Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

diritto del lavoro progredito professor corti, Appunti di Diritto del Lavoro

appunti diritto del lavoro progredito

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 29/04/2021

ruggi18
ruggi18 🇮🇹

4

(4)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica diritto del lavoro progredito professor corti e più Appunti in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Diritto del lavoro progredito  Lezione 7 ottobre 2020 Informazioni generali del corso (libri, modalità d’esame, frequenza, etc.). corso impartito in dual mode, alcuni frequentano in presenza e altri a distanza, nella stessa identica maniera. Il corso si svolgerà per tutto l’anno in questa modalità. Nella sezione materiali di blackboard vi sono sempre caricate delle slides, di lezione in lezione; e anche il link della lezione registrata. L’esame è diviso in due moduli, ma sono comunque 6 crediti integrali. Comprare il manuale anche perché è fondamentale sia per non frequentanti sia per frequentanti. Modulo A -> diritto del lavoro dell’Unione Europea. Disposizioni di carattere giuslavoristico e le direttive sociali, lasciamo solo via la parte dei rapporti collettivi, e quindi faremo rapporto individuale dell’Ue. Modulo B -> esternalizzazioni. Qua vi sono diversi temi di specializzazione, alcuni percorsi: terzo settore, diritti sociali fondamentali con declinazione specifica al principio di uguaglianza, percorso dedicato ai rapporti lavorativi, la tutela e la sicurezza dei lavoratori. Per quest’anno parleremo di esternalizzazione. Bisogna usare il testo in adozione per il primo modulo, e poi la scelta dell’argomento per il secondo modulo (a lezione verrà fatta esternalizzazione). Questa prima lezione è sicuramente introduttiva, soprattutto di diritto del lavoro dell’unione europea, è una parte indispensabile per alcuni concetti di disciplina sostanziale. Diritto del lavoro protagonista delle dinamiche del diritto dell’unione europea. L’unione europea sorge sull’onda di una serie di fenomeni integrativi che germinano sulle ceneri della seconda guerra mondiali. L’Europa teatro di una guerra drammatica e crudele, il primo impulso delle potenze vincitrici è quello di cancellare la Germania dal contesto continentale -> trasformare la Germania in un paese agricolo. Fortunatamente prevalgono intenti più costruttivi, e prevalgono sia perché le ferite si rimarginano, e sia perché si stavano costituendo due blocchi contrapposti, e gli alleati occidentali compresero che una Germania forte potesse essere un freno alla espansione del Blocco Comunista, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il rapporto tra Germania e Francia sono fondamentali, perché i fenomeni integrativi si sviluppano con presupposti interessanti, come un sistema di difesa dell’Unione Europea. La nascita del Consiglio di Europa, dove viene elaborata e ratificata da un numero elevato di paesi occidentali, la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo. La Carta Sociale Europea. Negli anni’50 si moltiplicano le istituzioni sovrannazionali che intendono sviluppare la collaborazione economica tra gli stati europei occidentali, e qui si formano due poli di aggregazione: - uno, che costituisce il compromesso, una riappacificazione tra Francia e Germania - uno, che nasce in contrapposizione, che nasce nel Regno Unito. Nasce una collaborazione economica che mira alla creazione di un mercato comune, con Germania, Italia, Benelux e Franca -> Ceca Cee e euratom. In contraltare a questi processi integrativi, nasce una collaborazione più light, l’Efta, che raggruppa Regno unito, Svizzera e altri paesi che non si trovavano nelle tendenze integrative più marcate precedenti. Nel 1951 nasce la Ceca -> molto importante perché l’industria pesante era stata quella forse più nazionalista, la base del riarmo bellico della Germania Hitleriana, e quindi il fatto di creare un mercato unico del carbone e dell’acciaio, ci spiega proprio come questa costruzione sia l’emblema di una costruzione di un’Europa diversa. La concorrenza tra Efta e Cee si conclude a vantaggio della Cee, quindi in questa concorrenza tra area di libero scambio e Cee, vince l’organizzazione più ambiziosa, per la creazione di un mercato comune (merci, servizi, capitale e mano d’opera che circolano eliminando i dazi interni e con la creazione di dazi esterni). Questo progetto era economico però, e non politico, perchè si era coscienti che il frazionamento economico dell’Europa aveva causato i mali del nazionalismo e quindi la cosa più naturale era regolare la concorrenza, lasciando intatte le realtà politiche nazionali. Dagli anni’80 si capisce che vi è necessità di modifiche, e di entrare anche nel piano politiche, per eliminare le barriere regolative e non solo quelle tariffarie tra i vari stati. 1986 Atto unico europeo, che mira alla creazione di un mercato interno, dove merci possono circolare in base alle regole dello stato interno -> vengono posti i presupposti per una armonizzazione della circolazione di merci, uomini, servizi e capitale. Modifiche per la politica sociale -> l’Uk entra a metà anni ’70, e questo decreta la morte dell’Efta. La situazione cambia radicalmente con il trattato di Maanscritch -> prevedere un accordo separato a 11 membri, l’’accordo sulla politica sociale, con l’esclusione del Regno Unito. È un accordo che cambia il volto della politica sociale. Viene finalmente creato un meccanismo attraverso il quale la comunità può legiferare in via ordinaria nell’ambito del mercato del lavoro. Questo accordo prefigura dei contratti collettivi europei. Questo trattato è molto noto per l’unione economica monetaria, anche per aver posto i presupposti per il passaggio alla moneta unica. Negli anni successivi si discute molto di politica di occupazione, vera questione fondamentale anche per il tessuto sociale (anni 1991 1993, anni di forte crisi con alta disoccupazione e alta inflazione). Si comincia a varare una nuova strategia per affiancare un pilastro sociale al pilastro dell’Europa economica, cioè la strategia europea dell’occupazione -> idea di un meccanismo per orientare le politiche occupazionali degli stati membri verso indirizzi comuni. Strumento di soft law, quello per il coordinamento delle politiche nazionali, è uno strumento di governance che cerca di coordinare tramite raccomandazioni le politiche occupazionali che involvono così tante variabili, che non sarebbe possibile usare delle direttive. Il passo successivo è il Trattato di Nizza, dove è importante la carta di Nizza, la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, poi il progetto di una costituzione per l’Europa, che però come ben sappiamo fallì miseramente. Si vuole poi riscrivere i trattati europei, con il nuovo trattato di Roma che sarebbe dovuto diventare la carta costituzionale della nuova Europa, qua gli stati euro entusiasti hanno corso un po’ troppo. Questo trattato si scontra con l’ostilità e la mancata ratifica di 2 paesi, Olanda e Francia. Trattato di Lisbona del 2007, qua l’operazione più importante è che la carta di Nizza viene equiparata per valore giuridico ai trattati, quindi nell’articolo 6 viene disposto che la Carta ha un alto valore giuridico. la Carta vincola le istituzioni europee e gli stati membri quando attuano il diritto dell’unione e che nessuna disposizione della carta stessa può essere usata per ampliare le disposizioni dei trattati. Questa Carta ha dei limiti ben precisi: competenze dell’Unione, e dove non c’è non si può usare la Carta di Nizza per fondare un certo diritto. diritto del lavoro progredito  Lezione 14 ottobre 2020 Eravamo rimasti alla efficacia del diritto europeo nel diritto interno -> avevamo concluso sulle principali novità apportate dal famoso Trattato di Lisbona. Evoluzione tramite la corte di giustizia e le corti costituzionali e le corti del diritto interno. Il punto di partenza è la definizione di cosa sia la comunità europea e che cos’è l’Unione Europea. La natura della comunità europea (ue) -> è difficile immaginare oggi l’unione come una costruzione di mero diritto internazionale. Non abbiamo costruzioni internazionali che abbiano un grado di vincolatività degli atti prodotti pasi a quello che caratterizza l’Unione Europea. Come per esempio l’Oil adotta una serie di atti che sono molto vincolanti, come per esempio le convenzioni, anche se non ratificate non sono vincolanti, e possono essere denunciate. Quindi anche la Oil, che è una organizzazione internazionale, non raggiungerà mai i livelli di vincolaviità dell’Unione Europea. Quindi è difficile dire che l’Ue sia una mera costruzione internazionale, ma è talmente particolare che è difficile anche dire ceh sia una costruzione confederale. Ha elementi di entrambi le parti, inoltre sorge comunque da un trattato, che è sicuramente un classico atto internazionale. La sovranità però è ancora degli stati membri. L’interpretazione della corte di giustizia è una costruzione che vede le norme comunitarie al vertice del sistema delle fonti. Sentenze importanti emanate dalla Corte di Giustizia -> Van gend e Loos 1963 e costa vs enel nel 1964. Primato del diritto comunitario nella gerarchia delle fonti. - La corte di giustizia afferma il primato del diritto comunitario tramite il principio dell’effetto utile. Del resto non dimentichiamo la distinzione tra organizzazione internazionale o federale, non è necessario, perché vi sono delle costituzioni come quella francese dove il diritto comunitario ha un primato assoluto. Queste pronunce rimangono sicuramente costanti della giurisprudenza della Corte di giustizia. Abbiamo poi parlato nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento europeo dei differenti effetti dei provvedimenti che costituiscono il diritto eruopeo. Il primato del diritto comunitario è accompagnato dalla efficacia diretta di un sempre più nutrito numero di disposizioni del trattato. Man mano che il periodo per l’attuazione del mercato comune andava esaurendosi, la corte di giustizia affermava sempre più frequentemente che le libertà economiche avevano effetto diretto. Efficacia diretta delle disposizioni del TCE dei regolamenti e delle direttive verticali self executing. Laddove la formulazione del trattato lo consentiva, la corte afferma che le norme di diritto primario hanno effetto diretto. Ciò viene affermato anche per quanto riguarda i regolamenti, che hanno questo effetto sulla base delle disposizioni del trattato, e poi vi è la questione delle direttive -> obbligano gli stati quanto risultato finale ma non quanto al percorso da compiere, che è discrezionale per gli stati membri. Le direttive non dovevanoa vere effetti diretti, ora in realtà la corte di giustizia svolge un percorso anche accidentato, per giungere a conclusioni parzialmente diverse. Il discorso più semplice viene realizzato per le direttive verticali, che abbiano una formulazione particolarmente precise, quelle che vengono definite self executing, cioè non hanno bisogno di una trasposizione perché sono molte chiare. Questa efficacia diretta non si produce quando le direttive quando non siano sufficientemente dettagliate. L’effetto diretto no si produce per direttive orizzontali, qua si impone un problema di affidamento dei terzi, che non vi è nel caso b) Disposizioni provviste di effetti diretti -> parità uomo-donna e impegno a mantenere l’equivalenza esistente in materia di congedi retribuiti (art.120) questa fu una disposizione che ebbe una grandissima fortuna. Negli anni ’70 diventerà chiaro che la veste di questa collaborazione possono essere delle vere e proprie direttive, la base giuridica deve essere attinta all’articolo 100 TCEE, che era quello che consentiva l’adozione di direttive che fossero indispensabili per il corretto funzionamento del mercato comune. Articolo 235 TCEE che prevedeva e che tuttora prevede la possibilità per la comunità europea che potevano emanare regolamenti e direttive a materie estranee a quelle dell’unione, ovviamente l’unanimità. Gli anni ’50 e ’60 -> costruzione del mercato del lavoro interno entro il 1968, l’avvio della FSE; instaurazione di stabili consultazioni con le parti sociali. Questa dead line viene rispettata e con il 1968 la libera circolazione dei lavoratori è una realtà compiuta. In quegli anni vi è una novità che non era prefigurata nei trattati, ed è l’instaurazione di stabili consultazioni con le parti sociali. Il dialogo sociale diviene una caratteristica stabile del panorama comunitario, e si vanno costituendo delle realtà mai viste prima. La crisi che parte dalla fine anni ’60 e decolla negli anni 70 con il primo shock petrolifero, fa da detonatore, e iniziano a diffondersi nel mercato comune dei sintomi di dumping sociale, è emblematica la partecipazione della commissione. - Il programma sociale di azione sociale del 1974 -> all’esito della prima crisi petrolifera e del suo pesante impatto viene varato un progetto ambizioso guidato da 3 obbiettivi: realizzazione del pieno e migliore impiego, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e partecipazione delle parti sociali alle decisioni economiche e sociali della comunità e dei lavoratori alla gestione delle imprese. - Vi furono delle direttive presentate e approvate sulla base dell’articolo 100 TCEE, in materia di parità uomo donna, trasferimenti d’impresa, licenziamenti collettivi, insolvenza del datore di lavoro, tutela della salute con riferimento a rischi specifici, ma anche un fallimento die progetti più ambiziosi. Questo programma ambizioso in materia sociale, che è stato anche approvato dalla commissione, si scontrava con i limiti del trattato, era un vero e proprio statuto non vi era possibilità di ricorre agli statuti nazionali, di altra pasta sono le cose approvate nel 2001. Negli anni ’80 quasi ovunque vanno al governo non solo partiti di destra, ma apertamente liberali se non liberisti, come la Thacher, in Francia, in Germania, un po’ in tutta Europa. L’idea è quella di flessibilizzare il diritto del lavoro, allentare i vincoli e non crearne di nuovi. In questo contesto noi abbiamo un presidente della commissione molto ambizioso, come Jacque Delors, e con riferimento alla prospettiva dell’unione economica e monetaria, il famoso libro Bianco. Atto Unico europeo (AUE) del 1986. La prospettiva è l’unione economica e sociale, il culmine in realtà un po deludente, perché l’atto unico europeo progetta il mercato unico, con ricorso sempre più frequente al principio dello stato di provenienza. L’unica modifica di rilievo è articolo 118 A, introduce l’ambiente di lavoro tra le politiche sociali e si procede con maggioranza qualificata. Questa è l’unica modifica di rilievo iniziale. Articolo 100 A chiarisce che per quanto riguarda i diritti e interessi dei lavoratori dipendenti rimane la decisione all’unanimità. Articolo 118 B formalizza il dialogo sociale europeo, con la possibilità di giungere a relazioni convenzionali -> quindi stipulazione di contratti nazionali a livello europeo. Non è materia del diritto del lavoro, articolo 130 a-e con l’introduzione della politica di coesione economica e sociale. Nel 1989 viene solennemente proclamata la carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali -> varata con l’obiettivo di contrastare la cd. Armonizzzazione negativa, arma spuntata a causa dei suoi effetti non vincolanti. Progetto portato avanti a livello sindacale.  Lezione 21 ottobre 2020 Riprendiamo il discorso riguardante l’evoluzione della politica sociale dell’Unione Europea. Eravamo arrivati a parlare del trattato di Manschritch, che è un punto di svolta della costruzione europea. Già con AUE ci si muoveva verso la dimensione economica monetaria, ma con questo trattato si è data una svolta decisiva per questa direzione. La Germania nel 1989 ottiene la unificazione con il placet dei vincitori alleati, e in cambio offre sull’altare della causa europea quello che era il simbolo stesso, che è il marco tedesco -> la rinuncia della Germania al marco in favore ell’euro fu un grande segnale. Poste le premesse per la unificazione economico e monetaria, ci si focalizza sull’ambito sociale dobbiamo osservare che il bilancio è un po’ più deludente, perché nel trattato di M. non vi è nulla di politica sociale, soprattutto per la volontà della GB. Si approva un accordo della politica sociale per 11 paesi, un vulnus nella governance europea perché difatti si creerà una europa a due velocità in tema di politica sociale.. La retribuzione è una delle materie che si escludono alle competenze Ue, quindi sicuramente per parlare di retribuzione a livello di Ue bisogna far riferimento al giusto documento. Coloro che al momento si oppongono al progetto di salario minimo europeo. - L’accordo a 11 sulla politica sociale (APS) chiarisce che le disposizioni di armonizzazioni sono disposizioni minime, cioè si precisa che gli stati membri sono sempre liberi di adottare disposizioni di maggior favore per i lavoratori. Questo è molto importante perchè rafforza il contenuto concorrente di questa politica. Un altro aspetto molto importante è che non ci si limita più a favorire il dialogo sociale, ma viene reso obbligatorio prima del varo di qualsiasi proposta della commissione. Questo ha 2 sussidiarietà, due ordini di applicazione: quella verticale, gli stati membri possono legiferare in melius, orizzontale, la stessa unione prima di procedere all’armonizzazione deve interpellare le parti sociali. Vi possono essere due strade, o recepite dagli stati membri attraverso gli strumenti di contrattazione collettiva, oppure possono essere recepiti in direttive richieste dalla materia dalle quali le parti si sono verificate. Per affiancare un pilastro sociale a quello economico che viene disegnata dal trattato di M si vara il Metodo Aperto di Coordinamento (MAC) al vertice di Essen 1994 -> si varano i primi orientamenti di occupazione. È un processo di mutual allerning attraverso il quale non si intendono armonizzare i dispositivi legislativi degli stati membri, mentre si cerca di raggiungere obiettivi a livello occupazionale, una occupazione più elevata e di maggior qualità. Siamo all’interno del soft law, e non Hard Law, una legislazione morbida verso obbiettivi. Non si agisce con Hard Law perché questa materia è trasversale. L’idea è di abbandonare lo strumento Hard delle direttive, e provare con uno strumento Soft. Questo strumento ebbe un incredibile successo, perché con il trattato di Amsterdam del 1997 nasce il capitolo occupazionale, ma con il consiglio europeo di Lisbona, questo metodo viene esteso a tutte le principali aree del Welfare. - Aspetti positivi del MAC: capacità di coordinare le politiche occupazionali e di incidere in ambiti nei quali la Comunità non ha competenze, o, dove le ha, non è in grado di esercitarle per il disaccordo tra stati membri - Aspetti negativi del MAC: non è in grado di arrestare la tendenza strisciante verso il regime competition, in quanto non è assistito dagli stessi strumenti vincolanti previsti nell’ambito dell’UEM. Nonostante il metodo aperto di coordinamento abbiamo oggi dei risultati molto scarsi, ci sono molte differenze rispetto ai vari paesi membri, il che risulta assolutamente evidente. È una situazione molto complessa in cui vi è del vero sia negli aspetti positivi, sia negli aspetti negativi. Proseguiamo oltre e ci imbattiamo nel trattato di Amsterdam, anche qua qualcosa abbiamo già detto, vi sono due aspetti rilevanti in materia di politica sociale sono: assorbimento all’interno del trattato CE e inserimento della politica occupazionale in un titolo autonomo, l’ottavo, dove si chiarisce che si tratta una politica di coordinamento. Nel Consiglio Europeo 23 24 marzo 2000 -> strategia di Lisbona, dove si pongono degli obiettivi ambiziosi da realizzarsi entro il 2010, con un ritorno alla piena occupazione e rafforzamento della coesione sociale, in particolare il tasso di occupazione al 70 %. Nel 2000 abbiamo anche l’approvazione della Carta di Nizza, che verrà richiamata articolo 6 TUE e avendo chiarito che siamo nell’ambito di un documento che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. La Carta di Nizza quando nasce è solo una dichiarazione, che contrasta la pomposità con cui viene approvata. Qua confluiscono le idee più nobili ispiratrici delle costituzioni europee, ma rimane solamente una dichiarazione e in prima battuta il suo significato è di riequilibrare la costruzione europea. Questa nasce con un obbiettivo limitato di politica economica, l’ambito sociale rimane a margine, ma con la Carta di Nizza si intende stabilire un quadro di diritti e di libertà sociali che dovrebbero rimettere la costruzione europea in una traiettoria più equilibrata e ambiziosa. Se non vi è una competenza dell’Ue non si applica la carta. La Carta di Nizza contiene un ricco catalogo di diritti sociali, sia individuali, sia a prestazione sia collettivi. Il problema del suo statuto giuridico è stato fine risolto dal Trattato di Lisbona, dopo la drammatica battuta di arresto rappresentata dalla mancata ratifica del nuovo trattato costituzionale europeo (bocciato coi referendum in Olanda e Francia) Il trattato di Lisbona continua il processo di riaccentramento delle politiche sociali che abbiamo visto affacciarsi con la Carta di Nizza. È l’articolo 3 Trattato Unione Europea che ci offre le indicazioni più significative. Con riferimento all’economia dell’unione di parla di ‘’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale’’. Articolo 9 introduce clausola sociale orizzontale TFUE -> nell’elaborazione di ogni politica deve essere considerato l’impatto sull’occupazione e la protezione sociale -> valore giuridico incerto. La lotta alle discriminazioni diventa mainstreaming nell’articolo 10 Tfue, d’altro canto la corte di giustizia ha più volte ribadito che il principio del divieto di discriminazioni possiede efficacia diretta. Arriviamo più o meno ai giorni nostri -> la strategia ‘’europa 2020’’, varata dal Consiglio Europeo nel 2010, ha completamente fallito. Anche grazie alla crisi economico finanziaria. Così vengono posti dei nuovi obbiettivi per una crescita intelligente, sostenibile, ed inclusiva. Si tratta di un aggiornamento degli obbiettivi della Strategia di Lisbona, senza un adeguamento dello strumentario per conseguirli -> nella sostanza rimane sempre il MAC prima citato. È una ricetta molto discutibile, soprattutto l’ambito del rigore di bilancio e di flexicurity -> l’impatto sui sistemi sociali degli stati membri più deboli è devastante, leggasi crisi della Grecia. Se mettiamo assieme il rigore per ricevere aiuti, e la Flexicurity è devastante -> gli spiragli si iniziano a cogliere quando passa la crisi. Nell’ambito del semestre europeo manca l’elemento sociale e la centralità è su due aspetti -> equilibrio di bilancio e gli squilibri macroeconomici eccessivi - Per porre rimedio a queste crisi in seguito a delle sbagliate ricette, venne emanate dalla commissione Junker Il pilastro europeo dei diritti sociali è contenuto in una dichiarazione intergovernativa solennemente adottata dalle principali istituzioni dell’Ue -> venti punti che coprono 3 importanti macroaree: 1) eguali opportunità e accesso al mercato del lavoro, 2) eque condizioni di lavoro, 3) protezione ed inclusione sociale. Come se precisasse diritti già facenti parte dell’acquis europeo, ma ne contempla anche di nuovi. La commissione sta svolgendo tutta la sua attività richiamando i diritti contenuti nel pilastro. Questo pilastro non possiede effetti giuridici vincolanti, ma è vincolante per le istituzioni europee, in particolare per la commissione Modello mediterraneo, modello scandinavo, modello anglosassone e modello dell’Est Europa, sono tutti i vari modelli che vi sono in Europa che hanno sviluppato i vari tipi di Welfare State. - Da un punto di vista storico l’ambito in cui l’Ue ha esercitato i propri poteri è la ‘’libera circolazione dei lavoratori’’ -> ambito sicuramente importante e fondamentale. La libertà è stata quasi subito concretizzata da direttive e regolamenti. Vi sono stati subito rivisti e corretti alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Efficacia diretta delle libertà di circolazione. La libera circolazione dei lavoratori è stata quella che quasi subito si è detto di essere contenuta in una norma immediatamente precettiva del trattato. a) Libera circolazione delle merci b) Libera circolazione delle persone c) Libera circolazione del capitale i) Libera circolazione dei lavoratori autonomi: Articolo 49 TFUE libertà di stabilimento. Articolo 56 TFUE presenta invece la libera prestazione dei servizi, qua con maggiore decisione ci si è mossi per affermare la disciplina dello stato di origine, e non dello stato ospitante. ii) Libera circolazione dei lavoratori subordinati: Articolo 45 TFUE lavoratori subordinati. Libertà di circolazione dei lavoratori subordinati Articolo 45 TFUE -> questa norma è fondamentale, perché dispone l’abolizione di qualsiasi discriminazione sulla base della nazionalità nell’accesso all’impiego e nelle condizioni di lavoro; diritti di ingresso, di soggiorni e di mantenere la propria residenza nello Stato Estero dopo aver occupato un impiego. Inoltre l’efficacia diretta dell’articolo 45 è stata affermata dalla famosa sentenza Van Duyn (CGCEE 4.12.1974, C-41/74). Il diritto derivato è stato emanato per mantenere le libertà di circolazione, e qua abbiamo avuto una notevole produzione da parte dell’Unione Europea. Si parte dal regolamento e dalla direttiva del 1961 -> priorità del mercato del lavoro nazionale. Il regolamento del 1964 -> la priorità del mercato del lavoro comunitario, con clausola di salvaguardia. Poi si passa al regolamento e la direttiva del 1968 -> completamento del quadro legale del mercato del lavoro interno. Oggi si è giunti al regolamento n.492/2011 e la direttiva n.2004/38/CE con la disciplina attuale, e poi il regolamento n.1149 del 2019 -> nascita dell’Autorità europea del Lavoro, che ha il compito di facilitare la mobilità dei lavoratori a livello europeo, quindi è funzionale al grande obbiettivo della libertà di circolazione dei lavoratori subordinati. Le condizioni di accesso al mercato del lavoro straniere sono identiche adesso a quelle nazionali. Il punto di partenza è analizzare il campo di applicazione, perché l’articolo tfue parla di lavoratori, senza chiarire se subordinati o autonomi. Questo ostacolo è facilmente superabile tramite il criterio dell’interpretazione sistematica. Esiste una nozione unitaria di lavoratore subordinato -> questo perché è indispensabile per evitare che gli stati membri possono restringere a piacimento la portata della libertà fondamentale della circolazione (sentenza Unger e sentenza Levin). Un caso emblematico è sicuramente il caso Lawrie-Blum (CG 3.7.1986, C-66/85) -> QUA VENNE STABILITA LA CARATTERISTICA ESSENZIALE DEL LAVORO SUBORDINATO:’’ una persona fornisce, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione. La Corte di Giustizia non si è solo limitata a prevedere una nozione unitaria di lavoro subordinato e di darne i tratti essenziali, ma ha anche assimilato i lavoratori anche i soggetti che non sono proprio lavoratori subordinati: dipendenti del settore pubblico, i lavoratori atipici, gli sportivi professionisti, i disoccupati e lavoratori autonomi, purchè si muovano per accedere a un’attività subordinata e abbiano effettive possibilità di essere assunti. -> la nozione, per certi versi semplificata e anche un poco indefinita, si comprende alla luce della ratio di favorire la libera circolazione, cosicchè nel diritto di soggiorni nello Stato ospitante godono anche i familiari del lavoratore. L’interpretazione della Corte è volta a conferire al diritto di libera circolazione la portata più ampia possibile, proprio per questo abbiamo elencato tutti i vari tipi di lavoratori subordinati aggiunti, che forse non sempre sono lavoratori subordinati. L’approccio della corte è clamorosamente integrazionista, cioè di garantire la massima latitudine nell’applicazione del diritto europeo. Il diritto dei familiari non è un diritto in origine autonomo, soltanto dopo lo diventerà. I contenuti del diritto ex articolo 45, TFUE: a) Divieto di discriminazione nell’accesso all’impiego subordinato in un altro stato membro ( articolo 45.2) -> concretizzazione del principio ex art. 18 TFUE. Articoli 1 e 3 reg. n. 492/2011 -> divieto di discriminazioni dirette e indirette, anche se frutto di prodotti nell’autonomia individuale o collettiva, per esempio il caso Bosnam, no a limiti per calciatori stranieri. Il rilievo della disciplina in materia di riconoscimento dei diplomi e attestati di qualificazione professionale. Qua si tratta di riconoscere le direttive che nel corso degli anni che hanno proceduto a uniformare le regole relative a certe professioni valgono anche per i lavoratori subordinati. Il meccanismo di compensazione europeo tra domanda e offerta, qua vi fu una collaborazione SPI nazionali con ufficio europeo di coordinamento. Il meccanismo non deve compromettere tenore di vita e occupazione nelle diverse regioni e industrie. Per questo importante argomento dobbiamo sicuramente citare la direttiva 96/71 CE. Vi fu un faticoso compromesso tra gli stati esportatori e quelli importatori di manodopera, alla luce dei principi affermati dalla CGCE in Rush Portuguesa. Poi non è uno strumento di armonizzazione dei diritti nazionali del lavoro, bensì di diritto internazionale privato, infatti serve a determinare la normativa giuslavoristica applicabile ai lavoratori impegnati nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi. I criteri di collegamento ai rapporti di lavoro con elementi di internazionalità secondo il regolamento di Roma I -> la legge scelta dalle parti nel contratto; in assenza di scelta l’articolo 8 indica, in via gradata: la legge del paese nel quale il lavoratore esegue abitualmente il suo lavoro. La legge del paese dove si trova la sede dell’impresa che ha assunto il lavoratore. La legge del paese con il quale il rapporto presenta la relazione più stretta. In ogni caso, la legge prescelta dalle parti non priva il lavoratore delle tutele previste dalle norme imperative della legge applicabile in mancanza di scelta. In ultimo luogo dobbiamo citare l’articolo 9 che fa cmq salve le norme di applicazione necessaria, senza menzionarle -> la direttiva 96/71 colma questa lacuna. Lavoratori che vengono distaccati dalla loro impresa mantenendo il distacco dei lavoratori, dove dovrebbe essere applicabile il distacco dei lavoratori. L’eccezione relativa alla legge secondo cui il lavoratore non viene privato delle tutele, ci interessano le norme dove si svolgono le imprese. Questa direttiva ritaglia quindi un compromesso. In particolare la direttiva 96/71/CE è stata successivamente completata dalla direttiva 2014/67, e la completa in senso anti abusivo e infine viene anche direttamente modificata dalla direttiva 2018/957, frutto di una lunga battaglia tra stati esportatori e stati importatori di manodopera. I contrasti sono divenuti ancora più aspri dopo l’ingresso dei paesi dell’est europeo nell’Ue. Il campo di applicazione della direttiva 96/71 nella sua versione originaria era quello dei lavoratori distaccati temporaneamente in un altro paese dell’ue nell’ambito di: - Appalto transnazionale di servizi - Mobilità interaziendale o intragruppo, purchè non venga risolto il contratto con l’impresa distaccante - Lavoro interinale transfrontaliero. Per quanto riguarda le norme che sono applicabili (articolo 3) -> norme di legge, regolamentari o amministrative e contratti collettivi muniti di efficacia erga omnes. In mancanza si può fare riferimento ai contratti collettivi stipulati dai sindacati più rappresentativi, purchè sia rispettata la parità di trattamento tra imprese nazionali e straniere. Procedendo con le materia (articolo 3), importanti aspetti del rapporto di lavoro, per lo più già oggetto di armonizzazione minima a livello europeo (salvo l’importante eccezione della retribuzione) -> periodi massimi di lavoro e minimi di riposo, la durata minima delle ferie annuali retribuite, le tariffe salariali minime, le condizioni di cessione temporanea dei lavoratori, la salute, sicurezza e igiene sul luogo di lavoro, le disposizioni a tutela delle lavoratrici gestanti e madri, nonché die minori lavoratori, e il diritto antidiscriminatorio. Articolo 3.7 -> la direttiva non osta all’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione più favorevoli. Articolo 3.10 -> gli stati membri sono autorizzati ad applicare anche disposizioni relative a materie diverse, purchè si tratti di disposizioni di ordine pubblico. In particolare dobbiamo citare la direttiva BOLKENSTEIN (direttiva 2006/123) dove ci fu preoccupazione per l’ampio utilizzo del principio del paese d’origine, tuttavia la versione finale chiarisce che la direttiva 96/71/CE è esclusa dall’ambito applicativo della Bolkenstein. Il conflitto tra stati esportatori e stati importatori di manodopera si sposta nelle aule della Corte di Giustizia, dove dobbiamo citare il fondamentale quartetto Laval: 1) Laval (CGUE 18.12.2007) -> la libertà di contrattazione collettiva e libertà di conflitto collettivo devono essere bilanciati con le libertà economiche, in particolare la libertà di prestazione dei servizi; i parametri di proporzionalità e adeguatezza si applicano nel processo di bilanciamento. 2) Viking (CGUE 11.12.2007) -> lo stesso principio viene affermato con riguardo al diritto di sciopero in riferimento alla libertà di stabilimento, benchè il conflitto collettivo sia addirittura escluso dalle competenze sociali dell’UE. 3) Ruffert (CGUE 3.4.2008) -> interpretazione restrittiva dell’articolo 3.7 della direttiva. Condizioni di miglior favore o volontarie o dello stato di origine. 4) Lussemburgo (CGUE 19.6.2008) -> interpretazione restrittiva della nozione di ordine pubblico e di tariffe salariali minime. Un sistema di indicizzazione delle retribuzioni all’inflazione, quindi una sorta di scala mobile lussemburghese, che il Lussemburgo pretendeva di imporre alle imprese che distaccavano i propri lavoratori in senso transnazionale. Dobbiamo anche citare la direttiva 2014/67 -> direttiva enforcement perché permette di applicare meglio la direttiva 96/71 e cerca di correggere talune problematiche applicative. I contenuti principali si possono riassumere in 5 punti: 1) Indici di genuinità del distacco per evitare distacchi abusivi come quello rilevato nel Laval. Per verificare ce l’impresa sia effettivamente stabilita nello Stato a partire dal quale viene effettuata la prestazione transnazionale. Il lavoratore non sia impiegato stabilmente nello Stato ospite. Il vero problema è che non siano previste delle sanzioni. 2) Collaborazione tra le amministrazioni statali con funzioni di vigilanza, compresa l’esecuzione transfrontaliera delle sanzioni. 3) Pubblicizzazione delle regole applicabili al distacco transnazionale sui siti web nazionali. 4) Designazione di una persona di contatto che agisce come rappresentante legale del prestatore di servizi. 5) Meccanismo di responsabilità solidale tra appaltatore e sub appaltatore per i crediti salariali tutelati dalla direttiva. Citiamo la direttiva 957/2018. La sentenza ESA su un caso finlandese, dove la finlandia aveva un contratto collettivo esteso erga omnes che aveva una scala salariale differenziata, e la corte di Giustizia afferma che le tariffe salariali minime non sono solo il salario minimo. Poi la sentenza Regio post, con l’ok al salario minimo negli appalti se stabilito dalla legge con riferimento solo indiretto a contratto collettivo. Le modifiche più rilevanti alla direttiva 96/71: 1) Parità di lavoro a parità di retribuzione nello stesso luogo, il concetto di tariffa salariale minima è sostituito dalla locuzione tutti gli elementi costitutivi della retribuzione. 2) Pubblicizzazione mediante il sito web prescritto dalla direttiva enforcement delle voci retributive obbligatorie. 3) Chiarimento del concetto di temporaneità, 12 mesi con possibilità di proroga motivata a 18, dopo di che si applica quasi tutta la disciplina nazionale di diritto del lavoro. 4) Rafforzamento della collaborazione tra le autorità di vigilanza, anche tramite la nuova autorità europea del lavoro.  Lezione 4 novembre La CGUE dice che il distacco transnazionale è il seguire il datore di lavoro in una situazione particolare, e la corte disse allo stato francese di non preoccuparsi, perché non doveva preoccuparsi del dumping sociale. Questione estremamente delicata -> dire che il legislatore francese può imporre la propria legislazione, significa eliminare il vantaggio competitivo degli stati esportatori di mano d’opera. Qua si instaura un braccio di ferro risolto dalla direttiva 96/71/Ce -> applicazione di disposizione del diritto del lavoro e in questo modo si cerca di avvantaggiare il vantaggio competitivo della mano d’opera. Si subisce una torsione considerevole perché laddove la direttiva sembrava lasciar aperta la porta, nega che la possibilità ci sia questo trattamento di favore. Si avvia un’altra lunga sessione di negoziati -> gli stati importatori di mano d’opera vedono la tendenza a favorire gli esportatori di mano d’opera, quindi si avvia una negoziazione che arriva a due direttive che smorzano la direzione presa dalla CGUE: 1) Direttiva Enforcement -> si smorzano gli abusi 2) Direttiva 2018/957 -> nozione di retribuzione Nel frattempo si è sviluppata una giurisprudenza in parte sulla direttiva 71 e sugli articoli del trattato che impatta fortemente sul diritto di contrattazione collettiva e sul diritto di sciopero, che vengono ponderati e limitati. Il giurista italiano ma anche quello di altri paesi non era abituato, era abituato soprattutto in Italia all’idea che si possa intervenire a limitare il diritto di sciopero facendo riferimento alla libertà di impresa. La giurisprudenza in alcune pronunce recenti ha smussato le proprie posizioni rigide, soprattutto sul tema degli appalti. Adesso cominciamo un argomento nuovo, abbandonando la libertà di circolazione e passiamo a occuparci della parte relativa alle condizioni di lavoro e ai rapporti di lavoro. In questo ambito abbiamo delle norme di diritto primario che erano munite di effetto diretto e quindi la giurisprudenza della corte di giustizia ha contribuito in maniera decisiva per definire i contorni e i regolamenti hanno sostanzialmente ripreso la giurisprudenza e l’hanno normativizzata. - Noi ci troviamo in presenza di un capitolo sociale dove troviamo la norma relativa alla parità uomo – donna -> articolo 153 TFUE che permette la adozione di direttive su argomenti che rappresentano la totalità dei rapporti dei lavoro senza darne però una regolazione, quindi abbiamo un articolo che consente al consiglio dei ministri di adottare direttive con riferimento alle condizioni di lavoro, alla protezione dei lavoratori in caso di contratto di lavoro, con riferimento alla parità uomo donna. Si consente al Consiglio di procedere a regolare i rapporti di lavoro, con riferimento ai licenziamenti. Questo articolo non da indicazioni sul comodo, ma da una competenza a provvedere alle istituzioni dell’unione, ma da libertà per il grado di armonizzazione -> questo ha i suoi lati positivi e i suoi lati negativi. Le autorità europee, come la commissione, partono con progetti ambiziosi che vengono progressivamente stoppati e con contenuti molto meno premianti. Il paragrafo 4 di questo articolo dice che le disposizioni non ostano a che uno stato membro prenda misure con maggiore protezione. Stiamo parlando di disposizioni che le istituzioni europee possono adottare con delle condizioni minime. Abbiamo raggiunto una effettività e una regolazione di queste attività relativamente omogeneo, ma per i rapporti di lavoro siamo in condizioni sicuramente invece eterogenee -> mano molto leggera delle istituzioni dell’Ue. Noi ci occuperemo delle direttive sui rapporti di lavoro di tipo speciale, come per esempio la direttiva n.97/81 sul lavoro a tempo parziale; direttiva n.91/383 sulla salute e sicurezza dei lavoratori temporanei; direttiva n. 99/70 sul lavoro a termine; direttiva 104/2008 sul lavoro interinale; accordo sul telelavoro, che è rimasto; regolazione europea del lavoro flessibile. A livello italiano è provveduto con un accordo. Partiamo dall’excursus storico, il primo programma di azione sociale del 1974 presentato dalla commissione si pone obbiettivi ambiziosi su un fronte ampio, e si prevedono interventi nell’ambito del lavoro. L’Unione all’epoca non aveva ancora competenze, con ravvicinamento delle norme. Su quella base legale approvarono i licenziamenti collettivi, la tutela retributiva nei confronti del datore di lavoro incombente. Risoluzione del Consiglio sulla ristrutturazione del tempo di lavoro del 1979 -> si chiede alla commissione di presentare progetti in materia di part time e lavoro a termine -> le due proposte del 1982 sul part time e sul lavoro temporaneo. La carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, che incoraggia la commissione ad agire, e ci furono 3 proposte di direttiva (1990): - Sulle condizioni di lavoro in determinati rapporti di lavoro - Sulle distorsioni della concorrenza in relazione a determinati rapporti di lavoro - Sulla salute e sicurezza dei lavoratori temporanei -> solo quest’ultima ha visto la luce (direttiva 91/383/CEE) All’indomani del Trattato di Maastricht la commissione ha provato a percorrere la via del negoziato tra le parti sociali: accordo sul part time (direttiva 97/81), accordo sul contratto a termine (direttiva 99/70), accordo sul telelavoro del luglio 2002. La direttiva 104/2008 sul lavoro interinale e la direttiva 1151/2019 sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, queste due sono state approvate senza diciamo un ‘’dialogo sociale’’. Il lavoro interinale in Italia è stato introdotto nel 1997, ma una forma speciale era stata introdotta nel 1993 nel settore portuale. In Germania e Francia invece era regolata fin dal 1972, quindi abbiamo avuto un grande ritardo. Le trattative si prolungano moltissimo e si riesce a trovare un accordo incidentalmente, perché vi sono due forme diverse di lavoro interinale, quello tedesco e quello francese. La direttiva 1151/2019 cerca di aggredire il precariato, ed è stata una direttiva che non ha avuto una particolare gestazione, è stata approvata in tempi rapidi, ma come la carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali è stata usata per la programmazione della commissione sulle varie direttive, il pilastro europeo dei diritti sociali nel settembre 2017 a Stoccolma è stato usato per delle direttive innovative come questa. Sottolineando come nel pilastro vi è la condizione di lavoro dignitosa, questa direttiva ricondotta a quel mandato che la commissione ha ricevuto su questo importante argomento. Partiamo dalla direttiva numero 81/97 che recepisce l’accordo del 6 giugno 1997 -> la direttiva è strutturata con una parte iniziale molto sintetica dove si fa riferimento all’allegato, e che questo accordo deve essere recepito dagli stati membri. L’accordo è frutto della negoziazione tra sindacati e confindustria europea. 1) Concetti vaghi, che rilevano il compromesso raggiunto tra le parti. 2) Linguaggio spesso apertamente esortativo, di scarsa pregnanza giuridica 3) Forte influenza della coeva convenzione Oil n.175/1994. Il campo di applicazione della direttiva -> il lavoratore il cui orario normale di lavoro, calcolato su base settimanale o come media su un periodo di tempo fino a un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile. Il lavoratore comparabile (CGUE 1.3.2012, C-393/10, caso O’Brien) -> quello che svolge la medesima attività. Quindi il lavoratore comparabile è quello che svolge la medesima attività, anche senza le ripartizioni giuridiche riferibili a quelle categorie di lavoratori. La definizione di lavoratore part time è molto ampia, ma non può essere arbitrariamente manipolata dagli stati membri. Dobbiamo poi citare i part-timers occasionali e i lavoratori a chiamata, con il caso Wippel CGUE 313/02, dove viene detto che il lavoro a chiamata non è un part time quindi la direttiva non è a loro applicabile. Scelta discutibile perché prima dalla nostra giurisprudenza il lavoro a chiamata viene invece paragonato al lavoro part time -> qua la corte di giustizia, stranamente rispetto alla direzione di integrazione, esclude il lavoro a chiamata dal lavoro part time. Gli obbiettivi e contenuti della direttiva. 1) Promozione del lavoro a tempo parziale -> clausola 5 -> prendere in considerazione la domanda di trasferimento al part time e viceversa. La diffusione di informazione sulle occasioni a tempo pieno e parziale in azienda; misure finalizzate a facilitare l’accesso al tempo parziale a tutti i livelli della gerarchia professionale, e infine l’eliminazione degli ostacoli al part time (CGUE caso Michaeler 56/07) 2) Salvaguardia della volontarietà -> non può costituire valido motivo di licenziamento il rifiuto del lavoratore ad accettare la trasformazione da lavoro a tempo pieno in part time e viceversa (CGUE 15.10.2014, caso Mascellani, C-221/13) 3) Tutela antidiscriminatoria -> i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale. Ci furono diverse attenuazioni-> a) principio del pro rata temporis (adeguamento degli istituti economici alla minore durata del rapporto) , b) trattamenti previdenziali pubblici, c) ragioni oggettive di differenziazione. La giurisprudenza sulle discriminazioni per sesso (cenni) -> questo incide indirettamente sul part-time. Adesso passiamo alla direttiva 91/383 sulla salute e sicurezza dei lavoratori temporanei: La definizione di telelavoro -> ‘’il telelavoro costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione in cui l’attività lavorativa, che potrebbe essere svolta anche nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa’’. È una diversa modalità di svolgimento della prestazione. I capisaldi della disciplina sono principalmente due: la volontarietà e la parità di trattamento. Alcune regolazioni europea del lavoro flessibile. Vi sono alcune principali caratteristiche -> 1) cambio di enfasi rispetto ai progetti originari, dalle tutele previdenziali a quelle lavoristiche. 2) fonti negoziali di enunciazione di principi generali, formule spesso esortative -> una sorta di Soft Law, che rischia di legittimare il dumping sociale. Rischio in parte evitato grazie all’approvazione della direttiva n.2019/1151 sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili. Direttiva n.91/533/CEE Questa direttiva sugli obblighi di informazione al lavoratore è il primo frutto della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, nonostante il carattere non vincolante, la commissione utilizza la Carta con successo per far avanzare il diritto sociale europeo. Questa direttiva stabilisce a livello comunitario un obbligo di informazione sugli ‘’elementi essenziali’’ del contratto di lavoro subordinato -> sono diversi dai soliti e classicissimi elementi essenziali pensati e organizzati secondo il diritto civile e privato. Il campo di applicazione è che qualsiasi lavoratore subordinato ritenuto tale dalla legislazione degli stati membri. Le esclusioni consentite agli stati membri sono però numerose -> rapporti di lavoro a orario ridotto, rapporti di breve durata, rapporti di carattere occasionale, purchè l’esclusione sia giustificata da ragioni oggettive. Vi sono delle particolari caratteristiche dell’informazione (articolo 3) -> non oltre due mesi dall’inizio del rapporto di lavoro, forma scritta, consegna di copia del contratto di lavoro o della lettera di assunzione, periodica, obbligo di comunicazione scritta di ogni cambiamento degli elementi essenziali sopra menzionati -> informazione entro un mese. La direttiva lascia impregiudicate le disposizioni nazionali in materia di forma e prova del contratto di lavoro. La CGUE ha però ritenuto che l’informazione della direttiva n.91/533 abbia almeno la valenza probatoria cui il datore può opporre prova contraria, e la sentenza è del 1997 n.258/96, Kampelmann. In Italia l’adeguamento è avvenuto con il d.lgs.n.152/1997. La direttiva è stata oggetto di revisione nel 2017 e si è segnalata la necessità di aggiornamento, anche alla luce della proliferazione di forme di lavoro flessibile. La direttiva n.2019/1152/UE è stata dunque approvata nell’estate del 2019, e ha conseguentemente abrogato la direttiva 91/533/CEE. Questa direttiva è stata approvata abbastanza celermente. Questa direttiva è frutto del Pilastro sociale europeo varato a Stoccolma, il 17 novembre 2017 -> non si limita a sviluppare e perfezionare, ed ha una prima parte che riprende la 533 ma vi è in più un Capo III che parla di prescrizioni minime delle condizioni di lavoro, quindi non abbiamo solo un aggiornamento della direttiva 533 ma abbiamo una aggiunta molto significativa di uno zoccolo duro di diritti. Questa direttiva non si limita a perfezionare, ma introduce il Floor of rights, che giova particolarmente ai lavoratori più precari. Il campo di applicazione di questa direttiva è quello che si applica ai contratti e rapporti di lavoro, si sensi del diritto, dei contratti collettivi e delle prassi degli stati membri, tenuto conto della Giurisprudenza della Corte di Giustizia -> si richiama la giurisprudenza in materia di libera circolazione dei lavoratori subordinati. Nel considerando si includono a mo’ di esempio anche i lavoratori domestici, a chiamata e intermittenti, lavoratori con i vouhers, lavoratori tramite piattaforma digitale, apprendisti tirocinanti e falsi autonomi. Vi è una serie di esclusioni ancora consentite dagli stati membri, lavoratori part time brevissimi (< di 12 ore al mese) e determinate categorie di dipendenti pubblici (ma solo con riguardo ai minimi previsti dal capo III della direttiva. Il contenuto degli obblighi di informazione si è arricchito rispetto alla direttiva 533/91/CEE e dobbiamo fare riferimento all’articolo 4 della direttiva riformatrice. In questo caso devo guardare le slides dove vi sono tutta una seire di punti da imparare dalla a) alla P. la programmazione è variabile, e se vi è un ammontare di ore di lavoro garantite ai lavoratori, questa previsione è tratta dall’ordinamento tedesco. Le fasce di reperibilità e il preavviso minimo con cui il lavoratore intermittente e a chiamata per svolgere le loro prestazioni. I diritti minimi che sono contenuti nel capo III -> possono essere derogati dai contratti collettivi purchè sia rispettato il livello generale di protezione dei lavoratori: 1) Limite massimo del patto di prova a 6 mesi, salvo eccezioni giustificate dalla natura del lavoro o dall’interesse del lavoratore; nel caso di contratti a termine, il patto di prova deve essere proprozionato alla durata del rapporto. Principio che la giurisprudenza italiana aveva già indicato prima che fosse sancita la direttiva. Articolo 8 2) Divieto di clausole di esclusiva o incompatibilità, con eccezione di quella giustificate da ragioni obbiettive (esempio la tutela della salute e sicurezza, riservatezza, integrità del servizio pubblico, orevenzione di conflitti di interessi). Articolo 9 3) Lavoratori a chiamata (orario di lavoro interamente o in gran parte variabile) -> a) le fasce di reperibilità predeterminate; b) preavviso ragionevole in funzione delle esigenze del settore interessato. Se una di quueste due condizioni non è soddisfatta, il lavoratoro può rifiutare la chiamata senza pregiudizio. Se il datore revoca la chiuamata oltre un termine ragionevole, il lavoratore ha diritto a un compenso adeguato. Articolo 10 4) Limiti agli abusi dei contratti precari -> limiti all’uso o alla durata di tali contratti; presunzione di contratto con numero garantito di ore retribuite sulla base della media delle ore lavorate interamente. Articolo 11 5) Diritto di richiedere dopo 6 mesi di servizio un impiego con condizioni di lavoro più prevedibili e sicure, con risposta scritta e motivata entro in mese. Articolo 12 6) Diritto a formazione senza costi e computata nell’orario, qiando questa sia richiesta dalla legislazione nazionale o europea. Articolo 13 Passando all’Enforcment (capo IV) -> violazione dell’obbligo di informazione, il lavoratore deve poter sporgere denuncia a una autorità competente, con possibilità di ricevere rapidamente un rimedio adeguato o di godere di una presunzione favorevole. Violazioni in genere -> diritto di ricorso a un meccanismo di risoluzione delle controversie efficace e imparziale. Tutela del lavoratore che ha denunciato violazioni dalla direttiva da ogni conseguenza sfavorevole, una particolare tutela con riferimento ai licenziamenti e ad altri pregiudizi di effetto equivalente.  Lezione 18 novembre 2020 ‘’Le condizioni di lavoro, dall’informazione agli standard minimi’’ è dove ci eravamo lasciati, e parte la lezione con una rapida carrellata su quello che abbiamo trattato precedentemente. Ricordiamo la direttiva n.91/533/CEE -> contenuti essenziali del contratto, e notare bene che sono diversi da quelli classici degli schemi civilistici, vi sono molti contenuti essenziali del contratto, che sono tutti i vari ambiti di un lavoro. Questa direttiva copre qualsiasi lavoratore subordinato secondo il diritto degli stati membri. Le esclusioni consentite agli stati membri sono però più numerose. Direttiva va comunque quindi a intervenire, con un punto delicato assieme alla leggerezza degli obblighi, che sono solo degli obblighi di informazione. Il contenuto dell’obbligo di informazione posto in capo al datore di lavoro -> riguarda gli elementi essenziali del rapporto di lavoro (articolo 2). Sentenza Lange, non è un elenco tassativo, obbligo di informazione con riguardo a una clausola in forza della quale il lavoratore era tenuto a prestare lavoro straordinario a domanda. Il legislatore italiano con il decreto legislativo ha recepito questa direttiva, il recepimento è stato sostanzialmente corretto e l’adempimento dell’obbligo di comunicazione è possibile o fornendo al lavoratore della comunicazione telematica dell’assunzione, dove vi sono tutte queste informazioni, oppure consegnando copia del contratto di lavoro che contenga tutte queste informazioni. Continuazione Encorcement (Capo IV), un mega riassunto della lezione precedente, anche con la seconda direttiva appunto sopra citata. Piano della lezione (PARITà E NON DISCRIMINAZIONE) - Evoluzione storica - Parità retributiva - Parità delle condizioni di lavoro Fondamentale è la conoscenza del diritto europeo, in riferimento anche all’ordinamento interno. Vediamo appunto che parleremo, per due lezioni, al diritto anti-discriminatorio e alla parità di trattamento, perché è un argomento molto ricco, un argomento che si sviluppa dall’unico articolo presente nel trattato di Roma articolo 119, dove viene arricchito in maniera importante dall’opera normativa della Ue. Partiamo subito quindi dalla evoluzione storica: - Principio di parità e non discriminazione è presente fin dal trattato di Roma, articolo 119 TFUE. Si trattava di un’eccezione nel contesto del capitolo sociale, che trovava però ancora spiegazione in termini economici (evitare il dumping sociale) - Ora il principio di eguaglianza di trattamento e di opportunità è espressamente riconosciuto come principio generale ispiratore dell’Europa sociale -> articolo 3, paragrafo 4, Tfue. Bisogna controllare elenco sulle slides per la cronologia degli interventi normativi. La Francia aveva insistito per l’inserimento di queste due norme di programma sociale. Articolo si staglia nel capitolo sociale per una sensibilità maggiore rispetto alle altre disposizioni. Questo principio di eguaglianza di trattamento e di opportunità è diventato un principio di diritto dell’Unione Europea, intanto lo ritroviamo tra i principi generali ispiratori del diritto sociale. Articolo 8 TFUE e ovviamente nel paragrafo III carta diritti sociali Ue, principio generale di diritto dell’Unione Europea, ha un ambito di applicazione immediato e diretto, e la Corte di Giustizia quando si trova davanti a questo principio, tende a dilatare molto le competenze dell’Unione. Principio che consente all’unione che si spinge in ambiti dove le competenze non ci sono o non sono state esercitate. Articolo 119 del Trattato di Roma riguarda solo il principio di parità retributiva. L’Ue non ha competenze in materia di parità di trattamento ma solo per la parità retributiva, si prevede solo l’affermazione della parità retributiva, non prevede una competenza per sviluppare in altre direzioni, la prima direttiva 117/75 -> parità retributiva. Articolo 235 del trattato di Roma. Direttiva 79/7 -> sicurezza sociale. Nel 1986 anche sulla scorta di una giurisprudenza che andava sviluppandosi da parte della Corte di Giustizia si approva la direttiva 86/378 sulla previdenza integrativa. Direttiva 86/613 -> parità tra lavoratrici e lavoratori autonomi, ci si sia spinti anche in ambito di lavoro autonomo. Filone anche della attenzione per quanto riguarda le condizioni tra lavoro e altri aspetti della vita sociale, quindi la disciplina dei congedi parentali, direttiva 96/34. Il salto di qualità nel 2019 con la direttiva 158. Con il trattato di Amsterdam si verifica un altro passaggio in avanti, dove viene introdotto articolo 13 TCEE, ora articolo 19 TFUE che prevede un ampio riconoscimento del principio di parità, con estensione dei fattori di discriminazione oltre a quelli basati sul sesso -> razza e origine etnica, la religione, le convinzioni personali, l’età, e la tendenza sessuale. Sono tutti fattori che se basate sulla decisione sulla persona, hanno effetto di ledere la personalità della persona. Continua un lunga elencazione di quelle che sono tutte le direttive trattate. Il diritto sociale europeo era fermo da un po’, ma il 2019 è stato un anno sicuramente molto importante per quanto riguarda le direttive e quindi di Hard Law. Partiamo parlando della parità retributiva, l’originario articolo 119 Trattato di Roma prevedeva solo il principio di parità retributiva, solo successivamente, con i trattati di Amsterdam e Lisbona, l’attuale articolo 157 TFUE stabilisce anche una apposita base giuridica per l’adozione di direttive in materia di pari opportunità e parità di trattamento in materia di occupazione di impiego. In origine duplice ratio -> - Evitare forme di concorrenza nel mercato comune basate sulla sotto retribuzione del lavoro femminile - Miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (articolo 117, Trattato di Roma, ora articolo 151, Tfue). L’articolo 157, paragrafi 1-1 Tfue: 1) Ciascun stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. 2) Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso implica: a) Che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura b) Che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro. Il principio di parità, sancito dall’articolo 157 Tfue ha l’indiscusso valore di principio fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’Ue. L’efficacia diretta, anche nei rapporti interprivati dell’articolo 119, è stata riconosciuta dalla CGCE molto presto, già nel caso Defrenne II -> quindi siamo nel 1976, agli albori del diritto comunitario, e già la corte di giustizia usa articolo 119 dicendo che ha applicazione diretta nei rapporti inter privati. La direttiva n.75/117, ora consolidata nella direttiva 2006/54 -> integrazioni rispetto alla disposizione del trattato: infatti il punto di riferimento della parità della retribuzione non è soltanto il lavoro uguale, ma piuttosto il lavoro di uguale valore. Tutti i sistemi di inquadramento devono utilizzare i criteri comuni per i lavoratori dei due sessi. Previsione della sanzione di nullità per tutte le norme discriminatorie di carattere legale, regolarmente e contrattuale. Obblighi strumentali in capo agli stati membri -> soppressione delle disposizioni contrastanti, garanzia di accesso al giudizio per i lavoratori discriminati, protezione contro i licenziamenti ritorsivi e adeguata informazione ai lavoratori sui contenuti della direttiva. Vediamo ora come si è evoluta la giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di parità retributiva -> a) L’applicabilità del principio non è subordinata all’esistenza di un sistema di inquadramento, poiché l’equivalenza di mansioni può essere dimostrata con ogni mezzo (CGCE, Commissione contro Regno Unito) b) L’equivalenza delle mansioni è presupposto necessario per l’applicazione del principio -> non vi è spazio per la presunzione di minor produttività del lavoro femminile. c) La comparazione può essere fatta con un lavoratore concreto, anche impiegato precedentemente, ma non con un lavoratore ipotetico (CGCE, Macarthys), si tratta di un problema rilevante soprattutto per quei sistemi che conoscono inquadramenti aziendali. d) È sempre necessario che vi sia un soggetto ‘’responsabile’’ della diseguaglianza -< no se la diseguaglianza è tra lavoratrici dell’appaltatore e lavoratori del committente (CGCE 2002, Lawrence), o lavoratrici interinali e lavoratori diretti (CGCE 2004, caso Allonby). I casi britannici sono molto diffusi in questo argomento. Deve esserci un soggetto unico della diseguaglianza. A un certo punto il legislatore italiano per favorire i fenomeni di esternalizzazione, come con la legge Biagi, con processi di decentralizzazione ha stabilito che la disciplina del trasferimento di impresa trovasse applicazione anche nel caso in cui l’entità economica organizzata fosse identificata al momento del trasferimento, mentre come sabbiamo dalla sentenza Spykers in poi l’entità economica organizzata viene identificata prima del trasferimento e conserva la propria identità anche dopo essere stata trasferita. La giurisprudenza italiana ha segnalato il contrasto. Nella testa dei giudici la direttiva prevede delle condizioni di maggior favore, il legislatore italiano ha deciso di applicare il trasferimento d’impresa anche quando non c’è, l’importante è non restringere il campo di applicazione della direttiva europa, non è un problema se lo allarghi. - Caso Esabe dove la Corte di giustizia rileva come nell’ordinamento italiano l’articolo 2112 c.c. è quello della successione soggettiva nell’ambito dei contratti, dove entrambe le parte devono essere d’accordo. La tutela individuale dove si dice che la continuazione dei diritti e facoltà lasciata agli stati membri di stabilire forma di responsabilità solidale tra cedente e cessionario. L’opposizione del lavoratore è possibile se si contensti la fattispecie del trasferimento d’impresa, cosa che si fa sempre quando si dice che non vi è una entità economica che passa. La direttiva è meno generosa del legislatore italiano perché si limita a 1 anno la sopravvivenza del contratto collettivo. Clausole di rinvio dinamiche, dove si fa riferimento a un contratto collettivo. Queste clausole sopravvivono? È possibile che qua la corte di giustizia della sentenza Asklepios ha introdotto un elemento che la dottrina ha colto con un certo sospetto e timore -> la CGUE fa un discorso in cui si ispira anche alla Carta dei diritti Fondamentali per dire che la disciplina del trasferimento d’impresa si inserisce in un contesto di lavoratori, dove vi è l’articolo 16 per il diritto d’impresa. Immaginare che un datore di lavoro sia vincolato ab eterno a una clausola che lui non ha voluto, a seconda del tipo di clausole sono diverse le sentenze, le clausole vengono accettate o rinegoziate. Quindi ne relativizza l’efficacia. Non c’è un obbligo di addivenire a un accordo, non sono una semplice informazione, con l’obbiettivo di raggiungere l’accordo. Qua stranamente non abbiamo una grande produzione giurisprudenziale, nel nostro ordinamento quando c’è un obbligo di trattare abbiamo sempre l’attivazione di buona fede e correttezza come obblighi accessori.  Lezione 17 febbraio 2021 Le direttive sui contratti di tipo flessibile lasciano molto spazio, e si collocano un po sul vagone più lento dei coinvoglio -> la scorsa legislatura del parlamento europeo è stata particolare e si è vista la revisione della direttiva sui congedi parentali, una direttiva sulle condizioni di lavoro. Crisi che sta spingendo la commissione a proseguire per la strada della direttiva sul quadro comune relativa alle direttive sui salari unici. Direttiva sull’articolo 153, dove la retribuzione compare per le materie escluse ddall’armonizzazione, la commisisone si è difesa dicendo che si faceva riferimento alle condizioni di lavoro, ma dal punto di vista sistematico. Se andiamo a ascorrere la direttiva -> direttiva che assomiglia molto a una raccomandazione, si dice agli stati membri che possono tenersi la contrattazione collettiva oppure stapibile un salario minimo legale. Si indicano i requisiti per il salario minimo legale -> si dice che gli stati membri devono favorire la contrattazione collettiva. Gli stati membri si devono attivare quendo gli stati di copertura siano superiori al 70 % -> direttiva che sembra quasi una raccomandazione. I due strumenti sono complementari, il salario minimo o la contrattazione collettiva superiore al 70 & sono sdue strumenti complementari, ma alcuni paesi per esempio dell’est europeo. Come tutto il semestro europeo è imperniato sulla governance -> viene messa tra parentesi la strategia europea sull’occupazione. Articolo 153 dice che il diritto del lavoro degli stati membri resterà sempre il perno della regolamentazione del lavoro -> ci sono praticamente solo direttive per le applicazioni menzionate. Rimame poco agli stati nazionali, il poter conformare lo stato sociale secondo le proprie tradizioni è probabilmente ciò che caratterizza gli stati nazionali -> nel medio periodo non ci saranno grosse differenze. Proseguiamo con l’esame delle crisi di’impresa e possiamo passare a considerare i licenziamenti -> qua, prima di esaminare il diritto vigente che è contenuto nella direttiva sui licenziamenti collettivi, spendiamo parole sui licenziamenti individuali-> articolo 153 TFUE consente all’unione di intervenire in materia di protezione contro i licenziamenti, però qua si vede la cautela degli stati membri sul punto, necessaria decisione con uninanimità del consiglio dei ministri. La protezione contro i licenziamenti è quella dove vi deve essere decisioni unanime. Diritto anti discriminatorio, li già nelle direttive, gode di efficacia diretta -> divieto e parità. In materia di congedi si prevede una tutela rafforzata, addirittura deve essere il datore di lavoro che vi debba essere una tutela diversa, il legislatore europeo non dice la sanzione, anche se delle sanzioni devono essere effettive proporzionate e dissuasive. Divieti di licenziamento che nel nostro ordinamento sono state introdotte con nullità dello schema imperativo. Nel diritto dell’ue dove non vi è una direttiva sul licenziamento individuale, non si prevede che sia un progetto aperto, e poi abbiamo l’articolo 30, fenomeno curioso per cui non solo con riferimento ai licenziamenti, noi abbiamo. Un diritto sulla carta che poi non ha attuazione -> articolo 30 Carta dei diritti fondamentali dell’UE ->’’ogni lavoratore ha il diritto contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell’unione e alle legislazioni e prassi nazionali’’. Sentenza molto significativa e recente è la sentenza del caso BALGA s.r.l. -> lìordinanza della corte di giustizia del 4 giugno 2020, dove si dice sostanzialmente che la questione riguardava un licenziamento collettivo, effettuato in italia dove un lavoratore era stato assunto dopo il 7 maggio 2015 -> violati i criteri di scelta, e il giudice si pone il problema, se dalla violazione dei criteri di scelta, deriva che illavoratore avrà diritto a una tutela identitaria. Il giudice manda la questione alla corte di giustizia chiedendo se questa disparità di trattamento sia conforme alla direttiva sui licenziamenti collettivi e all’articolo 30 -> qua la corte è ineccepibile nella sua risposta -> la Corte dice che la direttiva sui licenziamenti collettivi non si applica, perché i criteri di scelta sono totalmente estranei. L’articolo 30 non si applica perché la competenza non c’è. Non si applica articolo 30 dove la questione è solo legata alla competenza dell’unione che è stata esercitata. La direttiva non si occupa del criterio di scelta. Articolo 30 rimanda all’unione -> è chiaro che non si parla del diritto Ue, quindi articolo 30 non si applica. A questo punto abbiamo capito che l’articolo 30 è poco utile fino a che non vi sarà una attuazione da parte del legislatore europeo, passiamo a quello che abbiamo, cioè la direttiva sui licenziamenti collettivi -> aschema proprio della direttiva del trasferimento d’azienda. I problemi segnalati di riallocazione burrascosa dei fattori produttivi, avveniva prevalentemente tramite lo strumento dei licenziamenti collettivi. Nel 92 con la direttiva 56 c’è un intervento colelttivo sulla direttiva 129 che tiene conto anche delle pronunce delle corti di giustizia. Perché questo livello così basso di armonizzazione? Fin dagli anni ’70 le direttive in materia erano polarizzate, c’erano ordianmenti molto tutelanti, quelli fondatori per esempio francia benelux italia etc. in germania vi era obbligo di adozione di un piano sociale, in olanda obbligo di autorizzazione amministrativa, in Belgio una disciplina tutelante, e in Italia non avevamo nulla nella legge, ma avevamo degli accordi interconfederali, che si occupavano dei licenziamenti colletivi. La materia dei licenziamenti collettivi non è regolata dalla legge 604. I capisaldi dell direttiva sui licenziamenti colelttivi. I capisaldi della direttiva 98/59: A) La fattispecie: si divide in elemento qualitativo: licenziamento plurimo per motivi non attinenti la persona dle alvoratorie ed elemento quantitativo. Vi sono delle esclusioni del campo diapplicazione: contratti a termine, pubblico impiego, equipaggi di navi marittime. I famosi accordi interconfederali non prevedevano dei limiti numerici, perché dettavano una nozione di licenziamento collettivo, ma per licenziamento per riduzione del personale, usavano un criterio qualitativo. Al licenziamento vanno assimilate anche altre forme di risoluzione del rapporto a iniziativa del datore di lavoro, purchè i licenziamenti in senso stretto siano almeno 5. Il licenziamento colelttivo è quello per recesso di contratto a tempo indeterminato, il pubbligo impiego -> la nozione di pubblico impiego per il legislatore europeo è più ristretta rispetto a quella che abbiamo noi. Come abbiamo visto in quella sede, il welfare e quelle attività che potrebbero essere svolte in regime di mercato, sono incluse nell’ambito di applicazione delle direttive. B) Le tutele: vi è una famosa procedura di informazionee consultazione -> l’obbligo di informazione è disegnato in termini molto ampi, cioè fornire tutte le informazioni utili e comunicar eloro, comunque, per iscritto: le ragioni del progetto del licenziamento, numero e le categorie dei lavoratori da licenziare etc.. La consultazione deve esaminare almeno la possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti collettivi nonché durante di attuarne le conseguenze. Si tratta di un obbligo a trattare, non a contrarre. Gli obblighi di informazione e consultazione non possono essere influenzati dalla circostanza che l’impresa appartenga a un gruppo. L’informazione e consultazione sono perfettamente paralleli, inteso tra gli argomenti di trasferimento di impresa e di licenziamento collettivo. Sentenza interessante relativa al momento in cui la consultazione è in stato di essere. Principio dell’effetto opposto, cioè l’obbligo di informazione qui come in caso di trasferimento di azienda è il principio per cui l’informazione deve avvenire in tempo utile per poter ancora condizionare la scelta datoriale. Qualcuno ha scritto sul manuale che quella del datore di lavoro è una sorta di responsabilità oggettiva, la circostanza che il datore di lavoro appartenga a un gruppo, non serve a giustificare il fatto che non stati rispettati obblighi di informazione. Tecnicamente non è una responsabilità oggettiva, ma rimane il fatto che il datore di lavoro non può addurre questa circostanza. Intervento mediatorio dell’autorità pubblica competente -> il licenziamento non ha effetto se non decorsi 30 giorni dalla comunicazione datoriale all’autorità pubblica competente, ma gli stati membri possono far accordare la facoltà di prolungare o accorciare il termine.  L’enfasi sul piano sociale, anche se nessun vincolo è posto in proposito, la direttiva non ha invece accettato l’idea della autorizzazione amministrativa, negli anni’70 in vigore in Francia e nei paesi Bassi.  Lezione 24 febbraio 2021 Inizio secondo modulo del corso. Ci occuperemo del macro/argomento delle esternalizzazioni -> sono quelle strategie attraverso le quali l’impresa cerca di acquisire all’esterno alcuni servizi o prodotti indispensabili per lo svolgimento della propria attività. Tecniche attraverso le quali l’azienda riacquista sul mercato delle fasi del ciclo produttivo che in precedenza erano realizzate all’interno dell’impresa. Ronald Coase scrisse negli anni ’30 un lungo saggio che porta il titolo di natura dell’impresa. Questo autore ha dato il via ad alcuni studi -> ha inaugurato una specie di studi economici, il neo-istituzionalismo. La scoperta più interessante di R.C. è quella dei costi di transazione. Il punto di partenza di C. è cercare di capire perché nel mercato esistono le cosiddette istituzioni, e tra quelle più importanti pone proprio l’impresa. La risposta che trova Coase sta nei costi di transazione -> il mercato reale, non funziona così, ogni volta che un soggetto va sul mercato, ha dei costi per effettuare la sua transazione. Coase a un certo punto fa riferimento proprio al lavoro subordinato. l’impresa serve proprio per risparmiare i costi di transazione. Si sostituisce un criterio gerarchico. Io assumo il lavoratore, questo mette a mia disposizione la sua collaborazione lavorativa, e io la dirigo dove mi serve. L’impresa sostituisce ai rapporti di mercato dei rapporti gerarchici che costano meno e questo spiega l’impresa. Esistono anche i costi di organizzazione. Quelli di transazione sono quelli che ci sono sul mercato. È chiaro che esaminando da un punto di vista economico. L’impresa si sviluppa perché gli conviene produrre all’interno -> i costi di organizzazione a volte superano quelli di transazione. Non conviene più continuare ad allargare l’impresa, conviene ritornare al mercato, e fare il procedimento inverso. La domanda spontanea è quella di quando i costi possono diventare superiori ai costi di transazione? Anche il diritto del lavoro potrebbe essere un motivo del perché i costi di transazione diventano così importanti e prevalicanti rispetto a quelli di transazione. La mano d’opera è diventata costosa -> potrebbe verificare fenomeni di esternalizzazioni, ritorno al mercato. Questo è il quadro dove si innesta il ragionamento sulle esternalizzazioni -> tema che sfida sempre di più il diritto del lavoro e le categorie. Tema sotto diversi profili -> lo esamineremo sotto il profilo classico. Esamineremo una parte delle esternalizzazioni a volte poco studiata -> lavoratore singolo, come il lavoro a domicilio. Tutela delle condizioni di lavoro nell’abito delle catene internazionali di lavoro. Ci sono ambiti in cui già ci sono alcune tutele a livello internazionale. Per esempio negli accordi bilaterali commerciali. Ci occuperemo innanzitutto del diritto internazionale -> convenzioni dell’OIL. Italia ha ratificato una convenzione sulla eliminazione delle molestie sui luoghi di lavoro. Convenzione molto importante che abbiamo recepito velocemente. Ruolo giocato dalla corte di giustizia della CE per lo smantellamento dei divieti. - Il ruolo dei privati nelle Convenzioni dell’OIL -> convenzione 2/1919, obbliga gli stati a creare un sistema di collocamento pubblico gratuito. Il primo passo non è quello di eliminare i soggetti che realizzano la mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Creare un canale alternativo che offra ai lavoratori una alternativa rispetto alla collocazione a pagamento. Raccomandazione 1/1919, impone gradualmente l’abolizione delle agenzie for profit. Convenzione numero 34/1933, fissa il termine di 3 anni per lo smantellamento delle agenzie for profit. Convenzione n.96/1949 lascia la scelta agli stati tra monopolio e regolazione delle agenzie for profit. Rapporto OIL 1994 su agenzie private -> modello misto cd. Di coesistenza attiva. Convenzione n.181/1997, legittima pienamente le agenzie private, salvo regolamentazione. L’articolo 1 è fondamentale, lettera A mediazione, lettera B, lavoro interinale attività aperte ai soggetti privati. Articolo 2 è quello che per un verso ci dice della libertà che viene attribuita ai soggetti privati e non statali. Articolo 2 consente di vietare l’attività dei privati ma solo selettivamente. Devono essere garantite delle condizioni. Gli articoli 4 e 5 vietano le discriminazioni da parte delle agenzie private Raccomandazione n.188/97 sul rapporto pubblico privato. Il rapporto si instaura formalmente tra il caporale e il lavoratore. Questa figura ha evidentemente il compito di alleggerire l’impresa dei costi di gestione della mano d’opera. Figura patologica -> utilizzata perché il caporale è un soggetto incapiente e nel momento in cui l’impresa che lo ha incaricato di assumere il lavoratore decide di disfarsene, questi ultimi non sanno come essere soddisfatti. Due figure patologiche, la mediazione perché il soggetto che mette in contatto datore di lavoro e contatto. Nella fase iniziale in cui il mercato del lavoro si struttura, sia la mediazione sia la interposizione sono molto presenti, mentre quest’ultima è sempre un fenomeno negativo. Nella permanenza del collocamento viene consentito il lavoro interinale. Sia le agenzie private di collocamento sia quelle interinali devono garantire una serie di diritti ai propri lavoratori. Articolo 12 nell’ambito del lavoro interinale gli stati devono ripartire i diritti che possono far valere nei confronti delle agenzie e delle imprese