di altre; La legge prevede che la formazione di un gruppo sia applicabile a tutti i tipi di società (capitali-persone), e il suo presupposto è l’azione di direzione e coordinamento della capogruppo. Il legislatore, per agevolare l’onere della prova, introduce una presunzione relativa che presume che l’attività di direzione e coordinamento sia esercitata dalla capogruppo (salvo prova contraria). L’ordinamento individua 3 forme di controllo: • Controllo di diritto, dove una società dispone della maggioranza dei voti nell’assemblea di un’altra società; • Controllo di fatto, dove una società detiene voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea di un’altra (non il 51% perché in tal caso si avrebbe un controllo di diritto); • Controllo contrattuale, qualora una società risulti sotto l’influenza dominante di un’altra in virtù di particolari vincoli contrattuali ed il venir meno dell’accordo potrebbe compromette la prosecuzione della sua attività; In caso di controllo, la disciplina: • Accentua gli obblighi di vigilanza della controllante sulle controllate; • Richiede adeguata informazione in merito all’andamento del gruppo. Si prevede infatti, che sia redatto un bilancio consolidato da cui si evince la situazione economico-finanziaria della società; • Garantisce la conservazione del capitale sociale, infatti, le società controllate non possono sottoscrivere azioni o quote della controllante, ma possono acquistare azioni proprie, nei limiti degli utili e riserve disponibili; In merito ai gruppi di società la disciplina è composta da due tipologie di norme: • Norme fisiologiche, che sono finalizzate a garantire la massima trasparenza ed informazione in merito a: ▪ Esistenza del gruppo; ▪ Le operazioni poste in essere e gli effetti derivanti; ▪ Le motivazioni dietro le decisioni adottate; Il legislatore prevede un’apposita sezione del registro delle imprese in cui si iscrivono le società del gruppo; • Norme patologiche, che sono dirette ad evitare che la capogruppo nell’attività di direzione e coordinamento agisca nell’interesse proprio o altrui arrecando danno alle altre società. I soci e i creditori di una società eterodiretta possono agire contro la capogruppo solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta a direzione e coordinamento. Distinguiamo quindi la responsabilità della capogruppo nei confronti di: ▪ Soci, il quale sussiste se si è leso direttamente il valore della partecipazione sociale, tuttavia non vi è responsabilità se il danno è stato eliminato a fronte di altri vantaggi che la società ha ottenuto; ▪ Creditori, nel caso di lesione del patrimonio della società eterodiretta; Sono inoltre responsabili in solido con la capogruppo coloro che hanno preso parte al fatto lesivo e ne abbiano tratto beneficio consapevolmente. Per coloro che non hanno invece partecipato al fatto lesivo ma ne hanno consapevolmente tratto beneficio, la responsabilità è limitata al vantaggio conseguito; I finanziamenti intragruppo È frequente che nei gruppi vengono effettuati, da parte della capogruppo, finanziamenti a favore delle società. In caso di fallimento, per non pregiudicare gli altri creditori, la legge prevede che il rimborso di finanziamenti effettuati a favore di una società appartenente ad un gruppo sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. Il recesso nei gruppi di società Il socio della società eterodiretta può recedere nel caso in cui: • La capogruppo delibera una trasformazione che muta lo scopo sociale (es. società lucrativa si trasforma in società a scopo mutualistico); • Viene modificato l’oggetto sociale della capogruppo; • Viene condannata la capogruppo; • Il socio può recedere all’inizio e alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, bisogna però rispettare determinate condizioni, ovvero: ▪ non deve essere una società quotata in mercati regolamentati; ▪ non deve essere stata promossa un’offerta pubblica di acquisto; ▪ è necessario che si verifichi un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento; La disciplina Le società cooperative sono regolate, per quanto non previsto da legge, dalle disposizioni sulla S.p.A., tuttavia, l’atto costitutivo può prevedere che trovino applicazione, in quanto compatibili, le norme sulla s.r.l., il quale però si applicano: • Obbligatoriamente, se il numero dei soci è inferiore a 9 (N.B. deve essere più di 3); • Facoltativamente, se: ▪ La cooperativa ha un numero di soci inferiore a 20; ▪ L’attivo patrimoniale è inferiore a 1.000.000; Se la cooperativa adotta lo schema: • s.r.l., la partecipazione sociale è rappresentata da quote non superiori a 100.000€ e nessun socio può avere tante quote il cui valore supera tale ammontare; • S.p.A., la partecipazione sociale deve essere rappresentata da azioni il cui valore non superi 100.000€ e nessun socio può avere tante azioni il cui valore supera tale ammontare; Le cooperative possono inoltre reperire risorse finanziarie come nelle S.p.A. attraverso l’emissione di obbligazioni o di strumenti finanziari. Le partecipazioni sociali Le quote o le azioni, possono essere trasferite, tuttavia, il trasferimento è inefficace se: • La cessione non è autorizzata dagli amministratori; • Se l’atto costitutivo lo vieta; • Se la quota trasferita non è interamente liberata ed in questo caso il socio trasferente, risponde verso la società per i conferimenti ancora dovuti per 1 anno dal giorno in cui la cessione si è verificata; Ammissione di nuovi soci Le società cooperative si basano sul principio della porta aperta, per cui: • L’ingresso di nuovi soci non implica una modifica dell’atto costitutivo; • L’ammissione è deliberata dagli amministratori; • L’eventuale rigetto della domanda deve essere comunicato entro 60 giorni e motivato; • L’interessato entro 60 giorni da tale comunicazione può chiedere che si pronunci l’assemblea e la decisione dell’assemblea è vincolante per gli amministratori; Lo scioglimento del singolo rapporto sociale Le cause di scioglimento del singolo rapporto sociale sono: • Morte del socio, per cui gli eredi hanno diritto alla liquidazione della quota o a subentrare nella partecipazione (come s.n.c.); • Recesso, il quale però per evitare che il socio esca per scansare situazioni economiche sfavorevoli vi è il “divieto di recesso parziale” che ha come obiettivo quello di evitare comportamenti opportunistici dei soci. Può essere inoltre previsto nell’atto costitutivo un divieto di cessione della quota e, in questo caso, il socio può recedere solo se sono decorsi 2 anni dal suo ingresso in società. Per il recesso inoltre, abbiamo un procedimento da rispettare, ovvero: 1. La dichiarazione deve essere comunicata con raccomandata alla società; 2. Gli amministratori devono esaminarla e verificare i presupposti; 3. Se i presupposti non sussistono, gli amministratori devono comunicarlo al socio, il quale può fare appello al tribunale; Gli effetti del recesso sono: • Il diritto agli utili e al voto si perdono dal giorno di accoglimento della domanda; • Gli effetti sui rapporti mutualistici tra socio e società avvengono alla chiusura dell’esercizio in corso; • Esclusione del socio, che si ha per: • Inadempimento dei conferimenti dopo diffida di adempiere e con delibera dell’organo amministrativo o dell’assemblea; • La perdita dei requisiti di partecipazione alla società; • Fallimento, interdizione o inabilitazione del socio; • Inadempimenti previsti dall’atto costitutivo o dal rapporto mutualistico; L’esclusione deve essere deliberata e motivata dagli amministratori ed il socio escluso può fare opposizione tramite il tribunale entro 60 giorni. Inoltre, essa determina lo scioglimento immediato anche dei rapporti mutualistici pendenti. Il socio receduto, escluso e gli eredi, ha diritto alla liquidazione della quota; ORGANIZZAZIONE L’organizzazione a seconda del modello adottato, assomiglia a quella delle S.p.A. o s.r.l. In particolare l’assemblea: • Ha carattere democratico e si basa sulla regola del voto per teste; • Ciascun socio dispone di un solo voto qualunque sia il valore della quota o il numero di azioni possedute; • Il diritto di voto spetta ai soci iscritti da almeno 90 giorni, per impedire che gli amministratori decidano l’ammissione di soci in prossimità di una certa assemblea per influenzare gli esiti; • Per agevolare la partecipazione dei soci è consentito il voto per corrispondenza o con mezzi di telecomunicazione; La maggioranza degli amministratori sono scelti tra i soci o tra le persone indicate dai soci. L’organo di controllo Il collegio sindacale è necessario solo nei casi in cui è obbligatoria la nomina del sindaco nelle s.r.l., e quando la società ha emesso strumenti finanziari non partecipativi (titoli di debito nelle s.r.l. e obbligazioni nelle S.p.A.). Controllo giudiziario Poiché le cooperative hanno agevolazioni tributarie sono soggette ad una vigilanza volta a verificare il corretto perseguimento dello scopo mutualistico. Bilancio e riserve, utili e ristorno Per la formazione del bilancio è prevista la disciplina dettata per la S.p.A., tuttavia, vi sono differenze rispetto alle società lucrative per quanto riguarda la destinazione degli utili in quanto il 30% degli utili annuali deve essere messo a riserva legale per garantire la funzione di cuscinetto, ovvero di protezione del capitale poiché è variabile e non ha limiti minimi. Le società cooperative possono conseguire un lucro oggettivo, ed il lucro soggettivo dei soci, ovvero la distribuzione del profitto, è possibile ma con dei limiti, ovvero: • Cooperative a mutualità non prevalente, non si prevede una soglia massima per la distribuzione degli utili; • Cooperative a mutualità prevalente, vi è il divieto di distribuire dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni fruttiferi postali aumentato di 2 punti e mezzo rispetto al capitale versato; La tecnica attraverso il quale i soci della cooperativa conseguono annualmente il vantaggio mutualistico è il ristorno. I ristorni non sono soggetti a limitazioni e sono degli avanzi di gestione al pari degli utili, ma si distinguono da essi per i criteri di ripartizione ai soci che sono proporzionale alla quantità e qualità degli scambi mutualistici e non al capitale conferito dal socio. Inoltre, le modalità di ripartizione dei ristorni possono essere: • Rinuncia a priori del profitto d’impresa, attribuendo il vantaggio mutualistico atteso direttamente ai soci, attraverso: ▪ Nelle cooperative di consumo, la cessione dei propri beni o servizi al socio a prezzo di costo fin dall’atto della vendita; ▪ Nelle cooperative di produzione e lavoro, la retribuzione del lavoro o degli apporti del socio con un corrispettivo maggiorato fin dal momento del pagamento; • Riassegno a posteriori ai soci del profitto che l’impresa ha conseguito, ovvero: ▪ Si cedono i beni o servizi a prezzo di mercato o si corrisponde una retribuzione ai valori di mercato, puntando a realizzare un avanzo di gestione; ▪ Successivamente, al termine dell’esercizio, viene distribuito ai soci l’avanzo di gestione, in proporzione agli scambi mutualistici instaurati con la società; Lo scioglimento della società La società cooperativa si scioglie, oltre che per le cause tipiche delle società di capitali, per: • Integrale perdita del capitale sociale; • Mancanza del numero minimo dei soci per più di un anno; In caso di insolvenza, l’autorità governativa può disporre la liquidazione coatta amministrativa o il fallimento. La differenza in caso di scioglimento rispetto alle società lucrative risiede nella quota di liquidazione, poiché: • Nelle società lucrative, la liquidazione termina con la ripartizione ai soci del residuo attivo; • Nelle società cooperative, il residuo attivo è destinato ai fondi mutualistici (viene destinato a cooperative con lo stesso scopo); Le mutue assicuratrici Le mutue assicuratrici sono società cooperative in cui l’acquisto della qualità di socio deriva dalla stipulazione di un contratto di assicurazione con la società, in particolare: • I soci devono essere assicurati ed è esclusa l’ammissibilità di clausole che consentano agli assicuratori di non acquisire la qualifica di soci; • Il singolo rapporto sociale si scioglie con l’estinguersi dell’assicurazione; Le mutue assicuratrici per lo svolgimento della loro attività devono ricevere l’autorizzazione dell’IVASS e: • L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e deve essere iscritto nel registro delle imprese; • Per le obbligazioni hanno autonomia patrimoniale perfetta; Le mutue assicuratrici si distinguono dalle cooperative di assicurazione perché in quest’ultime i soci non hanno diritto ad ottenere prestazioni assicurative, a meno che non stipulino un contratto di assicurazione che resta in ogni caso autonomo e distinto dal rapporto sociale. LE FUSIONI La fusione consiste nell’unificazione di più società preesistenti ed è una concentrazione giuridica tra imprese (non economica come il gruppo). La legge prevede due forme di fusione: • In senso stretto, con la costituzione di una nuova società in cui vengono unificate le società preesistenti; • Per incorporazione (più frequente), in cui una società già operante incorpora altre società; In particolare: • La fusione determina la modifica degli atti costitutivi delle società coinvolte; • In entrambe le forme, le società incorporate si estinguono; • La società risultante assume diritti ed obblighi delle società fuse e prosegue i loro rapporti anteriori alla fusione (anche processuali); • Ai soci verranno attribuite azioni o quote della società risultante dalla fusione; Essa può essere: • Omogenea, quando coinvolge società dello stesso tipo; • Eterogenea, quando coinvolge società con diverso scopo-fine o enti diversi; La legge non prevede nessun divieto alla fusione per le società sottoposte a procedura concorsuali, per tale motivo, la fusione è uno strumento per la gestione e il superamento della crisi d’impresa. L’unico limite è che la fusione non è consentita alle S.p.A. in liquidazione che hanno iniziato la ripartizione dell’attivo. Il procedimento di fusione Il procedimento di fusione prevede 3 fasi: il progetto, la delibera e l’atto di fusione. a) Il progetto di fusione Il progetto di fusione viene redatto dagli amministratori e approvato dall’assemblea dei soci. Esso deve contenere: • Tipo di società, denominazione sociale e società coinvolte; • Atto costitutivo della società risultante; • Regole di assegnazione delle partecipazioni ai soci delle società incorporate, calcolate in base all’indice del “concambio”, ovvero del “rapporto di cambio delle azioni o quote”; Il progetto di fusione inoltre, deve contenere anche degli allegati, quali: • Situazione patrimoniale, per cui l’organo amministrativo delle società partecipanti alla fusione deve redigere il bilancio di fusione; • Relazione degli amministratori, il quale deve illustrare il progetto di fusione ed il rapporto di cambio; • Relazione degli esperti, per cui il rapporto di cambio deve essere valutato da esperti per tutelare i soci; Tali documenti e i bilanci degli ultimi 3 esercizi di ogni società partecipante devono essere depositati in ciascuna sede e pubblicati nel sito internet 30 giorni prima della decisione di fusione. b) La delibera di fusione Il progetto di fusione deve essere valutato e approvato dai soci delle società che vi partecipano, in particolare: • Nelle società di persone, viene approvato con il consenso della maggioranza calcolata secondo utili, salvo il diritto di recesso per il socio dissenziente; • Nelle società di capitali, le delibere di fusione devono essere sottoposte al controllo notarile e variano tra: ▪ S.p.A., per cui la delibera è approvata con il consenso della maggioranza calcolata secondo gli utili, salvo il diritto di recesso per il socio dissenziente; ▪ S.r.l., per cui la delibera è approvata a maggioranza con metodo assembleare e al socio dissenziente spetta il diritto di recesso; L’atto costitutivo inoltre, può prevedere che la decisione di fusione sia presa dagli amministratori al fine di semplificare il procedimento di fusione, ma solo se alla fusione: • Non partecipano società con capitale rappresentato da azioni; • Si ha incorporazione di società interamente possedute, per cui non è necessario il rapporto di concambio; • Si ha incorporazione di società possedute almeno al 90%, per il quale bisogna illustrare i criteri di determinazione dei rapporti di cambio per tutelare le minoranze presenti; Per tutelare i creditori, inoltre: • La fusione avviene dopo 60 giorni dalla data d’iscrizione della decisione di fusione nel registro; • Entro questo termine i creditori possono presentare opposizione al tribunale; • Se il tribunale ritiene infondato il pregiudizio, si prosegue con la fusione; Se le società hanno esigenza di immediata fusione, è prevista la fusione anticipata ma occorre: • Il consenso di tutti i creditori anteriori all’iscrizione; • Il pagamento dei creditori dissenzienti; • La relazione di una società di revisione che garantisce che le società coinvolte possano soddisfare i creditori; La fusione con costituzione di una società di capitali o con incorporazione in una società di capitali non libera i soci dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte prima dell’atto di fusione. c) L’atto di fusione Il procedimento si conclude con l’atto di fusione, ovvero un documento con cui le società partecipanti modificano gli statuti. La fusione deve risultare da atto pubblico ed entro 30 giorni il notaio deve depositarlo presso il registro delle imprese dei luoghi delle varie incorporate e dell’incorporante, perciò, l’ultima tra queste iscrizioni dell’atto ha efficacia costitutiva della fusione. L’invalidità della fusione ed i rimedi risarcitori Una volta eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione non può essere pronunciata la sua invalidità, salvo il diritto al risarcimento del danno subito da un socio o un terzo per la fusione, nel caso di: • Vizi del procedimento di fusione (assenza di una delle 3 fasi); • Palese incongruità del rapporto di cambio; • Iscrizione dell’atto di fusione in pendenza delle opposizioni dei creditori; LE SCISSIONI Con la scissione, una società assegna tutto (scissione totale) o parte (scissione parziale) del proprio patrimonio ad una o più società beneficiarie preesistenti (per incorporazione) o di nuova costituzione. Le azioni o le quote della società beneficiaria sono assegnate ai soci della società scissa sulla base di un determinato rapporto di cambio. La scissione può essere: • Totale, quando la società assegna tutto il patrimonio ad una o più società beneficiarie. La società scissa in questo caso si estingue senza liquidazione poiché la sua attività prosegue nelle società beneficiarie a cui vengono imputati diritti ed obblighi in proporzione alla quota di patrimonio trasferita; • Parziale, quando la società scissa assegna solo parte del patrimonio a società beneficiarie. La società scissa anche in questo caso non si estingue, ma continua ad operare con il patrimonio ridotto ed i suoi soci acquistano anche partecipazioni della società beneficiaria; Si distingue poi tra: • Scissione omogenea, quando il patrimonio della società scissa è assegnato a società beneficiarie dello stesso tipo; • Scissione eterogenea, quando le società beneficiarie sono di tipo diverso da quella scissa; Ancora, distinguiamo tra: • Scissione in senso stretto, dove le società beneficiarie sono di nuova costituzione. L’atto di scissione in questo caso funge da atto costitutivo delle nuove società i cui soci corrispondono a quelli della società estinta; • Per incorporazione, dove le società beneficiarie sono società preesistenti che andranno ad aumentare il proprio capitale e attribuiranno le loro azioni o quote ai soci della società scissa; Non è consentito, tuttavia, la scissione di società azionarie in liquidazione che abbiano già iniziato la ripartizione dell’attivo, mentre sono consentite le scissioni di società sottoposte a procedure concorsuali. Il procedimento di scissione Il procedimento di scissione, il quale ricalca quello di fusione, si articola in 3 fasi, ovvero: • Progetto di scissione; • Delibera; • Atto di scissione; L’APERTURA DELLA PROCEDURA DI FALLIMENTO L’apertura del fallimento avviene per iniziativa privata o pubblica, in particolare: • Iniziativa privata, si ha con il ricorso di uno o più creditori oppure su iniziativa del debitore (autofallimento); • Iniziativa pubblica, si ha su richiesta del pubblico ministero o di un giudice civile che abbia rilevato lo stato di insolvenza nel corso di un procedimento; Il fallimento viene dettato da una sentenza dichiarativa, la quale viene svolta presso il tribunale competente rispetto alla sede dell’impresa il quale può essere: • Sede legale; • Sede effettiva, in cui effettivamente si concentra la direzione dell’impresa ed è conveniente che si insedi il curatore fallimentare; Inoltre, il tribunale, attraverso la sentenza dichiarativa, individua gli organi del fallimento e l’adunanza dei creditori (effetti del fallimento rispetto ai creditori), ovvero i creditori non possono più compiere delle azioni nei confronti del debitore e si avrà un blocco esecutivo del loro credito che sarà accertato in una fase che prende il nome di accertamento del passivo (con domande di insinuazione al passivo nell’adunanza). La sentenza dichiarativa di fallimento ha natura di accertamento costitutivo perché produce una serie di effetti connessi all’apertura della procedura fallimentare e ha anche natura di accertamento dei presupposti che la legittimano, ovvero dei presupposti che accertano lo stato di insolvenza. È definita dichiarativa perché dichiara aperta la liquidazione giudiziale, inoltre, non si parla più di fallimento e quindi di fallito, bensì di liquidato, per supportare moralmente l’imprenditore insolvente. Per la prosecuzione della procedura è necessario prendere altri provvedimenti di natura ordinatoria, ovvero: • Nomina degli organi della procedura, ovvero giudice delegato, curatore e comitato dei creditori (quest’ultimo non è necessario e se manca le sue funzioni vengono svolte dal giudice delegato); • Ordinare al fallito il deposito della documentazione relativa alla sua situazione economica e finanziaria, ovvero bilancio, scritture contabili ed elenco dei creditori; • Stabilire la data dell’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo (adunanza = riunione); • Assegnare ai creditori il termine di 30 giorni prima dell’adunanza per la presentazione delle domande di c.d. insinuazione al passivo, ovvero la domanda attraverso il quale i creditori di un imprenditore fallito chiedono l’ammissione del loro credito al passivo del fallimento, in maniera tale da poterne ottenere il soddisfacimento del proprio credito; Contro la sentenza dichiarativa di fallimento potrà essere proposto un reclamo alla Corte d’Appello entro 30 giorni, tuttavia, il reclamo non sospenderà gli effetti della sentenza dichiarativa, ma è ammessa la possibilità che il tribunale, se ricorrono motivi gravi, sospenda in tutto o in parte o temporaneamente la liquidazione dell’attivo. Il procedimento per la dichiarazione di fallimento potrebbe concludersi anche con un motivato decreto di rigetto, fondato sulla insussistenza dei presupposti del fallimento o della soglia minima dei 30.000€ di debiti scaduti. GLI ORGANI DEL FALLIMENTO Gli organi del fallimento vengono nominati dalla sentenza dichiarativa del fallimento e sono: • Tribunale, il quale sovraintende il corretto svolgimento dell’intera procedura e provvede alla nomina, revoca o sostituzione del giudice delegato e del curatore. Inoltre decide tutte le controversie relative alla procedura (compresi i reclami) che non siano di espressa competenza del giudice delegato; • Giudice delegato, il quale ha funzioni di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura. Egli inoltre, nomina e revoca il comitato/adunanza dei creditori e, se quest’ultimi non accettano l’incarico, le loro funzioni saranno esercitate dal giudice delegato stesso. Affinché il giudice delegato svolga le sue funzioni di vigilanza e controllo deve richiedere ed ottenere, anche tramite sollecito, informazioni dal curatore e dal comitato dei creditori secondo un obbligo di informazione. Altre funzioni che il giudice delegato deve svolgere sono: ▪ Accertare i crediti e gli altri diritti vantati dai creditori che hanno presentato la domanda di insinuazione al passivo; ▪ Autorizzare il compimento di alcune scelte del curatore (es. autorizzare la continuazione dell’esercizio provvisorio dell’impresa); ▪ Decidere sui reclami proposti dal fallito o da altri interessati contro gli atti del curatore o del comitato dei creditori; • Curatore, il quale ha la funzione di amministrare il patrimonio fallimentare. Egli compirà tutte le operazioni della procedura, sotto il controllo degli altri organi, ovvero liquidare nel miglior modo possibile il patrimonio per poi soddisfare i creditori. Egli inoltre: ▪ Ha un potere negoziale, in cui ha ampia autonomia e discrezionalità, ma la sua legittimazione è condizionata da autorizzazioni del giudice delegato o del comitato dei creditori; ▪ Poco dopo l’inizio della sua attività deve presentare al giudice delegato una relazione dettagliata sulle cause del fallimento e sulle eventuali responsabilità del fallito; • Comitato dei creditori, il quale è composto da tre o cinque membri in modo da rappresentare in misura equilibrata la quantità e la natura dei crediti. Esso è nominato dal giudice delegato e ha il compito di vigilare sull’operato del curatore fallimentare e sull’intera procedura con la facoltà di prendere visione delle scritture contabili e di chiedere delucidazioni (ha poteri ispettivi e informativi); GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO La dichiarazione di fallimento ha efficacia costitutiva e produce i seguenti effetti: • Effetti per il fallito, che ulteriormente si dividono in effetti patrimoniali (spossessamento) ed effetti processuali e personali; • Effetti per i creditori; • Effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori; • Effetti sui contratti in corso di esecuzione o su rapporti giuridici preesistenti; a) Effetti per il fallito Gli effetti per il fallito sono: • Spossessamento (effetti sul patrimonio del fallito), attraverso il quale il fallito viene privato dell’amministrazione e della disponibilità dei beni che risultano ancora esistenti nel suo patrimonio al momento della dichiarazione di fallimento e la gestione spetterà al curatore. Alcuni beni possono essere non compresi nell’asse fallimentare per decisione del curatore o per legge, ed essi sono quelli di natura strettamente personale o necessari per vivere (o anche quando superano il valore dei crediti o quando i costi per conservarli e mantenerli sono molto elevati). Lo spossessamento comporta che il debitore perde la disponibilità, solo nel periodo della procedura, ma non la titolarità dei beni, in quanto esso è relativo, ovvero produce benefici solo sui creditori anteriori alla procedura. Sono inoltre inefficaci tutti gli atti compiuti dal fallito rispetto ai creditori (inefficacia relativa) e i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza del fallimento, perciò, se il fallito utilizza dei beni del fallimento per soddisfare i creditori, tale atto sarà inefficace in maniera relativa perché perderà solo la disponibilità di quei beni, ma ne rimane titolare; • Inefficacia degli atti del fallito (effetti processuali e personali), in quanto: ▪ Il fallito non può più partecipare ai giudizi che riguardano i rapporti patrimoniali coinvolti nel fallimento (viene meno la rappresentanza commerciale); ▪ C’è la limitazione del diritto alla segretezza epistolare e la corrispondenza deve essere inoltrata direttamente al curatore; ▪ Vi è la limitazione del diritto di circolazione del fallito, che dovrà essere sempre reperibile per gli organi della procedura e dovrà presentarsi ogni qual volta venga convocato dagli organi della procedura (dovrà anche comunicare qualsiasi cambio di residenza); b) Effetti per il creditore La finalità del fallimento è quella di soddisfare quanto meglio possibile tutti i titolari di crediti sorti prima del fallimento, ovvero i creditori concorsuali. L’apertura del procedimento fa sì che i crediti vengano accertati e soddisfatti con una procedura collettiva secondo il principio della par condicio. I creditori concorsuali si distinguono secondo il principio della preferenza (a seconda del tipo di contratto stipulato con il debitore), in particolare i creditori si distinguono in: • Prededucibili, il cui credito sorge dopo l’apertura della procedura e devono essere accertati secondo le tipiche norme. Essi sono quelli relativi alle spese della procedura e devono essere soddisfatti prima degli altri e per intero; • Privilegiati, ovvero quelli assistiti da cause legittime di prelazione (es. pegno ed ipoteca), ed avranno il privilegio solo sull’attivo che si ottiene dalla vendita del bene sul quale hanno il privilegio, quindi non su tutto l’attivo; • Chirografari, ovvero quelli che concorrono in proporzione del loro credito su tutto l’attivo che non è stato assorbito dai crediti prededucibili e privilegiati; • Subordinati (postergati), che sono soddisfatti per ultimi secondo casi specifici previsti dalla legge; Le domande dei creditori concorsuali, una volta verificate, andranno a formare la massa passiva, ovvero l’ammontare dei debiti fallimentari e i creditori concorsuali diventano quindi dei creditori concorrenti sulla massa attiva, cioè sul patrimonio attivo dell’impresa in fallimento. Per far sì che si apra questo concorso, il legislatore prevede la cristallizzazione (o stabilizzazione) dei crediti, ovvero stabilizza il credito per renderlo certo e definito, con la conseguenza che non produrrà più interessi. Il legislatore garantisce questa operazione con il blocco delle azioni esecutive individuali, che avviene con il blocco degli interessi per i crediti pecuniari, cioè tali crediti verranno ammessi per il loro valore attuale senza interessi (il credito non produrrà interessi). Per i crediti di valore, quindi non pecuniari, se non sono ancora scaduti, concorreranno secondo il valore del bene alla data della dichiarazione di fallimento e, nel caso in cui siano già scaduti, si andrà a considerare il valore che avrebbe avuto alla data di scadenza.