Scarica Diritto Dell'integrazione Europea, riassunto - L'integrazione europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Dell'integrazione Europea solo su Docsity! STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA (OLIVI – SANTANIELLO) 1 MODULO CAP.1 – GENESI E NASCITA DELLE COMUNITA’ EUROPEE 1. L’inizio della guerra fredda La guerra fredda ebbe inizio quando fu evidente l’impossibilità di trovare un accordo tra i paesi vincitori del secondo conflitto mondiale. Questa situazione portò i paesi dell’Europa occidentale ad avere determinati comportamenti con l’Unione Sovietica con la quale era ormai impossibile trovare un accordo per la riorganizzazione dell’Europa post-bellica. L’inizio della guerra fredda portò delle modifiche anche nella politica estera francese. La Francia viveva il secondo dopoguerra in una posizione di potenza secondaria, messa da parte sia dall’Unione Sovietica ad est, sia dall’asse anglo-americano ad ovest Tuttavia l’incompatibilità con l’URSS si fece presto evidente costringendo i Francesi ad allinearsi con le potenze occidentali dando inizio alla guerra fredda. La “cortina di ferro” si fece sempre più evidente nei primi mesi del 1948, soprattutto dopo il colpo di stato comunista a Praga il 25 febbraio. 2. Il congresso dell’Aia e le ideologie europeiste Il 1948 non fu solo l’anno della rottura dell’alleanza anti-hitleriana, ma fu anche l’anno della prima assise europeista, dove si incontrarono numerosi personaggi con idee diverse ma con la sola aspirazione di dare unità al continente europeo, uscito stremato e distrutto dai due conflitti mondiali. Tuttavia l’idea di un Europa unita era già nata nel secolo precedente, ma solo dopo la seconda guerra mondiale fu una materia ampiamente discussa, tanto che è possibile riconoscere tre differenti correnti di pensiero: 1. Confederalista: i fautori di tale corrente auspicavano una cooperazione quanto più estesa e profonda, ma che lascia intatti i meccanismi della sovranità nazionale; 2. La seconda corrente era più militante e battagliera in quanto affermava la totale distruzione degli stati nazionali ritenuti responsabili dei conflitti mondiali per approdare ad un unico grande Stato federale. 3. Funzionalista: per i funzionalisti l’obiettivo era quello raggiungere l’unità d’Europa attraverso integrazioni settoriali frutto di successive cessioni di sovranità da parte degli stati sovrani alla comunità europea. Saranno proprio i funzionalisti, stretti intorno a Jean Monnet e Robert Schuman, a dare vita alla prima forma di unificazione europea: la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Il 7 maggio 1948 si aprì all’Aia il Congresso d’Europa, sotto la spinta di Churchill e di altri personaggi che vedevano di buon occhio l’unità del continente. Si riunirono i rappresentanti di 17 nazioni. Tuttavia il congresso non si concluse con decisioni importanti, ma fu un evento particolarmente importante in quanto contribuì ad intensificare l’idea che qualcosa nei rapporti tra gli stati europei stava cambiando, soprattutto riguardo alla situazione della Germania e alla gestione degli aiuti del Piano Marshall. 3.L’invenzione comunitaria Gli avvenimenti del 1948 accelerarono il consolidamento degli alleati sul fronte tedesco spingendoli ad una rapida soluzione. La nuova Repubblica Federale Tedesca fu proclamata il 5 maggio 1949; nella stessa data scaturì dalla risoluzione votata all’Aia il Consiglio d’Europa. Un altro importate fatto da sottolineare è l’uscita da parte degli USA dal loro velo di isolazionismo e, sotto la guida del presidente Truman, strinsero un accordo con i paesi dell’Europa Occidentale: l’Alleanza dell’Atlantico del nord, strumento con il quale si intendeva dispiegare forze militari euro-americane dall’estremo nord al Mediterraneo. 4. La Dichiarazione Schuman L’invenzione comunitaria cui si è fatto cenno prese vita con la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950. Ne furono autori Jean Monnet e Robert Schuman il quale ebbe la forza di farlo approvare di fronte ad uno scettico consiglio dei ministri francese e di proporla ai tedeschi e al resto dei paesi d’Europa occidentale. La Dichiarazione afferma che l’opposizione secolare tra Francia e Germania doveva essere messa da parte per fini più grandi, proponendo di porre l’insieme della produzione del carbone e dell’acciaio dei due paesi sotto un’autorità comune in un’organizzazione aperta alla partecipazione degli altri paesi d’Europa. Questa proposta assicura immediatamente la creazione di basi comuni per lo sviluppo economico. Per Jean Monnet, ispiratore della Dichiarazione Schuman, l’idea di “Europa” sarebbe dovuta nascere secondo principi di interdipendenza e di integrazione. E’ la debolezza degli Stati-nazione ad aver generato le guerre, per questo serve unirsi per raggiungere gli scopi prefissati da un interesse comune a tutti gli stati membri di tale comunità. Dalle idee di Monnet e di Schuman nacque la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) prevista dal trattato di Parigi dell’8 aprile 1951. Con esso sei paesi (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi) trovavano un territorio comune in materia di carbone e acciaio. Le istituzioni della CECA erano: l’Alta autorità, un collegio di nove membri con poteri esecutivi nominati dagli stati con mandato di sei anni; il Consiglio composto da rappresentanti degli stati membri; la Corte di giustizia formata da sette giudici con il compito di redimere le controversie all’interno del trattato. La Dichiarazione Schuman metteva da parte ogni possibilità di un’influenza francese sul territorio tedesco, ma fu un’ottima strategia che permise alla Francia appunto di ottenere zone di influenza in maniera diversa. In conclusione la Dichiarazione Schuman costituisce uno dei cardini storici del dopoguerra poiché ha dato vita a un nuovo quadro istituzionale in cui la Francia ha potuto impostare un’azione diplomatica efficace per decenni. 5. La Comunità europea di difesa e la Comunità politica La guerra fredda impose agli americani l’urgente revisione dell’assetto politico e di difesa dell’Europa anche a causa della veloce espansione dell’ideologia comunista nel continente. Si fece largo così l’idea, proposta dai francesi, di creare un organismo di difesa a livello europeo: la Comunità Europea di Difesa (CED). Tale idea prevedeva la creazione di forze armate comuni legate ad istituzioni politiche sovranazionali con un ministro europeo della difesa responsabile dinanzi ad un’assemblea europea. Il progetto per l’esercito europeo ha peraltro dato vita al primo tentativo di creazione di un potere politico unificato europeo. Tale idea, proposta dall’Italia, prevedeva di andare oltre il significato di Comunità europea di difesa. De Gasperi, con il suo consigliere Altiero Spinelli, chiese e ottenne che nel progetto del trattato fosse inserito l’articolo 38 che prevedeva l’elaborazione da parte della futura assemblea parlamentare della CED, di un progetto a struttura federale. Al termine della prima riunione della CECA fu deciso di incaricare la neonata assemblea della CED di assolvere al mandato dell’articolo 38 del Trattato: un progetto di Comunità politica europea, approvato il 10 marzo 1953. La struttura istituzionale della Comunità politica europea prevedeva un sistema parlamentare bicamerale. Il potere esecutivo sarebbe stato esercitato da un Consiglio europeo, il cui Presidente, nominato dal Senato, avrebbe nominato gli altri membri, e da un Consiglio dei Ministri nazionali. Erano previsti inoltre una Corte di Giustizia e un consiglio economico e sociale. Le competenze della Comunità politica riguardavano il coordinamento delle politiche estere degli stati membri e la realizzazione del trattato CED. Tuttavia queste illusioni durarono poco in quanto in Francia si accese un forte dibattito tra le forze politiche, rendendo evidente come la crisi dello stato-nazione era solo una farsa. La fine dell’idea della CED, non fu solo frutto della grande discordia interna, ma anche dell’impossibilità storica a realizzare un’unità europea della quale avrebbero dovuto essere protagoniste una Francia ancora agli inizi del processo di decolonizzazione e la nuova Germania democratica, rimanendo totalmente assente la Gran Bretagna. La caduta del progetto del Trattato CED nel 1954 segnò la fine della prima iniziativa di dar vita a una struttura federale europea. 6. Il rilancio europeo L’Italia e i paesi del Benelux furono i promotori del cosiddetto “rilancio europeo”. principio del “riconoscimento reciproco” doveva essere applicato nella stessa forma anche ai servizi. Particolare attenzione nel libro venne data anche alla figura dei liberi professionisti e al riconoscimento dei titoli di studio a livello comunitario, basato fondamentalmente sulla reciproca fiducia tra gli stati. 3. La preparazione del Consiglio europeo di Milano: i rapporti del Comitato Dooge e del comitato Adonnino Il Consiglio europeo di Fontainebleau aveva incaricato due distinti comitati di predisporre speciali relazioni contenenti proposte per dare nuovo slancio alla Comunità: il comitato Dooge per i problemi istituzionali e il comitato Adonnino sull’Europa dei cittadini. I documenti finali furono consegnati in occasione del Consiglio europeo di Bruxelles. Il rapporto Dooge sottolineava l’importanza delle azioni a protezione dell’ambiente e della progressiva attuazione di uno spazio sociale europeo per definire l’insieme delle norme di politica sociale all’interno dello spazio comunitario. Veniva inoltre proposta la creazione di uno spazio giuridico interno per la tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini comunitari. Tuttavia l’obiettivo principale era quello di attuare una politica estera comunitaria per la quale erano stato fatte alcune proposte. Anche nella relazione era però possibile scorgere le differenze ideologiche all’interno del comitato stesso, soprattutto riguardo la materia del voto a maggioranza. L’altro documento presentato al Consiglio era quello del comitato Adonnino, incaricato di studiare e proporre misure idonee a rafforzare e promuovere l’identità e l’immagine della CEE in Europa e nel mondo. Il rapporto verteva su temi più disparati, dalla cultura alla droga, dai diritti speciali dei cittadini alla sanità. Su tutti questi temi il comitato indicava proposte intese a migliorare la partecipazione dei cittadini a livello comunitario. 4. Il consiglio europeo di Milano Con l’approssimarsi della riunione di Milano le posizioni iniziarono a chiarirsi. Giulio Andreotti, l’allora ministro degli esteri italiano, precisava che il suo governo era pienamente d’accordo sull’idea di creazione dell’Unione Europea in linea con i tratti del rapporto Dooge. Anche la Francia si rese pienamente disponibile al completamento del mercato unico e alla creazione di uno spazio sociale europeo. Il consiglio europeo di Milano si aprì in un clima di relativo ottimismo dovuto anche all’inizio del cambio di rotta dell’Unione Sovietica con Gorbacev. Tuttavia le deliberazioni del consiglio si svolsero in un clima non altrettanto ottimista a causa della forte delusione della Gran Bretagna dovuta alla proposta franco-tedesca di creare un’unione politica, proposta fortemente contraria all’ideologia britannica. Il consiglio europeo accolse positivamente il Libro bianco e la proposta di attuare tutte le riforme entro il 1992. 5. Il negoziato di Lussemburgo La presidenza lussemburghese cui spettava la convocazione della conferenza intergovernativa (CIG) rese noti i punti all’ordine del giorno: il rafforzamento del potere di esecuzione della Commissione; l’aumento dei poteri del Parlamento Europeo; l’estensione delle politiche comunitarie a nuovi campi d’azione. I negoziati all’interno della CIG sarebbero stati condotti da due comitati divisi in base a due materie fondamentali: da una parte la revisione del trattato CEE e dall’altra parte ciò che riguarda la cooperazione politica. E’ qui che si fanno strada le prime proposte di Jacques Delors che facevano riferimento a questioni di unicità delle decisioni essenziali per garantire lo sviluppo d’insieme dell’integrazione europea. Lo stesso Delors studiò anche alcune proposte di linee guida per lo sviluppo dell’integrazione economica. La Commissione inoltre auspicava che sul tavolo della CIG venissero studiati anche i nuovi temi da tempo al centro dell’attenzione della CEE, come la questione ambientale, la ricerca e la politica regionale. LA CIG durò tre mesi e la Commissione incalzò subito la CIG con proposte in forma giuridica secondo le linee guida tracciate da Delors. Un argomento scottante era però quello riguardante i compiti del Parlamento europeo, tema sul quale ci furono non pochi scontri ideologici. Tuttavia un accordo si raggiunse alla vigilia del Consiglio europeo di Lussemburgo, introducendo la procedura della cooperazione. L’Atto unico comportava un rafforzamento significativo della Commissione e una riaffermazione dell’approccio funzionalista che si era rivelato l’unico in grado di consolidare la coesione tra i paesi membri. 6. L’atto unico europeo: la riforma delle politiche comunitarie L’atto unico europeo è il primo vero tentativo di riforma del Trattato di Roma. Con l’atto unico. il completamento del mercato interno diveniva di fatto un obiettivo della CEE. L’Atto unico diede una veste giuridica formale a quelle politiche che si erano sviluppate senza una base solida dal punto di vista giuridico, come la politica regionale e quella riguardante l’ambiente. L’esempio più significativo fu la creazione di un fondo di sviluppo regionale. In tema di ricerca vennero fissati obiettivi e procedure intese a rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dei paesi dell’Unione. 7. L’Atto unico: le riforme istituzionali e la cooperazione politica europea Le modifiche istituzionali previste dall’Atto unico europeo non si sono limitate all’estensione del voto a maggioranza qualificata del Consiglio, ma si sono estese al Parlamento europeo. Esse hanno conferito a tale istituzione un potere di parere conforme per gli accordi di adesione, di associazione e di cooperazione con i paesi terzi. In campo legislativo è stata introdotta una procedura di cooperazione con il Consiglio in specifici settori (mercato interno, politica sociale, ricerca). Sinteticamente tale procedura prevedeva un sistema di doppia lettura di una proposta della Commissione da parte del Parlamento e del Consiglio. L’altro capitolo dell’Atto unico è quello che riguarda la cooperazione politica. Il nuovo trattato codificò le norme informali della cooperazione europea in materia di politica estera, con alcune significative. L’atto unico confermava i limiti principali della cooperazione politica europea e permanevano i rischi derivanti da un eventuale indebolimento del consenso politico sulla necessaria coerenza tra cooperazione politica europea e azione comunitaria. 8. Il primo pacchetto Delors L’Atto unico entrò in vigore il 1 marzo 1987, dopo la procedura di ratifica da parte di tutti gli stati membri. Solo la Gran Bretagna fu però pienamente soddisfatta da tale risultato in quanto il grande progetto iniziale si era ridotto di molto. Prima dell’entrata in vigore dell’Atto unico, Delors presentò al Parlamento europeo un insieme di proposte conosciute come “pacchetto Delors” intese a dotare la CEE dei mezzi necessari per mettere in atto efficacemente gli obiettivi dell’Atto unico. Le azioni erano essenzialmente 4: una politica agricola adattata al nuovo contesto mondiale, politiche comunitarie aventi un reale impatto economico, risorse proprie stabili, un disciplina di bilancio realmente efficace. Delors si faceva promotore di un avanzamento dell’Unione nel contesto sociale della stessa. Poiché non tutti i paesi erano pienamente d’accordo con il pacchetto, fu già un grande risultato che le decisioni del Consiglio rispettassero la globalità delle intenzioni di Delors. Il clima mutò dall’inizio del 1988 quando la presidenza passò alla Germania con Kohl, deciso a far uscire i negoziati dall’impasse in cui versavano da tempo. Il pacchetto fu pienamente sostenuto dalla presidenza e gli scontri ideologici furono aspri. L’accordo raggiunto non si allontanava però dal progetto iniziale. 9. L’avvio dell’attuazione dell’Atto unico e il rapporto Delors sull’Unione economica e monetaria L’ottimismo che circondava l’idea del mercato unico portò nel 1988 alla votazione di circa un terzo delle misure programmate nel Libro bianco. Ad Hannover nel 1988 venne inoltre nominato un comitato ad hoc per la realizzazione di proposte riguardanti la creazione di un’unione economica e monetaria. A capo di tale comitato venne messo Jacques Delors che avrebbe dovuto presentare il proprio rapporto nel giugno del 1989. Inoltre venne messa in discussione anche l’idea di una dimensione sociale dell’Unione, idea non molto cara alla Gran Bretagna che rimane sempre molto distaccata. Nel giugno del 1989 Delors presenta il suo rapporto sull’unione economica e monetaria per la cui realizzazione dovevano essere soddisfatte tre condizioni: una totale e irreversibile convertibilità delle monete; la completa liberalizzazione dei movimenti di capitali; l’eliminazione dei margini di fluttuazione e tassi di cambio irrevocabilmente fissi. Per giungere alla UEM il rapporto Delors individuava un processo graduale articolato in tre tappe principali: la prima doveva prevedere il rafforzamento delle politiche monetarie e fiscali all’interno delle istituzioni e prepararsi alla modifica dei trattati; nella seconda fase sarebbe stato approvato un trattato e avviata la transizione alla fase finale attraverso l’instaurazione di nuove figure istituzionali; nella terza fase si sarebbe proceduto alla fissazione irrevocabile delle parità monetarie e al trasferimento dei poteri necessari alle istituzioni comunitarie. Il consiglio europeo di Madrid accolse positivamente il rapporto Delors. Gli eventi che in quegli anni sconvolgevano l’Europa dell’est hanno influenzato gli avvenimenti del Consiglio di Strasburgo nel dicembre 1989, in cui la Germania ha potuto dare nuovo slancio all’iniziativa dell’UEM. I Capi di stato presero atto degli accordi tra i propri ministri delle finanze affermando che tali accordi erano fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi fissati da Delors entro la scadenza prefissata. Il consiglio di Strasburgo riuscì inoltre ad approvare, senza il consenso della Gran Bretagna, la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. L’opposizione della Gran Bretagna non impedì tuttavia di dare lo slancio sociale all’Unione. CAP. 7: IL TRATTATO DI AMSTERDAM E L’AVVIO DELL’UNIONE ECONOMICA E MONETARIA 1. Il cammino verso l’unione monetaria All’inizio del 1995 iniziava a diffondersi l’idea che sarebbe stato impossibile riuscire ad entrare nella terza fase dell’UEM entro il 1997, come previsto dal Trattato di Maastricht. Tuttavia, nonostante la ripresa economica non si attuò con l’impulso che ci si aspettava, molte autorità, tra cui Chirac, cercarono di dare nuovi impulsi all’Unione. Impulsi che vennero poi convogliati nel Libro verde che doveva dare le linee guida per giungere agli obiettivi negli anni seguenti. Le decisioni del consiglio furono nette e molto chiare: si doveva giungere all’unione monetaria al più tardi entro il 1 gennaio 1999, nel rispetto delle scadenze previste dai trattati. Durante una riunione dei ministri delle finanze, il ministro tedesco Waigel riuscì a fare approvare la sua iniziativa secondo la quale la lista completa dei partecipanti alla moneta unica sarebbe stata redatta in base ai risultati dell’anno 1997, su risultati reali e non su semplici proiezioni. Da quel momento in poi tutti i paesi iniziarono davvero a credere nell’Unione monetaria e iniziarono ad impegnarsi per raggiungere gli obiettivi prefissati entro il 1997. La terza fase dell’Unione iniziò il 1 gennaio 1999 e la moneta unica entrò in vigore progressivamente dal 1 gennaio 2002. Inoltre era fortemente sentito il problema della crisi dell’occupazione nel continente, materia sulla quale tuttavia non si giunse a nessuna strategia comune. Un fatto sconcertante fu che durante studi intermedi, solo Danimarca, Irlanda e Lussemburgo non presentavano eccessivi deficit di bilancio. Nonostante questo dato scoraggiante molti paesi si impegnarono con politiche fiscali drastiche, tra cui l’Italia, con tagli alle spese pubbliche. Le situazioni più difficili erano quelle di Germania e Italia. Riguardo l’occupazione la Commissione se ne occupò facendo approvare durante il Consiglio europeo di Amsterdam una risoluzione in materia, facendola diventare uno dei pilastri portanti dell’Unione monetaria. 2. La nuova conferenza intergovernativa e il Trattato di Amsterdam La decisione di convocare un’altra conferenza intergovernativa nel 1996, solo dopo 4 anni dal trattato di Maastricht derivava principalmente dalla delusione di alcuni paesi su alcuni argomenti, come la PESC. Vie era la preoccupazione di mettere in cantiere delle riforme importanti in previsione dell’allargamento dell’Unione verso est. La primavera del 1999 fu influenzata dalla prima guerra europea della NATO e portò il Consiglio di Colonia a decidere che l’UE dovesse disporre di una capacità d’azione autonoma sostenuta da forze militari credibili. Lo stesso Consiglio si espresse anche a favore di una nuova CIG per alcune riforme istituzionali in previsione dell’allargamento dell’Unione. Nel frattempo Prodi era stato nominato presidente della Commissione ed erano stati nominati gli altri membri. Il mandato della nuova Commissione, in sostanza, era innanzitutto quello della riforma dell’amministrazione. 9. L’ultimo semestre del secolo si chiude ad Helsinki Nel giugno 1999 si svolsero le quinte elezioni a suffragio universale diretto alle quali parteciparono per la prima volta i nuovi stati membri. La nuova assemblea, composta da 626 membri, avrebbe beneficiato dei nuovi poteri conferiti dal Trattato di Amsterdam. La maggioranza relativa passava dal partito socialista al partito popolare europeo. I primi rapporti tra Parlamento e Commissione erano abbastanza positivi e le dichiarazioni programmatiche di Prodi furono ben accolte. Nel corso del semestre di presidenza finlandese, si svolse a Seattle la Terza conferenza ministeriale del WTO; conferenza fortemente segnata dal movimento no-global e dalle proteste messe in atto dallo stesso. In tema di difesa il Consiglio di Helsinki del dicembre 1999 prese impegni a scadenza ben precisa, chiaro segno di voler risolvere al più presto la spinosa questione. In tema di allargamento, viste le positive reazioni dei paesi nuovi, si avviarono delle conferenze bilaterali con gli altri paesi candidati: Romania, Slovacchia, Lettonia, Lituania, Bulgaria e Malta. Fu inoltre rimossa la gaffe fatta con la Turchia anni prima, con la quale il Consiglio di Lussemburgo non accettò la candidatura del paese. 10. La crisi austriaca scuote l’Europa Nel 2000 un evento importante destabilizzò l’equilibrio creatosi nelle istituzioni dell’UE. La crisi politica in Austria, che portò vicino al potere Haider, leader pro-nazista e anticomunitario. CAP.8: L’UNIONE NEL NUOVO MILLENNIO E LA COSTITUZIONE EUROPEA 1. La strategia di Lisbona e la nuova Conferenza intergovernativa Per approfondire l’integrazione, il Portogallo, durante il suo semestre di presidenza, scelse argomenti non conflittuali, come l’occupazione. L’obiettivo del documento redatto dalla presidenza portoghese (Occupazione, riforma economica e coesione sociale- per un’Europa dell’innovazione e della crescita), era di garantire una crescita economica compatibile con una forte creazione di occupazione. Tale obiettivo, da realizzarsi attraverso la “Strategia di Lisbona”, ottenne forti consensi da tutto il Consiglio, riunitosi nel marzo 2000. Inoltre venne deciso un piano per dare uno slancio multimediale all’Europa, attraverso e soprattutto il rilancio della rete tra i giovani e nelle scuole, attraverso il commercio elettronico. In precedenza si era aperta a febbraio la nuova CIG a Bruxelles per la stesura della carta che avrebbe reso visibili i diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione. Parallelamente alla CIG si avviarono i negoziati per l’adesione da parte del secondo gruppo di paesi candidati: Malta, Bulgaria, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia. Un altro importante traguardo del semestre portoghese fu l’ingresso nella zona euro da parte della Grecia che a fatica era riuscita ad entrare nei parametri necessari. 2. L’Europa unita secondo Joschka Fisher Alla vigilia della conclusione della CIG riaffiorò il problema della natura politica dell’Unione e su un punto almeno erano tutti d’accordo, sulle reticenze britanniche su questo argomento. Il dibattito sull’architettura europea fu rilanciato dal ministro degli esteri tedesco Joschka Fisher, il cui discorso non era destinato a cadere nell’oblio in quanto affermò che il metodo Monnet era in crisi e che tale crisi non poteva essere risolta se non attraverso una riforma che prevedeva un sistema di sovranità condivisa al di fuori di ogni schema tradizionale degli altri modelli di federazioni di stati. Occorrevano riforme istituzionali in grado di far fronte al continuo allargamento dell’Unione agli altri stati. Si necessitava di una costituzione federale che avrebbe costituito il nocciolo duro, il centro dell’organizzazione definitiva del continente. Il discorso di Fisher sancì la fine della subordinazione tedesca all’interno dell’UE. E’ la nuova Germania a imporre il suo ruolo di protagonista. Successivamente molti personaggi politici approvarono l’idea di Fisher di fare una costituzione federale. 3. La presidenza francese e il trattato di Nizza Il secondo semestre del 2000 era fondamentale per il futuro dell’Unione, e la Francia, a cui spettava la residenza, lo sapeva bene. Il congresso di Nizza doveva risolvere i problemi istituzionali falliti ad Amsterdam, necessari per continuare i negoziati con i paesi candidati all’adesione. Il mese di settembre fu caratterizzato da due eventi principali: il no danese all’euro e la risoluzione della questione austriaca. Il popolo danese si pronunciò a larga maggioranza contro l’adesione all’UEM. Un’anticipazione delle tensioni previste a Nizza sulle riforme istituzionali, fu data al vertice informale dei capi di stato a Biarritz dove un gruppo di piccoli stati fece sentire la propria voce in merito alle riforme, affermando che erano mirate a favorire solo i grandi. A Biarritz fu anche presentata la Carta dei diritti fondamentali, un passaggio fondamentale, secondo Prodi, in quanto si dava una dimensione politica all’Unione e non solo economica. L’8 dicembre si apriva a Nizza il consiglio. Tuttavia coloro che vi si incontrarono erano personaggi preoccupati soprattutto per i propri interessi e non miravano i propri interventi al bene dell’Unione, bensì al bene della propria nazione. L’epoca Kohl-Mitterand era finita e ora Germania e Francia avevano obiettivi ben precisi per far uscire la propria nazione dallo stallo politico. I lavori del consiglio andarono ben oltre i due giorni previsti. Fu proclamata la Carta dei diritti fondamentali, fu istituito l’Eurogruppo (già Euro-X) col compito di migliorare il coordinamento delle politiche economiche nella zona euro. Tuttavia i veri dibattiti del Consiglio si concentrarono sulle riforme istituzionali, tema sul quale ci furono non pochi scontri politici in quanto gli egoismi nazionali si fecero sentire. Su pochi punti le decisioni furono prese senza problemi, come ad esempio le future modalità di elezione del presidente della commissione per il quale si prevedeva una decisione a maggioranza qualificata dei Capi di Stato e di Governo. All’alba dell’ultimo giorno i Capi di stato riuscirono a trovare un accordo sull’allargamento: il Parlamento europeo avrebbe contato 732 deputati sulla base di un’Unione a 27 Stati. Più difficile fu invece la questione riguardante la commissione, dove la proposta di avere un commissario per stato, per poi attuare una sorta di rotazione in un’Europa a 27 membri, venne bocciata in quanto c’era il rischio concreto che i commissari sarebbero stati esclusivamente i portatori degli interessi nazionali. Cambiarono anche le modalità di voto del consiglio. L’Europa estesa a 27 stati avrebbe avuto una maggioranza qualificata di 258 voti su 345 (74,8%), essendo cambiata la modalità di ponderazione dei voti a seconda dei stati. Pur rimanendo la parità tra Francia e Germania, quest ultima riuscì a far approvare una clausola che prevedeva che, al momento di decidere a maggioranza qualificata, uno stato avrebbe potuto chiedere di accertare se tale maggioranza rappresentasse almeno il 62% della popolazione. Con questa possibilità la Germania otteneva la valorizzazione della sua maggiore popolazione. 4. Il “no” irlandese al Trattato di Nizza Il trattato di Nizza venne sottoposto a referendum in Irlanda, dove prevalsero i “no”. L’Irlanda è stato il paese che maggiormente ha saputo trarre vantaggio dall’ingresso nella CEE in quanto ha beneficiato al massimo degli aiuti disponibili e ha potuto risolvere la difficile questione che si poneva al suo interno. 5. Il consiglio europeo di Laeken Le conclusioni di Nizza avevano portato viva amarezza tra i partecipanti. Il processo riformatore si era svolto attraverso CIG, tre negli anni ’80 e ’90 con le quali si diede vita all’Atto unico, il Trattato di Maastricht e il Trattato di Amsterdam. Il trattato di Nizza doveva essere l’ultima CIG che avrebbe dovuto chiudere il ciclo dei trattati di riforma dell’integrazione europea definendo il funzionamento della nuova unione a 25 membri. Ciò che era più evidente e che era motivo di preoccupazione era il costante rinvio delle materie più spinose a Conferenze successive e future. Il dibattito sulla “costituzionalizzazione” dell’Unione era sorto già da tempo e il suo riconoscimento venne adottato dalla Dichiarazione di Laeken. Il governo belga che aveva la presidenza nel secondo semestre del 2001 già da tempo si era espresso a favore della “grande riforma”. L’idea di convocare una Convenzione al fine di preparare un progetto di Costituzione europea non era nuova. Tale era il nome dato al gruppo incaricato di redigere la Carta dei diritti fondamentali. Il governo belga si era impegnato a fondo per la convocazione di una Convenzione costituente e, in una riunione informale di ministri degli esteri aveva fatto approvare il principio di una Convenzione la cui composizione sarebbe stata precisata in una riunione successiva. Il consiglio di Laeken fu caratterizzato dall’evento del terrorismo internazionale, successivo agli attentati dell’11 settembre in USA. L’ultimo atto del consiglio fu di nominare l’ex capo di stato francese Valéry Giscard d’Estaing come presidente della Convenzione incaricata di studiare un progetto di costituzione europea. 6. La convenzione sull’avvenire dell’Europa I lavori della Convenzione furono inaugurati l’ultimo giorno del febbraio 2002. I membri della Convenzione furono ufficialmente 105, cui bisogna aggiungere 102 supplenti. Parteciparono ai lavori anche rappresentanti dei paesi ufficialmente candidati all’adesione. Tra i membri vi erano numerose personalità politiche di primo piano, tra cui Gianfranco Fini. La struttura della Convenzione era piuttosto articolata, era guidata da un presidium di 12 membri. Oltre ai tre componenti della presidenza vi erano tre rappresentanti dei Governi che avevano la presidenza di turno del consiglio, due membri ciascuno per la commissione, il parlamento europeo e i parlamenti nazionali e un rappresentante degli stati candidati. Una prima fase dei lavori doveva essere dedicata all’ascolto, cioè alla raccolta di informazioni e di pareri del mondo politico e della società civile. Una seconda fase doveva essere dedicata alle risposte alle interrogazioni emerse durante la prima fase. In una terza e ultima fase la Convenzione avrebbe dovuto esprimere le sue proposte costituzionali, sotto forma di opzioni o di un testo unico. Dopo solo sei mesi di lavoro i progressi erano già notevoli. L’idea stessa di una costituzione europea era ormai accettata da tutte le delegazioni, anche dagli inglesi. Nessuna decisione veniva tuttavia presa in materia di istituzioni, rimandando le discussioni al futuro. Importante tema che venne trattato fu la questione delle presidenze semestrali che, in vista di un’Unione sempre più larga, iniziava a porre dei problemi. Venne proposta la designazione di una figura indipendente con l’incarico di preparare e coordinare le riunioni del Consiglio europeo, insomma la creazione di un Presidente del consiglio. Tra una crisi e l’altra la Convenzione iniziò a redigere il testo costituzionale. I lavori della Convenzione si incrociarono inoltre con avvenimenti esterni all’Unione, come l’avvicinarsi della guerra in Iraq e le diverse decisioni prese dai diversi paesi dell’Unione di appoggiare o no gli USA nel loro intervento armato. Tuttavia i lavori procedettero senza troppi problemi; la figura del presidente del consiglio venne pian piano accettata a patto che le sue competenze fossero limitate. Il primo semestre del 2003 fu dedicato al lavoro di redazione, effettuato prevalentemente dai membri del Presidium e dai loro consulenti giuridici. Gli ultimi dibattiti riguardarono la revisione della costituzione che sarebbe dovuta avvenire all’unanimità. Il lavoro completo venne presentato al Consiglio europeo di Salonicco il 20 giugno 2003. Tuttavia il lavoro non era soddisfacente in quanto includeva imperfezioni e forti mancanze. 7. La presidenza italiana e il Consiglio di Bruxelles Silvio Berlusconi era tornato al potere nel maggio del 2001 grazie alla coalizione da lui guidata, coalizione che comprendeva anche la Lega di Bossi. Ancora una volta, dopo il caso austriaco, una