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Diritto della previdenza sociale, Dispense di Diritto della Previdenza Sociale

Diritto della previdenza sociale unicusano

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 23/05/2019

carlaviva921
carlaviva921 🇮🇹

4

(7)

28 documenti

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Scarica Diritto della previdenza sociale e più Dispense in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale Prof. Avv. Alessandro Botti MODULO 9 – LEZIONI DA 49 A 54 Indice degli argomenti: Origini ed evoluzione del sistema previdenziale 1. Premessa 2. La nascita della Previdenza Sociale in Italia. Dalle origine al periodo corporativo 3. L’evoluzione nella Carta costituzionale. Dalla mutualità alla solidarietà 4. La legislazione ordinaria. Il riparto della potestà legislativa 5. La razionalizzazione della spesa pensionistica. Dalla mutualità e solidarietà alla sostenibilità del Welfare State. Origini ed evoluzione del sistema previdenziale 9.1 Premessa Lo studio della legislazione previdenziale permette di acquisire le nozioni fondamentali per la comprensione di un articolato sistema di garanzie e tutele riconosciute ai cittadini italiani. Gli interventi del legislatore in materia previdenziale, come avremo modo di apprezzare, si caratterizzano per la loro eterogeneità e molteplicità; la legislazione in una materia di natura così eminentemente tecnica e dagli effetti diretti e significativi sugli equilibri economici e sui diritti fondamentali dei cittadini, è suscettibile di mutamenti anche repentini e di una tecnica redazionale non sempre facilmente intellegibile. E’ per questo motivo che nell’ambito del diritto del lavoro si ritiene necessaria una prospettiva di approfondimento della tematica in argomento, al confine tra i rapporti privatistici e la disciplina pubblicistica di rispetto al dettato costituzionale. Il sistema previdenziale italiano è ormai strettamente connesso e anzi forma parte integrante di quel reticolo di diritti costituzionalmente garantiti e che caratterizzano la stessa realtà ontologica del nostro sistema giuridico. Può certamente sostenersi che lo Stato sociale che i Padri costituenti hanno edificato nell’immediato dopoguerra trovi nel sistema previdenziale uno dei suoi necessari e ineliminabili caposaldi. La stessa idea di Stato moderno così come noi lo conosciamo, almeno limitatamente alle società del mondo occidentale e avanzato, ha in sé connaturata una legislazione, più o meno articolata, a tutela dei diritti delle fasce più deboli della popolazione. Rappresenta dato acquisito dall’unanimità degli studiosi del diritto pubblico e costituzionale come sia compito dello Stato garantire ai lavoratori, alle donne, alle persone in stato di disagio sociale, agli invalidi e, generalmente, a chiunque si venga a trovare in una situazione di debolezza economica, sanitaria o esistenziale, un sostegno e un’assistenza economica e una serie di servizi a titolo gratuito o a condizioni di favore. Sin qui le certezze, sin qui i criteri teorici ai quali deve ispirarsi il legislatore nei suoi interventi, sin qui le conquiste di civiltà giuridica. Ma il sistema previdenziale e il suo ambito di applicazione non hanno mai trovato, nella sua concreta applicazione, un andamento coerente, ma sono state storicamente determinate in dipendenza di ulteriori valutazioni di natura macroeconomica e politica. Nell’ambito delle democrazie occidentali la legislazione sul cosiddetto Welfare State si è distinta per una storia abbastanza univoca. Il passaggio dalla forma di Stato feudale alla monarchia occidentale e poi alla democrazia si è caratterizzato per una progressiva assunzione da parte degli Stati di compiti e responsabilità volti a garantire una maggiore 9.2 La nascita della Previdenza Sociale in Italia. Dalle origine al periodo corporativo. La prima fase, come si è detto, è caratterizzata da una presa di consapevolezza che l’evoluzione tecnologica, la rivoluzione industriale e l’imporsi di una civiltà industrializzata imponevano soluzioni politiche e giuridiche ai nascenti bisogni della popolazione. L’inurbamento, conseguenza diretta dell’abbandono a una società patriarcale a ispirazione agricola, le mutate condizioni di lavoro e i bassi livelli salariali imposero il sorgere di forme organizzate di assistenza sociale non più spontanee e basate sulla solidarietà familiare o la beneficienza. Alla concezione estrema di stampo liberistico, dove il singolo è lasciato solo con i suoi problemi di natura sociale e sanitaria ai quali deve essere in grado di provvedere singolarmente, si passò a una visione di stampo mutualistico. I lavoratori si preoccuparono di garantirsi delle “coperture” di natura assistenziale attraverso l’istituzione delle società di mutuo soccorso. Le società di mutuo soccorso rappresentavano una spontanea iniziativa dei lavoratori, vere e proprie associazioni di stampo privatistico che, su base volontaria, avevano lo scopo di erogare prestazioni di natura assistenziale a quanti, tra gli iscritti, si fossero trovati in stato di bisogno per infortuni, malattie o invalidità sopraggiunta. Le prestazioni si spingevano poi sino a comprendere anche il riconoscimento di un’indennità in caso di morte del lavoratore e un assegno in favore di coloro che avessero raggiunto un’età tale da renderli inabili al lavoro. Le società di mutuo soccorso non risolsero di certo i problemi dei lavoratori più bisognosi; proprio perché su base volontaria e con costo gravante sui lavoratori, aderirono a tale forma di “protoprevidenza” solo quei lavoratori con i livelli retributivi più alti e che paradossalmente erano i meno vulnerabili. Lo Stato italiano, in questo primo periodo, rimane spettatore e non investe risorse finanziarie a carico della collettività per agevolare l’adesione alle mutue o per creare oneri a carico dei datori di lavoro ovvero ancora per rendere obbligatoria l’iscrizione da parte di tutti i lavoratori. Solo a seguito dell’incremento esponenziale dei casi di morte o gravi infortuni sul lavoro, connessi con l’espandersi di un’economia industriale, il legislatore italiano di occupa della materia. Con due interventi legislativi adottati nell’anno 1898 lo Stato italiano introduce l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro - legge n. 80/1898 - e la Cassa nazionale di Previdenza per la vecchiaia e l’invalidità dei lavoratori - legge n. 350/1898 - che diverrà anch’essa obbligatoria. L’unanimità degli storici del diritto e dei commentatori fa decorrere da questo periodo la nascita della previdenza sociale nel nostro Paese. Bisogna sottolineare come lo schema di riferimento di questi interventi legislativi permane di stampo privatistico. Lo Stato, per meglio dire, si preoccupa di incentivare e, dal 1898, garantire la stipulazione di assicurazioni private per la tutela dei soli lavoratori subordinati dagli infortuni sul lavoro a carico dei datori di lavoro, responsabili civili, ma si disinteressa di porre in essere politiche volte alla eliminazione nei cittadini dei stati di bisogno economico o sociale. Lo Stato, in questa prima fase, si limita, prima, a favorire una mutualità volontaria, poi, a renderla obbligatoria e, infine, necessaria, divenendo così operante ex lege a prescindere dalle dinamiche contrattuali e sinallagmatiche tra datore, prestatore ed Ente assicuratore. Grande slancio ricevette la disciplina della previdenza sociale nel periodo successivo al primo conflitto mondiale. In Italia la legislazione di natura corporativa del ventennio fascista rappresentò una svolta nel modo di interpretare la previdenza e assistenza in favore dei cittadini italiani. Da una concezione spiccatamente privatistica il sistema evolve nel senso di intendere la tutela previdenziale come un interesse pubblico, anche se gli strumenti per perseguirlo vengono ancora individuati nell’ambito di una solidarietà di categoria (propria del corporativismo appunto). Nello stesso periodo vengono poi fondati Istituti di previdenza e assistenza, aventi funzioni pubblicistiche di istruzione, verifica ed erogazione delle prestazioni. Vennero così istituiti tra i maggiori: - l’Ente nazionale per la mutualità scolastica con legge del 29 gennaio 1934 n. 598; - l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti con legge del 25 marzo 1926 n. 838; - la Cassa nazionale di previdenza in favore degli avvocati e procuratori legali con legge del 13 agosto 1933 n. 406; - l’Istituto nazionale di previdenza e mutualità per i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie con legge del 20 giugno 1929 n. 1045; - l’Opera di previdenza per il personale ferroviario con legge del 19 giugno 1913, poi modificato più volte sino alla legge 28 agosto 1930 n. 1314; - l’Istituto di previdenza e mutualità fra i magistrati italiani con legge del 2 settembre 1919, modificata con legge dell’8 luglio 1929 n. 1276; - la Cassa nazionale di previdenza dei farmacisti con legge del 7 novembre 1929 n. 2174; - la Cassa pensioni del personale delle aziende esercenti i servizi marittimi sovvenzionati con legge del 19 ottobre 1933 n. 1595; - l’Istituto nazionale per l’assistenza ai grandi invalidi del lavoro con provvedimento legislativo del 19 luglio 1929 n. 1416; - l’Opera nazionale del dopolavoro con legge del 1 maggio 1925 n. 582. La svolta riguarda poi anche i nuovi campi di applicazione della previdenza e assistenza pubblica. Il legislatore, in questo periodo, interviene ripetutamente per ampliare il campo dei diritti sui quali riconoscere un intervento garantista. Trovano così ambiti di tutela prima non previsti i diritti assistenziali e previdenziali dei marittimi, delle operaie madri e delle donne e fanciulli per gli infortuni sul lavoro, per la tutela della maternità con previsione di una disciplina di tutela nel periodo di gravidanza e puerperio, di categorie come gli addetti al commercio, gli avvocati, i farmacisti, i giornalisti, i sanitari, i dipendenti parastatali, dei magistrati e dei cancellieri (in piena sintonia con In ambito del diritto della previdenziale la disposizione appena ricordata trova la sua esplicazione nell’articolo 38 della Costituzione, secondo il quale: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera”. La disposizione in commento e la sua lettura in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 della stessa Costituzione permette ormai di escludere che l’attività di sostegno e tutela dei lavoratori, degli inabili, dei disoccupati e, in ogni caso, delle fasce più deboli della popolazione rappresenti un’attività discrezionale dello Stato. Le finalità che lo Stato deve perseguire in materia e che, come abbiamo detto, sono rivolte alla rimozione degli stati di bisogno per la reale e fattiva partecipazione di ogni singolo alla vita della comunità, devono essere realizzate con interventi concreti, per il soddisfacimento di un interesse pubblico generale, costituzionalmente garantito, e assumendo l’onere del loro finanziamento a carico delle casse dello Stato. A differenza di quanto avveniva nei precedenti periodi storici (confronta i precedenti paragrafi, con particolare riferimento ai meccanismi della previdenza sociale di stampo corporativo) non è ammessa nel nostro ordinamento giuridico alcun rinvio, delega o affidamento alle categorie interessate, laddove è lo Stato che deve provvedere all’istituzione degli organi e alla costituzione degli istituti (cfr. la disposizione dettata al comma quarto dell’articolo 38 in commento) necessari per l’effettiva realizzazione della tutela dei soggetti protetti. L’esigenza solidaristica trova certamente nella disposizione costituzionale il suo acme giuridico e la sua massima espressione programmatica. La realizzazione del programma solidale non può già avvenire attraverso una attività graziosa della pubblica amministrazione, bensì attraverso il riconoscimento in capo a ciascun interessato di diritti soggettivi e prestazioni specifiche. Il dettato dell’ultimo comma dell’articolo 38 (“L’assistenza privata è libera”) non può di certo essere interpretato in senso alternativo o limitativo dei compiti dello Stato di cui ai precedenti commi. E’ garantito nel nostro sistema giuridico il principio di libertà della previdenza privata (in sintonia peraltro con il più ampio principio di libertà di iniziativa privata nelle sue diverse forme, vedi anche gli articoli 23, 41, 46 e 47) che è chiamata a svolgere comunque un compito di soddisfacimento di interessi esclusivamente privati, ulteriori e diversi rispetto a quelli di rimozione dei bisogni. Alcuni commentatori hanno sottolineato come il sistema previdenziale possa così essere descritto come un sistema duale, dove accanto all’intervento dello Stato si sia imposto sempre più prepotentemente - anche alla luce della legislazione ordinaria e nel rispetto delle esigenze di contenimento della spesa previdenziale che incontreremo nel prossimo paragrafo - un sistema di natura privatistica. All’interpretazione tradizionale che vedeva integrarsi nel sistema previdenziale le iniziative di natura pubblica con quelle private (interpretazione dualistica dell’articolo 38 della Carta costituzionale) si contrappone però una diversa concezione che è stata definita monistica da un’autorevole corrente di pensiero; concezione secondo la quale il concreto modello operativo è rappresentato da un servizio pubblico concettualmente unitario, destinato alla soddisfazione dei bisogni essenziali di tutti i cittadini, con conseguente assunzione dell'intero carico finanziario relativo da parte dell'erario. Il dibattito può essere risolto, a giudizio di chi scrive, con il ricorso proprio al concetto di sicurezza sociale, di cui abbiamo già fatto cenno. La dualità tra le assicurazioni sociali e le assicurazioni private può sussistere solo limitatamente agli strumenti e ai mezzi mediante i quali si realizza il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini. Mentre nelle assicurazioni private l’eliminazione del bisogno si compie per mezzo dell’assunzione da parte di un soggetto privato dell’obbligo di sopportare le conseguenze negative di un determinato evento, nelle assicurazioni sociali lo stesso fine si realizza mediante l’intervento dello Stato e con l’organizzazione di un servizio pubblico. Il sistema delle assicurazioni private diviene però complementare al sistema delle assicurazioni sociali nella prospettiva del soddisfacimento del benessere del singolo cittadino. Lo Stato deve infatti garantire un livello minimo ed essenziale di sicurezza sociale, mediante l’istituzione di un servizio pubblico moderno ed efficiente, che il ricorso volontario alle assicurazioni private può integrare al fine di rispondere ad ulteriori esigenze di benessere sociale. L’articolo 38 della Costituzione elenca i casi in cui lo Stato deve intervenire per garantire la rimozione dello stato di bisogno. Gli eventi che possono legittimare il singolo a pretendere (diritto soggettivo) una prestazione statale rappresentano una traccia vincolante per il legislatore nazionale; una traccia e un’elencazione vincolante ma non esaustiva o limitativa, in considerazione del carattere evolutivo del welfare state e la sempre possibile previsione di ulteriori e diverse garanzie in favore dei cittadini e della collettività. interventi di progressivo ampliamento del finanziamento dei servizi assistenziali a carico dello Stato e l’integrale finanziamento a carico dello Stato dell’assegno sociale. Più di recente devono ricordarsi poi la riforma della legislazione previdenziale (cd. riforma Amato) con l’innalzamento dell’età pensionabile Legge 503/1992, l’introduzione del metodo contributivo per il calcolo della previdenza obbligatoria e complementare (cd. riforma Dini) Legge 335/1995, la riforma degli ammortizzatori sociali e una nuova stretta sull’età pensionabile (cd. Legge Fornero) L. 92/2012 e il cd. Jobs Act per la riforma del mercato del lavoro e della previdenza Legge 183/2014. La legislazione in materia sanitaria (alla quale dedicheremo un apposito spazio di trattazione più avanti) rappresenta chiaramente la difficoltà per il legislatore italiano di approntare un’efficace e uniforme disciplina in ambito assistenziale. Nell’impegno di dare concreta esecuzione al dettato dell’articolo 32 della Costituzione e garantire la prestazione di un servizio sanitario rispettoso dei principi di universalità, gratuità, uguaglianza ed efficienza, sono stati in più occasioni emanati interventi legislativi ispirati da esigenze contingenti e dalla necessità di garantire sostenibilità economica all’intero sistema. Sul piano della titolarità pubblicistica a emettere provvedimenti normativi nella materia in trattazione, molto è stato innovato con la relativamente recente riforma costituzionale introdotta con la legge n. 3/2001. Con tale intervento legislativo è stata costituzionalizzata una diversa ripartizione delle competenze legislative e regolamentari tra Stato e Regioni, anche nella materia previdenziale e assistenziale. Nel vecchio testo dell’articolo 117 della Costituzione le competenze legislative erano ripartite tra Stato e Regioni, spettando a queste ultime solo la possibilità di dettare norme di dettaglio nelle materie indicate nel testo. Il nuovo articolo 117 rovescia questa clausola, prevedendo un primo elenco di competenze riservate allo Stato e un secondo elenco di materie affidate alla potestà concorrente, in cui la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione statale. Viene infine introdotto il principio secondo cui spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Il legislatore statale e quello regionale vengono così posti sullo stesso livello, ambedue assoggettati alla Costituzione, ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; viene eliminato il controllo governativo sulle leggi regionali; viene fissata una clausola residuale e preferenziale a favore della legge regionale. La riforma del titolo V prevede infine la soppressione della potestà legislativa-integrativa regionale. L’articolo 117, comma 6 della Costituzione, nel consentire allo Stato, nelle materie di propria competenza legislativa, di delegare alle Regioni la relativa potestà regolamentare, sembra indicare questa strada come la via da seguire ove si voglia coinvolgere le Regioni nell’attuazione di leggi statali. Tuttavia vi sono ancora casi in cui lo Stato deve coinvolgere le Regioni anche sul piano della legislazione, come ad esempio precisato dalla giurisprudenza costituzionale in materia di tutela dei dati personali. Secondo la Corte in questa materia si possono adottare leggi o regolamenti regionali, ma solo nella misura in cui ciò sia previsto dalla legislazione statale. Questo il quadro generale della nuova disciplina di ripartizione della potestà legislativa. Rispetto alla materia in trattazione bisogna evidenziare come il nuovo testo dell’articolo 117 della Costituzione riconosca una potestà legislativa esclusiva allo Stato nella materia della “previdenza sociale” e una competenza regionale in materia di “assistenza sociale”. E’ riconosciuta poi una potestà legislativa di natura concorrente tra lo Stato e le singole Regioni in materia di previdenza complementare e integrativa. L’unicità e l’omogeneità della disciplina su tutto il territorio nazionale viene garantita dalla disposizione prevista alla lettera m) del medesimo articolo 117, la quale prevede come la competenza ad emettere provvedimenti legislativi su “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” spetti in via esclusiva allo Stato. 5. La razionalizzazione della spesa pensionistica. Dalla mutualità e solidarietà alla sostenibilità del Welfare State. Come abbiamo visto il complesso sistema previdenziale e assistenziale predisposto ha quale fine la rimozione dello stato di bisogno dei cittadini e dei lavoratori. In questo senso viene in considerazione la differenza tra assistenza sociale e regime previdenziale. La legislazione che disciplina le forme di assistenza sociale ha quale obiettivo il permettere che ogni cittadino possa esercitare liberamente i propri diritti civili, libero dai vincoli che una situazione di grave indigenza comporterebbe necessariamente. D’altra parte, le norme dettate in materia di previdenza sociale assolvono al diverso, ma come vedremo anche complementare, obiettivo di garantire tutela ai lavoratori per i possibili periodi di inattività per mortivi di malattia, inabilità temporanea o permanente, disoccupazione involontaria o per raggiungimento dei limiti di età. Le due forme di garanzie, ancorché trovino anche nella Carta costituzionale un distinto richiamo (l’articolo 38 dedica il primo comma alla tutela dei “cittadini” e il secondo comma a quella dei “lavoratori”), sono assolutamente complementari e devono essere ormai lette alla luce dell’unico obiettivo unificante: l’interesse della collettività che vengano rimossi gli stati di bisogno di ogni individuo risieda nel territorio dello Stato (cittadini italiani, ma anche, a determinate condizioni, cittadini dell’Unione Europea, stranieri, apolidi, profughi) alla luce delle disposizioni di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione stessa. L’elencazione degli interventi legislativi effettuati nei più recenti anni e comunque a partire dagli anni 90 avrà permesso, ai più attenti tra gli In una prima fase, che abbiamo definito postindustriale, di sviluppo ed espansione della previdenza sociale, la tutela previdenziale anche se resa obbligatoria e necessaria dall’intervento dello Stato si svolge su un ambito privatistico e meramente mutualistico. L’impegno economico per realizzare la tutela viene assunto da più soggetti per contrastare un pericolo comune – ad esempio il venir meno della retribuzione da lavoro per malattia, infortunio, inabilità o vecchiaia. Il rapporto non coinvolge la collettività, se non indirettamente per gli effetti negativi dell’incrementarsi degli stati di bisogno, e si svolge con strumenti di chiara natura privatistica. Dopo la seconda guerra mondiale e sull’esempio della legislazione anglosassone e in ossequio ai principi del costituzionalismo moderno, il sistema previdenziale viene ispirato dall’interesse a perseguire la “sicurezza sociale”, bene comune al quale deve provvedere la collettività. La previdenza sociale non è più un interesse intersoggettivo o di categoria, ma rappresenta un interesse pubblico che deve essere perseguito da interventi fattivi dello Stato e con risorse ricavate dall’Erario. Si passa quindi dalla mutualità alla solidarietà del sistema previdenziale. Gli ultimi interventi che abbiamo analizzato in questo paragrafo, infine, mostrano come, dagli anni ’90, i legislatori italiani, conformemente a quelli della maggior parte delle democrazie moderne, siano più volte intervenuti con l’intento di garantire al sistema delle pensioni una sostenibilità economica e una prospettiva di realizzabilità nel lungo periodo. Tutti gli interventi posti in essere in questo ultimo periodo sono tesi a garantire una maggiore perequazione del sistema, un innalzamento progressivo dell’età pensionabile anche alla luce dell’aumento della speranza di vita, al contrasto del fenomeno della disoccupazione o dell’occupazione precaria che mettono a repentaglio l’entità della contribuzione, alla modifica del sistema di calcolo delle pensioni. In questa luce può certamente sostenersi come dalla mutualità si sia passati alla solidarietà e da questa alla sostenibilità, in un recente sforzo di armonizzare e contemperare il dettato costituzionale con la realtà economica e con gli impegni assunti in Europa.