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Diritto dell'integrazione europea, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Diritto internazionaleDiritto pubblico europeoDiritto EuropeoDiritto costituzionale europeo

Sintesi del testo composto dal professore Giampaolo Gerbasi. Il tema più approfondito è la cittadinanza UE

Cosa imparerai

  • Quali sono le conseguenze per uno Stato che esce dall'UE in termini di obblighi e libertà?
  • Quali sono le prime due finalità raggiunte dall'UE attraverso il suo potere di condizionare i nuovi Stati aspiranti?

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 07/01/2020

federica-garofalo-5
federica-garofalo-5 🇮🇹

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Scarica Diritto dell'integrazione europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! ADESIONE (Nizza) Il Trattato di Roma ‘57 è stato fondamentale per il processo di adesione in quanto fissa i primi requisiti di accesso alla Comunità, quali: il principio democratico e tutela dei diritti. L’art.237 afferma che il Trattato di Roma non contiene né i caratteri che devono possedere gli Stati, né gli obiettivi politici da perseguire. Vediamo ora l’adesione del Regno Unito attraverso il Trattato di Roma: la Comunità non indica le condizioni per l’adesione né tantomeno valuta i caratteri politici, si limita ad invocare il 2 comma art.237 che consente di modificare il Trattato di Roma negoziando tra le parti così da favorire l’integrazione economica. Il 1 comma art.237 mostra un vero e proprio limite all’ingresso degli Stati chiarendo ciò che non può essere oggetto i trattativa; 2 comma art.237 mostra la flessibilità del processo di adesione ovvero accogliendo le esigenze specifiche dei singoli Stati. Le difficoltà del primo allargamento si collegano alla particolare struttura economica del Regno Unito e al veto posto dalla Francia, che temeva, con l’ingresso del Regno Unito, l’ingerenza degli Stati Uniti sulla Comunità. Spagna, Portogallo e Grecia: con la candidatura di questi paesi, si è dovuto tenere in considerazione il fatto che per molto tempo abbiano avuto dei regimi dittatoriali. Per esempio, in Grecia c’è stato un colpo di stato nel 1967 che ha provocato il blocco dell’Accordo di associazione con la Comunità. I negoziati vennero bloccati anche con la Spagna in seguito alla violazione dei più elementari diritti dell’uomo. Gli accordi di associazione erano diretti a promuovere la crescita economica e sociale dei paesi, senza che vi fosse la prospettiva di una possibile adesione. Polonia: la Poloni proclamò le leggi razziali nel 1981 sospendendo le libertà fondamentali. I Ministri degli Esteri applicarono delle contromisure così da ridurre gli aiuti economici. Successivamente la Comunità interruppe i rifornimenti di prodotti alimentari. La Dichiarazione sulla democrazia del Consiglio di Copenaghen del 1978 stabilisce che le istituzioni comunitarie si impegnano ad esercitare i loro compiti e a rispettare le libertà fondamentali, mentre i nuovi stati devono garantire al loro interno, il rispetto dei principi di democrazia e dei diritti dell’uomo. La Commissione non esamina il contenuto delle Carte Costituzionali, né il grado di applicazione, si limita a dichiarare come Grecia, Spagna e Portogallo possano rafforzare l’ideale europeo, utilizzando democrazie anziché dittature. Sostanzialmente la Commissione procedeva con un mero controllo formale delle costituzioni, anche se almeno i due principi cardine (democrazia e diritti dell’uomo) dovevano esser per lo meno presenti, nonostante la vana verifica. Turchia: La Turchia si trovava ad essere molto lontana dal raggiungimento degli standard politici ed economici della Comunità. Dal punto di vista politico-istituzionale la Turchia si è prontamente dotata di una nuova Costituzione, registrando miglioramenti sia nella tutela dei diritti fondamentali che nella tutela delle minoranze, anche se vi erano ancora molti problemi per la tutela delle libertà fondamentali. La Turchia non separa il potere militare dal potere politico, non vi è parità tra uomo donna ecc. La Turchia non ha riconosciuto il genocidio degli armeni del 1915. Inoltre la Turchia occupava la parte del sud di Cipro e la Comunità le ha chiesto di risolvere la questione in merito, ma la Turchia non si è dimostrata attiva in questo contesto. Nonostante ciò, la Turchia è stata accettata nelle strategie di preadesione. Si sono visti due miglioramenti: eliminata la pena di morte e punita la tortura, ciò ha fatto avviare i negoziati. La Commissione decise di stabilire le condizioni di adesione attraverso tre livelli: politico (democrazia e tutela dei diritti), economico (economia di mercato funzionante e reggere le pressioni concorrenziali), infine recepire l’acquis communautaire. Sentenza Surul: alla moglie di un lavoratore turco che chiede la corresponsione degli assegni familiari previsti dalla normativa del paese ospitante, viene negato tale diritto, sulla base dell’assenza dell’autorizzazione al soggiorno. La signora Surul chiede di applicare il principio di non discriminazione contemplato dall’art. 3 per il godimento della prestazione. Poi abbiamo visto il Caso Alami, dove un lavoratore marocchino, residente in Belgio ha chiesto il complemento di anzianità superati i 50 anni. La normativa belga contempla questa opzione, ma solo se si è svolta un’attività lavorativa per almeno 20 anni. La domanda viene respinta in quanto non sarebbe possibile calcolare quanto tempo ha lavorato il signore marocchino in un altro stato. La Corte di Giustizia, secondo l’art.41 afferma che il lavoratore marocchino non può essere trattato i modo diverso, ai fini della pensione, rispetto ai cittadini dello stato. L’articolo preso in considerazione fa parte dell’accordo di cooperazione tra Comunità e Marocco. Finlandia, Austri, Svezia e Norvegia: Nel solo caso della Norvegia, la Commissione sente il dovere di definire tale paese come uno stato europeo sia dal punto di vista geografico che storico. Cipro: Cipro è stato caratterizzato da una difficile situazione politica perché si mostrava divisa in due parti, ciascuna sorretta da un sistema politico-istituzionale differente. Per effetto di tale divisione, si ledono le libertà fondamentali dei cittadini di Cipro. Dalla verifica delle condizioni di quest’isola si evince un’organizzazione culturale, politica e sociale dei suoi cittadini e l’importanza degli scambi conferiscono a Cipro un’identità europea. Ricordiamo che la Comunità seleziona i Paesi attraverso un approccio casistico ( analisi caso per caso dei paesi) senza un test applicabile per tutti. Vediamo ora le condizioni di adesione stabilite dal Consiglio europeo di Copenaghen del 1993 rispetto a quello del 1978. Secondo il Consiglio del 1993 i requisiti si muovono su tre livelli: carattere politico, economico e acquisizione dell’acquis. I requisiti politici sono: rispetto del principio di legalità, protezione delle minoranze, rispetto dei diritti fondamentali e principio democratico. Si passa poi a verificare i criteri di Copenaghen divisi in 4 punti: situazione politica, situazione economica, assumere gli obblighi che comporta l’adesione e creare un’economia di mercato funzionante ed infine l’acquisizione dell’acquis. Ognuno di questi parametri viene poi specificato: per esempio, i criteri politici, da un lato perseguono la democrazia e il primato del diritto, dall’altro, i diritti dell’uomo e la tutela delle minoranze. Democrazia e primato del diritto vengono poi scrutinati attraverso una griglia composta da organizzazione e funzionamento del Parlamento, del potere esecutivo e del potere giudiziario. Slovacchia: La Slovacchia non rispettava i requisiti politici. La Commissione riscontra che i diritti dell’opposizione nel Governo non vengono rispettati ovvero i deputati dell’opposizione non possono partecipare ai lavori delle commissioni impedendo alla minoranza di controllare l’operato dell’esecutivo. A causa di ciò i pareri della Commissione consigliano di non avviare i negoziati. Bulgaria: La Commissione afferma che i criteri politici potranno essere soddisfatti in breve periodo, mentre i criteri economici e quelli concernenti l’adeguamento alla Comunità no. La RECESSO (Lisbona) La crisi sulla stabilità dell’Unione si è sentita per tre ragioni: l’euroscetticismo, tutti quei movimenti partitici che hanno individuato l’Europa come capro espiatorio per le difficoltà economiche nazionali e hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica degli Stati membri così da indurli ad uscire dall’UE; la seconda ragione sta nella teoria della svalutazione competitiva in base al quale, uno Stato che decide di uscire dall’UE può trarre benefici dalla svalutazione della propria moneta; terza conseguenza è l’efficacia dell’UE le difficolta economiche stanno mettendo a dura prova la credibilità delle istituzioni europee. L’Europa nasce per dare risoluzioni a grandi problemi non gestibili ai singoli Stati. Casi di insoddisfazione: Islanda la perdita di attrattiva dell’UE ci viene testimoniato dall’Islanda che, dopo aver chiuso 11 su 35 capitoli negoziali dell’acquis, ha deciso di interrompere i negoziati e ritirare la domanda d’adesione. Norvegia: la Norvegia ha chiesto di poter entrare nell’UE per ben 3 volte e 2 volte è arrivato a firmare il trattato di adesione per poi rinunciare a causa dell’esito negativo dei referendum popolari di conferma. Grecia si è trovata indebitata con Fondo Monetario Internazionale, da non poter riuscire a pagare gli stipendi degli impiegati pubblici. Tra i partiti di destra balenava l’idea di poter far meglio al di fuori dell’UE, svalutando la moneta a proprio piacimento. Scozia è convintamente europeista e puntava ad uscire dal Regno Unito, ma non dall’UE. Però secondo l’art.50 TFUE neanche una parte di territorio di uno Stato può uscire senza un accordo bilaterale con il Consiglio. La Commissione ha colto l’occasione per ribadire che qualora la Scozia fosse diventata indipendente avrebbe dovuto negoziare il proprio ingresso nell’UE. Casi di semi-recessi: Algeria ex colonia francese, nel 1962 ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia ed è automaticamente uscita dall’UE. Groenlandia è diventata parte dell’UE grazie alla Danimarca. La Groenlandia ha abbandonato la CEE senza essersi dichiarata indipendente dalla Danimarca che è tuttora uno Stato membro. Per formalizzare l’uscita si è proceduto attraverso una modifica dei Trattati, il cosiddetto Trattato della Groenlandia che ha stabilito rapporti speciali tra il paese uscente e l’UE. Saint-Barthelemy possedimento francese, aveva chiesto di essere svincolata dalle norme europee a causa della lontananza del continente e della piccola economia basata sul turismo. Questi episodi non possono essere definiti recessi perché in nessuno di questi casi si verifica che uno Stato firmatario del Trattato di adesione dichiari di voler uscire dall’UE. Prima che venisse istituito l’art.50 del TFUE, la dottrina si divideva tra 2 tesi: l’impossibilita di recedere dai Trattati e quella che riconduceva alle norme del diritto internazionale generale. Sia l’art.53 che l’art.356 chiariscono come entrambi i Trattati abbiano una durata illimitata. Attenendoci a queste disposizioni sembrerebbe impossibile uscire dall’UE. Però vi sono due disposizioni stabilite dalla Convenzione di Vienna che mettono in rilevanza il tema del recesso. L’art.54 della Convenzione afferma che il recesso di una delle parti può aversi in base alle disposizioni del Trattato stesso oppure in ogni momento, con il consenso di tutte le parti, previa consultazione degli Stati contraenti. Lettera a) le clausole esplicite trovano applicazione nell’UE dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Lettera b) riporta ad un sistema di risoluzione consensuale. L’art.56 si riferisce ai Trattati che non contengono disposizioni sull’estinzione, la denuncia e il recesso. Il 1 comma stabilisce che, un accordo privo di clausole esplicite, non può formare oggetto di denuncia o recesso salvo due casi elencati nelle lettere a) e b) invocare il diritto di denuncia perché non contenuto nel Trattato. Il 2 comma stabilisce che la parte recedente deve comunicare la sua intenzione 12 mesi prima. Parliamo ora del rebus sic stantibus che indica un accordo concluso tra le parti tenendo conto della situazione di fatto esistente in quel momento che può modificare l’equilibrio dell’accordo a svantaggio di una parte, autorizzando questa a modificare. Ovviamente la Convenzione delinea nell’art.62 le circostanze oggetto di cambiamento. Il 1 comma stabilisce che possono essere presi in considerazione solo quei cambiamenti che trasformino radicalmente gli obblighi da eseguire in base al Trattato. Ad esempio, una crisi economica rientra nei cambiamenti. L’applicabilità della rebus sic stantibus è stata confermata anche dalla Corte di Giustizia che ha sottolineato come le norme ius cogens (diritto assolutamente inderogabile) siano vincolanti per le istituzioni comunitarie e facciano parte dell’ordinamento comunitario. Riassumendo, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, uno Stato membro avrebbe potuto procedere attraverso il recesso unilaterale solo con l’accordo di tutti gli Stati membri, giustificando un mutamento delle circostanze. Per l’introduzione della clausola di recesso, uno Stato membro può recedere comunicando l’intenzione al Consiglio Europeo e stringendo un accordo con l’UE approvato dal Parlamento e concluso dal Consiglio a maggioranza qualificata (72% dei membri del Consiglio meno il recedente, che totalizzino il 65% della popolazione dell’UE). L’introduzione di questa clausola nell’art.I-60 del Trattato Costituzionale non è entrato in vigore a causa della mancata entrata in vigore del Trattato Costituzionale. Questa clausola però è stata riproposta dal Trattato di Lisbona facendola entrare nel diritto europeo. L’art.50 TUE rafforzato con il Trattato di Lisbona, stabilisce che il diritto di recesso spetta a tutti gli Stati membri che vogliano esercitarlo, ma in modo conforme alle loro disposizioni costituzionali. La procedura consiste nel notificare la propria intenzione al Consiglio Europeo che deciderà le modalità del distacco attraverso un accordo di negoziato conformemente all’art.218 par.3 del TFUE. L’uscita dall’UE avviene nel momento in cui entra in vigore l’accordo di recesso. Ovviamente i membri del Consiglio e del Consiglio Europeo che rappresentano lo Stato uscente non parteciperanno alle deliberazioni adottate nei loro confronti. Il Consiglio deciderà a maggioranza qualificata. L’art.50 conclude affermando che qualora lo Stato uscente volesse rientrare, sarà sottoposto nuovamente alla procedura di adesione secondo l’art.49 TUE. Di grande rilevanza è la clausola che contiene la possibilità, dopo due anni dalla notifica, di poter recedere senza un accordo tra le due parti. Notiamo nell’art.50 par.4 che vengono esclusi i rappresentanti dello Stato uscente dal Consiglio e dal Consiglio Europeo, ma non si fa alcun cenno ai membri del Parlamento che continuano indisturbatamente a svolgere i loro compiti anche su questioni del proprio paese. Notiamo un altro aspetto, il ruolo della Commissione nella procedura di adesione è molto preminente mentre nella procedura del recesso si limita a fare raccomandazioni in merito all’apertura dei negoziati. Ricordiamo anche che per entrare nell’UE c’è bisogno dell’unanimità mentre per recedere della maggioranza qualificata. Quebec: paragona il diritto di recesso al diritto di secessione, prendendo come caso quello canadese. Una comunità francese aveva chiesto la secessione dal Quebec con un referendum, ,ma il referendum è stato perso però il governo canadese ha chiesto alla Corte Suprema se in realtà il Quebec poteva richiede poteva chiedere un referendum per una secessione unilaterale. Dalla sentenza della Corte si notano delle analogie tra la sentenza canadese e la procedura dell’art.50: uno, c’è bisogno della dichiarazione di volontà di recedere sia per il caso della secessione che per l’art.50 come stabilito dai Trattati, due, la secessione deve avvenire in accordo con tutte le province, non solo con lo stato centrale, sempre stabilito dai Trattati infatti i negoziati non si fanno con la Commissione, ma con il Consiglio europeo (organo rappresentativo di ogni Stato), tre, questo è stato un tentativo di procedimentalizzare una situazione che c’era già di fatto. Vediamo quali sono le conseguenze per uno Stato che esce dall’UE: senz’altro si troverà a non avere obblighi nei confronti delle istituzioni europee, ma dall’altro lato avrà delle lacune normative che prima venivano coperte dalle disposizioni dell’UE. Lo Stato perde le 4 libertà ovvero la l’impossibilità di accedere al mercato europeo, la libertà di stabilimento, di circolazione, di beni e servizi. Lo Stato, in più, dovrà creare nuovi istituzioni per gestiti alcuni settori precedentemente gestiti dall’UE. Lo Stato ritorna alla precedente valuta nazionale. Lo Stato non può mai del tutto rinnegare l’ex appartenenza dell’UE perché vi saranno alcune leggi che potrebbero essere ricondotte alla Corte di Giustizia perché nate in seno al contesto europeo. Ad una prima lettura dell’art.50 sembra chiaro che non ci sia nessun riferimento all’appartenenza o meno dello Stato recedente all’Unione Monetaria. Non ci sono dubbi sul fatto che lo Stato recedente potrebbe negoziare un accordo per mantenere l’euro. Se non vi sono accordi, si può ricorrere all’adozione unilaterale dell’euro, chiamata eurizzazione, ovvero uno Stato recedente può mantenere la moneta unica senza rispettare i vincoli dell’appartenenza ma anche senza partecipare al controllo della valuta. Molto più difficile invece, si presenta la possibilità di uscire dall’Unione Monetaria e rimanere nell’Unione Europea. I Trattati non contemplano la possibilità di ritiro volontario o l’espulsione dall’Unione Monetaria. Dal punto di vista giuridico, solo se si esce dall’UE, si può abbandonare la moneta unica. Il recesso dall’Unione Monetaria richiederebbe sforzi costosi perché dovrebbe restituire alla BCE delle quote di capitale, il cambiamento dalla moneta unica alla valuta nazionale (come per esempio tradurre il debito pubblico dall’euro alla valuta nazionale) ecc.. CITTADINANZA (Maastricht)