Scarica Diritto Costituzionale I - Lezioni di Diritto Costituzionale e più Dispense in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 1 DIRITTO COSTITUZIONALE CAPITOLO 1 – LO STATO COSTITUZIONALE Sez. I – Elementi introduttivi 1. LO STATO STATO à principale organizzazione della vita collettiva. Lo Stato svolge attività di interesse generale, poiché interviene e agisce per il bene comune. Inoltre, fornisce servizi pubblici e produce le norme giuridiche. Il diritto costituzionale si occupa delle regole fondamentali riguardanti diritti e doveri degli individui, dell’organizzazione dell’apparato statale e le modalità di produzione del diritto. Lo Stato esercita il suo potere sull’individuo; inoltre, lo Stato: i. è l’unica organizzazione ad appartenenza necessaria (ogni individuo ne fa parte e non può sottrarsi); ii. ha natura autoritaria: l’individuo non si trova mai sullo stesso livello dello Stato, essendo essi soggetti all’autorità statale; iii. esercita il monopolio dell’uso della forza e con questo fa sì che le regole vengano osservate dai cittadini, facendole rispettare tramite apparati indipendenti. Lo Stato, in questo modo, fa da garante per altri ordinamenti e presta la propria forza per garantire l’osservanza dei patti e dei rapporti privati (lo Stato esercita una forza, la presta e vita che altri la usino contro la collettività statale); iv. esercita la sovranità interna, escludendo così che nell’ambito del proprio territorio si manifestino altri poteri capaci di imporsi con l’uso della forza sui cittadini. La Costituzione all’art. 1 esprime il fondamentale principio che identifica il popolo come la fonte di legittimazione della sovranità statale interna; v. esercita la sovranità esterna e in questo modo non riconosce entità superiori. Esempio (1): art. 7 cost. à esprime il rapporto fra lo Stato e la Chiesa cattolica. Nel corso degli anni, diverse entità sovranazionali hanno contribuito a modificare significativamente il concetto di sovranità e indotto gli Stati a rinunciare a parte della loro sovranità. L’ingresso dell’Italia nell’Unione europea e l’accettazione delle sue successive trasformazioni, con conseguenti e progressive cessioni di sovranità, sono state rese possibili dal principio contenuto nell’art. 11 cost.: “in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. 2. DAL PRIMATO DELLA LEGGE AL PRIMATO DELLA COSTITUZIONE Per un lungo periodo è esistito, nel continente europeo, il modello di Stato liberale fondato sul primato della legge, che ha visto l’affermarsi dei Parlamenti in funzione limitante il potere del sovrano. La novità che ha caratterizzato questo modello è la centralità del Parlamento, il cui potere derivava dai cittadini politicamente attivi. Il primato della legge implicava l’assenza di limiti, cioè l’espressione della libertà dato che nasceva con il proposito di limitare l’autorità del sovrano: la legge concedeva le libertà e il giudice ne garantiva l’applicazione. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 2 DIRITTO COSTITUZIONALE Il primato della legge si traduceva nell’importanza riconosciuta ai codici, cioè lo strumento necessario per sistematizzare e razionalizzare l’ordinamento giuridico. I legislatori affermavano nelle leggi i caratteri della generalità e dell’astrattezza: - generalità à comporta l’eguale applicazione della legge nei confronti di tutti i cittadini; - astrattezza à comporta che la norma non si esaurisca con una sola applicazione, presentando uno schema potenzialmente ripetibile all’infinito. La crisi del modello liberal – borghese ha inizio con la Grande Guerra, quando le esigenze belliche conducono alla sospensione di alcune garanzie e libertà e ad un’ampia produzione normativa proveniente direttamente dall’esecutivo. Scoppiano le rivendicazioni di natura sociale e politica delle classi meno abbienti, poi veicolate dai nuovi partiti di massa (i vecchi Stati di impronta liberal – borghese non riescono più a contenere le nuove spinte provenienti dalla società e risultano inadeguati a provvedere alle necessità di coesistenza del gruppo sociale). Le conseguenze di tali mutamenti sono l’avvio di una nuova concezione di Costituzione a partire da quella di Weimar: affianco ai tradizionali diritti di libertà, si afferma il riconoscimento di un catalogo di diritti dal contenuto marcatamente sociale. L’originaria idea di Costituzione (documento nel quale tradurre i vincoli al potere in funzione e in esclusiva considerazione dell’autonomia del singolo) muta a seconda della necessità di affermare obiettivi di equità e di eguaglianza sostanziale che lo Stato deve perseguire sul piano economico, erogando prestazioni e servizi. Il superamento della concezione negativa dello Stato che implica un suo atteggiamento non interventista, e la proclamazione dei diritti sociali, sono resi possibili grazie al progressivo allargamento della rappresentanza. Lo Stato di diritto liberal – borghese escogita un sistema rappresentativo ristretto a base censitaria, limitando il corpo elettorale alla sola classe borghese che diventa padrona del nuovo ordine costituito e modellato sui suoi stessi interessi. Lo Stato sociale di diritto allarga la base elettorale con base a suffragio universale e porta all’emersione di nuovi interessi, che reclamano una giusta composizione nella legge. Si affermano anche i diritti sociali espressione della solidarietà e dell’eguaglianza sostanziale. La garanzia dell’eguaglianza sostanziale determina l’intervento dello Stato nell’economia e nel mercato. La coesistenza di questa pluralità di valori e interessi spiega la rigidità delle nuove carte costituzionali. Nella società borghese vi erano costituzioni di compromesso, in cui è assente una vera e propria gerarchia fra i vari principi; queste necessitano di meccanismi volti ad assicurare la non sopraffazione di una classe di interessi sull’altra. Lo Stato costituzionale nasce in risposta alla crisi della Stato liberale e riconosce alla Costituzione il primato nella gerarchia delle fonti del diritto, quale argine a un legislatore onnipotente. Le Costituzioni della seconda metà del Novecento sono scritte e contengono un ampio catalogo di diritti e una definizione dei poteri dello Stato. Le Costituzioni della seconda metà del Novecento sono rigide in quanto caratterizzate dalla loro sovraordinazione rispetto alla legge e dalle previsione di meccanismi che consentano di verificare la costituzionalità dele leggi e di sanzionare le leggi contrarie. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 5 DIRITTO COSTITUZIONALE La fonte di legittimazione del potere è il popolo e lo esercita attraverso il diritto di voto. Lo Stato liberale è costituito dalla divisione e separazione dei tre poteri: a) legislativo à esercitato dai rappresentanti del popolo, che hanno il compito di fare le leggi. È quello più importante, in quanto è l’unico potere rappresentativo del popolo. Non conosce limiti ma ciò verrà superato con la nascita del modello di Stato del Novecento, cioè lo Stato costituzionale; b) esecutivo à eseguire le direttive politiche del Parlamento: c) giudiziario à applica rigorosamente le leggi. Ulteriore caratteristica di questa forma di Stato è il principio di uguaglianza, in senso formale: si assicurano in astratto a tutti i cittadini gli stessi diritti, in condizioni di uguaglianza. Un altro aspetto importante dello Stato liberale è la sua tendenziale generalità ed astrattezza: si ha una legge generale che considera tutti gli uomini uguali e una legge astratta che, regolando un comportamento ripetibile, è suscettibile di un’applicazione potenzialmente illimitata e consente a tutti di conoscere preventivamente le conseguenze del proprio operare e lo rende libero di decidere come orientare le proprie azioni. Lo Stato liberale nasce anche come Stato di diritto: i poteri supremi sono sottoposti al diritto e gli atti pubblici sono sottoponibili ad un controllo giuridico. Il principio di legalità si ha grazie alla nascita della giustizia amministrativa, composta da giudici che hanno il potere di annullare l’operato della pubblica autorità posto in essere in violazione o in assenza di una legge. Lo Stato liberale dell’Ottocento contiene varie contraddizioni, come ad esempio la questione del diritto di voto garantito a pochi nonostante tutti i cittadini siano uguali. Il modello liberale di Stato era funzionale ad una classe sociale, cioè quella borghese e per questo era espressione di pochi cittadini che godevano del diritto di voto, rigorosamente selezionato per reddito o per cultura. La rappresentanza politica si fonda sull’esclusione del genere femminile: le donne voteranno per la prima volta nel 1946, quando vi fu il referendum per la scelta tra la Monarchia o la Repubblica e per l’elezione dei membri dell’Assemblea costituente. 7. LO STATO SOCIALE L’ampliamento del suffragio porta a una forte spinta per la tutela di diritti diversi e ulteriori, che necessitano dell’intervento dello Stato il quale diventa un soggetto attivo nei processi politici ed economici, iniziando anche a preoccuparsi dei problemi del lavoro, esercitando i poteri pubblici sull’allocazione delle risorse e praticando il prelievo fiscale in modo proporzionale al reddito. Lo Stato provvede a distribuire la ricchezza e comincia a intervenire sull’economia del territorio. Il suo ruolo è dinamico e si inizia a parlare così degli strumenti di regolazione del mercato. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 6 DIRITTO COSTITUZIONALE Questo modello non rinnega l’esperienza liberale, ma la completa: pone attenzione sulla proclamazione astratta dei diritti e sulla loro attuazione. È caratterizzato dal settore del lavoro, della previdenza e assistenza sociale, dell’istruzione e della salute. È centrale la trasformazione del principio di eguaglianza e bisogna parlare di uguaglianza sostanziale. Art. 3 cost. à “Tutti i cittadini hanno paro dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il legislatore diventa espressione di gruppi sociali diversi e in conflitto fra loro. Vengono per questo introdotte leggi speciali che si riferiscono non a tutti ma solo ad alcune categorie di persone, insieme alle leggi provvedimento che perdono la caratteristica dell’astrattezza per provvedere direttamente ad esaurirsi con una o poche applicazioni circoscritte al caso concreto. Anche lo Stato sociale verrà ribattezzato come Stato democratico – sociale: i diritti sociali costano e nei momenti di crisi economica non è possibile assicurare davvero a tutti determinate prestazioni. Tagliare sui costi della sanità o dell’istruzione o della previdenza sociale significherebbe però mettere in difficoltà alcune persone. Il costo dei diritti sociali, che dovrebbe essere sostenuto grazie alla corrispondenza tra spesa per le prestazioni concernenti i diritti e prelievo statale a livello fiscale, si può dire che in Italia è gravemente compromesso dall’evasione fiscale. Lo Stato sociale si afferma in seguito alla seconda guerra mondiale come risposta alla crisi dello Stato liberale. Tale crisi, scaturita da fattori storici e politici e dalle contraddizioni dello Stato liberale, provoca un riferimento alle esperienze degli Stati totalitari e ad alcune esperienze degli Stati comunisti, caratterizzati dalla perdita della libertà fondamentali, asservite ai fini dello Stato, dalla perdita del pluralismo partitico, che viene sostituito da una partito unico, e dalla perdita del principio democratico, inteso come libera espressione del voto popolare. Si ha una conseguente soppressione delle elezioni politiche e si ha un appello al popolo sotto la forma di un referendum ad esito scontato, denominato plebiscito. 8. LE FORME DI STATO NELLA DIVISIONE TERRITORIALE DEL POTERE Partendo dalla distribuzione del potere nel territorio, si può dire che le forme di Stato possono essere diversamente catalogate. Stato centrale Stato federale Stato regionale o unitario Assenza di una qualsivoglia articolazione del potere nel territorio: vi è un unico Stato centrale titolare del potere sovrano Decentramento politico massimo: si affiancano uno Stato centrale ed altre entità territoriali, cioè gli Stati membri che rappresentano politicamente le comunità locali Operano enti territoriali intermedi dotati di autonomia politica DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 7 DIRITTO COSTITUZIONALE Privo di istituzioni territoriali rappresentative di popolazioni o comunità locali Nascita con percorso aggregativo, cioè più Stati sovrano decidono di unirsi in uno Stato federale, o con percorso disgregativo, cioè vi è una graduale emersione di articolazioni territoriali all’interno di uno Stato centrale Nasce da processi di disarticolazione di Stati centrali, che decidono di concedere qualche limitata forma di autonomia a comunità locali L’apparato amministrativo può controllare il territorio dislocandosi nelle diverse aree geografiche che compongono lo Stato: l’articolazione del potere è frutto di un decentramento burocratico e non politico Stati membri come enti autonomi, non sovrani Si ha uno Stato regionale se l’ente regione è previsto dalla Costituzione Scopo di sopperire al particolarismo e alla frammentazione dell’ordinamento medioevale Costituzione al vertice dell’ordinamento giuridico e Costituzioni degli Stati membri, subordinate alla Costituzione federale Le Regioni condividono la potestà legislativa con lo Stato centrale Composizione bicamerale del Parlamento: camera rappresentativa dei cittadini di tutto il territorio e camera costitutiva l’emanazione degli Stati membri Le Regioni non partecipano al procedimento di revisione costituzionale, non vantano della presenza di una Costituzione ma di uno Statuto e non sono rappresentate presso lo Stato centrale in un ramo del Parlamento Decentramento politico assicurato dalla Costituzione, modificabile solo con il consenso degli Stati membri Stati membri partecipanti alla revisione costituzionale e tutelati da una Corte costituzionale federale che ha il compito di far rispettare il testo costituzionale nel caso di conflitti tra lo Stato federale e gli Stati membri È preferibile distinguere tra Stato accentrato, in cui è assente il decentramento politico, e Stato articolato, in cui il decentramento politico è previsto ed attuato in misura variabile. 9. FORME DI GOVERNO: ASPETTI GENERALI FORMA DI GOVERNO à modo in cui il potere è distribuito e organizzato fra i diversi organi statali: mezzo con cui lo Stato si prefigge di raggiungere determinati fini. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 10 DIRITTO COSTITUZIONALE Si ha una fase nuova in cui si sono create le condizioni per arrivare a una sostanziale bipolarismo, cioè il raggruppamento di tanti partiti in coalizioni che ha consentito l’alternanza fino al 2013 (anno in cui una terza forza, il Movimento 5 Stelle, è emersa fra i due poli di centro – destra e centro – sinistra) 12. LA FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE La forma di governo presidenziale è nata negli Stati Uniti ed è ancora oggi il principale modello. Questa forma si fonda sulla ripartizione del potere fra Presidente degli Stati Uniti, eletto dai cittadini, e assemblee elettive, Senato e Camera dei rappresentanti. Le assemblee elettive detengono il potere legislativo e di controllo sul Presidente e sul suo apparato di governo, ma sono prive del potere di sfiducia. Il Presidente detiene il potere esecutivo e ha il comando dell’amministrazione e delle forze armate. L’apparato di governo dipende dal Presidente, che può nominare e revocare i segretari di stato senza alcun intervento da parte delle assemblee elettive. È caratterizzato dalla totale separazione del potere legislativo ed esecutivo. Negli USA la forma di governo vede i due poteri di indirizzo politico controllarsi a vicenda e professa una totale autonomia del potere giudiziario, a partire dai giudici della Corte suprema, nominati dal Presidente ma con il preventivo gradimento del Senato ed in carica tutta la vita. Gli USA costituiscono il modello per eccellenza del principio della divisione dei poteri: è realizzato nella forma di governo ma anche nella forma di Stato, che essendo federale comporta un’articolazione del potere fra Stato centrale e Stati membri. 13. ALTRE FORME DI GOVERNO: IL SEMI – PRESIDENZIALISMO E IL GOVERNO DIRETTORIALE La forma di governo semi – presidenziale è nata in Francia con le riforme costituzionali. Essa combina elementi della forma di governo presidenziale ed elementi della forma di governo parlamentare. Il Presidente della Repubblica viene eletto direttamente dal popolo e nomina un Governo, che può essere sfiduciato dal Parlamento. Nato per rafforzare il ruolo del Presidente e del Governo, in realtà questo sistema è stato messo alla prova nei casi in cui Parlamento e Presidente sono stati espressione di maggioranze diverse e si sono create situazioni coabitazione. Il legislatore costituzionale francese è intervenuto in merito, con il processo di riforma avviato nel 2000 per ridurre il più possibile il rischio di una simile evenienza. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 11 DIRITTO COSTITUZIONALE La forma di governo direttoriale si ispira all’esperienza francese del direttorio. Ci sono due organi costituzionali necessari: il Parlamento e il Governo; quest’ultimo viene eletto dal potere legislativo, ma una volta entrato in carica diviene autonomo e di conseguenza i due organi procedono parallelamente, senza particolari interferenze. Non è possibile che il Parlamento possa far dimettere il Governo: questa forma di governo è adottata in paesi piccoli in cui vi sono democrazie omogenee. Esempio (5): Svizzera à la peculiare realtà politica consente, proprio per la omogeneità delle forze politiche in campo, di nominare Capo dello Stato tutti i membri del Governo (secondo un sistema rotatorio). Sez. III – Cenni di storia costituzionale italiana 14. LA VIGENZA DELLO STATUTO ALBERTINO FINO AL TERMINE DEL REGIME FASCISTA Lo Statuto albertino, concesso dal Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia, il 4 marzo 1848, si ispirava al modello della monarchia costituzionale francese: il Re aveva poteri limitati per la presenza delle due Camere; egli esercitava, con i suoi ministri, il potere esecutivo; nominava i magistrati e interveniva nella funzione legislativa mediante la convocazione e lo scioglimento delle Camere e il potere di sanzione e di promulgazione delle leggi. Aveva poco rilievo, dal punto di vista della limitazione dei poteri statuali, la proclamazione di alcuni diritti dell’uomo, sinteticamente enunciati in soli nove articoli. STATUTO à legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia. Ha potuto sopravvivere alle mutate situazioni succedutesi nel XIX secolo solo con una serie di modificazioni, permesse dal suo carattere elastico e flessibile: l’elasticità ha consentito un’interpretazione evolutiva delle sue disposizioni, mentre la flessibilità ne ha permesso la modificazione formale mediante semplice legge ordinaria. Il sistema costituzionale, a seguito dell’unificazione d’Italia, si è evoluto sino all’affermazione di una monarchia parlamentare. Il Parlamento s afferma come perno nella definizione dell’indirizzo politico e si stabilisce una sorta di rapporto fiduciario con il Governo; il Governo si configura come organo costituzionale a sé stante, separato dalla Corona; il ruolo del Sovrano nell’esercizio della funzione esecutiva e legislativa si riduce notevolmente; i diritti dei cittadini godono di una certa estensione, a opera della legislazione primaria, soprattutto in ambito economico. La crisi del modello liberale trova il suo apice con le riforme fasciste che modificano i principi fondamentali dello Stato e dell’architettura costituzionale: a) 1922 à Gran Consiglio del Fascismo: dal 1928 assume il ruolo costituzionale e tale organo deve essere sentito in ordine a tutte le questioni di carattere costituzionale e deve indicare una lista di nomi, tra i quali il Re sceglie il Capo del Governo; b) 1923 à legge Acerbo: viene modificato il sistema elettorale per cui si introduce una formula maggioritaria con collegio unico nazionale, in modo da neutralizzare la rappresentanza delle opposizioni contrarie al regime fascista; c) 1925 – 1926 à Capo del Governo: organo centrale nel sistema costituzionale. Con la legge 24 dicembre 1925, n. 2263, la posizione del Parlamento viene fortemente emarginata e si prevede che il Capo del Governo possa controllarlo. La legge del 31 dicembre 1926, n. 100, DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 12 DIRITTO COSTITUZIONALE attribuisce al Governo la funzione legislativa e potrà così adottare decreti aventi forza di legge in qualsiasi materia. Sono decreti di emergenza, che hanno due anni di tempo per essere convertiti in legge ufficiale; se il Parlamento non avesse convertito in legge tali decreti, ne sarebbe conseguita la loro decadenza; d) ventennio fascista à le libertà sono oggetto di numerose violazioni, previste per legge e determinate da specifici provvedimenti amministrativi. Si ha l’abrogazione tacita dello Statuto; e) 1939 à la Camera dei deputati viene soppressa e sostituita con la Camera dei fasci e delle corporazioni: la rappresentanza elettiva fa spazio alla rappresentanza degli interessi delle categorie economiche e sociali. 15. LA TRANSIZIONE E LA COSTITUZIONE PROVVISORIA La transizione dallo Stato fascista al vigente regime costituzionale democratico ha inizio il 25 luglio 1943, data della revoca di Mussolini dalla carica di Presidente del Consiglio dei ministri; fece seguito la nomina del Governo Badoglio. Il governo Badoglio tentò un ritorno allo Statuto, modificando e abrogando alcuni istituti del regime fascista, quali il Partito nazionale fascista, il Gran Consiglio del Fascismo, la Camera dei fasci e delle corporazioni e stabilendo che si sarebbe provveduto “nel termine di quattro mesi dalla cessazione dell’attuale stato di guerra, alla elezione di una nuova Camera dei deputati e alla conseguente convocazione e inizio della nuova legislatura”. Il Comitato di liberazione nazionale o CLN, composto dai partiti anti – fascisti, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, si oppone al tentativo del Governo Badoglio di ripristinare le precedenti istituzioni statuarie e si pose alla guida di un processo politico – costituzionale di profondo mutamento che si sarebbe dovuto concludere con un rinnovato assetto costituzionale dello Stato. Si fa così riferimento alla questione istituzionale, cioè il problema relativo alla forma da dare al nuovo Stato, affrontata dalla Corona e dal CLN e ratificata dal c.d. Patto di Salerno dell’aprile 1944. Con il Patto si rinviò la soluzione della questione istituzionale e la convocazione di un’Assemblea Costituente al periodo successivo alla fine della guerra e si dispose l’allontanamento del Re dalla carica, dando così inizio a una “luogotenenza” di transizione. Il 12 aprile 1944 Re Vittorio Emanuele III si ritirò dalla via pubblica e nominò “luogotenente generale” il figlio Umberto. Il nuovo processo costituente fondava le proprie basi giuridiche sul decreto – legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, che riproduceva proprio i contenuto del Patto di Salerno e che viene generalmente considerato la prima costituzione provvisoria del nuovo Stato italiano. Art. 1 d.l. lgt. 25 giugno 1944, n. 151 à “Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato. I modi e le procedure saranno stabiliti con successivo procedimento”. Il Governo Parri, con il d.l. lgt. 31 luglio 1945, n. 435, istituì il Ministero per la Costituente e alcune commissioni di studio di supporto all’attività dell’Assemblea Costituente. Il Ministero per la Costituente fu incaricato di predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione che dovrà determinare l’aspetto politico dello Stato e le linee direttive dalla sua azione economica e sociale. A tal fine furono nominate dal Ministero per la Costituente tre commissioni di studio aventi a oggetto rispettivamente le DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 15 DIRITTO COSTITUZIONALE La sistematica costituzionale è suddivisa in: a) Principi fondamentali à artt. 1 – 12; b) Parte I – Diritti e doveri dei cittadini à artt. 13 – 54; suddivisa a sua volta in quattro Titoli: Rapporti civili, Rapporti etico – sociali, Rapporti economici e Rapporti politici; c) Parte II – Ordinamento della Repubblica à artt. 55 – 139; suddivisa a sua volta in sei Titoli: il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo, la Magistratura, le Regioni, le Province, i Comuni; Garanzie costituzionali); d) Disposizioni transitorie e finali. La Costituzione si apre con l’enunciazione dei principi fondamentali, che hanno valore normativo e costituiscono il nucleo intangibile della Costituzione; essi non possono essere abrogati neppure con il procedimento di revisione costituzionale ex art. 138 cost.. Possono essere introdotti principi che siano espressione di trasformazioni sociali e di contesto già intervenute. Si atteggiano a linee guida per l’interpretazione del disposto costituzionale e per l’esplicitazione di regole implicite. L’individuazione di tali principi è opera delicata e rimessa all’interprete, in primo luogo alla Corte costituzionale. In Italia si affermano dei principi fondamentali: 1. principio personalista à il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo comportano la centralità della persona umana. A questo principio fanno riferimento diversi richiami alla dignità e all’inviolabilità della persona all’interno della Costituzione: in particolare art. 2 e art. 3, comma 1, art. 13 e art. 32, comma 2, e art. 41, comma 2; 2. principio solidaristico à l’accostamento ai diritti dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale che consentono limitazioni alla posizione soggettiva del singolo, ha fatto ingresso la prospettiva della solidarietà intergenerazionale, da intendersi come il dovere di garantire anche per le generazioni future la possibilità di godere di risorse naturalmente scarse. I doveri hanno specificazione nell’ambito economico, per sua natura incidente in misura significativa sulla condizione di vita del singolo, laddove e formule dell’utilità sociale e della funzione sociale valgono a limitare le facoltà in astratto attribuite illimitatamente all’imprenditore o al proprietario; 3. principio di eguaglianza à da questo principio si sviluppa e garantisce il principio personalista, che si afferma dall’art. 3 cost. per tutti gli essere umani, sia quale divieto di discriminazione sia quale obiettivo sostanziale per la Repubblica, impegnata a rimuovere gli ostacoli che in concreto impediscono il pieno sviluppo della persona umana; se non è assicurata l’oggettiva parità nei diritti non può essere garantita la pari dignità delle persone. L’azione della Repubblica è limitata dall’indicazione di una serie di fattori che non possono essere posti a fondamento di discipline differenziate e dall’indicazione dell’obiettivo consistente nel pieno sviluppo della persona umana e nell’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 16 DIRITTO COSTITUZIONALE È centrale l’obiettivo sociale, espresso art. 3, comma 2, cost.: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La Costituzione affida così ai pubblici poteri il compito di rispettare i diritti del singolo ma anche di raggiungere obiettivi di eguaglianza sostanziale e giustizia sociale. La Repubblica deve eliminare le differenze di fatto, economiche e sociali. Il mezzo principale per il raggiungimento degli obiettivi sono i diritti sociali affermati come posizioni giuridiche che devono trovare realizzazione attraverso concrete scelte legislative positive, non bastando che lo Stato si limiti ad astenersi dall’entrare nella sfera di libertà del cittadino. L’obiettivo dell’eguaglianza sostanziale investe anche la concezione di taluni diritti di matrice liberale, che sono sottoposti dalla Costituzione a limiti consistenti non solo nel necessario restringimento delle facoltà del titolare in ragione della convivenza con altri titolari dei medesimi diritti, ma anche nell’assoggettamento a valori ulteriori, espressi in Costituzione; 4. principio lavorista à gli viene attribuita una forte centralità dalla Costituzione. Il lavoro non è inteso quale semplice mezzo per la sussistenza, bensì quale struttura di realizzazione della personalità del singolo; l’art. 4 cost. stabilisce: “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Si leggono in questo modo anche le norme poste a tutela della parità di genere. Esempi: Ø (6) art. 37 cost. à diritti della donna lavoratrice; Ø (7) artt. 51 cost. à pari opportunità nell’accesso a uffici pubblici e cariche elettive; Ø (8) art. 117, comma 9, cost. à le leggi regionali sono investite del compito di rimuovere “ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovendo la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”; 5. principio pluralista à si ammette la presenza fra l’individuo e la collettività statale, di organizzazioni sociai, quali mezzi indispensabili per lo svolgimento della personalità umana, superando l’impostazione marcatamente individualistica delle Costituzioni liberali, in cui le organizzazioni intermedie erano considerate ostacoli al rapporto diretto fra singolo e istituzioni. La nostra Costituzione ha iscritto il singolo entro le relazione con la comunità di cui è parte e nella quale ciascuno giunge alla sua piena realizzazione. Le formazioni sociali sono titolari di ambiti di libertà garantiti dall’ordinamento statale e reclamano il rispetto della propria autonomia, organizzativa e funzionale, nei confronti dei pubblici poteri, ai quali è fatto divieto di asservirle a interri superiori. L’intromissione nella vita interna delle formazioni sociali è ammessa e doverosa allo scopo di assicurare la tutela dei diritti fondamentali della persona anche all’interno di tali poteri privati. Il favor DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 17 DIRITTO COSTITUZIONALE costituzionale verso il pluralismo sociale può tradursi in regimi speciali di agevolazione, di favore o di sostegno; sono ammissibili, nel rispetto del principio di eguaglianza e di parità fra tutte le formazioni sociali, al fine di impedire misure di favore nei confronti di alcuni interessi particolari, nonché fra tutti gli individui, a prescindere dall’appartenenza a tali organizzazioni; principi dai quali discende il divieto per lo Stato di conferire veri e propri privilegi a talune soltanto di queste formazioni. Ciò non impedisce allo Stato di produrre norme fondate su accordi fra i pubblici poteri e le organizzazioni sociali e di recepire accordi fra le diverse organizzazioni, nel rispetto della medesima esigenza di eguaglianza. Tale possibilità è riconosciuta in Costituzione dagli artt. 7 e 8 laddove si rinvia alle norme pattizie per la disciplina dei rapporti fra Stato e confessioni religiose, e all’art. 39 che conferisce efficacia generale ai contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati registrati; 6. principio di tutela dell’ambiente à legge cost. n. 1 del 2022 ha introdotto un nuovo comma all’art. 9 cost.: la Nazione è chiamata a tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Questo demanda ad una legge statale il compito di individuare modi e forme di tutela degli animali. Il compito di protezione dell’ambiente assume oggi nell’ordinamento giuridico italiano un rilievo molto significativo. Già da molti anni la Corte costituzionale aveva riconosciuto all’ambiente il rango di valore primario ed assoluto, desumendo la necessaria protezione di tale bene giuridico dal riferimento contenuto alla tutela del paesaggio presente nel testo originario. La riforma costituzionale del 2001 aveva evidenziato l’importanza della tutela dell’ambiente, attribuendo allo Stato il compito esclusivo di adottare leggi in tale materia. La menzione in Costituzione della tutela dell’ambiente comporta un definitivo salto di qualità nel processo di riconoscimento dei beni ambientali, come implica anche la volontà stessa di scrivere e inserire nel testo costituzionale tale previsione. La tutela dell’ambiente assume la natura di un principio fondante della nostra comunità e diventa espressione di un dovere costituzionale che connota l’intero ordinamento e che vincolerà il legislatore, il Governo, la pubblica amministrazione e le articolazioni territoriali della Repubblica, oltre che tutti i cittadini e gli operatori economici. L’ambiente è un bene giuridico oggetto di autonoma considerazione. La riforma costituzionale si pone in armonia con gli indirizzi provenienti dal diritto sovranazionale, in cui si segnala lo stretto legame tra lo sviluppo sostenibile dell’ambiente e la garanzia dei diritti umani. Gli interessi delle future generazioni sono diritti di chi oggi ancora non esiste e sono necessariamente condizionati dalla possibilità di vivere in un ambiente in grado di garantire risorse adeguate. 19. (Segue): UNO STATO DEMOCRATICO IN UN ORDINAMENTO INTERNAZIONALE La struttura dei pubblici poteri è informata al principio democratico contemporaneo del principio garantista. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 20 DIRITTO COSTITUZIONALE separazione di poteri che innerva l’intero testo costituzionale. Il decreto – legge ha consentito al Parlamento di giocare un ruolo da protagonista nella vicenda. La situazione pandemica ha anche evidenziato le difficoltà in cui versa il sistema regionalistico italiano. Si è provato ad arginare la diffusione del contagio e per questo le Regioni si sono spesso contrapposte alle politiche messe in atto dallo Stato e hanno adottato misure in palese contraddizione rispetto a quelle statali. Tali misure hanno portato lo Stato a ricorrere di fronte ai giudici amministrativi o alla Corte costituzionale per chiederne il loro annullamento. La Corte costituzionale ha prima sospeso una legge della Regione Valle d’Aosta e poi ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, affermando il divieto per le Regioni di interferire con la disciplina fissata dal legislatore statale. Sent. n. 37 del 2021 e sent. n. 164 del 2022 à “A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche […] radicano nell’ordinamento costituzionale l’esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività”. A seguito delle gravi ripercussioni che i provvedimenti restrittivi delle libertà sopra descritti hanno avuto sull’economia di molti Paesi europei, l’Unione europea ha messo in campo misure di sostegno indirizzate a favorire la ripresa delle economie dei Paesi più colpiti. In Italia si è concretizzata l’adozione del Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza, che ambisce a riformare quattro settori centrali della vita del Paesi come la pubblica amministrazione, la giustizia, la semplificazione della legislazione e la promozione della concorrenza. CAPITOLO 2 – LE FONTI DEL DIRITTO. NOZIONI GENERALI Sez. I – Le fonti 1. LE MODALITÀ DI PRODUZIONE DELLE NORME GIURIDICHE NORME GIURIDICHE à regole vincolanti che disciplinano comportamenti e rapporti in una qualsiasi società organizzata. Compongono l’ordinamento giuridico, cioè un sistema in costante evoluzione, dinamico, poiché le regole giuridiche che ne fanno parte sono soggette a continue modifiche dovute alla necessità di aggiornare il diritto rispetto alle inevitabili evoluzioni della società. Le norme giuridiche vengono prodotte dalle c.d. fonti del diritto, le quali si distinguono in: 1. fonti di produzione del diritto à immettono direttamente nell’ordinamento le norme giuridiche che regolano la vita in comune. Sono quegli atti o fatti cui l’ordinamento riconosce l’idoneità a produrre e modificare norme giuridiche; 2. fonti sulla produzione del diritto à stabiliscono come si produce il diritto. Sono quelle che indicano l’autorità, il procedimento e l’atto con il quale le fonti di produzione possono essere create. Queste fonti dettano regole vincolanti, dotate di forza giuridica. Sono un tipo particolare di fonti dato che la loro funzione è quella di stabilisce le modalità con cui l’ordinamento giuridico può essere rinnovato. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 21 DIRITTO COSTITUZIONALE Sono il mezzo attraverso cui l’ordinamento dispone in che modo una fonte di produzione del diritto può correttamente dare vita ad una norma giuridica che modifica l’ordinamento stesso. Sono fonti che prevalgono sempre sulle fonti di produzione. Le fonti del diritto sono organizzate secondo un criterio gerarchico: a) Costituzione e altre leggi costituzionali à norme superprimarie; b) legge e atti aventi forza di legge à fonti primarie; c) regolanti à fonti secondarie; d) consuetudini à fonti inferiori (non è specificato un nome). Questo criterio impedisce ad una fonte di grado inferiore di dettare previsioni in contrasto con una fonte di grado superiore. Tanto vale anche nei rapporti tra fonti sulla produzione del diritto e fonti di produzione del diritto: una fonte di produzione del diritto non potrà essere approvata secondo modalità diverse da quelle prescritte dalla propria fonte sulla produzione. Le fonti sulla produzione del diritto vanno preliminarmente ricercate nella Costituzione, cioè l’atto normativo posto al vertice del sistema giuridico italiano. Ciò consente di individuare le fonti di produzione del diritto. Esempio (10): fonte sulla produzione à art. 70 cost.: “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Questo è necessario leggerlo insieme agli artt. 71, 72, 73 cost. che attribuiscono alle Camere il potere di approvare, collegialmente e seguendo un iter di approvazione, le leggi. Quindi, gli artt. 70, 71, 72, 73 cost. sono fonti sulla produzione del diritto dato che riconoscono la legge come fonte di produzione del diritto. Solo se la legge verrà prodotta secondo le prescrizioni indicate dalle norme costituzionali richiamate, essa sarà idonea a introdurre nell’ordinamento norme giuridiche e vincolanti. Un elenco di fonti di produzione del diritto si trova nell’art. 1 delle Disposizioni sulla legge in generale o Preleggi cod. civ.. Le Disposizioni sulla legge in generale sono norme premesse al Codice civile con l’intento di dettare una serie di regole di “tecnica giuridica”, assenti nel testo dello Statuto albertino e finalizzate a guidare gli interpreti nell’applicazione del diritto. Art. 1 Preleggi cod. civ. à “Sono fonti del diritto le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi”. Così facendo si propone di operare una ricognizione delle fonti di produzione del diritto nell’ottica di una razionalizzazione del sistema normativo. Le Preleggi risalgono ad epoca pre – costituzionale. L’elenco delle fonti va integrato e armonizzato con le indicazioni desumibili dalla Costituzione. La Costituzione in qualità di fonte sulla produzione di rango superprimario, detta una disciplina esaustiva solo in merito alle fonti di produzione di grado primario. La Corte costituzionale ha chiarito che le fonti primarie devono essere individuate nella Costituzione per una ragione logico – formale e per ragioni di tipo sostanziale. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 22 DIRITTO COSTITUZIONALE Corte cost., sent. n. 361 del 2010 à “Si deve tener conto della particolare efficacia delle fonti legislative, delle rilevanti materie ad esse riservate, della loro incidenza su molteplici situazioni soggettive, nonché del loro raccordo con il sistema rappresentativo”. La Costituzione contiene pochi e sommari richiami alle fonti secondarie e non menziona usi e consuetudini. Le fonti di produzione dell’ordinamento italiano e le relative fonti sulla produzione sono le seguenti: Fonti di produzione Fonti sulla produzione Leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali Art. 138 cost. Statuti delle Regioni speciali Art. 116 cost. Leggi ordinarie statali Art. 70 e ss. cost. Referendum abrogativo di leggi o di atti aventi forza di legge statali Art. 75 cost. Decreti legislativi Art. 76 cost. Decreti – legge Art. 77 cost. Regolamenti parlamentari Art. 64 cost. Statuti delle Regioni ordinarie Art. 123 cost. Leggi regionali Art. 117 cost.; norme degli Statuti regionali Referendum abrogativo di leggi regionali Art. 123 cost.; norme degli Statuti regionali Regolamenti statali Artt. 87 e 117, comma 6, cost.; art. 17 l. n. 400 del 1988 Regolamenti regionali Art. 117, comma 6, cost.; art. 121 cost.; norme degli Statuti regionali Statuti e regolamenti degli enti locali Art. 114, comma 2, cost.; art. 117, comma 6, cost.; artt. 6 e 7 d.lgs. n. 267 del 2000 Consuetudini o usi Artt. 1e 8 Preleggi DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 25 DIRITTO COSTITUZIONALE Le caratteristiche individuate, principalmente, sono: a) generalità à la norma si riferisce ad una categoria indeterminata di destinatari. L’ampiezza di questa categoria è variabile: può essere sia assoluta che più ridotta. Esempio (14): norma con generalità assoluta e norma con generalità più ridotta à art. 575 cod. pen.: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”. Si ha un caso di generalità assoluta. Art. 314 cod. pen.: “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi”. Si ha un caso di generalità più ridotta; b) astrattezza à ripetuta applicazione della norma tutte le volte che si verifichi la situazione ad essa presa in considerazione. Ha a che fare con la stabilità nel tempo della regola normativa. Esempio (15): omicidio e peculato à vengono concretamente integrati tutte le volte che il soggetto ponga in essere la condotta descritta, con la conseguenza che tutte le volte che ciò si verifica, vi sarà la reazione dell’ordinamento attraverso l’irrogazione della sanzione prevista. La norma giuridica si caratterizzerebbe per il fatto di non contenere prescrizioni individuali e di non esaurire i propri effetti con una sola applicazione. Gli atti normativi si distinguono dagli atti amministrativi, emanati dalla pubblica amministrazione, i quali hanno per destinatari uno o più soggetti individuati e che circoscrivono i propri effetti al caso singolo. Nella storia del diritto si sono sempre rinvenute eccezioni e tra queste vi è una forma di attenuazione delle qualità di generalità e astrattezza tipiche delle norme giuridiche da considerarsi dunque legittima. Questa tendenza può dare luogo anche a casi problematici di produzione normativa: tra questi troviamo le c.d. leggi – provvedimento che, rivolgendosi a un delimitato novero di soggetti o disciplinando situazioni che si verificano una tantum, rappresentano l’estrinsecazione del massimo allontanamento del modello della legge quale atto generale e astratto. In questi casi è elevato il rischio che il legislatore determini una violazione del principio di eguaglianza. L’approvazione di leggi – provvedimento non è in sé preclusa. La Costituzione non richiede alcun elemento di carattere sostanziale atto a qualificare una legge. La Corte costituzionale ha confermato che la Costituzione definisce la legge in dipendenza dei suoi caratteri formali. La legge può così attrarre nella propria sfera di disciplina anche contenuti particolari e concreti normalmente oggetto di atti della pubblica amministrazione. In considerazione del rischio di discriminazioni insito in previsioni di questo tipo, le leggi – provvedimento che giungono al vaglio della Corte costituzionale vengono sottoposte ad uno stretto scrutinio di costituzionalità. Queste leggi sono costituzionalmente legittime solo se conformi al principio di ragionevolezza: se esse hanno dalla loro parte fondate giustificazioni, risultanti dagli obiettivi che le hanno ispirate, e non sono espressione di un esercizio arbitrario del potere legislativo. Quando l’assenza di un ragionevole fondamento riveli l’intento del legislatore di aggirare i principi di uguaglianza e imparzialità, le leggi a contenuto provvedimentale sono dichiarate incostituzionali. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 26 DIRITTO COSTITUZIONALE Un ulteriore limite che le leggi – provvedimenti incontrano è il rispetto della funzione giurisdizionale. Non possono essere risolte specifiche controversie giudiziarie che siano state definitivamente decise con una precedente sentenza passata in giudicato. Se la pendenza di un giudizio non costituisce di per sé un limite per il legislatore, essa può assumere rilievo ai fini del sindacato di ragionevolezza, qualora si appurasse che la norma – provvedimento sia stata approvata al solo fine di incidere sull’esito del giudizio e senza altra apprezzabile giustificazione. Oltre che generali ed astratte, le norme giuridiche sono di regola provviste del carattere dell’innovatività, cioè della capacità di modificare l’ordinamento giuridico. Possono però anche essere prive di questa qualità e da qui vi è la distinzione tra leggi in senso meramente formale e leggi in senso materiale: le prime hanno forma legislativa, mentre le secondo sono portatrici di innovazione giuridica. Le leggi meramente formali sono le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali dato che si limitano a conferire al Presidente della Repubblica il compito di ratificare una disciplina giuridica che non è data dalla legge stessa, ma dal trattato internazionale che si intende recepire nel nostro ordinamento. La generalità, l’astrattezza e l’idoneità a innovare l’ordinamento sono qualità non sempre rinvenibili nelle norme giuridiche. Si tratta di caratteristiche tendenziali delle norme giuridiche, ma non necessarie. Il nostro ordinamento non attribuisce valenza decisiva a elementi sostanziali, ma a criteri di carattere formale. Siamo in presenza di una norma giuridica solo se essa è veicolata da un atto adottato secondo quanto stabilito dall’ordinamento stesso in un’apposita fonte sulla produzione del diritto o se la norma è veicolata da un fatto cui l’ordinamento riconosce l’idoneità a produrre diritto. 5. VALIDITÀ, FORZA ED EFFICACIA DELLE NORME GIURIDICHE Altre caratteristiche delle norme giuridiche sono: a) validità di un atto normativo e anche non normativo à è la caratteristica propria di un atto privo di vizi in quanto posto in conformità alle norme giuridiche ad esso sovraordinate. Il vizio può essere: 1. formale à riguarda il procedimento di adozione stabilito dalla relativa fonte sulla produzione; 2. sostanziale à la norma è in contrasto con il contenuto precettivo di disposizioni di rango superiore; b) efficace à atto idoneo a produrre gli effetti giuridici voluti, e ad innovare l’ordinamento giuridico. Esempio (16): legge promulgata ma non ancora pubblicata à è valida ma non ancora efficace. L’efficacia delle norme può subire parziali limitazioni; c) forza dell’atto normativo à se l’efficacia è la capacità di produrre effetti giuridici, l’intensità di tali effetti varia a seconda della forza propria della norma. Questa dipende DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 27 DIRITTO COSTITUZIONALE dal livello gerarchico su cui la norma è posta e che si esprime in rapporto alle altre fonti del diritto. La forza può essere: 1. attiva à idoneità della fonte di abrogare, modificare o derogare altre fonti del diritto; 2. passiva à la capacità della stessa di resistere all’abrogazione, alla modifica e alla deroga da parte di altre. Sez. III – L’interpretazione 6. LA DISTINZIONE TRA DISPOSIZIONE E NORMA: L’ATTIVITÀ INTERPRETATIVA Le fonti del diritto producono norme giuridiche. Il passaggio dalla fonte alla norma non è diretto; a mediarne il rapporto la disposizione che ha una funzione servente e strumentale. DISPOSIZIONE à l’enunciato linguistico scritto, adottato dall’organo che manifesta la volontà normativa. È il testo che viene redatto e approvato dall’autorità deputata a produrre il diritto. NORMA à significato che dalla disposizione si ricava. È la vera e propria regola giuridica da applicare. L’attribuzione del giusto significato alla disposizione scritta è l’attività denominata interpretazione, che impegna gli operatori giuridici. Da ogni formula linguistica è possibile astrattamente ricavare significati diversi e norme diverse di conseguenza. Esempio (17): presenza di donne nelle Assemblee politiche elettive à negli anni Novanta del secolo scorso il legislatore aveva adottato alcune previsioni legislative volte a incrementare la presenza di donne nelle Assemblee politiche elettive. Con l’art. 5, comma 2, della legge n. 81 del 1993 disponeva, per l’elezione dei consigli comunali e provinciali, che “nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere di norma rappresentato in misura superiore a due terzi”. La domanda che ci si è posti è che cose intendesse il legislatore con la formula “di norma”. Il Tribunale amministrativo del Molise e il Consiglio di Stato hanno dato due interpretazioni diverse della disposizione: - Tribunale amministrativo del Molise à la formula viene interpretata alla stregua di un mero indirizzo, non vincolante nei confronti dei partiti politici all’atto delle compilazione delle liste, che non sarebbero state invalide anche se composte unicamente da esponenti dello stesso sesso; - Consiglio di Stato à in assenza di motivate deroghe da parte del partito, la lista doveva considerarsi invalida se irrispettosa della proporzione di genere imposta. Da una sola disposizione, insomma, si sono ricavate due diverse norme. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 30 DIRITTO COSTITUZIONALE C. interpretazione adeguatrice e interpretazione conforme a Costituzione à l’interpretazione adeguatrice può essere considerata una particolare applicazione del criterio sistematico, perché anche qui il significato della disposizione dipende dal suo essere inserita in un sistema giuridico e dal doversi dunque rapportare con altre disposizioni. Ad essere messe in connessione sono però fonti normative poste su ordini gerarchici differenti. L’interprete è tenuto a privilegiare, di una disposizione che si presti a diverse letture, il significato conforme alla norma di rango gerarchico superiore. Con l’entrata in vigore della Carta costituzionale si è affermato il principio secondo cui gli operatori del diritto devono esperire un tentativo di interpretazione conforme a Costituzione. Essi sono tenuti a prevenire il contrasto tra la disposizione legislativa e la Costituzione agendo a livello interpretativo, dando preferenza alla lettura della disposizione che eviti l’insorgere dell’antinomia. C’è un limite: la Corte costituzionale ha stabilito che, l’interpretazione conforme deve cedere il passo se si rivela “incompatibile con il disposto letterale della disposizione” e “del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca” (Corte cost., sent. n. 83 del 2017). Esempio (20): condizioni di detenzione – interpretazione conforme a Costituzione à la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia in relazione alle condizioni di detenzione, dalla stessa Corte giudicate disumane, riservate ad alcuni detenuti che avevano lamentato l’assenza in cella di uno spazio vitale minimo. Per dar seguito a questa pronuncia, il legislatore italiano è intervenuto introducendo una forma di riparazione per coloro che denunciano simili trattamenti. L’art. 35 – ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, come a questo scopo modificato dal d.l. n. 92 del 2014, ha previsto che “su istanza presentata del detenuto […] il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio”. Il problema che si è posto è che, alla luce del dato strettamente letterale essa non potrebbe applicarsi anche all’internato, cioè a quella persona che sia stata assoggetta alla misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di lavoro, misura che prevede comunque l’obbligo di permanenza nella struttura. Dare seguito a questa lettura produrrebbe una grave violazione del principio di uguaglianza, perché, anche se il titolo in base al quale la libertà personale è stata ristretta è giuridicamente diverso, la situazione in cui versano il detenuto e l’internato è sostanzialmente identica. La disposizione, al fine di identificare le condizioni che legittimano il detenuto a presentare istanza, fa rinvio ad un’altra norma che si riferisce sia al “detenuto” sia all’”internato”. Questo ulteriore elemento consente di accedere ad una seconda lettura, tale da ritenere ricompresa nella disciplina di garanzia in essa prevista anche la persona dell’internato. Questa seconda lettura deve essere preferita, perché è l’unica capace di soddisfare la Costituzione; D. intenzione del legislatore e ratio legis à l’art. 12 Preleggi cod. civ. fa testuale riferimento all’”intenzione del legislatore”. Occorre verificare anche quali siano le ragioni che abbiano mosso il legislatore ad approvare una previsione normativa. In alcuni casi è necessario distinguere la volontà originaria del legislatore storico (c.d. interpretazione storica) dalla oggettiva volontà della legge (c.d. ratio legis), che si astrae e allontana dall’intento che il legislatore perseguiva nel momento in cui approvava la legge. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 31 DIRITTO COSTITUZIONALE All’intenzione del legislatore storico si ricorre tramite i lavori preparatori. Per individuare la ratio legis occorre astrarsi dalle specifiche circostanze che avevano indotto il legislatore ad elaborare la disposizione e ricercare la finalità perseguita dalla regola giudica come se ad averla posta fosse il legislatore attuale. In presenza di un contrasto tra la norma desumibile attraverso l’interpretazione storica e quella ricavabile dalla ratio legis, si dovrebbe preferire la seconda interpretazione, in quanto idonea a modellare la disposizione rendendola adeguata al mutamento delle esigenze storico – sociali. Esempi: Ø (21) sottoscrizione del giudice – interpretazione storica à l’art. 292, comma 2, lett. e) cod. proc. pen. annovera tra le cause di nullità del provvedimento con il quale il giudice dispone una misura cautelare la mancanza della data e della “sottoscrizione del giudice”. L’art. 110 cod. proc. pen. specifica cosa si intende per sottoscrizione disponendo che in calce al provvedimento devono essere apposti “di propria mano”, “nome e cognome di chi deve firmare”. La Corte di cassazione quando il legislatore ha inteso configurare le ipotesi di nullità di un atto lo ha fatto con la volontà di restringere il più possibile il novero. La disciplina in questione va allora letta nel senso di richiedere la sottoscrizione del giudice, indipendentemente dalla sua leggibilità; Ø (22) scioglimento anticipato del Consiglio regionale – interpretazione secondo ratio legis à la legge della Regione Lazio n. 2 del 2005 prevedeva, all’art. 5, che nei casi di scioglimento anticipato del Consiglio regionale “si procede all’indizione delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi”. Il dubbio che sorge è se, usando la parola “indizione”, la disposizione pretendesse solo che entro il termine indicato si procedesse ad indire nuove elezioni oppure se in questo arco temporale le elezioni dovessero anche avere effettivamente luogo. Il Consiglio di Stato ha risposto al quesito partendo anche dalla ricostruzione della ratio legis, a suo dire coincidente con “l’obiettivo di assicurare una tempestiva ricostituzione degli organi di governo regionale, in conformità al principio della sovranità popolare sancito dall’art. 1 della Carta Fondamentale e ai canoni costituzionali di efficacia e buon andamento”. Se così fosse, si paleserebbe incongrua un’interpretazione che portasse a ritenere imposta una tempistica solo per la fase dell’indizione, di per sé inidonea a soddisfare le richiamate esigenze. A doversi svolgere entro il termine prescritto sono le elezioni, che consentono la ricostituzione degli organi rappresentativi regionali. Il legislatore regionale, al fine di evitare qualsiasi ambiguità, è intervenuto sul testo normativo, precisando che in caso di scioglimento del Consiglio le elezioni hanno luogo entro tre mesi; E. interpretazione evolutiva à consente di tenere in considerazione gli eventuali mutamenti del contesto sociale, tecnologico, culturale o giuridico. Questo criterio consente di ampliare la portata della disposizione in modo che possano esservi ricondotte fattispecie di cui non si era tenuto conto al momento della sua approvazione. Essa presenta numerosi profili di sovrapposizione con l’interpretazione sistematica. La disposizione deve essere interpretata alla luce delle modifiche normative che riguardano altre disposizioni. Esempio (23): sequestro della stampa – interpretazione evolutivo à la legge 22 febbraio 1949, n. 47, all’art. 1, prevede che “sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 32 DIRITTO COSTITUZIONALE fisico chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”. Con questa legge si disciplinano le modalità di sequestro della stampa. Si è posta la questione della possibilità di applicare la disciplina sul sequestro anche ai giornali on line. Con la sentenza n. 31022 del 2015, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno risolto positivamente la questione sulla base di una “deduzione interpretativa di carattere evolutivo”, in sintonia con “l’evoluzione socioculturale e tecnologica del concetto di stampa delineato dall’art. 1 della legge n. 47 del 1948”. La Cassazione ha ritenuto di dover interpretare il termine “stampa” di cui all’art. 1 delle legge citata muovendo dal presupposto che la scelta di quel termine era strettamente legata “alle tecnologie dell’epoca. Il che non impedisce oggi di accreditare, tenuto conto dei notevoli progressi verificatisi nel settore, una interpretazione estensiva del detto termine”. Il concetto di stampa è infatti “idoneo ab origine ad adeguarsi alla prevedibile evoluzione dei tempi e a ricomprendere la nuova realtà dei quotidiani o periodici on line regolarmente registrati”; F. interpretazione analogica (analogia legis) e ricorso ai principi generali dell’ordinamento (analogia juris) à sono criteri utilizzabili soltanto in presenza di una lacuna nell’ordinamento. Se un caso della vita non è espressamente disciplinato da una norma, si potrà ricorrere alla disciplina prevista per una fattispecie simile (analogia legis). Questo criterio prevede l’individuazione della ratio legis della disposizione che si intende utilizzare a fini analogici ed una verifica della possibilità di far aderire ad essa la fattispecie priva di disciplina; Esempio (24): immigrazione – interpretazione all’analogia legis à il Testo unico sull’immigrazione stabilisce che lo straniero minorenne che abbia un permesso di soggiorno possa ottenere, al compimento della maggiore età e in presenza dei giusti presupposti, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio, di lavoro, per esigenze sanitarie o di cura. La disposizione non prende in esame l’ipotesi in cui a compiere la maggiore età sia uno straniero sottoposto a tutela. La Corte costituzionale, sulla conformità di questa disposizione al principio di uguaglianza, ha ritenuto che dubbi di legittimità non si pongano perché un’interpretazione analogica della disposizione consente di applicare la medesima disciplina anche alla fattispecie apparentemente esclusa. I due istituti dell’affidamento e della tutela “pur avendo presupposti diversi (la tutela si apre con la morte o l’assenza di entrambi i genitori o l’impossibilità di questi di esercitare la potestà, l’affidamento può essere disposto allorché la famiglia di origine sia temporaneamente inidonea ad offrire al minore un adeguato ambiente familiare), sono entrambi finalizzati ad assicurare la cura del minore” (Corte cost., sent. n. 198 del 2003). Il ricorso all’interpretazione analogica soccorre nell’ipotesi in cui una fattispecie concreta non sia riconducibile ad una specifica disciplina normativa. Il presupposto è che i giudici non possono decidere di non decidere, cioè non possono denegare giustizia. Può rivelarsi risolutivo al fine di salvaguardare la necessaria completezza dell’ordinamento. Se il criterio analogico non consente di individuare la disciplina normativa applicabile alla fattispecie, l’art. 12 Preleggi cod. civ. prescrive il ricorso ai principi generali dell’ordinamento, ricavando da tali norme fondamentali la regola da utilizzare. Sono principi generali dell’ordinamento la regola da utilizzare. Sono principi generali dell’ordinamento quelli espressamente previsti, ma anche quelli ricavabili da un’interpretazione sistematica di diverse disposizioni sia costituzionali sia ordinarie. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 35 DIRITTO COSTITUZIONALE Se il contrasto si presenta tra un fonte primaria e una fonte superprimaria, sarà la Corte costituzionale a dichiarare l’illegittimità della norma di grado primario, secondo quanto previsto dagli artt. 134 e seguenti della Costituzione. Se il contrasto si presenta tra una fonte secondaria e una fonte primaria, occorre procedere ad una distinzione a seconda dell’autorità giurisdizionale che si trovi di fronte all’antinomia: 1. giudice amministrativo à dichiarazione di annullamento della fonte secondaria; 2. giudice ordinario à limitato a disapplicarla nel caso concreto. La dichiarazione di illegittimità costituzionale e l’annullamento delle fonti secondarie hanno efficacia erga omnes ed ex tunc. Essi determinano l’espulsione dall’ordinamento della norma invalida. La norma annullata non potrà più regolare né rapporti che sorgano successivamente alla pronuncia, né quelli sorti in precedenza e ancora pendenti. Non verranno intaccati i rapporti giuridici pure regolati dalla norma invalida ma ormai “esauriti”. La disapplicazione della norma secondaria operata dal giudice ordinario ha effetti inter partes, cioè limitati al giudizio in cui la norma sia stata ritenuta illegittima; la disposizione conserva validità e che potenzialmente potrebbe trovare applicazione in altri rapporti giuridici. 10. IL PRINCIPIO DI COSTITUZIONALITÀ E IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ Il principio gerarchico si esplica nel principio di costituzionalità e nel principio di legalità. Il principio gerarchico trova manifestazione nel principio di costituzionalità, che comporta la subordinazione della legge e degli atti aventi forza di legge alla Costituzione e alle leggi costituzionali. La nostra è una Costituzione rigida. Si tratta di un documento normativo che anche il legislatore ordinario è tenuto a rispettare, perché si colloca ad un livello gerarchico superiore alla stessa legge. Il primato della fonte costituzionale si estrinseca nella regola per cui essa non può essere modificata o derogata mediante l’adozione di una fonte primaria, ma solo seguendo un procedimento aggravato, ovvero più complesso rispetto a quello richiesto per l’approvazione delle leggi ordinarie. A garanzia del rispetto della Costituzione, è previsto un controllo di costituzionalità sulle leggi. Questo controllo può comportare l’annullamento delle legge e degli atti aventi forza di legge che si pongano in contrasto con la Costituzione e con le altre leggi costituzionali. Il principio gerarchico è incarnato dal principio di legalità che si è affermato prima del principio di costituzionalità. Esso trova le proprie radici nello Stato di diritto ottocentesco. La legge godeva di un primato che la esonerava da qualsivoglia limite e che non la rendeva intaccabile da altre fonti. La legge deve rispettare quanto previsto dalla Costituzione. Il principio di legalità continua ad avere un importante rilievo nel nostro ordinamento: ogni esercizio del pubblico potere deve trovare nella legge il proprio limite e il proprio fondamento. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 36 DIRITTO COSTITUZIONALE Dal principio di legalità discendono due corollari: i. deriva il divieto per le fonti normative secondarie e gli atti amministrativi adottati dalla pubblica amministrazione di disporre in violazione delle leggi. Il principio di legalità postula la soggezione alla legge anche degli atti adottati nell’ambito dell’attività giurisdizionale. Le sentenze dei giudici costituiscono applicazione ed esecuzione della volontà legislativa, alla quale risultano subordinati; ii. espressione dell’esigenza della previa legge. Esso è desumibile dalla lettura combinata di talune disposizioni che ne mettono in evidenza la funzione. Si fa così riferimento agli artt. 3, 70, 97, comma 2, 101, comma 2, e 113 cost.. Il principio di legalità è corollario del principio di uguaglianza sancito all’art. 3 cost.. La sottoposizione alla legge, ovvero ad un atto normativo che dovrebbe essere almeno generale e astratto, previene un uso arbitrario e discriminatorio del potere pubblico. Questo trova estrinsecazione anche in atti amministrativi aventi contenuto puntuale e concreto. La necessità che le diverse articolazioni della pubblica amministrazione si conformino alla legge costituisce perciò garanzia che anche il provvedimento incidente sulla posizione del singolo abbia a fondamento una regola capace di applicarsi a situazioni analoghe, e non sia al contrario il frutto di una decisione ad hoc, foriera di un discriminatorio sopruso. L’art. 97 cost. impone alla legge di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, cioè che questa si ponga nella sua azione in una condizione di equidistanza rispetto alla generalità degli individui. L’art. 113 cost. conferisce a ciascuno il potere di ricorrere contro atti della pubblica amministrazione eventualmente contrari a legge. Per quanto riguarda il principio di legalità, il criterio ordinatore tra le fonti del diritto si rinviene nell’art. 4 Preleggi cod. civ.: “i regolamenti governativi non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”. Invece, all’art. 5 della Legge sul contenzioso amministrativo: “le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi”. La giustificazione costituzionale di questa subordinazione tra fonti sta nel fatto che la legge è atto normativo prodotto dal Parlamento. Non è ammessa la presenza di un potere normativo autonomo della pubblica amministrazione che non trovi il proprio limite nella legge. Bisogna chiedersi se il principio di legalità debba ritenersi soddisfatto semplicemente in presenza di una legge che si limiti ad autorizzare l’emanazione di un atto regolamentare o amministrativo o se sia necessario che la legge determini anche i principi cui l’attività pubblica si deve conformare. Il principio di legalità, in assenza di indicazioni specifiche da parte della Costituzione, sembrerebbe da intendersi in senso unicamente formale. Solo quando la Costituzione richiede espressamente che una certa materia sia disciplinata dalla legge, il principio di legalità sembrerebbe da interpretarsi in senso sostanziale. Non solo è necessaria una legge che abiliti la pubblica amministrazione ad intervenire, ma il legislatore è obbligato dalla Costituzione a fissare i limiti del potere pubblico attraverso l’indicazione dei principi idonei a vincolarne e dirigerne l’attività. La Corte costituzionale ha l’idea che il principio di legalità in senso sostanziale sia principio generalizzato. Nella sentenza n. 115 del 2011 la Corte ha parlato “di un’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto” e che il potere pubblico debba essere “determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa”. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 37 DIRITTO COSTITUZIONALE La Corte ha basato la propria decisione di illegittimità costituzionale sul rilievo che si fosse in presenza di una materia coperta da una riserva di legge relativa. La portata dell’affermazione della Corte in ordine alla necessità di intendere sempre come sostanziale il principio di legalità sembra quindi mitigata proprio dalla successiva constatazione che nel caso di specie la Costituzione dettasse una riserva di legge. La questione rimane controversa. 11. LA RISERVA DI LEGGE Con la previsione di una riserva di legge, la Costituzione prescrive che una certa materia sia disciplinata dalla legge, con esclusione o limitazione d’intervento delle fonti normative ad essa subordinate. La presenza di una riserva di legge conferisce al legislatore un potere non rinunciabile, non potendo decidere di autorizzare esso stesso fondi secondarie ad intervenire in sua vece. La previsione di un simile istituto risponde ad esigenze di garanzia per i cittadini; molte sono le riserve di legge inserire nella parte della Costituzione dedicata alla tutela dei diritti fondamentali. Esempio (28): art. 25 cost. à le norme penali, considerate le possibili ricadute che esse hanno rispetto ad uno dei beni primari dell’individuo, cioè la sua libertà personale, possano essere introdotte esclusivamente dal legislatore ordinario. Le ragioni per cui la Costituzione pretende che in tali delicati ambiti si eviti l’intervento di atti normativi non approvati in Parlamento sono molteplici. In primo luogo si ha la considerazione per cui è il Parlamento l’organo rappresentativo di tutti i cittadini, che lo eleggono a suffragio universale e diretto; le leggi sono approvate all’esito di un confronto tra tutte le forze politiche che della volontà popolare sono espressione. Queste garanzie non sussistono quando un atto normativo è approvato dal Governo. In secondo luogo bisogna considerare che il procedimento legislativo si caratterizza per la sua trasparenza: i lavori del Parlamento sono pubblici e chiunque può conoscere la posizione assunta dai diversi parlamentari. Rispetto alle decisioni prese su queste importanti materie, è massima la possibilità degli elettori di verificare le responsabilità degli eletti. La garanzia di questa pubblicità non sussiste per i lavori che i svolgono in seno al Governo, le cui sedute non sono soggette al principio di pubblicità. In terzo luogo si ricorda che gli atti legislativi adottati dal parlamento sono potenzialmente assoggettabili al controllo di costituzionalità rimesso alla Corte costituzionale. In quarto luogo è necessario domandarsi se quando la Costituzione prescrive una riserva di legge, essa richieda l’intervento della legge statale o della legge regionale. Ciò dipende dall’ambito di competenza materiale in cui ricade la riserva di legge. Se siamo in presenza di una materia che può essere disciplinata soltanto dallo Stato, l’atto legislativo dovrà essere statale. Se è la Regione ad avere titolo competenziale, la riserva di legge si dirà soddisfatta dall’intervento di una legge regionale. In quinto luogo, nonostante si parli di riserva di legge, la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria ritengono che tale formula si riferisca anche agli atti aventi forza di legge, e non solo all’atto formale approvato dal Parlamento ai sensi dell’art. 70 cost.. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 40 DIRITTO COSTITUZIONALE costituzionale per violazione della Costituzione; se il contrasto avviene tra norme di grado secondario, il potere di provvedere all’eventuale annullamento di quella incompetente, per violazione della fonte primaria, sarà del giudice amministrativo. Il criterio di competenza assume rilievo nella regolazione dei rapporti tra Stato e Regioni, che sono abilitati ad intervenire con proprie leggi solo nelle materie che la Costituzione assegna loro. Se una Regione disciplinasse con propria legge la materia “immigrazione”, il criterio cui ricorrere per risolvere quest’antinomia sarebbe quello di competenza, la cui applicazione potrebbe comportare la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale, per contrasto con l’art. 117 cost.. Altra manifestazione del criterio di competenza riguarda i rapporti tra i regolamenti parlamentari e le altre fonti equiparate. L’art. 64, comma 1, cost. afferma che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento; l’art. 72 cost. attribuisce ad essi la specificazione del procedimento di approvazione dei disegni di legge. Le norme costituzionali esprimono una “riserva di regolamento” attribuendo ai regolamenti parlamentari anche autonomia quanto ad organizzazione e funzionamento delle Camere. una legge ordinaria che disciplinasse alcuni aspetti organizzativi interni al Parlamento potrebbe essere dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale per violazione degli artt. 64, comma 1, e 72 cost.. Infine, il criterio di competenza regola anche eventuali contrasti tra diritto italiano e diritto dell’Unione Europea. La questione concernente i rapporti tra norme nazionali e norme comunitarie presenta delle peculiarità assolute, riscontrabili soprattutto con riferimento agli effetti che si producono sulla norma “incompetente” in caso di accertato contrasto. 13. L’APPLICAZIONE DEL CRITERIO CRONOLOGICO E IL FENOMENO ABROGATIVO Dove non sia possibile applicare il criterio di competenza, la presenza di contrasti tra norme di pari grado deve essere risolta mediante ricorso al criterio cronologico, in base al quale è la norma più recente a dover prevalere. L’effetto che si produce è l’abrogazione della norma più risalente. Il fenomeno trova giustificazione nell’inesauribilità del potere normativo, che non si risolve in una sola ed immodificabile manifestazione. Le disposizioni normative sono continuamente rinnovabili; la regola che vuole assegnata preferenza a quella più recente si spiega in ragione del fatto che essa corrisponde alla volontà attuale del potere normativo. L’effetto prodotto dal criterio cronologico è l’abrogazione, definita come la delimitazione nel tempo dell’efficacia di una norma. Non deve essere confusa con l’annullamento poiché i due istituti danno luogo a conseguenze radicalmente diverse: - annullamento à comporta la perdita di validità della legge a cui si applica. La norma annullata non può più trovare applicazione; - abrogazione à restringe l’efficacia della legge a cui si applica. La norma abrogata continuerà a spiegare i suoi limitati effetti, dovendo essere applicata a tutti i rapporti sorti prima dell’entrata in vigore della norma abrogante. Corte cost., sent. n. 49 del 1970 à “L’abrogazione non tanto estingue le norme quanto, piuttosto ne delimita la sfera materiale di efficacia, e quindi l’applicabilità, ai fatti verificatisi sino a un certo momento nel tempo”. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 41 DIRITTO COSTITUZIONALE Esempio (35): legge n. 1815 del 1939 à in materia di attività professionali svolte in forma associata, per garantire trasparenza, imponeva di utilizzare la denominazione esplicita di “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario”; all’art. 2 vietava di ricorrere a modelli organizzativi diversi, capaci di dare luogo ad ambiguità: società semplici o di capitali, agenzie, enti, ecc.. Il predetto art. 2 veniva successivamente abrogato dalla legge n. 266 del 1997 che faceva cadere il divieto richiamato. La Corte di cassazione si è trovata investita del compito di stabilire se un contratto di consulenza stipulato prima dell’entrata in vigore della legge del 1997 con una società semplice costituita da commercialisti fosse da considerarsi nullo o se la legge n. 266 del 1997 avesse regolarizzato la posizione della società mettendo in salvo tutti i contrasti da essa già stipulati. Cass. civ., sez. II, n. 3926 del 2016: “in base ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, l’illiceità (e la conseguente invalidità) del contratto deve essere riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione e, pertanto, il negozio giuridico nullo all’epoca della sua perfezione, perché contrario a norme imperative, non può divenire valido e acquistare efficacia per effetto della semplice abrogazione di tali disposizioni”. La norma abrogante non si applica ai rapporti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore in ragione del principio di irretroattività sancito dall’art. 11 Preleggi cod. civ.; si parla di un principio in forza del quale gli atti normativi hanno poter di regolare solo situazioni e rapporti collocati nel periodo futuro, e non nel passato. L’art. 15 Preleggi cod. civ. contempla diversi tipi di abrogazione: “le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”. Si ha un’abrogazione espressa quando una nuova disposizione indichi esplicitamente le disposizioni precedenti che si intende abrogare. L’effetto abrogativo si produce in tali ipotesi in modo generalizzato (erga omnes), non potendo sussistere dubbi interpretativi sul fatto che l’abrogazione sia effettivamente avvenuta. Nessun rilievo deve essere riconosciuto a quella clausole di stile, pur spesso utilizzate dal legislatore, del seguente tenore: “sono abrogate tutte le norme in contrasto con la presente legge”. Perché non sussistano incertezze abrogate occorre che esse siano nominativamente richiamate dalla disposizione abrogante. Si ha un’abrogazione tacita quando si rilevi un’incompatibilità di contenuto tra la disciplina prevista nella disposizione più recente e quella prevista in disposizioni precedenti. In questi casi, mancando una dichiarazione esplicita delle norme abrogate da parte del legislatore, è il giudice del caso concreto l’organo competente a stabilire se l’abrogazione sia o meno intervenuta. Ha conseguentemente effetti solo inter partes, limitati al giudizio in cui l’abrogazione sia stata rilevata dal giudice. Altri giudici potrebbero arrivare a soluzioni interpretative diverse e a ritenere non sussistente l’abrogazione. Si ha un’abrogazione implicita quando un atto normativo successivo intervenga a disciplinare interamente una materia sino a quel momento regolata in altra previsione normativa. In fenomeno è tipico della successione nel tempo di codici, cioè di testi normativi che disciplinano organicamente una materia. Opera sul piano dell’interpretazione, ma l’attività interpretativa del giudice in questo caso è estremamente semplificata. La precedente disciplina verrà ritenuta dal giudice abrogata nel suo complesso. Non sarò necessario procedere ad una puntuale verifica della compatibilità tra le singole disposizioni della vecchia e della nuova disciplina. Anche in questo caso, però, come per l’abrogazione tacita, la scelta del giudice avrà effetti solo inter partes e non potrà vincolare le decisioni di altri giudici. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 42 DIRITTO COSTITUZIONALE L’utilizzo delle formule abrogazione tacita e abrogazione implicita è invertito, secondo alcuni, rispetto alla classificazione qui proposta. Ciò che conta è che le due ipotesi siano tenute distinte. Vi è una questione che riguarda gli effetti che produce l’abrogazione di una norma a sua volta produttiva di effetti abrogativi di una precedente disciplina: la norma A è stata abrogata dalla norma B. Successivamente, la norma C ha abrogato la norma B. Ci si domanda se a questo punto si verifichi la c.d. reviviscenza della disciplina originaria: la norma A, in altre parole, torna a dispiegare i propri effetti nell’ordinamento? Non si è ancora trovata una risposta comune. Ad assumere valore direttamente è l’accertamento, per via interpretativa, dell’intenzione del legislatore. Bisogna così chiedersi se, approvando la norma C, il legislatore abbia proprio voluto recuperare gli effetti della norma A. Questa sarebbe la strada indicata dalla Corte costituzionale. Premettendo che il fenomeno della reviviscenza non opera in via generale e automatica, essendo ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate, la Corte ha in effetti indicato tra queste il caso di norme dirette a espungere disposizioni meramente abrogatrici, perché l’unica finalità di tali norme consisterebbe nel rimuovere il precedente effetto abrogativo. 14. L’IRRETROATTIVITÀ DELLE LEGGI Il principio di irretroattività delle leggi è il principio per cui le leggi sono destinate a riferirsi unicamente a rapporti e situazioni future che sono comunque quest’ultime a dover continuare ad essere applicate per regolare rapporti e situazioni pregresse. Il regime giuridico dell’irretroattività è diverso a seconda che si verta in materia penale o in qualsiasi altro settore dell’ordinamento. Al di fuori dell’ambito penale, il principio di irretroattività trova il suo fondamento nell’art. 11 Preleggi cod. civ.: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tale principio non ha rango di norma costituzionale, essendo previsto da una fonte primaria. Ciò comporta che una legge retroattiva non è automaticamente incostituzionale. La Corte costituzionale ha valorizzato tale principio, affermando che esso dovrebbe, in linea di massima, essere osservato, essendo la garanzia della certezza dei rapporti giuridici uno dei cardini della tranquillità sociale e del vivere civile. Anche se non è affermata a livello costituzionale, l’irretroattività costituisce espressione di civiltà giuridica, poiché tutela l’affidamento che i cittadini ripongono nella riconducibilità delle proprie azioni e dei rapporti giuridici che liv edono coinvolti ad una norma vigente e conosciuta nel momento in cui tale azione o rapporto ha luogo. Il legislatore non può adottare norme retroattive con disinvoltura. La Corte costituzionale le sottopone ad un rigoroso scrutinio di ragionevolezza, dichiarandole illegittime nell’ipotesi in cui la scelta del legislatore di estendere al passato gli effetti di una disciplina di nuova introduzione non corrisponda a specifiche esigenze connesse ad interessi di rilievo costituzionale. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo ha indotto anche la Corte costituzionale ad un maggior rigore nell’esame di tali leggi. Questa ha affermato che le leggi retroattive devono fondarsi su motivi imperativi di interesse generali ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 45 DIRITTO COSTITUZIONALE costituzione dello Stato”. Inoltre, l’art. 4 d.l. lgt. n. 98 del 1946 stabilì che “l’Assemblea costituente sarebbe stata sciolta di diritto il giorno dell’entrata in vigore della nuova Costituzione e comunque non oltre l’ottavo mese dalla sua prima riunione”. Di conseguenza, ci si è posti la domanda su quale fosse la sorgente alla quale i membri hanno a loro volta attinto e se ne è concluso che il fondamento della Costituzione è di matrice storico – materiale: esso è rintracciabile nell’accordo intercorso fra le forze politiche che accomunate dalla convinta volontà di reagire ai totalitarismi, si impegnarono solidalmente nella costruzione di un nuovo ordine democratico. La Costituzione italiana è una costituzione rigida: per poter cambiare il testo della nostra Costituzione è stato previsto un procedimento “aggravato”. È stato previsto anche un rimedio alla violazione, da parte del legislatore ordinario, delle norme costituzionali. La rigidità della Costituzione è così data dalla previsione di regole procedurali ad hoc, che impongono maggior riflessione e più ampio consenso, e dalla presenza nel sistema di un’autorità deputata a garantire il rispetto della Costituzione. La prima volta che la Corte costituzionale si è espressa, nella sent. n. 1 del 1956, ha chiarito un aspetto inizialmente controverso ma molto importante: il rapporto tra la norme costituzionali e le norme di rango legislativo approvate prima del 1948, che taluno riteneva abrogate per effetto dell’entrata in vigore della Costituzione. La Corte, dichiarando incostituzionale una norma del T.u.l.p.s. in contrasto con l’art. 21 cost., ha chiarito che, indipendentemente dal fatto che si tratti di leggi anteriori o successive alla Costituzione, quest’ultima per la sua intrinseca natura nel sistema di Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria. Inoltre, la Corte costituzionale si è dichiarata competente a giudicare della legittimità costituzionale delle leggi anche anteriori al 1948, evitando così che fossero i giudici comuni con pronunce tra loro potenzialmente contrastanti, a decidere del primato della Costituzione rispetto alle fonti legislative. 2. LE LEGGI DI REVISIONE COSTITUZIONALE E LE ALTRE LEGGI COSTITUZIONALI Attraverso l’art. 138 cost. si disciplina il particolare procedimento per l’approvazione delle leggi costituzionali. A questa categoria di fonti sono riconducibili due tipologie di atti normativi: a) leggi di revisione costituzionale à leggi costituzionali il cui contenuto normativo incide sul testo della Costituzione, sostituendo disposizioni in essa contenute, abrogandole, modificandole, operando delle aggiunte. È la stessa Costituzione a contemplare la possibilità di essere sottoposta a revisione. I Costituenti furono lungimiranti e ritennero logico non vincolare in modo permanente alle proprie decisioni le generazioni future, libere queste di rivederle. Esempio (37): legge di revisione costituzionale à legge cost. n. 1 del 1992 che ha modificato l’art. 79, comma 1, cost. in materia di amnistia e indulto. Originariamente la norma prevedeva che i relativi provvedimenti fossero concessi dal Presidente della Repubblica, ma in seguito si è deciso di renderne più difficile l’adozione modificando l’art. 79, comma 1, cost. che oggi prevede che essi siano concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale; DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 46 DIRITTO COSTITUZIONALE b) altre leggi costituzionali à fonti che si pongono al di fuori del testo della Costituzione e che hanno la finalità di conferire alle discipline introdotte rango pari a quello della Costituzione. Esempio (38): altra legge costituzionale à legge cost. n. 1 del 1948 che introduce la disciplina dei giudizi di legittimità costituzionale e le norme sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale. Questa fonte condivide il rango della Costituzione. Per modificarla, quindi, si dovrebbe nuovamente ricorrere al procedimento specificato all’art. 138 cost.. Tra il 2020 e il 2022 sono state approvate tre leggi di revisione costituzionale: a) legge cost. n. 1 del 2020 à ha modificato gli artt. 56, 57 e 59 cost.; b) legge cost. n. 1 del 2021 à ha modificato l’art. 58 cost., riducendo da 25 a 18 anni la data minima per poter essere elettori del Senato; c) legge cost. n. 1 del 2022 à sono state apportate modifiche agli artt. 9 e 41 cost., all’interno dei quali ha trovato espressa affermazione il principio di tutela dell’ambiente. Nel luglio 2022, a Camere sciolte, il Parlamento ha definitivamente approvato una revisione dell’art. 119 cost., introducendo un nuovo comma: “la Repubblica riconosce la peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”. La riforma entrerà in vigore se non via saranno proposte referendarie o se l’esito dell’eventuale referendum confermerà la scelta del Parlamento. Nel giugno 2002 è stata approvata in prima lettura da entrambi i rami del Parlamento la riforma dell’art. 33 cost., con lo scopo di introdurre in tale previsione un nuovo comma volto a valorizzare lo sport: “la Repubblica dovrebbe riconosce[re] il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. Quanto alla fase dell’iniziativa legislativa, si ritengono applicabili le regole comuni previste all’art. 71 cost.. La Corte costituzionale ha affermato che questa norma, riconoscendo l’iniziativa delle leggi al Governo, a ciascun parlamentare, a cinquantamila elettori e agli altri organi ed enti indicati da leggi costituzionali, detta una “disciplina generale” in cui non si opera alcun riferimento alla forza dell’atto che viene proposto. I soggetti legittimati a presentare un progetto di legge costituzionale sono i medesimi che hanno facoltà di presentare un progetto di legge ordinaria. La fase di approvazione, che si deve svolgere nelle forme del procedimento ordinario o normale di esame, è disciplinata dall’art. 138 cost.. La norma delinea un procedimento “aggravato” perché è più complesso rispetto a quello descritto dall’art. 72 cost. per l’approvazione delle leggi ordinarie. Viene sottratto il testo costituzionale alla volontà delle mutevoli maggioranze semplici presenti in Parlamento. L’art. 138 cost. prevede che “le leggi costituzionali siano adottate con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. La Camera e il Senato devono esprimersi due volte sul medesimo testo: la prima volta a maggioranza semplice e la seconda volta a maggioranza assoluta, con una deliberazione che non può intervenire prima che siano trascorsi tre mesi dalla precedente. L’obiettivo è di obbligare senatori e deputati a riflettere sull’opportunità di proseguire nell’iter di approvazione di una legge tanto importante quale è una legge costituzionale. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 47 DIRITTO COSTITUZIONALE L’intervallo di tempo di tre mesi previsto dall’art. 138 cost. intercorre tra le due deliberazioni della stessa Assemblea parlamentare. Il secondo ramo del Parlamento non deve necessariamente attendere la seconda deliberazione dell’altra Assemblea per avviare a sua volta il procedimento legislativo. Dopo l’approvazione della prima delibera, l’altra Camera inizia l’iter per la propria prima delibera. Se in questa sede sono apportati emendamenti occorrerà un ulteriore passaggio presso il ramo del Parlamento in cui è iniziato il procedimento legislativo. Se nell’ambito della prima deliberazione ciascuna Camera può approvare modifiche al progetto di legge costituzionale, questo potere correttivo è precluso nella fase della seconda deliberazione, che consta solo del voto, confermativo o negativo, sul testo complessivo approvato in prima deliberazione. La disciplina dell’art. 138 cost., richiedendo la seconda deliberazione la maggioranza assoluta, è volta ad ottenere, nella fase determinante del procedimento legislativo, un largo consenso attorno alla legge costituzionale che si sta approvando. Potrebbe accadere che in Parlamento si riesca ad ottenere un consenso ancora più ampio. L’art. 138 cost. prevede che, se in seconda deliberazione si raggiunge, in ciascuna Camera, la maggioranza dei due terzi dei componenti, le legge può essere trasmessa direttamente per la sua promulgazione al Presidente della Repubblica e successivamente pubblicata ai fini della sua entrata in vigore. Se in seconda deliberazione le leggi costituzionali ottengono la maggioranza assoluta, l’art. 138, comma 2, cost. prescrive che “le leggi siano sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. La pubblicazione delle legge non è strumentale alla sua entrata in vigore, ma ha scopo esclusivamente notiziale; occorre che i soggetti indicati dall’art. 138 cost. siano messi a conoscenza dell’avvenuta approvazione di un progetto di legge costituzionale, affinché, entro il termine di tre mesi, possano fare eventuale richiesta di referendum. Se il referendum non viene chiesto, la legge è nuovamente pubblicata ed entra questa volta in vigore. Nel caso in cui la consultazione referendaria sia richiesta e conseguentemente indetta, l’art. 138 cost. stabilisce che “la legge non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”. Lo svolgimento di un referendum costituzionale è un’ipotesi meramente eventuale, essendo la decisione circa modifiche delle più importanti regole della vita consociata rimessa primariamente alla rappresentanza politico – parlamentare, mentre il popolo può intervenire successivamente solo come istanza di freno, di conservazione e di garanzia , ovvero di conferma successiva, rispetto ad una volontà parlamentare di revisione già perfetta, che, in assenza di un pronunciamento popolare, consolida comunque i propri effetti giuridici. La legge n. 352 del 1970, regolando il procedimento referendario, stabilisce all’art. 16 che il quesito da sottoporre agli elettori deve essere così formulato: "approvate il testo della legge costituzionale…concernente…approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero…del…?”. Si ritiene che si tratti di un istituto di carattere oppositivo; uno strumento di garanzia riposto nelle mani delle minoranze affinché queste possano tentare di evitare l’entrata in vigore della revisione costituzionale votata dal Parlamento. I cittadini, i Consigli regionali, i deputati e i senatori favorevoli alla modifica della Costituzione, non avrebbero che da lasciar DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 50 DIRITTO COSTITUZIONALE Il fatto che l’autonomia di ciascuna Regione speciale si estrinsechi in una disciplina derogatoria rispetto a quella generalmente riconosciuta dalla Costituzione alle Regioni ordinarie spiega la ragione per cui tale disciplina speciale sia posta da fonti superprimarie. Vi sono delle differenze rispetto alle regole di approvazione di una legge costituzionale adottata ai sensi dell’art. 138 cost. e sono differenze necessarie a garantire alle Regioni toccate dall’intervento statale la facoltà di far sentire la propria voce. Tali fattori specificità sono definiti dalla legge cost. n. 2 del 2001: essa stabilisce che quando il potere di iniziativa di modifica degli Statuti non sia esercitato dal Consiglio regionale interessato e la proposta di legge costituzionale provenga dal Governo o dal Parlamentare, il Consiglio regionale deve esserne comunque informato. Lo stesso potrà, entro due mesi, esprimere un proprio parere sul testo, ancorché si tratti di parare non vincolante. A differenza di quanto previsto all’art. 138 cost., le leggi costituzionali di modifica degli Statuti non possono essere sottoposte a referendum nazionale. Si vuole così evitare di mettere nelle mani dell’intero corpo elettorale una scelta che tocca più direttamente una specifica comunità territoriale. Le leggi costituzionali che approvano o modificano gli Statuti speciali sono abilitate a derogare alla disciplina generale contenuta nella Costituzione per le Regioni ordinarie, prevalendovi in base al principio di specialità; vanno anch’esse soggette al limite costituito dall’intangibilità dei principi supremi dell’ordinamento. La legge cost. n. 2 del 2001 ha modificato parzialmente gli Statuti regionali speciali, per cui si è previsto che alcuni ambiti siano disciplinati dalle leggi statuarie delle Regioni speciali, che i Consigli regionali approvano seguendo un procedimento legislativo particolare: occorre la maggioranza assoluta ed è prevista la possibilità di far sottoporre la legge a referendum regionale. Le Regioni speciali, i cui Statuti sono come detto approvati dallo Stato centrale, si sono viste così riconoscere il potere di disciplinare direttamente importanti ambiti, anche se nel necessario rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e in armonia con la Costituzione. Sez. II – Le fonti primarie statali 5. LA LEGGE STATALE ORDINARIA La legge statale ordinaria formale è l’atto normativo approvato dal Parlamento con il procedimento prescritto dagli artt. 70 e ss. cost.: - ordinaria à segna la differenza rispetto alla legge costituzionale, approvata con il particolare procedimento previsto dall’art. 138 cost.; - formale à differenzia l’atto legislativo proveniente dal Parlamento dagli altri atti normativi con forza di legge, atti che l’ordinamento equipara alla legge formale sotto il profilo della sottoposizione gerarchica, ma che non ne condividono, appunto, la forma. Il decreto – legge, il decreto legislativo e il referendum abrogativo vedono coinvolti altri organi e applicate diverse regole procedurali. La legge del Parlamento per lungo tempo è stata ritenuta la fonte del diritto per eccellenza ed è stata identificata come “espressione della volontà generale”. Oggi è subordinata alla Costituzione e DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 51 DIRITTO COSTITUZIONALE alle leggi costituzionali e per questo può essere dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale quando ne violi le prescrizioni. La legge del Parlamento ha visto ulteriormente scalfita la propria posizione di centralità nell’ordinamento. Con la riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, approvata nel 2001, le Regioni hanno guadagnato maggiore spazio di intervento legislativo proprio a discapito del legislatore statale. Le fonti internazionali e gli atti dell’Unione europea sono diventati sempre più pervasivi. È la stata la prassi fatta propria dagli organi di indiritto politico ad aver progressivamente marginalizzato il ruolo della legge parlamentare. Il riferimento è al fenomeno dell’abuso degli strumenti normativi governativi, come il decreto – legge e il decreto legislativo. È lo stesso modello tradizionale della legge parlamentare quale atto normativo generale e astratto ad essere andato gradualmente in crisi. Spesso il Parlamento interviene per regolare specifici settori dell’ordinamento, per vincolare determinati soggetti o per approntare discipline ad hoc per particolari eventi. L’atto conserva la propria qualità di legge ordinaria per il solo fatto di essere approvato nel rispetto del procedimento dettato dagli artt. 70 e ss. cost., e che è la forma a risultare determinante. Il potere legislativo non ha bisogno di essere autorizzato di volta in volta. Al Parlamento viene attribuita la funzione legislativa ed è libero di regolare con legge qualsiasi ambito. 6. IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO: LA FASE DELL’INIZIATIVA La legge viene approvata dalle Camere con un procedimento disciplinato dagli artt. 70 e ss. cost. e dai regolamenti parlamentari, per effetto del rinvio a tale fonte operato dall’art. 72 cost.. Il procedimento legislativo è l’insieme preordinato di quegli atti che si conclude con l’entrata in vigore di una legge. Questo si compone di più fasi: 1. iniziativa legislativa; 2. approvazione della legge; 3. promulgazione ed entrata in vigore della legge. L’iniziativa legislativa, ovvero il potere di presentare proposte di legge, è affidato a diversi soggetti: a) iniziativa del Governo à i progetti di legge presentati dal Governo sono denominati disegni di legge. Quella attribuita al Governo è l’iniziativa legislativa di maggior rilievo. Il Governo si compone delle forze politiche che rappresentano la maggioranza e inoltre può proporre disegni di legge in qualsiasi materia. In alcuni casi tale iniziativa è riservata al Governo. Anche il disegno di legge è il risultato di un procedimento, che si svolge internamente al Governo. Lo schema del disegno di legge è predisposto dal Ministro o dai Ministri competenti per materia ed è in seguito sottoposto alla delibera del Consiglio dei ministri. La presentazione del disegno di legge ad una delle due Camere è autorizzata dal Presidente della Repubblica mediante decreto; DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 52 DIRITTO COSTITUZIONALE b) iniziativa parlamentare à ogni deputato e ogni senatore ha titolo per presentare progetti di legge. Possono essere firmatari dello stesso progetto anche più parlamentari. Il limite consiste nell’impossibilità di sottoscrivere proposte di legge materie riservata all’iniziativa governativa; c) iniziativa popolare à la Costituzione prevede che cinquantamila elettori posano presentare un progetto di legge redatto in articoli. Dall’entrata in vigore della legge n. 352 del 1970 si sono disciplinate le modalità di raccolta delle firme, che ora è possibile apporre anche digitalmente grazie alle novità introdotte dal decreto – legge n. 77 del 2021. La legge n. 352 del 1970 richiede che il progetto di legge sia accompagnato da una relazione che ne deve illustrare le finalità e le norme. L’iniziativa popolare incontra il limite rappresentato dall’impossibilità di presentare progetti di legge su materie riservate all’iniziativa governativa. È uno strumento di democrazia diretta che nella prassi ha trovato scarsissima applicazione. Tali proposte hanno nella maggior parte dei casi ricevuto scarsa considerazione da parte delle Assemblee parlamentari. Con una modifica del regolamento del Senato si è previsto che la Commissione competente ad esaminare il testo dovrà concludere i propri lavori entro tre mesi dall’assegnazione. Decorso tale termine, il testo passa automaticamente all’esame dell’Assemblea, che dovrà discuterlo nella versione originaria elaborata dai cittadini proponenti. L’obiettivo è quello di dare maggior peso ai progetti di iniziativa popolare; d) iniziativa delle Regioni à i Consigli regionali hanno la facoltà di presentare progetti di legge senza alcuna espressa delimitazione d’oggetto. Non pare esistano dei limiti all’iniziativa regionale. Se alcuni Statuti delle Regioni speciali prevedono che i Consigli possano presentare alle Camere proposte di legge in materie che risultino di previsioni generiche incapaci di rappresentare un limite. In questo caso deve dirsi che la prassi ha messo in evidenza la scarsa propensione delle Regioni a servirsi di tale strumento; e) iniziativa del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro à la Costituzione attribuisce a questo organo consultivo di ausilio al Parlamento e al Governo, la facoltà di presentare progetti di legge. Il C.n.e.l. può contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale, si ritiene che l’iniziativa legislativa sia circoscritta a tali ambiti. La legge istitutiva del C.n.e.l. elencava espressamente le materie sottratte all’iniziativa dell’organo, la riforma introdotta con la legge n. 936 del 1986 tace a riguardo, limitandosi ad affermare, all’art. 10, lett. i), che l’organo ha l’iniziativa legislativa. Vale la constatazione che l’iniziativa del C.n.e.l. non ha di fatto mai assunto un rilievo sostanziale. Art. 133 cost. à “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove Province nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione”. I Comuni. Fanno semplicemente una richiesta, spettando la relativa iniziativa legislativa ai soggetti indicati dalla Costituzione. 7. (Segue): LA FASE DELL’APPROVAZIONE L’approvazione della legge richiede che entrambe le Camere si esprimano favorevolmente sul medesimo testo. Una volta che il progetto di legge è stato approvato da una delle due Camere, viene trasmesso all’altra. Se la seconda Camera approva degli emendamenti il testo dovrà tornare alla prima Camera per una nuova approvazione. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 55 DIRITTO COSTITUZIONALE 8. (Segue): PROMULGAZIONE E PUBBLICAZIONE DELLE LEGGE Per attribuire perfezione formale alla legge approvata dal Parlamento si rende necessario procedere alla sua promulgazione. Il Capo dello Stato documenta la volontà espressa dalle due Camere, verificando la corrispondenza dei testi prevenutigli. La promulgazione interviene entro 30 giorni dall’approvazione della legge, a meno che le Camere ne dichiarino l’urgenza abbreviando il termine. Quella della promulgazione è l’occasione per l’eventuale esercizio del potere di rinvio: il Presidente della Repubblica può chiedere alle Camere di pronunciarsi nuovamente sulla legge già approvata. Chiusa questa fase, si procede alla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale per mano del Ministro della Giustizia, che appone il proprio visto. La legge presenta la data del decreto di promulgazione e il numero con cui è stata inserita in Gazzetta Ufficiale. Trascorsi 15 giorni dalla pubblicazione (vacatio legis) la legge entra in vigore, a meno che non sia essa stessa a prevedere un diverso termine. 9. LE LEGGI ATIPICHE E LE LEGGI RINFORZATE Sono atipiche le leggi che, con la forma della legge ordinaria, sono dotate di una peculiare “forza”: hanno una particolare capacità di innovare l’ordinamento attraverso l’abrogazione, la modifica o la deroga di disposizioni normative vigenti (forza attiva) o di una particolare capacità di resistenza rispetto all’abrogazione, alla modifica e alla deroga operate da altre fonti del diritto (forza passiva). È una categoria comprensiva di differenti tipologie di fonti: leggi meramente formali, caratterizzate dall’inidoneità ad innovare l’ordinamento giuridico e leggi che non possono essere abrogate attraverso il referendum abrogativo. Anche le leggi rinforzate rientrano in questa categoria, per la cui adozione è richiesto un procedimento diverso rispetto a quello disciplinato dall’art. 72 cost.. Tali leggi sono le fonti cui la Costituzione attribuisce una determinata competenza normativa. Sono dotate di una peculiare forza passiva: non possono essere modificate o abrogate da una legge ordinaria, ma solo attraverso il procedimento prescritto per la loro approvazione. Esempio (40): leggi di amnistia e indulto à con l’amnistia si estingue il reato e, se c’è stata la condanna, la pena irrogata; con l’indulto si condona, in tutto o in parte, la pena o la si commuta in un’altra specie. L’art. 79 cost. stabilisce che “amnistia e indulto siano concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale”. È richiesto un consenso più ampio rispetto a quello necessario per approvare una legge ordinaria. 10. GLI ATTI GOVERNATIVI AVENTI FORZA DI LEGGE Sono atti governativi aventi forza di legge il decreto legislativo e il decreto – legge, che si collocano sullo stesso livello gerarchico della legge approvata dal Parlamento. Possono essere abrogati da leggi successive ma non sono abrogabili da parte di fonti subordinate alla lege. Sono idonei ad abrogare, modificare o derogare una legge precedentemente approvata. Si ha però un’eccezione: il Governo non può approvare un decreto legislativo che contenga disposizioni in contrasto con la legge del Parlamento che ha provveduto a conferire la relativa delega. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 56 DIRITTO COSTITUZIONALE La previsione di atti governativi aventi forza di legge costituisce una deroga al principio di separazione dei poteri, per cui la funzione legislativa dovrebbe poter essere esercitata dal solo organo rappresentativo del popolo, ovvero il Parlamento. L’esercizio di tali poteri da parte del Governo risulta fortemente limitato dal disposto degli artt. 76 e 77 cost.. Il Parlamento non è estromesso dall’iter che conduce all’entrata in vigore di tali atti o alla loro stabilizzazione nel sistema normativo. Per i decreti legislativi le Camere sono chiamate ad intervenire prima della loro emanazione, con l’attribuzione di una delega al Governo; per i decreti – legge, il Parlamento interviene successivamente, con la necessaria conversione in legge del decreto governativo, che solo in questo modo può entrare a far parte dell’ordinamento. La maggior parte della dottrina ritiene che in presenza di una riserva di legge in Costituzione, essa possa essere soddisfatta anche da un decreto – legge e da un decreto legislativo, pur con le perplessità che certamente uscita la tendenza del nostro sistema politico ad abusarne. 11. LA LEGGE DI DELEGA E IL DECRETO LEGISLATIVO Art. 77 cost. à “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria”. Letta a contrario, la norma riconosce al Governo il potere di adottare atti aventi forza di legge, denominati decreti legislativi. Ciò può avvenire sulla base di una legge del Parlamento, cioè la legge di delega, approvata con i contenuti indicati nell’art. 76 cost.. L’utilizzo di tali deleghe da parte delle Camere si motiva per l’esigenza di demandare al Governo la disciplina di materie di particolare complessità tecnica. Il ricorso a questo strumento di normazione è cresciuto e la casistica risulta più ampia rispetto alle ipotesi originariamente immaginate. Le Camere non cedono la funzione legislativa ma si limitano ad attribuire al Governo una porzione limitata della funzione legislativa. Nulla vieta alle Assemblee parlamentari di revocare, esplicitamente o implicitamente, la delega anche mediante la sua abrogazione. Ad escludere che al Governo possa essere attribuito un potere limitato è l’art. 76 cost., secondo cui il legislatore può conferire la delega: - per oggetti definiti à l’accostamento al vocabolo ‘oggetto’ dell’aggettivo ‘definito’ sembra indicare l’esigenza che l’ambito materiale entro il quale il Governo è chiamato ad intervenire risulti circoscritto dalla legge di delega. Vengono ammesse deleghe legislative in settori molto ampi, sebbene a rigor di Costituzione dovrebbe escludersi che il Parlamento possa attribuire al Governo la delega a disciplinare ambiti solo genericamente individuati. Il Parlamento può conferire al governo la disciplina di qualsiasi materia, fatta eccezione per le materie coperta da una riserva di legge formale; - con l’indicazione di principi e criteri direttivi à la legge di delega limita ulteriormente l’attività delegata del Governo individuando i principi e criteri direttivi cui esso si deve attenere nella predisposizione del decreto legislativo. Il Parlamento fissa le norme fondamentali della materia e gli obiettivi da perseguire, indirizzando l’attività delegata del Governo. Il Parlamento ha interpretato in modo assai elastico la prescrizione dell’art. 76 cost., approvando leggi di delega contenenti, in alcuni casi, scarsissime indicazioni di DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 57 DIRITTO COSTITUZIONALE principio, in altri, in senso opposto, norme fin troppo specifiche, che hanno limitato notevolmente l’attività integrativa del Governo. La Corte costituzionale si limita a ritenere in contrasto le leggi di delega che siano del tutto prive dell’indicazione dei principi e criteri direttivi e si limita anche ad affermare che le leggi di delega dovrebbero consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare. La legge di delega non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato, ma ben può essere abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondete spazio, entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di “riempimento” normativo. Le Camere inseriscono nella legge di delega anche prescrizioni di carattere procedimentale, come la necessità che il Governo senta il parere di talune Commissioni parlamentari o di altri organi consultivi. È una prassi in linea con il dettato costituzionale. L’art. 76 cost. indica il contenuto necessario della legge di delega, ma non preclude al parlamento di vincolare ulteriormente l’attività delegata del Governo; - per un tempo prestabilito à la delega è conferita al Governo per un tempo limitato che la legge del Parlamento deve necessariamente indicare. Il termine può essere fissato facendo riferimento ad un lasso di tempo o ad un evento futuro, purché certo. Il Parlamento sembrerebbe non incontrare limiti massimi nella determinazione del termine. Può succedere che una delega che contenga un termine eccessivamente ampio ecceda il limite intrinseco all’istituto della legislazione delegata, in forza del quale il Parlamento non può dismettere la funzione legislativa. L’art. 14 legge n. 400 del 1988 stabilisce che se il termine previsto per l’esercizio della delega eccede i due anni, il Governo è tenuto a richiedere il parere delle Camere sugli schemi dei decreti legislativi. Il termine è rispettato quando il decreto legislativo sia emanato dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 87, comma 6, cost.. Non è richiesto che la pubblicazione ed entrata in vigore del decreto legislativo avvenga entro il termine prescritto dal Parlamento (la Corte costituzionale ha ritenuto che il tempo limitato concerne l’esercizio della funzione legislativa). È convinzione diffusa che il Governo possa adempiere alla delega legislativa con un solo atto, indipendentemente dal tempo a disposizione. Il Governo non potrebbe adottare un secondo decreto legislativo correttivo del precedente. L’esercizio del potere delegato sembrerebbe necessariamente istantaneo, consumandosi per effetto dell’approvazione del primo atto legislativo. Recentemente si è sviluppata la prassi di adottare decreti legislativi correttivi ed integrativi su espressa autorizzazione del Parlamento. Si tratta di una circostanza per cui il Parlamento, con la legge di delega, autorizza il Governo ad intervenire in più tempi adempiendo alla delega principale e adottando le correzioni che si siano rivelate necessarie. È diversa la questione che riguarda la possibilità che il Governo adempia con più decreti legislativi a una legge di delega che contenga una pluralità di oggetti distinti. È l’art. 14 legge n. 400 del 1988 a disciplinare questa ipotesi, consentendo all’Esecutivo di provvedere in tal senso. La legge di delega specifica che il Governo è delegato ad adottare, entro un determinato termine, uno o più decreti legislativi, negli oggetti indicati. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 60 DIRITTO COSTITUZIONALE Nella prassi applicativa si ha scarso rispetto delle condizioni richieste dall’art. 77 cost., disposizione che viene interpretata in modo piuttosto elastico dai governi, che hanno spesso agito in tal senso allo scopo di evitare le lungaggini del procedimento legislativo ordinario. La Corte costituzionale ha affinato le tecniche per individuare i fattori indicativi dell’assenza alla base del decreto – legge, dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza. L’art. 15 legge n. 400 del 1988 segnala dei presupposti del decreto – legge: 1. divieto per il governo di ricorrervi al fine di conferire deleghe legislative, di intervenire nelle materie per le quali è prevista una riserva di assemblea, di regolare rapporti sorti sulla base di decreti – leggi non convertiti à la legge ribadisce solo questi tre limiti, in quanto è il testo costituzionale a definirli. Il divieto di regolare con decreto – legge i rapporti sorti sulla base di un precedente decreto non convertito discende in modo implicito dall’art. 77 cost., che riserva alla legge del Parlamento la possibilità di intervenire in tale senso; 2. divieto per il Governo di adottare decreti – legge che ripristinino l’efficacia di disposizioni dichiarate incostituzionali per vizi sostanziali à il limite discende direttamente dalla Costituzione; il decreto – legge che reintroducesse norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale incorrerebbe in una violazione del c.d. giudicato costituzionale; 3. divieto di rinnovare disposizioni di precedenti decreti di cui sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere à l’elusione di questo limite, analogamente a quanto accadrebbe se il Governo riproponesse nei tuoi identici contenuti un decreto – legge per la cui conversione il termine sia scaduto, comporta la violazione della natura stessa del decreto – legge quale strumento di eccezione; 4. obbligo per i decreti – legge di introdurre misure di immediata applicazione e che abbiano un contenuto specifico e omogeneo à per quanto riguarda l’immediata applicazione del decreto – legge, si tratta di una previsione che esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto – legge, potendosi ritenere illegittimi decreti – legge che introducano una disciplina ad efficacia differita nel tempo o per la cui effettiva operatività si rende necessaria l’approvazione di ulteriori atti normativi. Il decreto – legge può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche nei casi in cui il risultato di questo provvedimento sia per qualche aspetto necessariamente differito. Per quanto riguarda la necessaria omogeneità si può dire che la presenza di una norma eterogenea rispetto al titolo e al contenuto complessivo del decreto – legge potrebbe essere sintomatica proprio del suo essere sprovvista dei requisiti di necessità ed urgenza, in violazione dell’art. 77 cost.; B. procedimento di approvazione e di conversione in legge à il decreto – legge deve essere adottato su deliberazione del Consiglio dei ministri, poi presentato al Presidente della DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 61 DIRITTO COSTITUZIONALE Repubblica per l’emanazione e poi immediatamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, grazie alla quale il decreto – legge entra in vigore. Il Governo è tenuto a presentare al Parlamento un disegno di legge di conversione contenente un solo articolo. L’art. 77, comma 2, cost. stabilisce che le Camere devono essere appositamente convocate per riunirsi entro cinque giorni. I regolamenti di Camera e Senato prevedono procedimenti particolari per assicurarne un tempestivo esame. Per quanto riguarda il controllo parlamentare sulla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, con una modifica del regolamento del Senato del 2017 le discipline previste dai due rami del Parlamento si sono molto avvicinate. La modifica ha eliminato il vaglio preventivo che al Senato era appositamente svolto dalla Commissione Affari costituzionali; vi è ora la possibilità che un capogruppo o un certo numero di parlamentari possano chiedere all’Assemblea di pronunciarsi su una specifica questione pregiudiziale. Alla sola Camera dei deputati è previsto anche un passaggio del testo al Comitato per la legislazione, chiamato a svolgere una valutazione in ordine al rispetto della prescrizioni di cui all’art. 15 legge n. 400 del 1988, rendendo parere alla Commissione competente per materia. Una volta che il disegno di legge di conversione viene presentato al Parlamento, si possono verificare tre ipotesi dalla pubblicazione del decreto – legge: i. non esaurisce l’iter legislativo di conversione entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto – legge; ii. in sede di votazione, non approva la legge di conversione; iii. in sede di votazione, approva la legge di conversione. Nelle prime due ipotesi (i. e ii.) il decreto – legge decade e perde i suoi effetti sin dall’inizio o ex tunc. Le situazioni regolate sulla base del decreto – legge decaduto vengono compromesse in modo irreversibile al venir meno dei suoi effetti. Per porre rimedio a tali evenienze, l’art. 77, comma 3, cost. ha previsto che il Parlamento possa approvare un’apposita legge, detta legge di sanatoria, finalizzata a regolare i rapporti sorti durante la vigenza del decreto – legge. Nella terza ipotesi (iii.), quando il decreto – legge viene convertito in legge dal Parlamento, gli effetti provvisoriamente prodotti dallo stesso vengono stabilizzati nell’ordinamento. In sede di conversione, le Camere possono apportare delle modifiche alla disciplina originaria del decreto – legge, facoltà che si comprende immediatamente ove si consideri che, una volta approvato il decreto del Governo, il Parlamento torna ad esercitare la propria funzione legislativa. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 62 DIRITTO COSTITUZIONALE A meno che la legge di conversione non disponga diversamente, le modifiche apportate in sede di conversione al testo producono effetti ex tunc, cioè a partire dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge stessa. Il tema è controverso perché se ciò è vero per gli emendamenti aggiuntivi, diverso discorso si ha per gli emendamenti che siano interpretati come equivalenti ad un implicito rifiuto di conversione di una o di alcune delle disposizioni del decreto – legge. Le modifiche approvate dal Parlamento comportano la perdita di efficacia della specifica norma del decreto da considerarsi non convertita; C. controllo sugli abusi nella decretazione d’urgenza à la giurisprudenza costituzionale è intervenuta più volte a sanzionare prassi chiaramente distorsive del dettato costituzionale, quando gli abusi sono stati commessi dal Governo e quando gli abusi sono stati commessi dal Parlamento. Per quanto riguarda la sussistenza dei presupposti di straordinari necessità ed urgenza previsti dalla Costituzione, la Corte costituzionale ha preliminarmente dovuto chiarire di poter procedere a tale verifica, confutando la tesi secondo cui un simile giudizio sarebbe precluso dalla valenza della valutazione governativa politica. La Corte ha chiarito che quelli prescritti dall’art. 77 cost. sono da considerarsi requisiti di validità costituzionale del decreto – legge. La Corte ha anche precisato che per poter configurare un vizio di legittimità costituzionale del decreto – legge la carenza dei requisiti ivi richiesti deve risultare evidente. Il giudizio della Corte, così, non rischia di sovrapporsi alle valutazioni di natura prettamente politica che legittimamente spettano al Governo (in un primo momento) e al Parlamento (in un secondo momento). La Corte ha anche chiarito che il suo sindacato può estendersi anche alle legge che abbia convertito un decreto – legge sprovvisto dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza. È una questione di non poco conto se si considera che difficilmente la Corte costituzionale può riuscire a scrutinare in tempo il decreto – legge, ovvero prima che sia intervenuta la legge di conversione. In un primo momento ha affermato di poter sindacare sia il decreto – legge sia la legge di conversione; in un secondo momento ha affermato che i vizi del decreto – legge vengono sanati dal Parlamento con la legge di conversione, sulla quale, non può ricadere alcun sindacato in merito alla sussistenza, dei requisiti di necessità ed urgenza. Con la sent. n. 171 del 2007 la Corte ha chiarito il suo orientamento in materia, facendo prevalere che i vizi del decreto – legge si trasformano in vizi procedendo dalla legge di conversione, non essendo questa idonea a sanarli: “ragionare diversamente significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie”. Se la questione di legittimità fosse sollevata con riferimento al decreto – legge, la Corte costituzionale potrebbe trasferire d’ufficio il proprio controllo di legittimità sulla legge di conversione. Un secondo ambito su cui la Corte ha esercitato il controllo è quello relativo alla omogeneità delle modifiche apportate dal Parlamento al testo del decreto – legge. La tendenza a modificare significativamente il contenuto originario del decreto pone molte perplessità quando si tratti di modifiche dal contenuto normativo estraneo a quello del DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 65 DIRITTO COSTITUZIONALE definitiva dell’Ufficio ha forma di un’ordinanza e deve essere resa entro il 15 dicembre. Se vengono presentati contestualmente più quesiti referendari, che abbiano ad oggetto materie uniformi o analoghe, l’Ufficio ha il compito di concentrare i quesiti stessi. Infine procede a stabilire il titolo del referendum, ovvero la sua denominazione, perché possa essere identificato e compreso dagli elettori. Terminato il proprio vaglio, l’ordinanza dell’Ufficio centrale viene notificata dalla Corte costituzionale affinché possa procedere al secondo tipo di controllo previsto; 2. giudizio di ammissibilità del referendum della Corte costituzionale à l’art. 75 cost. è stato devoluto dalla competenza della Corte costituzionale non direttamente dalla Costituzione, ma dall’art. 2 legge cost. n. 1 del 1953 che va integrata con la legge n. 352 del 1970 per la disciplina del procedimento che si svolge di fronte alla Corte. Questa è chiamata a decidere con sentenza da depositarsi entro il 10 febbraio. Termini così stretti sono necessari per consentire lo svolgimento della votazione popolare nel periodo che va tra il 15 aprile e il 15 giugno. Dopo aver ricevuto comunicazione della legittimità del quesito referendario da parte dell’Ufficio centrale della Corte di cassazione, il Presidente della Corte costituzionale fissa la data della deliberazione in Camera di consiglio, che deve tenersi entro il 20 gennaio e nomina il relatore. Di ciò vengono informati i promotori del referendum e il Presidente del Consiglio dei ministri, che hanno la possibilità di depositare memorie in cui portare argomenti a favore o contro l’ammissibilità del referendum. La Corte ha aperto all’intervento nel giudizio di ammissibilità di soggetti diversi dal Governo e dai promotori: a questi ultimi è riconosciuto il diritto non solo di depositare memorie ma anche di illustrarne il contenuto in Camera di consiglio, i soggetti terzi possono solo depositare memorie scritte. Con il giudizio di ammissibilità la Corte verifica, in primo luogo, che il quesito referendario non riguardi leggi che l’art. 75, comma 2, cost. esplicitamente esclude dalla sottoponibilità a referendum: leggi tributarie e di bilancio, leggi di amnistia e di indulto e leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali (oltre alle leggi di rango costituzionale). La ratio dell’esclusione di tali tipologie di leggi può individuarsi nel fatto che l’abrogazione tramite referendum di leggi tributarie incontrerebbe sempre il consenso degli elettori, a discapito del principio costituzionale che individua nell’assolvimento degli obblighi tributari un dovere inderogabile del cittadino; l’abrogazione delle leggi di bilancio comporterebbe il venir meno dell’equilibrio finanziario dello Stato; l’abrogazione di leggi di amnistia ed indulto sarebbe inutiliter data, vista la necessaria applicazione delle leggi penali in bonam partem (ai Costituenti sembra inopportuno attribuire la decisione su una materia così delicata a scelte popolari, che potrebbero risultare poco ponderate); l’abrogazione di leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali esporrebbe lo Stato a responsabilità internazionale. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 66 DIRITTO COSTITUZIONALE Infine, il referendum abrogativo non può svolgersi su leggi regionali. La Corte costituzionale ha tratto dall’art. 75 cost. limiti ulteriori rispetto a quelli appena visti. Il secondo comma della disposizione non può essere oggetto di lettura isolata, dato che occorre valutare se non s’impongano altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle ipotesi che la Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa. La stessa pronuncia ha precisato dei punti: a) leggi tributarie à sono quelle che disciplinano il rapporto tributario e che impongono tributi; b) leggi di bilancio à sono assimilate alle leggi finanziarie e alle norme che su di esse possano incidere; c) leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali à a queste si sono aggiunte le leggi di esecuzione dei trattati stessi e tutte quelle norme la cui emanazione viene imposta dagli impegni internazionali e le leggi che danno attuazione alle fonti comunitarie. La Corte ha affermato che non sono ammissibili referendum abrogativi sulla Costituzione, su leggi costituzionali e su tutti gli atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare. Ha anche escluso che possano svolgersi referendum aventi per oggetto leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, ovvero quelle leggi il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti dalla Costituzione stessa. Si tratta di leggi che attuano la Costituzione nel solo modo possibile. Esempio (42): legge n. 194 del 1978 à ha contenuto costituzionalmente vincolato e si esprime in merito alla disciplina sull’interruzione volontaria di gravidanza. Secondo la Corte costituzionale, talune disposizioni, essendo rivolte alla tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, apprestano una tutela minima per situazioni giuridiche che la Costituzione impone di tutelare. L’abrogazione di tale legge determinerebbe il venir meno di quel regime minimo di tutela che il legislatore è tenuto a garantire. Le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato sono delle elaborazioni più discusse e controverse delle giurisprudenza costituzionale in tema di referendum. Esempio (43): sent. n. 50 del 2022 à non è stata ammessa la richiesta di referendum volta ad abrogare una parte dell’art. 579 cod. pen. con l’effetto di rendere lecita l’uccisione di una persona consenziente, salvo il caso in cui tale persona risulti incapace o ne risulti viziato il consenso. La vita nella Costituzione è un valore apicale, e per questo è stata esclusa la possibilità di un voto popolare perché discipline che puniscono l’omicidio del consenziente tutelando la vita non possono essere puramente e semplicemente abrogate, facendo venir meno le istante di protezione di quest’ultimo a tutto vantaggio della libertà di autodeterminazione individuale. Non si tratterebbe di una legge a contenuto costituzionalmente vincolato altrimenti. La disciplina può essere modificata dal legislatore, ma non può essere puramente e semplicemente abrogata, venendo altrimenti intaccato il livello minimo di tutela del bene della vita, come garantito dalla Costituzione. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 67 DIRITTO COSTITUZIONALE Per la sent. n. 35 del 1997, la Corte costituzionale fonda l’inammissibilità del referendum sulla necessaria tutela minima di un diritto. Non si riferisce alla categoria delle leggi costituzionalmente necessarie. La categoria delle leggi costituzionalmente necessarie (od obbligatorie) è stata introdotta dalla Corte costituzionale con delle sentenze degli anni Ottanta. Si tratta di leggi che, pur non avendo un solo contenuto costituzionalmente vincolato, non possono non essere presenti nell’ordinamento e non possono essere abrogate. È il caso delle leggi che disciplinano il funzionamento degli organi costituzionali e delle leggi elettorali. Le leggi che regolano il funzionamento degli organi costituzionali non possono essere sottoposte ad un referendum totale ma ad un referendum parziale, alla sola condizione che la normativa risultante dell’eventuale esito positivo della consultazione referendaria sia autosufficiente, cioè idonea a consentire la formazione degli organi in questione e che essi possano pertanto svolgere le proprie attribuzioni. In relazione alle leggi elettorali, la Corte costituzionale ha affermato che esse sono assoggettabili a referendum purché ne risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in modo da garantire, pur nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell’organo. Ciò vale per l’elezione di organi elettivi politici, come il Parlamento, e per un organo di rilievo costituzionale come il Consiglio Superiore della Magistratura, che non può essere esposto all’eventualità di una paralisi di funzionamento. Ciò che impone di dichiarare ammissibile eventuali quesiti referendari solo se tali da lasciare vivere una normativa di risulta auto – applicativa. I referendum manipolativi sono quelli che colpiscono singole parole o parti di frasi prive di significato autonomo. La Corte costituzionale ha cercato di tracciare un confine tra manipolazione inammissibile e manipolazione ammissibile: - inammissibile à quesiti referendari parziali che, nell’abrogare frammenti di una disposizione mirano ad introdurre norme del tutto estranee al contesto normativo previgente. Quesiti di questo tipo sono detti anche propositivi, cioè finiscono sotto le mentite spoglie dell’abrogazione per creare nuovo diritto attraverso uno strumento ha istituzionalmente un altro fine. Sono state dichiarate inammissibili richieste referendarie che intendevano sostituire norme vigenti con altre norme completamente diverse non derivanti dall’espansione delle preesistenti norme. Il criterio elaborato dalla Corte sembra volto ad escludere l’ammissibilità dei referendum manipolativi che diano luogo alla creazione di norme nuove, prima sconosciute all’ordinamento. Esempio (44): legge n. 223 del 1990 à è dichiarata inammissibile la richiesta di abrogazione parziale di suddetta legge. La proposta referendaria mirava ad eliminare solo alcune parti di una specifica disposizione della legge, incidendo sulla stessa nel seguente modo: “la trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria pubblica non può eccedere il 2 per cento nel corso di un’ora”. Attraverso questa operazione di saldatura fra i DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 70 DIRITTO COSTITUZIONALE E. fase della proclamazione del risultato del referendum à se l’esito del referendum è positivo, il Presidente della Repubblica lo dichiara con decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Tale decreto costituisce un atto dovuto al Capo dello Stato; il Presidente mantiene infatti un margine di discrezionalità solo sul momento di entrata in vigore dell’abrogazione, che può essere posticipato, su proposta del Ministro competente per materia e previa delibera del Consiglio dei ministri, di massimo 60 giorni dalla data di pubblicazione del decreto. La ratio è quella di permettere al Parlamento, se ritiene, di intervenire per evitare il determinarsi di un vuoto normativo per effetto dell’esito referendario. L’esito positivo del referendum produce significative ripercussioni sui poteri del Parlamento. Dall’abrogazione referendaria di una legge discende il divieto per il legislatore di approvare una legge analoga a quella abrogata. Secondo la Corte cost., sent. n. 199 del 2012 “alla luce di un’interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale”. La Corte ha affermato che non è ammissibile porre nel nulla l’esito della consultazione popolare referendaria. La Corte ha anche precisato che il limite che grava sul Parlamento non è assoluto e che potrebbe venire meno in presenza di mutamenti del quadro politico o di circostanze di fatto che giustifichino la riadozione della disciplina abrogata, sebbene si tratti di condizioni non facili da riscontrare. Rimane ad oggi indefinita la durata di siffatto vincolo, cioè per quanto tempo il legislatore può dirsi obbligato a non ripristinare le norme abrogate dal popolo. Non si ha una certezza al quesito, essendosi il Giudice costituzionale limitato, in una occasione, a dichiarare illegittima una disciplina legislativa analoga a quella abrogata nelle forme dell’art. 75 cost. nella sent. n. 199 del 2012: “tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e l’adozione della nuova normativa (23 giorni)”. Se l’esito è negativo il Ministro della Giustizia ne dà notizia sulla Gazzetta ufficiale; ai sensi dell’art. 38 della legge n. 352 del 1970, non è più possibile effettuare richiesta di identico referendum per cinque anni. Secondo l’interpretazione datane dall’Ufficio centrale per il referendum tale preclusione opererebbe solo quando la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità. Nel caso in cui il referendum sia fallito per mancata partecipazione di almeno la metà degli aventi diritto, è possibile attivare nuovamente il procedimento referendario anche prima che sia trascorso il periodo indicato dalla norma. Al referendum abrogativo viene riconosciuta natura di fonte del diritto. Si tratta di una fonte atto avente forza di legge, poiché il referendum è abilitato ad abrogare proprio leggi o atti aventi forza di legge. È una fonte atto perché espressione della manifestazione di volontà proveniente da un soggetto cui una norma di riconoscimento demanda il potere di abrogazione. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 71 DIRITTO COSTITUZIONALE Gli effetti del referendum potrebbero dirsi “unidirezionali”: in caso di esito positivo l’effetto è la sola abrogazione di norme o parti di norme già esistenti. L’istituto referendario non consente di introdurre nell’ordinamento una nuova disciplina voluta dal corpo elettorale. Parte della dottrina ha dubitato della possibilità di rinvenire nel referendum una delle tipiche caratteristiche delle norme giuridiche: la capacità di innovare l’ordinamento. Va obiettato che così come non v’è dubbio che sia fonte del diritto la legge del Parlamento il cui contenuto sia solo l’espressa abrogazione di una legge precedente, altrettanto deve dirsi per il referendum di cui all’art. 75 cost., che ha identico effetto. L’abrogazione non comporta semplicemente il venir meno di una data norma, ma ha come conseguenza una sostanziale modifica del sistema normativo preesistente; il vuoto lasciato dalla norma abrogata costringe l’interprete a cercare la disciplina della materia in disposizioni legislative dal contenuto diverso, la cui portata viene evidentemente ad espandersi. L’effetto innovativo è tanto più evidente nel caso di referendum abrogativi parziali, che “recidono” specifiche disposizioni di legge, lasciando in vigore una “normativa di risulta” dal significato differente rispetto a quello originariamente voluto dal Parlamento. Con i limiti questo tipo di quesiti mettono ben in evidenza quale portata possa avere, in termini di incidenza sull’ordinamento, l’istituto referendario. Esempio (45): sistema elettorale del Senato del 1992 à vale per tutti questo esempio il referendum che, nel 1993, ha parzialmente abrogato il sistema elettorale vigente per il Senato della Repubblica e che ha di fatto comportato la sostituzione del criterio proporzionale con il criterio maggioritario con correttivo proporzionale (sostituzione non inammissibile, perché la disciplina previgente già contemplava il principio maggioritario). 14. I REGOLAMENTI PARLAMENTARI I regolamenti parlamentari sono gli atti che dettano, per ciascuna delle Camere di cui si compone il Parlamento, la disciplina di organizzazione e funzionamento delle attività che esse sono chiamate a svolgere. Con i regolamenti parlamentari sono stabilite: i. regole di comportamento di deputati e senatori; ii. regole di organizzazione degli organi interni a ciascuna Camera; iii. regole con cui detti organi operano; iv. regole che riguardano i rapporti di ciascuna Camera con il proprio personale dipendente ma anche soggetti esterni, come il Governo. Art. 64 cost. à “Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti”. Sono le stesse istituzioni parlamentari a fissare le regole necessarie alla loro organizzazione e al loro funzionamento. Questo potere di autoregolamentazione è ritenuto la massima espressione dell’autonomia delle Camere rispetto agli altri poteri dello Stato. La richiesta dalla maggioranza assoluta per approvarli costituisce una garanzia per le minoranze politiche presenti nell’Assemblea parlamentare. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 72 DIRITTO COSTITUZIONALE I regolamenti parlamentari sono qualificabili come fonti del diritto e come fonti primarie. Si tratta di fonti a competenza riservata: nelle materie che la Costituzione ad essi riserva è precluso alla legge e a qualsiasi altra fonte di intervenire. I regolamenti parlamentari e le leggi sono allineati sullo stesso piano gerarchico, e i loro rapporti si dispiegano in forza del criterio di competenza. I regolamenti parlamentari non sarebbero in realtà dotati di forza giuridica vera e propria, in quanto atti puramente interni incapaci di innovare il sistema normativo. La Corte costituzionale, nella sent. n. 120 del 2014 ha parlato di “fonti dell’ordinamento generale della Repubblica, produttive di norme sottoposte agli ordinari canoni interpretativi”. Altra questione dibattuta concerne l’impossibilità per i regolamenti parlamentari di essere sindacati dalla Corte costituzionale per eventuali violazioni della Costituzione: la Corte costituzionale ha escluso che i regolamenti possano costituire, al pari delle altre leggi, oggetto del giudizio di costituzionalità sulle leggi. Ciò per due ordini di ragione: i. non si tratta di fonti formalmente annoverabili nella categoria degli atti aventi forza di legge, che l’art. 134 cost. indica tra gli atti sottoponibili al controllo di costituzionalità; ii. una diversa interpretazione urterebbe contro il sistema, che vede in posizione centrale proprio le Camere, cui spetta una indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere. Questa impostazione è stata criticata in particolare lamentando il fatto che tale “impunità” riguardi anche norme dei regolamenti parlamentari che incidono su posizioni giuridiche soggettive. Il riferimento è alle norme dei regolamenti che riservano ad organi interni la decisione sulle controversie tra ciascuna camera e i propri dipendenti, così frustrando il loro diritto a un giudice terzo e imparziale. Si è ipotizzato di poter giungere ad una censura di tali norme da parte della Corte costituzionale per altra via, nell’ambito di un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato in cui si lamenti la fuoriuscita della disciplina regolamentare della sfera di competenza costituzionalmente riconosciuta a tali fonti. La Corte costituzionale, apparsa prima possibilista sul punto, ha poi negato anche questa prospettiva, sulla base di argomentazioni unicamente sostanziali intese a riconoscere il fondamento costituzionale dell’autodichia. Laddove una legge sia stata adottata senza rispettare una o più norme previste dai regolamenti parlamentari, non sarà possibile far valere tale vizio in un giudizio di costituzionalità. Il mancato rispetto del regolamento parlamentare non può essere invocato di fronte alla Corte costituzionale, poiché il regolamento parlamentare stesso non può fungere da parametro. Si ha solo un’eccezione quando la norma regolamentare violata costituisca la sostanziale riproduzione di una norma costituzionale relativa al procedimento legislativo. Sez. III – Le fonti statutarie e le fonti primarie regionali 15. LE LEGGI STATUTARIE DELLE REGIONI ORDINARIE Gli Statuti delle cinque Regioni speciali riconosciute in Italia hanno rango di fonti superprimarie. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 75 DIRITTO COSTITUZIONALE di materie, che si accosta ad un secondo elenco da riferirsi alla competenza concorrente e ad una clausola residuale che abilita le Regioni a legiferare in autonomia in ogni altro ambito A distanza di quasi vent’anni da quanto questo rovesciamento di prospettiva ha avuto luogo si deve registrare un parziale fallimento della riforma. La Corte costituzionale ha avuto un ruolo fondamentale nell’opera di ridimensionamento dei suoi effetti: nella propria giurisprudenza ha privilegiato le istanze interpretative del testo più favorevoli allo Stato. Si è trovata a salvare anche discipline statali di portata puntuale. In questa direzione va anche l’elaborazione giurisprudenziale della categoria delle materie trasversali, cioè materie assegnate dall’art. 117 cost. alla competenza dello Stato, ma che per le loro peculiarità sono considerate capaci di investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale stesso deve poter porre le norme necessarie. La Corte costituzionale ha abilitato il legislatore statale a dettare norme che invadano aree di competenza regionale, estendendo così il raggio d’azione della legislazione statale a danno delle Regioni. Sono materie trasversali la tutela della concorrenza, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e la tutela dell’ambiente. Per quanto riguarda le leggi delle Regioni a Statuto speciale, gli ambiti nei quali esse sono titolate ad intervenire sono previsti dai rispettivi Statuti speciali, sui quali prevale il riparto previsto dall’art. 117 cost., se maggiormente favorevole all’autonomia regionale. Gli Statuti delle Regioni speciali furono approvati in epoca anteriore alla riforma costituzionale del 2001, così che, quando il legislatore costituzionale intervenne sull’art. 117 cost. ampliando le competenze delle Regioni ordinarie, si premurò di stabilire che sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, anche quelle speciali avrebbero beneficiato delle eventuali forme di autonomia più ampie ricavabili dal nuovo art. 117. cost.. I titoli di competenza regionale non ricalcano esattamente quelli previsti dall’art. 117 cost. per le Regioni ordinarie. Gli Statuti speciali prevedono una competenza primaria esclusiva in alcuni settori, una competenza concorrente in altri settori e una competenza facoltativa che dipende dalla volontà dello Stato in altri settori ancora. Sez. IV – Le fonti secondarie statali 17. I REGOLAMENTI DEL POTERE ESECUTIVO I regolamenti del potere esecutivo sono fonti statali secondarie; questi comprendono i regolamenti governativi, ministeriali e interministeriali: per il principio di legalità, sono subordinati alla legge e in essa devono trovare fondamento e i regolamenti ministeriali e interministeriali sono sottoposti anche ai regolamenti governativi, di cui devono rispettare le statuizioni. La disciplina dei regolamenti del potere esecutivo è contenuta nell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, la quale stabilisce la procedura di adozione e indica le diverse tipologie. I regolamenti vengono implicitamente riconosciuti anche dalla Costituzione, che si limita a richiamarli senza dettare una specifica disciplina in materia. L’art. 87, comma 5, cost. annovera tra le attribuzioni del Presidente della Repubblica l’emanazione dei regolamenti. Dopo la riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione del 2001, anche l’art. 117, comma 6, cost. contiene un riferimento ai regolamenti, contemplando la potestà regolamentare dello Stato e la potestà regolamentare delle Regioni. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 76 DIRITTO COSTITUZIONALE I regolamenti governativi sono adottati con la procedura prevista dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988. Proposto dal Ministro o dai Ministri competenti per materia, il regolamento è deliberato dal Consiglio dei ministri. È poi sottoposto ad un parare obbligatorio ma non vincolante del Consiglio di Stato. Il regolamento è emanato con decreto del Presidente della Repubblica e sottoposto al controllo di legittimità della Corte dei conti. Dopodiché, la Corte procede alla registrazione del regolamento, che viene poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai fini della propria entrata in vigore. Le diverse tipologie di regolamenti governativi previsti dalla suddetta legge sono: A. regolamenti di esecuzione à delle leggi, dei decreti legislativi e dei regolamenti comunitari. Sono adottati nel caso in cui si renda necessario specificare il contenuto delle disposizioni di una legge, di un decreto legislativo o di un regolamento comunitario. Non hanno una vera e propria portata innovativa ma sono regolamenti che attengano alla funzione istituzionale del Governo: sono atti che si pongono rispetto alla legge in posizione accessoria, strumentale e servente, senza nulla aggiungere alla disciplina di legge per quanto attiene al suo oggetto, ma funzionale a consentirne e migliorarne l’esecuzione. Questa tipologia di regolamenti non può intervenire in materie coperte da riserva di legge assoluta e questa è una regola che subisce una deroga nella sola eccezione che si sia in presenza di regolamenti di stretta esecuzione; B. regolamenti di attuazione e di integrazione à delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio. Questi regolamenti hanno portata normativa innovativa; non possono intervenire, senza eccezioni, nelle materie coperte da riserva assoluta di legge. Perché il Governo possa adottarne, è necessario che la legge detti i principi cui l’attività regolamentare deve attenersi. Esempio (48): regolamento n. 75 del 2005 à “Regolamento di attuazione delle legge 9 gennaio 2004, n. 4 per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”. È l’art. 10 della legge n.4 del 9 gennaio 2004 a richiedere che sia un regolamento governativo a specificare alcuni aspetti della disciplina: il regolamento chiarisce quali siano gli organi e quali le modalità con cui deve essere effettuata la valutazione sulle accessibilità dei servizi informatici per coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie particolari; C. regolamenti indipendenti à intervengono nei settori in cui manchi una disciplina legislativa. La condizione necessaria per essere legittimamente adottati è che la materia in questione non sia coperta da una riserva di legge. Anche qualora il Parlamento non intervenga a regola la materia, la lacuna non potrà essere colmata da un regolamento. È la categoria più controversa dei regolamenti governativi: il principio di legalità potrebbe ritenersi violato perché manca una base legislativa sulla quale poggiare la disciplina regolamentare, a meno che non sia l’art. 17 della legge n. 400 del 1988 a consentire, con un’autorizzazione generale, l’adozione di regolamenti in assenza di legge. Questa ricostruzione non eliminerebbe il problema, perché il principio di legalità soddisfatto pretenderebbe qualcosa di più di una semplice autorizzazione in bianco, essendo necessario che la legge individui le materie nelle quali i regolamenti indipendenti potrebbero intervenire. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 77 DIRITTO COSTITUZIONALE Non rinviene nei regolamenti indipendenti alcuna insuperabile criticità ed è ammessa per essi una deroga alle regole di stretta tipicità cui è normalmente soggetto il potere regolamentare. Il problema teorico è ridimensionato per la scarsissima presenza di materie sulle quali non sia intervenuta una legge, di fatti gli spazi lasciati ai regolamenti indipendenti sono praticamente inesistenti; D. regolamenti di organizzazione à essi intervengono a disciplinare tutto ciò che riguarda il personale, le strutture, il funzionamento dei pubblici uffici, nel rispetto di quanto disposto dalla legge. In materia esiste una riserva di legge relativa per soddisfare la quale occorre che la legge determini i principi fondamentali della materia; E. regolamenti autorizzati o delegati o di delegificazione à l’art. 17, commi 2 e 4 – bis, della legge n. 400 del 1988 istituisce una particolare categoria di regolamenti che vengono adottati sulla base di leggi che delegano un successivo regolamento ad intervenire in materie che non siano coperte da riserva di legge assoluta. La legge che autorizza l’adozione di tali regolamenti deve fissare i principi generali della materia e dispone che l’entrata in vigore delle norme regolamentari comporta l’abrogazione delle norme di legge vigenti. La materia in questione non sarà più disciplinata da una fonte di rango legislativo, ma da una fonte di grado regolamentare. Tale abrogazione è disposta dalla legge che autorizza l’adozione del regolamento. Se l’abrogazione dipendesse dal regolamento, verrebbe violata la regola secondo cui la fonte abrogante non può essere di rango superiore a quella che si pretende di abrogare. Con l’utilizzo di questi regolamenti, si cerca di porre un rimedio al fatto che nel nostro ordinamento la maggior parte delle regole giuridiche è contenuta in leggi. La sostituzione dei leggi con regolamenti consente di semplificare il procedimento necessario ad aggiornare le discipline normative, dato che non occorre l’approvazione di un atto legislativo bensì quella di un atto regolamentare. Esempio (49): regolamento autorizzato à abilitato dalla legge n. 127 del 1997 ad introdurre misure per la semplificazione delle regole sulla documentazione amministrativa. La legge ha previsto che alla data di entrata in vigore di tali regolamenti governativi si sarebbero ritenute abrogate le disposizioni vigenti, anche di legge, con esse incompatibili. In quanto ai regolamenti ministeriali e interministeriali, essi sono adottati dal singolo Ministro o dai Ministri che si occupano delle materie oggetto del regolamento ed assumono la forma di Decreto ministeriale o di Decreto interministeriale. Occorre il parere del Consiglio di Stato e il controllo di legittimità della Corte dei conti. Di tali atti si deve dare comunicazione prima della loro emanazione al Presidente del Consiglio, che potrebbe decidere di sospenderne l’adozione per rimetterla alla decisione del Consiglio dei ministri. Oltre ai regolamenti del potere esecutivo, esistono anche altre tipologie di regolamenti adottati da altri organi della Pubblica amministrazione e sono denominati, dall’art. 4 Preleggi cod. civ. regolamenti di altre autorità: sono atti espressivi di un potere esercitabile dalle singole pubbliche amministrazioni nelle rispettive competenze. Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 80 DIRITTO COSTITUZIONALE Sono anche ammesse consuetudini praeter legem che possono intervenire nei settori che non siano stati già regolati dal diritto scritto. 21. I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO L’art. 39 cost. riconosce la libertà di organizzarsi in sindacati e nel farlo configura la possibilità che essi si registrino presso degli uffici pubblici, alla condizione che i propri statuti configurino un ordinamento interno a base democratica. La conseguenza della registrazione consiste nell’acquisizione da parte dei sindacati di personalità giuridica e nella facoltà di stipulare con le rappresentanze delle imprese contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. L’obiettivo del Costituente è quello di lasciare almeno in parte la regolazione dei rapporti di lavoro all’autonomia negoziale delle categorie direttamente interessate. L’art. 39 cost. non impedisce al legislatore di disciplinare il settore, ma rispetto a questo possibile concorso tra legge e contratti collettivi, la Corte costituzionale ha chiarito che l’autonomia collettiva non può dal legislatore essere annullata o compressa nei suoi esiti concreti, a meno che la legge non intervenga per prevedere un trattamento più favorevole per i lavoratori oppure a salvaguardia di superiori interessi generali. I contratti collettivi rispondono ad un modello di normazione del tutto peculiare ed essi sono per natura riconducibili alla dimensione privatistico – negoziale; allo stesso tempo, la capacità di estendere la propria portata precettiva oltre le parti contraenti fa di esse delle vere e proprie fonti del diritto. Lo schema ideale previsto dall’art. 39 cost. è rimasto inattuato. Perché un sindacato possa stipulare contratti con effetti generali occorre che sia registrato. Le organizzazioni sindacali esistenti sono sempre state contrarie all’ipotesi di procedere ad una registrazione. Per superare l’inattuazione del dettato costituzionale, la legge n. 751 del 1959 delegava il Governo ad emanare decreti legislativi che di fatto recepivano gli accordi collettivi stipulati. Tale legislazione, inizialmente legittima perché eccezionale, è stata in seguito dichiarata incostituzionale in sede di reiterazione. I contratti collettivi sottoscritti tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le rappresentanze dei datori di lavoro sono riconducibili a contratti di diritto comune, che dovrebbero vincolare solo gli iscritti ai sindacati dei lavoratori. I datori di lavoro si attengono alle regole stabilite nei contratti collettivi che stabiliscono i livelli minimi di tutela del lavoratore, derogandovi solo in melius. L’operatività di tali regole nei confronti di tutti deriva da una pluralità di soluzioni giurisprudenziali, di cui la maggiormente struttura consegue a una lettura dell’art. 36 cost. come norma immediatamente precettiva. Art. 36 cost. à “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Il giudice deve individuare il livello retributivo costituzionalmente garantito a cui non provvede a propria discrezione me facendo riferimento alle norme contenute nei contratti collettivi, così estendendone, di fatto, la vincolatività a tutti. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 81 DIRITTO COSTITUZIONALE Si sono avuti degli accordi negoziali che, intervenendo sul tema della rappresentatività sindacale, hanno introdotto una sorta di efficacia erga omnes dei CNNL. Nel settore pubblico il tema della vincolatività erga omnes del contratto collettivo nazionale non si pone avendosi un solo interlocutore per le pubbliche amministrazioni ed essendo le pubbliche amministrazioni obbligate per legge a garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi. 22. LE ORDINANZE DI NECESSITÀ ED URGENZA E GLI ALTRI ATTI REGOLATORI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Le ordinanze di necessità ed urgenza sono atti che taluni organi della pubblica amministrazione possono adottare per far fronte a situazioni eccezionali, che richiedono un tempestivo intervento. Di queste ordinanze ne esistono di vari “tipi”: - ordinanze spettanti al Prefetto à nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico spettano al Prefetto nel caso di urgenza o di grave necessità pubblica e che si rendano indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica; - ordinanze spettanti al Sindacato à sono ordinanze contingibili ed urgenti che il Sindacato, nella sua veste di ufficiale del Governo, può adottare al fine prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana; - ordinanze di protezione civile à sono disciplinate dagli artt. 5 e 25 d.lgs. n. 1 del 2018. Il Codice della protezione civile consente che il Consiglio dei Ministri deliberi lo stato di emergenza di rilievo nazionale al verificarsi di calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo di forte intensità e grande estensione. Tale deliberazione legittima l’adozione di ordinanze di protezione civile, in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e che nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea. Le ordinanze di necessità ed urgenza presentano alcune comuni caratteristiche. Essendo finalizzate a fronteggiare le più svariate situazioni emergenziali, sotto atti a contenuto atipico. È molto ampia la discrezionalità riconosciuta in capo alla pubblica autorità, chiamata ad adottare la misura che più pare rispondente alle specificità del caso concreto. Per la flessibilità che tali strumenti devono essere in grado di garantire, è eccezionalmente ammessa la possibilità che le ordinanze deroghino alla legge e a fonti primarie, cui normalmente gli atti amministrativi devono invece conformarsi. Esse sono ritenute da molti legittime sulla base della considerazione che è lo stesso legislatore a consentire agli organi della pubblica amministrazione di disporre in difformità rispetto alle fonti primarie. Non è consentita una deroga ai precetti costituzionali e ai principi generali dell’ordinamento. Questo limite è stato esplicitato dal legislatore in alcuni casi; in altri si è reso necessario l’intervento della Corte costituzionale. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 82 DIRITTO COSTITUZIONALE Esistono una serie di requisiti che devono essere osservati ai fini della legittimità delle ordinanze di necessità ed urgenza. Occorre che: i. gli eventi da fronteggiare siano imprevedibili; ii. ricorra l’urgenza di provvedere; iii. le ordinanze si attengano ai principi costituzionali e ai principi generali dell’ordinamento giuridico; iv. la misura sia temporalmente limitata; v. l’intervento sia adeguatamente motivato. Alcuni ritengono che le ordinanze di necessità ed urgenza che si presentino sovente come atti di portata generale sarebbero annoverabili tra le fonti del diritto; altri, dicono che si tratti di atti amministrativi privi di natura normativa, idonei ad innovare l’ordinamento. Le ordinanze di necessità ed urgenza sono destinate a regolare specifici avvenimenti e hanno efficacia solo temporanea. Esse possono disporre in deroga alla legge, ma si tratta di deroghe temporalmente delimitate, non anche di abrogazione o modifica di norme vigenti. Le perplessità in ordine alla natura e alla stessa ammissibilità della ordinanze di necessità ed urgenza sono destinate a farsi sempre più insistenti, considerando il crescente ricorso da parte delle autorità pubbliche a questo tipo di strumenti. Hanno ricevuto notevole applicazione in occasione della crisi sanitaria che ha colpito l’Italia nel 2020 – 2021. Con specifico riferimento ai provvedimenti di cui dispone il Sindaco in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana, va detto che per effetto di una modifica legislativa intervenuta nel 2008, l’art. 54 del Tuel aveva previsto anche la possibilità che fossero adottate dallo stesso ordinanze di carattere non contingibile ed urgente. Si tratta delle ordinanze di ordinaria amministrazione non limitate e che devono attenersi a tutte le prescrizioni contenute nelle fonti primarie. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la loro previsione. Tali ordinanze impongono ai singoli di tenere determinati comportamenti ed incidono sulle loro libertà e su materia coperta da riserva di legge. Il legislatore non può limitarsi ad una generica autorizzazione in bianco e riconoscere alla pubblica amministrazione una discrezionalità praticamente senza alcun limite, dovendo piuttosto indicare i contenuti e i modi dell’azione amministrativa. Vi sono notevoli difficoltà di inquadramento anche per le circolari, le linee guida, gli atti di indirizzo, ecc.. Sono atti del tutto peculiari, nonché provvedimenti di natura amministrativa. Ma osservandone il contenuto può sorgere il dubbio che si tratti di atti di produzione normativa secondaria. Questi fenomeni si rivelano indubbiamente problematici, se solo si considera la difficoltà di individuare il fondamento di tali atti in una previa legge. Considerando il tema dell’abuso della decretazione d’urgenza e dello strumento della delega legislativa, appare evidente come a dispetto dei modelli astratti la prassi non di rado esibisca forzature delle regole sulla produzione del diritto. Ne discende un sistema normativo molto intricato, che impone agli studiosi uno sforzo particolare di ricostruzione teorica e di prestare particolare attenzione alle ricadute che una deviazione eccesiva dalle stesse può avere sui diritti delle persone. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 85 DIRITTO COSTITUZIONALE imminenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, formulata anche su richiesta del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato d’emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’art. 25”. Questo tipo di provvedimenti sono provvedimenti extra – ordinem, in quanto capaci di derogare ad ogni disposizione vigente. L’emergenza potrebbe localizzarsi su una porzione specifica del territorio e per questo occorre giustificare il coinvolgimento degli enti regionali direttamente interessati. Art. 5 cod. prot. civ. à “Il Presidente del Consiglio dei ministri, per il conseguimento delle finalità del Servizio nazionale, detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile, che può esercitare, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione di cui all’art. 24, per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile […]”. Riguardo alla pandemia da Covid – 19, la deliberazione dello stato di emergenza è intervenuta il 31 gennaio 2020 (momento in cui è stato accertata la presenza del primo caso Covid – 19 in Italia). Durante l’emergenza sanitaria si è deciso di ricorrere a strumenti normativi diversi dalle ordinanze del Capo della Protezione civile, cioè si è fatto ricorso a decreti adottati direttamente dal Presidente del Consiglio dei ministri nonché i c.d. dPCM. Sono fonti di natura ambigua e per questo vi si è posto in merito un interrogativo riguardo alla riconducibilità di tali atti al sistema normativo della protezione civile; in merito, la dottrina si è divisa: - primo gruppo à ritiene che i dPCM sarebbero nella sostanza assimilabili alle ordinanze di cui all’art. 25 cod. prot. civ. (potere al Presidente del Consiglio dei ministri); - secondo gruppo à ritiene che i dPCM si collocherebbero al di fuori del potere di ordinanza previsto e disciplinato dal Codice della protezione civile e che ha indiato limiti di contenuto delle ordinanze ampiamente valicati dai dPCM. L’adozione dei dPCM non richiede l’acquisizione di un’intesa con le autonomie regionali. Per confermare ulteriormente l’impossibilità di ricondurre i dPCM al potere di ordinanza della protezione civile, nella prassi i dPCM hanno richiamato a proprio fondamento nelle rispettive intestazioni e nei relativi preamboli i decreti – legge adottati dal Governo durante l’emergenza. La Corte costituzionale ha sancito che i dPCM non sono attuativi del codice di protezione civile, ma costituiscono un legittimo modello alternativo di risposta all’emergenza. L’aspetto decisivo si ha indipendentemente dal loro collocarsi nell’ambito della disciplina emergenziale tratteggiata dal codice della protezione civile; bisogna, infatti, porsi la questione se sia in prevalenza attraverso atti sub – legislativi che può essere fronteggiata una crisi sanitaria di portata talmente rilevante da aver determinato l’adozione di misure fortemente incidenti su una pluralità di diritti costituzionali coperti da riserva di legge. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 86 DIRITTO COSTITUZIONALE 25. LA CATENA DI ATTI ADOTTATI PER FRONTEGGIARE LA PANDEMIA DA COVID – 19 Al manifestarsi della possibilità che il contagio da Covid – 19 colpisse anche l’Italia, il Consiglio dei ministri ha adottato la richiamata deliberazione di stato di emergenza, giustificata dal rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, e ha autorizzato il Capo di Dipartimento della protezione civile ad emanare le ordinanze previste dall’art. 25 cod. prot. civ.. I provvedimenti sono stati adottati per contrastare il diffondersi del contagio sono stati numerosissimi e per taluni aspetti privi di organicità (circa 400 atti). Il cittadino, spesso, si è trovato nella difficoltà di conoscere quali regole fossero vigenti in un determinato frangente,. Gli interventi preponderanti sono stati assunti attraverso i dPCM, che tra febbraio e marzo 2020 sono stati 7 e tra febbraio e giugno 2020 sono arrivati a 16; questi sono stati approvati al di fuori dello schema procedurale indicano nella deliberazione dello stato di emergenza, ma, in problematico equilibrio con il disegno costituzionale, che avrebbe richiesto di privilegiare la via della decretazione d’urgenza e di contenere maggiormente il raggio di azione di atti sub – legislativi. Il primo decreto – legge approvato per far fronte alla diffusione del contagio fu il decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6 che ha autorizzato l’adozione di tali dPCM ma non ne ha vincolato adeguatamente i contenuti. L’art. 1 decreto – legge n. 6 2020 ha abilitato le autorità competenti a porre in essere ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica e ha elencato i termini generici e comunque non tassativi le misure specificamente adottabili: si tratta di misure incidenti su molteplici diritti fondamentali, tra cui la libertà di circolazione, di libertà di riunione, di istruzione, di iniziativa economica. Il Presidente del Consiglio è stato esplicitamente legittimato a prevedere ulteriori interventi di contenimento della pandemia. Il decreto – legge 25 marzo 2020, n. 19 ha tentato di rimediare parzialmente a questa “stortura”: prima di tutto, tipizzando le misure di contenimento adottabili dall’esecutivo, tenuto a selezionare tali strumenti in base ai principi di adeguatezza e proporzionalità.; poi, imponendo il rispetto di alcuni vincoli di natura procedurale. Oltre a prevedere che i dPCM fosse emanati dopo aver acquisito il parere dei Presidenti delle Regioni interessate o il parere del Presidente della Conferenza Stato – Regioni, si è stabilito che dovesse essere previamente sentito il Comitato tecnico – scientifico per svolgere consulenza e supporto alle attività necessarie per il superamento dell’emergenza sanitaria. Per effetto di un emendamento approvato in sede di conversione, il d.l. n. 19 del 2020 ha introdotto una forma di parlamentarizzazione del dPCM. Si è stabilito che, prima di essere adottato, il contenuto dell’atto dovesse essere illustrato alle Camere al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati. Le Camere avrebbero dovuto essere informate il giorno successivo alla pubblicazione del dPCM, con obbligo per il Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato di riferire ogni quindici giorni alle Assemblee parlamentari sulle misure introdotte. Restavano forti dubbi sulla rispondenza di questo schema normativo al modello costituzionale. Il d.l. n. 19 del 2020 rimetteva al solo Presidente del Consiglio dei ministri la scelta di quali tra queste misure applica in concreto. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 87 DIRITTO COSTITUZIONALE La Corte costituzionale ha ritenuto che la disciplina illustrata non fosse incostituzionale. Il Giudice costituzionale, nella sent. n. 198 del 2021, ha affermato che attraverso la previsione di un elenco tipizzato delle misure restrittive adottabili dal Presidente del Consiglio dei ministri, contenuta nel d.l. n. 19 del 2020, si sarebbe salvaguardata la corretta relazione tra fonte primaria e fonte secondaria. È una decisione che tiene conto anche della eccezionalità della situazione e che valorizza il carattere temporaneo di tali misure, la necessaria osservanza dei criteri di adeguatezza e proporzionalità, la previa consultazione del Comitato tecnico – scientifico, il coinvolgimento del Parlamento prima e dopo l’approvazione del dPCM. Bisogna specificare che la Corte costituzionale non si è pronunciata direttamente e formalmente sul rapporto tra la scelta di demandare ai dPCM la concreta individuazione delle misure di contenimento della pandemia e la riserve di legge previste nelle disposizioni costituzionali poste a presidio delle libertà potenzialmente incise. Lo schema di intervento descritto si è ripetuto anche nei mesi successivi, sia pur con qualche elemento correttivo. Una parziale inversione di tendenza si è avuta a seguito della fine dell’esperienza del Governo Conte II e del conseguente cambio di compagine esecutiva, concretizzatosi nella formazione del Governo Draghi. Il numero di dPCM è diminuito e l’asse della decisione politica si è prevalentemente spostato sullo strumento del decreto – legge. Pur tenendo presente quanto affermato dalla Corte costituzionale la decisione del Governo di ricorrere prevalentemente a strumenti normativi di rango secondario ha posto notevoli problemi: i. spostato il baricentro della decisione sul Governo e sul Presidente del Consiglio dei ministri, con svilimento del metodo collegiale; ii. escluso il Parlamento, sede del confronto democratico tra tutte le forze politiche, da scelte di impatto enorme su diritti fondamentali; iii. si è posta in tensione con le riserve di legge previste dalla Costituzione negli ambiti incisi dalle misure di contrasto alla diffusione del virus e con il principio di legalità sostanziale, che richiede di vincolare l’ampiezza di intervento degli atti sub – legislativi e amministrativi. Sez. VIII – Le fonti internazionali 26. INTRODUZIONE L’Italia fa parte di una comunità di Stati sovrani che mantengono dei rapporti giuridicamente regolati e retti da una sistema di fonti normative che vi dispiegano effetti in quanto dallo stesso recepite: mediante un adattamento automatico (norme del diritto internazionale generalmente riconosciute) o mediante specifici atti normativi interni di volta in volta appositamente adottati (norme del diritto internazionale pattizio). Sono fonti – fatto che vengono dall’Italia riconosciute come produttive di effetti giuridici e alle quali l’Italia si adatta secondo regole proprie. Il rango che le fonti dell’ordinamento internazionale assumono quando abbiano fatto ingresso nel nostro ordinamento è variabile, DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 90 DIRITTO COSTITUZIONALE 3. terza fase à passando per lo scambio tra gli Stati interessati dei rispettivi strumenti di ratifica, fa sorgere la responsabilità di tipo internazionale degli uni nei confronti degli altri; 4. quarta fase à l’ordine di esecuzione determina la produzione di effetti giuridici della fonte internazionale all’interno del sistema italiano. Le fasi della ratifica e dell’esecuzione del trattato internazionale sono disciplinate da ciascun ordinamento secondo regole proprie. Gli artt. 80 e 87, comma 8, cost. si esprimono a riguardo e l’ultimo assegna al Presidente della Repubblica la competenza a ratificare, mediante proprio decreto, i trattati internazionali. Art. 80 cost. à “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”. Tale ratifica deve essere autorizzata con legge del Parlamento. La legge deve essere approvata seguendo la procedura ordinaria di esame e non può essere abrogata per via referendaria. L’ordine di esecuzione si è contenuto nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica del trattato. Se la materia regolata dalla fonte pattizia non rientra negli ambiti materiali delineati dall’art. 80 cost. il Presidente della Repubblica potrà direttamente procedere alla ratifica del trattato, e il relativo d.p.r. conterrà anche l’ordine di esecuzione. Esempio (53): legge n.18 del 3 marzo 2009 à legge di autorizzazione alla ratifica di un trattato internazionale contenente anche il relativo ordine di esecuzione e poi seguita dall’approvazione di un d.p.r. di ratifica: Ø art. 1 (autorizzazione alla ratifica) à “Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006”; Ø art. 2 (ordine di esecuzione) à “Piena ed intera esecuzione è data dalla Convenzione ed al Protocollo di cui all’art. 1, a decorrere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità con quanto previsto, rispettivamente, dall’art. 45 Convenzione e dall’art. 13 Protocollo medesimi”. Gli accordi internazionali vengono ratificati dal nostro ordinamento anche in forma “semplificata”. Ciò quando la fonte internazionale si perfeziona e produce effetti nel nostro sistema senza una ratifica del Capo dello Stato, ma con la sola conclusione dell’accordo da parte di un rappresentante del Governo. Per le fonti internazionali pattizie il rinvio operato dall’ordinamento italiano è fisso. Il recepimento non si riferisce alla fonte internazionale in sé considerata, ma alla specifica disciplina in essa prevista. Successive correzioni alla fonte internazionale necessiteranno di una nuova apposita procedura di recepimento. Per quanto riguarda il rango delle fonti pattizie, esso si determina guardando alla fonte interna che ha provveduto all’adattamento: esse avranno rango legislativo quando vi sia stata autorizzazione alla ratifica da parte di una legge ai sensi dell’art. 80 cost.; avranno rango sub – legislativo nelle altre ipotesi. Nel caso in cui una norma interna si ponga in contrasto con una disposizione contenuta in un trattato internazionale, si fa riferimento all’art. 117, comma 1, cost. che, in base a una riforma DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 91 DIRITTO COSTITUZIONALE costituzionale del 2001, statuisce che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. La Corte costituzionale ha chiarito che nel nostro ordinamento le fonti internazionali pattizie godono di una maggior forza di resistenza rispetto alle altre leggi ordinarie. Pur essendo subordinate alla Costituzione italiana, si collocano in una posizione intermedia tra questa e le fonti primarie. Sono norme interposte, con la conseguenza che il giudice che si trovi di fronte ad un conflitto tra una legge statale e una norma internazionale convenzionale dovrà sollevare questione di legittimità costituzionale, affinché, valutata la fondatezza del dubbio, essa possa dichiarare l’illegittimità della norma legislativa interna. Il giudice interno non può in alcun modo procedere alla disapplicazione della norma interna, essendo indispensabile l’intervento della Corte costituzionale. Poiché la norma di un trattato internazionale rimane pur sempre fonte sub – costituzionale, la Corte costituzionale ha doverosamente chiarito che nell’ipotesi in cui la stessa dovesse collidere con precetti della Costituzione, ad essa spetterebbe il compito di espungerla dall’ordinamento giuridico italiano. Le pronunce riguardavano specificamente i rapporti tra leggi italiane e un trattato internazionale che negli ultimi anni ha assunto un particolare rilievo: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La CEDU è un diritto internazionale pattizio recepito in Italia tramite legge che presenta delle innegabili peculiarità, perché essa ha consacrato in un catalogo, pretendendone il rispetto da parte degli Stati aderenti, i diritti fondamentali della persona e perché ha istituito un organo giurisdizionale a cui è appositamente demandato il compito di interpretarne e applicarne le disposizioni. Il ruolo riconosciuto alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ricadute significative sull’ordinamento italiano: le disposizioni della CEDU vivono nel significato che questa le attribuisce. Con la conseguenza che il giudice italiano che riscontri un’antinomia tra una disciplina interna e una norma della CEDU, prima di sollevare questione di legittimità costituzionale dovrà tentare di interpretare la disciplina nazionale conformemente alla CEDU. La più recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha ulteriormente precisato che le decisioni dell’uomo alle quali dare rilievo nella ricerca dell’esatto significato della disposizione convenzionale devono essere quantomeno espressive di un’interpretazione consolidata. Le sentt. nn. 347 e 348 del 2007 riguardavano la CEDU, cioè un trattato internazionale ratificato sulla base di una legge ordinaria e avente ad oggetto un catalogo di diritti. Questo ha portato la dottrina ad interrogarsi in merito alla possibilità che le affermazioni contenute in queste pronunce possano essere generalizzate ed estese ai casi di contrasto tra norme interne e qualsivoglia trattato internazionale. Il punto rimane ad oggi ancora oggetto di discussione: degli studiosi affermano che il dato letterale dell’art. 117, comma 1, cost. sia chiaro nel riferirsi a tutti gli obblighi internazionali, senza distinguere; altri studiosi ritengono necessario differenziare quantomeno la posizione dei trattati internazionali ratificati sulla base di un’autorizzazione legislativa e quelli ratificati attraverso fonti subordinate o addirittura in via semplificata. Secondo quest’ultima tesi, solo per i trattati ratificati in seguito ad un’approvazione con legge si applicherebbe il principio in cui alle sentt. nn. 348 e 349 del 2007. Gli altri trattati non potrebbero in alcun modo fungere da norma interposta, perché ciò significherebbe imporre al Parlamento limiti rispetto ai quali questo non abbia avuto modo di esprimersi. Con la sent. n. 120 del 2018, la Corte costituzionale ha per la prima volta esteso il meccanismo appena descritto anche ai rapporti tra le leggi italiane e la Carta sociale europea. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 92 DIRITTO COSTITUZIONALE È un catalogo di diritti sociali che si affianca alla CEDU e ai diritti da questa protetti, e che ha trovato ingresso nel nostro ordinamento per il tramite di una legge. La Corte ha chiarito che anche la Carta sociale funge da parametro interposto ai sensi dell’art. 117, comma 1, cost., presentando spiccati elementi di specialità rispetto ai normali accordi internazionali, elementi che collegano alla CEDU, e della quale costituisce un naturale completamento. Per la Carta sociale europea, non vale quanto la Corte costituzionale aveva affermato riferendosi ai vincoli che discendono dall’interpretazione che della CEDU fornisce la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Carta sociale europea prevede un organismo deputato ad accertare violazioni da parte degli Stati delle disposizioni della Carta sociale europea. La Corte costituzionale ha ritenuto che le pronunce del Comitato, pur nella loro autorevolezza, non vincolano i giudici nazionali nell’interpretazione della Carta. Sez. IX – Le fonti dell’Unione europea 29. INTRODUZIONE: L’UNIONE EUROPEA Dopo la fine della seconda guerra mondiale alcuni Stati europei si resero promotori dell’avvio di un progetto di reciproca collaborazione e integrazione che ha portato all’attuale conformazione dell’Unione europea. L’origine di questo processo volto all’edificazione di un’Europa unita ha conciso con l’adozione del Trattato di Parigi del 18 aprile del 1951 e dei due Trattati di Roma del 25 marzo 1957. Questi accordi hanno subito importanti correttivi e la cooperazione tra gli Stati si è conseguentemente rafforzata. Un cambio di passo si è avuto con l’adozione del Trattato di Maastricht il 7 febbraio del 1992, integrato a quello di Amsterdam nel 1997. Anche la proclamazione di Nizza nel 2000 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nata sotto forma di documento politico, ha sin da subito avuto il merito di aver esteso alla tutela dei diritti umani i confini dell’impegno degli Stati europei, i quali sino a quel momento si erano invece prevalentemente impegnati nella sola costruzione di comuni regole di stampo economico. L’ultimo importante atto del processo di costruzione di questa comunità di Stati europei si è avuto con la sottoscrizione del Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Questo accordo ha comportato un salto di qualità nella fortificazione dell’alleanza europea per due motivi: i. perché ha allargato gli ambiti entro i quali gli Stati si assoggettano a regole comuni; ii. perché ha incrementato il tasso di democraticità dei processi decisionali che conducono alla loro adozione. Il Trattato di Lisbona è sensibilmente intervenuto, riformulandoli, sui Trattati istitutivi, che oggi sono due: 1. Trattato sull’Unione europea à TUE; 2. Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea à TFUE. Ha dato valenza giuridica alla Carta dei diritti fondamentali approvata a Nizza. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 95 DIRITTO COSTITUZIONALE un momento successivo, una volta che un atto legislativo nazionale abbia provveduto a dare attuazione alla direttiva con una disciplina puntuale capace di applicarsi ai casi concreti. Le direttive vanno valutate alla stregua dei loro effettivi contenuti normativi. Si tratta di disciplina sufficientemente chiara, precisa e incondizionata, e in questo caso saremmo in presenza di una direttiva ad effetti diretti. Il cittadino europeo potrà rivendicare nei confronti del proprio Stato il rispetto dei diritti che la direttiva stessa ha previsto a proprio favore. Se la direttiva è priva di effetti diretti perché non incondizionati, al cittadino che stia subendo un danno a causa dell’inerzia del proprio ordinamento potrà essere riconosciuto un risarcimento. Art. 288, comma 4, TFUE à “La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi”. Le decisioni sono atti normativi immediatamente applicabili ma indirizzate solo a specifici destinatari. Art. 288, comma 5, TFUE à “Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti”. Le raccomandazioni sollecitano gli Stati ad orientare le proprie politiche e il proprio diritto verso un obiettivo. I pareri esprimono la posizione degli organi comunitari in merito ad una materia o una questione. Si tratta di atti incapaci di produrre vincoli giuridici, il cui richiamo può essere semmai utile a fini interpretativi. 31. IL PRIMATO DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA NELLA COSTITUZIONE E I CONTROLIMITI I Trattati istitutivi dell’Unione europea sono Trattati internazionali. L’ordinamento comunitario in forza di due previsioni contenute nella Costituzione italiana, si vede riconosciuto uno statuto giuridico del tutto particolare, che gli consente di avere prevalenza sul diritto nazionale. Le norme costituzionali richiamate esprimono la volontà dello Stato italiano di cedere una parte del proprio potere sovrano a vantaggio di questa particolare organizzazione internazionale e del diritto da essa prodotto. Nel 1948 non ne era ancora stato avviato il processo di istituzione. A posteriori, si ritenne di poter ricondurre l’ordinamento dell’UE all’ambito applicativo dell’art. 11 cost. che nella seconda parte stabilisce che “l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favore le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Il Costituente aveva in mente l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ma l’uso delle espressioni in essa utilizzate ne faceva norma di carattere generale in grado di applicarsi anche ad un ordinamento e ad un’organizzazione come l’Unione europea. Un fondamento costituzionale esplicito al primato del diritto UE è ora rintracciabile in Costituzione all’art. 117, comma 1, cost., norma che a partire dalla riforma costituzionale del 2001 ha imposto alla legislazione nazionale e regionale di attenersi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali. La cessione di sovranità disposta dagli artt. 11 e 117 cost., a cui corrisponde il primato del diritto dell’UE, si esplica in modi del tutto peculiari. Non si tratta di riconoscere al diritto comunitario prevalenza rispetto alle fonti del diritto nazionale. DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 96 DIRITTO COSTITUZIONALE Il primato del diritto comunitario si esplica con immediatezza. Laddove si rinvenga un contrasto tra una legge italiana e una norma del diritto UE direttamente applicabile, il giudice dovrà procedere esso stesso alla disapplicazione applicabile della norma interna a vantaggio di quella comunitaria. In alcuni casi la Corte costituzionale ha parlato di non applicazione della norma nazionale, perché il concetto di disapplicazione evoca vizi della norma in realtà non sussistenti, data l’autonomia tra i due ordinamenti, europeo e nazionale. È evidente la differenza rispetto a quanto accade in caso di contrasto tra una legge italiana e gli altri trattati internazionali, di fronte ai quali, il giudice deve sospendere il giudizio e sollevare questione di legittimità costituzionale. Il meccanismo di risoluzione delle antinomie utilizzato per la generalità dei trattati internazionali si applica nei confronti del diritto dell’Unione europea soltanto quando l’antinomia si produca rispetto ad una norma del diritto UE non direttamente applicabile. Il giudice interno non potrà procedere alla disapplicazione della legge nazionale, ma dovrà sollevare questione di legittimità costituzionale per chiederne l’annullamento. È stata la Corte costituzionale, all’esito di un “braccio di ferro” con la Corte di Giustizia dell’Unione europea a ricostruire in questi termini il primato dell’ordinamento comunitario. Nella sent. n. 170 del 1984 il Giudice costituzionale italiano è partito dall’assunto teorico per cui il sistema nazionale e il sistema comunitario sono due sistemi autonomi e distinti, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dai Trattati. Se un atto del diritto comunitario interviene in un ambito di propria competenza la sua prevalenza nell’ordinamento italiano non produce l’effetto di caducare la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. La fonte statale non è invalida e non deve essere annullata dalla Corte costituzionale. Il giudice dovrà disapplicarla e risolvere il caso secondo la normativa riprodotta nell’atto comunitario con la conseguenza che la fonte interna rimarrà vigente nel nostro ordinamento e sarà potenzialmente in grado di applicarsi a fattispecie diverse o a trovare riespansione nel caso in cui l’Unione europea decidesse di ritrarsi dalla materia o di disciplinarla in altro modo. Il meccanismo diretto funziona solo se il diritto comunitario con il quale si riscontri l’incompatibilità sia immediatamente applicabile. Il giudice avrà a disposizione una regola da applicare al caso concreto per definire il giudizio. Se la fonte interna dovesse essere in contrasto con una disciplina comunitaria non direttamente applicabile il giudice non potrà che sollevare questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale, perché eventualmente annulli la fonte legislativa interna. La prevalenza delle fonti del diritto dell’Ue non è illimitata. Esse devono cedere il passo ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano. Se si verificasse un contrasto simile, la Corte costituzionale sarebbe chiamata a imporne il rispetto. Non è possibile che il Giudice costituzionale italiano la sottoponga a diretto scrutinio ed eventualmente le annulli, non avendo la competenza a conoscere fonti esterne all’ordinamento italiano. La via percorribile è l’esperimento di un sindacato di legittimità costituzionale sulla legge italiana che ha dato ordine di esecuzione ai Trattati UE, nella parte in cui essa ha consentito l’ingresso nell’ordinamento della norma UE lesiva di un principio supremo. Una pronuncia della Corte costituzionale che applicasse in concreto la teoria dei controlimiti potrebbe ripercuotersi seriamente sui rapporti tra Italia e Unione europea. Con questa DIRITTO COSTITUZIONALE ANNA ALÌ 97 DIRITTO COSTITUZIONALE consapevolezza il Giudice costituzionale ha preferito tentare prima un’altra strada, sollecitando, attraverso un rinvio pregiudiziale, la Corte di Giustizia dell’Unione europea a adottare un’interpretazione diversa dalla disposizione UE sospetta di ledere il principio supremo della determinatezza in materia penale. A seguito del rinvio, la Corte di Giustizia, pur avendo confermato il significato della disposizione in esame, ha precisato che l’obbligo per il giudice di disapplicare una norma interna in contrasto con la stessa viene meno quando ciò metta in discussione un principio espressivo dell’identità costituzionale dello Stato. La pronuncia ha fatto venir meno le ragioni del contrasto tra l’ordinamento interno e quello comunitario, convincendo la Corte costituzionale a dichiarare non fondata la questione di legittimità sollevata sulla legge di esecuzione e ratifica dei trattati UE. In merito ai doveri che gravano sul giudice comune, la Corte cost. sent. n. 269 del 2017 ha aggiunto un importante tassello, concernente le ipotesi di doppia pregiudizialità, che si verifica quando si prospetta una violazione di un diritto previsto tanto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea quanto nella Costituzione italiana. È un’evenienza possibile, visto che la Carta di Nizza, avendo la conformazione di un catalogo di diritti, presenta un contenuto di impronta tipicamente costituzionale. La Corte costituzionale ha risolto la questione muovendo da una proclamazione di principio chiaramente orientata ad affermare la centralità del proprio ruolo nell’accertamento della violazione dei diritti. Non si è ritenuta adeguata la disapplicazione da parte del giudice, essendo necessaria una decisione della Corte costituzionale, valida erga omnes. In presenza del duplice contrasto di una norma nazionale con la Carta di Nizza e con la Costituzione il giudice non potrà procedere autonomamente alla disapplicazione della disposizione interna, ma dovrà sollevare una questione di legittimità di fronte alla Corte costituzionale. Il principio espresso dal Giudice costituzionale in questa importante decisione è stato confermato in successive pronunce, con alcuni correttivi. La Corte costituzionale è tornata a ragionare della natura del vincolo che grava sul giudice, se cioè questi possa o debba, in casi di doppia pregiudizialità, investire della questione la Corte costituzionale; ha ragionato anche se la stessa Corte costituzionale debba essere chiamata in causa prima della Corte di Giustizia, nell’ipotesi in cui il giudice nazionale abbia dubbi sull’esatto significato di una disposizione europea. Se da una parte le pronunce successive alla sent. n. 269 del 2017 hanno iniziato a parlare di opportunità rimessa al giudice, hanno però ribadito che tale opportunità si giustifica per gli effetti generalizzati prodotti dalle decisioni della Corte costituzionale e perché in questo modo la Corte è messa nella condizione di esprimere la prima parola rispetto a questioni di rango costituzionale, relative ai reciproci rapporti tra diritti fondamentali. I giudici sembrano invitati a dare priorità alla pregiudiziale costituzionale rispetto a quella europea. È una giurisprudenza non ancora “compiuta”, che presenta prese di posizione oscillanti e che potrebbero subire ulteriori variazioni. I giudici dovrebbero tener conto del fatto che è la stessa Corte costituzionale a poter far ricorso, anche nei casi di doppia pregiudizialità, al meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Quello inaugurato con la sent. n. 269 del 2017 è un orientamento giurisprudenziale che non intende rinnegare l’integrazione tra le Carte dei diritti, né l’importanza del confronto tra i giudizi nazionali e il Giudice europeo.